COMPLEMENTI DI TERMOFLUIDODINAMICA
Appunti integrativi al corso di Macchine
Prof. Gianfranco Angelino
INDICE
1.
Propagazione delle perturbazioni .................................................................................3
1.1
Velocità del suono .................................................................................................3
1.2
Moto di un profilo alare a velocità subsonica e supersonica..................................5
1.3
Velocità di propagazione dei fronti di fiamma ........................................................7
2. Flussi monodimensionali ............................................................................................10
2.1
Flusso isentropico con variazione di area di passaggio.......................................10
2.2
Flusso adiabatico in condotti a sezione costante in presenza di attrito ...............10
2.3
Flusso in condotti a sezione costante in presenza di scambio di calore..............13
2.4
Onde d’urto normali .............................................................................................16
2.5
Onda d’urto obliqua .............................................................................................22
2
1.
Propagazione delle perturbazioni
1.1
Velocità del suono
E’ noto che la velocità del suono in un gas si ricava dalla seguente espressione:
∂P
∂ρ
a2 =
(1)
S
che, nell’ipotesi di gas perfetto, prendendo i logaritmi dell’equazione di stato Pv=RT e
differenziando, fornisce:
a = kRT
(2)
La teoria generale che conduce a determinare la (1) è alquanto complessa e viene
sviluppata nei corsi di Aerodinamica (teoria delle varietà caratteristiche). Riporteremo qui
di seguito una dimostrazione meno rigorosa, ma in compenso breve ed intuitiva.
Consideriamo un lungo tubo, a sezione costante, chiuso ad un’estremità da uno stantuffo
(Fig.1)
u
P+ P
+
P
a
Figura 1
Siano P e
rispettivamente la pressione e la densità del gas nelle condizioni iniziali.
All’istante t=0 immaginiamo che lo stantuffo venga bruscamente accelerato alla velocità
u. Ci proponiamo di calcolare la velocità con cui si propaga la perturbazione causata
dall’improvviso movimento dello stantuffo.
Indichiamo con “a” la distanza percorsa dalla perturbazione nell’unità di tempo. Siano
P+ P e +
la pressione e la densità nella regione perturbata. Nell’unità di tempo lo
stantuffo percorre la distanza u e la massa di gas originariamente contenuta nel volume
S a (con S si è indicata la sezione del tubo) viene costretta ad occupare il solo volume
S (a- u).
Per la conservazione della massa si ha:
S( +
) (a - u) = S a
o anche
∆u =
a∆ρ
ρ + ∆ρ
(3)
3
Il baricentro della massa di gas interessata dalla perturbazione, nell’unità di tempo è stato
accelerato alla velocità u sotto l’azione della forza S (P + P) – SP = S P.
L’equazione della dinamica di tale moto assume quindi la forma:
Sa
u=S P
(4)
Dalle (3) e (4) si ha
∆P
a∆ρ
=
a∆ρ ρ + ∆ρ
o anche
a2 =
∆P
∆ρ
1+
∆ρ
ρ
(5)
in cui P e
sono le variazioni della pressione e della densità prodotti dalla
perturbazione.
Se l’intensità di quest’ultima è piccolissima, al limite infinitesima, la velocità di
propagazione assume il valore
a2 =
dP
dρ
(6)
La (6) fornisce la velocità del suono che è appunto una perturbazione di ampiezza
evanescente.
Ammettendo che le trasformazioni connesse con il passaggio della perturbazione siano
isentropiche (come confermato dall’esperienza), se ne deduce l’equazione (1).
Con riferimento all’equazione (2) osserviamo che la velocità del suono risulta
proporzionale alla radice quadrata della temperatura assoluta, cui peraltro è proporzionale
la velocità media delle molecole nel loro moto di agitazione termica. D'
altronde le piccole
perturbazioni di pressione sono propagate appunto dalle molecole fra un urto e l’altro: è
quindi ben naturale che tale propagazione sia tanto più rapida quanto più rapidamente le
molecole si agitano.
Osserviamo infine che, perturbazioni non isentropiche, e quindi necessariamente a
entropia crescente, provocano un surriscaldamento del fluido, riducendo
a pari P e
dando quindi origine, sulla base della (5) a velocità superiori a quella del suono (vedi onde
d’urto).
4
1.2
Moto di un profilo alare a velocità subsonica e supersonica
Una sostanziale differenza che distingue il flusso supersonico da quello subsonico può
essere messa in luce qualitativamente dalle seguenti considerazioni.
Consideriamo il moto di un’onda sonora sferica, che si propaga a partire da un punto
sorgente O (Fig. 2a)
r=a t
O
Figura 2a – Propagazione di una perturbazione di pressione da una sorgente in quiete
Supponiamo che il punto O sia in quiete rispetto alla massa gassosa. Ciascun punto del
fronte d’onda si sposta con velocità “a”; nell’intervallo di tempo t il fronte d’onda si porta
in ogni punto ad una stessa distanza r = a t dalla sorgente O.
Consideriamo adesso il caso in cui un corpo si muova con velocità subsonica V in un
mezzo gassoso omogeneo (Fig. 2b). Supponiamo che le perturbazioni di pressione create
dal corpo in movimento siano piccole e possano quindi essere trattate come onde sonore.
Interessiamoci in particolare delle perturbazioni create dal punto P del corpo, a partire
dall’istante in cui tale punto si trova a coincidere col punto A solidale col fluido in quiete.
A’’ A’
A
V tV t
a t
P
a t
Figura 2b – Propagazione di una perturbazione di pressione da un corpo mobile a velocità subsonica
Nel tempo t la perturbazione di pressione creata da P percorre una distanza a t. Nello
stesso intervallo t il punto P si sposta di un tratto AA’=V t. In un secondo intervallo t, il
5
punto P si porta in A’’, essendo A’A’’= V t. La perturbazione creata da P copre nel
secondo intervallo t ancora la distanza a t.
Dal momento che la velocità del suono “a” è maggiore della velocità di volo V, il fronte
d’onda generato dal corpo in movimento precede costantemente quest’ultimo. Ne
consegue che il corpo viaggia in un fluido che è già stato perturbato dal movimento del
corpo stesso. In altre parole, se un mobile viaggia a velocità subsonica in un mezzo in
quiete si può dire che il fluido che esso via via incontra sia già stato preavvertito del suo
sopraggiungere, e di conseguenza ha potuto assumere configurazioni dinamiche
opportune.
Consideriamo adesso il caso, assial-simmetrico, in cui il corpo si muova con velocità V,
maggiore della velocità del suono “a” (Fig. 2c).
C
r=a t
A’
A’’’
A
A’’
P
C’
V t
Figura 2c – Propagazione di una perturbazione di pressione da un corpo mobile a velocità supersonica
Nell’intervallo t il fronte della perturbazione di pressione creata da un punto raggiunge
una superficie sferica di raggio a t. Il punto P, nello stesso intervallo t, si sposta da A ad
A’, con AA’= V t. Poiché V è maggiore di “a”, il fronte dell’onda delle perturbazioni
generate dal corpo risulta arretrato rispetto ai punti che hanno generato le perturbazioni.
Conseguentemente in tutte le successive posizioni il corpo in movimento precede le onde
di pressione che esso ha generato. Tali onde di pressione inviluppano una superficie
conica detta “cono di Mach”, la cui semi-apertura è di ampiezza (angolo di Mach).
Da considerazioni geometriche risulta:
sin µ =
AC a∆t a
1
=
= =
AA ' V∆t V M
La precedente discussione mostra che quando un corpo si muove a velocità supersonica,
tutte le perturbazioni da esso prodotte sono confinate ad una regione angolare (cono di
Mach) al di fuori della quale il fluido non avverte la presenza del corpo in movimento
(regione del silenzio).
Qualora la perturbazione non sia di piccola intensità, i fenomeni, seppur complicati, hanno
lo stesso andamento qualitativo.
6
1.3
Velocità di propagazione dei fronti di fiamma
In una miscela combustibile la reazione chimica si propaga attraverso una superficie di
discontinuità, il “fronte di fiamma”, che segna il confine tra la miscela che deve ancora
reagire ed i gas combusti. Tale propagazione manifesta diverse analogie, ma anche
differenze, rispetto alle perturbazioni fin qui esaminate.
Analiticamente il legame tra densità, perdite di pressione e velocità può essere ottenuto,
con riferimento alla Fig.3, ragionando come segue.
S
1
2
V2 = V1
V1
P1 T 1
P2 T2
1
ρ1
ρ2
2
Figura 3
Si faccia riferimento alla superficie di discontinuità S considerata stazionaria. La miscela
combustibile incide su S alla velocità V1 e si allontana da S alla velocità V2. Essendo l’area
di passaggio costante valgono le relazioni:
ρ1V1 = ρ2 V2 ; V2 = V1
ρ1
ρ2
in cui, dato il grande riscaldamento, 2 è nettamente minore di 1 e quindi V2 è nettamente
maggiore di V1.
Qualora si consideri la regione “1” in quiete, S viaggia verso sinistra alla velocità V1 che
viene definita come velocità del fronte di fiamma. Per accelerare la vena fluida da V1 a V2
è necessaria una differenza di pressione che viene calcolata tramite l’equazione della
quantità di moto:
S ( P1 − P2 ) = S∆P = m ( V2 − V1 ) = mV1
ρ1
−1
ρ2
(7)
o anche, tenendo conto che per l’equazione di continuità m = ρ1V1
∆P = V12ρ1
ρ1 − ρ 2
ρ2
che in definitiva fornisce
7
V12 =
∆P ρ2
( ρ1 − ρ2 ) ρ1
(8)
Velocità di combustione laminare [m/s]
La (8) è del tutto analoga alla (5) ma il suo significato fisico è radicalmente diverso.
Mentre la (5) fornisce una velocità legata a fenomeni elasto-meccanici, di cui la velocità
del suono è una conseguenza, la velocità V1 della (8) va considerata non come una
conseguenza di quanto riportato a secondo membro ma come una grandezza
completamente determinata da fenomeni termo-chimici. Infatti affinché la combustione
possa propagarsi è necessario che lo straterello incombusto di confine tra le due regioni,
lato miscela, venga adeguatamente riscaldato, fino ad una temperatura di accensione, dai
gas combusti attraverso fenomeni di trasporto di energia e di massa, attivati dall’elevata
temperatura di reazione (sopra i 2000°C per dosaggi stechiometrici) che rende luminosi i
gas. In tal senso si parla di propagazione della fiamma.
E’ evidente che la necessità che il calore si propaghi alla miscela fredda e che si dia il
tempo alle reazioni chimiche di svilupparsi (cinetica chimica) freni il progredire del fronte di
fiamma. I fenomeni sopra descritti si manifestano anche in assenza di turbolenza: in tal
senso si parla di velocità di combustione laminare. I parametri chiave che la determinano
in una miscela a pressione e temperatura ambiente sono essenzialmente costituiti dalla
natura del combustibile e dalla sua dosatura.
A seguito di un’ampia sperimentazione la velocità laminare di combustione è stata
determinata come risulta dalla Fig.4.
Rapporto di equivalenza
φ=
α st
α
Figura 4 – Velocità di combustione laminare per diversi combustibili di interesse motoristico
Si notino i valori piuttosto modesti (< 0.5 m/s) dell’avanzamento del fronte di fiamma e la
presenza di un massimo, per tutti i combustibili, in corrispondenza di miscele leggermente
ricche. Al variare della pressione e temperatura della miscela fresca, la velocità di
combustione subisce ampie variazioni che possono essere tradotte nella seguente formula
empirica:
V1 = V1,0
T
T0
2
P
P0
−0.25
(9)
8
Sovente la temperatura della miscela è elevata (sia nei motori, sia nelle turbine a gas) e
questo determina un importante aumento della velocità di combustione, appena
contrastato dalle pressioni relativamente alte. Nelle condizioni effettive di combustione V1
può facilmente raddoppiare o triplicarsi.
Si tenga però presente che nelle macchine la combustione ha sovente luogo in correnti
veloci. Tipico è il caso dei combustori delle turbine a gas in cui l’aria transita a velocità
dell’ordine di 20-70 m/s. Velocità di combustione di qualche metro al secondo sarebbero
del tutto insufficienti ad assicurare la stabilità della fiamma che verrebbe trascinata via
dalla corrente. Deve pertanto esistere, nella realtà, un meccanismo moltiplicatore della
velocità di fiamma che dia ragione di un’ampia mole di dati sperimentali, giustificabili solo
da velocità di combustione enormemente più elevate di quelle di Fig.4.
Tale meccanismo è rappresentato dalla turbolenza. Come è noto nella maggior parte dei
flussi dinamici di interesse pratico la velocità secondo ciascuno dei tre assi coordinati x,y,z
è costituita da un valor medio, costante in tempi non brevissimi, (eventualmente con una
sua evoluzione temporale) e da una componente fluttuante a somma zero nel tempo, con
andamento casuale. In altre parole accanto al moto d’insieme esiste un moto d’agitazione
“random”, non già a livello molecolare, ma a livello di piccole masse costituite da un
grandissimo numero di molecole. Tali piccole masse in moto casuale trasportano energia
e quantità di moto attivando lo scambio termico e gli effetti di viscosità così come nel moto
laminare l’agitazione molecolare è responsabile dell’usuale viscosità molecolare e
conducibilità termica. L’effetto principale della turbolenza sul fronte di fiamma è quello di
corrugarlo e ripiegarlo variamente, ampliandone enormemente l’estensione.
La teoria attualmente più accreditata è che localmente la fiamma si propaghi
approssimativamente come nel caso laminare, la turbolenza agendo nel senso di ampliare
il fronte di fiamma.
Anche tale interpretazione del fenomeno fisico in oggetto potrebbe non essere del tutto
soddisfacente. Riportiamo, con piccoli aggiustamenti, un passo di un noto testo di
fluidodinamica che si occupa dell’argomento: “Chiaramente la teoria del fronte di fiamma
secondo la quale si assume che lo spessore della zona di reazione sia così piccolo che la
fiamma può essere trattata come una discontinuità planare fornisce una descrizione
inaccurata dei processi di combustione, quali si verificano nella maggior parte dei
propulsori. Infatti anche l’argomento della fiamma distorta non riesce a spiegare
adeguatamente gli altissimi livelli di sviluppo di calore che sono stati misurati in alcuni casi.
Al fine di produrre i valori di sviluppo di calore spesso misurati nei reattori (di circa 40 106
Btu/(h ft3 atm)), assumendo che la velocità di combustione non sia influenzata dalla
distorsione del fronte, la superficie della fiamma dovrebbe essere approssimativamente di
100 ft2 per ogni ft3 di volume della camera di combustione. Provando a visualizzare la
compressione di tale enorme superficie di fiamma in un piccolo volume, anche tenendo
conto che la velocità di propagazione di un fronte altamente distorto non può essere
uguale a quella di una fiamma laminare, si è condotti ad un’immagine mentale di una
sostanziale zona di reazione omogenea nello spazio, cioè ad una modalità volumetrica di
descrizione del processo di combustione.”
9
2.
2.1
Flussi monodimensionali
Flusso isentropico con variazione di area di passaggio
Per questo paragrafo si rimanda a quanto esposto negli “Appunti alle lezioni del corso di
Macchine”.
2.2
Flusso adiabatico in condotti a sezione costante in presenza di
attrito
Il flusso di un gas comprimibile in condotti a sezione costante è significativo in numerosi
settori dell’ingegneria come le connessioni fra diversi componenti delle macchine, il
trasporto di gas, la fluidodinamica delle centrali termoelettriche ed altri ancora.
La semplice trattazione che seguirà farà riferimento a situazioni in cui i fenomeni di attrito
siano preponderanti rispetto a quelli di scambio termico, al punto che il flusso possa
essere considerato adiabatico.
Le ipotesi di partenza possono essere così riassunte:
• flusso monodimensionale
• stazionario
• assenza di scambio termico (adiabatico) e di lavoro
• quota geodetica costante
• area di passaggio uniforme
• presenza significativa di fenomeni d’attrito
Le relazioni fondamentali di conservazione sono le seguenti:
A.
h+
Energia
2
V
= h0
2
(1)
in cui h e V rappresentano rispettivamente l’entalpia e la velocità in una generica sezione
e h0 l’entalpia di ristagno che, date le nostre ipotesi, risulta essere costante.
Fisicamente h0 è l’entalpia nella sezione in cui la velocità si annulla.
B.
Continuità
W
= ρV ≡ G
A
(2)
in cui W è la portata massica, A l’area di passaggio costante,
massa, necessariamente costante in tutto il condotto.
la densità e G la velocità di
Combinando le equazioni (1) e (2) si ottiene un’equazione in termini di entalpia e densità:
h = h0 −
G2
2ρ 2
(3)
che, data la costanza di h0 e G, definisce una relazione tra entalpia locale e densità locale.
La sua rappresentazione grafica è nota come “curva di Fanno”.
10
La (3) è rappresentata in Fig.1 per un singolo valore di h0 e diversi valori di G.
linee ad entropia costante
h0
h
v=
1
ρ
Figura 1 – Curve di Fanno nel piano h-v
Per una sostanza pura l’entropia è univocamente individuata da entalpia e densità:
s = s(h, ). Ciò consente di trasferire la curva di Fig.1 nel piano h-s, con i risultati illustrati in
Fig.2. Tutte le sostanze fino ad oggi indagate hanno curve con la caratteristica
configurazione riportata in figura.
h0
B
h
P = P1
A
P = P2 < P1
C
s
Figura 2 – Curve di Fanno nel piano h-s
11
Su una delle curve di Fig.2 consideriamo il punto A di massima entropia. Dalla definizione
di entalpia e dal 1° Principio della Termodinamica risulta:
dh = du + Pdv + vdP = Tds +
dP
ρ
e data la costanza di s:
dh =
dP
ρ
(4)
D’altra parte dalla conservazione dell’energia (1) si ha:
dh + VdV = 0
(5)
da cui
dh = − VdV =
dP
ρ
(6)
e dall’equazione di continuità (d( V) = 0):
ρdV + Vdρ = 0
dρ
dV = − V
ρ
(7)
che sostituita in (6) fornisce:
dP
= V2
dρ
o anche, tenendo conto che nell’intorno di A l’entropia è costante:
V=
dP
dρ
(8)
S
da cui si deduce che in A è a = V o M = 1.
Il ramo BA, in cui l’entalpia è più prossima a quella di ristagno, è subsonico; il ramo CA, in
cui più grandi sono le energie cinetiche, è supersonico.
Per il 2° Principio della Termodinamica, in assenza di scambi termici ed in presenza di
attriti, l’entropia non può che aumentare. E’ quindi possibile muoversi da B verso A o da C
verso A ma mai viceversa. In altre parole un flusso subsonico non può mai diventare
supersonico o un flusso supersonico diventare subsonico. Pertanto da una situazione
subsonica (punto B) l’effetto degli attriti, contrariamente all’intuizione, è di aumentare la
velocità ed il numero di Mach del flusso e di ridurre l’entalpia e la pressione fino a che si
12
raggiunge Mach uno1. Al contrario se il flusso è originariamente supersonico (punto C)
l’effetto degli attriti è di ridurre la velocità ed il numero di Mach e di aumentare l’entalpia e
la pressione del flusso.
Come per il flusso isentropico, anche in questo caso Mach uno segna la linea di
separazione fra comportamenti fluidodinamici divergenti, rispettivamente nel caso
subsonico e supersonico.
2.3
Flusso in condotti a sezione costante in presenza di scambio di
calore
I combustori delle turbine a gas possono essere rappresentati come condotti a sezione
qualitativamente costante con introduzione di calore nel flusso.
Sistemi propulsivi in fase di sperimentazione (SCRAMJET) prevedono addirittura la
combustione all’interno di un flusso supersonico. Risulta poi evidente che condotti di varia
natura ricadano nella tipologia dei condotti in esame. Per semplicità di analisi e
comprensibilità delle conclusioni finali si ipotizzerà l’assenza di attriti.
Consideriamo una corrente mono-dimensionale, che abbia sede in un condotto a sezione
costante; come si è detto supponiamo trascurabile l’attrito del gas lungo la parete del
condotto.
Indichiamo con F la funzione impulso così definita:
F ≡ AP + AρV 2
ove i simboli hanno il loro abituale significato.
Il teorema della quantità di moto, nelle ipotesi da noi fatte, si traduce nella seguente
equazione:
P + ρV 2 =
F
= cos t
A
(9)
La (9) si può ricavare applicando il teorema della quantità di moto ad un volume di fluido
delimitato, all’interno del condotto, da due superfici normali all’asse.
In base a tale teorema l’incremento di quantità di moto nell’unità di tempo eguaglia la forza
esterna:
m(V2 − V1 ) = (P1 − P2 )A
ma
m = ρ1 V1 A = ρ 2 V2 A
da cui
P1 − P2 = ρ 2 V22 − ρ1 V12
che equivale alla (9).
1
La riduzione della pressione si deduce dal ben noto andamento delle isobare nel piano h-s.
13
Sempre dall’equazione di continuità si ha poi:
ρVA = cos t ;
ρV =
cos t
=G
A
(10)
che combinata con la (9) dà:
G2 F
P+
=
ρ
A
(11)
Fissata che sia la funzione impulso per unità d’area e la portata specifica, la (11) è una
relazione univoca fra pressione e densità.
Da un punto di vista intuitivo osserviamo che una variazione della densità, prodotta ad
esempio da un riscaldamento, si traduce, essendo costante l’area di passaggio, in una
variazione di velocità e quindi in una variazione del prodotto V2. La (9) ci dice allora che
la pressione non può mantenersi inalterata, in quanto ogni accelerazione del flusso è
necessariamente prodotta da un gradiente di pressione negativo. Di qui il legame univoco
tra pressione e densità (11).
Entropia ed entalpia del fluido sono entrambe funzione di pressione e densità. La (11)
costituisce allora un legame fra entropia ed entalpia del gas in movimento. La
rappresentazione grafica di tale relazione è nota come curva di Rayleigh che, per tutti i
fluidi noti, assume l’andamento illustrato in Fig.3.
h
entalpia
ald
risc
a
n to
me
M<1
nto
me
a
d
red
raff
* M=1
nto
e
am
dd
e
r
ff
ra
to
en
m
M>1
lda
a
ir sc
entropia
s
Figura 3 – Curva di Rayleigh
14
Differenziamo la (11) ed introduciamo nel risultato la (10):
dP G 2
= 2 = V2
dρ ρ
o anche
V=
dP
dρ
(12)
Ora, il secondo membro della (12) rappresenta anche la velocità del suono nel caso
particolare in cui le variazioni infinitesime e correlate di pressione e densità siano tali che
non vi corrisponda alcuna variazione di entropia. Ciò accade nel punto della curva di
Rayleigh segnato con un asterisco, in cui l’entropia è massima ed il numero di Mach è
quindi unitario.
Il ramo superiore della curva corrisponde alle velocità subsoniche, quello inferiore alle
velocità supersoniche.
A seguito della cessione di calore al fluido dall’esterno l’entropia deve aumentare;
viceversa ad ogni raffreddamento corrisponderà una diminuzione di entropia. Un
riscaldamento porterà quindi il flusso ad avvicinarsi alle condizioni di entropia massima e
numero di Mach unitario, sia che la velocità iniziale fosse subsonica che supersonica.
Viceversa un raffreddamento allontana qualunque regime di flusso dalle condizioni di
Mach unitario. Ne segue che un flusso subsonico non può diventare supersonico a causa
del solo riscaldamento; né può un flusso supersonico diventare subsonico.
In particolare considerando il caso della cessione di calore dall’esterno al flusso
osserviamo che esiste un limite alla quantità di calore che il flusso è in grado di assorbire,
sia esso subsonico o supersonico. Tale limite viene raggiunto quando il numero di Mach
diventa unitario. Ogni ulteriore riscaldamento è incompatibile con le condizioni iniziali che
supponiamo prefissate e porterà ad una forzata variazione di queste ultime.
15
2.4
Onde d’urto normali
Esistono vari metodi di visualizzazione del moto di un gas. Nel caso di un flusso
supersonico accade che sia presente e visibile nella corrente una sottile superficie di
discontinuità attraverso cui, come dimostrano le misure, si concentra una forte variazione
di tutti i parametri dinamici e termodinamici del fluido. Tale discontinuità si definisce onda
d’urto e non può manifestarsi nel caso isentropico.
Con riferimento alla Fig.4 si consideri stazionaria la discontinuità, come può avvenire in
galleria del vento o in un canale fisso di una turbomacchina.
Siano Vx la velocità incidente sull’urto e Vy la velocità di emersione del fluido dall’urto.
Superficie di discontinuità
Vx
Vy
Volume di controllo
Figura 4
Dal momento che non vi è scambio di calore attraverso la superficie di controllo,
l’equazione dell’energia fornisce:
2
hx +
V
Vx2
= h y + y = h0
2
2
(13)
dove h0 è l’entalpia di ristagno su entrambe i lati dell’urto.
Essendo necessariamente l’area di passaggio costante, si ha:
m
= ρ x Vx = ρ y Vy
A
(14)
Per il teorema della quantità di moto, come già visto nel flusso con addizione di calore,
dev’essere:
Px − Py =
m
( Vy − Vx )
A
(15)
La (15) combinata con la (14) fornisce:
Px + ρ x Vx2 = Py + ρ y Vy2
(16)
16
Si scrive inoltre, implicitamente, l’equazione di stato nella forma:
h = h(s, );
s=s(P, )
(17)
Si consideri adesso, nel piano h-s, lo stato termodinamico “x” (Fig.5).
h0x = h0y
h
curva di Fanno
y
b
a
urto
curva di Rayleigh
x
s
Figura 5
Nell’ipotesi che valga la conservazione dell’energia (13), dall’equazione di continuità e di
stato, nell’ipotesi di presenza di attriti (per cui la (16) non è rispettata), il punto “x” descrive
la curva di Fanno.
Analogamente in assenza di attriti (vale cioè la (16)), ipotizzando uno scambio termico che
renda non verificata la conservazione dell’energia (13), applicando l’equazione di
continuità e di stato, il punto “x” descrive la curva di Rayleigh.
All’intersezione “y” delle due curve saranno contemporaneamente verificate, oltre
all’equazione di continuità e stato, anche la conservazione dell’energia nella forma (13) e
l’equazione della quantità di moto nella forma (16) che è quanto si richiede che accada per
la discontinuità di Fig.4.
In altre parole “y” rappresenta lo stato finale di emersione del flusso dall’urto. Poiché
l’entropia in “y” è maggiore di quella in “x” l’urto sarà fisicamente possibile.
17
Ci chiediamo adesso che origine abbia la produzione di entropia nell’urto vista l’assenza di
attriti e di viscosità.
Ricerchiamo una trasformazione in qualche modo equivalente alla “x” ”y” (linea
tratteggiata).
T0x
curva di Fanno
T
M<1
Py
y
b
a
curva di Rayleigh
M>1
x
Px
s
Figura 6
Con riferimento ai diagrammi nel piano T-s di Fig.6, partendo da “x” (flusso supersonico) si
potrebbe riscaldare il fluido, riducendone il numero di Mach fino alle condizioni soniche “b”,
quindi raffreddare il fluido, con ulteriore diminuzione del numero di Mach, da “b” ad “y”. Dal
momento che i punti “x” ed “y” hanno lo stesso livello energetico (l’urto è infatti adiabatico),
il calore scambiato da “x” a “b” (area sottesa all’arco in questione) è uguale e di segno
opposto al calore scambiato da “b” a “y”. Poiché le temperature in fase di riscaldamento
sono minori di quelle in fase di raffreddamento, l’aumento di entropia fra “x” e “b” sarà
maggiore della diminuzione di entropia fra “b” e “y”. Ne consegue che il punto “y” è ad
entropia maggiore di “x” ed è spiegato come la produzione di entropia abbia origine da una
irreversibilità di scambio termico.
In altre parole una trasformazione complessa, lungo la linea di Rayleigh, con risultati
identici all’urto, può essere rappresentata come segue:
qxb = qby
Mx>1
My<1
Mb = 1
x
qxb
b
qby
18
y
oppure, sinteticamente:
Mx>1
My<1
qxb = qby
x
b
y
che fornisce una rappresentazione termica dell’urto adiabatico.
A livello intuitivo il formarsi di un’onda d’urto può essere spiegato con il seguente
ragionamento approssimato.
Si faccia riferimento allo schema di Fig.1 in cui una perturbazione di compressione viene
generata dall’accelerazione di un pistone. Si ipotizzi che il pistone raggiunga la velocità
finale a seguito di una serie di accelerazioni impulsive. Ad ogni accelerazione del pistone
si origina un’onda di compressione che viaggia alla velocità del suono. L’effetto finale di
questi impulsi sia rappresentato dalla curva “f” di Fig.7.
Figura 7
All’estremità destra della curva si manifesta l’effetto del primo impulso “a” che ha avuto a
disposizione il tempo massimo di propagazione, ed ha quindi percorso lo spazio maggiore.
All’estremità sinistra gli effetti di tutti gli impulsi “a”,”b”,…,”e” si sommano. Osserviamo
adesso che il secondo impulso si muove in un ambiente più caldo rispetto al primo in
quanto il primo fronte di perturbazione ha compresso e riscaldato il mezzo. La sua velocità
(proporzionale a T ) è pertanto più elevata, col risultato che il secondo fronte tenderà ad
avvicinarsi al primo. L’ultima perturbazione “e” si muoverà in un fronte riscaldato da tutte le
perturbazioni precedenti ed avanza quindi ad una velocità particolarmente elevata. Il
risultato di tutto ciò è la tendenza delle perturbazioni a concentrarsi, come si vede nei
profili di pressione, i quali diventano sempre più ripidi al passare del tempo fino a
schiacciarsi in un fronte unico che può essere considerato un’onda d’urto.
19
Con un ragionamento analogo, con riferimento alla Fig.8, si dimostra che le onde di
rarefazione tendono invece a diluirsi.
Distanza, x
Figura 8
Facendo sistema delle equazioni (13), (14), (16) e (17), tutte le proprietà dinamiche e
termodinamiche del flusso a cavallo dell’urto possono essere calcolate. Nell’ipotesi che il
fluido sia un gas perfetto, le relazioni che legano i parametri fisici a monte e valle dell’urto
assumono una forma relativamente semplice.
Si riportano di seguito le principali formule di lavoro.
Per i numeri di Mach a cavallo dell’eventuale superficie di discontinuità:
My = Mx
(soluzione banale)
oppure:
M 2y =
M 2x +
2
k −1
(18)
2k
M 2x − 1
k −1
per le pressioni:
Py
Px
=
2k
k −1
M 2x −
k +1
k +1
(19)
per le temperature:
Ty
Tx
1+
=
k −1 2
2k
Mx
M 2x − 1
2
k −1
2
( k + 1) M 2
x
2 ( k − 1)
(20)
20
per le pressioni di ristagno:
P0y
P0x
=
k +1 2
Mx
2
k −1 2
1+
Mx
2
k
k −1
2k
k −1
M 2x −
k +1
k +1
(21)
1
k −1
si osservi che la perdita di pressione di ristagno è uno degli indici più significativi della
dissipatività dell’onda d’urto.
Infine per la produzione di entropia:
s y − s x = c p ln
1
P0y
P0x
(22)
k −1
k
che consente il calcolo diretto della perdita per irreversibilità dovuta all’onda d’urto.
21
2.5
Onda d’urto obliqua
Le onde d’urto normali sono soltanto un tipo particolare di discontinuità di pressione in
seno ad un fluido in moto supersonico.
Più in generale le discontinuità che si osservano in pratica sono inclinate rispetto alla
direzione del flusso incidente. Esse prendono il nome di onde d’urto oblique. Tali onde
d’urto si manifestano perché, come precedentemente illustrato, le onde continue di
compressione tendono a fondersi in un’unica superficie di discontinuità. Le onde d’urto
oblique sono frequenti in tutti i campi di moto supersonici che interessano, ad esempio,
turbine, compressori, prese dinamiche, ugelli di De Laval, aerei o missili ad alta velocità.
linee di flusso
linee di flusso
urto
linee di flusso
urto
urto
Un modo logico di introdurre il concetto di onda d’urto obliqua è attraverso una
modificazione di un’onda d’urto normale.
parete
Figura 9 a,b,c
Con riferimento alla Fig.9a si consideri un osservatore stazionario rispetto all’onda d’urto
normale, che vede il fluido comprimersi e decelerare bruscamente dallo stato 1 allo stato
2. Si immagini adesso che l’osservatore si muova parallelamente all’urto normale verso il
basso. Egli percepirà un campo di moto modificato, come illustrato in Fig.9b, nel quale il
fronte d’urto è inclinato rispetto alla direzione originaria del moto, ed in cui l’angolo del
flusso emergente è diverso rispetto a quello del flusso incidente, con una brusca
deflessione della velocità del fluido. L’onda d’urto obliqua così ottenuta è caratterizzata da
componenti tangenziali (parallele) di velocità che si conservano e da componenti normali
che si contraggono nel passaggio attraverso l’urto.
22
In definitiva il fenomeno esaminato si riconduce allo schema di Fig.10, in cui il flusso
supersonico a velocità V1 incide su una superficie di discontinuità inclinata di un angolo
e, mentre viene compresso e decelerato, subisce una deflessione di un angolo . Fissata
l’intensità dell’urto normale, da cui si può pensare che l’urto obliquo derivi,
e sono
funzioni della velocità di scorrimento (parallela all’urto) V1t. Il fenomeno termodinamico di
compressione: aumento di pressione, temperatura, densità, entropia è univocamente
individuato dall’intensità dell’onda d’urto normale corrispondente o, in altre parole, del
numero di Mach normale incidente.
linee di flusso
urto
urto
Figura 10
Come risulta evidente dalla derivazione dell’urto obliquo che precede, ad ogni urto
normale possono essere associati infiniti urti obliqui, ciascuno dei quali ottenuto
associando alla V1n (o M1n) una particolare velocità parallela V1t. Tutti questi urti sono
caratterizzati dalla stessa intensità. Ovviamente l’associazione a V1n di una V1t modifica
M1, P01, T01.
Cambiando il punto di vista, ad ogni V1 (e M1) possono essere associati angoli
e
diversi e quindi intensità d’urto diverse: contrariamente all’urto normale la compressione
attraverso un’onda d’urto obliqua può essere graduata di intensità in funzione di quanto
richiesto dalle condizioni al contorno.
23
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complements of thermo-fluid-dynamics