Elegia
Genere poetico.
I componimenti in metro elegiaco
Di argomento vario
Elegia in Grecia
Nasce in ambito greco in età arcaica (VII-VI sec. a.C.)
etimologia: da elegos (frigio per flauto)
da “elege e”= “diceva “e e” (allusione al carattere
prevalentemente funerario dell’elegia delle origini)
Elegia amorosa: Mimnermo
Elegia politica :Solone
Elegia militare: Tirteo
Elegia gnomica :Teognide
Elegia a Roma
Quintiliano:
“ELEGIA QUOQUE GRAECOS PROVOCAMUS”
(Ist.Or.10.1.93)
CANONE: GALLO TIBULLO PROPERZIO OVIDIO
INVENTOR: CORNELO GALLO
origini dell’elegia latina
• Friedrich Leo: deriva da quella ellenistica
Tesi oggi generalmente rifiutata: l’impostazione
soggettivo- autobiografica della latina manca in
quella ellenistica. ((Anche se l’elemento
autobiografico non manca del tutto)
• Jacoby Felix: ampliamento dell’epigramma greco
(obiezione: e il mito? L’architettura complessa?)
Oggi: i poeti romani avevano come modelli sia i poeti
della lirica ellenistica (dall’elegia all’epigramma fino
al mimo d’età alessandrina) sia i poeti della lirica
arcaica (elegia giambo etc)
Così l’elegia romana non guarda ad un unico modello
poetico ma accoglie motivi da diversi generi e li
rielabora
L’elegia romana ha carattere prevalentemente
amoroso e soggettivo
Limiti del soggettivismo
e dell’autobiografismo dell’elegia latina
l’esperienza personale si sviluppa
attraverso situazioni tipiche e e fa
riferimento a valori canonici= un
codice “elegiaco”
Parole-chiave:
Servitium amoris
il corteggiamento come servitù amorosa,
segue tappe canoniche (paraklausithyron,
recriminazioni alternate a impeti di gioia
triumphans)
Nequitia
il poeta rifiuta il coinvolgimento attivo nella vita
politica (anche se l’autobiografia smentisce
talvolta il locus poetico) conduce una vita spesso
scapestrata
la domina è sposata , quindi la relazione irregolare .
Se già l’otium letterario viene sentito con un
senso di colpa latente figuriamoci una vita da
bohemienne! Il termine che la definisce è
pertanto nequitia
domina
la donna è la “signora” del poeta:
spesso ama di un amor tirannico ed è infedele
fides e foedus
il rifiuto della partecipazione attiva alla vita politica –
epicureismo-e quindi il rifiuto di una poesia civile è
programmatico ma i valori del mos maiorum sono
connaturati al civis romanus anche quando ribadisce la
sua volontà dell’autarcheia. E’ così che i termini Fides e
foedus, che attengono originariamente alla sfera civilepolitica e sono propri del mos maiorum , passano da
questa a quella intimistico-amorosa
Cura
Sofferenza d’amore, l’aspirazione alla fides
e al foedus - e anche di una dimensione
rustica campestre , soprattutto in Tibulloviene frustrata
Doctrina e mito
il poeta si rifugia nel mito – spesso ricercato,
doctus - che esprime una dimensione ideale
paradigmatica che non può tradursi in vita
reale.
Tibullo 50-14 a.C. (ca.) vita
Scarse le notizie sulla sua vita. Nacque a Gabii nel Lazio
probabilmente da una ricca famiglia di censo equestre.
Orazio ce lo descrive bello e ricco
membro del circolo di Messalla Corvino, uomo politico e mecenate
d’età repubblica, che prenderà le parti di Augusto.
Al suo seguito partecipa a spedizioni militari.
Tibullo 50-14 a.C. (ca.) opera
3 libri di elegie.
I temi:
L’amore per Delia,
l’autarcheìa,
la religiosità,
il vagheggiamento di una vita agreste semplice
La Pace
Manca il riferimento continuo al mito
La prima elegia del l primo libro:
a) Il tema della recusatio
Divitias alius fulvo sibi congerat auro
Et teneat culti iugera multa soli,
Quem labor adsiduus vicino terreat hoste,
Martia cui somnos classica pulsa fugent:
Me mea paupertas vita traducat inerti,
Dum meus adsiduo luceat igne focus.
(Tibullo. Elegia I,1,1-6)
Altri ammassi per sé ricchezze di oro biondo
E possieda molti iugeri di terreno coltivato,
(che =) altri, quando il nemico è vicino, un’assidua
pena atterrisca,
(a cui) ad altri le trombe di guerra fatte risuonare
tolgano il sonno:
La mia povertà mi conduca attraverso una vita
tranquilla,
purché il mio focolare risplenda di un fuoco
continuo.
il motivo è noto. Quale poeta?
Hoc erat in votis: modus agri non ita magnus,
hortus ubi et tecto vicinus iugis aquae fons
et paulum silvae super his foret . auctius atque
di melius fecere . bene est . nil amplius oro….
Questo il mio desiderio:
un pezzo di terra non tanto grande,
dove ci fossero un orto e vicino a casa
una fonte d'acqua perenne
con qualche albero che la sovrasti .
Piú e meglio fecero gli dei . Bene .
Nient'altro ti chiedo
(Orazio, Satire I,1, 1-4)
La prima elegia del l primo libro:
b) l’amore e la vita semplice
Non ego divitias patrum fructusque requiro,
Quos tulit antiquo condita messis avo:
Parva seges satis est, satis requiescere lecto
Si licet et solito membra levare toro.
Quam iuvat inmites ventos audire cubantem
Et dominam tenero continuisse sinu
Aut, gelidas hibernus aquas cum fuderit Auster,
Securum somnos imbre iuvante sequi.
(Tibullo, Elegia I,1, 44-51)
Io non vado in cerca delle
ricchezze e dei proventi degli
antenati Che all'antico avo
procurava la messe riposta( nei
granai): è sufficiente un piccolo
raccolto,riposare su un letto
sicuro, se è possibile,e alleviare
le membra nel solito giaciglio.
Come è bello stando a letto
ascoltare i venti impetuosi e
stringere in un tenero abbraccio
la donna amata, oppure quando
l'Austro invernale ha riversato le
gelide acque abbandonarsi
mentre la pioggia concilia il
sonno tranquillo
Properzio 50-15 a.C. (ca.) vita
Scarse le notizie sulla sua vita. Nacque in Umbria
probabilmente da una ricca famiglia di censo equestre, colpita dalle
espropriazioni di terre dopo Filippi.
Orazio ce lo descrive bello e ricco
membro del circolo di Mecenate.
Properzio 50-14 a.C. (ca.) opera
4 libri di elegie
1) Monobyblos tutto dedicato a Cinzia
2) Ancora Cinzia. Il tema della morte. Le pressioni di Mecenate
perché il poeta si cimenti nella poesia epica e civile.
3) I tradimenti di Cinzia. El.11: il poeta rievoca la battaglia di Azio.
4) Le prime dedicate a Cinzia. El.7: Cinzia lo visita dopo morta.
Le elegie romane : eziologia , la vergine Tarpea e l’amore
Properzio 50-14 a.C. (ca.) i temi
il tema
dell’amore si
intreccia
strettamente
al tema
al tema
1. del senso di colpa per la
vita che si conduce
nequitia, quando si è preda
dell’amore
2.
del dolore
3.
della morte
Properzio, Elegia I,1
Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis,
contactum nullis ante Cupidinibus.
Tum mihi constantis deiecit lumina fastus
et caput impositis pressit Amor pedibus,
donec me docuit castas odisse puellas 5
improbus, et nullo vivere consilio.
Cinzia, con i suoi occhi, sventurato mi prese
e fu la prima
ne m'aveva toccato ancora la passione.
Allora gli occhi (pieni di) costante superbia
vinse Amore, ed oppresse con i piedi il mio
capo
fino a che, sciagurato, ogni donna virtuosa
mi fece odiare e vivere senza nessuna legge.
Properzio, Elegia I,1
Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis,
contactum nullis ante Cupidinibus.
Tum mihi constantis deiecit lumina fastus
et caput impositis pressit Amor pedibus,
donec me docuit castas odisse puellas
improbus, et nullo vivere consilio.
Il servitium
amoris
schiavitù
La dementia porta alla
nequitia
Properzio, Elegia I,1
Riferimenti al mito: Milanione convinse Atalanta, a differenza
del poeta che non riesce a far breccia nel cuore di Cinzia
Invocazione alle maghe per un incantesimo
Properzio, Elegia I,1
E voi che, tardi, amici, mi richiamate dalla mia caduta
cercate di aiutare il mio cuore ammalato.
Soffrirò con coraggio ferro e orribili fuochi, purché possa
dire liberamente quello che l'ira vuole.
Portatemi tra genti lontane , sulle onde
portatemi, là dove nessuna donna sappia
il mio cammino; voi, a cui con facile orecchio
il dio annuì, rimanete in un fedele amore.
Venere mi tormenta con le sue notti amare,
non resta ozioso Amore, e mai non mi abbandona.
Evitate, vi avverto, questo male, che ognuno
Indugi nel suo dolore e non cerchi altro amore!
E chi mi darà ascolto troppo tardi, ah con quanto
dolore avrà memoria di queste mie parole!
Properzio, Elegia Iv,7 passim
amore e morte pathos horridus….giallo!
• Sono qualcosa i Mani, non tutto con la morte
finisce; un'ombra livida ha vinto, sfugge ai roghi.
Cinzia sul mio letto reclina, lei da poco in fondo ad una
via chiassosa inumata, m'apparve quando il sonno
era sospeso su di me,, dopo la fine del mio amore,
e nel mio grande e freddo letto mi lamentavo.
• Quegli stessi capelli che aveva al funerale,
gli stessi occhi e la veste bruciata al fianco, e al dito
attaccato dal fuoco, il solito berillo,
scolorite dall'acqua di Lete le sue labbra. . Emise voce e
respiro come vivesse; eppure
fragili scricchiolavano ai pollici le mani
•
Horridus
• «Perfido, che migliore sperarti un'altra donna
non deve, come il sonno può in tè aver forza? Come
già scordasti gli incontri furtivi, l'animata Suburra, la
finestra usa a insidie notturne
da cui, tesa la fune, quante volte discesi
alternando le mani, per gettarmi al tuo collo!
Abbracciati in un trivio, ci amavamo, e la fredda
strada si intiepidiva sotto i nostri mantelli.
Ah,false parole di convenuti patti,
non le avrebbero udite, le dispersero i venti.
•
(…)
pathos
Già svaniva il mio sguardo, nè ci fu alcuno a chiamarmi per
nome:
avrei vissuto ancora un giorno al tuo richiamo.
climax
Perché, ingrato, sul rogo non implorasti i venti?
Perché non odoravano di nardo le mie fiamme?
Ti pesava anche questo, gettarmi dei giacinti
da poco prezzo e rompere sulla mia tomba un orcio?
patetico
ascendente
(nei versi seguenti, il carme si tinge di
Cinzia afferma di essere stata avvelenata
•
Non ti accuso, sebbene lo meriti, Properzio
a lungo sono stata la signora dei tuoi versi. Ti giuro
sopra il magico carme dei fati, irrevocabile per tutti
- e più mite a me latri il cane con tré gole che io ti fui fedele. Se t'inganno, la vipera
sulla mia tomba sibili, dorma sulle mie ossa.
Poiché duplice meta la sorte assegna sul fangoso fiume
alla turba che in acque diverse va coi remi.
•
Horridus
• Le eroine nel mondo dei morti:
C'è un'onda che l'adultera Clitennestra trasporta
ed il mostro di legno della falsa giovenca
cretese. L'altra parte, su nave inghirlandata, ecco,
è dove felice brezza sfiora le rose
elisie, le timbrate corde e i vibranti bronzi
di Cibele e l'archetto di Lidia alle mitrate
danze suona. Ed Andròmeda e Ipermestra fedeli
spose, narrano il tempo che le rese famose.
• Cinzia, prima di sparire, fa un’ultima preghiera a
Properzio
Dove s'adagia in campi ombrosi il fruttifero Aniene
e l'avorio di Èrcole non mai muta colore,
scrivi su una colonna un carme di me degno,
ma breve, che lo legga il viandante di corsa:
"Qui la splendida Cinzia in terra tiburtina
giace ed aggiunge, Aniene, prestigio alle tue rive".
E tu, non disprezzare i sogni provenienti dalle porte
dei beati: se vengono, tali sogni hanno peso.
Nella notte, che libera recluse ombre, vaghiamo;
erra, tolte le spranghe, anche Cerbero. È legge
con la luce tornare alle letee paludi
e il nocchiero, portandoci, il carico soppesa.
Ora t'abbiano altre; presto t'avrò io sola,
Insieme , miste le tue alle mie consunte ossa.”
E quando, con pena dolorosa queste cose m’ebbe dette,
L’ombra scomparve fra le mie braccia
horridus
Distico elegiaco= una coppia di versi, un
esametro + un pentametro
1) Un esametro (esapodia dattilico-spondaica
catalettica in bisyllabum)
2) Un pentametro (due emiepes, due mezzi
esametri allo specchio)
Dìcebàs quondàm | solùm te nòsse Catùllum,
Lèsbia, nèc prae mè | vèlle tenère Iovèm.
Properzio cerca l’oblio fuggendo lontano
il motivo opposto è in Orazio:
“caelum non animum mutant qui trans mare
currunt” (Epistole a Bullazio, libro I, lett. XI).
il motivo verrà riproposto da Seneca
“Animum debes mutare non caelum” (Epistole a
Lucilio, XXVIII)
• cccccccccccccccc
Nulli se dicit mulier mea nubere malle
quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.
Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,
in vento et rapida scribere oportet aqua.
Dice la mia donna che di nessuno vorrebbe essere
se non di me, quand'anche Giove stesso la chiedesse.
Dice: ma ciò che una donna ad un amante in delirio dice
scriverlo conviene nel vento e nell'acqua che fugge rapida
(Catullo, Liber, LXX)
Ovidio
Sulmona43 a.C. – Tomi 18 d.C.
Notizie sulla sua vita nell’elegia di natura autobiografica (la quarta dei Tristia).
43 a.C. Nasce a Sulmona (Abruzzo ) da una famiglia di classe equestre.
A Roma,le lezioni di grammatica e retorica dei più insigni maestri della capitale. Il padre lo
vorrebbe oratore, ma Ovidio si sente già più portato per la poesia.
Ad Atene a perfezionare i suoi studi (+ viaggi in Asia Minore Egitto )
La carriera a Roma
Tornato a Roma, Ovidio intraprende la carriera pubblica, senza distinguersi
In contatto con il Circolo di Messalla, entra poi in quello di Mecenate e conosce Orazio Properzio
Tibullo
Siamo nel periodo storico della pax augustea e i costumi di Roma tendono a rilassarsi, c'è una
concezione più libera e rilassata della morale
Ovidio si sposa per tre volte: ma se, nei primi due casi, divorzia presto, il terzo è invece il più
significativo.
La relegatio a Tomi e la morte
Nell'8 d.C., caduto in disgrazia presso Augusto, Ovidio viene relegato nella lontana Tomi
(oggi Costanza), un piccolo centro sul mar Nero,
:
« Perdiderint cum me duo crimina, carmen et error
alterius facti culpa silenda mihi »
« Due crimini mi hanno perduto, un carme e un errore:
di questo debbo tacere quale è stata la colpa »
(Tristia 2, 1, v.207 sg.)
• Il poeta dunque attribuisce l'esilio ad un carmen et error,
interpretazioni diverseriguardo al possibile error:
– Ovidio avrebbe avuto illecite relazioni con la figlia di Augusto Giulia maggiore, cantata
negli Amores con lo pseudonimo di Corinna;
– sarebbe stato sospettato di favoreggiamento e forse di correità nelle relazioni di Giulia
minore, nipote di Augusto e moglie di Lucio Emilio Paolo, col giovane patrizio Decimo
Bruto Silano;
– avrebbe partecipato alla congiura di Agrippa Pòstumo, pretendente al trono,
contro Tiberio.
• Il termine carmen farebbe invece riferimento alle opere di Ovidio, in
contrasto con i princìpi della restaurazione augustea (specialmente l'Ars
amatoria).
OPERE
la giovinezza:
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AMORES, in tre libri: la domina è Corinna . Il modello elegiaco dell’amor come servitium
vengono rispettati solo in parte.
Ovidio è il poeta della sua nequitia più che della domina . Corinna non è l’unica. Amor =
lusus .
Servitium militia si ma il tono è più lieve, a volte decisamente frivolo
Non una ma tutte le donne
ma Ovidio vede l'amore come un gioco e questa concezione amorosa si traduce e si esplica in
un ribaltamento degli atteggiamenti e dei temi tradizionali (Ovidio giunge ad amare anche due
donne contemporaneamente, chiede all'amata di non essergli fedele ma di nascondergli i
tradimenti affinché lui possa fingere di non sapere).
Ovidio, in questo passo degli “Amores”,rivisita l’epigramma arcinoto di Catullo
Odi et amo quare id facias fortasse requirs,
nescio se fieri sentio et excrucior
ma lo amplia.
A me piace.
E a voi?
Ovidio, liber III,11, vv.33-40
sono in lotta e tirano mio fragile cuore in direzioni opposte;
Da un lato l'amore, dall'altro l'odio ma - io credo-vince l’amore
Ti odierò se potrò, altrimenti ti amerò mio malgrado.
anche il toro non ama il giogo; eppure si tiene quello che odia.
Sfuggo la tua perfidia: mentre fuggo, la tua bellezza mi riporta da te
detesto il modo vergognoso in cui ti comporti, amo il tuo corpo.
Così non posso vivere né con te,
né senza di te e mi sembra di non sapere quello che desidero
Luctantur pectusque leve in contraria tendunt
hac amor hac odium, sed, puto, vincit amor.
odero, si potero; si non, invitus amabo.
nec iuga taurus amat; quae tamen odit, habet.
nequitiam fugio -- fugientem forma reducit;
aversor morum crimina -- corpus amo.
sic ego nec sine te nec tecum vivere possum,
et videor voti nescius esse mei.
•
MEDICAMINA FACIEI FEMINAE: operetta sui cosmetici delle donne. Di
quest'opera ci sono pervenuti solo 100 versi: i primi 50 costituiscono il proemio, i
successivi 50 propongono 5 ricette di creme da applicare sul viso.
•
REMEDIA AMORIS: 400 distici elegiaci per resistere all'amore o liberarsene
.
•
ARS AMATORIA operetta in 3 libri . 2000 versi
•
PER GLI UOMINI:
Il I libro come conquistare la donna
Il II libro come far durare l’amore
•
PER LE DONNE:
Il III libro. Come sedurre
Amore lusus e ars
Fallite fallentes! : ingannate loro, che vi ingannano
E la restaurazione del mos maiorum augustea?
Ovidio, Amores, II, 4:
il Don Giovanni latino
Non oserei difendere i miei costumi corrotti , o prendere le armi,
sapendo di mentire, in difesa dei miei vizi.
No, meglio confessare, se giova a qualche cosa confessare gli errori:
ma quando ho confessato, ritorno alle mie colpe, ed è follia.
Odio, e ciò che odio non posso fare a meno di bramarlo:
oh, com'è difficile sopportare il peso che vuoi toglierti di dosso!
Perchè non ho le forze nè il potere di guidare me stesso:
mi sento trascinato come una barca spinta dall'acqua vorticosa.
non est certa meos quae forma invitet amores
-centum sunt causae, cur ego semper amem.
Non c'è un determinato tipo di bellezza che
risvegli in me l'amore: ci son cento motivi che
sempre mi fanno innamorare.
sive aliqua est oculos in humum deiecta
modestos,
uror, et insidiae sunt pudor ille meae;
Se una ragazza tiene modestamente gli occhi
bassi (sta china su di sé negli occhi bassi), subito
m'infiammo, e quel pudore è la trappola in cui
cado.
sive procax aliqua est, capior, quia rustica non
est,
spemque dat in molli mobilis esse toro.
Se un'altra è provocante, mi attira perché non è
una inesperta campagnola, ma dà speranza
(d'essere vivace=) che prenda l’iniziativa nel
morbido letto .
aspera si visa est rigidasque imitata Sabinas,
velle, sed ex alto dissimulare puto.
Se poi sembra scontrosa, e che imita le rigide
Sabine, penso che abbia voglia ma finga
profondamente.
sive es docta, places raras dotata per artes;
sive rudis, placita es simplicitate tua.
Se è colta, mi piace per le sue rare doti di cultura,
se è incolta, è piacevole per la semplicità
est, quae Callimachi prae nostris rustica dicat
carmina--cui placeo, protinus ipsa placet.
C’è quella che potrà dire che i versi di Callimaco sono
rozzi al confronto con i miei: quella a cui piaccio ,
subito mi piace
est etiam, quae me vatem et mea carmina
culpetculpantis cupiam sustinuisse femur.
C’è quella che critica me come poeta e i miei carmi
vorrei (tenere la coscia=) starle fra le le cosce mentre
mi critica
molliter incedit--motu capit; altera dura estat poterit tacto mollior esse viro.
Cammina sensuale sono preso dalle sue movenze
L’altra è rigida, ma potrebbe essere più tenera sotto il
tocco ( per un) di un uomo
…………..
…………..
Che figura
retorica è?
candida me capiet, capiet me flava puella,
est etiam in fusco grata colore Venus.
seu pendent nivea pulli cervice capilli,
Leda fuit nigra conspicienda coma;
seu flavent, placuit croceis Aurora capillis
Mi prenderà la bianca, me prenderà la bionda
Ma Venere è bella anche con la pelle scura
O se sul collo bianco scendono capelli neri
Anche Leda fu notata per la chioma scura
Ma sono biondi, ad Aurora piacquero i capelli colore del
croco
Il mio amore si adatta a tutte le varianti
omnibus historiis se meus aptat amor.
me nova sollicitat, me tangit serior aetas;
haec melior, specie corporis illa placet.
Denique quas tota quisquam probet urbe
puellas
noster in has omnis ambitiosus amor!
La giovane mi stuzzica mi colpisce l’età più matura
Questa è più esperta quella più bella
Infine le donne che uno apprezza in tutta Roma
Il nostro amore è desideroso di tutte queste!
Alla fine del ‘700 Lorenzo Del Ponte,
autore del libretto per il Don Giovanni di Mozart,
si ispirò a questo passo ovidiano
LEPORELLO a Donna Elvira:
Madamina, il catalogo è questo
delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt'io.
Osservate, leggete con me.
In Italia seicento e quaranta,
in Allmagna duecento e trentuna,
cento in Francia, in Turchia novantuna,
ma in Espagna son già mille e tre!
V’han fra queste contadine,
cameriere e cittadine,
v'han contesse, baronesse,
marchesane, principesse,
e v'han donne d'ogni grado,
d'ogni forma, d'ogni età.
Nella bionda egli ha l'usanza
di lodar la gentilezza,
nella bruna la costanza,
nella bianca la dolcezza.
Vuol d'inverno la grassotta,
vuol d'estate la magrotta;
è la grande maestosa,
la piccina è ognor vezzosa ...
Delle vecchie fa conquista
per piacer di porle in lista;
ma passion predominante
è la giovin principiante.
Noti si picca se sia ricca,
se sia brutta, se sia bella;
purché porti la gonnella,
voi sapete quel che fa
• MEDEA: tragedia a noi non pervenuta, ma lodata dai contemporanei.
• HEROIDES 21 lettere che Ovidio immagina scritte da eroine del mito
famose ai loro amanti. Tre lettere, in particolare, hanno una risposta da
parte dell'uomo amato. Si tratta di una tipologia completamente nuova per
la letteratura latina: il filone erotico-mitologico viene per la prima volta
svolto in forma epistolare (alcuni studiosi hanno trovato per questo
analogie con le suasoriae, discorsi fittizi in rivolti a personaggi mitici o
storici , in pratica, esercitazioni retoriche).
• Alcune eroine ricordano quelle euripidee) ma non mancano rivisitazioni
in chiave mondana e libertina di eroine tragiche (come nel caso della lettera
di Fedra a Ippolito, nella quale la matrigna veste i panni di una scaltra
seduttrice piuttosto che quelli di una donna disperata).
OPERE
la maturità
• METAMORFOSI, in 15 libri di esametri. 12.000 versi.
• Il capolavoro di Ovidio, ultimato poco prima dell'esilio, contiene più di 250
miti di trasformazioni, dal Caos all'apoteosi di Cesare e Augusto.
• L'opera si chiude con una preghiera agli dei, affinché questi preservino a
lungo l'imperatore Augusto.
• Vi si trova tutta la storia mitica del mondo, ma riorganizzata da Ovidio in
una serie di racconti continuati.
• Il criterio generale di compilazione segue l'ordine cronologico, ma molto
spesso Ovidio introduce eventi anteriori al fatto narrato o posteriori, collega
le storie in base a rapporti familiari, elabora i racconti secondo affinità o
diversità
I –II cosmogonia diluvio universale Deucalione e PirraApollo e Dafne, Giove e Io, Giove ede
Europa
III _VI storie di eroi con ripresa di storie di dei (ratto di Proserpina con trasformaz in lago di
Ciane) e Marsia Apollo (satiri e ninfe piansero per lui e si trasformarono in lago ce si chiamò
Marsia; VI)
VII Argonauti
VIII Minosse e cinghiale caledonio (Dedalo Icaro e Filemone e Bauci)
IX Ercole
X Orfeo (canta Pgmalione)
XII Troia Enea
XIV storie e leggende italiche
XV Pitagora espona a Numa Pompilio la teoria della metempsicosi
Finale: i discendenti di Enea -> Cesare che diventa una cometa e Augusto ( celebrazione)
Metamorfosi
Labirintico e proteiforme
Omnia mutantur nihil interiit
Pitagora
Gli dei umanizzati sil tono è mutevole si passa
dal quadretto borghese (Giunone insospettita vuole in dono da Giove la giovenca Io)
a scene fortemente patetiche (la trasformazione di Dafne)
Io narrante come nell’Eneide o nelle Argonautiche
atteggiamento : 1) distaccato lievemente ironico
2) stupito dalla straordinarietà della trasformazione narrata
•
FASTI in 6 libri.
Nelle intenzioni dell'autore sarebbe dovuto essere di 12 libri, uno per ogni mese
dell' anno, ma Ovidio ne scrisse solo 6 (da gennaio a giugno) a causa dell'esilio.
Egli intendeva illustrare (secondo un procedimento simile a quello utilizzato
negli Aitia di Callimaco) le feste religiose e le ricorrenze varie
del calendario romano introdotto da Cesare. Si tratta di un'opera di carattere
eziologico ed erudito, ispirata al gusto alessandrino; Ovidio narra aneddoti, favole,
episodi della storia di Roma, impartisce nozioni di astronomia, spiega usanze e
tradizioni popolari. Ma l'intento celebrativo rimane esteriore
TRISTIA in 5 libri di distici elegiaci ed Epistulae ex Ponto, in 4 libri.
• Ovidio riprende qui un tratto tipico della poesia elegiaca, il lamento.
• EPISTULAE EX PONTO lettere poetiche indirizzate a vari personaggi
romani.
viveva Cìane e da lei prese nome anche quella laguna.
Dai flutti emerse la ninfa sino alla vita,
riconobbe la dea: "Non andrete lontano," disse;
"genero di Cerere non puoi essere, se lei non acconsente:
chiederla tu dovevi, non rapirla. Se mi è lecito
paragonare grande e piccolo, anch'io fui da Anapi amata,
ma fui sua sposa dopo che ne fui pregata, non terrorizzata".
Così disse, e allargando le braccia cercò
di fermarli. Il figlio di Saturno non trattenne più la sua rabbia:
aizzando i terribili cavalli, brandisce con tutto il vigore
del braccio lo scettro regale e l'immerge nelle profondità
dei gorghi: a quel colpo un varco sino al Tartaro si aprì nella terra
e il cocchio sprofondò nella voragine scomparendo alla vista.
Addolorata per il rapimento della dea e per l'oltraggio
inferto alla fonte, Cìane ammutolì serrando nel proprio cuore
l'inconsolabile ferita: tutta in lacrime si strusse
e si dissolse in quelle acque delle quali una divinità
insigne era stata innanzi. Avresti visto snervarsi le sue membra,
le ossa flettersi, le unghie perdere durezza;
e per prime si sciolsero le parti più sottili:
i capelli color del mare, le dita, i piedi e le gambe
(basta un attimo per mutare in acque gelide
l'esilità delle membra). Poi furono le spalle, il dorso, i fianchi,
il petto ad andarsene, svanendo in rivoli evanescenti;
infine in luogo del sangue vivo penetra l'acqua nelle vene
in dissoluzione e nulla più rimane che si possa afferrare
(Metamorfosi V, 410…)
ICARO E DEDALO (Metamorfosi,VII
)
Ma intanto Dedalo, insofferente d'essere confinato a Creta
da troppo tempo e punto dalla nostalgia della terra natale,
era bloccato dal mare. "Che Minosse mi sbarri terra ed
acqua,"
rimuginò, "ma il cielo è pur sempre aperto: passeremo di lì.
Sarà padrone di tutto, ma non dell'aria!". E subito
dedica il suo ingegno a un campo ancora inesplorato,
sovvertendo la natura. Dispone delle penne in fila,
partendo dalle più piccole via via seguite dalle più grandi,
in modo che sembrano sorte su un pendio: così per gradi
si allarga una rustica zampogna fatta di canne diseguali.
Poi al centro le fissa con fili di lino, alla base con cera,
e dopo averle saldate insieme, le curva leggermente
per imitare ali vere. Icaro, il suo figliolo, gli stava
accanto e, non sapendo di scherzare col proprio destino,
raggiante in volto, acchiappava le piume che un soffio di
vento
sollevava, o ammorbidiva col pollice la cera
color dell'oro, e così trastullandosi disturbava il lavoro
prodigioso del padre. Quando all'opera fu data
l'ultima mano, l'artefice provò lui stesso a librarsi
con due di queste ali e battendole rimase sospeso in aria.
. Le diede allora anche al figlio, dicendogli: "Vola a mezza
altezza,
mi raccomando, in modo che abbassandoti troppo l'umidità
non appesantisca le penne o troppo in alto non le bruci il sole.
Vola tra l'una e l'altro e, ti avverto, non distrarti a guardare
Boòte o Èlice e neppure la spada sguainata di Orìone:
vienimi dietro, ti farò da guida". E mentre l'istruiva al volo,
alle braccia gli applicava quelle ali mai viste.
Ma tra lavoro e ammonimenti, al vecchio genitore si bagnarono
le guance, tremarono le mani. Baciò il figlio
(e furono gli ultimi baci), poi con un battito d'ali
si levò in volo e, tremando per chi lo seguiva, come un uccello
che per la prima volta porta in alto fuori del nido i suoi piccoli,
l'esorta a imitarlo, l'addestra a quell'arte rischiosa,
spiegando le sue ali e volgendosi a guardare quelle del figlio.
E chi li scorge, un pescatore che dondola la sua canna,
un pastore o un contadino, appoggiato l'uno al suo bastone
e l'altro all'aratro, resta sbalordito ritenendoli dèi
in grado di solcare il cielo. E già s'erano lasciati a sinistra
le isole di Samo, sacra a Giunone, Delo e Paro,
e a destra avevano Lebinto e Calimne, ricca di miele,
quando il ragazzo cominciò a gustare l'azzardo del volo,
si staccò dalla sua guida e, affascinato dal cielo,
si diresse verso l'alto. La vicinanza cocente del sole
ammorbidì la cera odorosa, che saldava le penne,
e infine la sciolse: lui agitò le braccia spoglie,
ma privo d'ali com'era, non fece più presa sull'aria
e, mentre a gran voce invocava il padre, la sua bocca
fu inghiottita dalle acque azzurre, che da lui presero il nome.
Ormai non più tale, il padre sconvolto: "Icaro!" gridava,
"Icaro, dove sei?" gridava, "dove sei finito?
Icaro, Icaro!" gridava, quando scorse le penne sui flutti,
e allora maledisse l'arte sua; poi ricompose il corpo
in un sepolcro e quella terra prese il nome dal sepolto
TEREO PROCNE E FILOMELA
Versione di Ovidio (altri: apollodoro Igino)
Tereo sposa Procne
Violenta e taglia la lingua alla sorella di Procne Filomela
l’imprigiona dice alla sorella che è morta
Filomela ricama la sua vicenda su una tela che manda
a Procne che uccide il figlio Iti e lo dà a Tereo in pasto
I tre vengono trasformati:
Tereo (upupa pou;pou;)Procne (rondine) e Filomela
(usignuolo itu itu)
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)
Il primo amore di Febo (Apollo) fu Dafne figlia di Peneo:
lo suscitò non la cieca Fortuna, ma la feroce ira di Cupido.
Apollo, fiero per la vittoria sul serpente(1), lo aveva poco
prima visto mentre cercava di piegare l’arco tirando a sè
la corda e così gli disse "Che cosa hai da fare con le forti armi,
o fanciullo arrogante? codesti pesi si addicono alle nostre spalle,
noi che possiamo infliggere ferite mortali alle fiere,
ferite ai nemici, noi che poco fa abbiamo abbattuto
con migliaia di dardi il minaccioso serpente che occupava
con il suo fetido ventre molti iugeri di terra. Tu accontentati di
suscitare con la tua fiaccola non so quali amori e non
attribuirti i nostri meriti". A lui il figlio di Venere "O Febo
– disse – il tuo arco trafigga pure ogni cosa, ma il mio
colpisca te, e di quanto tutti gli esseri animati sono inferiori a un dio,
di tanto è minore la tua gloria della mia". Finì di parlare
e muovendo rapido le ali fende l’aria e si ferma sulla cima
ombrosa del Parnaso(2) e tira fuori dalla faretra due dardi
dagli effetti opposti: che uno suscita l’amore, l’altro
lo impedisce; quello che fa innamorare è dorato e risplende
nella sua punta aguzza, smussato invece quello che tien
lontano l’amore e con la punta di piombo. Quest’ultimo
il dio conficcò nel corpo della ninfa Peneia(3), mentre con
l’altro trapassandogli le ossa ferì fin nelle midolla Apollo:
subito uno si innamora, l’altra ha orrore del nome dell’amore,
allietandosi dei recessi dei boschi e delle spoglie delle fiere
catturate, emula della vergine Diana; una fascia
Apollo e Dafni, Metamorfosi libro II
tratteneva i capelli scomposti. Molti aspiravano a lei,
ma essa schivando i corteggiatori, inesperta e intollerante
dell’amore, si aggira per i boschi impervii, e non si cura di
sapere che cosa sia Imene, cosa Amore, cosa il matrimonio.
Spesso il padre le diceva: "Figlia tu mi devi un genero“
e ripeteva "figlia tu mi devi dei nipoti": ma quella,
detestando
le fiaccole nuziali come un crimine, coloriva le belle guance
con
pudico rossore e teneramente cingendo con le braccia il
collo
del genitore: "Concedimi, o amatissimo, – diceva – che io
conservi sempre la mia veriginità: il padre degli dei prima
d’ora ha fatto tale concessione a Diana". Quello alla fine
acconsente, ma questo tuo fascino impedisce che tu rimanga
come desideri e la tua bellezza contrasta con la tua
preghiera.
Febo arde d’amore e brama l’unione con Dafne appena vista,
e spera d’avere ciò che desidera e resta ingannato dai suoi
stessi oracoli; come la secca stoppia va in fiamme una volta
mietute le spighe, come bruciano le siepi per una fiaccola
qualora un viandante casualmente ve l’abbia accostata
troppo
o l’abbia abbandonata sul far del giorno: così il dio in preda
al fuoco, così arde in tutto il cuore e nutre un vano amore
continuando a sperare. Guarda i capelli che
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le scendono pettinati sul collo e si chiede "che cosa sarebbero,
se venissero acconciati?"; guarda gli occhi luminosi simili a stelle,
guarda la boccuccia, che non si sazia di rimirare; ammira le dita,
le mani, i polsi e le braccia scoperte più che a metà: e le parti nascoste
se le immagina più attraenti. Ma quella fugge più veloce del vento leggero
e non si ferma a queste parole da lui dette per richiamarla:
"Ninfa, figlia di Peneo, ti prego, fermati! non ti seguo come nemico; ninfa,
fermati! In tale maniera l’agnella fugge il lupo, così la cerva il leone,
così le colombe con trepido volo l’aquila: ciascuna stirpe ha un proprio
nemico; ma per me è l’amore la causa per venirti dietro. O me infelice!
Che tu non debba cadere inciampando e che i rovi non ti lacerino le gambe
che non meritano alcuna ferita e che io non sia causa del tuo dolore.
I luoghi, per i quali corri, sono selvaggi: corri, ti prego, con meno impeto
e modera la fuga: da parte mia ti seguirò più lentamente. Chiediti però
chi sia quello a cui piaci: non sono un montanaro, non sono un pastore
irsuto che qui fa la guardia ad armenti e greggi. Tu, impulsiva, non sai chi
fuggi
e per questo motivo fuggi. Sotto il mio dominio sta la regione di Delfi
e Claro e Tenedo e la rocca di Patara; mio padre è Giove. Per opera
mia venne svelato il futuro, il passato e il presente; per opera mia i carmi
si accordano con la cetra. La mia saetta poi è infallibile, tuttavia ce
n’è un’altra più infallibile della mia, che ha provocato una ferita nel petto
Apollo e Dafni, Metamorfosi libro II
sinora libero dall’amore. La medicina fu inventata per
opera mia,
e in tutto il mondo mi si chiama soccorritore e la
virtù delle erbe è a me soggetta:
ahimè, perchè l’amore non può essere guarito con i
succhi delle erbe, nè al maestro porta aiuto la sua
arte, che aiuta invece tutti gli altri!"
La figlia di Peneo impaurita corre via da lui che voleva
dire di più e gli tronca a metà il discorso. Anche allora
sembrò bella: i venti mettevano a nudo il corpo e il
loro soffio faceva svolazzare l’abito investendolo di
fronte e la corrente d’aria leggera spingeva indietro i
capelli, sicchè la bellezza cresceva con la fuga. Ma per
questo il giovane di non tollera oltre di spendere le
sue lusinghe, e come lo spingeva proprio l’amore, la
insegue da vicino con rapido passo. Come quando un
cane gallico scorge una lepre in campo aperto, e l’uno
cerca la preda correndo, l’altra la salvezza (quello
quasi l’abbranca e spera già di afferrarla e allungando
il muso sfiora le sue orme, mentre è in forse che
l’altra possa essere raggiunta, sottraendosi essa ai
morsi e sfuggendo ai denti che cercano di
azzannarla): così il dio e la vergine ninfa; uno corre
per la speranza, l’altra per il timore. Il dio tuttavia la
insegue, spinto dalle ali dell’Amore è più veloce e non
dà tregua e sta addosso alle spalle della fuggitiva e
alita sulla chioma sciolta sul collo. La ninfa , esaurite
le forze impallidì e sfinita per la fatica della veloce
fuga (guardando le acque del Peneo)"O Terra – invoca
– spalancati oppure distruggi con
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una metamorfosi la mia bella figura che è causa del mio
danno! Padre, dammi aiuto – aggiunge – se voi fiumi
avete potere divino! Cancella trasformandolo il bel
sembiante per cui piacqui tanto!". Aveva appena finito
di pregare, che un pesante torpore invade il suo corpo: il
petto delicato viene avvolto da una sottile corteccia, i
capelli si mutano in foglie, le braccia in rami, i piedi
poco prima così veloci si fissano in radici inerti, il volto
in una cima d’albero: le rimane soltanto la bellezza. Pur
così Febo continua ad amarla e poggiando la destra sul
tronco sente che ancora il petto batte sotto la fresca
corteccia e, intrecciando le sue braccia ai rami come se
fossero le membra di lei, bacia il legno: ma il legno si
sottrae a quei baci. A cui il dio: "Poichè non puoi essere
mia coniuge – disse – sarai di certo il mio albero. La
mia chioma, la mia cetra, la mia faretra, o alloro, si
orneranno di te. Tu incoronerai i generali lieti per la
vittoria, quando un coro festante intonerà il canto del
trionfo e il Campidoglio vedrà lunghi cortei. Tu
medesima, come una custode fedelissima, sarai appesa
alle porte della reggia di Augusto(5) e guarderai la
quercia che sta nel mezzo, e come il mio capo giovanile
è pieno di capelli intonsi, anche tu avrai in eterno
l’onore delle foglie sempreverdi". Apollo così finì di
dire: l’alloro con i suoi rami formatisi da poco dà il suo
assenso e sembrò che muovesse la cima come se fosse il
capo.
Apollo e Dafni, Metamorfosi libro II
1
Mentre tornava dal fiume paterno, l'aveva intravista Giove,
che le disse: «O vergine degna di Giove e che beato farai
lo sconosciuto che ti sposerà, ritìrati nell'ombra
di quei boschi profondi» (e l'ombra di quei boschi le indicava),
«ora che fa così caldo e più alto è il sole in mezzo al cielo.
E non temere di addentrarti sola fra covi di belve,
cammina tranquilla nel cuore del bosco: un dio ti protegge,
e non un dio qualunque, ma io, io che con mano potente
reggo lo scettro del cielo e scaglio fulmini in ogni luogo.
No, non fuggirmi!». Ma lei fuggiva; e già i pascoli di Lerna,
le piantagioni del Lirceo s'era ormai lasciata alle spalle,
quando il dio, nascosto un lungo tratto di terra con una distesa
di nebbia, fermò la sua fuga e le rapì l'onore.
Gettò in quel punto Giunone lo sguardo al centro dell'Argòlide
e, stupita che sotto un cielo terso folate di nebbia
avessero fatto notte, capì che non erano nebbie
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di fiume o nate dall'umidità del suolo;
e, ben conoscendo le infedeltà del marito, sorpreso
tante volte in flagrante, si volse intorno a guardare dove fosse.
Poiché non lo trovò in cielo: «O m'inganno
o io sono tradita», disse e, precipitandosi giù dall'etere,
si posò sulla terra ordinando alle nebbie di dissolversi.
Ma Giove, prevedendo l'arrivo della moglie, aveva mutato
la figlia di Ínaco nelle forme terse d'una giovenca.
E anche così è bella. La figlia di Saturno, sia pure a stento,
ne ammira l'aspetto e, fingendo d'esserne all'oscuro,
chiede di chi sia, da dove venga e a quale armento appartenga.
Giove ed Io, Metamorfosi libro II
Giove favoleggia che è nata dalla terra, perché smetta
d'indagarne l'origine, e lei gliela chiede in dono.
Che fare? Cedere l'amata sarebbe stato crudele,
non farlo sospetto; da un lato il panico lo sprona,
dall'altro lo trattiene amore. E quasi avrebbe vinto questo,
se negare a lei, moglie e sorella, il dono banale di una vacca,
non avesse rischiato di farle capire che vacca non era.
Ma anche avuta in dono la rivale, la dea non smise di temere
e, diffidando di Giove, paventò che gliela rubasse,
finché non l'ebbe data in custodia ad Argo, il figlio di Arèstore.
Cento occhi aveva Argo tutt'intorno al suo capo:
due alla volta riposavano a turno,
mentre gli altri stavano svegli, montando la guardia.
In qualunque modo si sistemasse, sorvegliava Io;
anche di spalle l'aveva davanti agli occhi.
Di giorno lascia che pascoli; quando il sole scende sottoterra,
la rinchiude, cingendole a disdoro il collo con una catena.
Di fronde d'alberi e di erba amara si nutre l'infelice,
e invece che in un letto si corica sulla terra priva a volte
anche d'una coltre erbosa, e s'abbevera in fiumi fangosi.
E se voleva tendere le braccia ad Argo
per supplicarlo, braccia non possedeva da tendergli;
se tentava di lamentarsi dalla bocca uscivano muggiti
e a quel suono rabbrividiva atterrita dalla sua stessa voce.
Giunse anche alle rive dell'Ínaco, dove un tempo giocava,
e come vide nell'acqua il suo muso e quelle strane corna,
fu presa da un brivido e si ritrasse sbigottita.
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Elegia