Stone painting
Vista e tatto. Suggestione per gli occhi e delizia per la pelle. È questa l’alchimia senza
tempo del mosaico, tecnica millenaria che sa trasformare la durezza scabra del vetro e
del marmo in disegno, decoro, rivestimento versatile come una trama tessile che appaga lo sguardo e invita al tocco, alla
carezza. E non è tutto. Perché questa specialissima forma di “pittura di pietra” (così secondo il Ghirlandaio), «capace di “reggere all’acqua
et ai venti et al sole per l’eternità sua…”, come scriveva il Vasari nelle sue “Vite” alla metà del ’500, non è apprezzata solo per la sua resistenza agli agenti atmosferici, ma anche per la possibilità di essere creata sur place, per la sua attitudine ad adagiarsi su superfici lisce o
accidentate, orizzontali o verticali. Tutte qualità che fanno del mosaico una materia creativa antica e al tempo stesso modernissima». Lo afferma con cognizione di causa Enrico Fantin, quarta generazione della Fantini Marmi e Mosaici di Milano, nome storico nel panorama della
decorazione musiva e lapidea che dal 1900 – data di fondazione dell’azienda da parte di Domenico Fantini – firma pavimenti e rivestimenti
d’arte in tutto il mondo. Una passione di famiglia, quella per le pietre, selezionate ed estratte nei cinque continenti e lavorate con tecniche
che riducono i tempi di posa e migliorano il risultato finale: sono travertini, alabastri, graniti, basalti dai nomi e dai colori suggestivi, i verdi
Ming e Issogne, i rosa del Portogallo, i rossi Levanto, i neri Hunan della Cina, che i Fantini mettono in opera alla veneziana, alla genovese,
in cocciopesto (pavimentazione ottenuta mescolando residui di coppi, mattoni e schegge di pietra, levigati e poi lucidati con olio di lino) o
in pastellone, altra tecnica che parte da una miscela di polveri di marmo e graniglie, stesa e poi lisciata. Sono tutti materiali apparentemente
freddi, rigidi, severi, che nelle mani dei Fantini (originari di Barcis, nel Carso, non lontano da Spilimbergo, una delle capitali internazionali
Partendo dalla
forma pura
del cerchio, ecco
“Space”: una
fioriera che,
con elementi
aggiuntivi,
diventa una
seduta. Dotata
di luci interne
e pensata in
plastica lucida
effetto
metallizzato,
vuol essere
il punto focale
dello spazio
circostante.
Una tecnica decorativa dal carattere
cosmopolita e versatile. Antica e
al tempo stesso modernissima.
Che Giorgio Vasari descriveva come
capace di «reggere all’acqua et ai
venti et al sole per l’eternità sua»
del mosaico) si trasformano in tappeti e drappeggi morbidi, quasi sensuali, che possono avvolgere ogni architettura piana, concava o convessa. Basti citare, scegliendo nell’archivio di famiglia, dallo stemma meneghino che campeggia sotto la cupola della Galleria Vittorio Emanuele ai rivestimenti dei negozi di Etro, Gucci, Louis Vuitton e Versace sparsi da Milano a New York; dalle parti comuni del grand hotel
The Manor a Nuova Delhi ai motivi floreali per la grande moschea di Abu Dhabi, di cui il team Fantini sta curando le pavimentazioni e le
decorazioni parietali in pietra e mosaico, alternativa incorruttibile all’arazzo e all’affresco. Accanto alle composizioni in marmo, ci sono le
decorazioni a tessere in vetro (e in resina trasparente), che riprendono una tradizione diffusa soprattutto nel periodo ellenistico in tutto il
Mediterraneo e poi tornata in auge durante la Belle Epoque, sull’onda dell’estetica visiva del frammento cara all’Impressionismo, alla Secessione e al Futurismo. «I nostri mosaici in pasta di vetro sono realizzati con materiali artigianali che arrivano dalle fornaci di Murano:
hanno una scala di colori pressoché infinita, che comprende anche smalti opachi e pellicole metalliche», spiega Enrico Fantin (la “i” finale
è «una tessera del cognome persa negli anni», chiosa lui). «Sono vetri speciali, fatti per durare, da utilizzare per vetrate, pannelli divisori, rivestimenti, docce, piscine e pavimenti». Oltre che della materia prima, la bellezza del mosaico vitreo è frutto dell’abilità di chi
lo posa: «Le angolazioni e le superfici leggermente diverse di ogni pezzo aiutano la luce a riflettersi in tutte le direzioni, rendendo più
suggestivo l’effetto cromatico». Nascono così i corridoi solcati da spirali dinamiche create da migliaia di tesserine di vetro, le pareti
con mandala stilizzati o semplici segni portafortuna che richiamano l’Astrattismo e il Déco e ricordano l’antesignano di tutti i mosaici, l’asarotos oikos (letteralmente “stanza non spazzata”), citato da Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis historia”: un mosaico dalla
funzione scaramantica, che rappresentava degli avanzi di cibo lasciati a terra per garantirsi la protezione degli spiriti della casa. A.B.
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