Capitolo
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Patologia cerebrovascolare acuta e cronica
Sossio Cirillo, Ferdinando Caranci
INTRODUZIONE
Le vasculopatie cerebrali acute sono le lesioni del sistema nervoso centrale
a esordio improvviso. Schematicamente includono l’ictus ischemico
(circa 80% dei casi) – causato dall’interruzione dell’apporto ematico al cervello – e l’ictus emorragico, secondario a rottura di un vaso
cerebrale. Il radiologo svolge un ruolo centrale, dovendo formulare
la prima diagnosi compatibilmente con i mezzi tecnici e culturali a
propria disposizione, una diagnosi che condiziona inevitabilmente
l’impostazione terapeutica e influenza la prognosi del paziente, peraltro
con importanti implicazioni medico-legali.
La tomografia computerizzata (TC) rimane la metodica di prima
istanza grazie alla sua diffusione, alla rapidità di esecuzione e all’elevata
sensibilità nel riconoscere immediatamente le emorragie endocraniche.
Essa consente una diagnosi essenziale (ischemica o emorragica), escludendo altre patologie che possono avere esordio similictale, e orienta
inoltre verso gli ulteriori approfondimenti diagnostici (uso del mezzo
di contrasto per studi angio-TC e di perfusione, integrazione con la
risonanza magnetica, RM). Il completamento diagnostico dipende non
solo dalla diagnosi eziologica, ma soprattutto dall’ambiente clinico in
cui si opera (disponibilità dell’angiografia, esistenza di una stroke unit
con possibilità di trattamento precoce dell’ischemia acuta, presenza di
un reparto di neurochirugia).
Nell’ictus ischemico, la possibilità di eseguire una trombolisi può
giustificare la necessità di uno studio RM completo (con diffusione,
perfusione, angio-RM) o, in alternativa, di uno studio TC di perfusione e angio-TC; in particolare, l’introduzione nella pratica clinica delle
apparecchiature multistrato ha consentito un ulteriore aumento delle
capacità diagnostiche, grazie alla maggiore velocità, al maggior campo
esplorabile, al minore spessore di strato, alla possibilità dello studio
multiplanare (bi- e tridimensionale).
Nell’ictus emorragico, riconosciuto in fase acuta con massima sensibilità e specificità mediante TC, la successiva indicazione alla RM e
alle metodiche angiografiche (angio-TC, angio-RM, angiografia) – per
definire l’eziologia – è condizionata principalmente dalla sede anatomica del sanguinamento.
Il 70% dei casi di emorragia intraparenchimale ipertensiva si localizza
nel putamen, nel cervelletto o nel tronco encefalico; tutte le altre sedi
devono fare sospettare condizioni patologiche diverse (malformazioni
vasali, coagulopatie, tumori ecc.) e costituiscono un’indicazione al
prosieguo diagnostico. In caso di diagnosi di emorragia subaracnoidea, l’eziologia è frequentemente legata alla rottura di malformazioni
vascolari, in genere aneurismi, per cui l’indicazione alle metodiche
angiografiche è obbligatoria; in questo campo, l’angiografia digitale
rimane ancora il gold standard diagnostico.
Le vasculopatie cerebrali croniche comprendono una serie eterogenea di
condizioni patologiche che possono coinvolgere le strutture vascolari e
il tessuto cerebrale, configurando quadri neuroradiologici di presentazione sovrapponibili. La loro importanza deriva dalla grande frequenza
e dalla possibilità di determinare deterioramento cognitivo (demenza
vascolare) di per sé o in associazione a malattie degenerative.
Lo scopo principale dello studio neuroradiologico, in cui prevale
il ruolo della RM, è quello di fornire un’adeguata rappresentazione e
localizzazione delle alterazioni tissutali.
ISCHEMIA CEREBRALE
Approccio diagnostico
L’ischemia cerebrale si verifica in una determinata regione dell’encefalo
in conseguenza di una patologia occlusiva, determinante interruzione
dell’afflusso arterioso, o più diffusamente di patologia non occlusiva,
ovvero di ipoperfusione generalizzata.
La patologia occlusiva comprende cause trombotiche oppure emboliche. Le occlusioni trombotiche dei vasi arteriosi che afferiscono al
cervello sono usualmente di origine aterosclerotica e interessano più
comunemente la carotide interna al collo; la trombosi delle arterie
intracraniche è più rara e colpisce più frequentemente l’arteria basilare.
Nell’ambito delle occlusioni trombotiche rientrano anche gli infarti
lacunari, piccole lesioni cavitarie del tessuto cerebrale secondarie a
lipoialinosi delle piccole arterie penetranti. Le occlusioni emboliche
delle arterie intracerebrali (più frequentemente della cerebrale media o dei suoi rami distali) derivano nella maggior parte dei casi da
emboli di origine cardiaca (da vegetazioni valvolari, trombosi murali
postinfartuali, neoplasie intracavitarie, emboli settici); più raramente
gli emboli cerebrali originano da placche aterosclerotiche dell’aorta o
dell’arteria carotide comune o interna. Altre cause più rare comprendono
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la dissezione arteriosa e le vasculiti. Le dissezioni spontanee o posttraumatiche sono più frequentemente causa di lesioni ischemiche
nella popolazione giovane e si verificano con formazione di ematoma
subintimale o subavventiziale; le vasculiti sono entità differenti che
colpiscono in genere vasi arteriosi di calibro minore rispetto a quelli
interessati dall’aterosclerosi.
Indipendentemente dalla causa, il tessuto cerebrale è estremamente
sensibile all’ischemia, a causa della mancanza di riserve di energia
neuronale: in completa assenza di flusso ematico, l’energia in grado di
mantenere la vitalità neuronale è disponibile per circa 2-3 minuti.
In caso di ridotta perfusione (fino a una soglia di flusso ematico
cerebrale di circa 20 mL/100 g di tessuto/min), il tessuto cerebrale è
in grado di compensare mediante un aumento dell’estrazione di ossigeno. Se il flusso ematico cerebrale scende al di sotto di questa soglia,
fino a un flusso minimo di circa 12 mL/100 g tessuto/min, la cellula
neuronale resta vitale, ma con funzionalità compromessa, eventualmente recuperabile in caso di normalizzazione del flusso ematico. Se
il flusso scende al di sotto di 12 mL/100 g di tessuto/min, l’alterazione
della pompa di membrana della cellula ischemica determina uno spostamento incontrollato di acqua dallo spazio extracellulare a quello
intracellulare (edema citotossico), con danno irreversibile della cellula.
L’edema citotossico non interessa solo i neuroni, ma anche astrociti,
cellule endoteliali, periciti, oligodendrociti.
In fase acuta, l’ischemia è più spesso incompleta, con una zona centrale di tessuto infartuato in maniera irreversibile, circondata da una
regione di alterazione periferica definita penombra, ricevente flusso dal
circolo collaterale a opera di territori arteriosi e leptomeningei illesi; la
penombra contiene cellule che hanno cessato di funzionare, ma potenzialmente recuperabili con una ricanalizzazione precoce. La transizione
dall’area infartuale all’ischemia potenzialmente reversibile dipende sia
dalla entità sia dalla durata della diminuzione del flusso ematico; studi
PET hanno dimostrato che una penombra significativa è presente fino
al 90% dei pazienti entro 6 ore dall’esordio, mentre si riduce al 50%
entro 9 ore e al 30% a 18 ore. La presenza della penombra ha pertanto
importanti implicazioni per la selezione della terapia appropriata e la
prognosi, anche se non esistono ancora dati definitivi circa i risultati
clinici derivanti da trattamenti basati su questa informazione. Da un
punto di vista anatomopatologico, l’evoluzione dell’area ischemica può
essere così schematizzata:
• dopo 2 ore dall’occlusione, l’edema citotossico diviene
apprezzabile microscopicamente;
• dopo 12 ore l’edema citotossico diviene individuabile
•
•
•
su macrosezioni colorate (pallor) ed è più precoce e più evidente
nel complesso caudato/putamen rispetto alla corteccia;
dopo 6 ore inizia l’edema vasogenico secondario a danno
della barriera emato-encefalica;
dopo 72-96 ore l’edema vasogenico diviene tale da causare
effetto massa;
dal quarto giorno l’edema vasogenico inizia a decrescere.
Il concetto assodato di tessuto cerebrale salvabile e lo sviluppo di nuove opzioni di trattamento per l’ischemia hanno favorito lo sviluppo
di nuove tecniche diagnostiche, utili per la selezione dei pazienti da
avviare alla terapia.
L’unica terapia attualmente approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) per l’ictus ischemico acuto è rappresentata dalla
trombolisi per via endovenosa (mediante attivatore ricombinante del
plasminogeno tissutale, rTPA). Il beneficio della trombolisi diminuisce
progressivamente nel tempo, per cui la finestra temporale utile per l’intervento terapeutico è ristretta a 3-6 ore dall’esordio sintomatologico;
oltre tale termine l’efficacia si riduce e aumenta il rischio di emorragia.
Pertanto, i pazienti devono essere selezionati accuratamente e in modo
tempestivo, sulla base dei risultati della diagnostica per immagini. Un
approccio diagnostico completo, naturalmente in ambiente clinico
adatto, comprende la rilevazione/esclusione di emorragia intracranica,
la differenziazione del tessuto infartuato dal tessuto salvabile, l’identificazione della sede di occlusione vascolare, la selezione della terapia
appropriata e, infine, la predizione degli esiti.
Semeiotica TC
La TC svolge un ruolo chiave nello studio dell’ictus ischemico, grazie
alla velocità di esecuzione che agevola l’esame in pazienti in gravi
condizioni e corredati di dispositivi di supporto e monitoraggio, e alla
possibilità di escludere facilmente l’emorragia cerebrale. La quantità di
informazioni derivabili dalla TC è inoltre aumentata negli ultimi anni,
grazie all’impiego di ulteriori tecniche come l’angio-TC e la TC di perfusione (valutazione TC multimodale). Tali tecniche sono impiegate in
ambiente clinico adatto e solo se è stato escluso un evento emorragico
all’esame TC di base; il protocollo TC completo può essere eseguito in
unica sessione, con boli separati di mezzo di contrasto (mdc). Questo
approccio multimodale, incorporato nella pratica clinica delle stroke
unit, richiede con le apparecchiature multidetettore solo 10-15 minuti in
più rispetto alla TC di base, con risultati spesso più facili da interpretare
rispetto agli sfumati segni dell’esame TC di base.
Fase iperacuta (<12 ore)
Esame TC di base. Può essere negativo in circa il 50% dei casi, soprattutto se il territorio ischemico non è esteso; nei restanti casi possono
essere rilevati gli eventuali segni precoci di ischemia acuta, inizialmente
sfumati ma sempre più evidenti con il passare delle ore.
Questi comprendono l’iperdensità spontanea intravascolare, a riduzione di densità (“oscuramento”) della sostanza grigia a livello dei gangli basali e delle regioni corticali (con perdita della differenziazione con
la sostanza bianca), la scomparsa del nastro insulare (insular ribbon),
la sfumata ipodensità cortico-sottocorticale all’interno di un territorio
vascolare. Tali segni sono associati a una prognosi peggiore e a un più
scarso risultato funzionale, ma non costituiscono controindicazione
al trattamento trombolitico. La sensibilità della metodica nel riconoscimento dei segni precoci di ischemia è intorno al 61%; essi possono
essere tuttavia fonte di confusione, soprattutto per il radiologo non
esperto, con errate interpretazioni in più del 20% dei casi.
Iperdensità spontanea intravascolare (Fig. 4.1). È legata alla presenza di un trombo all’interno dell’arteria, più comunemente a livello del
segmento M1 o M2 dell’arteria cerebrale media (ACM). I coefficienti di
attenuazione del trombo raggiungono valori fino a 80 unità Hounsfield
(UH), a causa del riassorbimento del siero (al confronto, i coefficienti
del sangue circolante si aggirano intorno a 40 UH). Anche se altamente
specifico, tale reperto ha scarsa sensibilità: è osservabile solo in circa il
30% dei casi, e può essere fonte di erronea interpretazione in pazienti con aumento dell’ematocrito, policitemia, calcificazioni parietali
vascolari. È un segno prognostico sfavorevole ed è transitorio, come
dimostrato da studi TC seriati (per lisi del coagulo).
“Oscuramento” del nucleo lenticolare (Fig. 4.2). È osservabile già
a due ore dall’esordio sintomatologico ed è legato a edema citotossico
nel territorio delle arterie lenticolostriate, che rende la sostanza grigia
isodensa rispetto alla bianca delle capsule interna ed esterna; a tal fine
è fondamentale il paragone con le strutture lenticolocapsulari controlaterali; analogamente, la scomparsa del nastro insulare (Fig. 4.3) è causata
da edema citotossico della corteccia dell’insula.
Ipodensità iniziale. La definizione dell’ipodensità iniziale (Fig. 4.4)
in un territorio vascolare è di fondamentale importanza soprattutto
ai fini prognostici, in quanto l’area ipodensa corrisponde in genere a
un danno tissutale irreversibile: l’estensione a oltre un terzo del territorio dell’ACM è una controindicazione alla trombolisi. Nel territorio
coinvolto, i solchi cerebrali possono ridursi di ampiezza/evidenza a
causa dell’iniziale rigonfiamento. La sensibilità della TC senza mdc
è relativamente bassa nel riconoscimento di tale reperto nelle prime
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Figura 4.1 TC di un’ischemia iperacuta (3 ore dall’esordio clinico).
Iperdensità spontanea in corrispondenza del segmento M1 dell’arteria
cerebrale media di destra, in assenza di alterazioni dimostrabili
densitometriche del tessuto cerebrale nel territorio di distribuzione
corrispondente.
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B
Figura 4.4 TC di un’ischemia iperacuta. A,B. Due ore dall’esordio
clinico: ridotta differenziazione sostanza grigia/sostanza bianca
nella regione frontoinsulo-temporoparietale sinistra, con scarsa evidenza
dei solchi liquorali periemisferici. C,D. Al controllo a 48 ore, compare
una vasta area ischemica in sede frontoinsulo-temporoparietale sinistra,
con coinvolgimento della regione capsulonucleare, eterogenea
per la coesistenza di componenti di infarcimento emorragico.
Figura 4.2 TC di un’ischemia iperacuta (4 ore dall’esordio clinico).
A. Ridotta definizione del nucleo lenticolare e della testa del nucleo
caudato (oscuramento) a sinistra. B. Al controllo a 24 ore, chiara
demarcazione dell’area ischemica in sede nucleocapsulare sinistra.
A
B
Figura 4.3 TC di un’ischemia iperacuta. A. Quattro ore dall’esordio
clinico: sfumata ipodensità cortico-sottocorticale in regione temporo-insulare
posteriore sinistra. B. Ventiquattro ore dall’esordio clinico: l’area ischemica
ipodensa in regione temporo-insulare sinistra è meglio definita.
24 ore, soprattutto entro la limitata finestra temporale per il trattamento
trombolitico. La sensibilità può essere migliorata mediante l’adeguato
impiego di livelli di media/finestra: un’impostazione più ristretta (di
20/30 UH) consente di ottenere maggior contrasto tra il tessuto sano
e le iniziali alterazioni da edema ischemico.
Come già accennato, il coinvolgimento di più di un terzo del territorio dell’ACM costituisce un criterio di esclusione dei pazienti dal
trattamento trombolitico, a causa dell’aumento del rischio di emorragia;
l’utilizzo della regola “un terzo” ha tuttavia dimostrato scarsa correlazione tra gli osservatori.
Il punteggio ASPECTS (Alberta Stroke Program Early CT Score) è un
pratico metodo di valutazione quantitativa dell’ischemia acuta che utilizza un sistema di dieci punti topografici sulle immagini TC. Secondo
questo sistema, il territorio dell’ACM viene suddiviso in dieci regioni,
a ognuna delle quali è assegnato un punto; per ogni area coinvolta
dall’ipodensità ischemica sulle immagini TC viene detratto un punto.
Oltre a consentire maggiore correlazione tra gli osservatori, ridotti valori
del punteggio ASPECTS si correlano a un aumento della probabilità di
invalidità, emorragia sintomatica e morte.
TC di perfusione. Consente una valutazione qualitativa e quantitativa
della perfusione cerebrale. La metodica si basa sul monitoraggio del
primo passaggio di un bolo di mdc iodato attraverso il circolo cerebrale.
In genere si utilizza un piccolo bolo di mdc (50 mL), iniettato per via
endovenosa ad alto flusso (velocità di iniezione 4-5 mL/sec), seguito in
maniera dinamica attraverso il tessuto cerebrale (1-32 sezioni); ai fini
protezionistici è opportuno, inoltre, ridurre quanto possibile la dose.
Il transitorio aumento della densità, causato dal passaggio di mdc nel
tessuto cerebrale, è usato per generare curve densità/tempo in regioni
di interesse (ROI); dal grafico generato sono ottenibili i parametri di
perfusione, che comprendono il tempo di transito medio (MTT, Mean
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Figura 4.5 TC di perfusione: mappe
colorimetriche per la differenziazione
core vs penombra (A-C, quattro ore
dall’esordio). Un software dedicato
differenzia l’area infartuata (A, area rossa)
dalla più estesa penombra (A, area verde)
attraverso la valutazione di diversi parametri
perfusionali. Anche a una valutazione visiva
si coglie che nel contesto dell’estesa area
di aumentato MTT (B) è presente una più
marginale area di più ridotto CBV (C).
(Per gentile concessione del dottor
A. Cianfoni e del professor C. Colosimo,
Policlinico A. Gemelli, Roma).
C
Transit Time), il volume ematico cerebrale (CBV, Cerebral Blood Volume) e il flusso ematico cerebrale (CBF, Cerebral Blood Flow). Tali
parametri possono quindi essere visualizzati mediante mappe a colori
(color coded); in condizioni di emergenza, una rapida valutazione visiva
delle mappe di perfusione è preferibile a più precisi e sofisticati metodi
di misurazione. La mappa di MTT viene analizzata per prima, poiché
mostra le anomalie regionali più prominenti e facilita la rappresentazione della zona ischemica (aumento del MTT); successivamente
vengono analizzate le mappe di CBF e CBV, parametri più specifici
per distinguere la zona di penombra dal tessuto infartuato (Fig. 4.5).
Il tessuto ischemico (penombra) mostra un MTT aumentato, con CBF
ridotto e CBV normale o leggermente aumentato (per i meccanismi
di autoregolazione nella fase iniziale di ischemia), mentre il tessuto
infartuato mostra un MTT aumentato, CBF e CBV marcatamente ridotti.
Sulla base di alcuni valori soglia per il tessuto infartuale (CBV <2 L/
min; MTT >145% per il tessuto ischemico), è possibile delineare sulle
mappe le zone di infarto e di penombra, generabili automaticamente
con alcuni software. Anche se tali dati concorrono alla selezione dei
pazienti per il trattamento trombolitico, allo stato attuale i dati di TC
di perfusione non sono ancora inclusi nei criteri standardizzati.
Il problema principale in molti pazienti con ischemia in fase acuta
è rappresentato dagli artefatti da movimento, che possono inficiare lo studio; l’immobilizzazione della testa del paziente è in genere
in grado di limitarne il movimento. Da un punto di vista tecnico, il
limite della TC di perfusione può essere il ridotto campo di esame (24 cm per scansione); in genere è utilizzata una singola fetta di 4 cm a
livello della regione dei gangli della base, in quanto contiene territori
rappresentativi dell’arteria cerebrale anteriore, media e posteriore.
Possono anche essere impostate regioni di interesse in altri territori,
per esempio in sede sottotentoriale (anche se più soggetta ad artefatti).
Apparecchiature più recenti a 256 strati sono in grado di fornire una
copertura dell’intero cervello.
Angio-TC. Può valutare il circolo intra- ed extracranico; gli obiettivi
nell’ischemia acuta sono la definizione della sede dell’occlusione e degli
altri segni della malattia aterosclerotica, la valutazione del circolo collaterale e la dimostrazione/esclusione di dissezione arteriosa. La metodica
si basa su un’acquisizione volumetrica a strato sottile eseguita con un
bolo di mdc non ionico (300-400 mg di iodio/mL), ottimizzata per la
valutazione dei vasi cerebro-afferenti (arterie carotidi e vertebrali) e del
poligono di Willis; il campo di acquisizione, pertanto, comprende la
regione compresa dall’arco aortico al vertice. L’analisi delle immagini
assiali è essenziale, ma per i vasi del collo (arterie carotidi e vertebrali) le
ricostruzioni multiplanari facilitano molto la valutazione delle placche
aterosclerotiche (calcificazioni, componente fibrolipidica, superficie,
ulcerazioni) e la quantificazione del grado di stenosi. Per il circolo
intracranico, le ricostruzioni tridimensionali (MIP, Maximum Intensity
Projection) consentono la rapida identificazione di occlusione o stenosi
vascolari. L’angio-TC permette di individuare il trombo intravascolare
nei vasi maggiori (carotide, ACM, tronco basilare) come difetto di
riempimento (reperto corrispondente all’iperdensità spontanea intra-
vascolare dell’esame TC di base); essa permette anche la valutazione
di trombosi di vasi minori, spesso sottostimate nella pratica clinica
quotidiana, e del grado del circolo collaterale leptomeningeo (l’entità
della rete collaterale piale si correla a una migliore prognosi).
L’entità del circolo collaterale può essere stimata sulla base di una
versione semplificata della classica scala angiografica:
• 0: nessun vaso collaterale visibile nella sede ischemica;
• 1: vasi collaterali visibili alla periferia dell’area ischemica;
• 2: completa copertura dell’area ischemica mediante il circolo
collaterale;
• 3: flusso anterogrado normale.
L’insieme di tali informazioni aiuta a predire l’entità dell’infarto finale
e la selezione dei pazienti per un’eventuale trombolisi intrarteriosa. In
particolare, oltre a differenziare stenosi prossimali (tratto M1), adatte
a una trombolisi intrarteriosa, da stenosi più distali (M2-M3), l’angioTC è particolarmente utile per la rilevazione di trombosi del sistema
vertebro-basilare, di difficile identificazione all’esame TC di base e
spesso non incluso nel campo di studio della TC di perfusione.
Un passo successivo prevede la valutazione delle immagini di base
per un’analisi dell’intero cervello (angio-TC Source Imaging). Questa
tecnica fornisce una mappa del volume di perfusione cerebrale, in
quanto il mdc opacizza il microcircolo cerebrale nel tessuto normalmente perfuso, ma non il microcircolo nelle regioni infartuate, che
appaiono come aree tissutali relativamente ipodense; per la rilevazione
di queste ultime è importante un’adeguata impostazione dei livelli di
media/finestra.
L’angio-TC Source Imaging è più sensibile rispetto all’esame TC di
base nella rilevazione precoce dell’area di ischemia irreversibile e più
precisa nella predizione del volume finale dell’infarto, fornendo informazioni complementari allo studio della TC di perfusione, con buona
correlazione con le alterazioni dimostrate allo studio di diffusione e
di perfusione in RM.
Fase acuta (12-24 ore)
Nella fase acuta, l’area ischemica appare più nettamente ipodensa secondariamente all’edema, a margini più netti, con forma triangolare o
trapezoidale e base verso la corteccia ed effetto massa dipendente anche
dall’estensione del territorio coinvolto.
L’alterazione ischemica configura nei casi tipici precisi territori vascolari, con variabilità determinata da fattori quali sede prossimale o
distale dell’arteria occlusa, validità del circolo collaterale, insorgenza
lenta o acuta dell’occlusione.
Territorio della cerebrale media. Sono gli infarti più frequenti; si
distinguono:
• infarto silviano totale (grande rammollimento silviano): da occlusione
prossimale della cerebrale media o della carotide interna,
con comunicante anteriore funzionante. Coinvolge la regione
fronto-parietale e nucleo-capsulare, risparmiando il talamo;
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• infarto silviano superficiale: da occlusione della cerebrale media
•
a valle delle perforanti; è simile al precedente, con risparmio
della regione nucleo-capsulare; può essere totale o parziale
(anteriore o posteriore);
infarto silviano profondo: da occlusione dei rami perforanti
della cerebrale media; coinvolge, con morfologia ovalare,
capsula interna, caudato e lenticolare.
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Territorio della cerebrale anteriore. Tale infarto è raramente isolato
e si associa più frequentemente all’infarto silviano per occlusione della
carotide interna con comunicante anteriore non funzionante. L’infarto
totale comprende una parte superficiale (parte orbitaria del frontale,
regioni fronto-parietali mesiali, circonvoluzione calloso-marginale) e
una profonda (testa del caudato, parte anteriore del putamen, braccio
anteriore della capsula interna).
Territorio della coroidea anteriore. L’infarto, raramente isolato, è
importante per le strutture coinvolte: braccio posteriore della capsula
interna, nucleo pallido, terzo posteriore del caudato, nuclei posteriori
del talamo, uncus, amigdala, tratti ottici, corpi genicolati.
Territorio della cerebrale posteriore. L’infarto coinvolge territori
superficiali (lobi occipitali, in misura minore III e IV circonvoluzione
temporale) o profondi (più frequentemente talamo e corpi genicolati,
inoltre porzione postero-inferiore dell’ipotalamo, nuclei rossi, radiazioni ottiche e porzione posteriore del corpo calloso).
Territorio delle cerebellari superiori. L’infarto coinvolge la superficie
superiore degli emisferi cerebellari e del verme.
Figura 4.6 TC di un’ischemia subacuta. Prima (A,B) e dopo (C,D)
iniezione endovenosa di mezzo di contrasto. Impregnazione giriforme
della corteccia occipitolaterale sinistra (fogging effect).
Territorio delle cerebellari postero-inferiori. L’infarto coinvolge
la superficie inferiore degli emisferi cerebellari e del verme e spesso la
fossetta retro-olivare del bulbo.
Territorio del tronco basilare. L’infarto comporta il coinvolgimento
del territorio delle cerebrali posteriori bilateralmente e delle cerebellari
superiori.
Territori di confine o giunzionali. Gli infarti conseguono in genere
a condizioni di ipotensione prolungata o occlusione carotidea con
discreto funzionamento dei circoli collaterali; si distinguono:
• grande infarto giunzionale: costituito da multipli infarti lacunari
•
•
•
nel contesto della sostanza bianca dal frontale all’occipitale,
con distribuzione parasagittale;
infarto giunzionale tra cerebrale anteriore e media, a livello
della sostanza bianca fronto-parietale;
infarto giunzionale tra cerebrale media e posteriore, a sede temporooccipitale;
infarto giunzionale tra i territori superficiale e profondo della cerebrale
media, a livello della sostanza bianca periventricolare
o tra putamen e insula.
Fase subacuta (24 ore-2-4 settimane)
La fase subacuta è caratterizzata dalla coesistenza di edema e necrosi tissutale, con accentuazione dell'ipodensità a livello del focolaio ischemico,
a margini ben definiti. A partire dalla 2a-3a settimana, con la progressiva
riduzione della componente di edema, si riduce progressivamente l’effetto
massa e la densità tende ad aumentare; in alcuni casi, il focolaio infartuale
diventa isodenso al tessuto cerebrale e quindi mal riconoscibile (effetto
nebbia o fogging effect; Fig. 4.6). In questi casi la somministrazione di mdc
endovenosa, per alterazione della barriera emato-encefalica, determina
impregnazione disomogenea, giriforme, soprattutto della corteccia.
In caso di riperfusione dell’area ischemica, si può verificare uno stravaso emorragico nel contesto della lesione ischemica. In genere, la
trasformazione emorragica dell’infarto si riscontra in caso di occlusione
embolica di un vaso prossimale; secondo le statistiche autoptiche, si
verificano aree di trasformazione emorragica nel 50-70% dei casi degli
infarti, mentre l’incidenza dimostrabile mediante TC e RM è considerevolmente minore (20%). Le localizzazioni principali sono costituite dai
gangli della base e dalle aree corticali; l’infarcimento emorragico presenta
una particolare predilezione per le regioni temporo-occipitali, forse per
un diverso rapporto vene/arterie rispetto alle altre sedi. L’infarcimento
emorragico è possibile – molto raramente – anche nella fase acuta.
Fase cronica (>4 settimane)
L’area infartuale evolve verso la poroencefalia o la gliosi cicatriziale, ma
nella gran parte dei casi tali aspetti coesistono. Essa pertanto si riduce di
dimensioni, con densità ridotta e contorni netti; si associa dilatazione
ex vacuo del sistema ventricolo-cisternale adiacente.
Nella tabella 4.1 è riassunta la semeiotica TC dell’ischemia cerebrale.
Semeiotica RM
La RM ha da un lato enormi potenzialità diagnostiche, dall’altro un ruolo ancora limitato nelle prime fasi dell’evento ischemico, per la minore
diffusione delle apparecchiature e la più difficile gestione di pazienti non
collaboranti. Nella pratica clinica quotidiana, la RM è utilizzata nei casi
in cui la TC risulta ancora normale anche a un controllo a 24 ore dall’episodio ictale, o nel sospetto di lesione del circolo vertebro-basilare anche
dopo 3 ore dall’esordio dei sintomi; essa è inoltre superiore alla TC nella
definizione delle fasi croniche dell’ischemia. La RM consente la definizione dell’ictus ischemico attraverso l’identificazione di differenti reperti,
spesso coesistenti, corrispondenti a eventi emodinamici (alterazioni del
flusso arterioso) e fisiopatologici (alterazioni di segnale e morfologiche
conseguenti a effetto massa, impregnazione dopo mdc).
Fase iperacuta
RM di base. Lo studio, in fase iperacuta, mira a documentare l’occlusione vascolare, l’alterazione di segnale del tessuto ischemico e le
alterazioni morfologiche locali.
L’alterazione di segnale del vaso arterioso occluso dal processo trombotico o embolico rappresenta uno dei reperti più precoci di ischemia
cerebrale. In condizioni normali, le arterie presentano assenza di segnale
intraluminale (flow void) a causa del flusso rapido e/o turbolento,
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Sezione
|1|
Cranio/Encefalo
Tabella 4.1 Ischemia cerebrale: semeiotica TC
Fase iperacuta
Fase acuta
• Iperdensità spontanea
• Accentuazione dell’ipodensità
intravascolare (ACM, basilare)
ischemica in territori vascolari
• Oscuramento del nucleo
• Accentuazione dell’effetto massa
lenticolare (da edema citotossico)
• Ipodensità in territorio vascolare
• TC di perfusione: aumento MTT,
riduzione CBF, riduzione CBV
• Angio-TC: occlusione vasi
maggiori (carotide, ACM,
basilare); entità del circolo
collaterale; lesioni aterosclerotiche
al collo
meglio apprezzabile in T2, per la maggiore suscettibilità al movimento
e il migliore contrasto con il liquor. Nei vasi intracranici maggiori, a
causa del rallentamento o della stazionarietà del flusso, la scomparsa
del flow void può essere rilevata già entro pochi minuti dall’evento. Le
sequenze FLAIR risultano particolarmente sensibili alla rilevazione
dell’alterazione del segnale vascolare, dimostrando una caratteristica iperintensità nel vaso occluso, con risultati paragonabili a quelli
dell’angio-RM; le sequenze Gradient Echo sono meno utili: in esse il
flusso ematico è caratterizzato in condizioni normali da un segnale
spontaneamente iperintenso (Fig. 4.7 A). Informazioni diagnostiche
circa la sede specifica e l'entità dell’occlusione vasale sono ottenibili
mediante angio-RM (Fig. 4.7 B).
Le alterazioni di segnale del tessuto ischemico sono più difficilmente
osservabili con sequenze convenzionali durante le prime 4-6 ore dall’oc-
A
Fase subacuta
Fase cronica
• Riduzione dell’ipodensità
• Evoluzione verso poroencefalia
ischemica
e gliosi (+ ipodensità)
• Riduzione dell’effetto massa
• Dilatazione ventricolo-cisternale
• Fogging effect
• Trasformazione emorragica (20%)
• Mdc ev: impregnazione
in sostanza grigia da danno BEE
clusione vascolare, in quanto probabilmente l’edema citotossico è correlato a un modesto incremento della concentrazione intracellulare di
acqua. Le sequenze FLAIR consentono maggiore sensibilità, con valori
di accuratezza diagnostica fino all’86% entro le prime 3 ore dell’esordio
sintomatologico (Fig. 4.8).
Possono associarsi alterazioni morfologiche locali a seconda dell’entità dell’edema citotossico, più agevolmente riconoscibili nelle lesioni
ischemiche corticali, come il rigonfiamento dei giri corticali, la cancellazione dei solchi, la ridotta definizione dell’interfaccia tra sostanza
bianca e sostanza grigia.
A
B
C
D
B
C
Figura 4.7 RM di un’ischemia iperacuta. A,B. Immagini FLAIR assiali.
Il fisiologico flow void a livello della carotide interna di sinistra è sostituito
da iperintensità lungo tutto il decorso del vaso, in assenza di alterazioni
dimostrabili del segnale del tessuto cerebrale. C. Angio-RM (tempo
di volo 3D): scomparsa del segnale di flusso nella carotide interna
di sinistra; riduzione di calibro e del segnale di flusso della cerebrale
anteriore e media omolateralmente, per compenso parziale attraverso
il poligono di Willis.
Figura 4.8 RM di un’ischemia iperacuta. A,B. Immagini FLAIR assiali
(1 ora dall’esordio clinico). Esame disturbato da artefatti da movimento;
si intravede – con difficoltà – una sfumata iperintensità di segnale
nella circonvoluzione frontale superiore di sinistra. C,D. Sequenza FLAIR
sul piano assiale. Al controllo a 12 ore è ben definibile un’alterazione
di segnale cortico-sottocorticale nella convessità fronto-parietale
di sinistra.
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Patologia cerebrovascolare acuta e cronica
A
B
dall’insulto ischemico, un’anomala impregnazione intravascolare, non
soltanto nei vasi arteriosi maggiori, ma anche nelle diramazioni corticali, che indicano o “segnano” l’area colpita. Tale reperto può precedere
le modificazioni del segnale del tessuto cerebrale ischemico, ed è legato
al rallentamento del flusso arterioso (flusso lento anterogrado nelle
occlusioni incomplete, flusso collaterale retrogrado nelle occlusioni
prossimali complete). Esso è correlabile entro certi limiti alla gravità
clinica: è stato dimostrato infatti che, in caso di occlusione della cerebrale media, l’impregnazione intravascolare si associa a minore estensione del danno ischemico a distanza di tempo. Diverso è il significato
del reperto in caso di pervietà della cerebrale media, riconducibile a
rallentamento “ortodromico” del flusso.
Studio di diffusione. Consente di rilevare in fase precoce le aree ischemiche poiché l’edema citotossico determina restrizione della diffusione
fisiologica dell’acqua (segnale fortemente iperintenso nelle sequenze in
diffusione/DWI e ipointenso nelle mappe di ADC); la sede e l’estensione dell’area rilevata in fase precoce hanno generalmente una completa
corrispondenza con il focolaio infartuale che si stabilizza successivamente (Fig. 4.9). La sensibilità nell’evidenziare l’edema citotossico è
prossima al 100%, 2-3 volte superiore a quella della FLAIR; inoltre, solo
nel 50% dei casi è riscontrabile corrispondente ipodensità precoce alla
TC, in media molto meno estesa. L’alterazione in diffusione esprime,
quasi costantemente, un danno irreversibile, che tende ad aumentare
nel tempo, almeno nei pazienti non trattati con terapia fibrinolitica.
Oltre all’identificazione della lesione, lo studio di diffusione agevola
il riconoscimento del pattern di distribuzione (analogamente a quanto precedentemente definito nella semeiotica TC). Una patogenesi
trombo-embolica determina lesioni con tipica distribuzione vascolare
territoriale, mentre una patogenesi emodinamica o una dissecazione
determinano una più tipica sofferenza dei territori di confine superficiali
(tra circolo anteriore, medio e posteriore) o profondi (tra rami perforanti e rami sottocorticali della cerebrale media). Infine, l’occlusione
delle piccole arterie perforanti è alla base delle lesioni lacunari, di solito
di dimensioni circoscritte e localizzate nei nuclei della base o nella
sostanza bianca profonda. Il riconoscimento di un determinato pattern
orienta quindi verso una specifica patogenesi dell’evento, influenzando la scelta terapeutica. Esistono, infine, casi in cui la diffusione non
riesce a dimostrare alterazioni in fase iperacuta: questi comprendono
le piccole lesioni in fossa posteriore e le lesioni studiate a brevissimo
intervallo (<1 ora) dall’episodio clinico.
Studio di perfusione. Si basa sugli effetti T2 e T2* (DSC, Dynamic Susceptibility Contrast) del passaggio del mdc paramagnetico endovena in
concentrazione elevata; il mdc distorce il campo magnetico locale, causando uno sfasamento degli spin nel tessuto cerebrale adiacente ai vasi con
conseguente perdita di segnale dovuta agli effetti di suscettibilità, con riduzione del tempo di rilassamento T2*. La riduzione del T2* è misurabile e
correlabile al volume ematico; l’acquisizione di immagini in serie consente
quindi di rapportare il volume ematico al tempo di transito medio, che
rappresenta il flusso ematico cerebrale. Più recentemente, è stata introdotta
|4|
Figura 4.9 RM di un’ischemia
iperacuta. A. Immagine FLAIR (4 ore
dall’esordio clinico). Dubbia e sfumata
areola iperintensa in corrispondenza della
porzione postero-laterale destra del bulbo.
B. Studio di diffusione. Chiara definizione
di un’area di restrizione da edema
citotossico in corrispondenza della porzione
postero-laterale destra del bulbo. C.
Immagine FLAIR (controllo a 24 ore).
Definizione dell’area ischemica, con buona
corrispondenza con il precedente studio
di diffusione.
C
Mezzo di contrasto. Il mdc per via endovenosa determina, entro 6 ore
Capitolo
la tecnica di perfusione basata sugli effetti T1 del mdc paramagnetico, ma
il suo impiego è oggi prevalentemente riservato allo studio delle neoplasie.
L’acquisizione ultraveloce con eco planare (EPI, Echo Planar Imaging)
consente, grazie a una risoluzione temporale superiore (maggior numero
di immagini acquisibili nell’unità di tempo), una più precisa distinzione
dei ritardi nel passaggio del mdc e una maggiore sensibilità alla suscettività
magnetica. La DSC è in grado di dimostrare l’ipoperfusione regionale come
(allungamento del MTT, riduzione di CBF e di CBV) anche dopo solo pochi
minuti dall’instaurarsi dell’occlusione. L’utilizzo combinato delle tecniche
di perfusione e di diffusione consente inoltre di distinguere nel territorio
ischemico le aree destinate alla necrosi da quelle di “penombra”, caratterizzate da basso flusso ematico (oligoemia) e quindi a rischio di infarto
(mismatch o disaccoppiamento); la penombra ha possibilità di recupero
funzionale in caso di ripristino del flusso (Fig. 4.10). Un disaccoppiamento
A
B
C
D
Figura 4.10 Mismatch RM di diffusione/perfusione di un’ischemia
iperacuta a 5 (A,B) e 6 (C,D) ore dall’esordio. La mappe perfusionali
rilevano aree di basso flusso ematico (A,C, aree rosse) molto più estese
delle aree di edema citotossico rilevate dalla diffusione (B,D, iperintensità).
(Per gentile concessione del dottor A. Cianfoni e del professor
C. Colosimo, Policlinico A. Gemelli, Roma).
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Sezione
|1|
Cranio/Encefalo
tra diffusione e perfusione in RM è presente in circa il 70% dei pazienti con
ischemia del circolo anteriore esaminati entro 6 ore dall’esordio. Tuttavia,
non sono stati ancora identificati criteri di selezione terapeutica basati sui
risultati RM, soprattutto a causa della variabilità di questi ultimi (possibilità
teorica di regressione delle lesioni in diffusione, eterogeneità e valori non
quantitativi dei risultati della perfusione). Ulteriori progressi per la standardizzazione potranno derivare dalla diffusione dell’uso della tecnica di
perfusione senza mdc denominata ASL (Arterial Spin Labeling).
Lo studio angio-RM nel paziente ischemico è tuttavia limitato da alcuni
fattori:
Spettroscopia. Non trova applicazione pratica nello studio dell’ischemia
• errata interpretazione in caso di perdita di segnale del distretto
cerebrale acuta, soprattutto a causa dei lunghi tempi di acquisizione. Essa
consente teoricamente di riconoscere la comparsa nell’area ischemica di
un evidente picco di lattato; nell’ischemia cerebrale infatti si verifica, entro
10 minuti dall’occlusione, una deviazione metabolica verso la glicolisi
anaerobia, con aumento della concentrazione dell’acido lattico e riduzione del pH intracellulare. Tale concentrazione contribuisce alla necrosi
per l’aumento del rigonfiamento cellulare e per l’alterazione della barriera
emato-encefalica. Successivamente si assiste alla riduzione dell’N-acetilaspartato, indice della riduzione della popolazione neuronale vitale.
Angio-RM. Completa i dati delle alterazioni tissutali, fornendo informazioni circa la sede e le caratteristiche dell’occlusione vasale. La
tecnica è inoltre in grado di definire lo sviluppo di circoli collaterali ed
eventuali alterazioni vascolari in altre sedi. Lo studio completo prevede
la tecnica contrast enhanced per i tronchi epiaortici e la tecnica “tempo
di volo” per il circolo intracranico.
La valutazione delle arterie cerebrali può modificare l’atteggiamento
terapeutico: un reperto vascolare normale esclude la necessità di trombolisi, mentre un’occlusione prossimale (carotide interna, cerebrale
media, tronco basilare) può indicare un più appropriato trattamento
per via arteriosa (Fig. 4.11).
A
C
B
D
Figura 4.11 RM di un’ischemia iperacuta. A-C. Immagini di diffusione
(DWI) assiali (6 ore dall’esordio clinico). Segnale iperintenso da edema
citotossico coinvolgente diffusamente l’emisfero cerebellare di sinistra
e, in misura minore, il destro, il peduncolo cerebellare medio di sinistra,
il ponte, il mesencefalo e le regioni talamomesiali da entrambi i lati.
D. Angio-RM (tempo di volo 3D): progressiva riduzione di calibro del tronco
basilare a livello del terzo distale, con interruzione del segnale
di flusso a livello dell’apice; ipoplasia dell’arteria vertebrale di sinistra.
• lunghezza delle sequenze, che mal si concilia con pazienti in fase
iperacuta, spesso agitati o non collaboranti;
• ridotta risoluzione anatomica delle diramazioni distali, un limite
importante soprattutto nelle occlusioni emboliche;
• povertà dell’arborizzazione vascolare da riduzione globale
del flusso nei pazienti anziani;
vascolare in presenza di turbolenze del flusso.
Fase acuta
La fase acuta è legata allo sviluppo progressivo dell’edema citotossico,
con accumulo intracellulare di acqua e conseguente accentuazione delle
alterazioni di segnale e dell’effetto massa. L’ischemia si manifesta come
area di elevato segnale nelle sequenze a TR lungo, in genere indicativa di
morte cellulare, con grande variabilità dei tempi di comparsa, oscillanti da
4 a 12 ore dall’insulto. Nell’ischemia cortico-sottocorticale, l’alterazione
di segnale coinvolge precocemente la sostanza grigia, mentre la sostanza
bianca può permanere normale fino anche a 24 ore di distanza dall’evento
ictale. In alcuni casi si riscontra, in sequenze T2-dipendenti, una tenue
ipointensità della sostanza bianca sottocorticale, correlabile forse alla
presenza di ferro o di radicali liberi. Come accennato precedentemente, le
sequenze FLAIR presentano maggiore sensibilità, soprattutto nel definire
l’interessamento della sostanza grigia corticale e della sostanza bianca periventricolare, evitando eventuali artefatti di volume parziale con il liquor; la
diffusione persiste ristretta nell’area ischemica (Figg. 4.12 e 4.13). L’uso del
mdc determina, in circa un terzo degli infarti corticali tra il primo e il terzo
giorno dell’occlusione vasale, impregnazione meningea, che si sovrappone
all’impregnazione vascolare ed è legata alla congestione piale.
Fase subacuta
La fase subacuta, legata allo sviluppo dell’edema extracellulare (vasogenico), è caratterizzata da un'ulteriore accentuazione delle alterazioni
di segnale e dell’effetto massa, con giri corticali rigonfi, scomparsa
dei solchi e distorsione del sistema ventricolare (Fig. 4.13). Tali alterazioni tendono ad attenuarsi sensibilmente dopo la seconda settimana,
fino a scomparire in alcuni casi (fogging effect).
Il segnale in DWI persiste elevato per molti giorni dopo l’evento acuto
(prevalendo l’effetto T2), mentre quello in ADC decresce progressivamente. Nel 20% dei casi possono comparire componenti emorragiche
nel contesto dell’area ischemica, di segnale variabile in relazione alla fase
temporale della lesione, analogamente all’ematoma intraparenchimale
(vedi oltre). L’infarto emorragico in fase precoce è caratterizzato dalla
presenza di foci intralesionali tenuemente ipointensi in T2 (meglio visibili
nelle sequenze T2*-GRE), circondati da edema; la natura ischemica può
essere riconosciuta in base alla corrispondenza con un territorio vascolare. Le sequenze di suscettività (SWI, Susceptibility Weighted Imaging),
superiori rispetto alle GRE, si sono dimostrate particolarmente sensibili
all’identificazione dei foci di trasformazione emorragica. Nelle fasi successive, il segnale della componente emorragica diviene iperintenso in T1 e
T2, con distribuzione irregolare, sotto forma di strie o noduli, talora con
aspetto giriforme se la componente emorragica è corticale. In fase cronica,
l’emosiderina determina un segnale ipointenso in T2, unico segno della
pregressa componente emorragica nella fase degli esiti, associato all’atrofia. L’iniezione di mdc paramagnetico endovena determina impregnazione
parenchimale nell’area infartuale, di solito massiva a 4 giorni dall’insulto
ischemico e riscontrabile in quasi tutti i pazienti da 7 a 30 giorni, quindi
progressivamente attenuantesi, persistendo per 6-8 settimane. L’impregnazione parenchimale è dovuta alla ricanalizzazione del vaso occluso o
all’instaurarsi del circolo collaterale e alla presenza di un’alterazione della
barriera emato-encefalica, che facilita il passaggio del mdc nel tessuto
ischemico. Questo tipo di impregnazione (caratteristicamente giriforme
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Patologia cerebrovascolare acuta e cronica
A
B
Capitolo
|4|
C
Figura 4.12 RM di un’ischemia acuta. Immagini FLAIR assiali. A. 10 ore dall’esordio clinico: tenue iperintensità corticale in regione occipitale sinistra.
B. Al controllo a 6 giorni (fase subacuta), si apprezza un’accentuazione dell’alterazione di segnale in regione occipitale sinistra e dell’effetto massa,
con rigonfiamento dei giri corticali e scomparsa dei solchi liquorali, secondariamente allo sviluppo dell’edema vasogenico. C. Al controllo a 45 giorni
(fase cronica), l’alterazione di segnale appare ridotta secondariamente all’evoluzione gliotica dell’area ischemica.
A
B
C
D
E
F
G
H
Figura 4.13 Ischemia acuta. A,B. TC (2 ore dall’esordio clinico): non sono definibili sicure alterazioni densitometriche, né dei territori
corticali né delle strutture grigie profonde. C,D. Sequenza FLAIR sul piano assiale (24 ore dall’esordio clinico): segnale iperintenso interessante
le regioni corticali e sottocorticali in sede temporo-insulare e a livello del giro frontale medio di sinistra, nonché il nucleo lenticolare e il corpo del caudato
omolateralmente. E,F. Studio di diffusione. Le alterazioni di segnale descritte in FLAIR risaltano in maniera più evidente a causa della restrizione
della diffusione. G,H. TC (controllo a 72 ore): evoluzione ipodensa dell’area ischemica nelle sedi evidenziate inizialmente con lo studio di diffusione.
a sede corticale) può essere utile nella diagnosi differenziale con altre
patologie. L’impregnazione intravascolare e quella meningea iniziano a
diminuire progressivamente entro 2-4 giorni dopo l’occlusione vasale.
Fase cronica
La fase cronica si instaura dopo un periodo di tempo variabile, in relazione alle dimensioni dell’area ischemica, in genere verso la quarta
settimana. Essa è caratterizzata dalla risoluzione dell’edema, dal rias-
sorbimento del tessuto necrotico e dal ripristino della barriera ematoencefalica. Il risultato finale del processo distruttivo comprende la malacia (fenomeni di cavitazione cistica), di segnale sostanzialmente isointenso al liquor, e la gliosi riparativa, di segnale elevato nelle sequenze a TR
lungo; l’area infartuale appare meno estesa rispetto alle fasi precedenti
e meglio definita. L’effetto massa evolve verso l’atrofia focale per perdita
di tessuto, con dilatazione consensuale del sistema ventricolo-cisternale
(Fig. 4.14). Il mdc endovena non determina alcuna impregnazione, per
il ripristino della barriera emato-encefalica. Il segnale in diffusione tende
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Sezione
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A
Cranio/Encefalo
A
B
Figura 4.14 RM di un’ischemia in fase cronica. Immagini FLAIR assiali.
Estesa area di alterato segnale, di natura malacica, interessante la regione
frontotemporo-insuloparietale di destra, estesa in profondità a sede
putamino-capsulare interna e delimitata medialmente da alone iperintenso
di natura gliotica. L’emisfero coinvolto appare ridotto di dimensioni,
con modico ampliamento consensuale del ventricolo omolaterale.
a normalizzarsi in 2 mesi e quindi la DWI può essere utile per riconoscere lesioni recenti nel contesto di esiti ischemici in fase cronica.
In questa fase divengono evidenti gli effetti a distanza dell’infarto
cerebrale, in particolare la degenerazione walleriana, processo interessante
gli assoni che originano nell’area infartuale e la loro guaina mielinica
secondo una progressione anterograda (per esempio, la via corticospinale), conseguente a lesioni della porzione prossimale del neurone.
Tale processo ha una tipica evoluzione per stadi:
• stadio I (prime 4 settimane): è caratterizzato da degenerazione
•
•
•
assonale senza alterazione della mielina e non si apprezza alcuna
alterazione di segnale;
stadio II (4-14 settimane): per degradazione della componente
proteica della mielina con preservazione di quella lipidica
si determina un aumento relativo del contenuto idrofobico
che causa un segnale ipointenso in T2;
stadio III (>14 settimane): la degradazione della componente
lipidica della mielina si associa a gliosi e ad aumento
del contenuto locale di acqua, responsabile di un segnale
iperintenso nelle sequenze a TR lungo;
stadio IV (6-12 mesi): nella sede degli assoni degenerati
si instaura gliosi, con segnale iperintenso nelle sequenze a TR
B
Figura 4.15 RM di una degenerazione walleriana. Immagini T2-TSE
coronali. Vasta area malacica in sede fronto-temporale destra, da esiti
di lesione ischemica. Si associa un segnale iperintenso esteso dalla corona
radiata al ponte, attraverso la capsula interna e il peduncolo cerebrale;
quest’ultimo mostra un’evidente riduzione dello spessore.
lungo, associata a involuzione atrofica del peduncolo cerebrale
e della porzione più rostrale del ponte omolateralmente
alla lesione emisferica, di entità variabile a seconda dell’estensione
dell’area infartuale sopratentoriale, con emiatrofia controlaterale
del bulbo, distalmente alla decussazione delle piramidi (Fig. 4.15).
Nella tabella 4.2 è riassunta la semeiotica RM dell’ischemia cerebrale.
PATOLOGIA OCCLUSIVA VENOSA
La patologia occlusiva venosa è una condizione relativamente infrequente (rispetto a quella arteriosa), ma probabilmente sottovalutata
in passato; il suo riconoscimento precoce, tuttavia, è cruciale ai fini di
un'adeguata terapia per prevenire, quando possibile, un danno cerebrale
irreversibile. L’occlusione delle vene di drenaggio dell’encefalo può
verificarsi secondariamente a un’infezione (otite media, mastoidite), a
un trauma, a un intervento neurochirurgico, a un’invasione neoplastica
oppure a stati di ipercoagulabilità (coagulazione intravascolare disseminata, policitemia). La condizione è predominante nelle donne, per le
quali uno dei principali fattori di rischio è rappresentato dall’assunzione
Tabella 4.2 Ischemia cerebrale: semeiotica RM
Fase iperacuta
Fase acuta
Fase subacuta
Fase cronica
• Scomparsa del flow void
• T1 < T2 < FLAIR: iniziale alterazione
del segnale (sostanza grigia + iniziali
segni di effetto massa corticale
(rigonfiamento giri, scomparsa solchi,
perdita interfaccia grigia/bianca)
• mdc: impregnazione intravascolare
(75% dei casi)
• Angio-RM: occlusione vasale
• Diffusione: riduzione del coefficiente
di diffusione da edema citotossico
• Perfusione: decremento della curva
segnale/tempo (riduzione CBV, CBF)
• Mismatch diffusione/perfusione:
penombra
• Accentuazione
delle alterazioni
di segnale
(+ grigia, − bianca)
• Accentuazione
dell’effetto massa
• mdc: impregnazione
meningea
• Accentuazione delle alterazioni
di segnale e dell’effetto massa
(fino alla seconda settimana)
• Trasformazione emorragica
(20% dei casi)
• mdc: impregnazione
parenchimale (7-30 giorni)
scomparsa dell’impregnazione
intravascolare e meningea
• Malacia: segnale simil-liquorale
• Gliosi: tenue ipointensità in T1;
iperintensità in T2/FLAIR
• Dilatazione ventricolo-cisternale;
segni di atrofia focale
• mdc: assenza di impregnazione
patologica
• Degenerazione walleriana
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Patologia cerebrovascolare acuta e cronica
di farmaci estroprogestinici (rischio 13 volte superiore di sviluppare una
trombosi venosa). La trombosi venosa è un processo graduale che inizia
di solito con l’occlusione di un seno durale, seguita dall’ostruzione
delle vene corticali tributarie del seno. La persistenza dell’occlusione
causa aumento della pressione venulare e capillare e riduzione della
pressione arteriosa, con conseguente edema citotossico e morte cellulare; l’aumentata pressione venulare e capillare, inoltre, può determinare
infarcimento ematico e talora sanguinamento subaracnoideo e/o subdurale. I seni venosi più frequentemente interessati sono in ordine di
frequenza il sagittale superiore, il trasverso, il sigmoide e il cavernoso.
I territori venosi interessati dall’infarto da stasi venosa sono anatomicamente differenti da quelli arteriosi, hanno spesso sede sottocorticale e
possono essere bilaterali. La trombosi della vena cerebrale interna è più
rara ma più grave, causando infarti bilaterali a livello del mesencefalo,
dei nuclei grigi profondi e della sostanza bianca adiacente.
La presentazione clinica della patologia occlusiva venosa è subdola
e polimorfa, al contrario di quanto avviene per l’infarto arterioso, di
più agevole diagnosi clinica. L’esordio può essere subacuto (da due
giorni a un mese) in circa il 50% dei casi, a causa della lenta progressione del trombo e dell’instaurarsi di circoli collaterali di deflusso; è
più raro l’esordio acuto (<2 giorni, 30%) e cronico (>1 mese, 20%).
Il sintomo d’esordio più frequente è la cefalea, in genere rapidamente
progressiva, severa, persistente, unilaterale; possono manifestarsi anche
segni neurologici focali (afasia, emiplegia, amnesia, emianopsia ecc.)
e crisi comiziali.
Lo studio neuroradiologico è fondamentale per formulare la diagnosi. TC e RM sono in grado di dimostrare sia i segni diretti della trombosi
(evidenza del trombo all’interno delle strutture venose coinvolte) sia
quelli indiretti (alterazioni tissutali); angio-TC e angio-RM permettono
la dimostrazione dell’occlusione dei seni venosi.
A
B
C
D
E
F
Capitolo
|4|
Semeiotica TC
La TC, eseguita in genere in emergenza, risulta negativa in una percentuale di casi variabile dal 10 al 30%. La percentuale di dimostrazione
diretta del trombo varia a seconda delle casistiche dal 20 al 55%. Esso
si manifesta (soprattutto nelle prime due settimane) con strie lineari di
iperdensità in corrispondenza delle vene corticali occluse (segno “della
corda”) o, se all’interno del seno longitudinale superiore, come immagine triangolare iperdensa. Dopo le prime settimane, il trombo può
essere riconosciuto solo dopo somministrazione di mdc come difetto
di riempimento del seno, circondato da un orletto iperdenso dovuto
all’impregnazione dei vasa vasorum e della dura (segno “delta”, Δ).
I segni indiretti sono invece aspecifici e sono rappresentati da infarti
cerebrali che non rispettano un territorio vascolare arterioso (Fig. 4.16 A);
nelle trombosi del seno longitudinale superiore le lesioni possono
essere bilaterali, mentre nelle trombosi del sistema venoso profondo è
frequente il coinvolgimento bilaterale del talamo.
L’infarcimento emorragico, riportato con una frequenza del 30-50%, è
disomogeneo e a margini irregolari; possono associarsi emorragie subaracnoidee e subdurali. L’angio-TC, soprattutto con l’introduzione delle TC
multidetettore e di software di ricostruzione che permettono l’esclusione
dell’osso, conferma la diagnosi e consente un bilancio di estensione della
trombosi, con sensibilità analoga a quella dell’angio-RM.
Semeiotica RM
La RM, in associazione all’angio-RM venosa, è la modalità di scelta
per la diagnosi e il follow-up della patologia occlusiva venosa. La
RM consente la visualizzazione diretta del trombo in un’elevata percentuale di casi; il segnale è variabile in dipendenza dallo stato di
ossigenazione dei globuli rossi intrappolati nel trombo e dalle fasi di
degradazione dell’emoglobina. Il trombo in fase iperacuta è isointenso
alla corteccia in T1, in fase acuta iperintenso in T1 e ipointenso in T2,
in fase subacuta (dopo la prima settimana) tipicamente iperintenso
Figura 4.16 Patologia occlusiva venosa. A,B. TC (due giorni
dall’esordio clinico). Area disomogeneamente ipodensa in sede
temporale destra, con segni di infarcimento ematico; si associano strie
di iperdensità spontanea in corrispondenza del decorso del seno trasverso
omolaterale. C,D. RM (tre giorni dall’esordio clinico): immagini T2-TSE
assiali. Sostanzialmente sovrapponibile l’area di alterato segnale in sede
temporale sinistra. E,F. Angio-RM (2D-TOF). Mancata visualizzazione
del segnale di flusso dell’asse trasverso-sigmoideo di sinistra; il segnale
è disomogeneo anche a livello del trasverso controlaterale.
in tutte le sequenze; in fase cronica il seno trombizzato va incontro a
fibrosi e si possono sviluppare circoli collaterali venosi. L’impiego
delle sequenze GRE può facilitare il riconoscimento della trombosi
delle vene corticali in fase acuta, evidenziandole come strie lineari
ipointense. Le sequenze SWI si sono dimostrate particolarmente adatte
alla dimostrazione del trombo nelle prime fasi; esse dimostrano un
segnale ipointenso del trombo, legato alla deossiemoglobina, almeno
nei seni di calibro maggiore.
L’angio-RM conferma la diagnosi di trombosi, differenziando l’alterazione di segnale del seno venoso interessato da segnali intraluminali
fisiologici legati al flusso lento. La 2D-TOF (Fig. 4.16 C) e la phase
contrast (PC) sono più comunemente proposte, ma è certamente più
affidabile la tecnica angio-RM con mdc.
La RM dimostra con maggiore sensibilità rispetto alla TC tre principali fasi nell’evoluzione della patologia occlusiva venosa.
Prima fase. È caratterizzata dalla congestione venosa con edema, con
segni di effetto massa; le sequenze DWI distinguono l’edema vasogenico da quello citotossico, con possibilità di predire la reversibilità
delle lesioni.
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Sezione
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Cranio/Encefalo
Seconda fase. È legata alla trasudazione interstiziale di fluido da aumento della pressione venosa, con segnale iperintenso in T2; può associarsi dilatazione ventricolare da riassorbimento transependimale.
Terza fase. Si verifica l’emorragia intraparenchimale da ipertensione
venosa, frequente in corrispondenza della giunzione sostanza bianca/
sostanza grigia (Fig. 4.16 B). Mentre le prime due fasi sono reversibili
e suscettibili di completa risoluzione con trattamento trombolitico, la
terza fase è caratterizzata da un danno cellulare irreversibile ed è l’unica
in cui è giustificato il termine di infarto venoso.
Nella valutazione angio-TC e in quella angio-RM si deve porre attenzione ai reperti “falsi positivi”, in particolare evitando di diagnosticare
come trombosi venosa la ipoplasia o agenesia di un seno venoso traverso/sigmoideo; in questi casi, a parte la mancanza del segnale del
trombo, è importante valutare il calibro dei golfi giugulari (minimo dal
lato dell’ipoplasia). La RM, infine, rappresenta la metodica ideale per
il follow-up (esiti tissutali e ricanalizzazione dei seni trombizzati).
Semeiotica angiografia
a sottrazione digitale (DSA)
L’angiografia a sottrazione digitale (DSA, Digital Subtraction Angiography) ha un ruolo più marginale ed è utilizzata, oltre che nei casi dubbi,
per un’indicazione al trattamento endovascolare. La metodica dimostra
il segno diretto di mancata opacizzazione delle vene e dei seni interessati; all’interno delle vene corticali trombizzate vi è una persistenza di
opacizzazione nella fase venosa tardiva. Si associano segni indiretti che
a volte sono cruciali per la diagnosi (dilatazione delle vene collaterali,
ritardo di riempimento delle vene, circoli collaterali).
VASCULOPATIE CEREBRALI CRONICHE
Le vasculopatie cerebrali croniche comprendono una serie di differenti
condizioni patologiche (aterosclerosi, arteriolosclerosi, ipertensione,
diabete ecc.) che possono coinvolgere in maniera differente le strutture
vascolari e il tessuto cerebrale, configurando quadri neuroradiologici
spesso sovrapponibili. Le stesse alterazioni, inoltre, possono essere
riscontrabili anche in alcune patologie neurodegenerative, oltre che nel
quadro fisiologico di invecchiamento cerebrale. L’aspecificità dei reperti
e la loro possibile sovrapposizione in differenti patologie rende spesso
difficoltosa l’attribuzione del pattern neuroradiologico ai corrispettivi
quadri clinici, ponendo problemi di diagnosi differenziale che assumono particolare rilievo quando tali alterazioni sono responsabili di
un quadro di deterioramento cognitivo (demenza). Sono stati definiti
vari sottotipi di declino cognitivo da patogenesi vascolare: in particolare, oltre al classico quadro di demenza multinfartuale secondario a
multiple lesioni vascolari di differente tipologia (con interessamento
sia corticale sia sottocorticale), di più comune riscontro sono i sottotipi
di demenza legati alle alterazioni croniche dei vasi cerebrali di piccolo
calibro (microangiopatie), i cui corrispondenti quadri neuroradiologici
comprendono gli infarti lacunari e il coinvolgimento multifocale o
diffuso della sostanza bianca periventricolare e profonda.
Infarti lacunari
Gli infarti lacunari sono piccole lesioni ischemiche a localizzazione
profonda, singole o multiple, generalmente di dimensioni inferiori
a 2 cm e clinicamente silenti; meno frequentemente la localizzazione strategica (per esempio, a livello della capsula interna) o la
secondaria perdita di tessuto cerebrale possono rendere conto di un
declino cognitivo fino a un quadro conclamato di demenza su base
vascolare. Il coinvolgimento talamico è di particolare valore clinico:
esiti lacunari anche unilaterali e di piccole dimensioni possono compromettere funzioni cognitive mnesiche ed esecutivo-attenzionali. La
patogenesi è secondaria a un’occlusione di piccoli vasi, per fenomeni
di lipoialinosi parietale su base aterosclerotica, tipica dei soggetti
ipertesi. Particolarmente suscettibili sono i territori riforniti da branche perforanti come le arterie lenticolo-striate, talamo-perforanti e
midollari lunghe. Le localizzazioni preferenziali degli infarti lacunari comprendono pertanto i nuclei della base (terzo superiore del
putamen), la capsula interna, il talamo, le regioni paramediane e
laterali del ponte, la corona radiata e il centro semiovale. Le lacune, difficilmente apprezzabili nelle prime 24 ore (se non mediante
studio di diffusione), si visualizzano come areole ipodense alla TC,
ipointense in T1 e iperintense nelle sequenze a TR lungo alla RM; le
lesioni talamiche e infratentoriali risultano meglio apprezzabili in T2
rispetto alle immagini FLAIR.
Quando molto estese e numerose, le lacune possono configurare un
quadro noto come stato lacunare (état lacunaire), da non confondere
con lo stato cribroso (état criblé) secondario a una diffusa dilatazione degli spazi perivascolari, legato quest’ultimo al danno meccanico
reiterato indotto dalla parete sclerotica del vaso sul tessuto cerebrale
circostante. La distinzione tra infarti lacunari e ampliamento degli spazi
perivascolari si basa su aspetti morfologici, topografici e di segnale: gli
spazi perivascolari, sempre isointensi al liquor, sono localizzati nelle
porzioni basali dei nuclei lenticolari (due terzi inferiori del putamen),
nei centri semiovali, nei peduncoli cerebrali e anche nelle insule e
nelle circonvoluzioni temporali superiori; sono di dimensioni esigue
(<5 mm), di morfologia regolare e distribuzione tendenzialmente
simmetrica e non mostrano di norma alterazioni di segnale perifocali.
Gli infarti lacunari sono lesioni tondeggianti o cavitarie, con segnale
tipico da fenomeni gliotici, di maggiori dimensioni (5-20 mm) e con
margini meno definiti.
Piccoli focolai emorragici di vecchia data possono mostrare lo stesso
aspetto degli infarti lacunari alla TC, ma il centro ipointenso rilevabile in
T2*, da deposito emosiderinico, ne rende possibile la differenziazione.
Leucoaraiosi
La leucoaraiosi indica un quadro neuropatologico caratterizzato dal
coinvolgimento diffuso della sostanza bianca periventricolare e profonda, prevalentemente simmetrico, con fenomeni di rarefazione ed estese
alterazioni ischemiche, incomplete e non cavitarie. La patogenesi è da
ricondurre all’arteriolosclerosi, con particolare coinvolgimento delle
arterie perforanti lunghe, l’eziologia è riconducibile a differenti fattori
(ipertensione, diabete ecc.), con alterazioni riscontrabili anche in alcune
patologie degenerative e nell’invecchiamento fisiologico. Il termine
leucoaraiosi non rappresenta né una patologia né un indice specifico di
sofferenza ischemica della sostanza bianca. Le alterazioni della sostanza
bianca periventricolare sono infatti potenzialmente presenti anche in
soggetti sani, con scarsa correlazione con il declino cognitivo. Esse
possono avere morfologia a cappuccio, localizzate perifericamente ai
corni frontali e ai trigoni, o ad alone circondando le pareti laterali dei
ventricoli. Dal punto di vista neuropatologico si riscontra incremento
degli spazi interstiziali e perivascolari con fenomeni di trasudazione
di liquor, rarefazione mielinica e gliosi subependimali; le alterazioni
con morfologia ad alone o nastriforme sono legate all’elevata concentrazione di acqua interstiziale in ambito periventricolare. Le alterazioni
della sostanza bianca profonda sono in gran parte ascrivibili ad aree
di degenerazione mielinica su base ischemica con gliosi riparativa;
assumono pertanto significato clinico nella patogenesi della demenza
vascolare solo quando molto estese.
La TC dimostra aree di ipodensità a chiazze o confluenti, diffuse
e simmetriche, con prevalente distribuzione periventricolare; la RM
presenta maggiore accuratezza, con alterazioni della sostanza bianca
periventricolare e profonda, iperintense nelle sequenze a TR lungo e
relativo risparmio delle fibre a “U” sottocorticali.
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Patologia cerebrovascolare acuta e cronica
A
B
Figura 4.17 RM di un’encefalopatia ipertensiva cronica. Immagini
T2-TSE assiali. Presenza di multiple lesioni lacunari con localizzazione
profonda ai nuclei lenticolari e ai talami, associate a un quadro di diffusa
alterazione della sostanza bianca periventricolare e profonda (leucoaraiosi).
Encefalopatia ipertensiva cronica
L’encefalopatia cronica su base ipertensiva si caratterizza per la presenza
diffusa di alterazioni cerebrali di diverso tipo, con patogenesi comune
legata alle modifiche sclerotiche dei piccoli vasi perforanti. Si riscontrano, pertanto, multiple lesioni lacunari con predilezione per le localizzazioni profonde ai nuclei lenticolari, ai talami e al ponte (Fig. 4.17), nel
cui contesto possono evidenziarsi minuti foci emorragici parenchimali;
quest’ultimi, visibili incostantemente come areole iperdense alla TC,
sono invece facilmente rilevabili alla RM come ipointensità in T2 e sono
più evidenti e marcati con le sequenze T2* GRE ed SWI (Fig. 4.18). È
comune l’associazione con la leucoaraiosi.
La malattia di Binswanger, anche definita encefalopatia arteriosclerotica sottocorticale, è una più severa forma di leucoencefalopatia da
ipoperfusione cronica su base ipertensiva, con alterazioni ischemiche
prevalenti nella sostanza bianca periventricolare e nei centri semiovali
e fenomeni di demielinizzazione per coinvolgimento delle arterie
penetranti lunghe dirette ai centri semiovali.
La TC e la RM dimostrano alterazione di densità/segnale della sostanza
bianca periventricolare, bilaterale e simmetrica, diffusa o a chiazze confluenti, che può estendersi alla sostanza bianca profonda; i lobi frontale e
parietale sono più coinvolti, con parziale risparmio dei lobi temporali.
Il risparmio elettivo delle fibre arcuate sottocorticali e della corteccia
è caratteristico; anche il corpo calloso è di solito risparmiato grazie a
una ricca rete anastomotica rifornita da entrambe le arterie pericallose.
Possono associarsi lesioni lacunari ai nuclei della base e ai talami, oltre
a un quadro di diffusa atrofia cerebrale con dilatazione ventricolare.
CADASIL
La CADASIL (Cerebral Autosomal Dominant Arteriopathy with Subcortical Infarcts and Leukoencephalopathy) è considerata una forma
familiare della malattia di Binswanger, a trasmissione autosomica dominante, che coinvolge pazienti giovani senza fattori di rischio cardiovascolare e non è associata a fenomeni di arteriolosclerosi cerebrale. Il
locus genetico assegnato alla patologia è localizzato sul cromosoma 19
(19q12). Il quadro clinico è caratterizzato da una storia di ictus ricorrenti
ed emicrania, con progressione “a gradini” dei deficit neurologici fino a
quadri di demenza e grave disabilità. Il quadro neuroradiologico si basa
su due principali reperti: il primo è rappresentato da piccoli infarti sottocorticali della sostanza bianca, visibili come lesioni focali ben delineate
e a morfologia puntiforme o lineare (0,5-2 cm) o francamente lacunari,
spesso estese in ambito periventricolare, alle capsule esterne, al tronco
encefalico, ai talami e ai nuclei della base. Vi è poi la sovrapposizione
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Capitolo
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B
Figura 4.18 RM di un’encefalopatia ipertensiva cronica. Immagini
T2* GRE coronali. Presenza di multipli nuclei ipointensi, da esiti
microemorragici, in sede emisferica cerebellare, a livello del ponte,
delle regioni lenticolocapsulare e talamiche, e a sede sottocorticale;
si associano areole di tipo lacunare e diffusa alterazione di segnale
della sostanza bianca profonda.
di diffusa leucoencefalopatia, simile alla leucoaraiosi, con evidenza di
vaste aree di segnale alterato della sostanza bianca, spesso simmetriche
e a carattere confluente; è caratteristico il preferenziale coinvolgimento
delle regioni insulari e dei poli temporali, spesso anche di quelli frontali,
e delle capsule esterne. Sebbene tipico, l’interessamento di queste sedi
è spesso visibile in stadio già avanzato, mentre inizialmente possono
evidenziarsi le sole alterazioni sottocorticali. Il coinvolgimento delle
regioni temporo-polari e delle capsule esterne rappresenta il maggior
elemento discriminante della CADASIL rispetto alle altre forme di
microangiopatia cerebrale, come la malattia di Binswanger. Un altro
elemento differenziale è l’interessamento delle fibre arcuate. Possono
associarsi aree di basso segnale in T2 e FLAIR nel contesto dei nuclei
grigi profondi, interpretabili come depositi di ferro.
Angiopatia amiloide
L’angiopatia amiloide è una forma ereditaria di microangiopatia cerebrale caratterizzata da singole o, più frequentemente, multiple emorragie lobari a genesi non traumatica; rappresenta una delle più comuni
cause di emorragie lobari spontanee nei soggetti anziani. Coinvolge in
ordine di frequenza i lobi frontale, parietale, temporale e occipitale;
meno comuni sono le localizzazioni cerebellari e nucleobasali, estremamente rare quelle al tronco encefalico.
Le forme sporadiche possono presentarsi, oltre che con emorragie lobari, anche con piccoli foci emorragici a distribuzione corticosottocorticale, responsabili di un rapido e progressivo declino cognitivo.
La distribuzione sottocorticale rappresenta un elemento differenziale
rispetto alle microemorragie da sindrome ipertensiva che prediligono
localizzazioni profonde (nuclei della base, talami, cervelletto). Spesso si
associa una diffusa o multifocale alterazione della sostanza bianca sovratentoriale. La RM consente una più accurata individuazione degli infarti
rispetto alla TC e rende evidente il severo coinvolgimento della sostanza
bianca con lesioni isolate o confluenti. Le sequenze GRE e SWI T2* sono
più sensibili nel riconoscimento dei nuclei microemorragici.
EMORRAGIA INTRACRANICA
L’emorragia intracranica è una condizione neurologica grave e potenzialmente letale, con presentazione clinica variabile, in cui la prognosi è
fortemente influenzata dalla precocità e dall’accuratezza della diagnosi.
L’emorragia intracranica può essere suddivisa, in base alla sede, in
emorragia intracerebrale ed extracerebrale.
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Cranio/Encefalo
Emorragia intracerebrale
È responsabile di circa il 15% degli ictus cerebrali, con un’incidenza di
circa 12-14/100.000 casi all’anno; è secondaria all’ipertensione arteriosa
in gran parte dei casi (circa 50%).
Altre possibili cause, in ordine di frequenza, sono traumi, malformazioni vascolari, turbe della coagulazione, tumori cerebrali (soprattutto
metastasi e oligodendrogliomi) e lesioni iatrogene.
La localizzazione degli ematomi cerebrali può essere, in ordine decrescente di frequenza, nucleocapsulare, lobare, sottotentoriale.
Localizzazione nucleocapsulare. Può essere lenticolocapsulare,
caudatocapsulare, talamocapsulare e rappresenta circa il 50% di
tutte le emorragie cerebrali. Nella maggior parte dei casi è riscontrabile negli ematomi spontanei, legati cioè all’ipertensione arteriosa;
fanno eccezione i piccoli ematomi capsulocaudati, che possono
essere causati da rottura di piccole malformazioni arterovenose
iuxtaventricolari.
Localizzazione lobare. Rappresenta circa il 35% dei casi ed è solo
raramente a eziologia ipertensiva. Gli ematomi in sede temporale e
occipitale sono in genere secondari a rottura di malformazioni arterovenose; gli ematomi frontali sono per lo più secondari a rottura di
aneurismi dell’arteria comunicante anteriore o della cerebrale anteriore.
Tuttavia, gli ematomi a sede lobare possono sottendere un’eziologia
neoplastica.
Localizzazione sottotentoriale. Rappresenta circa il 10% dei casi;
la maggior parte delle emorragie interessanti il tronco encefalico si
verifica nel ponte ed è per lo più determinata dall’ipertensione o, occasionalmente, da malformazioni vascolari o altre cause. Le emorragie
del mesencefalo e del bulbo, più rare, sono più comunemente causate
da malformazioni vascolari.
Le emorragie cerebellari sono nella gran parte dei casi correlate a malattia ipertensiva o alle complicanze del trattamento con anticoagulanti,
più raramente a malformazioni vascolari, tumori o coagulopatie. In
tutte le localizzazioni sopradescritte si può avere la penetrazione del
sangue nel sistema ventricolare, in quantità variabile, fino a casi di
inondazione ventricolare; l’inondazione implica una prognosi più
severa, ma non invariabilmente infausta.
La TC rappresenta l’indagine di prima istanza nel sospetto di un’emorragia intracranica, per la rapidità di esecuzione, la facile disponibilità e
soprattutto per la possibilità di informazioni immediate sull’ematoma
e sui possibili quadri patologici associati; essa in genere esaurisce il
percorso diagnostico negli ematomi “spontanei” da ipertensione. In
fase iperacuta o acuta lo studio RM dell’emorragia cerebrale è eseguito
raramente; nelle fasi successive la metodica svolge un ruolo importante
nella definizione dello stadio evolutivo del focolaio emorragico e soprattutto per la formulazione di un’ipotesi eziologica dei sanguinamenti
“non spontanei”.
Emorragie extracerebrali
Le emorragie extracerebrali comprendono l’ematoma epidurale, l’ematoma subdurale, l’emorragia subaracnoidea e l’emorragia intraventricolare (vedi oltre). L’ematoma epidurale e l’ematoma subdurale, comunemente associati a traumi cranioencefalici, sono trattati nel Capitolo
3; l’emorragia subaracnoidea, così come l’emorragia intraventricolare,
saranno solo accennate nella loro semeiotica e trattate nell’apposito
Capitolo 5.
La TC del cranio rappresenta l’indagine di prima istanza nel sospetto
di emorragia subaracnoidea; il ruolo RM è invece quello di contribuire
a ricercare la malformazione vasale o le altre cause responsabili del
sanguinamento.
EMORRAGIA INTRACEREBRALE
Semeiotica TC
La semeiotica TC dell’emorragia intracerebrale è strettamente correlata,
oltre che alle modifiche macro- e microscopiche che hanno luogo nel tessuto cerebrale, soprattutto alle caratteristiche fisiche dell’ematoma stesso,
che ne regolano i valori di attenuazione/densità. I valori di densità rilevabili alla TC e quantificabili in unità Hounsfield (UH) dipendono dalle
proprietà chimico-fisiche delle diverse componenti dell’ematoma, variabili con l’evoluzione della raccolta nel tempo. La caratteristica iperdensità
del sangue alla TC è legata in prevalenza alla presenza di emoglobina e, in
misura minore, del ferro; esiste una correlazione lineare tra attenuazione,
contenuto proteico della raccolta ematica e valore di ematocrito.
Fase iperacuta (1-6 ore). Immediatamente dopo l’insorgenza dell’episodio emorragico, la raccolta ematica è costituita da un agglomerato
disomogeneo di eritrociti, leucociti e aggregati piastrinici frammisti a
proteine sieriche. Lo stravaso emorragico si presenta in questa fase come
un’area disomogenea, con valori variabili da 40 a 60 UH.
Fase acuta (1-3 giorni). Si assiste a un rapido incremento dei valori densitometrici (fino a circa 60-80 UH), per la formazione di una
miscela di molecole di globina e di fibrina, principali determinanti
dell’iperdensità alla TC (Fig. 4.19 A-B).
Fase subacuta precoce (3-7 giorni). La progressiva retrazione del coagulo ematico, con incremento dell’ematocrito, determina un ulteriore
aumento della densità e una maggiore definizione dei contorni dell'ematoma. Quest’ultimo appare pertanto come un’area ben definita con
densità più elevata (80-100 UH) e circondata da un alone ipodenso, corrispettivo della trasudazione sierica e dell’edema vasogenico perilesionale.
In tale fase, per ematomi di grosse dimensioni, ci può essere un reperto
noto come effetto ematocrito: la separazione delle componenti ematiche
nella TC determina un livello orizzontale fluido-fluido, che separa il sedimento cellulare iperdenso dal sopranatante, costituito presumibilmente
da proteine sieriche e caratterizzato da valori densitometrici più bassi.
Fase subacuta tardiva (2a-4a settimana). Segue rapidamente la progressiva lisi del coagulo, per degradazione e riassorbimento delle componenti
proteiche dell’ematoma: si assiste pertanto al progressivo decremento dei
valori densitometrici (circa 0,7-1,5 UH al giorno; Fig. 4.19 C-F). Tale processo, che origina alla periferia della raccolta e si estende in senso centripeto,
non è parallelo alla riduzione dell’effetto massa: pertanto nelle fasi tardive,
potrà persistere l’effetto massa, senza più l’evidenza dell’iperdensità.
Fase cronica (oltre 1 mese). I macrofagi digeriscono i prodotti di
degradazione ematica, ottenendo così la completa risoluzione del
coagulo. Il tipico residuo emosiderinico, ben definibile alla RM (vedi
oltre), non ha un corrispettivo altrettanto riconoscibile alla TC: gli
esiti di un ematoma alla TC includono reperti aspecifici di ipodensità
(Fig. 4.19 G-H), talvolta con calcificazioni contestuali, con associati
segni di atrofia focale (ampliamento delle limitrofe cavità ventricolari
e degli spazi subaracnoidei). L’uso del mdc non trova indicazioni nella
fase acuta, dove peraltro l’ematoma non mostra alcuna impregnazione.
Nelle fasi successive si può apprezzare un cercine di impregnazione
alla periferia dell’ematoma (ring-like enhancement), per il danno della
barriera emato-encefalica all’interfaccia con il tessuto cerebrale sano;
tale pattern contrastografico non deve condurre all’erronea ipotesi diagnostica di neoplasia o ascesso all’origine dell’emorragia.
Semeiotica RM
La semeiotica RM dell’emorragia è più complicata rispetto a quella TC, essendo fortemente legata alle modifiche biochimiche che si susseguono nelle
varie fasi evolutive dell’ematoma, oltre che agli aspetti fisici e macroscopici
della raccolta ematica nel tessuto cerebrale. A ciò si aggiunge la possibilità
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Patologia cerebrovascolare acuta e cronica
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C
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di usufruire di differenti sequenze di acquisizione, ognuna con una propria
suscettibilità alle variazioni chimico-fisiche del microambiente e con un’altrettanto specifica potenzialità diagnostica. Di qui la necessità di comprendere quali siano le variabili che regolano la semeiotica RM dell’ematoma e
la sua evoluzione nel tempo. Come nella TC, anche nella RM il principale
fattore è rappresentato dalle componenti biochimiche dell’ematoma e, in
particolare, dall’emoglobina e dai suoi prodotti di degradazione: gli stadi
evolutivi di una raccolta emorragica, riconoscibili nelle sequenze RM, sono
infatti correlati allo stato di ossidazione e alle proprietà ferromagnetiche
dell’emoglobina, che variano nel tempo passando dall’ossiemoglobina
dello stadio iperacuto all’emosiderina della fase cronica.
L’emoglobina è una proteina globulare di struttura quaternaria presente nei globuli rossi del sangue e responsabile del trasporto dell’ossigeno molecolare. I quattro polipeptidi che la compongono costituiscono
la porzione globinica, con una tasca interna che contiene una molecola
di protoporfirina legata a uno ione ferro, nell’insieme definito come
gruppo eme. Nel sangue circolante, l’emoglobina passa alternativamente
dalla forma ossiemoglobina alla forma deossiemoglobina, entrambe
con ferro allo stato ferroso (Fe++), ma che differiscono per la presenza di
un elettrone spaiato nella deossiemoglobina. Tale configurazione è alla
base delle proprietà magnetiche delle differenti forme di emoglobina,
da cui derivano tre tipi di comportamento in un campo magnetico:
• diamagnetico: molecole senza elettroni spaiati (ossiemoglobina)
che non alterano il campo magnetico;
• paramagnetico: molecole con elettroni spaiati (deossiemoglobina,
E
G
F
H
Figura 4.19 TC di un’emorragia intracerebrale. A,B. Fase acuta
(giorno 1): raccolta ematica nettamente iperdensa in sede talamocapsulare
destra, circondata da modesto alone ipodenso di edema; la componente
ematica è inoltre presente nel contesto del terzo ventricolo e del ventricolo
laterale destro. C,D. Fase subacuta tardiva (giorno 8): riduzione
dei valori densitometrici della raccolta ematica, con persistenza dell’effetto
compressivo sul sistema ventricolare. E,F. Fase subacuta tardiva (giorno 18):
ulteriore riduzione densitometrica, in senso centripeto, con minore effetto
compressivo sul sistema ventricolare. G,H. Fase cronica (5 settimane):
l’area lesionale appare maggiormente demarcata, con tendenza
alla scomparsa dell’effetto compressivo.
•
metaemoglobina) capaci di alterare il campo magnetico,
influenzando in maniera più significativa il tempo
di rilassamento T1 delle molecole di acqua con cui interagiscono;
superparamagnetico: molecole con un elevato numero di elettroni
spaiati (emosiderina) capaci di distorcere significativamente
sia il T1 sia il T2.
Quando una sostanza con proprietà magnetiche è introdotta in un
campo magnetico esterno, vi determina una locale disomogeneità e
quindi perdita della coerenza di fase. Tale effetto riduce selettivamente
il segnale nelle immagini T2, senza influenzare il T1, e scompare con
la lisi dei globuli rossi e la conseguente perdita di compartimentalizzazione molecolare. Particolarmente sensibili al fenomeno di suscettività
magnetica sono le sequenze T2* GRE e di suscettività (SWI).
Oltre allo stadio dell’emoglobina e dei suoi prodotti di degradazione,
le modificazioni temporali sono legate anche a fattori tecnici (tipo di
sequenza utilizzata, relativi parametri, intensità del campo magnetico
applicato), e a fattori biologici; tra questi: la concentrazione di ossigeno
(pO2) del microambiente (in presenza di basse concentrazioni di ossigeno, la produzione di deossiemoglobina risulta accelerata), l’origine
arteriosa o venosa dell’emorragia (nel secondo caso maggiori concentrazioni ematiche di deossiemoglobina), la concentrazione proteica,
osservabile nel sedimento degli ematomi di grosse dimensioni con
livello fluido-fluido (maggiore la concentrazione, maggiore la riduzione
dei tempi di rilassamento), l’alterazione della barriera emato-encefalica,
condizione necessaria per il deposito emosiderinico nella fase cronica.
In relazione ai differenti pattern di segnale rilevabili alla RM durante la
fisiologica evoluzione temporale dell’ematoma si possono distinguere
vari stadi di differente durata e in parte coesistenti.
Fase iperacuta (1-6 ore)
Nella fase iperacuta, lo stravaso ematico è costituito da eritrociti integri, contenenti ossiemoglobina, leucociti, piastrine e siero. L’ossiemoglobina contiene ferro bivalente, manca di elettroni spaiati e ha
caratteristiche diamagnetiche, per cui non è in grado di modificare il
campo magnetico; pertanto il segnale dell’ematoma è in gran parte determinato dall’elevato contenuto locale di acqua, che si traduce in una
iso-ipointensità in T1 e in un’iperintensità di segnale in T2 (Fig. 4.20).
In queste prime ore, la raccolta ematica può non essere distinguibile
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Sezione
|1|
Cranio/Encefalo
A
B
C
D
A
B
Figura 4.21 RM di un’emorragia intracerebrale in fase acuta.
Immagini T1 (A) e T2 TSE (B) assiali. Area ovalare in regione talamica destra
di segnale prevalentemente isointenso al tessuto cerebrale in T1, ipointenso
in T2, con alone periferico di edema. Si noti l’effetto compressivo sul sistema
ventricolare, con componente ematica che si livella nel trigono di sinistra.
E
F
un gradiente magnetico ai due lati della membrana eritrocitaria, che si
traduce in una perdita di coerenza di fase, con netta ipointensità di segnale
dell’ematoma in T2 (ancora più evidente in T2*), cui contribuiscono la
progressiva retrazione del coagulo e l’incremento del valore di ematocrito
(Fig. 4.21). Tale molecola, tuttavia, non è in grado di determinare variazione del rilassamento T1, essendo ancora confinata all’interno degli eritrociti;
l’ematoma mantiene quindi un segnale iso-ipointenso in T1. L’edema
perilesionale e la componente sierica derivante dalla retrazione del coagulo
determinano invece un segnale periferico iperintenso in T2.
Fase subacuta precoce
Figura 4.20 RM di un’emorragia intracerebrale in fase iperacuta.
Immagini T1 TSE (A,B), T2 TSE (C,D) e T2* GRE (E,F) assiali. La raccolta
mostra segnale isointenso in T1, aspecificamente iperintenso in T2,
con cercine periferico di basso segnale apprezzabile in T2*; c’è anche
un modesto alone periferico di edema.
da qualsiasi altra lesione che determini edema locoregionale; la TC
pertanto presenta una maggiore confidenza diagnostica nella fase iperacuta dell’emorragia intracerebrale. In alcuni casi, alla periferia della
lesione può essere osservato un cercine di netta ipointensità in T2,
legato verosimilmente alla deossigenazione dell’emoglobina, a livello
dell’interfaccia tra ematoma e tessuto cerebrale; questo reperto è evidente soprattutto con l’impiego di RM di alto campo (≥1,5T).
Fase acuta (1-3 giorni)
Durante la fase acuta, si assiste a una rapida deossigenazione degli eritrociti
ancora integri, in relazione anche alle modifiche biologiche del microambiente locale (tra cui l’aumento del pH e della CO2 locali e l’alterazione
della perfusione locale per la compressione dei vasi da parte dell’edema).
La deossiemoglobina che ne risulta è una molecola con caratteristiche
paramagnetiche, contenendo ferro bivalente con quattro elettroni spaiati.
L’effetto paramagnetico della deossiemoglobina induce la formazione di
Nella fase subacuta precoce (3-7 giorni) si esauriscono progressivamente
i meccanismi intracellulari che mantengono lo ione ferro in uno stato
ferroso (Fe++), per cui la deossiemoglobina si trasforma nella forma ossidata. La metaemoglobina (meta-Hb) che ne risulta, ancora contenuta
all’interno degli eritrociti, presenta ferro allo stato ferrico (Fe+++) e cinque
elettroni spaiati che le conferiscono la capacità di interagire con le molecole d’acqua e di esplicare la sua proprietà paramagnetica, in grado però
di esercitare effetti sui tempi di rilassamento sia T1 sia T2. L’ematoma in
fase subacuta precoce mostra pertanto elevato segnale in T1, mantenendo
basso segnale in T2, da suscettività magnetica (Fig. 4.22). Questi reperti
tipicamente iniziano dalla periferia dell’ematoma e progrediscono verso
il centro; il segnale in T2* è analogo a quello della fase acuta.
Fase subacuta tardiva
Nella fase subacuta tardiva (4°-7° giorno-1 mese), gli eritrociti vanno
progressivamente incontro a una lisi osmotica di membrana (emolisi),
con conseguente decompartimentalizzazione della metaemoglobina.
La metaemoglobina extracellulare riduce ulteriormente il tempo di
rilassamento T1, con conseguente maggiore iperintensità di segnale
in T1; essa si distribuisce nell’ambiente extracellulare (a elevato contenuto idrico) in maniera relativamente uniforme e in concentrazione
ridotta; in tali condizioni, a differenza della metaemoglobina intracellulare, non provoca significativa disomogeneità di campo magnetico
locale, con iperintensità del segnale in T2 (Fig. 4.23).
Fase cronica
Lo stadio cronico (oltre 1 mese) dell’ematoma intracerebrale è caratterizzato dagli esiti di processi riparativi e atrofici locali. L’evoluzione
finale della lesione emorragica, simile a quella del focolaio ischemico,
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Patologia cerebrovascolare acuta e cronica
A
B
C
D
A
B
C
D
Capitolo
|4|
Figura 4.22 RM di un’emorragia cerebellare in fase subacuta
precoce (6 giorni dall’esordio clinico). A,B. Immagini T1-TSE assiali.
C,D. Immagini T2-TSE assiali. Raccolta emorragica in sede cerebellare
destra, estesa al verme, di segnale disomogeneamente iperintenso
in T1 (soprattutto alla periferia), ipointenso in T2. Più piccole raccolte,
con analoghe caratteristiche di segnale, sono presenti in sede
emisferica cerebellare sinistra; si associa sottile falda ematica subdurale
retrocerebellare destra.
Figura 4.23 Emorragia intracerebrale in fase subacuta tardiva
(21 giorni dall’esordio clinico) RM. A,B. Immagini T1-TSE coronali.
C,D. Immagini T2-TSE assiali. Raccolta emorragica in sede temporo-insulare
sinistra, iperintensa in T1, soprattutto alla periferia, e in T2 (metaemoglobina
extracellulare), dove si associa incompleto cercine ipointenso da deposizione
emosiderinica.
è legata all’attività dell’infiltrato cellulare, che provvede alla fagocitosi
degli eritrociti, alla digestione enzimatica dei componenti molecolari
e all’accumulo dei prodotti di degradazione dell’emoglobina. In tale
maniera il focolaio emorragico evolve verso la formazione di una cavità
(di segnale simil-liquorale) o verso una gliosi cicatriziale (iperintensa
nelle sequenze a TR lungo), anche se i due aspetti nella maggior parte
dei casi coesistono; l’evoluzione del focolaio conduce inoltre a una dilatazione ex vacuo degli spazi liquorali adiacenti. La metaemoglobina va
incontro a progressiva denaturazione che produce complessi molecolari
con ione ferrico (Fe+++): la ferritina e l’emosiderina. La ferritina mostra
proprietà magnetiche sul T1 e sul T2, ma è idrosolubile; il suo prodotto
di degradazione, l’emosiderina, è un complesso macromolecolare di
grosse dimensioni e insolubile, con un’alterazione della struttura terziaria che l’arricchisce di molti elettroni spaiati e, quindi, con proprietà
superparamagnetiche. Essa non ha effetti in T1, in relazione all’insolu-
bilità in acqua e alla conformazione, ma mostra invece un’accentuata
suscettività magnetica, che si traduce in una netta riduzione del segnale
in T2, più accentuato nelle sequenze T2* (GRE e SWI) particolarmente
sensibili alla disomogeneità di campo magnetico. L’emosiderina, fagocitata dai macrofagi e della cellule gliali che circondano il coagulo,
determina un cercine di netta ipointensità in T2 che può persistere per
un periodo indefinito ma molto lungo, come “impronta” o “tatuaggio”
di un pregresso episodio emorragico. L’ematoma in fase cronica può
pertanto assumere uno dei seguenti aspetti:
A
B
• segnale simil-liquorale al centro (da riassorbimento tissutale)
e ipointenso alla periferia (da ferritina ed emosiderina);
• iperintenso al centro (da metaemoglobina) e ipointenso
alla periferia (da ferritina ed emosiderina);
• cercine residuo ipointenso (da ferritina ed emosiderina; Fig. 4.24).
C
Figura 4.24 RM di un’emorragia
intracerebrale in fase cronica.
A,B. Immagini T2-TSE assiali.
C. Immagine T2*-GRE. Sottile
stria di basso segnale, da deposito
emosiderinico, in sede
lenticolocapsulare sinistra,
con estensione paratrigonale.
107
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Sezione
|1|
Cranio/Encefalo
Tabella 4.3 Emorragia intraparenchimale: semeiotica RM in base alla fase evolutiva
Fase
Durata
Marker
T1
T2
T2*
Iperacuta
1-6 ore
Ossiemoglobina
Iso-ipointenso
Iperintenso
Ipointenso
Acuta
1-3 giorni
Deossiemoglobina
Iso-ipointenso
Iso-ipointenso
Ipointenso
Subacuta 1
3-7 giorni
Metaemoglobina (intracellulare)
Iperintenso
Ipointenso
Ipointenso
Subacuta 2
2a-4a settimana
Metaemoglobina (extracellulare)
Iperintenso
Iperintenso
Ipointenso
Cronica
>4 settimane
Emosiderina
Simil-liquor/ipointenso
Simil-liquor/iperintenso
Cercine ipointenso
Simil-liquor
Cercine ipointenso +++
Un’evoluzione temporale diversa da quella descritta è sospetta per
nuovi sanguinamenti e/o per una patologia sottostante (malformazioni
vascolari occulte, diatesi emorragica ecc.).
Nella tabella 4.3 è riassunta la semeiotica RM dell’emorragia intraparenchimale.
EMORRAGIA SUBARACNOIDEA
L’emorragia subaracnoidea (ESA) rappresenta il 5% circa degli accidenti
vascolari cerebrali (contro il 15% delle emorragie intraparenchimali);
il rischio di ESA è estremamente basso nei bambini e aumenta con
l’età, con un picco nel 5°-6° decennio. Si tratta di una condizione
acuta caratterizzata dallo stravaso di sangue negli spazi subaracnoidei. Essa è più frequentemente secondaria a rottura di un aneurisma
intracranico, più raramente a rottura di malformazioni arterovenose
cerebrali o midollari; tra le possibili cause di ESA non malformativa
rientrano, in ordine di frequenza, i traumi cranioencefalici, i disturbi
della crasi ematica, le lesioni neoplastiche intraventricolari con ricca
rete vascolare, le metastasi cerebrali a localizzazione corticale (specie
da melanoma) e, infine, la necrosi emorragica acuta della ghiandola
ipofisaria (apoplessia ipofisaria).
In questo capitolo viene inserita, per completezza, la semeiotica TC
e RM dell’ESA, ma si rimanda al Capitolo 5 per una trattazione più
organica, completata dalle informazioni riguardanti il trattamento
endovascolare/neuro-inteventistico.
La diagnosi di ESA è fondamentale ai fini della prognosi e, inoltre,
l’identificazione precoce dell’aneurisma rotto con un tempestivo trattamento può prevenire il rischio di risanguinamento, una delle principali
cause di mortalità.
fronto-basale in caso di sanguinamento abbondante); in caso di aneurisma della arteria cerebrale media, l’iperdensità è prevalente nella
scissura silviana omolaterale; in caso di aneurisma del tronco basilare,
l’iperdensità occupa la cisterne inter- e circumpeduncolare, con eventuale estensione prepontina e soprasellare.
Segni di lesioni extracraniche, come fratture del cranio o tumefazione dei tessuti molli, possono orientare verso un’eziologia traumatica;
inoltre, la distribuzione del sangue nei solchi superficiali adiacenti a
un focolaio contusivo intracerebrale rende improbabile la genesi aneurismatica dell’ESA. Tali reperti devono, tuttavia, essere interpretati con
cautela, poiché traumi e aneurismi non si escludono necessariamente a
vicenda: pazienti con emorragia subaracnoidea aneurismatica possono
subire secondariamente un trauma cranico e, inoltre, un trauma può
occasionalmente scatenare la rottura di un aneurisma.
A
B
C
D
Semeiotica TC
La TC del cranio rappresenta l’indagine di prima istanza nel sospetto
di emorragia subaracnoidea, mostrando tipicamente la presenza di
sangue travasato (iperdenso) nel contesto degli spazi subaracnoidei
(Fig. 4.25). La sensibilità della metodica è massima (circa del 95%)
se la TC è effettuata entro 1-2 giorni dall’insorgenza dei sintomi. Successivamente, questa sensibilità è fortemente dipendente intervallo
dall’emorragia e scende, scendendo all’85% dopo cinque giorni, al 50%
dopo una settimana, al 30% dopo due settimane e quasi a zero dopo
tre settimane. L’esame TC deve essere valutato con attenzione, in quanto
l’ESA può essere minima e sfuggire a lettori inesperti. In caso di ESA
da rottura di aneurisma intracranico, sulla base della localizzazione o
della prevalenza dell’iperdensità ematica, è possibile ipotizzare la sede
dell’aneurisma: in caso di aneurisma dall’arteria comunicante anteriore, l’iperdensità ematica è prevalentemente nelle cisterne soprasellari
e nella scissura interemisferica (con possibile ematoma intracerebrale
Figura 4.25 TC di un’emorragia subaracnoidea. Presenza
di iperdensità ematica nel contesto delle cisterne basali
e delle scissure silviane e interemisferica, con inondazione ventricolare;
si associa ematoma intracerebrale satellite in sede fronto-basale
destra.
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Patologia cerebrovascolare acuta e cronica
Capitolo
|4|
Figura 4.26 RM di un’emorragia
subaracnoidea. Immagini FLAIR assiali.
Segnale iperintenso da ESA
nel contesto del braccio posteriore
della scissura silviana di sinistra
e degli spazi subaracnoidei in sede
temporo-occipitale omolaterale.
Semeiotica RM
La RM trova raramente impiego nell’ESA in fase acuta, data la maggiore
rapidità di esecuzione e sensibilità della TC. L’ESA è più facilmente
rilevabile alla RM nelle fasi subacuta e cronica, nelle quali risulta di
utilità maggiore in relazione alla progressiva riduzione di efficacia
diagnostica della TC man mano che ci si allontana dalla fase acuta; il
ruolo principale della RM nello studio del’ESA è comunque quello di
ricercare la malformazione vasale o altre cause responsabili del sanguinamento. Le variazioni dei parametri di rilassamento, nelle differenti
fasi evolutive, sono legate come per l’emorragia intracerebrale, alle modificazioni eritrocitarie ed emoglobiniche; esse tuttavia seguono, nello
spazio subaracnoideo, una diversa evoluzione in relazione al differente
microambiente biochimico-metabolico, con diversi parametri biologici
(pH, pO2, concentrazione di glucosio); l’evoluzione cronologica è meno
facilmente definibile.
Fase iperacuta (12-48 ore). Si verifica solo un lieve accorciamento
del T1 legato all’aumento del contenuto proteico, spesso non rilevabile,
soprattutto nei casi di ESA di minima entità.
Fase acuta. Permane nell’ambiente liquorale una tensione locale di ossigeno troppo elevata per consentire la conversione da ossiemoglobina
in deossiemoglobina (e quindi la comparsa del caratteristico segnale
ipointenso in T2). Sequenze SE moderatamente T2-dipendenti (con TR
lungo e TE intermedio) possono identificare l’ESA come componenti
di segnale elevato rispetto al liquor; le sequenze FLAIR consentono una
diagnosi molto più accurata, con dimostrazione dell’ESA iperintensa
rispetto al liquor (Fig. 4.26).
Fase subacuta. Rappresenta il periodo in cui la RM offre la massima
sensibilità al rilievo del sangue nel liquor; ciò risulta ancora più importante se si considera che in tale fase alla TC la densità del sangue
subaracnoideo tende a decrescere e che, in alternativa, in questa fase si
dovrebbe ricorrere alla rachicentesi. Come già descritto per le raccolte
emorragiche intracerebrali, tale fase è caratterizzata dalla formazione
di metaemoglobina e dalla successiva lisi degli eritrociti (emolisi), con
segnale iperintenso in T1 negli spazi subaracnoidei. Oltre all’iperintensità in T1 negli spazi subaracnoidei, nella fase subacuta possono essere
rilevati altri fenomeni che rappresentano complicanze dell’ESA, quali
idrocefalo e ischemia.
Fase cronica. In questa fase l’esame RM risulta in genere negativo. In
seguito a episodi ricorrenti o cronici di emorragia subaracnoidea, in genere di origine capillare o venosa, si può verificare un deposito intra- ed
extracellulare di emosiderina sulle meningi, sugli strati più superficiali
dell’encefalo, del midollo spinale e dei nervi cranici a contatto con il
liquor, condizione nota come emosiderosi superficiale. L’eziologia delle
ripetute microemorragie negli spazi liquorali, in alcuni casi sconosciuta,
è comunque molto eterogenea (malformazioni vascolari, neoplasie,
traumi, procedure chirurgiche). Il deposito di emosiderina avviene
preferenzialmente nelle sedi di maggiore flusso liquorale, soprattutto
nelle cisterne sopravermiane e retropulvinariche e nelle scissure silviane
e interemisferica. Particolarmente esposto è l’VIII paio di nervi cranici, a
causa della lunghezza del suo tratto cisternale, ma possono essere colpiti
anche il I e il II paio. L’emosiderosi richiede infatti per verificarsi un
meccanismo attivo di captazione dei prodotti di degradazione ematica
e tale possibilità sussiste solo per la glia centrale, rappresentata a livello
Figura 4.27 RM di un’emosiderosi
superficiale. Immagini T2*-GRE
sagittali. Segnale ipointenso a livello
delle superfici leptomenigee cerebrali,
cerebellari e del tronco, da deposito
emosiderinico.
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Sezione
|1|
Cranio/Encefalo
dei nervi citati. Il deposito emosiderinico avviene anche a livello del
midollo, mentre non è riscontrabile a livello delle radici della cauda
(costituite da glia periferica). La sintomatologia è correlata alle sedi
di deposito dell’emosiderina; è caratterizzata soprattutto da ipoacusia
neurosensoriale (per l’interessamento dell’VIII paio di nervi cranici, e da
atassia cerebellare) (per l’interessamento della cisterna sopravermiana,
ove l’emosiderina esercita un effetto tossico diretto). Può inoltre mani-
festarsi con un deficit del campo visivo (per alterazione delle fibre più
periferiche dei nervi ottici); e solo occasionalmente con demenza, in
una fase molto avanzata. L’aspetto alla RM è tipico, con segnale ipointenso in T2 e soprattutto in T2* a livello delle regioni precedentemente
descritte (Fig. 4.27), dovuto all’effetto paramagnetico dei pigmenti
ematici. La diagnosi di emosiderosi, in epoca pre- RM, poteva essere
solo sospettata sulla base dei dati clinici e liquorali.
LETTURE CONSIGLIATE
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Capitolo | 4 |