Mieloma multiplo
15
Stefania Oliva, Mario Boccadoro
INTRODUZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
Il mieloma multiplo (MM) è una discrasia plasmacellulare
maligna caratterizzata dalla proliferazione clonale di plasmacellule maligne nel midollo osseo e da accumulo di
linfociti B e plasmacellule sintetizzanti immunoglobuline
monoclonali o frazioni di queste nel sangue e/o nelle urine
(Kyle e Rajkumar, 2005). Tale patologia rappresenta l’1%
di tutti i tumori e il 13% delle neoplasie ematologiche. Nei
Paesi occidentali l’incidenza annuale, corretta per età, è
pari a 5,6 casi su 100.000 abitanti (Altekruse et al., 2007).
L’età media alla diagnosi è approssimativamente di 70 anni
e l’incidenza aumenta notevolmente con l’età: il 37% dei
pazienti ha meno di 65 anni, il 26% ha un’età compresa
tra i 65 e i 74 anni e il 37% ha un’età maggiore di 75 anni
(Kristinsson et al., 2007; Brenner et al., 2008).
La gammopatia monoclonale di incerto significato
(MGUS) e il mieloma asintomatico o smoldering (SMM)
rappresentano i diretti precursori del mieloma multiplo e
sono caratterizzati dall’assenza di manifestazioni cliniche
(Kyle e Kumar, 2009a; Rajkumar et al., 2007). La prevalenza
della MGUS si attesta al 4% dei soggetti caucasici sopra i
50 anni di età, con rischio annuale di progressione verso mieloma maligno dell’1% all’anno (Kyle et al., 2006;
Berenson et al., 2010; Dispenzieri et al., 2010).
Il MM costituisce una patologia attualmente non guaribile
e con un’alta probabilità di recidiva; tuttavia, è tipicamente
sensibile, sia alla diagnosi sia al momento della recidiva,
a una varietà di farmaci citotossici. Sfortunatamente però, le risposte sono transitorie e la patologia non risulta
pertanto eradicabile. Negli ultimi vent’anni sono stati effettuati numerosi progressi nella cura del mieloma grazie
all’introduzione del trapianto autologo di cellule staminali periferiche e più recentemente con l’avvento di nuovi
farmaci come talidomide, lenalidomide e bortezomib.
Inoltre, negli ultimi anni è notevolmente migliorata la conoscenza del microambiente midollare e della patogenesi
della malattia, creando le basi per lo sviluppo di farmaci
ancora più innovativi e con diversi meccanismi di azione
(Hideshima e Anderson, 2002). Questi nuovi approcci
terapeutici hanno determinato un miglioramento della
sopravvivenza globale; il tasso di sopravvivenza a 5 anni è
passato dal 25% nel 1975 al 34% nel 2003 (Brenner et al.,
2008) e, in pazienti di età inferiore ai 60 anni, il tasso di
sopravvivenza a 10 anni è approssimativamente del 30%
(Kumar et al., 2008c).
Come conseguenza dell’allungamento della vita media
nella popolazione normale, si prevede un possibile incremento dei casi di MM. L’eziologia è sconosciuta, non sono
stati individuati finora fattori di rischio legati allo stile di
vita, al tipo di lavoro o ai rischi ambientali. Come possibili
fattori di rischio sono stati ipotizzati una predisposizione
genetica, l’esposizione a radiazioni ionizzanti o a sostanze
chimiche, il fumo di tabacco, l’obesità e l’assunzione di
alcol. Nessuno di questi fattori è stato però finora correlato
in maniera significativa alla patogenesi del MM (Alexander
et al., 2007).
BIOLOGIA
Le plasmacellule (PC) sono linfociti B post centro germinativo caratterizzate da un elevato stadio di differenziazione; tali cellule hanno superato i fisiologici processi
di maturazione dei linfociti B (selezione antigenica nel
centro germinativo, switch delle catene pesanti immunoglobuliniche [IgH] e ipermutazioni somatiche), si sono
differenziate in plasmablasti e sono migrate nel midollo
osseo dove sono diventate PC mature (Shapiro-Shelef e
Calame, 2005; Tarte et el., 2003; Kuehl e Bergsagel, 2002).
La trasformazione delle PC in un clone neoplastico è caratterizzata da alterazioni molecolari che si sommano in un
processo “multi-step” e da cambiamenti che avvengono a
livello del microambiente midollare. Sulla base di quanto
osservato finora, si ritiene che il mieloma multiplo derivi,
nella maggior parte dei casi, da una situazione benigna
rappresentata da MGUS, la quale progredisce in SMM e
infine nel mieloma sintomatico (MM).
Le alterazioni molecolari precoci, condivise dalle cellule
che costituiscono la MGUS e il MM, sono le traslocazioni
dei geni per le catene pesanti delle immunoglobuline,
l’iperdiploidia, la delezione del cromosoma 13 e la deregolazione del gene della ciclina D1 (Chng et al., 2007;
Chiecchio et al., 2009; Fonseca et al., 2009; Chng e Fonseca, 2009; Bergsagel et al., 2005b); le analisi in FISH hanno infatti identificato traslocazioni IgH nel 40-50% delle
MGUS e nel 50-70% delle cellule di MM (Avet-Loiseau
et al., 2002).
Le traslocazioni coinvolgenti il gene delle immunoglobuline sono frequenti e causano la giustapposizione del
cromosoma 14 (q32.33) con altre regioni cromosomiche specifiche, determinando l’iperespressione di alcuni oncogeni (per esempio, MAF [t(14;16)(q32.33;23)]
611
612
Ca pito lo 15 M ielo m a m u lt ip lo
o MMSET sul cromosoma 4p16.3). Oltre ad avere un ruolo
patogenetico, le alterazioni cromosomiche sono considerate anche uno dei più importanti fattori prognostici: per
esempio, i pazienti che presentano traslocazione t(4;14),
delezione 17p13 e anomalie del cromosoma 1 identificate
con metodica FISH presentano una ridotta sopravvivenza
globale (OS). Con l’affinarsi delle tecniche diagnostiche di
laboratorio, sono state descritte numerose altre alterazioni,
mutazioni geniche e traslocazioni secondarie, implicate
sia nella progressione della patologia sia nell’insorgenza
tardiva e che includono anomalie cariotipiche in MYC,
l’attivazione di NRAS e KRAS, le mutazioni in FGFR3 e
TP53, l’inattivazione degli inibitori delle chinasi dipendenti da cicline CDKN2A e CDKN2C (Avet-Loiseau et al.,
2007; Kuehl e Bergsagel, 2002; Bergsagel e Kuehl, 2005a),
le deregolazioni epigenetiche che producono alterazioni
nell’espressione di microRNA e la modificazione della
metilazione genica. Tali anomalie geniche possono anche
determinare un’alterazione dell’espressione delle molecole
di adesione sulle cellule di mieloma causando un’alterata risposta agli stimoli proliferativi nel microambiente
midollare. Oltre alle alterazioni specifiche della cellula
tumorale, la progressione da MGUS a MM avviene a causa
di un’interazione fra PC e cellule del microambiente: i
recettori presenti sulla superficie cellulare come le integrine, le caderine, le selectine e le CAM (molecole di adesione cellulare) stimolano infatti la crescita tumorale, la
sopravvivenza, la migrazione e la resistenza farmacologica
delle cellule mielomatose. Inoltre, l’adesione delle cellule
mielomatose a quelle emopoietiche e stromali induce la
secrezione di citochine e fattori di crescita (interleuchina-6,
il fattore di crescita endoteliale vascolare [VEFG], il fattore
di crescita insulino-simile 1, i membri della superfamiglia
del fattore di necrosi tumorale [TNF], il TGF-b1 e l’interleuchina-10) tramite meccanismi autocrini e paracrini (Podar
et al., 2002).
L’interazione fra PC e microambiente ha un ruolo patogenetico non solo nella crescita delle cellule tumorali, ma
anche nel danno osseo: le cellule tumorali producono
numerose citochine che inibiscono gli osteoblasti (inibizione della via di segnalazione intracellulare Wnt) e
attivano gli osteoclasti (amplificazione della via di RANK e
azione della MIP1a [macrophage inflammatory protein 1 a])
e di conseguenza attivano i meccanismi di riassorbimento
osseo (Roccaro et al., 2009). Anche l’angiogenesi è fortemente alterata e gioca un ruolo fondamentale nel determinare uno stimolo proliferativo e nel causare resistenza
ai farmaci, acuendo la densità microvascolare del midollo
osseo e producendo le tipiche anomalie strutturali dei vasi
(Castoldi e Liso, 2007).
DIAGNOSI
Negli stadi iniziali del MM difficilmente si riscontrano
sintomi di rilievo e il mieloma in fase ancora asintomatica può essere diagnosticato in maniera casuale, durante
un esame del sangue di routine nel quale si riscontrano
alterazioni del quadro proteico.
I criteri diagnostici delle discrasie plasmacellulari più comuni sono stati recentemente aggiornati.
GAMMOPATIA MONOCLONALE
DI SIGNIFICATO INCERTO
La MGUS è la più comune discrasia plasmacellulare, interessa l’1% circa della popolazione con più di 50 anni e la
sua incidenza aumenta con l’aumentare l’età.
È caratterizzata dalla proliferazione di un singolo clone di
plasmacellule secernenti una proteina monoclonale (M).
Ciascuna proteina M è costituita da una catena polipeptidica pesante (g per le IgG, a per le IgA, m per le IgM, d per
le IgD e e per le IgE) e da una singola catena leggera (k o
l). È una condizione asintomatica caratterizzata da:
●●
●●
●●
proteina monoclonale <3 g/dL;
plasmacellule monoclonali nel midollo osseo <10%;
assenza di danno di organo attribuibile alle PC (Rajkumar et al., 2006).
La MGUS è associata a un rischio di progressione in MM di
circa l’1% annuo. Il riscontro di MGUS è perlopiù accidentale, in seguito all’esecuzione dell’elettroforesi delle proteine sieriche (SPEP) o urinarie (UPEP) per un controllo di
routine. Nei pazienti con tale patologia vi è un unanime
consenso ad astenersi da effettuare alcuna terapia, mantenendo solo un’attenta osservazione. I soggetti possono
essere stratificati in base al rischio (basandosi sull’entità
del picco monoclonale, sul tipo di componente monoclonale, sulla percentuale di plasmacellule nel midollo e sul
rapporto delle catene leggere libere sieriche) per decidere
la frequenza dei controlli di follow-up: nei pazienti considerati a basso rischio è indicata una visita 6 mesi dopo la
diagnosi e poi ogni 2 anni o in presenza di sintomi fino
all’eventuale progressione; negli altri soggetti la prima
visita di controllo è indicata dopo 6 mesi dalla diagnosi e
poi ogni anno (Kyle et al., 2011; Bladé et al., 2010).
SMOLDERING mieloma
Il SMM rappresenta circa il 15% dei nuovi MM diagnosticati. È una condizione asintomatica che può essere diagnosticata accidentalmente ed è caratterizzata da:
●●
●●
●●
proteina monoclonale >3 g/dL;
infiltrato plasmacellulare monoclonale a livello midollare >10%;
assenza di danno di organo attribuibile alla proliferazione delle PC.
Il rischio di evoluzione verso il mieloma multiplo è 10%
per anno per i primi 5 anni, 3% per anno per i successivi
5 anni e 1-2% per anno nei successivi 10 anni. Pertanto, i
pazienti devono essere inizialmente seguiti ogni 2-3 mesi
dopo la diagnosi, se si manifesta stabilità di malattia ogni
4-6 mesi per 1 anno e poi ogni 6-12 mesi.
Come per la MGUS, l’entità e il tipo di proteina monoclonale sono correlati con il rischio di progressione (Kyle e
Rajkumar, 2009b; Kyle et al., 2010).
Mieloma SINTOMATICO
A differenza di altre patologie neoplastiche, la terapia del
MM va iniziata solo quando vi sia evidenza di danno di
organo. Il MM sintomatico è definito dalla presenza di:
Ca pi to l o 1 5 M i eloma multi plo
●●
●●
componente monoclonale nel siero o nelle urine (nei
pazienti con componente monoclonale non riscontrabile è indicata la ricerca delle catene leggere libere);
infiltrazione di PC a livello midollare maggiore del 10%
e/o diagnosi istologica di plasmacitoma.
Non è richiesta al fine diagnostico una specifica concentrazione di proteina M nel siero e nelle urine; una piccola
percentuale di pazienti infatti non presenta livelli evidenziabili di proteina M pur in presenza di infiltrazione
plasmacellulare midollare e danno di organo (mieloma
non secernente).
Evidenza di danno di organo attribuibile alla proliferazione plasmacellulare (criteri CRAB):
●●
●●
●●
●●
iperCalcemia (calcemia >11,5 mg/dL [2,88 mmol/L]);
insufficienza Renale (creatininemia >2 g/dL [177
micromol/L]);
Anemia (emoglobina <10 g/dL o <2 g rispetto al limite
inferiore dell’intervallo di normalità);
Bone disease (malattia ossea) caratterizzata dalla presenza di lesioni litiche, osteopenia severa o fratture
patologiche (Kyle et al., 2010).
Segni di malattia sintomatica sono inoltre le infezioni
batteriche ricorrenti (>2 episodi/anno), il riscontro di amiloidosi associata a mieloma e l’iperviscosità sintomatica
(Bird et al., 2011).
PLASMACITOMA
Il plasmacitoma solitario è una manifestazione rara ed è
caratterizzato da:
●●
●●
●●
●●
lesione solitaria ossea o a livello dei tessuti molli (nella
maggior parte dei casi localizzata nel tratto respiratorio
superiore anche se è possibile il coinvolgimento in
qualsiasi organo) con evidenza alla biopsia di plasmacellule monoclonali;
aspirato midollare non suggestivo per diagnosi di MM;
assenza di lesioni ossee identificate con Rx scheletro e
RM colonna;
assenza di danno di organo attribuibile alla proliferazione plasmacellulare.
Il trattamento standard è rappresentato da radioterapia
sulla massa. I pazienti sono a rischio di progressione in
MM in particolar modo in caso di associata presenza di
proteina monoclonale, soprattutto se persiste dopo la terapia radiante (Rajkumar et al., 2006).
Un recente studio ha analizzato l’incidenza dei plasmacitomi extramidollari localizzati nei tessuti molli (dal 7%
al 18% nel MM di nuova diagnosi, fino al 20% nel MM in
recidiva), le sedi di più frequente riscontro sono classificate
in tre gruppi:
●●
●●
crescita localizzata (masse di tessuto patologico originate dalla localizzazione ossea focale quali vertebre,
coste, sterno e cranio);
disseminazione per via ematogena (localizzazioni singole o multiple sottocutanee, noduli in sede epatica,
mammella, rene, linfonodi, sistema nervoso centrale);
●●
localizzazioni in sedi di pregressi interventi chirurgici
(laparotomia, inserzione di cateteri, interventi chirurgici ossei e fratture ossee).
Sono tuttora in corso numerosi studi sulla valutazione
prognostica di tali pazienti, su quali schemi terapeutici
siano più idonei (in particolare sul confronto fra le localizzazioni ossee e quelle extraossee); alcuni di questi studi
analizzano i meccanismi di adesione cellulare delle cellule
di mieloma, i meccanismi di crescita nei siti extramidollari, la chemiosensibilità ai nuovi farmaci in commercio
e l’efficacia del trapianto autologo nel paziente giovane
(Bladé et al., 2011).
PRESENTAZIONE CLINICA
E WORK-UP DIAGNOSTICO
I sintomi del mieloma in fase attiva sono caratterizzati
dall’instaurarsi di due eventi principali: l’infiltrazione di
organi o tessuti da parte delle PC mielomatose e l’eccessiva
produzione di immunoglobuline monoclonali.
L’anemia, presente nel 78% circa dei pazienti, è generalmente correlata all’infiltrazione mielomatosa del midollo
osseo e/o all’insufficienza renale. L’astenia è l’espressione
più significativa dello stato anemico dei pazienti (Birgegard
et al., 2006).
L’insufficienza renale si manifesta tra il 20% e il 40%
dei pazienti con una nuova diagnosi di malattia e sino al
50% in fase di progressione, riportando un elevato tasso
di mortalità (Kyle et al., 2003; Eleutherakis-Papaiakovou
et al., 2007); tale quadro è causato principalmente dal
danno tubulare dovuto a un eccessivo carico di proteine
escrete tramite ultrafiltrazione glomerulare, le catene leggere possono precipitare a livello intratubulare, depositarsi
a livello della membrana basale dei tubuli o dei glomeruli
o determinare danno diretto o mediato da enzimi lisosomiali sulle cellule tubulari. Il quadro morfofunzionale
più frequente è rappresentato dal rene da mieloma, la cui
manifestazione clinica più comune è l’insufficienza renale
cronica, sono meno frequenti la malattia da catene leggere
e l’amiloidosi. Altri fattori concorrono all’instaurarsi della lesione renale, come la disidratazione, l’ipercalcemia
e l’impiego di farmaci nefrotossici (Dimopoulos et al.,
2008). Il rischio di danno renale è inoltre direttamente
proporzionale al livello di escrezione urinaria di catene
leggere libere (FLC), ma non è attribuibile alla classe delle
catene leggere (Drayson et al., 2009).
Le lesioni osteolitiche derivanti, come detto precedentemente, dalla proliferazione delle plasmacellule maligne nella cavità midollare e dalla secrezione di citochine
sono responsabili del dolore osseo: l’80% dei pazienti
alla diagnosi mostra tali lesioni e il 58% lamenta dolore
osseo (Kyle et al., 2003). Un interessamento osseo, focale
o diffuso è a volte causa, oltre che del dolore, di fratture
patologiche, compressione midollare e ipercalcemia. Nelle
fasi iniziali di malattia tali lesioni sono prevalentemente
localizzate allo scheletro assile (colonna vertebrale, coste,
sterno e bacino) mentre nelle fasi più avanzate possono
coinvolgere anche le ossa lunghe e la volta cranica. All’esame radiologico le lesioni osteolitiche hanno il classico
613
614
Ca pito lo 15 M ielo m a m u lt ip lo
aspetto a stampo, rotondeggianti e con margini netti in
assenza di reazione periostale (Castoldi e Liso, 2007).
Le infezioni rappresentano la prima causa di morte in
pazienti affetti da mieloma multiplo e il 20% dei pazienti
ne è affetto già nelle prime fasi della patologia. Il rischio
infettivo è aumentato in pazienti con malattia attiva, però
diminuisce progressivamente con l’ottenimento della risposta terapeutica (Nucci e Anaissie, 2009). Ad aumentare
la suscettibilità alle infezioni di questi pazienti concorrono il deficit di immunoglobuline policlonali e dunque
funzionanti indotto dalla retro-inibizione mediata dalle
immunoglobuline monoclonali, la presenza di un deficit
immunitario correlato alle chemioterapie immunosoppressive e la neutropenia indotta dalla ridotta produzione
midollare (Castoldi e Liso, 2007); si verifica così un deficit
immunitario sia umorale sia cellulare. Broncopolmoniti
batteriche e infezioni da herpes zoster sono particolarmente frequenti.
La sindrome da iperviscosità (5-10% dei pazienti affetti da
MM) si può sviluppare in pazienti con alti livelli sierici di
paraproteina in particolare nel mieloma IgA, IgG1 e IgG3;
questi pazienti presentano livelli di viscosità plasmatica
aumentati e i sintomi si manifestano generalmente quando
la viscosità ematica supera i 4 o 5 mPa; ciò accade di norma
quando i valori di IgM superano i 30 g/L, quelli di IgA i
40 g/L e quelli di IgG i 60 g/L (Metha e Singhal, 2003). I
sintomi includono cefalea, vertigini, parestesie, sonnolenza fino al coma, epistassi, sintomi emorragici, alterazioni
della vista e dispnea secondaria a insufficienza cardiaca.
L’ipercalcemia acuta si manifesta con un quadro dominato
dall’alterazione del sistema nervoso centrale, in particolare
nelle sue funzioni superiori con alterazione dello stato di
coscienza, confusione sino al coma, debolezza muscolare,
costipazione, sete, poliuria e conseguente disidratazione,
accorciamento dell’intervallo QT e insufficienza renale
acuta. In tali pazienti è necessario instaurare un trattamento precoce volto sia a eliminare o attenuare la causa
sottostante, sia a ridurre i livelli di calcemia plasmatici per
minimizzare il danno renale.
Eterogenee ma relativamente frequenti sono le manifestazioni neurologiche in pazienti affetti da MM. Dolori neuropatici e deficit sensoriali/motori secondari a compressione
radicolare rappresentano la principale causa di manifestazioni neurologiche, alla comparsa dei crolli vertebrali possono conseguire compressioni spinali associate a fenomeni di
paraplegia, emiplegia o sintomatologia radicolare, disturbi
del sensorio sino al coma intervengono in pazienti con
sindrome da iperviscosità (Castoldi e Liso, 2007).
La compressione del midollo spinale si verifica nel 5%
dei pazienti a causa di foci extramidollari della malattia
(Kyle, 1975). La sintomatologia varia a seconda dell’estensione e della sede della compressione e della sua entità.
Comunemente può comprendere ipoestesia e anestesia nel
dermatomero corrispondente alla compressione, parestesie, difficoltà alla deambulazione e perdita del controllo
sfinteriale.
In tutti i pazienti con diagnosi di MM devono essere eseguiti alcuni esami per permettere una corretta e uniforme
stadiazione e per seguire l’andamento della malattia.
I test di laboratorio comprendono:
●●
●●
●●
●●
emocromo completo con formula leucocitaria, conta
piastrinica e striscio periferico. Circa il 50% dei pazienti
presenta alla diagnosi un valore di Hb <10 g/dL e l’anemia è generalmente normocromica e normocitica;
dosaggio di uremia, creatinina ed elettroliti sierici che
consente di compiere una valutazione della funzionalità renale;
livelli di lattico deidrogenasi (LDH) e b2-microglobulina sierica che costituiscono indici della massa tumorale
(sono anche importanti marcatori prognostici);
calcemia e albuminemia plasmatici.
La componente proteica monoclonale (M-protein) deve
essere misurata sia nel siero sia nelle urine. Nel siero viene
eseguita un’analisi quantitativa delle immunoglobuline
(IgG, IgA, IgM), l’elettroforesi delle proteine sieriche
(SPEP) e urinarie (UPEP) sul campione di urine delle 24
ore e l’immunofissazione che permette di determinare la
classe della proteina monoclonale e di individuare minime quantità di proteine monoclonali non rilevabili con
l’elettroforesi.
L’analisi delle catene leggere libere (FLC) sieriche consente
di identificare i casi di pazienti affetti da mieloma multiplo non secernente (immunofissazione sierica e urinaria
negativa) o oligosecernente (mieloma capace di secernere
solo una piccola quantità di proteina M nel siero e/o nelle
urine), così come nei casi di mieloma multiplo micromolecolare. In pazienti in cui la proteina M sia misurabile nelle
urine, il dosaggio delle FLC non può sostituire l’immunofissazione sulle urine delle 24 ore (Rajkumar et al., 2005).
L’esame radiografico dello scheletro permette l’identificazione di lesioni osteolitiche. Altre tecniche radiologiche
possono essere di supporto alla diagnosi di MM e includono la risonanza magnetica nucleare, la tomografia assiale
computerizzata e la tomografia a emissione di positroni,
che sfrutta quale radionuclide il fluorodesossiglucosio
marcato con 18F (18F-FDG) (PET) integrata con la tomografia computerizzata (PET/TC) (PET/TC scan). La RM e
la PET/TC hanno maggiore sensibilità diagnostica rispetto
all’esame radiografico tradizionale. Sono dunque indicate
in tutti quei pazienti in cui la Rx sistematica scheletrica risulti negativa, ma in presenza di sintomatologia comunque
sospetta per localizzazione di malattia. La RM dello scheletro assiale è inoltre utile nella valutazione della natura
e dell’estensione del tessuto patologico che origina dalle
lesioni ossee, nella rilevazione di lesioni asintomatiche,
nello studio dettagliato di aree scheletriche sede di dolore e nel sospetto di compressone midollare. In aggiunta,
l’esecuzione della RM è indicata in pazienti con mieloma
multiplo non secernente per la valutazione iniziale del
quadro clinico e durante il follow-up per valutare la risposta al trattamento. Il ruolo della PET/TC, invece, è tutt’ora
da chiarire: è infatti una tecnica dotata di elevata sensibilità
e specificità nell’identificazione della presenza di lesioni
ossee mielomatose e/o di un coinvolgimento midollare
alla diagnosi. Può quindi essere utilizzata per differenziare
un quadro di MGUS, in cui l’esame risulterà negativo, o
per identificare masse di tessuto patologico extraosseo e/o
infezioni (Dimopoulos et al., 2009).
Ca pi to l o 1 5 M i eloma multi plo
La valutazione dell’infiltrazione midollare da parte della
cellule neoplastiche prevede l’esecuzione di una biopsia
midollare e di un aspirato midollare che permettano di
confermare la presenza delle plasmacellule monoclonali.
In presenza di un sospetto plasmacitoma è necessario prelevare un campione bioptico del tessuto sede di lesione per
confermarne la diagnosi. Il fenotipo delle plasmacellule è
identificato mediante esame citofluorimetrico (flow cytometry) e/o tecnica immunoistochimica, su sezioni di materiale
prelevato tramite biopsia, per confermare la presenza di
plasmacellule monoclonali e per meglio quantificare il
coinvolgimento midollare.
Tabella 15.1 Classificazione del mieloma multiplo
secondo Durie e Salmon
Stadio
Tutti i seguenti:
Hb >10 g/dL
Calcemia normale
Struttura ossea
normale o lesione
litica solitaria
Bassa produzione
di componente M
IgG <5 g/dL
IgA <3 g/dL
BJ <4 g/24 ore
I
Lo studio del midollo osseo alla diagnosi deve includere
l’analisi cromosomica tramite FISH. Allo stato attuale delle
conoscenze dunque, lo studio FISH deve includere la ricerca
delle traslocazioni t(4;14), t(14;16), t(11;14), la delezione
17p13, la delezione del cromosoma 13 ed eventualmente
l’amplificazione del cromosoma 1 (Raja et al., 2010).
II
III
STADIAZIONE E PROGNOSI
L’impiego di parametri laboratoristico-strumentali direttamente influenzati dall’entità dell’infiltrato tumorale ha
consentito a Durie e Salmon di proporre, circa 35 anni fa, un
sistema di stadiazione a cui ancora oggi si fa riferimento per
confrontare i risultati dei protocolli terapeutici (Tab. 15.1)
(Durie e Salmon, 1975).
<0,5  1012/m2
0,5-1,2  1012/m2
Uno o più
dei seguenti:
>1,2  1012/m2
Hb <10 g/dL
Calcemia >12 mg%
Lesioni litiche multiple
Elevata produzione
di componente M
IgG >7 g/dL
IgA >5 g/dL
BJ >12 g/24 ore
Tabella 15.35 International staging system (ISS)
I fattori prognostici universalmente accettati sono:
l’International Staging System (ISS): è un modello di
stratificazione molto semplice, potente e riproducibile
che permette di classificare i pazienti in tre classi in base
ai valori di b2-microglobulina e albumina alla diagnosi.
Oltre a essere di facile esecuzione, questa classificazione
tiene in considerazione due diverse caratteristiche del
tumore: la b2-microglobulina sierica riflette la massa
tumorale e la funzionalità renale, mentre i valori di
albumina sono correlati agli effetti dell’interleuchina-6
prodotta dal microambiente midollare osseo a livello
del fegato. Come rappresentato in tabella 15.2, a seconda dei valori di questi due parametri ciascun paziente
viene classificato in uno dei seguenti stadi:
●● stadio I con una sopravvivenza media di 62 mesi;
●● stadio II con una sopravvivenza media di 44 mesi;
●● stadio III con una sopravvivenza media di 29 mesi
(Greipp et al., 2005);
Nessuno dei criteri
dello stadio I e III
N. cellule
A o B (A: funzionalità renale normale, creatinina <2 mg/dL, azotemia <30 mg%;
B: funzionalità renale alterata).
Modificata da: Durie BG, Salmon SE. A clinical staging system for multiple myeloma. Correlation of measured myeloma cell mass with presenting clinical features,
response to treatment, and survival. Cancer 1975;36(3):842-854.
Sebbene dal punto di vista istologico vi sia una certa omogeneità, l’andamento clinico del MM è abbastanza eterogeneo: alcuni pazienti hanno una malattia che si presenta
da subito estremamente aggressiva, con una sopravvivenza
di pochi mesi nonostante le terapie, mentre altri pazienti
possono vivere per più di 10 anni riuscendo a controllare
la malattia per lunghi periodi. Questo aspetto ha spinto i
ricercatori a valutare marcatori prognostici che potessero
predire la sopravvivenza e di conseguenza stratificare i
pazienti al momento della diagnosi in gruppi con differente prognosi. Occorre ricordare che tali fattori sono stati
individuati prima dell’avvento dei nuovi farmaci e appare
quindi chiaro come siano necessari nuovi studi per confermarne la validità o identificare altri marcatori più adatti
alle nuove terapie.
●●
Parametri
Stadio
Criteri
mOS (mesi)
I
b2-microglobulina
<3,5 mg/L
albumina ≥3,5 mg/L
62
II
Pazienti in stadio non I 44
e non III*
III
b2-microglobulina
≥5,5 mg/L
29
mOS: mediana di sopravvivenza. (*) Due categorie: b2-microglobulina
<3,5 mg/L ma albumina <3,5 mg/L; b2-microglobulina 3,5-5,5 mg/L indipendentemente dal valore di albumina.
Modificata da: Greipp PR, San Miguel J, Durie BG et al. International staging system
for multiple myeloma. J Clin Oncol 2005;23:3412-3420.
●●
le anomalie cromosomiche hanno dimostrato di avere
un impatto sulla sopravvivenza dei pazienti con MM.
Una prognosi peggiore è stata riscontrata nei pazienti
con presenza di una traslocazione coinvolgente i geni
della catena pesante delle immunoglobuline t(4;14),
t(14;16), t(14;20) con delezione del 17p13 o delezione
del 13. Al contrario, una prognosi migliore è stata osservata in presenza di t(11;14), t(6;14) o di iperdiploidia
(Avet-Loiseau et al., 2007; Gertz et al., 2005; Zhan et
al., 2006).
615
616
Ca pito lo 15 M ielo m a m u lt ip lo
Risultati preliminari sembrano mostrare come i nuovi
farmaci quali il bortezomib e la lenalidomide possono
superare la cattiva prognosi legata alla delezione del
cromosoma 13 e alla traslocazione t(4:14). L’impatto
negativo di queste alterazioni cromosomiche sull’andamento clinico non sembra essere modificato dalla
chemioterapia intensiva con autotrapianto (Gertz et
al., 2005). Le indagini di gene expression profiling hanno
migliorato la stratificazione dei pazienti e la stadiazione
prognostica, ma non sono ancora da considerare esami
di routine (Carrasco et al., 2006; Shaughnessy et al.,
2007). Altri parametri che si associano a una prognosi
peggiore sono costituiti da un indice di proliferazione
delle plasmacellule maggiore del 3%, il riscontro di
cellule con morfologia plasmoblastica, gli alti livelli di
LDH e un alterato rapporto delle catene leggere (Fonseca
e San Miguel, 2007; Fonseca et al., 2009).
In tutti i pazienti con una nuova diagnosi di MM è quindi
utile ricercare le traslocazioni t(4;14) e t(14;16), la delezione del 17p13, e la misurazione di b2-microglobulina e
dell’albumina per meglio definire la prognosi. Da segnalare che al momento non esiste una terapia basata sui fattori
di rischio (Stewart et al., 2007).
TERAPIA
SCELTA TERAPEUTICA
Un concetto cardine nella scelta della terapia nei pazienti
con discrasie plasmacellulari è l’evidenza che iniziare un
trattamento chemioterapico in pazienti con MM asintomatico non determina un aumento della sopravvivenza rispetto all’iniziare il trattamento al momento della comparsa
dei sintomi o del danno di organo. I pazienti con MM
sintomatico devono essere invece trattati immediatamente
e lo schema terapeutico deve essere scelto basandosi sulle
caratteristiche del paziente (per esempio, età e presenza di
comorbilità) e sulle attuali evidenze scientifiche.
I pazienti con meno di 65 anni e senza comorbilità rilevanti in anamnesi sono candidati a una chemioterapia ad
alte dosi con supporto di cellule staminali autologhe. Studi
randomizzati hanno infatti mostrato come vi sia una maggiore percentuale di risposte e una più lunga sopravvivenza
nei pazienti trattati con chemioterapia ad alte dosi rispetto
ai pazienti trattati con chemioterapia convenzionale (Bensiger, 2008). Nonostante in molti Paesi europei il cut-off di
età per considerare un paziente eleggibile al trapianto sia
65 anni, l’età biologica e quella cronologica non sempre
sono equivalenti: pertanto l’eleggibilità dovrebbe essere
valutata soprattutto sulla base dell’età biologica. Gli altri
fattori, oltre l’età, che si devono prendere in considerazione
sono il performance status e le comorbilità: funzionalità cardiaca (elettrocardiogramma ed ecocardiogramma
normali, New York Heart Association [NYHA] di classe I/
II) funzione polmonare normale (Rx torace, spirometria
e capacità di diffusione normale), funzionalità epatica e
renale normale.
Per tale motivo l’opzione del trapianto può essere considerata efficace e sicura anche per pazienti fino a 70 anni
in condizioni cliniche tali da poter tollerare il trapianto di
cellule staminali (Kumar et al., 2008a).
Il trapianto di cellule staminali con un regime di condizionamento a intensità ridotta (melfalan 100 mg/m2
anziché 200 mg/m2) dovrebbe essere preso in considerazione nei pazienti con età compresa tra 65 e 75 anni
in condizioni cliniche ottimali o nei pazienti con età
inferiore a 65 anni con comorbilità che controindicano
il trapianto a dosi standard (Palumbo e Anderson, 2011).
Il trapianto è preceduto da una terapia di induzione: pertanto, farmaci altamente tossici nei confronti delle cellule
staminali, come le nitrosouree e gli alchilanti (per esempio, il melfalan), andrebbero evitati prima della raccolta
delle cellule staminali, poiché potrebbero danneggiare
le riserve midollari.
Il trattamento standard nei pazienti non candidabili al
trapianto è attualmente rappresentato dalla chemioterapia
standard (melfalan + prednisone-MP) in associazione ai
nuovi farmaci (talidomide o bortezomib: MPV, MPT), il
cui impiego è stato correlato con un significativo aumento della sopravvivenza libera da eventi (EFS) e della sopravvivenza globale (OS) nonché un miglioramento della
qualità di vita dei pazienti. Numerosi studi negli ultimi
anni e altri ancora in corso valutano l’efficacia di nuove
associazioni chemioterapiche che comprendono uno o
più nuovi farmaci. La risposta alle terapie fa riferimento ai
criteri elaborati dall’International Myeloma Working Group
(IMWG) (Tab. 15.33) (Durie et al., 2006).
La figura 15.1 e le tabelle 15.4-15.7 riassumono i regimi
di chemioterapia attualmente utilizzati, rispettivamente
nei pazienti giovani e nei pazienti anziani o non candidabili al trapianto e le risposte ottenute nei diversi studi
clinici.
Pazienti con MM (nuova diagnosi)
Pazienti candidabili
al trapianto
Pazienti
non candidabili
al trapianto
• VD +
• VD (3-6 cicli)
• MPT (6-12 cicli)
• VD (8 cicli)
• ciclofosfamide
• Lenalidomide
(4 cicli)
• VMP (9 cicli)
• Rd (sino
a progressione)
• doxorubicina
• talidomide
• lenalidomide
• MPR-R (9 cicli +
mantenimento
con lenalidomide)
ASCT
Mantenimento con lenalidomide
o talidomide sino
a progressione/intolleranza
FIG. 15.1 Algoritmo terapeutico nei pazienti con nuova diagnosi di mieloma
multiplo. ASCT: trapianto autologo di cellule staminali; MM: mieloma
multiplo; MPR-R: melfalan, prednisone, lenalidomide più lenalidomide in
mantenimento; MPT: melfalan, prednisone, talidomide; Rd: lenalidomide,
desametasone a basso dosaggio; VD: bortezomib, desametasone; VMP:
melfalan, prednisone, bortezomib. Modificata da: Palumbo A, Anderson K.
Multiple Myeloma. Engl J Med 2011;364:1046-1060.
Ca pi to l o 1 5 M i eloma multi plo
Tabella 15.3 Criteri di risposta alla terapia elaborati dall’IMWG
Criteri di valutazione
CR (remissione completa) Immunofissazione negativa, scomparsa dell’eventuale plasmacitoma, ≤5% di plasmacellule a livello midollare
sCR (stringent CR)
Ai criteri delle CR vanno aggiunti: rapporto catene leggere nella norma, assenza di plasmacellule clonali a livello
midollare (in immunoistochimica e immunofluorescenza)
VGPR (very good partial
remission)
Proteina monoclonale riscontrabile all’immunofissazione ma non all’elettroforesi oppure riduzione della proteina
monoclonale sierica ≥90% e livelli di proteina monoclonale urinaria <100 mg/24 ore
PR (remissione parziale)
≥50% di riduzione della proteina monoclonale sierica e riduzioni delle proteine monoclonali urinarie ≥90% o <200
mg/24 ore oppure, se i livelli di proteina monoclonale nel siero e nelle urine non siano misurabili, riduzione ≥50%
nella differenza tra i livelli di catene leggere coinvolte e non coinvolte oppure, se non sono misurabili né la proteina
monoclonale né le catene leggere libere nel siero, è richiesta una riduzione ≥50% dell’infiltrato plasmacellulare.
In presenza di plasmacitoma è necessaria una riduzione ≥50% del tessuto del plasmacitoma
SD (stable disease)
Non soddisfa i criteri per CR, VGPR, PR, PD
PD (malattia
in progressione)
Aumento ≥25% dei seguenti parametri: componente monoclonale sierica o urinaria, differenza tra i livelli di catene
leggere coinvolte e non coinvolte, percentuale delle plasmacellule midollari. Sviluppo di nuove lesioni ossee
o peggioramento di quelle presenti oppure plasmacitoma, ipercalcemia
Recidiva clinica
Sviluppo di nuovo plasmacitoma tissutale o comparsa di nuove lesioni ossee, incremento dimensionale del noto
plasmacitoma o delle lesioni ossee, inteso come aumento di almeno il 50% (e almeno 1 cm) delle dimensioni,
ipercalcemia, riduzione Hb di almeno 2 g/dL, incremento creatinina >2 mg/dL
Recidiva da CR
Ricomparsa della proteina M nel siero e/o nelle urine all’immunofissazione o elettroforesi, comparsa >5%
di plasmacellule nel midollo osseo, comparsa di qualsiasi altro segno di progressione (nuovo plasmacitoma,
lesioni ossee, ipercalcemia)
Modificata da: Durie BG, Harousseau JL, Miguel JS et al. International uniform response criteria for multiple myeloma. Leukemia 2006;20:1467-1473.
TERAPIA DI PRIMA LINEA NEI PAZIENTI GIOVANI
Terapie di induzione
La terapia ad alte dosi seguita da supporto di cellule staminali emopoietiche è ancora considerata il trattamento
standard secondo i risultati di numerosi studi clinici randomizzati, i quali hanno dimostrato un vantaggio in termini
di sopravvivenza rispetto alla chemioterapia convenzionale
(Attal et al., 1996).
L’obiettivo della terapia di induzione consiste nell’arrestare la crescita tumorale e la progressione del danno di
organo associato. A tal fine, si ricerca la massima riduzione della massa tumorale, poiché la risposta che precede l’ASCT è correlata alla sopravvivenza post-trapianto
(Kim et al., 2009). Pazienti affetti da MM sintomatico e
candidabili al trapianto con cellule staminali emopoietiche vengono solitamente trattati con 4 cicli di terapia
di induzione (Stewart et al., 2009); negli anni Novanta,
il regime VAD era considerato lo standard: il tasso di risposte parziali (PR) al VAD variava fra il 55% e il 60% e
solo un piccolo numero di pazienti (fra il 3% e il 13%)
otteneva remissioni complete (CR) (Alexanian et al.,
1990). Lo studio ha poi dimostrato come la risposta dopo
induzione al VAD non avesse alcun impatto sui risultati
ottenuti dopo il trapianto.
Recentemente i nuovi farmaci sono stati incorporati negli
schemi di induzione pretrapianto allo scopo di migliorare
le risposte, in particolare le quote di CR che si traducono
in un aumento di risposte anche post-trapianto. Di seguito
vengono illustrati alcuni dei principali studi.
Terapie a base di talidomide
La talidomide, usata negli anni Sessanta come sedativo
ipnotico, negli ultimi anni è stata impiegata nella terapia
di alcune patologie neoplastiche, in particolare il MM.
L’uso di talidomide come terapia di induzione è stato
indagato inizialmente in combinazione con il solo desametasone (TD): tale regime si è dimostrato superiore
allo standard VAD e all’uso del desametasone da solo
in termini di “PR rate” (risposte superiori alla PR), ma
non di CR, comprese in un range del 4-10% (Cavo et al.,
2005; Rajkumar et al., 2009) (si veda tabella 15.4). Uno
studio recente ha dimostrato l’efficacia del TD incorporato nello schema doppio autotrapianto in termini di
un maggior numero di CR, VGPR, un allungamento del
tempo alla progressione (TTP), e un prolungamento della
PFS rispetto a coloro i quali avevano effettuato un regime
di induzione secondo schema VAD seguito da doppio autotrapianto di cellule staminali emopoietiche autologhe
(ASCT) (Cavo et al., 2009).
Il gruppo di studio olandese (Stichting Hemato-oncologie
voor Volwassenen Nederland [HOVON]) ha invece confrontato 2 bracci diversi di induzione, il primo con talidomidedoxorubicina-desametasone (TAD), il secondo con VAD,
seguiti entrambi da alte dosi di melfalan. I pazienti venivano poi ulteriormente randomizzati a ricevere mantenimento con interferone-a (braccio A) e talidomide (braccio
B). La talidomide ha permesso di ottenere un significativo
incremento di “PR rate” rispetto al braccio VAD sia prima
sia dopo il trapianto, riportando le seguenti risposte: ≥PR:
617
618
Ca pito lo 15 M ielo m a m u lt ip lo
Tabella 15.4 Schemi terapeutici di induzione e risultati attesi nei pazienti giovani
Induzione
Regimi e dosi
Risposte
Sopravvivenza
Autore
VAD
•• VCR: 0,4 mg giorni 1-4
•• Dox: 9 mg/m2 giorni 1-4
•• Dex: 40 mg giorni 1-4, 9-12, 17-20 per 3-4 cicli
da 4 settimane
CR: 2%
≥VGPR: 15-24%
≥PR: 54-71%
PFS: 90% a 12 mesi
OS: 95% a 12 mesi
Cavo et al., 2005;
Harousseau et al.,
2010
TD
•• Thal: 200 mg/die
•• Dex: 40 mg giorni 1-4, 9-12, 17-20; o 40 mg/die per 4
giorni ogni settimana per i primi 2 mesi, poi 1 volta al
mese per 2 mesi per 3-4 cicli da 3-4 settimane
CR: 4-10%
≥VGPR: 30-43%
≥PR: 63-76%
PFS/TTP: 61% a 4 anni
OS: 69% a 5 anni
Cavo et al., 2005;
Rajkumar et al.,
2009; Cavo et al.,
2009
TAD
•• Thal: 200-400 mg nei giorni 1-28
•• Dox: 9 mg/m2 giorni 1-4
•• Dex: 40 mg giorni 1-4, 9-12, 17-20 per 3 cicli da
4 settimane
CR: 4%
≥VGPR: 33%
≥PR: 77%
TTP: 22,6 mesi
OS: NA
Lokhorst et al., 2008;
Lokhorst et al., 2010
CTD
•• Ctx: 500 mg/sett os
•• Thal: 100 mg/die o 200 mg/die
•• Dex 40 mg/die giorni 1-4 e 12-15 os per 6 cicli da
3 settimane
CR: 13%
≥VGPR: 43%
≥PR: 82%
OS: NR
PFS mediana: 34 mesi
Morgan et al., 2012
VD
•• Bor: 1,3 mg/m2 giorni 1, 4, 8, 11
•• Dex: 40 mg giorni 1-4, 9-12 cicli 1-2; giorni 1-4 cicli 3-4
per 4 cicli da 4 settimane
CR: 15%
≥VGPR: 39%
≥PR: 82%
PFS mediana: 36 mesi
OS: 81% a 3 anni
Harousseau et al.,
2010
VTD
•• Bor: 1,3 mg/m2 giorni 1, 4, 8, 11
•• Thal: 200 mg/die
•• Dex: 40 mg giorni 1-2, 4-5, 8-9, 11-12 per 6 cicli da
3 settimane
CR: 35%
≥VGPR: 60%
≥PR: 85%
PFS mediana: 56 mesi
OS: 74% a 4 anni
Rosinol et al., 2012
VCD
•• Bor: 1,3 mg/m2 giorni 1,4,8,11
•• Ctx: 900 mg/mq
•• Dex: 40 mg giorni 1-4, 9-12 cicli 1-2; giorni 1-4 cicli 3-4
per 3 cicli da 3 settimane
CR: 12,5%
PR rate: 84%
PFS: NA
OS: NA
Knop et al., 2009
PAD
•• Bor: 1,3 mg/m2 giorni 1, 4, 8, 11
•• Dox: 9 mg/m2 giorni 1-4
•• Dex: 40 mg giorni 1-4, 9-12, 17-20 per 3 cicli da
4 settimane
CR: 7%
≥VGPR: 42%
≥PR: 78%
PFS mediana: 35 mesi
OS: 61% a 5 anni
Sonneveld et al.,
2010
RD/Rd
•• Len: 25 mg giorni 1-21; Dex: 40 mg giorni 1-4, 9-12,
17-20 ogni 28 giorni
•• Len: 25 mg giorni 1-21; Dex: 40 mg giorni 1, 8, 15, 22
ogni 28 giorni
≥VGPR: 50% vs 40%
≥PR: 79% vs 68%
PFS: 19,1 vs 25,3 mesi
OS: 75% vs 87% a 2
anni
Rajkumar et al., 2010
Bor: bortezomib; CR: risposta completa; CTD: ciclofosfamide-talidomide-desametasone; Dex: desametasone; Dox: doxorubicina; Ctx: ciclofosfamide; Len: lenalidomide; NA:
non disponibile; NR: non registrato; OS: sopravvivenza globale; PAD: bortezomib-doxorubicina-desametasone; PFS: sopravvivenza libera da progressione; PR: risposta
parziale; RD: lenalidomide-alte dosi di desametasone; Rd: lenalidomide-basse dosi di desametasone; TAD: talidomide-doxorubicina-desametasone; TD: talidomide-desametasone; Thal: talidomide; TTP: tempo alla progressione; VAD: vincristina-doxorubicina-desametasone; VCD: bortezomib-ciclofosfamide-desametasone; VCR: vincristina;
VD: bortezomib-desametasone; VGPR: very good partial response; VTD: bortezomib-talidomide-desametasone.
84% vs 76% (p = 0,02), ≥VGPR: 54% vs 44% (p = 0,03), EFS
mediana: 34 vs 22 mesi (p <0,001), OS mediana: 73 vs 60
mesi (p = 0,77) (Lokhorst et al., 2008; Lokhorst et al., 2010).
Il “Medical Research Council (MRC) Myeloma IX trial” ha
confrontato invece l’associazione di ciclofosfamide, talidomide e desametasone (CTD) come schema di induzione,
con ciclofosfamide, vincristina, doxorubicina e desametasone (CVAD). Con il regime CTD sono state riportate quote significativamente maggiori di “PR rate” pretrapianto
(82%) e post-trapianto (91%) e CR pretrapianto (13%) e
post-trapianto (50%) rispetto al gruppo CVAD (PR rate:
71% e 90%, CR: 8% e 37%, rispettivamente pretrapianto
e post-trapianto; p = 0,008) (Morgan et al., 2012b).
Dall’analisi di tutti questi studi la combinazione TD appare subottimale, ma l’aggiunta di un altro farmaco che-
mioterapico, come la ciclofosfamide o l’antraciclina, pare
migliorare i risultati ottenuti.
Terapie a base di bortezomib
Il bortezomib è un nuovo farmaco antitumorale largamente utilizzato in numerosi schemi di induzione che
agisce inibendo un complesso multicatalitico intracellulare
chiamato proteasoma, responsabile della degradazione dei
prodotti cellulari.
Il gruppo francese di studio del mieloma (Intergroupe Francophone du Myélome, IFM), ha valutato la combinazione
bortezomib-desametasone (VD) in uno studio randomizzato il cui braccio di controllo prevedeva l’utilizzo di VAD,
e ha ottenuto risultati significativamente superiori con il
VD sia per quanto riguarda le risposte post-induzione e
Ca pi to l o 1 5 M i eloma multi plo
Tabella 15.5 Studi principali della terapia a lungo termine con talidomide dopo ASCT
Studio
Terapia di induzione/ASCT
Schema di mantenimento
PFS/EFS
Sopravvivenza
Autore
T2
•• Induzione: chemioterapia vs
chemioterapia + talidomide
•• Doppio ASCT
•• Consolidamento:
chemioterapia vs
chemioterapia + talidomide
IFN + talidomide (100 mg/die
il I anno, 50 mg a giorni alterni
dal II anno in poi)
NA
NA
Barlogie et al.,
2008
IFM 99-02
Doppio ASCT
No mantenimento vs pamidronato
vs pamidronato
+ talidomide (50-400 mg/die)
NA
NA
Attal et al., 2006
MRC IX trial
Pazienti giovani:
CTD vs CVAD → ASCT
Pazienti anziani:
MP vs CTD ridotto
No mantenimento vs talidomide
(50 mg/die aumentati
a 100 mg/die dopo 4 settimane)
HR: 1,36; IC 95%
1,15-1,61; p <0,001
No differenze
(p = 0,40)
Morgan et al.,
2012
ALLG trial
Singolo ASCT
Prednisone vs prednisone +
talidomide (200 mg/die
per 12 mesi)
PFS a 3 anni 23% vs OS: 75% vs 86%
42% (p <0,001)
(p = 0,004)
Spencer et al.,
2009
MY.10 NCIC
ASCT
No mantenimento vs prednisone
+ talidomide 200 mg/die
PFS: 17 vs 28 mesi
(p <0,0001)
OS a 4 anni 60%
vs 68%
Stewart et al.,
2010
HOVON 50
VAD vs TAD
→ ASCT
IFN-α vs talidomide 50 mg/die
PFS: 25 vs 34 mesi
(p <0,001)
OS: 60 vs 73 mesi
(p = 0,77)
Lokhorst et al.,
2010
CTD: ciclofosfamide-talidomide-desametasone; CVAD: ciclofosfamide-vincristina-adriamicina-desametasone; EFS: sopravvivenza libera da eventi; HR: hazard ratio;
IC: intervallo di confidenza; IFN: interferone; MP: melfalan-prednisone; NA: non disponibile; OS: sopravvivenza globale; PFS: sopravvivenza libera da progressione;
TAD: talidomide-doxorubicina-desametasone; VAD: vincristina-doxorubicina-desametasone.
Tabella 15.6 Studi principali con lenalidomide come terapia continuativa (sia nel giovane sia nel paziente
non candidabile ad ASCT)
Studio
Regimi e dosi
Risposte
Sopravvivenza
Autore
RD/Rd
Len: 25 mg giorni 1-21; Dex: 40 mg giorni 1-4, 9-12, 17-20
ogni 28 giorni
Len: 25 mg giorni 1-21; Dex: 40 mg giorni 1, 8, 15, 22
ogni 28 giorni
≥VGPR: 50% vs 40%
≥PR: 79% vs 68%
PFS: 19,1 vs 25,3 mesi
OS: 75% vs 87% a 2
anni
Rajkumar et al., 2010
MPR-R
MPR 9 cicli in induzione, Len: 10 mg/die giorni 1-21
o placebo fino a progressione
≥PR: 77%
CR: 16%
PFS: 55% a 2 anni
Palumbo et al.,
2010b
IFM 2005-02
Consolidamento post-ASCT con Len: 25 mg/die per 21
giorni per 2 mesi seguito da mantenimento con Len
da 1 mg/die a 15 mg/die per 21 giorni vs placebo fino
a recidiva
NA
PFS: 42 mesi
OS: 81% a 4 anni dalla
diagnosi
Attal et al., 2010
CALGB
100104
Mantenimento post-ASCT con lenalidomide da
10 mg/die a 15 mg/die dopo 3 mesi fino a progressione
di malattia
NA
PFS: 42,3 mesi
11 deceduti
Mc Carthy et al.,
2011
PAD-MEL
100 RP-R
PAD in induzione- doppio trapianto (MEL 100)
seguito da consolidamento Len 25 mg/die per 21
giorni + prednisone 50 mg a giorni alterni seguito
da mantenimento Len 10 mg/die per 21 giorni
fino a ricaduta di malattia
>VGPR 82% (dopo
LP-L)
CR: 66%
PFS: 69% a 2 anni
OS: 86% a 2 anni
Palumbo et al.,
2010c
MM-09
Len 25 mg/die per 21 giorni + desametasone 40 mg g
1-4, 9-12, 17-20 per i primi 4 cicli poi solo giorni 1-4 vs
placebo + desametasone fino a progressione di malattia
>PR 61%
CR: 14%
TTP: 11 mesi
OS: 29 mesi
Weber et al., 2007
MM-010
Len 25 mg/die per 21 giorni + desametasone 40 mg g
1-4, 9-12, 17-20 per i primi 4 cicli poi solo giorni 1-4 vs
placebo + desametasone fino a progressione di malattia
>PR 60%
CR: 15%
TTP: 11 mesi
OS: NR
Dimopoulos et al.,
2007
CR: risposta completa; Dex: desametasone; Len: lenalidomide; MPR: melfalan-prednisone-lenalidomide; NA: non disponibile; OS: sopravvivenza globale; PAD: bortezomibdoxorubicina-desametasone; PFS: sopravvivenza libera da progressione; PR: risposta parziale; TTP: tempo alla progressione; VGPR: very good partial response.
619
620
Ca pito lo 15 M ielo m a m u lt ip lo
Tabella 15.7 Attuali regimi terapeutici e risultati nei pazienti anziani o nei giovani non eleggibili al trapianto autologo
Trattamento
Regimi e dosi
Risposte
Sopravvivenza
Autore
MP
Mel: 0,25 mg/kg giorni 1-7; Pdn: 2 mg/kg giorni 1-4
per 12 cicli da 6 settimane
o
Mel: 0,25 mg/kg giorni 1-4; Pdn: 2 mg/kg giorni 1-4
per 9 cicli da 28 o 42 giorni
CR: 1-2%
≥PR: 41-50%
PFS/TTP: 45-48% a 24 mesi
OS: 63-70% a 24 mesi
Facon et al., 2007;
Ludwig et al., 2009
MPT
Mel: 0,25 mg/kg giorni 1-4; Pdn: 2 mg/kg giorni 1-4;
Thal: 100-400 mg/die per 12 cicli da 6 settimane
o
Mel: 4 mg/m2 giorni 1-7; Pdn: 40 mg/m2 giorni 1-7
per 6 cicli da 4 settimane; Thal: 100 mg/die fino
a ricaduta o PD
o
Mel: 0,25 mg/kg giorni 1-4; Pdn: 1 mg/kg giorni 1-5;
Thal: 200 mg/die per 8 cicli da 4 settimane seguiti
da Thal: 50 mg/die fino a PD
CR: 2-16%
≥PR: 42-76%
PFS/TTP: 50% a 14-28 mesi
OS: 50% a 28-52 mesi
Palumbo et al., 2006;
Palumbo et al., 2008;
Facon et al., 2007; Hulin
et al., 2009; Wijermans
et al., 2010; Waage et al.,
2010
TD
Thal: 200 mg/die; Dex: 40 mg giorni 1-4, 15-18
per 9 cicli da 28 giorni
CR: 2%
≥PR: 68%
PFS/TTP: 41% a 24 mesi
OS: 61% a 24 mesi
Ludwig et al., 2009
VMP
Mel: 9 mg/m2 giorni 1-4; Pdn: 60 mg/m2 giorni 1-4;
CR: 22-30%
Bor: 1,3 mg/m2 giorni 1, 4, 8, 11, 22, 25, 29, 32
≥PR: 71-82%
per i primi 4 cicli da 6 settimane; giorni 1, 8, 15, 22
per i successivi 5 cicli da 6 settimane o Bor: 1,3 mg/m2
giorni 1, 4, 8, 11, 22, 25, 29, 32 per il primo ciclo
da 6 settimane; giorni 1, 8, 15, 22 per i successivi 5 cicli
da 6 settimane
PFS/TTP: 50-72% a 24 mesi
OS: 72-87% a 36 mesi
San Miguel et al., 2008;
Mateos et al., 2010
VTP
T: 100 mg/die; P: 60 mg/m2 giorni 1-4; V: 1,3 mg/m2
CR: 27%
2 volte/sett (giorni 1, 4, 8, 11, 22, 25, 29 e 32) per un
≥PR: 79%
ciclo da 6 settimane, seguite da 1/sett (giorni 1, 8, 15 e
22) per 5 cicli da 5 settimane
PFS/TTP: 61% a 24 mesi
OS: 84% a 24 mesi
Mateos et al., 2010
CTD
C: 500 mg giorni 1, 8, 15; T: 100-200 mg/die; D: 40 mg
giorni 1-4, 12-15 in un ciclo da 3 settimane
CR: 23%
≥PR: 82%
PFS/TTP: ND
OS: ND
Morgan et al., 2012
VMPT
M: 9 mg/m2 giorni 1-4; P: 60 mg/m2 giorni 1-4; V: 1,3
mg/m2 giorni 1, 8, 15, 22; T: 50 mg giorni 1-42
per 9 cicli da 5 settimane seguiti da Bor: 1,3 mg/m2
ogni 15 giorni e T: 50 mg/die come mantenimento
CR: 38%
≥PR: 89%
PFS/TTP: 60% a 36 mesi
OS: 88% a 36 mesi
Palumbo et al., 2010a
MPR
Mel: 0,18-0,25 mg/kg giorni 1-4; Pdn: 2 mg/kg giorni
1-4 per 9 cicli da 4 settimane; Len: 5-10 mg/die giorni
1-21 fino a ricaduta o PD
CR: 18%
≥PR: 45%
PFS/TTP: 55% a 24 mesi
OS: 92% a 12 mesi
Palumbo et al., 2010b
Rd
R: 25 mg/die giorni 1-21; d: 40 mg giorni 1, 8, 15, 22
in un ciclo da 4 settimane
CR: ND
≥PR: 70%
PFS/TTP: ND
OS: 87% a 24 mesi
Rajkumar et al., 2010
Bor: bortezomib; CR: risposta completa; Dex: desametasone; Dox: doxorubicina; EFS: sopravvivenza libera da eventi; Len: lenalidomide; Mel: melfalan; Mel100: melfalan
100 mg/m2; MP: melfalan-prednisone; MPR: melfalan-prednisone-lenalidomide; MPT: melfalan-prednisone-talidomide; NA: non disponibile; OS: sopravvivenza globale;
PAD: bortezomib-doxorubicina-desametasone; Pdn: prednisone; PFS: sopravvivenza libera da progressione; PLD: doxorubicina peghilata liposomiale; PR: risposta parziale;
R: lenalidomide; Rd: lenalidomide-basse dosi di desametasone; RD: lenalidomide-alte dosi di desametasone; RP: lenalidomide-prednisone; TAD: talidomide-doxorubicinadesametasone; TD: talidomide-desametasone; T: talidomide; Thal: talidomide; TTP: tempo alla progressione; VAD: vincristina-doxorubicina-desametasone; VCR: vincristina;
VD: bortezomib-desametasone; VGPR: very good partial response; VMP: bortezomib-melfalan-prednisone; VTD: bortezomib-talidomide-desametasone.
post-trapianto sia per la PFS e la OS a 3 anni (si veda tabella 15.37) (Harousseau et al., 2010). Attualmente sono
in corso numerosi studi in cui il bortezomib è integrato
in schemi a base di tre farmaci: l’Italian Myeloma Network
(Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto, GIMEMA) ha condotto un confronto fra le combinazioni
bortezomib-talidomide-desametasone (VTD) e TD somministrati prima e dopo il doppio autotrapianto: i recenti
risultati indicano una superiorità in termini di CR + nCR,
CR + VGPR e di PFS nei pazienti trattati con VTD rispetto
al TD (Cavo et al., 2010) (si veda tabella 15.4).
Uno studio di fase III condotto dal gruppo di studio spagnolo sul mieloma (Programa Para El Estudio y la Terapèutica
de las Hemopatìas Malignas y Grupo Espanol de Mieloma,
PETHEMA/GEM) ha confrontato le risposte ottenute dopo induzione con VTD con quelle ottenute dopo TD o
VBMCP/VBAD (vincristina, carmustina, melfalan, ciclofosfamide; prednisone/vincristina, carmustina, doxorubicina
e desametasone) seguiti da 2 cicli di bortezomib, e ha così
dimostrato un maggior numero di CR post-induzione nel
gruppo VTD (35%) rispetto a VBCP/VBAD (21%) e TD
(14%) (p = 0,0001) (Rosinol et al., 2012).
Lo schema VTD è stato valutato anche nell’ambito della
Total Therapy 3 (TT3) dal gruppo americano di Arkansas.
In questo studio il VTD è stato associato come terapia di
induzione a un regime polichemioterapico in infusione
Ca pi to l o 1 5 M i eloma multi plo
continua (cisplatino, doxorubicina, ciclofosfamide e etoposide, PACE). Nel post-trapianto i pazienti ricevevano
successivo mantenimento con VTD o bortezomib, lenalidomide e desametasone (VRD). I risultati ottenuti sono
incoraggianti: con un follow-up mediano di 39 mesi, la EFS
a 4 mesi era del 71% e la OS a 4 anni del 78% (Barlogie
et al., 2008a).
In aggiunta a questi studi, il French Myeloma Group ha presentato i risultati di un trial che dimostra la superiorità
della combinazione vTD nei confronti di quella contenente
bortezomib/desametasone (VD); un ulteriore dato interessante emerso dallo studio è che l’utilizzo di una dose
inferiore di bortezomib (v: 1 mg/m2), paragonata alle dosi
precedentemente utilizzate nello studio del regime VTD
(V: 1,3 mg/m2), è in grado di ridurre l’incidenza di neuropatia periferica, con tassi di CR + VGPR post-induzione e
post-trapianto significativamente maggiori nel braccio vTD
rispetto al braccio VD (Moreau et al., 2011).
Lo studio di fase III del gruppo HOVON e dei GermanSpeaking Myeloma Multicenter Group (GMMG), paragona
l’induzione con bortezomib, doxorubicina e desametasone
(PAD) con lo standard VAD, con successivo mantenimento
post-trapianto con talidomide per i pazienti braccio VAD
e bortezomib per i pazienti braccio PAD. I risultati mostrano risposte migliori in termini di CR, ≥VGPR e ≥PR
nel gruppo di pazienti trattato con il regime di induzione
PAD rispetto al VAD (36% vs 24%, p <0,001; 76% vs 56%,
p <0,001; 90% vs 83%, p = 0,002) (Sonneveld et al., 2010;
Sonneveld et al., 2012).
Infine, è in corso uno studio di fase II/III del gruppo tedesco del mieloma (Deutsche Studienngruppe Multiples Myelom,
DSMM) che sta analizzando l’associazione bortezomibciclofosfamide-desametasone (VCD) come terapia di induzione: risultati preliminari ottenuti su 200 pazienti (PR
rate: 84%, CR: 12,5%, mortalità correlata alla terapia: 1%)
hanno confermato l’efficacia di tale schema terapeutico
già dimostrata in precedenti trial sia nei pazienti di nuova
diagnosi sia nei pazienti ricaduti/refrattari (Davies et al.,
2007; Reeder et al., 2009; Knop et al., 2009).
Per ottimizzare il trattamento di induzione e migliorare la
tollerabilità e la compliance è stata recentemente valutata
la combinazione di bortezomib, lenalidomide e desametasone (VRD) sostituendo la talidomide con la lenalidomide:
il disegno dello studio prevedeva che dopo almeno 4 cicli
di terapia i pazienti che ottenevano perlomeno una PR
erano avviati ad autotrapianto, altrimenti procedevano con
lo schema VRD per 8 cicli totali seguiti da mantenimento.
In particolare, il 42% dei pazienti ha potuto eseguire il
trapianto autologo, i risultati ottenuti in termini di “PR
rate”, risposte ≥VGPR e ≥CR/nCR sono stati del 100%,
57% e 21% rispettivamente dopo solo 4 cicli di induzione
(Richardson et al., 2010).
Al fine di migliorare ulteriormente la prognosi dei pazienti
affetti da MM, sono state sperimentate anche associazioni
farmacologiche costituite da quattro farmaci (bortezomib,
talidomide, desametasone con o senza ciclofosfamide;
bortezomib, lenalidomide, desametasone con o senza ciclofosfamide) (Kumar et al., 2012). Tuttavia, l’introduzione
di un quarto farmaco in questo studio non ha dimostrato
una maggiore efficacia, ma una maggiore tossicità.
Terapie a base di lenalidomide
La lenalidomide è un analogo della talidomide e i risultati iniziali sembrano indicare che sia più efficace e con
un diverso profilo di tossicità, in particolare una minore
neuropatia periferica rispetto alla molecola capostipite.
Un esteso studio di fase III del gruppo Eastern Cooperative Oncology (ECOG) ha confrontato la lenalidomide in
combinazione con due diverse dosi di desametasone nei
pazienti alla diagnosi. Il primo braccio della randomizzazione prevedeva lenalidomide 25 mg nei giorni 1-21
con alte dosi di desametasone (40 mg nei giorni 1-4, 9-12
e 17-20 ogni 28 giorni [RD]) il secondo braccio invece
lenalidomide con basse dosi di desametasone (40 mg nei
giorni 1, 8, 15 e 22 ogni 28 giorni [Rd]). Nonostante un
più elevato tasso di risposte nei pazienti trattati con RD
(PR rate 79% vs 68%, p = 0,008; ≥VGPR 42% vs 24%, p =
0,008), la PFS mediana e la OS a 1 e a 2 anni sono risultate
significativamente superiori nel gruppo Rd: PFS 25,3 vs
19,1 mesi, p = 0,026 e OS a 2 anni 87% vs 75%, p = 0,0002
rispettivamente nei gruppi Rd e RD (Rajkumar et al., 2010).
Una Landmark analysis a 4 mesi ha valutato la OS a 3 anni
in tre sottogruppi di pazienti: 4 mesi di terapia con schema
Rd nel primo gruppo (OS: 55%), 4 mesi di terapia con Rd
seguito da trapianto autologo nel secondo (OS: 92%) e Rd
fino a progressione/tossicità nel terzo (OS: 79%). I risultati
di questa analisi suggeriscono l’importanza di proseguire il
trattamento nel tempo o di un’opzione a breve durata ma
seguita da trapianto autologo (Rajkumar et al., 2010). Un
altro studio di fase II esamina la combinazione di lenalidomide con ciclofosfamide e desametasone, riportando i
seguenti risultati: PR rate 80%, ≥VGPR 40%, ≥CR/nCR 2%
(Kumar et al., 2008b). Le combinazioni di lenalidomide
con altri farmaci sono state precedentemente descritte nel
paragrafo relativo al bortezomib.
Ruolo del trapianto autologo
di cellule staminali periferiche
Allo stato attuale, il ASCT, preceduto dalla terapia di induzione con nuovi farmaci, costituisce il gold standard
terapeutico per i pazienti giovani.
La terapia ad alte dosi (HDT), basata solitamente sull’utilizzo di melfalan 200 mg/m2, seguita dalla reinfusione
di cellule staminali periferiche, ha dimostrato un prolungamento di PFS e di OS se paragonata alla terapia standard in numerosi studi randomizzati condotti dai gruppi
francese (IFM) e inglese (MRC) (Attal et al., 1996; Child
et al., 2003). Gli studi americani (SWOG 9321), francesi
(MAG91) e spagnoli (PETHEMA-94) hanno tutti confermato il beneficio del trapianto in termini di risposte e
di EFS, ma i dati su OS sono discordanti (Barlogie et al.,
2006a; Fermand et al., 2005; Bladé et al., 2005). Il ASCT
può essere eseguito sia precocemente, successivamente cioè
alla terapia di induzione, sia alla prima recidiva di malattia.
Tali opzioni sono state vagliate in un trial randomizzato
francese i cui risultati in termini di OS sono equiparabili.
Tuttavia, il ASCT eseguito precocemente sembra associato
621
622
Ca pito lo 15 M ielo m a m u lt ip lo
a una migliore qualità di vita, intesa come tempo trascorso
in assenza di sintomi ed effetti collaterali legati alle terapie
(Fermand et al., 1998). Studi recenti, inoltre, hanno mostrato come una malattia in progressione (PD) in seguito
alla terapia di prima linea non precluda una buona risposta
all’autotrapianto (Hahn et al., 2003; Kumar et al., 2004).
Il ruolo del doppio trapianto autologo (“tandem ASCT”) rimane ancora non del tutto chiarito. Le linee guida JNCCN
(Anderson et al., 2011) raccomandano di raccogliere e
criopreservare sufficienti cellule staminali per l’esecuzione di un doppio ASCT, il quale rappresenta una valida
opzione terapeutica soprattutto per quei pazienti che non
raggiungono una risposta al primo trapianto almeno pari
a una VGPR, entro i 6 mesi del primo ASCT, come dimostrato dal gruppo francese IFM e dal gruppo italiano (Attal
et al., 2003; Cavo et al., 2007). La possibilità di eseguire
un doppio ASCT dopo la terapia di induzione anziché
un solo ASCT è stata vagliata in 5 studi randomizzati: i
risultati differiscono tra loro soprattutto per le difformità
strutturali tra gli studi e sebbene la EFS sia più duratura nei
pazienti sottoposti a trapianto tandem nella maggior parte
degli studi, un beneficio in termini di OS è stato osservato
solo in 2 di essi. Attualmente quindi, l’IMWG (International Myeloma Working Group) suggerisce di considerare il
doppio trapianto per quei pazienti in cui non si ottenga
una risposta almeno pari a una VGPR dopo il primo ASCT.
Inoltre, dosi intermedie di melfalan (da 100 a 140 mg/m2)
seguite dalla reinfusione di cellule staminali periferiche,
rappresentano una valida opzione nei pazienti fra i 65 e
i 70 anni, o pazienti giovani con importanti comorbilità
(Palumbo et al., 2010c; Palumbo et al., 2009).
Il ruolo del trapianto allogenico è discutibile nel MM, a
causa di un’elevata morbilità, soprattutto correlata a GVHD
(graft versus host disease) cronica e mortalità da trapianto
(TRM), oltre alla difficoltà a identificare un donatore compatibile, e ha fino a ora limitato il suo utilizzo, soprattutto
in pazienti di età avanzata, che costituiscono la maggior
parte dei soggetti affetti da MM. Tre studi hanno riportato
una TRM fra il 34% e il 54%, una EFS tra il 22% e il 36% e
una OS fra il 28% e il 44% con un follow-up mediano fra
i 5 e i 7 anni (Barlogie et al., 2006a; Lokhorst et al., 2003;
Hunter et al., 2005). La selezione del paziente idoneo ad
allotrapianto rappresenta il primo passo volto a limitare
le complicanze e a tal proposito vengono utilizzati degli
“score” di comorbilità; la selezione deve inoltre tener presente lo stato di malattia pretrapianto poiché i risultati
sono superiori nei pazienti in prima remissione di malattia rispetto ai pazienti che non hanno raggiunto la CR
e/o recidivati (Maloney et al., 2003; Crawley et al., 2005).
Nello studio di Corradini, l’acquisizione della remissione
molecolare post-trapianto era associata a un basso rischio
di ricaduta e questo dato ha permesso di concludere che
anche lo stato di malattia nella fase post-trapianto è decisivo per mantenere la malattia sotto controllo (Corradini
et al., 2003).
Accanto al trapianto mieloablativo sono stati condotti
numerosi studi che prevedono un condizionamento non
mieloablativo, al fine di ridurre la morbilità indotta dalla
chemioterapia ad alte dosi, pur mantenendo l’effetto graftversus-tumor (graft-versus-myeloma, “GVm”). Per esempio, il
gruppo di Seattle ha utilizzato un approccio sequenziale
con autotrapianto seguito da un allotrapianto a ridotta
intensità T-depleto e con basse dosi TBI (total body irradiation). La TRM al giorno 100 era dello 0%, mentre la OS e la
PFS a 48 mesi erano del 69% e 45% rispettivamente, con
una bassa incidenza di GVHD acuta ma un’alta incidenza
di GVHD cronica (Maloney et al., 2003). Risultati simili
sono riportati in altri studi di fase II, nei quali è dimostrata
una correlazione fra GVHD cronica, remissione completa
di malattia e OS/PFS (Le Blanc et al., 2001; Perez Simon
et al., 2003; Mohty et al., 2004; Gerull et al., 2005). Lo
studio retrospettivo EBMT (Crawley et al., 2005) ha invece
mostrato risultati migliori nei pazienti con minor GVHD
cronica, controllata grazie a T-deplezione delle sacche, ma
ciò era associato a più alte quote di recidive. Questo ha
permesso di concludere come vi sia un’intima correlazione fra GVm e GVHD e che le procedure atte a limitare la
graft possano influenzare negativamente il controllo della
malattia a lungo termine. Per quanto riguarda il trapianto
da donatore non familiare (MUD allo-SCT) numerosi
studi retrospettivi hanno dimostrato una più alta TRM se
comparati a pazienti allotrapiantati da donatore familiare,
per tale motivo c’è un unanime consenso a riservare l’allogenico da MUD solo nel corso di studi clinici controllati
(Shaw et al., 2003).
In uno studio randomizzato il trapianto allogenico è risultato superiore al trapianto autologo (Bruno et al., 2007;
Giaccone et al., 2011). Dopo l’introduzione dei nuovi farmaci, il trapianto allogenico è considerato un’opzione
meno attraente e il suo uso è sconsigliato al di fuori di
protocolli clinici. Rimane da valutare in studi randomizzati il suo impiego, in associazione ai nuovi farmaci, nei
pazienti ad altissimo rischio (per esempio, con delezione
del cromosoma 17).
Consolidamento e mantenimento
La fase di consolidamento (solitamente da 2 a 4 cicli di
una combinazione di farmaci dopo induzione) e il ruolo
del mantenimento (terapia in continuo fino a progressione
di malattia) sono tuttora in fase di sperimentazione. Per
molti anni sono stati utilizzati interferone e/o corticosteroidi come terapia di mantenimento dopo il trapianto
autologo. L’utilizzo è stato poi abbandonato visti i numerosi effetti collaterali e il modesto vantaggio in termini di
sopravvivenza.
L’impiego di nuovi farmaci (in particolare le formulazioni orali di talidomide e lenalidomide) ha rinnovato il
concetto del mantenimento come procedura finalizzata
a prolungare la durata delle risposte ottenute dopo il trapianto: i principali studi e i relativi risultati in cui è stata
utilizzata talidomide di mantenimento dopo ASCT sono
illustrati nella tabella 15.5: il gruppo IFM è stato il primo
a dimostrare che l’utilizzo di talidomide post-ASCT è correlato a un miglioramento delle risposte se confrontato
con l’impiego del solo pamidronato o la sola osservazione
(Attal et al., 2006); il gruppo australiano ha ottenuto risultati simili paragonando la talidomide (somministrata
per 12 mesi) più prednisone (fino a progressione), con il
prednisone da solo (Spencer et al., 2009); tre studi hanno
dimostrato benefici in termini di PFS e OS utilizzando il
Ca pi to l o 1 5 M i eloma multi plo
mantenimento con talidomide (Attal et al., 2006; Spencer
et al., 2009; Barlogie et al., 2008b; Barlogie et al., 2010);
uno studio ha riportato un prolungamento di PFS ma
non di OS in diversi sottogruppi di pazienti con differenti
profili citogenetici (Morgan et al., 2012a).
Dal punto di vista della tossicità, i principali effetti collaterali emersi nei diversi studi sono la neuropatia periferica,
l’astenia e la stipsi. Una delle principali cause di interruzione del trattamento è infatti la neurotossicità, il rischio di
eventi tromboembolici, al contrario, non è risultato particolarmente elevato, diversamente da quanto può verificarsi
durante l’induzione. La principale difficoltà nel paragonare
tutti gli studi è determinata dal fatto che in alcuni la talidomide veniva somministrata già in fase di induzione, in
altri solo durante il mantenimento, dopo induzione con
chemioterapia standard. I dati sembrerebbero pertanto
suggerire che, per minimizzare gli eventi avversi correlati a
un’esposizione prolungata, la terapia con talidomide dopo
induzione potrebbe avere un ruolo soprattutto in termini
di consolidamento, interrompendo il trattamento dopo
ottenimento della massima risposta possibile (Palumbo
e Anderson, 2011; Ludwig et al., 2012).
Il ruolo del bortezomib come terapia di consolidamento/
mantenimento è ancora in fase di definizione. È possibile
che, analogamente alla talidomide, possa avere un ruolo
soprattutto come consolidamento, considerato il fatto che
una sua prolungata somministrazione è gravata dal potenziale rischio di neuropatia periferica. Lo studio GIMEMA
ha dimostrato come la combinazione di bortezomib, talidomide e desametasone (VTD) come consolidamento
migliori le risposte ottenute con il trapianto (il 30,5% dei
pazienti non in CR prima del consolidamento l’hanno poi
successivamente raggiunta dopo consolidamento, rispetto
a un 16,7% del braccio TD, p = 0,030) (Cavo et al., 2012). Il
gruppo Hovon ha analizzato il bortezomib come terapia di
mantenimento ogni 15 giorni dopo il trapianto: i risultati
indicano un miglioramento nelle quote CR dal 31% al 49%
(Sonneveld et al., 2012).
Per quanto riguarda la lenalidomide (si veda tabella 15.6)
il diverso profilo di tossicità, tale da permetterne l’utilizzo
più a lungo rispetto al capostipite, la rende un farmaco
più adatto a una terapia di mantenimento, e ciò ha dato il
via a numerosi studi sul suo impiego in post-trapianto: lo
studio francese di fase III IFM2005-02 ha dimostrato, dopo
un follow-up mediano di 34 mesi dalla randomizzazione e
44 mesi dalla diagnosi, che il consolidamento con lenalidomide migliora la risposta, mentre il mantenimento migliora la PFS (PFS mediana 24 mesi dalla randomizzazione
nel braccio A, mantenimento con placebo, contro i 42
mesi dalla randomizzazione nel braccio B, mantenimento
con lenalidomide, fino a recidiva, HR: 0,5, p <10-8) (Attal
et al., 2010). In uno studio multicentrico di fase III, dopo
un periodo di follow-up mediano di 17,5 mesi dall’ASCT,
i pazienti in terapia continua con lenalidomide hanno
mostrato una PFS mediana significativamente superiore
rispetto al placebo (42,3 vs 21,8 mesi, rispettivamente) e
una riduzione del 60% del rischio di progressione della
malattia o di morte (p <0,0001) (Mc Carthy et al., 2011).
La terapia di mantenimento con lenalidomide è stata ben
tollerata, con tossicità ematologiche maneggevoli, assen-
za di neurotossicità, assenza di incremento del rischio
tromboembolico o infettivo. Tuttavia, è stato osservato un
incremento dell’incidenza di seconde neoplasie primitive.
Sono quindi necessari ulteriori studi per valutare il vero
rischio di tale evento avverso, per comprendere quali siano
i fattori di rischio correlati a esso e per sviluppare strategie
atte a prevenirlo.
TERAPIA ALLA DIAGNOSI
NEL PAZIENTE ANZIANO
O NEL GIOVANE NON ELEGGIBILE
AL TRAPIANTO AUTOLOGO
La terapia standard per pazienti non candidabili ad autotrapianto è stata, per più di trent’anni, la combinazione
melfalan-prednisone (MP). Il tasso di risposte parziali a
tale terapia era di circa il 50% e la mediana di sopravvivenza è di 2-3 anni (Kyle e Rajkumar, 2008).
Nell’ultima decade, l’introduzione dei nuovi farmaci come
talidomide, bortezomib e lenalidomide, variamente combinati con desametasone e MP, ha sostituito l’associazione MP.
Attualmente, la terapia standard in pazienti non candidabili ad ASCT è rappresentata dall’associazione di melfalan
e prednisone con talidomide e bortezomib (MPT/VMP).
TERAPIE A BASE DI TALIDOMIDE
Melfalan, prednisone, talidomide Sei studi randomizzati han-
no dimostrato la superiorità della combinazione melfalanprednisone-talidomide (MPT) nei confronti dello schema
standard MP. Nonostante le differenze tra le dosi e gli
schemi di trattamento, la combinazione MPT ha prodotto
maggiori risposte, con un aumento della PFS. L’impatto
sulla OS è risultato variabile nei diversi studi (Guldbrandsen et al., 2008; Palumbo et al., 2006; Palumbo et al.,
2008; Wijermans et al., 2010) con un significativo prolungamento solo in 2 di questi (Facon et al., 2007; Hulin et al.,
2009). Una recente metanalisi ha integrato i risultati dei 6
studi, includendo così 1.682 pazienti, e ha evidenziato un
incremento della PFS mediana pari a 5,4 mesi e l’aumento
della OS mediana di 6,6 mesi rispetto allo schema MP
(Waage et al., 2010; Fayers et al., 2011).
Gli schemi MPT hanno mostrato una discreta tollerabilità, i più importanti eventi avversi di grado 3-4 erano la
neutropenia (tra il 16% e il 48%), la neuropatia periferica
(tra il 6% e il 20%) e il tromboembolismo venoso (VTE)
(fra il 3% e il 12%). Altri disturbi molto comuni sono
l’astenia, la stipsi e, negli anziani, le aritmie (bradicardia,
in particolare).
I dati emersi da questi 5 trial clinici randomizzati dimostrano come lo schema MPT sia superiore allo schema MP e
quindi sia da considerarsi lo standard di terapia nei pazienti con più di 65 anni o in chi non possa essere sottoposto
ad autotrapianto. Il dosaggio ottimale di talidomide viene
inoltre adattato e bilanciato fra efficacia e tollerabilità; da
quando è stata introdotta, infatti, c’è stato un progressivo
calo dai 400 mg/die ai 50 mg/die dello studio Hovon-50.
623
624
Ca pito lo 15 M ielo m a m u lt ip lo
Attualmente, riassumendo quelli che sono i risultati dei
diversi studi, il dosaggio raccomandato varia tra i 50 e i
100 mg/die.
TERAPIE A BASE DI BORTEZOMIB
Melfalan, prednisone e bortezomib Lo studio Velcade as Initial
Standard Therapy Assessment (VISTA) ha confrontato la combinazione di melfalan-prednisone-bortezomib (VMP) con
lo standard MP e ha confermato la superiorità del primo
rispetto al secondo in termini di risposta (≥ PR: 71% e 35%
rispettivamente, CR: 30% e 4%, p <0,001), di tempo alla progressione (TTP) (mediano: 24 e 16,6 mesi rispettivamente,
p <0,001) e di OS (a 3 anni: 72% e 59% rispettivamente, p
= 0,00329). Gli eventi avversi di grado 3-4 erano maggiori
nel gruppo VMP (53% vs 44%, p = 0,02) con un’incidenza
più elevata nei primi cicli di terapia e nei pazienti con più
di 75 anni rappresentati soprattutto da trombocitopenia,
neutropenia, neuropatia periferica e infezioni (in particolare
la riattivazione dell’herpes zoster virus per cui si raccomanda
sempre un’adeguata profilassi) (San Miguel et al., 2008). Un
recente aggiornamento dello studio VISTA ha confermato i
benefici in termini di OS del VMP (68,5% a 3 anni di followup mediano) rispetto al MP (54,0% a 3 anni di follow-up
mediano) (Delforge et al., 2012).
Bortezomib, talidomide e prednisone Uno studio randomizza-
to ha paragonato il nuovo standard VMP con l’associazione
di bortezomib-talidomide-prednisone (VTP) come terapia
di induzione; seguiti da mantenimento con bortezomibprednisone (VP) nel gruppo VMP e bortezomib-talidomide
(VT) nel gruppo VTP. Le risposte erano simili nei due gruppi:
≥PR nel 79% dei pazienti trattati con VMP e VTP, CR del
22% versus il 27% rispettivamente (p = non significativo).
Dopo un follow-up mediano di 22 mesi non vi erano differenze significative tra i due gruppi di trattamento in termini
di TTP a 2 anni (VMP 75% vs VTP 70%), PFS (VMP 71% vs
VTP 61%) e OS (VMP 81% vs VTP 84%). I pazienti trattati
con VTP presentavano un maggior numero di eventi avversi
non ematologici di grado 3-4, in particolare cardiaci, eventi
tromboembolici e neuropatia periferica e ciò si traduceva
in un numero maggiore di pazienti che usciva dallo studio
per tossicità. Nel gruppo VMP le maggiori tossicità osservate
erano neutropenia, trombocitopenia e infezioni. Durante
la terapia di mantenimento le CR aumentavano dal 25%
(rispetto a quelle ottenute con sola terapia di induzione) al
42% senza significative differenze nei gruppi VT e VP (46%
e 38%) (Mateos et al., 2010).
Bortezomib, talidomide, melfalan e prednisone Dati recenti
di uno studio randomizzato di fase III che ha paragonato
la combinazione di 4 farmaci, MP talidomide e bortezomib (VMPT) seguito da mantenimento con bortezomib e
talidomide, con lo standard VMP, mostrano delle risposte
superiori nel gruppo VMPT: ≥PR (89% vs 81%, p = 0,01),
≥VGPR (59% vs 50%, p = 0,03) e quote di CR (38% vs 24%,
p = 0,0008) nei due gruppi rispettivamente; così come una
PFS a 2 anni superiore nel gruppo VMPT (70% vs 58,2%, p
= 0,008). Le tossicità non erano significativamente diverse
nei due gruppi a eccezione di neutropenie di grado 3-4 e
delle complicanze cardiache riscontrate in maggior misura
nel gruppo VMPT rispetto al VMP (Barlogie et al., 2006b).
Lo studio italiano ha inoltre valutato la possibilità di infusioni a dosaggio ridotto con infusioni di bortezomib settimanali anziché bisettimanali (schema 1,8,15,22 anziché
1,4,8,11) e ciò ha permesso una riduzione della neurotossicità (dal 24% al 6% nel gruppo VMPT e dal 14% al 2% nel
gruppo VMP) senza pregiudicare l’efficacia della terapia (le
CR erano ridotte dal 27% al 20% nel gruppo VMP ma non
nel gruppo VMPT: 36% vs 39%) (Palumbo et al., 2010a).
Nei pazienti di età superiore ai 75 anni o nei giovani con
neuropatia periferica preesistente, l’opzione settimanale
anziché bisettimanale, e l’introduzione della formulazione
sottocute che risulta meno neurotossica permettono di
sfruttare i vantaggi di un trattamento prolungato, senza
peggioramento della tossicità.
TERAPIE A BASE DI LENALIDOMIDE
Lenalidomide e desametasone L’associazione di lenalido-
mide con alte dosi di desametasone (RD) è stata
analizzata in uno studio di fase III e confrontata con il
desametasone da solo: nonostante una maggior quota di
risposte (ORR: 78% vs 48, p <0,001) e un prolungamento
della PFS a un anno (78% vs 52%, p = 0,002) nel gruppo
RD, non vi era differenza significativa nei due gruppi in
termini di OS. I pazienti trattati con RD presentavano
maggiore neutropenia di grado 3-4 (21% vs 5%) ed eventi
tromboembolici nonostante l’adeguata profilassi con
aspirina (23,5 vs 5%, p <0,001) (Zonder et al., 2010).
Come già riportato in precedenza per i pazienti giovani
di nuova diagnosi, la maggiore tossicità correlata al desametasone ha impedito di proseguire con lo schema RD e
ha evidenziato come l’uso prolungato di basse dosi con
Rd fino a progressione o fino a che tollerato possa essere
considerato come una valida opzione nei pazienti anziani
data l’efficacia e la tollerabilità (Rajkumar et al., 2010).
Lenalidomide, melfalan e prednisone (MPR) Nei pazienti
non candidabili al trapianto, l’uso a lungo termine della
lenalidomide riduce il rischio di progressione di malattia
utilizzando un profilo di terapia maneggevole in termini
di tossicità come dimostrato da uno studio randomizzato
di fase III in cui 459 pazienti con nuova diagnosi di MM
di età superiore ai 65 anni venivano randomizzati in un
braccio che riceveva lenalidomide (R) in continuo al dosaggio di 10 mg al giorno dopo induzione con melfalan
(M), prednisone (P), e R (MPR-R), un secondo braccio
che riceveva solo MPR senza successivo mantenimento e
un terzo braccio che riceveva solo MP. I risultati hanno dimostrato che la combinazione MPR-R riduce il rischio di
progressione del 58% rispetto all’associazione MP (hazard
ratio [HR] = 0,423; p <0,001). La PFS è risultata superiore
nei pazienti che ricevevano R in continuo rispetto a dosi
fisse di MP indipendentemente dal sesso, dallo stadio,
dalla funzionalità renale o dal valore alla diagnosi della
b2-microglobulina. Un’analisi “Landmark” che ha poi
paragonato MPR-R con MPR ha dimostrato che il mantenimento con R riduceva il rischio di progressione del
69% rispetto al placebo (HR = 0,314; p <0,001). Indipendentemente poi dalla risposta ottenuta dopo induzione, i
pazienti trattati con R in mantenimento avevano una PFS
prolungata rispetto al gruppo placebo. Il mantenimento
con R è stato inoltre ben tollerato se lo si paragona con
Ca pi to l o 1 5 M i eloma multi plo
il gruppo placebo, con pochi eventi avversi di grado 3-4
e minima tossicità cumulativa, 3% di trombocitopenia
rispetto al 2% del placebo, 2% di neutropenia rispetto
a 0% e 1% di trombosi venosa profonda rispetto a 0%.
Per tali motivi, lo schema MPR seguito da mantenimento
con lenalidomide può essere considerato un nuovo regime standard dei pazienti di età superiore ai 65 anni o nei
giovani non eleggibili al trapianto (Palumbo et al., 2010b).
TERAPIA DEI PAZIENTI
RICADUTI/REFRATTARI
Per MM recidivato si intende la ricomparsa, dopo un periodo di tempo più o meno lungo di remissione, dei segni
e dei sintomi che ne contraddistinguono il quadro clinico,
in tale situazione si rende necessario iniziare tempestivamente una terapia di salvataggio.
Il mieloma refrattario invece è definito come malattia
non responsiva alla terapia di induzione o alla terapia di
salvataggio, o che vada incontro a PD entro i 60 giorni
dall’ultima terapia.
La terapia va iniziata, come per i pazienti alla diagnosi,
quando ricompaiano i segni e i sintomi del danno di organo (criteri CRAB) o anche in presenza del solo raddoppiamento della componente monoclonale nell’arco di 2
mesi; il solo aumento della percentuale di plasmacellule
a livello midollare non giustifica l’inizio della terapia,
così come un lento incremento della componente monoclonale. I fattori prognostici più importanti sono la
qualità e la durata della risposta alla precedente terapia:
se la recidiva avviene dopo 2 anni dall’inizio della prima
linea o dopo 1 anno nei pazienti recidivati/refrattari, si
ritiene opportuno ripetere il medesimo trattamento. In
alternativa, nei pazienti con malattia recidivante, si procede
a intraprendere un nuovo regime di farmaci che permetta
di ottenere buoni risultati in termini sia di risposta sia di
intervallo libero da malattia. I regimi terapeutici più utilizzati prevedono l’uso di corticosteroidi in associazione a
talidomide, lenalidomide o bortezomib. Eventualmente,
al fine di incrementare il tasso di risposta pur tenendo in
considerazione la maggiore tossicità, è possibile aggiungere
una antraciclina alle combinazioni suddette. Inoltre, è da
vagliare l’opzione trapiantologica nei pazienti che hanno
mantenuto una buona risposta nel tempo o in coloro non
precedentemente trattati con le alte dosi (Richardson et
al., 2007a).
Lo studio APEX del 2005 ha condotto all’approvazione
dell’uso del bortezomib in pazienti in recidiva di malattia;
la sola somministrazione di bortezomib ha dimostrato una
superiore efficacia, in termini di PR (38% vs 18%) e OS a 1
anno (80% vs 66%), paragonata alla somministrazione di
alte dosi di desametasone (Richardson et al., 2007b). Un
successivo studio di fase III ha comparato bortezomib con
bortezomib/doxorubicina liposomiale peghilata (PLD) in
pazienti con MM recidivato o refrattario. Un incremento
del TTP (6,5 vs 9,3 mesi), della PFS (6,5 vs 9,0 mesi) e una
maggiore durata della risposta alla terapia (7,0 vs 10,2
mesi) erano riportati nel braccio bortezomib/doxorubicina
liposomiale peghilata (Orlowski et al., 2007).
Due studi di fase III hanno invece comparato l’efficacia
della somministrazione di lenalidomide/desametasone
con alte dosi di desametasone: i tassi di risposta (PR +
CR: 60-61% vs 24-19,9%), il TTP (11,3-11,1 vs 4,7 mesi)
e l’OS (29,6 vs 20,2 mesi) suggeriscono la superiorità del primo gruppo rispetto al secondo, e pertanto la
combinazione Rd è stata approvata per i pazienti con
MM recidivato (Weber et al., 2007; Dimopoulos et al.,
2007). Studi su pazienti trattati con regimi contenenti talidomide o lenalidomide in prima linea e nuovamente trattati con farmaci immunomodulanti (IMiD;
talidomide, lenalidomide, pomalidomide) alla recidiva
hanno mostrato come l’utilizzo di un differente IMiD,
possa comunque indurre una risposta. In particolare,
questo è stato confermato per il più recente farmaco
immunomodulante, pomalidomide, se somministrata
successivamente a talidomide e lenalidomide (Madan
et al., 2010; Madan et al., 2011).
L’efficacia di bortezomib e lenalidomide, inoltre, sembra
essere potenziata dalla concomitante somministrazione di
un terzo agente, come melfalan, ciclofosfamide o doxorubicina: il ricorso a un regime costituito dalla combinazione
di 3 farmaci può quindi essere considerato per aumentare
l’efficacia quando i regimi standard siano esauriti o la
malattia resistente alla terapia (Palumbo et al., 2009; van
de Donk et al., 2010).
CONCLUSIONI
E PROSPETTIVE FUTURE
Se si guarda al disegno degli studi clinici in corso si osserva
un profondo cambiamento rispetto a pochi anni or sono.
Nella maggior parte degli studi, sia per i soggetti giovani
sia per gli anziani, la terapia si divide in blocchi con una
fase di induzione, una di consolidamento e a seguire una di
mantenimento. Gli obiettivi sono di indurre la massima citoriduzione e quindi di consolidare e mantenere nel tempo
le risposte ottenute in modo tale da ritardare la ricomparsa
dei segni e dei sintomi della patologia. Nuovi farmaci con
migliore tolleranza hanno consentito di potenziare la fase
di induzione e di prolungare la fase di consolidamento/
mantenimento. La scelta del miglior trattamento per ogni
singolo paziente deve essere guidata dai risultati degli studi
clinici randomizzati; inoltre, sono da tenere presenti l’età
biologica, le comorbilità e il profilo di tossicità dei diversi
regimi terapeutici.
Continui progressi delle conoscenze sulle basi patogenetiche e molecolari della malattia hanno portato a una
miglior stratificazione prognostica e nuove opportunità
terapeutiche: nuovi inibitori del proteasoma (carfilzomib), nuovi farmaci immunomodulanti (pomalidomide), le cosidette “target therapies” (inibitori del NF-kB,
MAPK e AKT), i farmaci epigenetici (inibitori delle istondeacetilasi vorinostat e panobinostat) e gli anticorpi
monoclonali umanizzati (elotuzumab e siltuximab).
Come integrare questi nuovi trattamenti, in che dosi e
in quale sequenza per ottenere i migliori risultati sarà
il lavoro a cui saranno chiamati i ricercatori clinici nei
prossimi anni.
625
626
Ca pito lo 15 M ielo m a m u lt ip lo
BIBLIOGRAFIA
Alexander DD, Mink PJ, Adami HO et al. Multiple Myeloma: a review of the epidemiologic literature. INT J Cancer 2007;120:40-61.
Alexanian R, Barlogie B, Tucker S. VAD-based regimens as primary treatment for
multiple myeloma. Am J Hematol 1990;33:86-89.
Altekruse SF, Kosary CL, Krapcho M et al. SEER cancer statistics review, 1975-2007.
Bethesda, MD: National Cancer Institute.http://seer.cancer.gov/csr/1975_2007/
index.html.
Anderson KC, Alsina M, Bensinger W et al. Multiple Myeloma Clinical Practice
Guidelines in Oncology. JNCCN 2011;9:1146-1183.
Attal M, Harousseau JL, Stoppa AM et al. A prospective, randomized trial of autologous bone marrow transplantation and chemotherapy in multiple myeloma.
Intergroup Français du Myélome. N Eng J Med 1996;335:91-97.
Attal M, Harousseau JL, Facon T et al. Single versus double autologous stem-cell
transplantation for multiple myeloma. N Engl J Med 2003;349:2495-2502.
Attal M, Harousseau JL, Leyvraz S et al. Maintenance therapy with thalidomide improves survival in patients with multiple myeloma. Blood 2006;108:3289-3294.
Attal M, Lauwers WC, Marit G et al. Maintenance treatment with Lenalidomide
after transplantation for Myeloma: Final analysis of the IFM 2005-02. Blood
2010;116:141 (abstr 310).
Avet-Loiseau H, Facon T, Grosbois B et al. Oncogenesis of multiple myeloma: 14q32
and 13q chromosomal abnormalities are not randomly distributed, but correlate
with natural history, immunological features, and clinical presentation. Blood
2002;99:2185-2191.
Avet-Loiseau H, Attal M, Moreau P et al. Genetic abnormalities and survival in
multiple myeloma: the experience of the Intergroupe Francophone du Myélome.
Blood 2007;109:3489-3428.
Barlogie B, Kyle RA, Anderson KC et al. Standard chemotherapy compared with
high-dose chemotherapy for multiple myeloma: final results of phase III US
Intergroup Trial S9321. J Clin Oncol 2006a;24:929-936.
Barlogie B, Tricot G, Anaissie E et al. Thalidomide and hematopoietic-cell transplantation for multiple myeloma. N Eng J Med 2006b;354:1021-1030.
Barlogie B, Anaissie EJ, Shaughnessy JD et al. Ninety percent sustained complete
response (CR) rate projected 4 years after onset of CR in gene expression profiling
(GEP)-defined low risk multiple myeloma (MM) treated with Total Therapy 3
(TT3): basis for GEP-risk-adpted TT4 and TT5. Blood 2008a;112:66 (abstr 162).
Barlogie B, Pineda-Roman M, van Rhee F et al. Thalidomide arm of Total Therapy
2 improves complete remission duration and survival in myeloma patients with
metaphase cytogenetic abnormalities. Blood 2008b;112:3115-3121.
Barlogie B, Attal M, Crowley J. Long-term follow-up of autotransplantation trials
for multiple myeloma: update of protocols conducted by the Intergroupe Francophone du Myelome, Southwest Oncology Group, and University of Arkansas
for Medica Sciences. J Clin Oncol 2010;28:1209-1214.
Bensinger W. Stem-cell transplantation for multiple myeloma in the era of novel
drugs. J Clin Oncol 2008;26:480-492.
Berenson JR, Anderson KC, Audell RA et al. Monoclonal gammopathy of undetermined significance: a consensus statement. Br J Haematol 2010;150:28-38.
Bergsagel PL, Kuehl WM. Molecular pathogenesis and a consequent classification
of multiple myeloma. J Clin Oncol 2005a;23:6333.
Bergsagel PL, Kuehl WM, Zhan F et al. Cyclin D dysregulation: an early and unifying
pathogenic event in multiple myeloma. Blood 2005b;106:296-303.
Bird JM, Owen RG, D’Sa S et al. Guidelines for diagnosis and menagement of
multiple myeloma 2011. BJH 2011;154:32-75.
Birgegard G, Gascon P, Ludwih H. Evaluation of anemia in patients with multiple
myeloma and lymphoma: findings of the European Cancer Anaemia Survey. Eur
J Haematol 2006;77:378-386.
Bladé J, Rosinol L, Sureda A et al. High-dose therapy intensification compared with
continued standard chemotherapy in multiple myeloma patients responding to
the initial chemotherapy: long-term results from a prospective randomized trial
from the Spanish cooperative group PETHEMA. Blood 2005;106:3755-3759.
Bladé J, Dimopoulos M, Rosiñol L et al. Smoldering (asymptomatic) multiple
myeloma: current diagnostic criteria, new predictors of outcome, and follow-up
recommendations. J Clin Oncol 2010;28(4):690-697. Review.
Bladé J, Fernandez de Larrea C, Rosinol L et al. Soft-Tissue Plasmocytomas in multiple myeloma: Incidence, Mechanism of extramedullary Spred and Treatment
approach. J Clin Oncol 2011;29:3805-3812.
Brenner H, Gondos A, Pulte D. Recent major improvement in long-term survival of
younger patients with multiple myeloma. Blood 2008;111:2521-2526.
Bruno B, Rotta M, Patriarca F et al. A comparison of allografting with auto-grafting
for newly diagnosed myeloma. N Engl J Med 2007;356:1110-1120.
Carrasco DR, Tonon G, Huang Y et al. High-resolution genomic profiles define
distinct clinico-pathogenetic subgroups of multiple myeloma patients. Cancer
Cell 2006; 9:313-325.
Castoldi G, Liso V. Malattie del sangue e degli organi emopoietici. 5a ed. McGrawHill, Milano, 2007.
Cavo M, Zamagni E, Tosi P et al. Superiority of thalidomide and dexamethasone over
vincristine-doxorubicin-dexamethasone (VAD) as primary therapy in preparation
for autologous transplantation for multiple myeloma. Blood 2005;106:35-39.
Cavo M, Tosi P, Zamagni E et al. Prospective, randomized study of single compared
with double autologous stem-cell transplantation for multiple myeloma: Bologna 96 clinical study. J Clin Oncol 2007;25:2434-2441.
Cavo M, Di Raimondon F, Zamagni E et al. Short-term thalidomide incorporated
into double autologous stem-cell transplantation improves outcomes in comparison with double autotransplantation for multiple myeloma. J Clin Oncol
2009;27:5001-5007.
Cavo M, Tacchetti P, Patriarca F, GIMEMA Italian Myeloma Network. Bortezomib
with thalidomide plus dexamethasone compared with thalidomide plus dexamethasone as induction therapy before, and consolidation therapy after, double
autologous stem-cell transplantation in newly diagnosed multiple myeloma: a
randomised phase 3 study. Lancet 2010;376(9758):2075-2085.
Cavo M, Pantani L, Petrucci MT et al. Bortezomib-thalidomide-dexamethasone is
superior to thalidomide-dexamethasone as consolidation therapy after autologous hematopoietic stem cell transplantation in patients with newly diagnosed
multiple myeloma. Blood 2012;120(1):9-19.
Chiecchio L, Dagrada GP, Ibrahim AH et al. Timing of acquisition of deletion
13 in plasma cell dyscrasias is dependent on genetic context. Haematologica
2009;94:1708-1713.
Child JA, Morgan GJ, Davies FE et al. High dose chemotherapy with hematopoietic
stem-cell rescue for multiple myeloma. N Eng J Med 2003;348:1875-1883.
Chng WJ, Glebov O, Bergsagel PL, Kuehl WM. Genetic events in the pathogenesis of
multiple myeloma. Best Pract Res Clin Haematol 2007;20:571-596.
Chng WJ, Fonseca R. Centrosomes and myeloma; aneuploidy and proliferation.
Environ Mol Mutagen 2009;50:697-707.
Corradini P, Cavo M, Lokhorst H et al. Molecular remission after myeloablative
allogenic stem cell transplantation predict a better relapse-free survivalin patients
with multiple myeloma. Blood 2003;102:1927-1929.
Crawley C, Lalancette M, Szydlo R et al. Outcomes for reduced-intensity allogenic
transplantation for multiple myeloma: an analysis of prognostic factors from
tha Chronic Leucemia Working Party of the EBMT. Blood 2005;105:4532-4539.
Davies FE, Wu P, Jenner M et al. The combination of cyclophosphamide, velcade and
dexamethasone induces high responses rate with comparable toxicity to velcade
alone and velcade plus dexamethasone. Haematologica 2007;92:1149-1150.
Delforge M, Dhawan R, Robinson D Jr et al. Health-related quality of life in elderly,
newly diagnosed multiple myeloma patients treated with VMP vs. MP: results
from the VISTA trial. Eur J Haematol 2012;89(1):16-27.
Dimopoulos M, Spencer A, Attal M et al. Lenalidomide plus dexamethasone for
relapsed or refractory multiple myeloma. N Engl J Med 2007;357:2123-2132.
Dimopoulos MA, Kastritis E, Rosinol L et al. Pathogenesis and treatment of renal
failure in multiple myeloma. Leukemia 2008;22:1485-1493.
Dimopoulos M, Terpos E, Comenzo RL et al. International Myeloma Working
Group consensus statement and guidelines regarding the current role of imaging
techniques in the diagnosis and monitoring of multiple myeloma. Leukemia
2009;23:1545-1556.
Dispenzieri A, Katzmann JA, Kyle RA et al. Prevalence and risk of progression of
light-chain monoclonal gammopathy of undetermined significance: a retrospective population-based cohort study. Lancet 2010;375:1721-1728.
Drayson MT, Behrens J, Cohen DR et al. Serum FLC levels can be reduced rapidly;
lower levels are associated with renal recovery. Clinical Lymphoma and Myeloma
2009;9(suppl 1):abstr 35.
Durie BG, Salmon SE. A clinical staging system for multiple myeloma. Correlation
of measured myeloma cell mass with presenting clinical features, response to
treatment, and survival. Cancer 1975;36(3):842-854.
Durie BG, Harousseau JL, Miguel JS et al. International uniform response criteria
for multiple myeloma. Leukemia 2006;20:1467-1473.
Eleutherakis-Papaiakovou V, Bamias A, Gika D et al. Renal failure in multiple
myeloma: incidence, correlations, and prognostic significance. Leuk Lymphoma
2007;48:337-341.
Facon T, Mary JY, Hulin C et al. Melphalan and prednisone plus thalidomide
versus melphalan and prednisone alone or reduced-intensity autologous stem
cell transplantation in elderly patients with multiple myeloma (IFM 99-06): a
randomized trial. Lancet 2007;370:1209-1218.
Fayers PM, Palumbo A, Hulin C et al. Thalidomide for previously untreated elderly
patients with multiple myeloma: meta-analysis of 1685 individual patient data
from 6 randomized clinica trials. Blood 2011;118(5):1239-1247.
Fermand JP, Ravaud P, Chevret S. High-dose therapy and autologous peripheral
blood stem cell transplantation in multiple myeloma: up-front or rescue treatment? Results of a multicenter sequential randomized clinical trial. Blood
1998;92(9):3131-3136.
Fermand JP, Katshaian S, Devine M et al. High-dose therapy and autologous blood
stem-cell transplantation compared with conventional treatment in myeloma
Ca pi to l o 1 5 M i eloma multi plo
patients aged 55 to 64 years: long-term results from a prospective randomized
trial from the Group Myelome-Autogreffe. J Clin Oncol 2005;23:9227-9223.
Fonseca R, San Miguel J. Prognostic factors and staging in multiple myeloma. Hematol Oncol Clin North Am 2007;21:1115-1140.
Fonseca R, Bergsagel PL, Drach J et al. International Myeloma Working Group
molecular classification of multiple myeloma: spotlight review. Leukemia
2009;23:2210-2221.
Gertz MA, Lacy MQ, Dispenzieri A et al. Clinical implications of t(11;14)(q13;q32),
t(4;14)(p16.3;q32), and -17p13 in myeloma patients treated with high dose
therapy. Blood 2005;106:2837-2840.
Gerull S, Goerner M, Benner A et al. Long-term outcome of non-myeloablative
allogenic transplantation in patients with high risk multiple myeloma. Bone
Marrow Transpl 2005;36:963-969.
Giaccone L, Storer B, Patriarca et al. Long term follow up of a comparison af nonmyeloablative allografting with autografting for newly diagnosed myeloma.
Blood 2011;117(24):6721-6727.
Greipp PR, San Miguel J, Durie BG et al. International staging system for multiple
myeloma. J Clin Oncol 2005;23:3412-3420.
Guldbrandsen N, Waage A, Gimsin P et al. A randomised placebo controlled study
with melphalan/prednisone vs melphalan/prednisone/thalidomide: quality of
life and toxicity Haematologica 2008;93:abstr 0209.
Hahn T, Wingard J, Anderson K et al. The role of cytotoxic therapy with ematopoietici stem cell transplantation in the therapy of multiple myeloma: an evidencebased review. Biol Blood Marrow Transpl 2003;9:4-37.
Harousseau JL, Attal M, Avet Loiseau H et al. Bortezomib plus dexamethasone
is superior to vincristine plus doxorubicin plus dexamethasone as induction
treatment prior to autologous stem-cell transplantation in newly diagnosed
multiple myeloma: results of th IFM 2005-01 phase III trial. J Clin Oncol
2010;28(30):4621-4629.
Hideshima T, Anderson KC. Molecular mechanisms of novel therapeutic approaches
for multiple myeloma. Nat Rev Cancer 2002;2:927-937.
Hulin C, Facon T, Rodon P et al. Efficacy of Melphalan and prednisone plus thalidomide in patients older than 75 years with newly diagnosed multiple myeloma:
IFM 01/01 Trial. J Clin Oncol 2009;27:3664-3670.
Hunter HM, Peggs K, Powles R et al. Analysis of outcome following allogenic haemopoietic stem cell transplantation for myeloma using myeloablative conditioning
evidence for a superior outcome using melphalan combined with total body
irradiation. Br J Hematol 2005;128:496-502.
Kim JS, Kim K, Cheong JW et al., Korean Multiple Myeloma Working Party. Complete
remission status before autologous stem cell transplantation is an important
prognostic factor in patients with multiple myeloma undergoing upfront single
autologous transplantation. Biol Blood Marrow Transpl 2009;15(4):463-470.
Knop S, Liebisch P, Wandt H et al. Bortezomib, IV cyclophosphamide, and dexamethasone (VelCD) as induction therapy in newly diagnosed multiple myeloma:
results of an interim analysis of the German DSSM Xia trial [abstract 8516]. J
Clin Oncol 2009;27(suppl 18):437s.
Kristinsson SY, Landgren O, Dickman PW et al. Patterns of survival in multiple
myeloma: a population-based study of patients diagnosed in Sweden from 1973
to 2003. J Clin Oncol 2007;25:1993-1999.
Kuehl WM, Bergsagel PL. Multiple myeloma: evolving genetic events and host
interactions. Nat Rev Cancer 2002;2:175-187.
Kumar S, Lacy MQ, Dispenzieri A et al. High dose therapy and autologous stem
cell transplantation for multiple myeloma poorly responsive to initial therapy.
Bone Marrow Transpl 2004;34:161-167.
Kumar SK, Dingli D, Lacy MQ et al. Autologous stem cell transplantation in patients of 70 years and older with multiple myeloma: results from amatched pair
analysis. Am J Hematol 2008a;83(8):614-617.
Kumar S, Hayman S, Buadi F et al. Phase II trial of lenalidomide (Revlimid) with
cycophosphamide and dexamethasone (RCd) for newly diagnosed multiple
myeloma. Blood 2008b;112:40(abstr 91).
Kumar SK, Rajkumar SV, Dispenzieri A et al. Improved survival in multiple myeloma
and the impact of novel therapies. Blood 2008c;111:2516-2520.
Kumar S, Flinn I, Richardson PG et al. Randomized, multicenter, phase 2 study
(EVOLUTION) of combinations of bortezomib, dexamethasone, cyclophosfamide, and lenalidomide in previously untreated multiple myeloma. Blood
2012;119:4375-4382.
Kyle RA. Multiple myeloma: review of 869 cases. Mayo Clinic Proceedings
1975;50:29-40.
Kyle RA, Gertz MA, Witzig TE et al. Review of 1027 patients with newly diagnosed
multiple myeloma. Mayo Clin Proc 2003;78:21-33.
Kyle RA, Rajkumar SV. Multiple myeloma. N Engl J Med 2004;351:1860-1873.
Kyle RA, Therneau TM, Rajkumar SV et al. Prevalence of monoclonal gammopathy
of undetermined significance. N Engl J Med 2006;354:1362-1369.
Kyle RA, Rajkumar SV. Multiple myeloma Blood 2008;111:2962-2972.
Kyle RA, Kumar S. The significance of monoclonal gammopathy of undetermined
significance. Haematologica 2009a;94:1641-1644.
Kyle RA, Rajkumar SV. Criteria for diagnosis, staging, risk stratification and response
assessment of multiple myeloma. Leukemia 2009b;23:3-9.
Kyle RA, Durie BG, Rajkumar SV et al. Monoclonal gammopathy of undetermined
significance (MGUS) and smoldering (asymptomatic) multiple myeloma: IMWG
consensus perspectives, risk factorsfor progression, and guidelines for monitoring
and management. Leukemia 2010;24:1121-1127.
Kyle RA, Buadi F, Rajkumar SV. Management of monoclonal gammopathy of undetermined significante (MGUS) and smoldering multiple myeloma (SMM).
Oncology 2011;25(7):578-586.
Le Blanc R, Montminy-Metivier S, Belanger R et al. Allogenic transplantation for multiple myeloma: further evidence for a GVHD-associated graft-versus-myeloma
effect. Bone Marrow Transpl 2001;28:841-848.
Lokorst HM, Segeren CM Verdonck et al. Partialli T-cell-depleted allogenic stem
cell transplantation for first-line treatment of multiple myeloma: a prospective
evaluation of patients treated in the phase III study HOVON 24 MM 2003. J
Clin Oncol 2003;21:1728-1733.
Lokhorst HM, Schmidt-Wolf I, Sonneveld P et al. Thalidomide in induction treatment
increases the very good partial response rate before and after high-dose therapy
in previously untreated multiple myeloma. Haematologica 2008;93:124-127.
Lokhorst HM, van der Holt B, Zweegman S et al. A randomized phase 3 study on
the effect of thalidomide combined with adryamicin, dexamethasone and high
dose mephalan, followed by thalidomide maintenance in patients with multiple
myeloma. Blood 2010;115(6):1113-1120.
Ludwig H, Hajek R, Tòthòvà E et al. Thalidomide-dexamethasone compared with
melphalan-prednisone in elderly patients with Multiple Myeloma. Blood
2009;113:3435-3442.
Ludwig H, Durie Brian GM, Mc Carthy P et al. IMWG consensus on maintenance
therapy in multiple myeloma. Blood 2012;119(13):3003-3015.
Madan S, Lacy M, Dispenzieri A et al. Efficacy of retreatment with immunomodulatory compounds in patients receiving initial therapy for newly diagnosed
multiple myeloma. Blood 2010;116:abstr 1964.
Madan S, Lacy MQ, Dispenzieri A et al. Efficacy of retreatment with immunomodulatory drugs(IMiDs) in patients receiving IMiDs for initial therapy of newly
diagnosed multiple myeloma. Blood 2011;118:1763-1765.
Maloney DG, Molina AJ, Sahebi et al. Allografting with nonmyeloablative conditioning following cytoreductive autografts for the treatment of patients with
multiple myeloma. Blood 2003;102:3447-3454.
Mateos MV, Oriol A, Martin-Lopez J et al. Bortezomib, malphalan, and prednisone
versus bortezomib, thalidomide, and prednisone as induction therapy followe
by maintenance treatment with bortezomib and thalidomide verusu bortezomib and prednisone in elderly patients with untreated multipple myeloma: a
randomized trial. Lancet Oncol 2010;11(10):934-941.
Mc Carthy PI, Owzar K, Anderson K et al. Phase III intergroup study of lenalidomide
versus placebo maintenance therapy following single autologous stem cell transplant (ASCT) for multiple myeloma (MM): CALGB ECOG BMT-CTN 100104.
Haematologica 2011;96(suppl 1):23(abstr).
Mehta J, Singhal S. Hyperviscosity syndrome in plasma cell dyscrasias. Semin
Thromb Hemost 2003;29:467-471.
Mohty M, Boiron JM, Damaj G et al. Graft-versus-myeloma effect following antithymocyte globulin-based reduced intensity conditioning allogenic stem cell
transplantation. Bone Marrow Transpl 2004;34:77-84.
Moreau P, Avet-Loiseau H, Facon T et al. Bortezomib plus dexamethasone versus
reduced-dose bortezomib, thalidomide plus dexamethasone as induction treatment before autologous transplantation in newly diagnosed multiple myeloma. Blood 2011;118:5752-5758.
Morgan GJ, Gregory WM, Davies FE et al. The role of maintenance thalidomide
therapy in multiple myeloma: MRC Myeloma IX results and meta-analysis.
Blood 2012a;119(1):7-15.
Morgan GJ, Davies FE, Gregory WM et al. Cyclophosphalmide, thalidomide, and
dexamethasone as induction therapy for newly diagnosed multiple myeloma
patients destined for autologous stem cell transplantation: MRC Myekloma IX
randomized trial results. Hematologica 2012b;97(3):442-450.
Nucci M, Anaissie E. Infections in patients with multiple myeloma in the era of
high-dose therapy and novel agents. Clin Infect Dis 2009;49:1211-1225.
Orlowski RZ, Nagler A, Sonneveld P et al. Randomized Phase III study of Pegylated
Liposomal Doxorubicin Plus Bortezomib Compared With Bortezomib Alone in
Relapsed or Refractory Multiple Myeloma: Combination Therapy Improves Time
to Progression. J Clin Oncol 2007;25:3892-3901.
Palumbo A, Bringhen S, Caravita T et al. Oral melphalan and prednisone chemotherapy plus thalidomide compared with melphalan and prednisone alone in
elderly patients with multiple myeloma: randomised controlled trial. Lancet
2006;367:825-831.
Palumbo A, Bringhen S, Liberati AM et al. Oral Melphalan, prednisone and thalidomide in elderly patients with multiple myeloma: updated results of a randomized
controlled trial. Blood 2008;112:3107-3114.
627
628
Ca pito lo 15 M ielo m a m u lt ip lo
Palumbo A, Sezer O, Kyle R et al. International Myelomas Working group guidelines for the menagement of multiple myeloma patients ineligible for standard
high-dose chemotherapy with autologous stem-cell tranplantation. Leukemia
2009;23:1716-1730.
Palumbo A, Bringhen S, Rossi D et al. Bortezomib, Melphalan, Prednisone and
Thalidomide Followed by Maintenance with Bortezomib and Thalidomide compared with bortezomib-melphalan-prednisone for initial treatment of multiple
myeloma: a randomized controlled trial. J Clin Oncol 2010a;28(34):5101-5109.
Palumbo A, Delforge M, Catalano J et al. A phase III study Evaluating the Efficacy
and safety of lenalidomide combined with Melphalan amd prednisone in patients > 65 years with newly diagnosed multiple myeloma (NDMM): continous
use of lenalidomeide vs fixed-duration Regimens. Blood 2010b;116:abstr 622.
Palumbo A, Gay F, Falco P et al. Bortezomib as induction before autologous transplantation, followed by Lenalidomide as consolidation-maintenance in untreated multiple myeloma patients. J Clin Oncol 2010c;28:800-807.
Palumbo A, Anderson K. Multiple myeloma. N Engl J Med 2011;364(11):10461060. Review.
Perez Simon JA, Martino R, Alegre A et al. Chronic but not acute graft-versus-host
disease improves outcome in multiple myeloma patients after non-myeloablative
allogenic transplantation. Br J of Hematol 2003;121:104-108.
Podar K, Tai YT, Lin BK et al. Vascular endothelial growth factor-induced migration of
multiple myeloma cells is associated with beta 1 integrin- and phosphatidylinositol3-kinase-dependent PKC alpha activation. J Biol Chem 2002;277:7875-7881.
Raja KR, Kovarova L, Hajek R. Review of phenotypic markers used in flow cytometric
analysis of MGUS and MM, and applicability of flow cytometry in other plasma
cell disorders. Br J Haematol 2010;149:334-351.
Rajkumar SV, Kyle RA, Therneau TM et al. Serum free light chain ratio is an independent risk factor for progression in monoclonal gammopathy of undetermined
significance. Blood 2005;106:812-817.
Rajkumar SV, Dispenzieri A, Kyle RA. Monoclonal gammopathy of undetermide
significance, Waldenstrom macroglobulinemia, AL amyloidosis, and related
plasma cell disorders: diagnosis and treatment. Mayo Clin Proc 2006;81:693-703.
Rajkumar SV, Lacy MQ, Kyle RA. Monoclonal gammopathy of undetermined
significance and smoldering multiple myeloma. Blood Rev 2007;21:255-265.
Rajkumar SV, Rosinol L, Hussein M et al. Multicenter, randomized, double-bind,
placebo controlled study of thalidomide plus dexamethasone compared with
dexamethasone as initial therapy for newly diagnosed multiple myeloma. J Clin
Oncol 2009;26:2171-2217.
Rajkumar SV, Jacobus S, Callander NS et al. Lenalidomide plus high-dose dexamethasone versus lenalidomide plus low-dose dexamethasone as initial therapy
for newly diagnosed multiple myeloma: an open-label randomized controlled
trial. Lancet Oncol 2010;11(1):29-37.
Reeder CB, Reece DE, Kukreti V et al. Cyclophosphamide, bortezomib and dexamethasone induction for newly diagnosed multiple myeloma: High response rates
in a phase II clinical trial. Leukemia 2009;23:1337-1341.
Richardson PG, Mitsiades C, Schlossman R et al. The treatment of relapsed and
refractory multiple myeloma. Hematology Am Soc Hematol Educ Program
2007a;2007:317-323.
Richardson PG, Sonneveld P, Schuster M et al. Extended follow-up of a phase 3
trial in relapsed multiple myeloma: final time-to-event results of the APEX trial.
Blood 2007b;110:3557-3560.
Richardson PG, Weller E, Lonial S. Lenalidomide, bortezomib, and dexamethasone
combination therapy in patients with newly diagnosed multiple myeloma. Blood
2010;116(5):679-86.
Roccaro AM, Sacco A, Thompson B et al. MicroRNAs 15a and 16 regulate tumorproliferation in multiple myeloma. Blood 2009;113:6669-6680.
Rosinol L, Oriol A, Teruel AI et al. Superiority of bortezomib, thalidomide, and dexamethasone (VTD) as induction pretransplantation therapy in multiple myeloma:
a randomized phase III PETHEMA/Gem Study. Blood 2012;120(8):1589-1596.
Rotta M, Storer BE, Sahebi F et al. Long term outcome of patients with multiple
myeloma after autologous hemopoietic stem cell transplantation and nonmyeloablative allografting. Blood 2009;113:3383-3391.
San Miguel JF, Shlag R, Khuageva NK et al. Bortezomib plus melphalan and prednisone for initial treatment of multiple myeloma. N Enf J Med 2008;359:906-917.
Shapiro-Shelef M, Calame K. Regulation of plasma-cell development. Nat Rev
Immunol 2005;5:230-242.
Shaughnessy JD Jr, Zhan F, Burington BE et al. A validated gene expression model
of high-risk multiple myeloma is defined by deregulated expression of genes
mapping to chromosome 1. Blood 2007;109:2276-2284.
Shaw BE, Peggs K, Bird JM et al. The outcome of unrelated donor stem cell transplantation for patients with multiple myeloma. Br J Hematol 2003;123:886-895.
Sonneveld P, van der Holt B, Schmidt-Wolf IGH et al. HOVON-65/GMMG-HD4
randomized phase III trial comparing bortezomib, doxorubicin, dexamethasone
(PAD) vs VAD as followed by high dose melphalan (HDM) and maintenance
with bortezomib or thalidomide in patients with newly diagnosed multiple
myeloma (MM). Blood 2010;116:40(abstr).
Sonneveld P, van der Holt B, Schmidt-Wolf IGH et al. Bortezomib Induction and
maintenance treatment in patients with newly diagnosed multiple myeloma:
Results of the randomized Phase III HOVON-65/GMMG-HD4 Trial. J Clin Oncol
2012;30(24):2946-2955.
Spencer A, Prince HM, Roberts AW et al. Consolidation therapy with low-dose thalidomide and prednisone prolongs the survival of multiple myeloma patients
undergoing a single autologous stem-cell transplantation procedure. J Clin
Oncol 2009;27:1788-1793.
Stewart AK, Bergsagel PL, Greipp PR et al. A practical guide to defining high-risk
myeloma for clinical trials, patient counseling and choice of therapy. Leukemia
2007;21:529-534.
Stewart AK, Richardson PG, San-Miguel JF. How I treat multiple myeloma in younger
patients. Blood 2009;114:5436-5443.
Stewart AK, Trudel S, Bahlis NJ et al. A randomized Phase III trial of thalidomide
and prednisone as maintenance therapy following autologous stem cell transplantation (ASCT) in patients with multiple myeloma (MM): the NCIC CTG
MY.10 trial. Blood 2010;116:39.
Tarte K, Zhan F, De Vos J et al. Gene expression profiling of plasma cells and plasmablasts: toward a better understanding of the late stages of B-cell differentiation.
Blood 2003;102:592-600.
van de Donk NW, Wittebol S, Minnema MC, Lokhorst HM. Lenalidomide (Revlimid)combined with continuous oral cyclophosphamide (Endoxan) and
prednisone(REP) is effective in lenalidomide/dexamethasone-refractory myeloma. Br J Haematol 2010;148:335-337.
Waage A, Gimsing P, Fayers P et al. Melphalan and prednisone plus thalidomide or
placebo in elderly patients with multiple myeloma. Blood 2010;116:1405-1412.
Weber DM, Chen C, Niesvizky R et al. Lenalidomide plus dexamethasone for relapsed multiple myeloma in North America. N Engl J Med 2007;357:2133-2142.
Wijermans P, Schaafsma M, Termoshuizen F et al. Phase III study of the value of thalidomide added to melphalan plus prednisone in elderly patients with newly diagnosed multiple myeloma: the HOVON 49 study. J Clin Oncol 2010;28:3160-3166.
Zhan F, Huang Y, Colla S et al. The molecular classification of multiple myeloma.
Blood 2006;108:2020-2028.
Zonder JA, Crowley J, Hussein MA et al. Lenalidomide and High-dose Dexamethasone
Compared with dexamethasone as initial therapy for multiple myeloma: a randomized Southwest oncology Group trial (S0232). Blood 2010;116(26):5838-5841.
Scarica

15 - Mieloma multiplo