PCR: un esame utile PeR PReveniRe e
monitoRizzaRe
L
a proteina C reattiva, anche indicata con lasigla PCR, fu identificata nel 1930 da Tillet
e Francis e fu così chiamata per la sua capacità di
legarsi, in presenza di calcio, al polisaccaride somatico C che veniva estratto da colture di pneumococco (1).
È una alfa globulina costituita da cinque sub
unità associate ad uno ione calcio dal peso molecolare complessivo di 115.000-140.000 Da. È
sintetizzata nel fegato sotto lo stimolo di alcuni
mediatori dell’infiammazione tra cui le citochine e, in particolare, l’interleuchina 6. Fa parte del
gruppo delle cosiddette proteine positive della
fase acuta (PFA), ovvero quelle proteine la cui
concentrazione plasmatica aumenta di almeno il
25% nel corso di una patologia infiammatoria. I
suoi livelli ematici, di norma molto bassi, infatti iniziano ad aumentare in circa 6 ore durante la
risposta generale non specifica che si attiva in
processi infiammatori (infettivi e non) e raggiungono i livelli massimi entro le 48 ore (2).
L’aumento della concentrazione ematica di
PCR contribuisce all’immunità innata (o immunità aspecifica) con attivazione del complemento (e quindi dei meccanismi difensivi messi in atto dall’organismo contro le infezioni e gli agen-
ti estranei) e accelerazione della fagocitosi (la capacità che diverse cellule hanno di ingerire e distruggere corpi estranei). L’innalzamento dei livelli di proteina C reattiva è quindi un meccanismo che l’organismo mette in atto per difendersi da vari processi patologici: infezioni (3), tumori (4), danni tissutali (5), disordini infiammatori e patologie associate a questi ultimi (6). Anche alcuni farmaci come antibiotici, metildopa,
contraccettivi orali, penicillina, streptomicina e
tetracicline possono determinare un aumento dei
livelli ematici di PCR.
La misura dei livelli di PCR viene effettuata
con un semplice prelievo ematico. Negli ultimi
anni la sensibilità analitica, grazie all’impiego di
macchinari più sofisticati, è passata da 3 mg/L a
0,5 mg/L (la così detta PRC ad alta sensibilità,
hsPCR).
Mentre con il test classico della PCR si possono misurare consistenti variazioni dei livelli
ematici di PCR, indici di una generica infiammazione, con la hsPCR è possibile individuare
anche minime variazioni dei livelli ematici di
questa proteina.
Questa innovazione ha permesso di evidenziare una connessione tra i livelli di PCR e il rischio di patologie cardiovascolari. Infatti, uno
studio del 1997, confermato da 25 lavori successivi e condotto su 22.000 uomini sani, ha dimostrato una forte relazione diretta tra i valori di hsPCR e il rischio di infarto: più si alzano i livelli
basali di hs-PCR più il rischio di infarto aumenta, anche di due o tre volte.
In particolare, valori di hs-PCR inferiori a 1
mg/L rappresentano un basso rischio cardiovascolare, valori tra 1 e 3 mg/L un rischio moderato e valori superiori a 3 mg/L un rischio elevato.
È stato infatti dimostrato che la PCR ha un forte
valore predittivo negli uomini e nelle donne in
buona salute, come pure negli anziani e nei fu-
Bios novità PeR il mediCo
Irene Carunchio
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matori ad alto rischio, nei soggetti con angina e
infine in quelli con infarto del miocardio pregresso. Secondo questi studi i soggetti con tassi
di PCR elevati (> 3) hanno un rischio relativo di
eventi cardiovascolari futuri da tre a quattro volte superiore rispetto agli individui con livelli normali della proteina (7). Livelli ematici > 10 mg/L
non sono predittivi di patologie cardiovascolari
in quanto attribuibili a uno stato infiammatorio
generale, di altra origine.
Non è ancora chiaro quale sia il nesso tra l’incremento dei valori di PCR e il rischio di patologie cardiovascolari, ma è stato ipotizzato che
la formazione della placca arterosclerotica scateni un evento infiammatorio del quale l’aumento dei livelli della proteina C potrebbe essere
uno dei primi effetti.
Da recenti studi pubblicati in letteratura è
emerso che l’aumento dei livelli serici di hs-PCR
può essere ridotto mediante interventi non farmacologici quali il calo ponderale, l’attività fisica regolare, la cessazione del fumo di sigaretta,
insomma da una modificazione dello stile di vita,
come pure da un’appropriata terapia farmacologica. Attualmente, non vi sono farmaci disponibili in grado di agire esclusivamente sullo stato
infiammatorio per ridurre il rischio cardiovascolare. Diversi farmaci usati al fine di tenere sotto
controllo altri fattori di rischio metabolici hanno
dimostrato di essere in grado anche di ridurre i livelli circolanti di hs-PCR (ad esempio: statine,
acido nicotinico, fibrati, ACE-inibitori, tiazolidinedioni).
In conclusione, anche se i valori di PCR non
possono essere considerati come gli unici parametri per la valutazione del rischio cardiovascolare, devono essere presi in considerazione
unitamente a sesso, età e abitudini alimentari e
stile di vita dei pazienti (8).
Nel nostro laboratorio vengono eseguiti i dosaggi della PCR e della hs-PCR utilizzando
l’ADVIA 1800, Siemens (metodo immunoturbidimetrico potenziato al lattice) che assicura rapidità e precisione della risposta.
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Bibliografia
1. lee-lewandrowski et al.
Clinica e medicina di laboratorio. Roma, Verducci
editore, 1996.
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7. Ridker et al.,
Circulation 1998 98(9): 839-844.
8. iso et al.,
J Atheroscler Thromb. 2012,19(8): 756-66.
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