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6.8 Il cliente non ha sempre ragione
Visti i numerosi benefici delle relazioni di lungo termine con i clienti, si potrebbe concludere
che un’azienda non è mai disposta a interrompere la relazione con un cliente. L’assunto che tutti i clienti sono buoni clienti è del resto pienamente compatibile con l’idea che “il cliente ha
sempre ragione”, un principio di business sostanzialmente incontestato. Eppure chiunque lavori nei servizi può sostenere che questa affermazione non è sempre vera e che in alcuni casi è
preferibile, sia per l’azienda sia per il cliente, porre fine alla relazione. In questa sezione presentiamo una visione un po’ particolare delle relazioni con il cliente, in base alla quale non è
detto che tutte le relazioni siano benefiche per l’azienda e che tutti i clienti abbiano sempre
ragione.
6.8.1
Il segmento sbagliato
Un’azienda non può rivolgere i propri servizi a tutti i clienti: alcuni segmenti risulteranno più
appropriati di altri. Non le converrebbe assolutamente stabilire una relazione con un cliente di
cui non può soddisfare i bisogni. Per esempio, una business school che offre un master diurno
non dovrebbe caldeggiare l’iscrizione dei potenziali studenti che lavorano full time e uno studio
legale specializzato in diritto amministrativo non dovrebbe stabilire delle relazioni con clienti
che vogliono consigli in materia societaria o immobiliare. Questi esempi appaiono ovvi, eppure
le aziende cedono spesso alla tentazione di vendere comunque, accettando di servire un cliente
che verrebbe servito meglio da qualcun altro.
Allo stesso modo, non sarebbe saggio avviare contemporaneamente delle relazioni con
segmenti di mercato incompatibili. In molte imprese di servizi (alberghi, ristoranti, tour operator, centri d’intrattenimento, istituzioni educative), i clienti sperimentano il servizio insieme e possono influenzare vicendevolmente le rispettive percezioni sul valore ricevuto.
Quindi, per massimizzare il servizio offerto ai segmenti di riferimento, un’organizzazione
deve decidere di lasciar perdere i segmenti a profittabilità marginale che risultano incompatibili. Per esempio, un albergo specializzato nel turismo congressuale potrebbe scoprire che
non ha senso mettere insieme una clientela di executive che si trova in città per seguire un
programma di formazione impegnativo e degli studenti impegnati nelle gare regionali. Se il
gruppo degli executive è strategico in un’ottica di lungo termine, l’albergo dovrebbe decidere di rinunciare al gruppo dei giovani sportivi, per non perdere quella clientela fondamentale
e redditizia.
6.8.2
Clientela non profittevole nel lungo termine
In assenza di obbligazioni etiche o giuridiche, le organizzazioni preferiranno non intrattenere
delle relazioni di lungo termine con i clienti non profittevoli nel lungo termine. Alcuni segmenti di clientela non risulteranno tali per l’azienda anche se i loro bisogni possono venire soddisfatti dai servizi offerti. È quello che avviene quando nel segmento non ci sono abbastanza
clienti per rendere profittevole un certo approccio di marketing, quando il segmento non può
permettersi di pagare il costo del servizio o quando i flussi di ricavi attesi da quel segmento non
copriranno i costi sostenuti per attivare e mantenere il servizio. Per esempio, i residenti di una
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città di provincia potrebbero volere un collegamento aereo con una grande città, ma i costi fissi
di quel servizio non verrebbero coperti dal numero limitato di utenti potenziali che lo richiedono. Se la compagnia aerea dovesse far pagare una cifra adeguata a coprire i costi fissi, quelle
persone non potrebbero permettersi di pagare il biglietto. Per spiegarci meglio, nel settore bancario si è stimato che il 40-70% dei clienti di una tipica agenzia bancaria non è profittevole, nel
senso che i costi sostenuti per servire questi clienti superano i ricavi da essi generati.1
A livello di singolo cliente, l’azienda non avrà interesse ad avviare una relazione con un
cliente che ha un record d’insolvenza o che risulta inaffidabile per qualche altra ragione. I dettaglianti, le banche, le società finanziarie e le istituzioni che emettono carte di credito si rifiutano abitualmente di servire i potenziali clienti che hanno alle spalle delle insolvenze. Benché la
vendita possa dare dei profitti nell’immediato, il rischio d’insolvenza sul lungo termine rende
sconsigliabile la relazione dal punto di vista dell’azienda. Analogamente, alcune società di autonoleggio hanno cominciato ad analizzare i precedenti di guida dei loro clienti e adesso rifiutano
i guidatori a rischio.2 Questa prassi, benché controversa, è perfettamente logica dal punto di
vista delle società di autonoleggio: rifiutandosi di servire i cattivi guidatori esse possono ridurre i costi assicurativi e le denunce di sinistro (e quindi possono ridurre le tariffe di noleggio a
beneficio dei guidatori affidabili). I difensori dei diritti dei consumatori si oppongono tuttavia a
questa prassi in nome della privacy e della buona fede dei clienti.
Al di là dei costi monetari che l’azienda incontra servendo i clienti sbagliati, ci possono essere dei grossi investimenti di tempo su alcuni clienti; investimenti che, se calcolati correttamente, li renderebbero non profittevoli per l’organizzazione. Tutti abbiamo avuto la sgradevole
esperienza di attendere a lungo in un’agenzia bancaria, in un grande magazzino o anche in un
contesto educativo, mentre un cliente particolarmente esigente abusa del tempo del fornitore. Il
valore monetario del tempo trascorso con un determinato cliente non viene quasi mai calcolato
nel prezzo del servizio.
In una relazione business-to-business, la variabilità del tempo dedicato ai clienti è ancora più
evidente. Alcuni clienti abusano delle risorse dell’impresa fornitrice attraverso una quantità
eccessiva di telefonate, la richiesta assillante d’informazioni e altre attività che fanno perdere
tempo. Nei grandi studi legali, ai clienti si fatturano tutte le ore dedicate a essi dalla struttura,
perché il tempo è sostanzialmente l’unica risorsa di cui dispone lo studio. In altri business di servizio invece tutti i clienti pagano la stessa cifra, indipendentemente dal tempo che richiedono
all’organizzazione. Per fare un esempio, i congressi e le convention sono un grosso business per
gli alberghi; eppure lo staff preposto a queste attività sa che con alcune aziende si lavora meravigliosamente, perché sono efficienti e sottopongono all’organizzazione delle richieste ragionevoli. Altre aziende non sono assolutamente organizzate e cambiano in continuazione piani ed
esigenze. I due tipi di organizzazioni porteranno gli stessi ricavi all’albergo, ma i costi sono evidentemente molto diversi.
Vale la pena di osservare che i migliori clienti non sono solo quelli che generano il massimo
profitto. Specie in ambito business-to-business, anche i clienti più creativi e innovativi sono
degli ottimi partner d’affari, sebbene non necessariamente assicurino i profitti più elevati.3 I
clienti che sono disposti a farsi coinvolgere nello sviluppo di un nuovo servizio o che operano
all’avanguardia nel loro settore possono aiutare l’organizzazione a sviluppare e mantenere dei
1
R. Brooks, “Alienating Customers Isn’t Always a Bad Idea, Many Firms Discover”, The Wall Street Journal (7
gennaio 1999), p. A1; P. Carroll e S. Rose, “Revisiting Customer Retention”, Journal of Retail Banking 15, n. 1
(1993), pp. 5-13.
2 J. Dahl, “Rental Counters Reject Drivers without Good Records”, The Wall Street Journal (23 ottobre 1992),
p. B1.
3 M. Schrage, “Fire Your Customers”, The Wall Street Journal (16 marzo 1992), p. A8.
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servizi di qualità, a vantaggio dell’intero mercato. Questi clienti portano dei benefici all’organizzazione, al di là dei profitti che generano.
6.8.3
Clienti difficili
I manager hanno ripetuto così spesso la frase “il cliente ha sempre ragione” che ormai essa
dovrebbe venire accettata automaticamente da tutti i dipendenti di tutte le imprese di servizi.
Perché non è così? Forse perché quella frase non dice la verità. Il cliente non ha sempre ragione. Per quanto lo si ripeta, questo slogan non diventa realtà; e i dipendenti delle imprese di servizi lo sanno bene.4
I dipendenti riconoscono che, al di là del costo monetario e temporale generato da alcuni
clienti, ce ne sono alcuni con cui è particolarmente difficile lavorare per una serie di ragioni. A
causa dello stress che questi clienti impongono all’organizzazione e ai suoi collaboratori, alcuni enti e alcune imprese decidono di non entrare in relazione con essi.
Benché questi clienti si possano gestire, e benché i dipendenti si possano addestrare a riconoscerli e a tenerli a bada, a volte la scelta migliore è quella di chiudere la relazione, specie
in ambito business-to-business, dove i costi di lungo termine per l’azienda possono essere
molto pesanti. Si pensi, per esempio, alla posizione assunta da alcune grandi agenzie pubblicitarie. “Alcune agenzie pubblicitarie dicono che con certi clienti è talmente difficile lavorare che non possono – o non vogliono – servirli”.5 I clienti difficili paralizzano l’agenzia pubblicitaria per diversi motivi. Alcuni pretendono che una determinata campagna funzioni nello
stesso momento e con la stessa efficacia per tutti i loro pubblici di riferimento: una pretesa talvolta impossibile. Altri vorrebbero un tale lavoro di preparazione e di testing, prima di scegliere l’agenzia, che quelle escluse dalla selezione finiscono per lavorare gratis. Altri clienti
sono assillanti, richiedono decine di storyboard prima di approvare un concetto, oppure pretendono un eccessivo coinvolgimento diretto, spesso dannoso, nel processo di produzione. Di
conseguenza, le agenzie pubblicitarie hanno smesso di dare la caccia a tutti i clienti che capitano sotto mano. “Come nel matrimonio, non tutte le agenzie e non tutti i clienti si trovano
bene insieme”.6
Quindi, mentre in generale cercheranno di mantenere delle solide relazioni con i clienti per
via dei benefici cui abbiamo accennato in precedenza,
precedenza le aziende si dovranno convincere
che non tutti i segmenti di clientela, e non tutti i singoli clienti, sono necessariamente adatti a
una relazione di lungo termine.
4
K.D. Sanford, “The Customers Isn’t Always Right”, Supervisory Management (ottobre 1989), pp. 29-33.
L. Bird, “The Clients That Exasperate Madison Avenue”, The Wall Street Journal (2 novembre 1993), p. B1.
6 Ibid.
5
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Il cliente non ha sempre ragione