LA
DIMENSIONE SOCIALE DELLA VALUTAZIONE DEL PERSONALE COME
FORMA DI ASCOLTO ORGANIZZATIVO E OCCASIONE DI DIALOGO.
RISVOLTI GESTIONALI NELL’ESPERIENZA DELL’ATENEO BOLOGNESE.1
1.
2.
3.
4.
5.
Il contesto di riferimento.
I passaggi operativi verso il nuovo modello progettato.
I rivolti in tema di dialogo, ascolto e sviluppo professionale.
I risvolti sul piano dell’equità e del benessere lavorativo.
Osservazioni conclusive.
1. Il contesto di riferimento.
Questa è la sintesi di un intervento di cambiamento organizzativo, centrato sull'
introduzione di un nuovo modello di valutazione delle persone e dei loro comportamenti lavorativi nell'
università di Bologna. L'
intera struttura dell'
intervento è stata progettata cercando di garantire la coerenza con un modello di gestione che ha posto tra i suoi valori
di riferimento il benessere delle persone e dell'
organizzazione, introducendo forme di
ascolto organizzativo e occasioni strutturate di dialogo.
Brevemente si ricorda che questo approccio è stato possibile anche grazie al mutato
clima culturale che sta caratterizzando negli ultimi anni la Pubblica Amministrazione
(P.A.) italiana ed il suo modo di rapportarsi al cambiamento. Da questo punto di vista il
contesto universitario è nuovo al confronto con alcuni oggetti della riforma del pubblico
impiego, come nel caso della valutazione del proprio personale tecnico amministrativo.
Oggetti che sulla base delle indicazioni contrattuali, ha messo molte Amministrazione
nelle condizioni di interpretare e poi tradurre quanto prospettato a livello centrale, facendo in tal modo emergere un versante del cambiamento organizzativo di tipo locale.
Questo ha consentito di mettere a fuoco il contesto specifico entro cui gli oggetti vengono tradotti, traslati e resi concreti mantenendo sullo sfondo quello generale a cui fare
riferimento (Battistelli, 2002).
D’altra parte, tale situazione appare coerente con quel bipolarismo del sistema contrattuale molto ben evidenziato da Ricciardi (Ricciardi, 2002). Il bipolarismo del sistema
contrattuale può essere considerato una scelta del legislatore, strumentale alla riuscita
della riforma della pubblica amministrazione. Come è noto, la storia sindacale del settore pubblico negli ultimi trent'
anni è stata caratterizzata, come del resto quella delle relazioni industriali in senso stretto, da un accentuato pendolarismo tra assetti centralizzati e
assetti invece a forte decentramento. La scelta del d.lgs. n. 29/1993, ma soprattutto del
d.lgs. n. 396/1997, è invece caratterizzata dall'
intenzione di mantenere un maggiore e1
Michele Menna, Dirigente U.D., Sviluppo risorse umane, Università di Bologna; Carlotta Pizzo, Responsabile Servizio Organizzazione e Sviluppo prof.le, Università di Bologna; Sara Zaniboni, dottoranda,
Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università di Bologna.
Il presente lavoro si avvale del contributo svolto a differenti livelli da: Ines Fabbro, Direttore Amministrativo, Marco Depolo, professore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Guido Gambetta, Pro Rettore per la riforma del sistema di gestione, Barbara Di Placido, Responsabile del Servizio formazione, Elisabetta Zanette, Elena Bacchetti, Monica Sarchielli, Simona Magi collaboratori del Servizio Organizzazione e Sviluppo prof.le.
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quilibrio tra relazioni sindacali centralizzate e decentrate. Da un lato, la contrattazione
nazionale è considerata necessaria per mantenere il negoziato sindacale all'
interno degli
equilibri e dei vincoli macroeconomici generali, equilibri fissati, in base al protocollo
del 23 luglio 1993, dalla concertazione sociale. Inoltre, la contrattazione nazionale è ritenuta necessaria per mantenere un tessuto di diritti e doveri omogeneo in tutto il Paese,
e per far penetrare in modo uniforme l'
innovazione per via contrattuali. La contrattazione integrativa a livello di ente, dal canto suo, è considerata necessaria per adeguare le
norme generali alla specificità dell'
organizzazione del lavoro e della gestione del personale, che quasi sempre è diversificata tra le diverse amministrazioni, e talvolta è differente anche nelle articolazioni interne della stessa amministrazione.
Come scrive Bonaretti nell'
introduzione a La valutazione e la retribuzione delle prestazioni. Esperienze e materiali (Della Rocca, 2001):
"La gestione del personale è stata una delle aree di maggiore innovazione
nell’ambito dei tentativi di riforma dell’Amministrazione Pubblica condotti negli ultimi venti anni nei paesi occidentali. […] Ma la scelta, che ha caratterizzato in modo
più omogeneo le politiche di innovazione nella gestione delle risorse umane dei diversi Paesi, è parsa quella della revisione della struttura retributiva, attraverso
l’introduzione di voci salariali flessibili e di modalità di carriera collegate alla valutazione delle prestazioni dei lavoratori."
In altre parole, le riforme hanno stimolato la P.A. a porsi il problema di dedicare risorse
al miglioramento delle sue capacità di valutazione delle persone.
I primi rilevanti segnali sono legati alle novità contrattuali e nello specifico, per quanto
riguarda le amministrazioni universitarie, il Contratto del quadriennio 1998/2001 è stato
il primo contratto nazionale che ha sancito una rottura di tipo culturale/gestionale per
quanto concerne i rapporti di lavoro di pubblico impiego. In particolare prevedendo
l’introduzione di due importanti momenti valutativi ovvero la valutazione della qualità
delle prestazioni e la valutazione dei risultati che rivestono un ruolo primario.
La valutazione ha quindi iniziato ad acquisire la funzione di leva mirata a rafforzare e
consolidare le politiche di gestione, sviluppo e valorizzazione delle risorse umane. Inoltre, l’introduzione del sistema di classificazione del personale tecnico-amministrativo
basato su quattro categorie (B, C, D ed EP) contraddistinte ciascuna da differenti gradi
di autonomia e responsabilità e all’interno delle quali si articolano diverse aree vede
proprio nella progressione economica orizzontale (all’interno di ciascuna categoria, dato
che sono previste differenti posizioni economiche - es. B1, B2, B3, B4, ecc.) e nella
progressione verticale (tra categorie), l’opportunità di contemplare appieno dimensioni
opportunamente e coerentemente valutate, legate alla qualità del lavoro e alla professionalità di ciascuno.
Più nel dettaglio le occasioni di valutazione riguardano due istituti fondamentali:
a) Valutazione della qualità delle prestazioni: in relazione alle previsioni dell’art. 59 del
CCNL 1998/2001 recepito dal CCNL vigente, concernente i criteri di selezione ai fini
della progressione, la valutazione della qualità delle prestazioni è uno degli indicatori
individuati per il raggiungimento della soglia necessaria per il passaggio al livello economico superiore. La valutazione della qualità delle prestazioni, sempre secondo il contratto, si qualifica a partire da capacità quali: coinvolgimento nei processi lavorativi, attenzione alle esigenze dell’utenza, apporto di soluzioni innovative e risoluzione dei problemi.
b) Valutazione dei risultati: il CCNL 1998/2001 consolida in modo significativo
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l’istituto delle posizioni, il quale consente la definizione di un assetto congruente delle
responsabilità gestionali e dei contributi ad elevata specializzazione a partire dalle finalità istituzionali e in considerazione dei principali processi lavorativi sottesi2.
L’istituto della valutazione dei risultati, rispetto all’istituto delle posizioni organizzative,
rappresenta un logico corollario e un punto di snodo critico per favorire lo sviluppo e la
valorizzazione professionale delle persone. L’assenza di un legame coerente tra valutazione dei risultati e mappa delle posizioni, di fatto, rende il primo istituto privo di significato e di forza propositiva.
Si ritiene dunque che l’introduzione di un sistema valutativo, come efficace strumento
gestionale del personale, comporta la definizione e il consolidamento nel tempo di un
macrosistema di politiche del personale, incentrato su cinque sistemi innovativi:
1) un sistema di incentivazione;
2) un sistema di formazione e sviluppo;
3) un sistema di valutazione delle prestazioni e dei risultati;
4) un sistema di definizione e valutazione di posizioni, incarichi e funzioni;
5) un sistema professionale.
Diventa quindi fondamentale riuscire ad integrare il sistema di valutazione con le varie
azioni che, a diverso livello, caratterizzano la genesi di una funzione HR sempre più
complessa ed evoluta.
2. I passaggi operativi verso il nuovo modello progettato.
L’esperienza della realtà bolognese prede avvio nel corso del 2001 con la prima effettiva introduzione della valutazione in occasione delle tornate di progressioni orizzontali.
Tale momento è stato qualificante e fondamentale per il successivo sviluppo del sistema
valutativo in quanto ha introdotto con forza e per la prima volta la valutazione nel contesto organizzativo dell’Ateneo di Bologna.
Questa prima esperienza ha stimolato e guidato le successive riflessioni sulla tematica
catalizzando il processo di cambiamento organizzativo, grazie anche alla ricerca sempre
più organica di collegamenti tra sottosistemi operativi (valutazione vs formazione; valutazione vs carriera, ecc.) che hanno migliorato il modello generale di sviluppo delle risorse umane.
La logica di fondo che ha accompagnato il progetto è stata quella di migliorare i processi valutativi sulla base di un confronto aperto con i soggetti coinvolti individuando possibili soluzioni ad hoc che tengono conto del contesto di riferimento in termini di vincoli e opportunità nell’ottica di un miglioramento incrementale e progressivo. Il metodo
seguito è quello dei protocolli di processo, ovvero l’adozione di modelli comportamentali condivisi. Sono meccanismi innovativi nel campo dell’analisi organizzativa che
permettono di creare integrazione mediante la condivisione e la conoscenza delle regole
2
Le posizioni organizzative sono state introdotte con la seconda tornata contrattuale seguita alla privatizzazione del lavoro pubblico e si concretano nel conferimento di incarichi concernenti lo svolgimento di
compiti che comportano elevate capacità professionali e culturali corrispondenti alla direzione di unità
organizzative complesse e all’espletamento di attività professionali comunque rientranti nei compiti delle
persone (obblighi debitori del lavoratore), in forza della sua collocazione nella categoria d’appartenenza
(si vedano in particolare l’art. 63 comma 3 CCNL 1998/2001 e gli articoli 37 e 38 del CCNL 2002/2005
che prevedono specifici e qualificati incarichi di responsabilità per il personale appartenente alle categorie
EP e D - es. segretari amministrativi).
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del “gioco”, individuate a partire da un lavoro interno alle strutture e quindi particolarmente rispondenti al contesto in cui devono essere applicate.
Sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili sul tema sono stati identificati alcuni aspetti qualificanti della valutazione:
a) Utile a rispondere alle richieste e alle esigenze degli attori: la valutazione può divenire un normale agire organizzativo se appare utile a facilitare il perseguimento degli
obiettivi dei diversi attori coinvolti. In altri termini la valutazione può essere un servizio
sia per il dipendente che per il responsabile, se vista come un evento abituale e non eccezionale. Un processo di valutazione sistematico, che non si presenta cioè in modo episodico con lunghi intervalli tra una valutazione e l'
altra, favorisce lo sviluppo di una cultura organizzativa della valutazione, offre più occasioni di apprendimento organizzativo
e toglie drammaticità all'
evento valutazione, che diviene parte integrante dell'
operare
quotidiano. Parallelamente una valutazione ben fatta è utile perché, al di là di un risultato metrico, consente a chi è valutato di avere un feedback utile a capire l'
adeguatezza
della propria prestazione lavorativa e permette a chi valuta di mantenere aperto un canale ufficiale di comunicazione con i suoi collaboratori per parlare di “come vorremmo
lavorare qui”.
b) Trasparente nelle regole e nei criteri utilizzati: un sistema fondato sulla visibilità delle regole e dei metodi che lo guidano costituisce di fatto la base delle percezioni di equità procedurale e internazionale. Tale principio si è concretizzato nella realizzazione del
Manuale delle Buone Pratiche Valutative.
c) Percepita come equa nella definizione e formulazione dei giudizi: l’equità deve essere sostenuta particolarmente negli output della valutazione, quando l’atto di valutare si
trasforma in un parere sui comportamenti lavorativi oggetto della valutazione. In tale
senso risulta fondamentale strutturare i diversi momenti di dialogo e confronto tra le
parti in gioco. Ciò, peraltro senza trascurare gli outcome (ovvero gli effetti) sortiti una
volta che il giudizio è stato formulato.
d) Formalizzata attraverso l’uso di strumenti che conducano a risultati omogenei e
quindi confrontabili: il benchmarking virtuoso che può derivare dall’introduzione di una
valutazione sistematica è possibile solo assicurando la confrontabilità dei risultati.
e) Rigorosa nella scelta dei metodi: una parte importante dell’equità si gioca
nell’affidabilità dei sistemi di prelevamento dell’informazione (schede di valutazione) e
delle misure utilizzate per valutare (scale). E’ infatti fondamentale la qualità dell’atto
del valutare, ovvero valutare tecnicamente bene3.
3
L’esperienza complessiva di confronto, sperimentazione e monitoraggio ha reso possibile l’adozione di
schede di valutazione riviste e migliorate. Le principali novità, sia a livello di contenuti che di iter procedurale, riguardano in generale:
l’inserimento nella scheda di sezioni in cui riportare gli esiti del confronto tra valutatore e valutato: la
possibilità per il responsabile di riportare feedback qualitativi legati a specifiche azioni di miglioramento della prestazione del valutato; per il collaboratore quella di indicare osservazione e commenti
in merito all’intero processo valutativo;
una descrizione più approfondita e puntuale delle aree comportamentali oggetto di valutazione;
l’inserimento del Referente intermedio quale figura a cui il Responsabile può fare riferimento, segnalandolo nella scheda, per l’elaborazione del giudizio. Ciò al fine di garantire il principio per cui la valutazione deve essere espressa conoscendo realmente il lavoro svolto e dunque interpellando, se necessario, chi quotidianamente coordina il personale da valutare.
la raccomandazione di valutare non riferendosi alle caratteristiche personali della persona, ma focalizzandosi sui comportamenti che i soggetti manifestano nell’ambito della propria attività lavorativa:
“si valuta quello che una persona fa e in che modo e non come è fatta”
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Operativamente il progetto si è articolato in una serie di fasi distinte, ma strettamente
connesse al progressivo processo di cambiamento realizzato nel contesto universitario
bolognese.
Un primo momento è stato caratterizzato dall’analisi delle risultanze della prima applicazione della valutazione nella realtà bolognese. Questa ha evidenziato ambiti di miglioramento su cui impostare le successive azioni.4
La situazione iniziale metteva in luce una percezione della valutazione come un mero
adempimento normativo e non ancora come leva gestionale in grado di valorizzare il
personale evidenziando un contesto ancora fisiologicamente “immaturo” in riferimento
ai processi valutativi.
Successivamente, al fine individuare un sistema di valutazione nuovo e rispondente alle
esigenze contestuali emerse, si è dato avvio ad una riflessione interna all’Ateneo. Tale
scelta ha portato, attraverso percorsi di ri-orientamento dell’azione basata su un insieme
di principi, metodologie e strumenti condivisi da tutti i soggetti interessati, alla realizzazione di un protocollo di processo (traducibile nel Manuale delle Buone Pratiche Valutative) su come valutare correttamente in relazione a principi di trasparenza, equità, affidabilità e tempestività. Nello specifico l’Amministrazione si è confrontata con una
parte dei responsabili delle strutture di Ateneo (Dirigenti, Presidi, Direttori) e, in particolare, con un gruppo di lavoro nato nell’ambito del Collegio dei Direttori di Dipartimento.
I principali risultati emersi dai lavori del gruppo sono stati tradotti in un insieme di principi e strumenti per orientare correttamente la valutazione e sono stati sperimentati nei
concreti luoghi di lavoro (sperimentazione sul campo). Tale azione ha visto il coinvolgimento diretto di oltre 150 persone tra responsabili e personale tecnico amministrativo
(sei dipartimenti individuati su base volontaria rispetto ad un criterio di rappresentazione dimensionale e disciplinare).
Al termine dalla sperimentazione sul campo è stato delineato il nuovo sistema di valutazione, recepito nel Manuale delle Buone Pratiche Valutative. In particolare il Manuale,
rivolto a valutati e valutatori, raccoglie le linee guida operative sul sistema valutativo
Inoltre, per la specifica scheda della qualità delle prestazioni, è stata rivista la scala dei giudizi sia ampliandone il range (da 1 a 6 anziché da 0 a 3) sia etichettando i singoli punteggi (1 insufficiente, 2 quasi
sufficiente, 3 sufficiente,4 buono, 5 ottimo, 6 eccellente). La scala è stata ampliata per evitare l’effetto di
appiattimento dei giudizi ed è stata intenzionalmente sbilanciata verso la polarità positiva per fare emergere risultati e comportamenti lavorativi particolarmente distintivi.
Nella scheda relativa alla valutazione dei risultati invece è stata inserita una sezione in cui in cui viene
riportata una breve descrizione della struttura nella quale il dipendente è inserito, delle principali interrelazioni e degli strumenti operativi oltre che delle risorse a disposizione in termini di organico, mezzi e
strutture; tali informazioni permettono di riferire la valutazione alle specifiche caratteristiche del contesto
lavorativo e organizzativo in cui le persone operano.
4
In 8 casi su 10 valutatore e valutato non comunicavano, in 9 casi su 10 non venivano suggerite azioni di
miglioramento. In molti casi l’autovalutazione è stata usata come strumento di difesa, di rivendicazione,
penalizzando chi si è autovalutato “criticamente”. Le scale di valutazione della qualità delle prestazioni
erano troppo rigide (solo 3 livelli).In oltre 200 casi i valutati richiedevano chiarimenti in merito alle valutazioni ottenute.
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ovvero i principi, i metodi e gli strumenti adottati con lo scopo di orientare e facilitare la
valutazione rendendola trasparente e conosciuta da tutti gli attori coinvolti. Per una socializzazione ad ampio spettro il manuale è stato diffuso sia sul sito web dell’Ateneo, sia
tramite un invio mirato dello stesso ad oltre 130 responsabili di struttura e a tutti coloro
che, con posizioni di responsabilità, possono essere interpellati quali referenti intermedi
(circa 200 persone). Inoltre, sono stati progettati seminari intensivi e laboratori monotematici, rivolti sia ai valutatori che ai valutati, mirati a rafforzare il legame tra le linee
guida operative (Manuale Buone Pratiche Valutative) e le concezioni e azioni di valutazione adottate nel contesto organizzativo universitario bolognese.
Successivamente all’applicazione del nuovo sistema di valutazione nel corso del 2005 è
stata realizzata un’azione di monitoraggio al fine di comprendere l’impatto che il nuovo
sistema ha avuto rispetto al passato (in merito sia al processo che agli strumenti) e individuare i principali andamenti rispetto alla sua effettiva applicazione. Questo sia relativamente alla valutazione della qualità delle prestazioni, utile ai fini delle progressioni
orizzontali per il biennio 2002-2003, che alla valutazione dei risultati riferita all'
anno
2004.
Nello specifico tale fase si è articolata in due principali azioni:
1. analisi dei dati: elaborazione quantitativa dei giudizi espressi e qualitativa delle sezioni “aperte” della scheda. Dai dati riferiti alla valutazione della qualità delle prestazioni emerge:
una maggiore volontà di condividere la valutazione; in molti casi è stato individuato un apposito momento di restituzione della valutazione da parte del responsabile5. Inoltre in 5 casi su 10 sono stati riportati feedback qualitativi relativi al
miglioramento della prestazione.
una maggiore consapevolezza nell’utilizzo delle modalità di risposta (scala di
giudizi) e una particolare attenzione nell’ancorare il giudizio a “fatti” lavorativi
concreti e richiamabili all’occorrenza. A differenza delle precedenti tornate valutative solo nel 20% dei casi viene attribuito un giudizio massimo e indifferenziato rispetto alle 4 aree comportamentali. Restano comunque elevati i valori medi
complessivi (media pari a 4,96 e deviazione standard pari a 0,93) anche se sono
ravvisabili comportamenti differenti tra dirigenti dell’Amministrazione Generale
e Responsabili di Strutture didattiche (Dipartimenti e Facoltà) e che lasciano intendere l’importanza di continuare ad investire su un’azione di responsabilizzazione di tutti i Responsabili al fine di rendere il sistema maggiormente perequativo specie quando i giudizi influiscono sulla carriera economica del dipendente;
ciò coerentemente al sistema delle regole da concordare con i Soggetti sindacali.
I trend sopra descritti vengono confermati anche per quel che riguarda la valutazione
dei risultati.
2. monitoraggio del processo: l’Amministrazione ha avviato una azione di monitoraggio
per conoscere e rilevare nel tempo l'
impatto che il nuovo sistema di valutazione del personale ha avuto ed ha presso Ateneo. A tal fine è stato predisposto un breve questionario rivolto a tutto il personale dipendente coinvolto nella valutazione della qualità delle
prestazioni, nella valutazione dei risultati o in entrambe, con l'
intento di cogliere le per5
E’ utile sottolineare che il nuovo sistema di valutazione della qualità delle prestazioni prevede che la
scheda sia concordata e sottoscritta da entrambi i soggetti e solo successivamente inviata agli uffici competenti. Ciò a differenza di quanto avveniva precedentemente in cui il sistema prevedeva la valutazione
gerarchica e l’autovalutazione come due momenti separati e autonomi.
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cezioni e considerazioni su come è avvenuta la valutazione - in termini di equità, affidabilità e sistematicità - e sui relativi strumenti adottati, nonché la consapevolezza maturata sul senso e sul significato che assume in concreto la valutazione a seguito di essa. Inoltre, sono state effettuate interviste semi strutturate ai responsabili in qualità di valutatori per raccogliere e mettere a confronto una pluralità di opinioni in merito al nuovo sistema di valutazione adottato6.
3. I risvolti in tema di dialogo, ascolto e sviluppo professionale.
Partendo dall’assunto che la valutazione è un momento inevitabile della vita professionale delle persone in quanto in ogni momento esse valutano e vengono valutate (dal
proprio responsabile, dai colleghi, dagli utenti, etc.), diventa opportuno farla evolvere
come leva in grado di favorire lo sviluppo professionale nei luoghi di lavoro.
Quindi da un punto di vista gestionale la valutazione rientra in un sistema organizzativo
più ampio come sottosistema operativo strettamente connesso agli altri sottosistemi. Tale prospettiva sistemica si espleta in una logica progettuale che vede il processo valutativo non come un momento a sé, ma integrato in un sistema composto da una molteplicità di fatti organizzativi, attività ed interventi tesi a conoscere, valorizzare e sviluppare
le competenze dei dipendenti e di riflesso l’Ateneo stesso.
Ad esempio la stretta relazione tra il sistema di valutazione e il sistema di formazione.
L’integrazione tra i due sistemi si realizza sia nella fase di diffusione “culturale” del sistema valutativo attraverso percorsi di approfondimento ad hoc sui principi di fondo e
sull’applicazione dei criteri di valutazione rivolto ai responsabili di Ateneo e al personale tecnico amministrativo, sia nel recepimento dei feedback qualitativi indicati nelle
schede di valutazione al fine di progettare percorsi di sviluppo professionale strettamente connessi al miglioramento della qualità dell’attività lavorativa svolta.
Ecco perché la valutazione diventa un’importante occasione per conoscersi e dialogare
in modo costruttivo nei luoghi di lavoro e vede come principio base alla sua esistenza la
negoziazione. Ciò pone interrogativi di fondo su quelli che possono essere i criteri e le
modalità atte a favorire, a partire da tutti gli attori organizzativi in gioco, una definizione accettabile della realtà e dei loro rapporti reciproci. In sintonia con tale impostazione
e in termini più generali, la valutazione nelle organizzazioni si caratterizza per essere un
processo messo in atto grazie all’interazione di diversi attori. Ne consegue che oltre alla
necessità di technicalities sicuramente indispensabili, è opportuno considerare il processo di valutazione in quanto negoziazione di significati (Depolo M., 1998).
Tali premesse motivano il ruolo rilevante rivestito dal colloquio tra valutato e valutatore, visto come una occasione importante di confronto e negoziazione. Porre il colloquio
tra valutato e responsabile al centro del momento valutativo significa, difatti, favorire
una crescita congiunta in quanto:
6
Il questionario, disponibile on line, è stato rivolto a circa 900 persone che hanno partecipato alle valutazioni (della qualità delle prestazioni e dei risultati) avviate nel 2005. Da una prima analisi emergono alcuni aspetti interessati:
si riscontra una oggettiva conoscenza del manuale, risultato anche di un accurata e capillare socializzazione dello strumento;
i principi e le modalità che guidano la valutazione sono tendenzialmente percepiti come visibili e
trasparenti;
il momento di restituzione della valutazione è percepito come importante, qualificante e soprattutto funzionale ad uno sviluppo professionale.
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il valutatore può avere occasioni sistematiche e strutturate per confrontarsi con i
propri collaboratori, conoscere in maniera più approfondita il lavoro che viene
svolto all’interno della sua struttura, individuare interventi di formazione e sviluppo mirati e disporre, infine, di un utile strumento per il raggiungimento dei risultati organizzativi della struttura;
il valutato può conoscere le aspettative dell’organizzazione indirizzando al meglio la propria prestazione lavorativa, avere una verifica esplicita del proprio lavoro, ricevere informazioni sulla struttura e sugli obiettivi, riflettere sulle proprie
capacità e potenzialità, migliorare e consolidare la propria professionalità.
Risulta chiaro come la valutazione non si pone come principale obiettivo quello di raccogliere dati oggettivi o assicurare informazioni fruibili dai decisori, bensì quello di
comprendere la situazione a partire dai molteplici punti di vista di cui sono portatori i
molti attori in qualche modo interessati all’esito dell’attività in corso. Prevale, di fatto,
la dimensione pragmatica della valutazione dove più che giudicare e cercare delle verità
si tende a favorire il negoziato tra le parti che hanno interessi diversi (Guba E., Lincoln
Y., 1989). Concetto alla base di tale processo è quello di sensemaking (creazione di senso), da intendersi come capacità degli individui di modificare la realtà in cui operano e
di creare, grazie all’interazione sociale, significati condivisi, necessari per agire in modo
progettuale sull’ambiente fisico e sociale (Weick K., 1997). Ne deriva che la realtà è
prodotta e non ricostruita.
Per tali ragioni il processo di cambiamento promosso attraverso il nuovo sistema valutativo ha mostrato come la semplice trasposizione di tecniche di intervento e di gestione
non sono sufficienti per raggiungere l’obiettivo di cambiamento culturale che si è cercato di sviluppare. Come è noto da tempo, la composizione più efficace di strumenti per il
cambiamento è quella che non perde di vista il passato e la forza delle tradizione culturale, ma che investe sull’uomo e sulla sua capacità di rispondere e trovare soluzioni innovative alla crescente complessità (Crozier, 1990).
4. I risvolti sul piano dell’equità e del benessere lavorativo.
L’intera struttura del modello valutativo, come già evidenziato, ha posto tra i suoi valori
di riferimento il benessere delle persone e dell’organizzazione.
La letteratura sul benessere organizzativo, esaurientemente sistematizzata da Avallone e
Paplomatas (2005), segnala in maniera chiara che una delle dimensioni fondamentali
che consentono il benessere organizzativo è l'
equità.
In termini di processi organizzativi, una delle traduzioni più fortunate del tema dell'
equità è certamente il concetto di giustizia organizzativa (cfr. Cropanzano & Greenberg,
2001). In senso generale, riguarda la percezione di trovarsi in un’organizzazione in cui
esiste un’equità sostanziale nelle modalità di distribuzione delle risorse, nella definizione delle procedure e delle regole sottese ai rapporti e negli scambi tra ciò che è dovuto e
ciò che si dà e si riceve, per quanto riguarda l’impegno, le ricompense, il rispetto e le relazioni interpersonali. Comunemente se ne distinguono tre accezioni: la giustizia procedurale, che riguarda i metodi con cui si opera; la giustizia distributiva, che riguarda la
suddivisione delle risorse; la giustizia interazionale, che riguarda i modi di relazione tra
le persone.
Al di là di questa suddivisione, l'
aspetto chiave che qui interessa è la vasta influenza che
le percezioni di giustizia organizzativa possono esercitare sui comportamenti. A titolo di
esempio, sono documentati effetti dei livelli di giustizia organizzativa sulla soddisfazioRelatore: Michele Menna
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ne lavorativa, sulla presenza di emozioni positive, sul benessere psicologico, sul coinvolgimento organizzativo e sui comportamenti di cittadinanza organizzativa (Cropanzano & Greenberg, 2001; Cropanzano & Wright, 2001; Colquitt, Conlon, Wesson, Porter
& Ng, 2001). Le percezioni di equità (o giustizia) organizzativa influenzano anche il
supporto organizzativo percepito, dimensione che a sua volta contribuisce a produrre
più coinvolgimento affettivo, migliori prestazioni, meno comportamenti di ritiro (Rhoades & Eisenberger, 2002).
Per il discorso che stiamo sviluppando è utile sottolineare il ruolo di particolare importanza rivestito dalla giustizia procedurale ed interazionale. La percezione di giustizia interazionale è rilevante soprattutto per gli effetti che ha sui comportamenti di cittadinanza organizzativa (Moorman, 1991). Con il termine di "cittadinanza organizzativa" (Organizational Citizenship Behaviour, OCB; cfr. Organ, 1988; Podsakoff, MacKenzie,
Paine & Bachrach, 2000) si intende quella condizione che porta a comportamenti di particolare impegno e di attenzione ai risultati e alle persone della propria organizzazione.
Si tratta di comportamenti non direttamente prescritti dal ruolo ricoperto ma che anzi
vanno oltre i comportamenti normalmente attesi. Tali comportamenti si situano in aree
quali coscienziosità, altruismo, positività.
E'evidente che la presenza di tali comportamenti è una condizione positiva cui tendere
da parte di qualunque sistema di gestione. La ricerca empirica ha mostrato che la percezione di vivere in un'
organizzazione che valorizza la giustizia interazionale appare positivamente correlata alla messa in atto di comportamenti di cittadinanza organizzativa. E’
allora evidente l'
interesse organizzativo di coltivare questi comportamenti mediante un'
attenzione sostenuta alla qualità delle relazioni interpersonali, del clima organizzativo,
dello stile di relazione tra capi e collaboratori.
Da ultimo, è importante rilevare come gli aspetti della giustizia interazionale siano tra i
più centrali, anche perché sono gli aspetti più facilmente alla portata dei capi di ogni livello. Infatti la distribuzione delle risorse può ricadere al di fuori del loro controllo e
sulle procedure organizzative possono avere una ridotta influenza, ma il modo di trattare
i propri collaboratori è un aspetto della giustizia organizzativa che ricade quasi interamente nella loro disponibilità e discrezionalità, come sottolinea Moorman (1991).
Le percezioni di equità relative all’organizzazione in cui si opera sono un elemento molto importante delle condizioni di benessere. A ben vedere, percepire equità vuol dire riconoscere nell’ambiente un equilibrio degli scambi tra individuo e organizzazione.
Se esiste equità, è grazie al rispetto di una serie di regole che dettano i confini e le caratteristiche di ciò che è equo. Ma l’esistenza di regole aumenta la prevedibilità degli stati
futuri del sistema relazionale e di quello propriamente organizzativo, con ciò favorendo
nelle persone la percezione di poter controllare l’ambiente e i suoi sviluppi.
Altri dati empirici sostengono questo approccio. Ad esempio, Elovainio, Kivimaki e
Vahtera (2002) hanno mostrato che bassi livelli di giustizia procedurale (vale a dire la
percezione di quanto eque siano le procedure di assegnazione di risorse, ricompense e
sanzioni) costituiscono un rischio per il benessere dei lavoratori, rischio che gli Autori
hanno misurato attraverso l'
autovalutazione dello stato di salute, la presenza di disturbi
psichiatrici minori e il numero di assenze per malattia.
Più in generale, esistono evidenze empiriche consistenti le quali suggeriscono che un
fattore sovraordinato capace di spiegare esiti negativi per il benessere psicofisico delle
persone è proprio la condizione di insicurezza risultante dalla percezione di poter esercitare uno scarso controllo sulla situazione.
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Un filone di studi relativamente vasto ha ben documentato, ad esempio, gli effetti negativi dell'
essere coinvolti in ristrutturazioni con conseguente minacciata riduzione del
personale. Vanno in questa direzione i risultati di ricerca ottenuti da Ferrie, Shipley,
Marmot, Stansfeld e Smith (1998), che hanno mostrato che cambiamenti rilevanti nell'
organizzazione del lavoro, accompagnati da sentimenti di insicurezza circa il proprio
posto di lavoro, producono rilevanti effetti sulla salute psicofisica dei lavoratori interessati.
Infine, anche nelle ricerche di Avallone e Paplomatas (2005), che riguardano il benessere come attributo dell’organizzazione e non il benessere individuale, emerge come risultato trasversale la centralità della giustizia: le persone percepiscono come non equo il
rapporto tra quanto danno e quanto ricevono dall’amministrazione, sia a causa
dell’inadeguatezza dei sistemi di valutazione, sia per quanto riguarda le opportunità di
carriera.
5. Osservazioni conclusive.
Il percorso intrapreso per tradurre l’oggetto valutazione del personale all’interno del
contesto universitario bolognese, quale oggetto di riforma amministrativa tra i tanti, ha
permesso di focalizzare l’attenzione e l’azione su metodologie e prassi operative intenzionalmente adottate per gestire in modo diverso il cambiamento in contesti organizzativi pubblici.
Nel tentativo di cercare di rispondere ad interrogativi relativi a cosa è successo, cosa sta
succedendo e come è possibile modificare un certo corso d’azione, si è scelto un approccio di ricerca/valutazione organizzativa tipo responsive (Davis W.A., Stecher B.M.,
1987).
A riguardo si può essere d’accordo con quanto espresso in maniera esaustiva da Bezzi,
il quale sottolinea una concezione della valutazione come ricerca, dove la valutazione è
una raccolta di informazioni, da sottoporre poi ad analisi e interpretazione.
Questa concezione, d’altro canto, è indispensabile per sviluppare un processo valutativo
rigoroso nelle procedure, affidabile nei risultati, e quindi, in ultima sostanza, efficace
nei suoi intenti, in modo da avere una valutazione non solo utile ma, cosa ancora più
importante, utilizzata (Bezzi C., 2001).
La valutazione del personale si pone all’interno di un processo molto più ampio che vede da un lato l’intero sistema universitario sempre più caratterizzato dall’adozione di
principi, tecniche e strumenti tesi a progettare, verificare e monitorare le azioni e i risultati raggiunti; dall’altro proprio in ragione di un quadro più ampio di riferimento
all’interno del quale si colloca, porta a riflettere sul contributo relativo che può assicurare rispetto al più ampio sistema di performance.
La scelta progettuale dell’Ateneo di Bologna è stata quella di recepire la valutazione
come occasione di dialogo, volgendo tutti i lavori sul valore sociale ed etico (reciprocità
e rispetto tra le parti) del modello. Tali condizioni di fondo, ispirate proprio a principi
chiave come quelli della job equity, job security e job development dovrebbero nel tempo “restituire” modelli comportamentali più trasparenti, più certi nei tempi e nei ruoli richiesti, e più rigorosi sotto il profilo tecnico.
Una interessante conferma viene dal lavoro di Koys (2001), il quale in una ricerca longitudinale mostra come siano le pratiche di gestione delle risorse umane a influenzare le
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prestazioni organizzative, piuttosto che il contrario. In concreto, significa che un buon
sistema di gestione delle risorse umane può accrescere i comportamenti che vanno al di
là del ruolo atteso e che si caratterizzano per una maggiore soddisfazione e motivazione.
Continuare su questa strada è una sfida per chi si occupa di progettare e gestire sistemi
human resources. Vanno però accettati con pazienza i tempi e le inevitabili resistenze,
oltre che incomprensioni, per far passare l’idea che è attraverso buoni livelli di percezione di equità e di giustizia organizzativa che si influenzano in positivo le prestazioni
complessive dell’Ente. Scegliendo, dunque, un nuovo zenith verso cui orientarsi.
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