CHI VINCE E CHI PERDE NELLE NUOVE COSTITUZIONI DI
EGITTO E TUNISIA
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Umberto Profazio
Chi vince e chi perde nelle nuove Costituzioni di Egitto e Tunisia
Pubblicato in: Limes
Da: Gruppo Editoriale L’Espresso
Febbraio 2013
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CHI VINCE E CHI PERDE NELLE NUOVE COSTITUZIONI DI EGITTO E TUNISIA
1. Introduzione
Nel gennaio 2014, a 3 anni esatti dai primi sommovimenti, Egitto e
Tunisia, due tra i principali paesi sconvolti dalla primavera araba,
hanno approvato le nuove Costituzioni. Il processo ha incontrato
notevoli difficoltà, dovute all'impreparazione dei principali attori
coinvolti rispetto allo strumento democratico e alle inevitabili
resistenze di diversi soggetti politici e istituzionali che hanno
fortemente ritardato la fase di transizione.
Nonostante siano state approvate nello stesso frangente, appare del
tutto scontato che nei due testi esistono delle differenze rilevanti: sia
per le singole previsioni costituzionali (che devono adattarsi alle
rispettive condizioni storico-politiche), sia nell'ambito del loro
processo di discussione e approvazione. A questo proposito, mentre
in Tunisia il procedimento adottato potrebbe essere definito di tipo
«classico» (elezioni di un'assemblea costituente, discussione e
approvazione in aula del nuovo testo costituzionale), in Egitto la
Costituzione è stata approvata per mezzo di un referendum popolare
su un testo elaborato da una commissione nominata dal nuovo regime.
Inoltre, mentre la Tunisia ha deciso di procedere alla redazione di una
nuova Costituzione che ha abrogato del tutto quella precedente, in
Egitto sono stati introdotti diversi emendamenti che hanno integrato
il testo approvato dal referendum del 2012.
I punti in comune sono ciononostante numerosi. In particolare, in
entrambi i paesi sono stati registrati passi in avanti sul piano della
difesa dei diritti umani. Di segno opposto invece gli sviluppi sul
versante politico, dove le speranze democratiche del 2011 si sono
scontrate con ciò che alcuni commentatori hanno definito lo «Stato
profondo» che ha riproposto un sistema di potere fortemente
centralizzato. Tra le modifiche più importanti, 3 aspetti appaiono
fondamentali: il rapporto tra lo Stato e la religione; la tutela dei diritti
fondamentali; l'equilibrio di potere instaurato dalle nuove
Costituzioni.
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2. L'Egitto: dai Fratelli Musulmani al ritorno dei
militari
Il processo costituzionale egiziano è stato il più turbolento. A seguito
del colpo di Stato del 3 luglio 2013, il presidente Mohammed Morsi è
stato deposto dall'esercito che ha presentato una road map che
prevedeva, in rapida successione, l'approvazione di una nuova Carta
costituzionale, elezioni parlamentari e presidenziali. Nonostante
l'ordine di questi eventi sia stato successivamente modificato (le
elezioni presidenziali si terranno in un periodo ancora imprecisato tra
il 17 febbraio e il 18 aprile, secondo quanto stabilito dal decreto del
presidente ad interim Mansour, mentre per le legislative non è stata
fissata ancora alcuna data), la prima tappa, quella dell'approvazione
della nuova Costituzione, è stata raggiunta tra il 14 e 15 gennaio, con
un referendum che l'ha approvata a maggioranza schiacciante.
Più che di un referendum, in realtà si è trattato di un plebiscito a favore
del nuovo regime: i risultati annunciati nei giorni successivi hanno
quantificato i sostenitori della nuova carta con una percentuale pari al
98,1% dei votanti (l'affluenza alle urne è stata tuttavia del 38,6%). Non
si tratta di un testo interamente nuovo, ma di una serie di
emendamenti alla Costituzione del 2012 discussi da un comitato di 50
esperti (presieduto da Amr Moussa, ex ministro degli Esteri ed ex
segretario generale della Lega Araba) nominato lo scorso settembre
dal presidente ad interim Adly Mansour.
Tra le principali modifiche, diversi emendamenti hanno interessato il
tema dei rapporti tra Stato e religione. Nonostante l'art. 2 mantenga il
carattere confessionale dello Stato egiziano (confermando la sharia
quale principale fonte della legislazione), sono state eliminate alcune
disposizioni controverse che avevano suscitato notevoli polemiche. Il
comitato ha infatti rimosso la disposizione contenuta nell'art.7 che
imponeva la consultazione dell'università di al-Azhar su tutte le
materie relative all'interpretazione della sharia, escludendo quindi
tale autorità religiosa dal processo politico e legislativo. È stato poi
interamente abrogato l'art. 219 che, elencando i principi della sharia,
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era stato fonte di controversia tra i sostenitori della legge islamica e i
partiti di orientamento più laico.
Anche la promozione dei diritti delle donne e la tutela della loro
uguaglianza sembrano godere di maggior peso: il nuovo art.11
stabilisce infatti una serie di obblighi per lo Stato egiziano destinati a
promuovere in tutti i settori (civile, politico, economico, sociale e
culturale) un'uguaglianza non solo formale ma sostanziale, con il
compito ulteriore di intraprendere misure adeguate per garantire
un'equa rappresentanza delle donne in parlamento e nelle principali
posizioni amministrative.
Dal punto di vista istituzionale, viene confermata una forma di
governo semi-presidenziale con ampi poteri per il presidente della
Repubblica. Secondo il nuovo art. 136, questi è libero di nominare il
primo ministro. Solo in seconda battuta, qualora il premier di sua
nomina non dovesse ricevere la fiducia del Parlamento, deve
assegnare l'incarico al leader del partito o della coalizione che ha
ricevuto il maggior numero di voti alle elezioni. Alla figura
presidenziale è quindi assegnata una rilevanza centrale nella vita
politica del paese, teoricamente bilanciata dal dettato dell'art. 161 che
istituisce un meccanismo di ritiro della fiducia da parte della camera
dei rappresentati e di richiesta di elezioni presidenziali anticipate
(purché condivisa almeno dai 2/3 dei suoi membri). Eppure, risulta
davvero difficile ipotizzare il verificarsi di una simile circostanza in un
paese dove ogni genere di opposizione appare impotente davanti al
potere.
3. La Tunisia, tra speranze democratiche e continuità
istituzionale
La nuova Costituzione tunisina è invece il risultato di una transizione
durata all'incirca 3 anni. La Carta è stata redatta da un'assemblea
costituente eletta il 23 ottobre 2011 in seguito alla deposizione del
presidente Zine el Abidine Ben Ali. Fin dal suo insediamento,
l'assemblea è stata dominata da Ennhada, la formazione politica più
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rappresentata con 89 seggi su 217. Nonostante le alterne vicende che
hanno contrassegnato la sua vita (nell'estate del 2013, subito dopo
l'assassinio di Mohamed Brahmi, 65 deputati delle opposizioni si
ritirano e i lavori vengono sospesi durante una delle crisi politiche più
gravi della transizione), il 26 gennaio 2014 l'assemblea è riuscita ad
approvare a larga maggioranza (con 200 voti su 217) una Costituzione
che è stata giudicata tra le più avanzate del mondo arabo, sia per ciò
che concerne la difesa dei diritti civili e politici, sia per ciò che riguarda
le diverse istituzioni che la compongono.
Anche in questo caso risultano molto importanti le previsioni
costituzionali riguardanti i rapporti tra lo Stato e la religione. Anche
se, come in Egitto, viene ribadita la natura confessionale dello Stato
tunisino, sono state inserite delle esplicite previsioni di garanzia.
Come l'art. 6, che stabilisce: «lo Stato protegge la religione, garantendo
la libertà di credo, di coscienza e di pratica religiosa» promuovendo «
[...] la diffusione dei valori della moderazione e della tolleranza».
Molto interessante è il secondo comma, dove figura una condanna
delle accuse di apostasia ("takfir") e d'incitamento alla violenza,
appositamente inserita in seguito alle minacce di morte ricevute da un
deputato dell'opposizione e sull'onda dell'emozione che ha
accompagnato l'assassinio degli esponenti dell'opposizione Chokri
Belaid e Mohamed Brahmi.
Adeguatamente rafforzato risulta essere anche il ruolo delle donne nel
nuovo Stato tunisino. L'art. 20 stabilisce che «Tutti i cittadini, uomini
e donne, hanno stessi diritti e doveri e sono uguali di fronte la legge
senza alcuna discriminazione», stabilendo cosi una parità di tipo
formale che diviene quindi sostanziale grazie ad altre disposizioni del
testo stesso (in particolare l'art. 45, dove viene stabilito l'obbligo per lo
Stato di promuovere i diritti delle donne e di garantire uguali
opportunità in tutti i settori, incluso quello politico-amministrativo).
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Dal punto di vista istituzionale, anche in Tunisia è stato confermato il
sistema semi-presidenziale in vigore dal 1959, con un presidente eletto
direttamente dal popolo per 5 anni che controlla la politica estera e di
sicurezza: presiede infatti il consiglio dei ministri qualora all'ordine
del giorno vi siano temi riguardanti la difesa e le relazioni esterne (art.
92) e si consulta con il primo ministro prima che questi nomini i
ministri della Difesa e degli Esteri (art. 88). Il parlamento elegge invece
il primo ministro scegliendo il leader della formazione politica che ha
ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni. Suo compito è la
formazione del governo, occupandosi principalmente di politica
interna.
4. La sconfitta dell'islam politico
Ad accomunare i paesi non sembrano essere le sole garanzie
costituzionali poste a difesa dei diritti umani e dell'uguaglianza tra i
sessi e sulle quali l'opinione pubblica occidentale aveva concentrato le
proprie attenzioni alla vigilia dell'approvazione delle rispettive
Costituzioni. Molto simile è stato infatti anche il risultato politicoistituzionale che ha confermato la centralizzazione e la concentrazione
del potere nelle mani della figura presidenziale in un modo non
troppo dissimile da quanto già verificatasi negli anni del socialismo
arabo. Non è un caso che, inizialmente, i partiti islamici abbiano
insistito per attribuire maggiori poteri alle assemblee parlamentari,
facendo affidamento sugli ottimi risultati elettorali del post-2011.
Gli sconfitti dal processo costituzionale appena conclusosi paiono
essere proprio i movimenti islamisti, di Egitto e di Tunisia. I Fratelli
Musulmani egiziani e il partito tunisino islamico di Ennhada hanno
infatti fallito la loro esperienza di governo, perdendo numerose
battaglie per inserire nei testi costituzionali delle previsioni ispirate
alla sharia o comunque più in linea con il diritto islamico e la propria
ideologia. Ma hanno perso soprattutto il favore della popolazione,
guadagnato in modo del tutto naturale (anche se imprevisto) a seguito
delle rivolte arabe del 2011.
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Umberto Profazio
La reazione delle istituzioni - lo “Stato profondo”, come è stato
definito da alcuni commentatori - è stata forte in entrambi i casi: in
Tunisia la borghesia cittadina laica, erede di una storia politica
improntata all'occidentalizzazione voluta da Habiib Bourghiba e dal
suo Neo-Destour, ha costretto Ennhada a indietreggiare
progressivamente sulle sue posizioni, fino alle dimissioni di Ali
Larayedh del 9 gennaio scorso.
Sorte ancora peggiore è stata riservata ai Fratelli Musulmani in Egitto,
estromessi dal potere il 3 luglio scorso, banditi dalla vita pubblica dal
23 settembre e dichiarati un gruppo terroristico il 25 dicembre.
Oltretutto, la nuova Costituzione egiziana vieta la formazione di
partiti politici su base religiosa (art. 74), creando ulteriori ostacoli
all'eventuale ripresa dell'attività politica degli ikhwan nel futuro
prossimo.
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