Cognome: Uccheddu
Nome: Osvaldo
Data di nascita: 09/08/1959
Parlaci di te, come hai iniziato ad andare in Mare, ricordi la prima volta che hai
messo la testa sott’acqua ?
Quando ero molto piccolo mio padre si dilettava a fare un po’ di pesca sub. La sua
“attrezzatura” era costituita da una di quelle enormi maschere gran facciale col
boccaglio a valvola posto superiormente, dalle pinne e dal solito fuciletto a molla. Non
so dire quanti anni avessi con precisione ma penso di aver indossato il mascherone
intorno ai 6/7 anni; fu un colpo di fulmine, d’improvviso mi si dischiuse un mondo
fantastico e misterioso, un mondo da esplorare…Ovviamente “passeggiavo” sui bassi
fondali delle spiagge in cui mi portava babbo, seguito sempre dal suo sguardo vigile.
Pian pianino imparai ad usare le pinne e cominciai a seguire mio padre che cercava di
catturare qualche pesce; fu allora che la superficie cominciò ad allontanarsi dal fondo
sabbioso ed i due-tre metri al massimo già mi sembravano un abisso, ma che
sensazioni erano capaci di farmi provare!
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Dove hai iniziato a pescare ?
Ho iniziato a pescare ovviamente nel mare a me più vicino e precisamente nei tratti
della costa di Porto Pino. Avevo appena conseguito il diploma di scuola media inferiore
quando, con i miei sudati risparmi, andai a Carbonia, entrai alla UPIM (dove tante volte
mi ero soffermato a guardare incantato le attrezzature) e acquistai la mia prima giacca
della muta (una Mares col neoprene sfoderato esterno a “tartaruga”, con cerniera
centrale e con cappuccio separato), il coltello, maschera, boccaglio e pinne Cressi e
l’indimenticato oleopneumatico ad impugnatura centrale, il mitico Jaguarino.
Con alcuni amici (specie con Antonello) si andava in Vespino e ci si immergeva nei
fondali prospicienti la pineta di Candiani o nelle coste adiacenti. Furono tempi davvero
indimenticabili, arrivarono le prime prede (si fa per dire) e quasi subito optai per la
rinuncia alla fiocina (un oggetto che mi è sempre stato antipatico) a favore dell’arpione,
al costo di tante padelle in più ma anche di maggiori chanses di salvezza per i pesci
(come se già non né avessero abbastanza).
Qual è il posto dove ritorni più volentieri ? Perché ?
Inevitabilmente ritorno più volentieri proprio in queste zone, che io amo profondamente
e che racchiudono una grossa parte delle mie esperienze ed avventure, della mia vita e
della mia adolescenza. Quei fondali, che allora conquistavo metro dopo metro, ancora
oggi mi commuovono e mi ci muovo come se fossero casa mia. Nessun altro posto
potrà mai occupare lo stesso spazio nel mio cuore, nemmeno un posto cento volte più
pescoso. La poesia, l’amore per il blù, sono tutte cose che quei fondali mi rendono ogni
volta che metto la maschera; oggi come allora un brivido corre lungo la schiena e torno
ad essere quel ragazzino innamorato perdutamente di quei posti magici.
Quali tecniche di pesca prediligi? Quali sono le prede che preferisci insidiare?
Faccio prima a dirti quale tecnica NON prediligo: la pesca in tana. E’ una pesca che non
mi ha mai affascinato e non la pratico praticamente mai anche se, volendo, me la cavo
anche bene. Le mie pescate sono basate quasi completamente sull’agguato e
sull’aspetto, quest’ultimo inteso però quasi sempre come fase conclusiva dell’agguato.
Purtroppo l’aspetto puro è sempre più infruttuoso soprattutto nelle mie zone, spesso
caratterizzate da una splendida trasparenza dell’acqua. Ecco che l’agguato diviene
l’arma principale per portare a tiro prede di rango: lunghi percorsi sul fondo intervallati
da brevi aspetti utili a scrutare il circondario. Riuscire a portare a tiro orate, saraghi,
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cernie ecc quando questi sono assolutamente ignari della mia presenza, è un qualcosa
di esaltante e mi infonde una grande fiducia nei miei mezzi tecnici. Un’altra pesca che
mi affascina tantissimo è quella in caduta ma la pratico di rado perché pesco spesso da
solo mentre in questi frangenti preferirei un compagno fidato sopra la testa.
In conseguenza delle mie attitudini tecniche le prede che più frequentemente si trovano
nel mio cavetto sono orate, saraghi, spigole, talvolta cefali, qualche riccioletta,
barracuda; molto più rare sono le corvine e le cernie, i dentici e le ricciole grosse. La
preda preferita non ce l’ho ma ho una netta preferenza per le prime tre specie
nominate.
Che attrezzature usi ?
Ho un rapporto conflittuale con le attrezzature: certe volte vorrei fregarmene e utilizzare
ciò che ho, senza tante fisime di perfezionismo poi, al solito, la mia pignoleria prende il
sopravvento ed eccomi pronto a modificare, a pensare a soluzioni che mi permettano di
migliorare le performances ed ottimizzare la battuta di pesca. Oramai uso solamente
mute su misura che acquisto da Enrico e Andrea Biavati, due amici serissimi nonché
ottimi sarti con una grande esperienza alle spalle. Uso in genere mute in
foderato/spaccato in tinta mimetica o che mimetizzo personalmente.
Per le stagioni intermedie ho un completo da 5 mm che integro con una giacca da 6,5
per l’inverno, pantaloni da 3mm per le stagioni calde e un completo da 3 mm per le
caldissime estati che fanno qui a noi. Uso ancora pinne in tecnopolimero che ben si
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adattano al mio modo di pescare ed ho diverse coppie di Cressi Rondine Gara, ormai
introvabili, perché nessun’altra scarpetta mi si addice così perfettamente. Maschera
Cressi Super Occhio e aeratore sempre Cressi. Nella cintura elastica tengo dai 4 ai 6 kg
di zavorra, due cavigliere da 500 gr ed uno schienalino autocostruito che varia da 2.7 a
4 kg. Un piccolo coltellino Seac all’avambraccio completa la dotazione di base assieme
ad un pallone a siluro con sagola da 6 mm con pedagnetto che abbandono in zona di
pesca. I miei fucili sono praticamente tutti arbaletes tranne un Mares Reef 65 senza
variatore che resta quasi sempre a casa. Ho due Excalibur, un 60 in alluminio ed un 90
in carbonio al quale ho totemizzato la testata, equipaggiandolo con asta da 6 mm,
elastico circolare da 16 mm Dessault e mulinello universale. Poi ho il mio novanta
“ufficiale”, un arbalete con fusto in legno lamellare di Iroko che termina con impugnatura
Excalibur; questo è dotato di asta da 6,5 mm (Devoto o Seatec monoaletta) e solito
circolare Dessault con mulinello Omer dedicato.
La “new entry” è un Black Viper 100, anch’esso modificato
per un uso col solo
circolare, che al momento è un Demka ambra da 18 mm lungo 60 cm. Il mulinello è
quello universale e l’asta, per una questione di assetto e di ingombro, è lunga solo 130
cm. Tutte le ogive sono articolate Omer, l’ultima serie con le sferette in ottone adatte
alla legatura casalinga. Non ho un 75 perché qui da noi non ha molto senso, vuoi per la
costante trasparenza dell’acqua vuoi perché non pratico la pesca in tana.
Non uso la torcia!
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Che modifiche apporti ?
Come già detto modifico tutte le testate tradizionali eliminando le odiate boccole ed,
ovviamente, mi faccio i circolari della misura desiderata legandoli alle estremità.
Mimetizzo l’aereatore, le pinne, la maschera, i guanti e, se necessario, tutta la muta
perché credo molto nel mimetismo, in particolare nei bassi fondali dove pesco
solitamente, ricchi di luce e dall’elevata trasparenza dell’acqua. Ho uno schienalino
molto particolare, costituito da un panetto di piombo e da una custodia in neoprene che
lo contiene. Questa è aperta da un lato e si chiude con del velcro, permette quindi un
cambio di panetto ed una variazione della pesata a seconda delle esigenze. Sul fondo
ha del velcro che si accoppia perfettamente con la controparte, incollata alla schiena
della muta (ovviamente si può fare solo nelle foderate). Il grande vantaggio è quello di
non avere cinghiagli che attraversano il torace, lo svantaggio quello di essere indossato
assieme alla giacca!!!
La preda che ricordi più volentieri ?
Sicuramente la mia prima spigola importante, catturata all’isola di San Pietro quando
ero un ragazzino di 17 anni: pesava quasi 3 kg e fui così felice della cattura che uscii
dall’acqua, terminando la pescata, dopo soli 20 minuti!!! L’altra preda indimenticata è
una bella leccia che si è strappata perché non avevo il mulinello (l’unica volta nella mia
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vita); né conservo un ricordo vivissimo e mi dispiace pensare che sia andata a morire
da qualche parte anche per colpa mia.
I tuoi difetti come pescatore ?
Mah, ci vorrebbe un testo a parte per elencarli tutti…Non ho un grande istinto venatorio,
nel senso che mi accontento in fretta; mi bastano poche prede di rango e sono felice.
Vorrei avere una maggior capacità di praticare l’aspetto sul medio alto fondale, magari
un’apnea più lunga e, soprattutto, una concentrazione maggiore. Tante volte mi
sfuggono prede che erano lì, vicinissime, per pura disattenzione o per “eclissi”
estatiche. Spesso ciò mi succede a fine pescata, facendomi magari perdere la preda
della giornata. Potrei migliorare molto l’approccio alla tana ma proprio non riesco ad
appassionarmici abbastanza e poi….si, direi che sono poco “versatile”, nel senso che
sono più un esteta che un cacciatore; non amo il torbido, non godo per la forte risacca,
non amo i fondali piatti (nemmeno se ricchi di prede), odio il freddo. Tutte queste
caratteristiche mi complicano la vita perché le prede che catturo sono quasi tutte assai
sospettose perché insidiate in acqua libera, nel medio-basso fondo, con mare calmo e
trasparentissimo.
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I tuoi pregi ?
Penso di avere una discreta acquaticità e di aver assimilato bene concetti come
“velocità non aggressiva”, silenziosità, capacità di avvistamento/avvicinamento, concetti
che stanno alla base della tecnica del bravo agguattista. Ho una certa esperienza nel
riconoscere il “carattere” di ogni singola preda. Non ridere, io sono convintissimo che
ogni sarago si comporti in modo molto diverso da un suo simile: io riesco a riconoscere
subito quello insidiabile da quello intollerante all’avvicinamento e perdo meno tempo in
inutili tentativi, irrimediabilmente destinati all’insuccesso ed alla spolmonatura precoce.
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Cosa ritieni di aver imparato dal Mare ?
Sicuramente l’amore per l’ambiente marino e il rispetto per i suoi abitanti; il mio prelievo
si limita a qualche preda mangiabile e che abbia, in ogni caso, una valenza sportiva,
intesa come valorizzazione della sfida che mi vede avversario del pesce ma anche suo
grande ammiratore. Se (come spesso accade) vince lui gli rendo onore. Questo
principio mi porta a non sparare mai murene e gronghi o polpi e cefalopodi in genere,
scorfani, mostelle, razze e pesci simili.
Di grande importanza per la crescita anche personale e caratteriale credo sia stata la
necessità di rapportarmi al Mare con assoluta riverenza, imparando a non superare mai
i limiti di sicurezza e conservando una giusta dose di paura per il liquido elemento.
E poi ho imparato altre cose fantastiche, come ascoltare i suoi silenzi, ascoltare me
stesso ed ho imparato la modestia, io piccolo uomo al cospetto della sua maestosità.
Non temo di dire una banalità quando affermo che il posto dove mi sento più vicino a
Dio è il Mare.
Cosa diresti ad un giovane che si accosta al Mare oggi ?
Gli vorrei dire tantissime cose…Soprattutto di avere un enorme rispetto per un amico
affabile ma severo!
Abbiate rispetto del mare e dei suoi abitanti, siate ospiti educati e godete delle sue
meraviglie prima ancora che delle sue prede.
Siate prudenti fino all’esagerazione, non c’è pesce che valga la vita. Un bravo
pescapneista non si riconosce né dalle profondità raggiunte, né da una preda enorme
ma casuale; si riconosce per la costanza delle catture, per la qualità dell’azione di
pesca (anche se frutta una preda di peso solo normale), per le prede di pregio che
arricchiscono il cavetto.
Un racconto di Mare ?
Si perde nelle nebbie del tempo. Devo risalire a quando avevo circa sedici anni. Allora
cominciavo ad affrontare delle discese che per me erano impegnative,nei fondali di
Candiani. Mi trovavo delle chiazze di sabbia intorno ai 14 metri e mi divertivo a
scendere giù, poggiarmi sulla sabbia e guardare la superficie dai mille bagliori argentei.
All’epoca avevo un oleo della Technisub, il Jeans 75. Durante una di queste discese,
mentre planavo verso il fondo, mi accorsi di un piscione che si avvicinava in orizzontale,
rimanendo a distanza di sicurezza. Non riuscii ad identificare con sicurezza
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l’appartenenza ad un specie, poteva essere un parago od un pagello, sinceramente non
ricordo con precisione. Ciò che ricordo era il suo insolito approccio; ad ogni discesa mi
si avvicinava incuriosito e nonostante mi spostassi anche di 200 metri in superficie, una
volta vicino al fondo eccolo li che mi seguiva come un cagnolino affezionato. La scena
si ripetè parecchie volte finchè io decisi di spostarmi nel basso fondo a pescare. Però la
cosa non mi passò certo di mente e, due giorni più tardi, ritornai nello stesso punto.
Incredibilmente al primo tuffo eccolo di nuovo; mi faceva tenerezza ma notavo anche
che la distanza tra me e lui si riduceva progressivamente, al punto che ad una
successiva immersione, con mio stupore, non riuscivo a vederlo. Guardando più
attentamente mi accorsi che era esattamente sotto di me, tranquillamente a tiro, e fu
allora che il maledetto istinto venatorio e la voglia di prendere un bel pesce ebbero il
sopravvento: con grande emozione presi la mira e sparai….Fortuna volle che
rilasciando immediatamente il grilletto, la sagola si incastrò nuovamente nello
sganciasagola automatico e l’asta si fermò prima di colpire il pescione. Ricorderò
sempre la sua reazione! Dopo un primo allontanamento si girò con indignazione e mi
guardò per lunghi secondi negli occhi, come per dirmi: “ ma come, io ti ho trattato da
amico, ti ho dato la mia fiducia e tu mi ripaghi così, con una fucilata a tradimento?”. Si
voltò e sparì nel blu senza più farsi vedere. Sai, per me questa è una storia fantastica
che mi ha insegnato davvero tanto e, sebbene abbia perso un amico, mai sono stato
più felice di aver padellato una preda. Mi piace pensare di avergli regalato
un’esperienza di vita che gli avrà insegnato a non fidarsi mai dell’uomo.
Oggi, chi è Osvaldo Uccheddu ?
Oggi sono una persona adulta, con una famiglia ed un lavoro e con tanti impegni da
affrontare, impegni che il quotidiano “regala” a tutti noi. Sono, grazie a Dio, felice della
mia vita, appassionato tantissimo di Musica e di Mare, le cose che più mi permettono di
evadere dallo stress quotidiano ed a cui torno più spesso che posso. Mia moglie Lidia e
mio figlio Marco sono il successo della mia vita. Marco studia musica al Conservatorio
di Cagliari ed è un ragazzo bravo e educato; è ovviamente il mio orgoglio e né vado
davvero fiero, gli piace immergersi ma non ha un grande istinto predatorio, il suo sogno
è una videocamera subacquea per poter filmare il mare e, magari, il babbo nel corso
delle battute di pesca. Lidia lavora anch’essa ed è una moglie comprensiva ed
adorabile nonché…un mostro ai fornelli, in particolare nel cucinare primi piatti e pesce.
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Cosa volere di più? Niente, solo andare in Mare il più frequentemente possibile.
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Cognome: Uccheddu Nome: Osvaldo Data di nascita: 09