[IL TERRORISMO UIGURO]
IL TERRORISMO UIGURO: UN MOVIMENTO
INDIPENDENTISTA CON INFLITRAZIONI QAEDISTE
Germana Tappero Merlo
Nell’ultimo ventennio, con la fine della guerra fredda e
prima ancora dei fatti dell’11 settembre 2001, il terrorismo
di matrice islamica si era ampliato sino ad inglobare
e influenzare pesantemente l’azione di movimenti
indipendentisti di regioni o parte di Stati a maggioranza
musulmana, in cui la comunità islamica era ed è repressa o
addirittura ignorata dalle autorità dei rispettivi governi
centrali, con conseguenti disagi di sfruttamento e
sottosviluppo.
La lotta per l’autonomia di quelle realtà era iniziata come
rivolta per il diritto all’autodeterminazione dei
popoli, propria di una cultura comunista-marxista: con la
fine della guerra fredda e della contrapposizione ideologica,
l’accento è stato posto più sulla connotazione religiosa e da
dimostrazioni di piazza o rivolte si è passati a forme di azione
di violenta, sia terroristica che, in alcuni casi, di guerra vera e
propria. L’escalation è stata favorita sia dalla brutale
repressione delle manifestazioni popolari da parte dei vari
governi centrali sia, soprattutto, dal rinnovato vigore del
jihadismo e dell’ampliamento dell’influenza alqaedista che
hanno finito per inglobare questi gruppi di combattenti
musulmani nella loro azione terroristica globale.
Non sempre la lotta di quelle comunità musulmane per la
loro autonomia si trasforma in azione terroristica: tuttavia, vi
è il rischio che il malcontento generato dal mancato sviluppo
e dalla discriminazione creino non solo tensioni sociali di
difficile arginamento ma che alimentino anche un bacino di
giovani combattenti poi facilmente attratti dall’azione
armata jihadista perché unica alternativa possibile di
manifestazione pubblica per reclamare i propri diritti. Se a
ciò, poi, vanno ad aggiungersi componenti proprie della
geopolitica e della geoeconomia contemporanea di un
ordine mondiale in divenire, ecco che è possibile l’insinuarsi
di questi elementi, tipici del terrorismo jihadista
internazionale, in realtà destabilizzate e conflittuali.
Inoltre, il proselitismo e l’arruolamento di elementi nel
terrorismo di matrice islamica sono ampiamente alimentati
dalla crudeltà dei metodi di contrasto da parte delle autorità
centrali, soprattutto in realtà come quella cecena o cinese.
La tortura o le esecuzioni sommarie di terroristi o presunti
tali, sia uomini che donne, non fanno che alimentare
l’opposizione ai rispetti governi centrali, in un mix di
fanatismo religioso e vendetta personale, che vanno ad
aggiungersi o addirittura a sostituire l’obiettivo primario che
era, e in parte è ancora, quello dell’autonomia politica: il
jihad, poi, arriva a supportare lo sforzo bellico in vista anche
della creazione del Califfato, che è il vero obiettivo di
elementi estremi come quello dei combattenti ceceni.
Il terrorismo di matrice islamica ma di forte connotazione
indipendentista, è quello della regione dello Xinjiang (la
“nuova frontiera”), nella Cina sud-occidentale, a confine con
il Pakistan.
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Gli uiguri, di etnia turcofona e di religione musulmana
sunnita e che occupano la parte meridionale dello Xinjiang,
in quella che è la Regione Autonomia Uigura, anche se
l’autonomia è solo formale, con altre piccole realtà come
quella turca, uzbeca, kazaka e tagica, rappresentano il 46%
di 22 milioni di abitanti di questa regione che, dagli anni ’90,
e sotto la spinta della politica di Pechino del “go West”, ha
subito una forte immigrazione dell’etnia cinese han, al fine
di urbanizzarla e industrializzarla, considerandola
cruciale per il futuro economico del Paese.
Infatti, per la sua posizione geografica, lo Xinjiang è
strategico per i commerci da e verso la Cina, soprattutto
vista la vicinanza con il Pakistan, alleato economico, di cui
sfrutta lo sbocco sul mare nel porto di Gwadar, diventata
base d’appoggio dei traffici commerciali cinesi.
Un ruolo, poi, cruciale è dato dagli idrocarburi. Lo stesso
petrolio del mar Caspio, inoltre, passa dallo Xinjiang per
raggiungere le aree dell’Asia-Pacifico: ma quella regione
possiede giacimenti di gas, petrolio, 52 minerali e terre rare
tanto da essere definito un hub energetico fondamentale
per la Cina. Pechino ha infatti avviato un progetto decennale
(iniziato nel periodo 2011 e avviato entro il 2015) per la
produzione di gas e petrolio, trasformando la regione nella
più grande base di lavorazione di idrocarburi della Cina. Le
cifre parlano di 330 milioni di tonnellate di petrolio e 45
miliardi di metri cubici di gas.
Non meno significativa, inoltre, è la Trans-Asia-Europe Fiber
Optic Line, ossia un tracciato per fibra ottica che collegherà
Shanghai e Francoforte e passante anch’esso per lo Xinjiang,
cruciale per quella che Xi Jinping ha definito la silk road
economic belt. Insomma, un grande futuro è stato
progettato per questa regione ai confini estremi occidentali
della Cina. Tuttavia, proprio l’etnia uigura sta dando
pericolosi segnali di insofferenza del controllo di Pechino,
sebbene non sia nuova a manifestazioni di intolleranza verso
la Cina.
Dall’annessione di questa regione, detta anche Turkestan
orientale, da parte di Mao Tse Dong nel 1949 si sono avute
sommosse e il relativo rafforzamento di un movimento
separatista, già presente dai primi anni ’30 come
conseguenza dell’opposizione ai numerosi tentativi cinesi di
annettere la regione al proprio territorio. Inoltre, dal 1964 al
1996, il Turkestan orientale è stato per circa 50 volte area di
esplorazione nucleare, con la morte di 300mila persone a
causa degli effetti radioattivi. La sperimentazione si è
fermata solo con l’arrivo delle ondate migratorie cinesi.
Proprio in seguito all’immigrazione interna, negli ultimi
decenni, l’opposizione uigura ha assunto nuove forme di
lotta: dalle rivolte di piazza (se ne contano almeno 400, in
settant’anni) all’azione terroristica vera e propria.
Quest’ultima è condotta dal Movimento Islamico del
Turkestan Orientale (ETIM), considerato da Pechino la più
grande minaccia alla propria sicurezza interna, tanto da
creare appositamente, nel 2003 e per la prima volta nella
sua storia, una sua lista nera in cui elencava 4 organizzazioni
terroristiche che promuovevano la causa di quella parte del
Turkestan, e tutte legate ad al-Qaeda. Allora i gruppi erano,
oltre a ETIM, l’ Eastern Turkistan Liberation Organization
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(ETLO), World Uyghur Youth Congress (WUYC) e l’ East
Turkestan Information Center (ETIC). Ciò era anche il
risultato della partecipazione cinese alla guerra
internazionale contro il terrorismo, iniziata dopo l’11
settembre 2001: infatti, gli oppositori uiguri da
“fondamentalisti e separatisti” erano diventati per le
autorità di Pechino, “terroristi” a tutti gli effetti. In realtà, le
loro azioni realmente “terroristiche” sarebbero avvenute
solo in seguito.
L’ETIM, nella lista nera statunitense dei gruppi terroristici dal
2002, ha acquisito dal 2012 il Partito Islamico del Turkestan
(TIP), dopo che il suo leader Emeti Yakuf (alias Abdul
Shakoor Turkistani or Abdul Jabbar), era morto per mano di
un drone statunitense in azione nel Waziristan pakistano.
L’azione terroristica ha di fatto soppiantato le rivolte di
piazza, duramente represse dal governo cinese ed esplose
violentemente per via dell’accelerazione dell’ integrazione
politica da parte di Pechino. Gli spari delle forze dell’ordine
cinesi contro la folla armata di soli coltelli, oltre alle
esecuzioni (per lo più arbitrarie, secondo alcuni) di numerosi
terroristi o presunti tali, hanno alimentato grandemente lo
scontento popolare, innescando così una reazione a catena
in cui è prevalso prepotente l’elemento religioso, ossia la
difesa dell’identità musulmana contro l’ “invasione” cinese.
Lo stesso tentativo delle autorità centrali di controllare e
bloccare le attività degli imam e delle moschee della
comunità uigura, non ha fatto altro che alimentare
ulteriormente il malcontento e l’opposizione violenta
popolare.
Negli anni, inoltre, hanno pesato i contatti di appartenenti ai
gruppi separatisti uiguri con elementi talebani afghani e
pachistani a cui si erano rivolti per addestrarli nella lotta
contro il governo cinese, non condividendone però gli
obiettivi della loro guerra contro l’Occidente. Data
l’ambiguità della loro presenza, nello stesso Pakistan molti di
loro vennero uccisi dagli stessi talebani: di altri, invece, si è
avuta traccia nelle carceri di Guantanámo, anche se poi è
stata verificata la loro estraneità al jihadismo alqaedista.
In pratica, i contatti avuti ad inizio del nuovo millennio non
portarono a una stretta collaborazione fra quei pochi
elementi uiguri e al-Qaeda: tuttavia, l’inserimento dei loro
movimenti di lotta nelle liste nere cinesi ha trasformato
quella guerra per l’autonomia in un maggior attivismo di
protesta religiosa, e quindi anche per la libertà di culto e per
la difesa di una minoranza. Ciò avveniva mentre, su un
fronte completamente differente, ossia quello tibetano, la
protesta dei monaci contro le autorità cinesi aveva assunto
tinte fosche e sanguinarie con la dura repressione del 2008:
emergevano così prepotentemente due fronti di lotta contro
il potere centrale cinese con una forte connotazione
religiosa. Tuttavia, la rivolta uigura non riscuoteva la stessa
eco di quella tibetana presso i mass media mondiali.
La repressione di queste proteste ha fatto sì che sul
carattere politico abbia prevalso quello religioso, anche se
appartenente a culti di comunità totalmente differenti e
incentrate fin dall'inizio su motivazioni autonomiste.
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Mai come nel caso degli uiguri, tuttavia, è chiara la svolta
drammatica da “rivolta popolare” ad “azione terroristica”
con numerose vittime da entrambe le parti, e di come la
repressione abbia contribuito al proselitismo e
all’allargamento della base combattente.
Non è un caso che, dopo il 2009, ossia dopo il massacro di
200 manifestanti sia uiguri che han a Urumqi, la capitale
dello Xinjiang, vi sia stata un’impennata dell’azione
terroristica: nel solo 2012 sono stati registrati nella regione
190 attentati. Gli obiettivi erano per lo più centri istituzionali
e rappresentanti locali, ed erano concentrati nella regione
stessa dello Xinjiang.
Tuttavia, di recente qualcosa è cambiato.
Infatti, se nel 2012 vi fu un’impennata di azioni violente che
imposero maggior contrasto da parte di Pechino, dal 2013 la
lotta uigura si è spostata oltre i confini regionali, mettendo a
segno numerose operazioni, di cui due decisamente molto
importanti e dall’eco internazionale.
La prima è avvenuta il 28 ottobre 2013, quando tre uiguri
(come si è appurato in seguito) hanno fatto esplodere, in un
attentato kamikaze, un’autobomba sulla piazza di
Tienanmen, uccidendo 5 persone e ferendone 38. L’altra
azione è avvenuta il 1 marzo 2014 nella città di Kunming,
nella regione dello Yunnan, dove un commando di una
decina di persone, armate di soli coltelli e machete, hanno
ucciso 34 persone e ferite altre 130. In quest’ultimo atto vi
sarebbe stata una combinazione di separatismo, jihadismo
ma anche desiderio di vendetta per la forte azione di
contrasto del governo centrale cinese.
Ciò che ha colpito le autorità cinesi e gli esperti
internazionali sono le differenti modalità operative di
entrambi gli attentati che sottolineano un salto operativo
importante da parte del gruppo ETIM e parte di TIP che, fra
l’altro, ha rivendicato quello di Pechino attraverso il suo
leader Abdullah Masourha dai forum on line del jihadismo.
Nella dinamica di questi eventi emerge, infatti, l’influenza
jihadista, abbastanza prevedibile d’altronde data la
vicinanza dello Xinjiang sia all’Afghanistan che al Pakistan e
per i motivi visti più sopra.
Innanzitutto, in entrambi gli attentati, le vittime erano civili
innocenti più che membri della polizia o rappresentanti
istituzionali; entrambi, inoltre, sono avvenuti prima di
incontri ufficiali del governo cinese molto importanti, da cui
una visibilità maggiore sui mass media, data la loro
attenzione per gli impegni imminenti.
La scelta stessa dei luoghi, anche se molto diversi,
rappresenta un cambio di strategia e di tattica operativa.
Non si tratta solo dell’azione fuori dai propri confini regionali
ma, nel caso di Tienanmen, di un luogo simbolo della Cina
sia come sito turistico sia per la repressione delle rivolte del
1989, e di tutto ciò che ne è seguito a livello di opinione
pubblica mondiale.
Nel caso di Kunming, inoltre, vi è di un ulteriore passo in
avanti, data non solo dalla scelta della regione, lo Yunnan,
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ma anche dell’obiettivo colpito, ossia una stazione
ferroviaria.
dell’antiterrorismo cinesi, su presunti terroristi maschi
uiguri.
Lo Yunnan, infatti, è considerato l’ hub strategico del traffico
di droga proveniente dal c.d. Triangolo d’oro (Myanmar,
Laos e Tailandia), e con un ambiente malavitoso a
disposizione di quei combattenti pronti a “migrare”
clandestinamente verso teatri di guerra, come quello afgano
e siriano, per unirsi a formazioni jihadiste o alqaediste.
Da ciò che è dato sapere dalle fonti ufficiali, lo stesso
governo centrale cinese ha aumentato fortemente negli
ultimi tre anni la spesa per la sicurezza interna, andando a
superare quella, già consistente, per la difesa tout court. Se
per il 2013, la spesa per la sicurezza interna era di 130
miliardi $ (a fronte dei 119 per la difesa), nel 2014 è previsto
un incremento, seppur non noto (mentre per la difesa è del
12%). La stessa istituzione, a novembre 2013, di un
Comitato per la Sicurezza dello Stato sarebbe la
dimostrazione di come la minaccia terroristica, e non solo
quella uigura, visti gli agganci con il jihadismo e l’alqaedismo,
sia da considerarsi una priorità per Pechino.
Inoltre, colpire luoghi civili come le stazioni ferroviarie, e
quindi deviare, ancora una volta dai siti e/o obiettivi
istituzionali tradizionali, è tipico dei militanti del Nord del
Caucaso, in particolare dei ceceni. La stessa presenza di
donne nel commando di Kunming, inoltre, è tipico della
shahidka, ossia delle “vedove nere” cecene, a sottolineare
come il modello caucasico si stia ampliando anche in altre
regioni orientali.
Tuttavia, l’elemento nuovo e preoccupante sarebbe la
comparsa a Kunming della bandiera nera come quella di alQaeda a fianco di quella del Turkestan orientale, abbinando
così l’ispirazione religiosa all’ ambizione indipendentista. Ciò
sarebbe dovuto all’influenza del TIP, alleato di al-Qaeda, a
conferma dell’ampliamento della lotta non solo oltre i propri
confini geografici ma anche in quelli propri del jihadismo
globale. Ciò, comunque, non deve sorprendere, dato che
alcune fonti dell’antiterrorismo internazionale avevano
già segnalato la presenza di combattenti uiguri sia nei campi
di addestramento in Pakistan che nello stesso conflitto in
Siria, a dimostrazione della loro necessità di “agganci” con
l’esterno, per affrontare l’azione di contrasto del governo
cinese, e per il desiderio di partecipare alla lotta jihadista
globale.
Ciò che, quindi, starebbe avvenendo nel caso degli uiguri è
l’ampliamento del loro raggio d’azione e dei loro possibili
obiettivi, così come di una maggior continuità operativa (da
attacchi sporadici ad azioni di lotta consistente) di quello che
era l’originale movimento islamico per l’autodeterminazione
dell’etnia uigura e che ora appare sempre più come un
terrorismo di matrice alqaedista e jihadista. La presenza di
combattenti uiguri in Pakistan fa, infatti, temere non solo un
miglioramento del loro addestramento operativo ma anche
dei loro inevitabili agganci con il network jihadista da cui,
poi, trarre finanziamenti ed elevare il livello degli attacchi e
degli obiettivi. Si stanno, infatti, cercando gli agganci anche
finanziari con l’ Islamic Movement of Uzbekistan (IMU) e
quello del Kyrgyzstan, ossia con i membri di quella diaspora
uigura iniziata con la repressione cinese e che ha coinvolto
questi Paesi dell’ex Unione Sovietica e confinanti con lo
Xinjiang.
Inoltre, l’insorgere di un fanatismo jihadista e alqaedista
nello Xinjiang è da considerarsi pericoloso per via della
vicinanza di quella regione con il Tartastan e la Bashkaria,
ossia due repubbliche della Federazione Russa a
maggioranza musulmana. Soprattutto nella repubblica
tartara, e nella regione del Volga in generale, vi sarebbero
segnali di un pesante ritorno al radicalismo di matrice
islamica che si esprime in attacchi violentissimi contro i
cristiani ortodossi. Sebbene con altre caratteristiche rispetto
all’azione del terrorismo uiguro o ceceno, ciò che preoccupa
gli analisti è l’allargamento a macchia d’olio della minaccia
jihadista e anche alqaedista dagli obiettivi disparati, ma con
modalità operative proprie del terrorismo e dell’intolleranza
etnica e religiosa. Insomma, le due grandi potenze, Cina e
Russia, sebbene con modalità diverse (uiguri, ceceni e
jihadisti del Volga) stanno sperimentando al loro interno
minacce di un terrorismo islamico dalle capacità operative e
rigenerative di difficile contrasto e di contenimento. Una
minaccia alla loro stabilità interna e una sfida anche alla
loro immagine internazionale, data la dura repressione
richiesta per evitare il loro radicamento, il proselitismo e il
consenso da parte delle popolazioni locali.
15/3/2014
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Germana Tappero Merlo©Copyright 2014 Global Trends &
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Rimane forte l’incognita di quanto il movimento di lotta
islamica uigura sia strutturato in Cina: si può immaginare,
comunque, che data la forte politica di controllo del governo
centrale anche sul traffico interno di armi, il ricorso dei
combattenti uiguri a coltelli, molotov e autobomba sia da
considerarsi inevitabile. Inoltre, secondo alcuni osservatori,
è anche possibile che, in futuro, verranno impiegate donne
ed elementi non necessariamente uiguri, ossia combattenti
jihadisti stranieri, reclutati per quella causa, dato il giro di
vite e controllo, da parte delle forze di polizia e
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