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5
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Buongiorno a tutti. A me è stato affidato l'onore di dare il via ai lavori di
questo seminario.
Innanzi tutto voglio ringraziare tutti i partecipanti, che saluto, e i Colleghi
presenti. L’altra cosa che vorrei dire è che questo dibattito è molto
importante, soprattutto in questa fase in cui è iniziato un passaggio di
competenze dallo Stato alle Regioni nelle materie internazionali e quindi
anche in materia di cooperazione allo sviluppo.
Evidentemente le Regioni stanno acquisendo un ruolo sempre più
importante. Ricordo personalmente il dibattito sulla riforma della legge
sulla cooperazione, quando ancora facevo il parlamentare, e già all'epoca
emergeva fortemente questa esigenza di decentramento.
Io sono qui solo per questo, per augurarvi un buon lavoro per la giornata
odierna. Sarò molto attento ai risultati che emergeranno dal dibattito di
oggi, perché la materia è importante oltre che interessante, per cui a voi
tutti una buona giornata e un buon lavoro.
6
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Buongiorno a tutti, vorrei portare un particolare ringraziamento al Consiglio
regionale per aver organizzato questa giornata, in quanto reputo oggi sia
sempre più necessario, quasi indispensabile, poter riflettere in maniera
approfondita su questi temi e su quanto le Istituzioni sono chiamate a fare
in materia di cooperazione allo sviluppo.
Dobbiamo partire, a mio avviso, innanzitutto da una riflessione molto
semplice: per quanto riguarda le relazioni internazionali, oggi assistiamo in
maniera sempre più evidente ad un intrecciarsi quasi spontaneo, che
nasce quasi per necessità, di rapporti a tutti i livelli istituzionali, anche fra
Enti che hanno diversa natura giuridica ed istituzionale. Questo accade
proprio in virtù del fatto che si cerca in maniera migliore, più approfondita
e senza improvvisazioni, di andare incontro e di soddisfare i bisogni, le
necessità e le spinte che vengono dal territorio nel quale insiste l’azione di
cooperazione.
La nostra Regione in questo è pienamente coinvolta. Come assessore ai
diritti umani ed alla cooperazione allo sviluppo mi trovo, infatti, sempre più
coinvolta a tavoli comuni con gli altri Enti, con le Associazioni, con quanto
il territorio della nostra Regione esprime, proprio nell’intento di non
trascurare alcun aspetto dell’attività di cooperazione. Le sfaccettature in
questo campo sono molte e assai varie: dal settore economico a quello
commerciale, alla tutela ambientale, che richiede un’attenzione ed una
sensibilità particolari, alla conservazione dei patrimoni culturali, linguistici
od etnici che si incontrano nelle varie realtà.
Tutto questo, ovviamente, va affrontato, al di là dei confini di una Regione
o di uno Stato e senza alcuna volontà “colonizzatrice”, nello spirito della
cooperazione nella sua migliore accezione. Noi amministratori siamo
chiamati ad un rispetto e ad una sensibilità che dobbiamo ogni giorno
7
aggiornare, limare e rendere più moderna e più al passo con i tempi in
continua evoluzione.
Per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo che la Regione Veneto
sta attuando, l’azione che si cerca di svolgere è incentrata proprio sulla
ricerca di una democrazia dei popoli che deve trasformarsi in diplomazia
internazionale, in vera e propria democrazia della gente.
Noi non possiamo assolutamente non cogliere che lo sviluppo economico,
culturale e sociale nasce proprio da un grandissimo rispetto della
dimensione locale, ed oggi credo che le decisioni più concrete si
assumano proprio in una dimensione locale. Quindi sta a noi saper
scendere in questa dimensione nel migliore dei modi e, come dicevo
prima, con la maggior sensibilità ed attenzione possibile.
La Regione Veneto con netto anticipo rispetto ad altre realtà regionali, si è
dotata di una legge per disciplinare queste materie, inizialmente
emanando una legge che riguardava la pace e i diritti umani, poi
elaborandone una nuova oggi in vigore che riguarda non solo la pace e i
diritti umani, ma anche la cooperazione allo sviluppo e la solidarietà
internazionale, una legge sicuramente più moderna e con un orizzonte più
ampio proprio per cercare di andare incontro alle esigenze internazionali
con un ventaglio di possibilità ampio e variegato.
Con il piano annuale di quest’anno abbiamo voluto con forza che la parte
riguardante la solidarietà internazionale fosse focalizzata sull’emergenza,
questo in parte a causa di quanto accaduto lo scorso anno con la guerra
in Afghanistan, ma in ogni caso perché tutti i giorni ci troviamo ad
affrontare situazioni di emergenza. Quindi solidarietà proprio come aiuto
nell’emergenza, come presa di coscienza di avvenimenti difficili che
accadono e che la Regione Veneto e le altre istituzioni devono affrontare
nel modo più semplice, più celere e soprattutto più efficace.
Per il 2002, per quanto concerne la solidarietà internazionale, si è così
proceduto ad emanare un bando aperto fino alla fine di novembre, proprio
perché, per definizione, l’emergenza è una situazione che non si può
8
assolutamente prevedere. Noi ci auguriamo, ovviamente, di non averne
bisogno, né nel mese di luglio né a novembre, ma in ogni caso sono cose
che purtroppo accadono ed è necessario, in caso di emergenza, avere i
mezzi per intervenire tempestivamente come Regione evitando lacci e
burocrazie che impedirebbero un aiuto immediato.
Per quanto riguarda invece la cooperazione allo sviluppo, con il Piano
sono state individuate in particolare tre aree geografiche: il Corno d’Africa
e i paesi africani in via di stabilizzazione, l’Europa dell’Est e l’America
Latina. In queste tre zone l’obiettivo è duplice: da una parte coinvolgere al
massimo i soggetti presenti nella nostra Regione, dall’altra cercare un
rapporto diretto ed operativo con le realtà locali dove si svolge l’attività di
cooperazione. Quindi un coinvolgimento pieno della nostra Regione e di
tutte le associazioni, gli Enti, le Onlus, le Organizzazioni Non Governative
che ci sono nella nostra Regione, ma con un occhio di riguardo per quelle
che sono le realtà locali che s’incontrano, in modo tale da poter trasferire
le nostre conoscenze, le nostre capacità, per creare uno sviluppo che sia
veramente rispettoso delle realtà locali. Realtà locali che, come vi dicevo
prima, sono per noi il primo interesse perché possano collaborare e
cooperare con noi, ma soprattutto crescere per avere un futuro proprio.
In questo campo, lo diciamo con un pizzico di orgoglio, le attività della
Regione Veneto sono guardate con molta attenzione. Per quanto riguarda
i diritti umani, per esempio, nello scorso anno scolastico – e, dato il
buonissimo risultato che abbiamo avuto, è stato ripetuto anche per l’anno
in corso - è stato organizzato, in collaborazione con i Provveditorati e tutte
le scuole di ogni ordine, elementari, medie e medie superiori, un corso di
aggiornamento per i docenti interessati. Ne abbiamo così coinvolti oltre
700, un numero assolutamente considerevole! Oltre a questo è stato
promosso un corso per educare e sensibilizzare i ragazzi delle scuole sui
temi della interculturalità e del rispetto delle varie nuove culture che i
ragazzi oggi incontrano anche nelle loro realtà scolastiche.
9
Ne è scaturito un lavoro molto approfondito e di grandissimo interesse,
tanto che il Ministero della Pubblica Istruzione ha chiesto al Veneto di
diventare Regione capofila per quanto riguarda i diritti umani. Questo per
noi è un motivo di grandissima soddisfazione, di grandissimo orgoglio e
abbiamo la certezza di essere sulla strada giusta.
Questo lavoro verrà raccolto in un CD ROM che presenteremo prima
dell’inizio dell’autunno, proprio perché vogliamo dare un’attenzione
particolare alle nuove generazioni. Esse sono il nostro futuro e un domani
dovranno confrontarsi con una collettività sempre più globalizzata, che
propone loro modelli di vita a volte molto lontani da quelli che i genitori
hanno potuto trasmettere, non per incapacità ma proprio per una nuova ed
assai diversa situazione generazionale.
Per ritornare alle aree geografiche nelle quali la Regione Veneto vuole
concentrare la sua azione di cooperazione, la prima, come vi dicevo, è
l’Europa dell’est, che comprende l’Europa centro–orientale e tutti i Paesi
della Comunità degli Stati Indipendenti. Questo interesse è giustificato non
solo per l’estrema vicinanza geografica di queste regioni, ma anche dalla
provenienza delle persone che compongono l’alto flusso migratorio che
investe la nostra Regione: soprattutto albanesi, polacchi e rumeni, senza
dimenticare le recenti vicende politiche e belliche che hanno coinvolto
quella parte d’Europa, destando in noi come Regione vicina un’attenzione
particolare.
Inoltre, e non è un dato trascurabile, vi è una fortissima presenza
dell’imprenditoria veneta e del nostro associazionismo in queste zone,
quindi è doveroso da parte della Regione Veneto essere accanto ai propri
imprenditori ed alle proprie associazioni.
Un’altra zona di interesse è l’America Latina: lì vi è una fortissima
presenza di emigranti veneti, ci sono alcune municipalità del Brasile che
addirittura hanno una preponderanza non solo di italiani, ma proprio di
veneti; ci sono intere comunità formate anche per l’80% da emigranti di
origine veneta. In queste zone si è sviluppato un forte volontariato
10
proveniente dalla nostra Regione a testimonianza della nostra cultura, che
in quelle regioni ha appunto trovato terreno fertile su cui esercitare il
proprio operato: noi abbiamo reputato opportuno essere accanto a loro
con una forte e mirata progettualità.
L’ultima zona nella quale operiamo è il Corno d’Africa, assieme ad altri
Paesi africani che sono in via stabilizzazione. Il Corno d'
Africa è di nostro
interesse perché, avendo avuto in passato amministrazione italiana,
mantiene con noi ancora dei legami culturali, ma, soprattutto, sono di
nostro interesse quei Paesi che hanno attraversato o stanno ancora
attraversando drammatiche situazioni di conflitto nelle quali molto spesso
si realizzano interventi di solidarietà e di emergenza in campo agricolo,
sanitario e sociale.
Per concludere volevo anticiparvi che, nei primi giorni del mese di
novembre, la Regione Veneto organizzerà una Conferenza proprio sui
temi dei diritti umani e della cooperazione allo sviluppo. Per riuscire ad
organizzarla al meglio, tenendo conto di tutte le esigenze del territorio, ho
reputato opportuno convocare, per i primi giorni di luglio, i due Comitati: il
Comitato dei diritti umani e il Comitato per la cooperazione, proprio per
delineare con loro un progetto condiviso per questi due giorni di
Conferenza. Vorrei fosse non soltanto un momento di grande visibilità per
l’operato della nostra Regione, ma soprattutto un momento di
approfondimento, di lavoro e di confronto, anche con la realtà delle altre
Regioni.
Mi auguro quindi che l’appuntamento di novembre non sia solo
un’occasione per poter far conoscere l’operato della Regione Veneto, ma
soprattutto, per conoscere le varie realtà che operano in questo campo e,
con sinergie, programmare le azioni future.
Il mio augurio è che la Regione Veneto possa diventare un vero e proprio
laboratorio, e in questo senso anche il Governo centrale ci è vicino e l’ha
già pienamente dimostrato, e credo che come Regione potremo dare il
nostro contributo in maniera precisa, puntuale ed anche competente.
11
Questo grazie non solo a noi, ma grazie al tessuto di associazioni e di
volontariato che la nostra Regione esprime e che è da sempre un fiore
all’occhiello per noi veneti.
Ripeto, per noi sarà un appuntamento molto importante, dal quale mi
auguro di poter veramente trarre il massimo del beneficio per poter in
futuro continuare non solo ad essere una Regione capofila, una Regione
guida, ma soprattutto per crescere al nostro interno e per permettere a me
come assessore, ma soprattutto a chi lavora al mio fianco e condivide
questo percorso, di crescere e di dare delle risposte sempre migliori e
sempre più efficaci alle necessità locali.
Vi ringrazio per l’attenzione, grazie e buona continuazione dei lavori.
12
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6YLOXSSR
Un buongiorno anche da parte mia ed un ringraziamento particolare a tutti
voi per essere intervenuti oggi, un grazie per i saluti portati dal Presidente
del Consiglio e dall’Assessore.
La Commissione speciale per la cooperazione allo sviluppo del Consiglio
regionale del Veneto, che ho l’onore di presiedere, vuole, con
l’organizzazione di questo seminario tecnico, rilanciare la riforma della
Legge n. 49 del 1987 che disciplina la cooperazione dell’Italia con i Paesi
in via di sviluppo.
Il Veneto è sempre stata una Regione leader in Italia nel campo dell’aiuto
ai Paesi in via di sviluppo, per storia, per presenza di associazioni e
volontari, per legislazione (è stata la prima Regione in Italia a dotarsi, già
nel 1988, di uno strumento normativo proprio in materia), e per sensibilità
istituzionale: infatti nessun altro Consiglio regionale ha istituito al suo
interno una Commissione speciale che si occupa esclusivamente di
cooperazione allo sviluppo.
Per questo parte proprio dal Veneto la proposta di rilanciare la modifica
della legge n. 49/1987, una legge nata quando le politiche di aiuto ai Paesi
poveri privilegiavano i grandi progetti infrastrutturali ed i rapporti diretti fra
Stati, superata anche in campo organizzativo dalla recente modifica del
titolo V° della Costituzione.
Le Regioni italiane hanno fatto molto in materia di cooperazione,
soprattutto a partire dagli anni 90, dopo lo scoppio della guerra in ex
Yugoslavia. Su questo fronte si sono impegnate in particolare le Regioni
dell’area adriatica, anche a causa della loro vicinanza geografica e storica.
Anche se la legge 49/1987 riconosce un seppur limitato ruolo propositivo e
attuativo agli Enti locali nell’azione di cooperazione allo sviluppo
governativa, nelle loro attività le Regioni molto spesso hanno utilizzato
13
leggi e risorse proprie, e solo in minima parte si sono inserite come
soggetti attivi nell’azione di cooperazione allo sviluppo attuata dallo Stato.
Le Regioni però si sono impegnate soprattutto nel campo dell’emergenza
umanitaria, operando in zone colpite da conflitti armati o calamità naturali,
non riuscendo ad elaborare una propria politica globale di aiuto allo
sviluppo.
Ora con la modifica del titolo V° della Costituzione, introdotta dalla Legge
Costituzionale n. 3 del 2001, si apre una fase nuova: vi è la possibilità per
le Regioni di operare nell’ambito della politica estera, e quindi anche nel
campo della cooperazione allo sviluppo, ed appare chiaro come vi sia la
necessità di adeguare il quadro normativo nazionale a questo mutamento
di prospettiva.
Ma oltre che dal nuovo contesto organizzativo dello Stato italiano, il
riconoscimento di un ruolo attivo per gli enti locali è richiesto anche da
quanto deciso in ambito internazionale, a partire dal Vertice sullo Sviluppo
Sociale di Copenaghen del 1995, che ha puntato sulla valorizzazione della
cooperazione decentrata fra enti o soggetti omologhi per cercare di ridurre
la povertà.
L’entrata in scena negli ultimi anni nell’ambito del tema dello sviluppo dei
Paesi poveri di nuove problematiche, quali la globalizzazione, con la
constatazione che i governi nazionali non sono in grado di gestirla
compiutamente, le carenze delle politiche dei finanziamenti per lo sviluppo
(tema della recente Conferenza dell’ONU in Messico a Monterrey), la
mancata riduzione della povertà e della fame nonostante gli impegni presi
dai Paesi più sviluppati nelle Conferenze dell’ONU e delle sue Agenzie,
spingono ancora di più per una riforma: una riforma che deve superare il
modello di cooperazione tra Stati, che sino ad oggi non ha dato i risultati
attesi, e che deve riconoscere il ruolo importante della cooperazione
decentrata. Una cooperazione attuata in forma di partnerariato fra soggetti
simili delle amministrazioni locali e della società civile dei Paesi del Nord e
14
del Sud del mondo, soggetti che essendo più vicini ai cittadini sono anche
i più idonei a coglierne le esigenze e ad approntare risposte efficaci.
Questo seminario vuole essere un primo momento di riflessione, per
cercare di dare una risposta adeguata ad esigenze avvertite e che, se non
verranno colte, faranno sì che gli enti locali continuino ad agire
singolarmente, come soggetti indipendenti gli uni dagli altri, senza alcun
coordinamento con lo Stato e fra di loro, disperdendo così gli aiuti in mille
rivoli che non potranno incidere efficacemente sulle situazioni di bisogno
dei Paesi beneficiari.
Un buon punto di partenza potrebbe essere il testo di riforma della legge
n. 49/1987 approvato dal Senato nel settembre 1999, durante la scorsa
legislatura, che non è diventato legge per lo scioglimento anticipato delle
Camere.
Questo testo di riforma vedeva con favore la cooperazione decentrata,
riconoscendo Regioni ed Enti locali quali “soggetti italiani della
cooperazione” con pari dignità con il Governo italiano, prevedendo
finanziamenti appositi per la cooperazione decentrata, consentendo la
cooperazione non solo con i Governi dei Paesi in via di sviluppo, ma
anche direttamente con le loro amministrazioni decentrate e con altri
soggetti rappresentativi, affidando alle Regioni e agli Enti Locali le attività
di cooperazione governativa rientranti nelle materie di loro competenza.
E’ da qui quindi che bisogna ripartire, e spero che questo seminario possa
essere un primo passo per riprendere in mano una riforma di cui tutti i
soggetti che si occupano di cooperazione allo sviluppo sentono la
necessità.
Io non voglio togliere altro tempo alla discussione, mi limiterò
semplicemente a coordinare i lavori di questo seminario.
15
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Prima di scendere nel dettaglio analizzando e poi commentando, sia pur
con un taglio eminentemente pratico, le novità introdotte dalla modifica del
Titolo V° della Costituzione, vorrei portare la mia testimonianza di
Presidente del Consiglio regionale, relativa al tipo di rapporti internazionali
che un'
Assemblea regionale ed una Regione può sviluppare. Infatti questa
tipologia di rapporti e di relazioni internazionali è diversa rispetto a quella
che può sviluppare il Governo nazionale, almeno con riferimento alle
competenze attuali, alle competenze precedenti la riforma del Titolo V°. La
legge costituzionale n. 3 del 2001 ha, infatti, dettato dei principi che
necessitano di altre norme di dettaglio per essere attuati e che oggi non
hanno ancora visto un'
applicazione concreta.
Devo dire che le Regioni hanno una maggiore flessibilità nel rapportarsi
con l'
estero, una maggiore flessibilità nei confronti delle comunità regionali
all'
estero e una maggiore flessibilità anche nei confronti del mondo
economico, e questo, secondo me, è un aspetto importante da
sottolineare.
Il Presidente del Consiglio, Berlusconi, sta impostando una riforma del
Ministero degli Esteri tesa a rendere l'
attività del nostro Ministero meno
burocratica, meno diplomatica nel senso “pomposo” del termine, e
trasformarla in un’attività, invece, ispirata ai criteri dell'
operatività.
Ritengo che le Regioni riescano ad essere straordinariamente operative:
questa considerazione discende dalla mia esperienza dei rapporti tenuti
attraverso le comunità di piemontesi nel mondo, comunità che sono
16
massicciamente
presenti
in
modo
particolare
in
Sud
America,
specialmente in Argentina e in Brasile.
Queste associazioni di piemontesi nel mondo, negli anni, sono riuscite a
sviluppare un’interessante rete di diplomazia parallela che, ripeto,
risponde a criteri operativi di assoluta speditezza ed elasticità.
Questo è un passaggio che ho ritenuto importante segnalare. L’efficienza
della nostra rete all’esterno può essere certamente migliorata, ma il criterio
che deve presiedere a qualunque tipo di riforma e di riordino, anche sul
versante dell'
ordinamento regionale, deve essere, a mio avviso, quello di
operare attraverso uomini che conoscono il territorio.
L’obiettivo si riesce a raggiungere quando, all'
estero, ci si rivolge ad
uomini che conoscono, da un lato, le problematiche dei nostri connazionali
e dei corregionali e che, dall'
altro, conoscono anche il territorio, le sue
dinamiche e riescono ad affrontare non soltanto i momenti belli, ma anche
i momenti brutti (penso per esempio alla crisi che sta attraversando
l'
Argentina in questo momento).
Per entrare nel merito dell’argomento oggetto della mia relazione, la
riforma del Titolo V° della Costituzione ha comportato alcuni cambiamenti
in materia, soprattutto ha introdotto dei principi nuovi, alcuni negativi, altri
positivi.
Gli articoli che riguardano le competenze internazionali delle Regioni sono
quelli previsti innanzitutto dall'
articolo 117, primo comma, della
Costituzione che stabilisce un nuovo limite per la legislazione statale e per
quella regionale: quello dei vincoli derivanti dall'
ordinamento comunitario e
dagli obblighi internazionali. In tal modo si pone così sullo stesso piano la
legislazione statale e la legislazione regionale.
La Costituzione stabilisce, quindi, questo principio ma, se da un lato si
parifica la funzione della legislazione regionale a quella statale, dall’altro si
introduce il limite degli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario,
arrivando a trasferire dei poteri a Bruxelles e a fare in modo che questi
17
poteri siano esercitati dall’alto, senza un coinvolgimento democratico dal
basso.
Questa norma è stata letta, e così la leggo anch’io, come una limitazione
molto forte al principio della sovranità nazionale, e ha soprattutto, a mio
avviso, un'
influenza tanto più negativa quanto più all'
interno dell'
Unione
Europea non ci sono dei processi chiari di formazione degli atti comunitari
e delle decisioni comunitarie attraverso un metodo democratico.
Oggi, come tutti ben conosciamo, le competenze del Parlamento europeo
sono molto limitate e l'
Unione Europea non ha un meccanismo di
formazione delle decisioni tipico della rappresentanza parlamentare.
La stragrande maggioranza dei poteri è in mano al Consiglio e non in
mano al Parlamento: poche sono, infatti, le materie oggetto del
procedimento di codecisione, dove il Parlamento ha la possibilità di
esprimere la sua posizione in modo vincolante.
La stragrande maggioranza della gestione dell'
Unione Europea è affidata
ad una burocrazia che ha un potere molto forte e che è slegata rispetto ai
meccanismi della rappresentanza elettiva.
La seconda considerazione che ritengo di fare è legata all'
articolo 117,
comma 2 e comma 3.
Il comma 2 prevede come competenza legislativa dello Stato l'
intrattenere
i rapporti con gli altri Stati esteri e con l'
Unione europea.
Questo è un principio a mio avviso “ovvio”, perché non c'
è altro soggetto
che nelle materie riservate alla competenza legislativa dello Stato possa
intrattenere rapporti internazionali.
Il comma 3 del 117 stabilisce, però, che nelle materie che sono di
competenza delle Regioni, la competenza legislativa in tema di rapporti
internazionali, è una competenza concorrente tra lo Stato e le Regioni.
Questo principio è interessante: non viene introdotta la competenza
legislativa esclusiva delle Regioni, (ossia non è previsto che nelle materie
di competenza dello Stato è lo Stato a tenere rapporti internazionali, e
nelle materie di competenza della Regione è la Regione a tenere i rapporti
18
internazionali), ma si stabilisce che nelle materie di competenza delle
Regioni vi sia una potestà legislativa concorrente.
Si afferma così la titolarità delle Regioni nel tenere i rapporti internazionali
e non più soltanto rapporti di promozione e di cooperazione. C'
è stato,
quindi, il salto di qualità in quanto si comincia a parlare di rapporti
internazionali e di relazioni internazionali vere e proprie. Questa però è
una scatola messa lì che si può riempire in un modo oppure in un altro,
bisogna infatti ricordare che quanto enunciato dall’articolo 117 è soltanto
un principio che necessiterà di attuazione e che la scatola dovrà essere
riempita di contenuto.
Un'
altra norma interessante in materia è l'
articolo 117, comma 5, il quale
prevede il principio per cui la Regione deve partecipare alle decisioni
dirette, alla formazione degli atti comunitari nelle materie che sono di
propria competenza. E’ cioè prevista una partecipazione alla fase
ascendente degli atti comunitari.
Inoltre, lo stesso articolo prevede che le Regioni diano esecuzione agli
accordi internazionali e agli atti dell'
Unione Europea nelle materie di
propria competenza, nel rispetto però delle norme e delle procedure
stabilite dalle leggi dello Stato. Anche qui si individuano le Regioni come
soggetti interlocutori diretti dell'
Unione Europea.
Se si pensa ad un'
Europa delle Regioni, questo potrebbe essere un
principio interessante, bisognerà però vedere come questo principio verrà
attuato e quale contenuto gli verrà dato.
Un altro principio è quello sancito nell’articolo 117, comma 9, il quale
prevede la possibilità da parte delle Regioni di concludere accordi con gli
Stati esteri e di concludere intese con gli Enti territoriali interni di un altro
Stato, in casi e forme però disciplinati dalla legge dello Stato.
Questi fino a qui richiamati sono principi positivi.
L'
articolo 120, comma 2, che prevede un potere sostitutivo dello Stato nel
caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali e della normativa
comunitaria, introduce invece un principio negativo. Questo articolo, infatti,
19
potrebbe prestarsi, e si è già prestato, ad un uso fortemente penalizzante
per le Regioni a favore dello Stato e, di fatto, limita fortemente anche
questa competenza regionale embrionale.
A tal proposito vorrei richiamare quanto ho detto prima sull’articolo 117
primo comma, cioè la forte limitazione della sovranità nazionale che si
potrebbe verificare, con l’affermarsi dell’idea di una Europa centralista e
non di una Europa confederale.
Segnalo anche un ulteriore problema che è rappresentato dal fatto che le
norme di attuazione dei trattati internazionali – oggi adottati con legge
ordinaria - alla luce di questo articolo verrebbero considerati una fonte
superprimaria e quindi questo principio verrebbe a creare degli
sconvolgimenti sotto il profilo della gerarchia delle fonti.
Un ulteriore problema è rappresentato dalle norme internazionali
consuetudinarie, ossia dalle norme non codificate, che potrebbero avere
valore superiore rispetto alla legge ordinaria.
Risulta evidente che un conto sono i trattati, un altro sono le norme del
diritto internazionale consuetudinario che potrebbero anche essere
oggetto di difficile interpretazione e dare luogo a tutta una serie di
problemi. Basti pensare soltanto ai problemi della traduzione scritta, del
mettere nero su bianco le norme consuetudinarie, ma anche della
traduzione delle diverse lingue.
Certamente questo articolo solleva dei problemi.
Con riferimento invece ai rapporti internazionali ed ai rapporti con l'
Unione
Europea, il Titolo V° detta solo dei principi che dovranno essere sviluppati
ulteriormente. Ritengo che il primo passaggio importante posto in essere
dal Governo sia stato quello di predisporre un testo di legge di attuazione
del Titolo V° della Costituzione, sul quale la Conferenza Stato Regioni ha
già espresso il parere e che quindi potrà adesso seguire l'
iter
parlamentare.
Questo testo comincia ad individuare, sul tema dei rapporti internazionali,
degli aspetti e prevede che, essendo una materia a legislazione
20
concorrente, i principi contenuti nella legislazione dello Stato debbano
essere oggetto di una intesa, ossia di un doppio passaggio all’interno della
Conferenza Stato-Regioni.
Questo è il principio che è stato introdotto e che poi dovrà essere
certamente sviluppato in sede parlamentare.
Ritengo però di dover segnalare che i rapporti tra lo Stato e le Regioni
sono tenuti dalla Conferenza Stato-Regioni, e cioè da una Conferenza a
cui partecipano soltanto i Presidenti delle Giunte - ossia i rappresentanti
dell'
organo esecutivo - e non invece i rappresentanti degli organi
legislativi.
Questo é un problema perché le competenze legislative sono esercitate
dai Consigli regionali e spesso i Presidenti delle Giunte non hanno una
grande facilità di rapporto con i Consigli regionali. Non voglio introdurre
temi di "sindacalismo” tra Consigli e Giunte. Il problema però c'
è ed è un
problema che noi - intendo come Presidenti dei Consigli regionali e come
Consiglieri regionali - abbiamo più volte segnalato in tutte le sedi.
E’ opportuno, quindi, che le leggi di principio dello Stato facciano
riferimento al contesto regionale, e viceversa che le Regioni, nelle
decisioni dirette alla formazione degli atti comunitari, rispettino le norme
stabilite da legge dello Stato.
Il Titolo V° pertanto detta un principio che dovrà essere regolamentato
dalla legislazione statale attraverso una disciplina uniforme.
Il Governo ha dettato ulteriori principi con la riforma della legge “La
Pergola” che disciplina le procedure di partecipazione dell'
Italia alla
formazione di tutti gli atti comunitari, prevedendo le diverse forme di
partecipazione delle Regioni.
La Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali ha approvato un
documento che vuole introdurre il principio in base al quale, nelle materie
che sono di competenza esclusiva delle Regioni, l'
Italia, in sede di
Consiglio dei Ministri della Comunità Europea, dovrà essere rappresentata
da esponenti delle Regioni.
21
Il Consiglio oggi è l'
organismo che decide e quindi risulta evidente
l'
importanza della partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti
comunitari.
Noi chiediamo che questo principio venga adottato dal nostro Paese come
è già avvenuto in Belgio e in Germania. Il Belgio, per esempio, nelle
materie di competenza regionale manda dei Ministri regionali, e questo
avviene anche per la Germania.
Noi chiediamo ad esempio che, in materia di agricoltura e turismo, materia
dal 1992 di competenza comunitaria e di competenza esclusiva delle
Regioni a seguito alla riforma del Titolo V° della Costituzione italiana, ci
siano dei rappresentanti regionali in sede di Consiglio dei Ministri della
Comunità che possono anche essere degli Assessori regionali.
Per quanto riguarda invece la fase discendente, cioè l'
esecuzione degli
accordi internazionali, devo dire che la Costituzione recepisce un principio
entrato in uso progressivamente negli ultimi anni in base al quale nelle
materie di competenza regionale l'
esecuzione di tali accordi era riservata
alle Regioni.
I Consigli regionali dovranno cambiare mentalità a seguito del salto di
qualità che è rappresentato dalle competenze legislative esclusive. Fino
ad oggi infatti i Consigli regionali hanno normato con discipline di dettaglio,
con discipline che attenevano più che altro alla procedura. Oggi devono
intervenire con riforme di sistema: pensiamo al turismo che è diventato di
competenza regionale esclusiva e che fino ad ora non è stato oggetto di
leggi organiche in quanto era materia di legislazione concorrente.
Per la verità neanche lo Stato ha fatto mai riforme di sistema, tranne la
legge del 1983 e l'
ultima legge n.135 del 2001, che appena approvata non
si è potuta applicare perché di fatto incostituzionale. Lo Stato aveva
legiferato infatti in una materia che era già di competenza delle Regioni,
quindi adesso il passaggio sarà quello di fare anche delle leggi di
disciplina della materia complete, visto che si ha una competenza di
carattere esclusivo.
22
Un altro aspetto interessante è anche il principio, contenuto nel disegno di
legge di attuazione del Titolo V°, per cui i ricorsi alla Corte di Giustizia
dell'
Unione Europea saranno fatti dallo Stato su richiesta delle Regioni, in
tal modo avremo un coinvolgimento delle Regioni nell'
accesso alla Corte
di Giustizia europea.
Vorrei fare un commento sull’art. 117, comma 9, che prevede la possibilità
da parte delle Regioni di concludere accordi con gli Stati e intese con gli
Enti territoriali. Sulle intese non ci sono problemi perché impegnano la
Regione per quanto di sua competenza. Sugli accordi, invece, ci sono dei
problemi giuridici in quanto si sviluppa in un ambito internazionale.
L'
intesa non riguarda il diritto internazionale, è un protocollo che si muove
nell'
ambito della promozione e della cooperazione, materie già
riconosciute alle Regioni, mentre l'
accordo è uno strumento tipico del
diritto internazionale. Pertanto il problema che si pone è se e in che modo
l'
accordo possa impegnare lo Stato, oltre che impegnare la Regione, cioè
se la Regione venga ad avere una soggettività di diritto internazionale che
vada al di fuori della sfera interna dello Stato.
Fino ad ora si è seguita la seguente impostazione: si riconosce alla
Regione la possibilità di uscire dalla sfera interna statale, quindi di
muoversi in un ambito internazionale attraverso la concessione da parte
dello Stato dei cosiddetti pieni poteri; pieni poteri però che vengono
concessi attraverso una procedura di intesa, di verifica preventiva del
contenuto degli accordi e via dicendo. Per cui se da un lato le Regioni
possono uscire dall’ambito statale, dall’altro la concessione dei pieni poteri
è, francamente, limitante.
Capisco che ci debbano essere dei meccanismi di informazione
preventiva, però un meccanismo attraverso il quale lo Stato possa in tutto
e per tutto determinare le linee di un accordo sottoscritto dalla Regione è
un po'troppo. La linea che il Governo sta seguendo è la linea della
concessione dei pieni poteri previa ratifica preventiva dell'
accordo
sottoscritto.
23
Per quanto riguarda il potere sostitutivo previsto dall’articolo 120 comma 2,
l'
unica cosa che potrebbe verificarsi è che tale potere venga esercitato
senza dare sufficiente tempo alle Regioni per poter operare.
In sede di attuazione del Titolo V bisognerà quindi precisare tempi congrui
che consentano l'
attività legislativa regionale perché altrimenti potrebbe
accadere che lo Stato adotti preventivamente una normativa che entri in
vigore non appena scaduti i termini, così esercitando, di fatto, un potere
sostitutivo preventivo.
In chiusura di questo intervento volevo sollevare un altro problema: è vero
che le Regioni devono, se necessario, fare un braccio di ferro con lo Stato
centrale per rivendicare più competenze, per fare in modo che anche in
materia di diritto internazionale ci siano maggiori poteri possibili, però
prima di tutto noi legislatori regionali dobbiamo cambiare mentalità, perché
in molti campi già oggi abbiamo dei poteri che non abbiamo ancora
imparato ad esercitare appieno.
Quindi direi che sono necessari tutti e due gli aspetti: lavorare molto
sull'
attuazione del Titolo V° e anche sulla legge “La Pergola”, per fare in
modo che le competenze internazionali delle Regioni siano competenze
complete, ma anche acquistare oggi, una mentalità da legislatori per
quanto possiamo già fare e per quanto è già di nostra competenza.
24
(WWRUH/$85(1=$12
&RQVLJOLHUHSDUODPHQWDUH
³5XRORGHOOH5HJLRQLQHOODSURVSHWWLYDGHOODULIRUPDGHOODOHJJHQ´
Anche i recenti avvenimenti internazionali costituiscono obiettivamente un
severo ammonimento sulla necessità assoluta di operare affinché le
distanze tra i Paesi più ricchi e quelli meno fortunati non abbiano ad
aumentare. La stessa possibilità di evitare gravi sconvolgimenti delle
relazioni internazionali poggia in gran parte sull'
attuazione di una
condizione preliminare: riuscire a governare il processo della
globalizzazione, sfruttandone le grandi possibilità tecniche ed impedendo
però che esse creino nuove ed ancora più gravi discriminazioni. Il GLJLWDO
GLYLGH rischia di emarginare intere comunità dal processo di
accumulazione di nuove conoscenze e ricchezze.
Persino la possibilità di contrastare il terrorismo internazionale diviene più
realistica, se vengono prosciugate le sacche di umiliazione e disperazione
che offrono il brodo di coltura di cui si alimentano i gruppi criminali che
praticano la politica del fanatismo e della distruzione. Le relazioni
economiche tra Paesi, ed in particolare quelle tra il Nord e il Sud del
mondo, non possono pertanto essere affidate unicamente alle leggi del
mercato. E’ certo necessario, ma non sufficiente, attuare su scala la più
ampia possibile un regime di libera concorrenza che favorisca lo sviluppo
delle forze produttive. Occorrono però anche interventi mirati, di sostegno
alle comunità più deboli, per contrastare le emergenze, garantire livelli
minimi di reddito e anche rendere possibile la successiva instaurazione di
ordinarie condizioni di mercato. Una vigorosa ripresa dell'
aiuto pubblico
allo sviluppo, che negli ultimi anni ha conosciuto una preoccupante
regressione, è dunque una necessità inderogabile, tanto più per un Paese
come l'
Italia, e per le Regioni e gli Enti locali che lo costituiscono. Non si
tratta solo di “aiuti al Terzo mondo”, secondo una tradizionale concezione,
25
visti quasi come la estensione a livello più ampio della beneficenza
individuale. In un mondo sempre più globalizzato, dove anche avvenimenti
in Paesi lontani ci toccano da vicino e pongono a rischio i nostri equilibri e
le nostre abitudini, interventi di aiuto possono da un momento all'
altro
rivelarsi assolutamente necessari ed urgenti. Si pensi, ad esempio, alla
rapidità con cui negli ultimi tempi si è dovuto intervenire in Paesi come la
Bosnia, il Kossovo o l'
Angola. Certo in questi casi si muove la comunità
internazionale ed è opportuno che gli aiuti italiani - e delle singole parti
d'
Italia - siano offerti nell'
ambito di un coordinamento internazionale.
L'
Italia non può però limitarsi a delegare tutto ad organismi internazionali
e, se si vuole che gli aiuti siano massimamente funzionali, occorre una
specifica strumentazione nazionale, volta anche al coordinamento degli
interventi delle singole Regioni, facendo affidamento su quella ricca rete di
associazione e di volontariato che è particolarmente presente in una
Regione come il Veneto. Anche dal punto di vista, per così dire, “egoistico”
degli interessi nazionali, risulta evidente la necessità della cooperazione
allo sviluppo.
Un Paese come l'
Italia, che dispone di un limitato strumento militare (e
peraltro non è neanche desideroso, giustamente, di incrementarlo oltre
misura), e non esercita una grande attrattiva come piazza di investimento
finanziario per capitali stranieri, non può a cuor leggero rinunciare a
quell'
essenziale strumento di politica estera che è dato dallo cooperazione
allo sviluppo. Né solo di strumento si tratta, poiché la cooperazione allo
sviluppo esprime, per le sue caratteristiche strutturali, la stessa visione
globale affermata dall'
articolo 11 della Costituzione repubblicana, quella di
un mondo in cui la guerra sia ripudiata come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali e vengano assicurate la pace e la giustizia tra
le nazioni. In tale prospettiva risulta però irragionevole la tendenza italiana
degli ultimi anni non solo alla riduzione dei finanziamenti, ma anche,
nell'
ambito di tali fondi ridotti, ad un incremento della percentuale destinata
agli organismi internazionali che finanziano iniziative di sviluppo,
26
favorendo così, per adoperare la terminologia corrente, la cooperazione
multilaterale a danno della cooperazione bilaterale. Nell'
anno 2000 l'
aiuto
pubblico allo sviluppo dell'
Italia è stato di 2.892 miliardi di lire, equivalenti
allo 0,13 per cento del Prodotto Interno Lordo, mentre nel 1992 era stato
equivalente allo 0,34 per cento del PIL. Di quei 2.892 miliardi di lire, l'
aiuto
bilaterale netto è stato solo di 792 miliardi. Nessuno dei Paesi dell'
OCSE
dedica alla cooperazione bilaterale una percentuale così limitata dei propri
aiuti. E proseguire lungo questa strada equivarrebbe, per il nostro Paese,
alla sostanziale rinuncia ad una politica estera indipendente, rinuncia che
peraltro nessuno ci chiede, che i nostri alleati si guardano bene
dall'
effettuare e che avrebbe conseguenze negative sia per l'
Italia, sia per i
Paesi politicamente e geograficamente più vicini. Si pensi, ad esempio,
alla importantissima relazione tra cooperazione allo sviluppo e politiche
dell'
immigrazione. Buon senso, equità e serena considerazione del proprio
ruolo come nazione devono indurre l'
Italia ad indirizzare prioritariamente i
suoi aiuti verso i Paesi che ad essa sono maggiormente legati per ragioni
storiche, geografiche ed economiche.
Questa impostazione è naturalmente valida anche per la singola Regione
- ne ha già parlato il dottor Cota – la quale può opportunamente,
nell'
ambito di un coordinamento a livello nazionale, indirizzare i propri
interventi di cooperazione verso i Paesi, ad esempio, da cui provengano
consistenti flussi migratori nel proprio territorio o verso Paesi
geograficamente vicini. Il fondamento di legittimità di tali interventi delle
Regioni è oggi saldamente offerto dal nuovo testo dell'
articolo 117 della
Costituzione, che apre un nuovo settore di attività delle Regioni, anche per
quanto concerne i rapporti internazionali.
Una volta “metabolizzata”, per così dire, la nuova normativa,
eventualmente anche con le modifiche che si rivelassero necessarie e che
auspicabilmente dovrebbero essere redatte e approvate in stile ELSDUWLVDQ
con l'
approntamento dei necessari strumenti organizzativi, le Regioni
27
potranno
condurre
una
propria
politica
anche
con
proiezione
internazionale, facendo tesoro di tutte le esperienze di volontariato
presenti sul loro territorio. E i fatti stessi dimostrano e dimostreranno
l'
enorme utilità del coordinamento tra i diversi livelli istituzionali degli
interventi di cooperazione allo sviluppo.
L'
efficacia di tale coordinamento dovrebbe essere garantita dalla legge
nazionale organica sulla cooperazione allo sviluppo, ma l'
attuale legge n.
49 del 1987 viene pressoché unanimemente considerata sorpassata,
tanto che nella precedente legislatura tutti i principali gruppi parlamentari
si sono trovati concordi sulla necessità di pervenire ad una nuova
normativa. Come è noto, un disegno di legge fu approvato dal Senato e,
passato poi alla Camera dei Deputati, venne licenziato per l'
Aula dalla
Commissione esteri, senza che poi peraltro l'
Aula riuscisse ad approvarlo.
Le differenziazioni ed i contrasti si registrarono non solo tra l'
allora
maggioranza e l'
allora opposizione, ma percorsero trasversalmente
entrambi gli schieramenti. Nell'
attuale legislatura - sia che si voglia ancora
cercare di pervenire ad una nuova legge organica sia che tale tentativo
venga giudicato troppo ambizioso e ci si limiti all'
obiettivo di una modifica
della legge 49 - è in ogni caso opportuna una riflessione preliminare sui
fattori che nel recente passato hanno impedito di giungere ad una
soluzione tale da poter essere giudicata soddisfacente almeno dalla
maggioranza dei parlamentari e dal Governo.
Evidentemente la politica di cooperazione allo sviluppo deve poter contare
su uno strumento professionale permanente a carattere tecnicoburocratico (nel significato migliore del termine “burocratico”). Al tempo
stesso però deve essere incentivata la più ampia sinergia con le altre
pubbliche amministrazioni, con le organizzazioni di volontariato ed anche
con gli operatori economici, senza in nessun modo intaccare il principio
della responsabilità politica, che deve restare anzitutto attribuzione del
Ministro degli Affari Esteri, nell'
ambito delle scelte effettuate dal Governo,
28
in stretto collegamento con il Ministro dell’economia, per quanto concerne
la partecipazione italiana agli organismi finanziari internazionali, e con i
Presidenti delle Regioni.
E'necessario insomma arrivare ad una sorta di “quadratura del cerchio”,
dotando la cooperazione allo sviluppo di un apparato professionale
efficiente, che però non invada assolutamente il campo della
responsabilità politica e neanche quello della conduzione tecnica della
politica estera del Paese ad opera della categoria dei diplomatici.
La lacuna più grave della legge vigente - a mio personale parere - sta
proprio nella mancata previsione di un apparato tecnico della
cooperazione, rigorosamente strutturato ed in grado di porsi come
costante punto di riferimento.
A tale lacuna si è posto solo parzialmente rimedio nel corso degli anni,
con una normativa di rango sublegislativo e sfruttando le lezioni che
venivano dalla esperienza.
Quello di tecnico (o PDQDJHU, o esperto) della cooperazione è un mestiere
particolare, che richiede specifiche doti professionali ed umane. Certo va
salvaguardato il ruolo dei diplomatici, che costituiscono l'
apparato
professionalmente competente per la gestione di quella generale politica
estera dell'
Italia nel cui ambito vanno collocati gli interventi di
cooperazione e che hanno avuto in passato il grandissimo merito di aver
avviato, in forme quasi pionieristiche, l'
attività di cooperazione allo
sviluppo. Accanto al ruolo dei diplomatici è però imprescindibile il ruolo
degli esperti professionali della cooperazione, ai fini non solo dello studio
preventivo e del controllo in corso d'
opera, ma anche della valutazione
successiva.
Una volta che le decisioni politiche siano state prese, le questioni tecniche
devono essere di competenza di uno specifico apparato, il quale, per la
sua stessa struttura, deve essere particolarmente attrezzato per il
collegamento non solo con il vasto mondo della cooperazione non
29
governativa
e
decentrata,
ma
anche
con
le
altre
pubbliche
amministrazioni.
A tale proposito, occorre tuttavia francamente riconoscere che il testo del
disegno di legge sul quale hanno dibattuto le Camere nella passata
legislatura determinava probabilmente più problemi di quanti contribuisse
a risolvere. Soprattutto il testo approvato dalla Commissione Esteri della
Camera dei Deputati accentuava inopportunamente l'
autonomia operativa
della auspicata Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo,
giungendo a prevedere che essa avesse propri uffici direttamente
accreditati presso Governi stranieri e potesse intrattenere direttamente
rapporti con organismi internazionali. Non desta pertanto sorpresa che
tale previsione sia stata vista come una minaccia per il carattere unitario
della politica estera italiana.
Altrettanto criticabile era forse la previsione che le competenze del
Ministro degli Affari Esteri in materia di cooperazione allo sviluppo
dovessero da lui essere necessariamente delegate ad un Sottosegretario.
A tacere delle perplessità che desta di per sé la figura della “delega
necessaria”, che sembra costituire quasi una contraddizione in termini, - e
sorvolando sui precedenti, non particolarmente esaltanti, di questa figura
nella storia italiana recente - è evidente che un Ministro degli Affari Esteri
che non interviene sulla cooperazione allo sviluppo è un Ministro al quale
si impedisce di aver rapporti con una ottantina di Paesi. E l'
attuale infittirsi
delle relazioni internazionali, le sempre più ampie ricadute della politica
estera sulla politica interna spingono invece nella direzione opposta, nella
direzione cioè di una politica estera sempre più unitaria e sempre più
vicina al principale centro di direzione politica. L'
attuale concentrarsi in una
sola persona delle figure del Presidente del Consiglio dei Ministri e di
Ministro degli Affari Esteri, al di là di motivazioni contingenti, bene esprime
tale esigenza di coordinamento. In una fase storica in cui tende ad
attenuarsi la tradizionale separatezza e specificità della politica estera
30
rispetto alla complessiva politica del Governo, è ancor meno accettabile
una sorta di autonomizzazione eccessiva della politica di cooperazione
rispetto alla politica estera globale.
Ciò naturalmente non impedisce di ritenere – rivolgendo lo sguardo dalle
proposte legislative dibattute in Parlamento alla normativa vigente ed al
modo in cui si è effettivamente strutturata la cooperazione allo sviluppo
italiana - che gran parte delle carenze drammaticamente riscontrate in
passato vanno fatte risalire proprio all'
originaria mancanza di rigorose
procedure e di una salda struttura amministrativa ed organizzativa. In
particolare, i deludenti risultati, in passato, del FAI (Fondo Aiuti Italiani),
furono anche causati da carenze di questo tipo.
Naturalmente nulla impedisce di ritenere possibile che la categoria dei
diplomatici sappia esprimere dal proprio interno quel “nocciolo duro” di
competenze tecniche ed amministrative che per la cooperazione sono
assolutamente necessarie. In tal caso però sarebbe almeno necessario
derogare, per i diplomatici addetti alla cooperazione, al generale obbligo di
continua rotazione di incarichi e di sedi, che è attualmente previsto per
tutti i diplomatici. E, se si effettua la scelta opposta, di una autonoma
struttura amministrativa della cooperazione, nulla obbliga a mantenere la
scelta della precedente legislatura, di costituire un'
apposita Agenzia. E’
certo però che comunque la nuova struttura dovrebbe avere particolari
caratteristiche, tali, ad esempio, da permetterle di porsi come struttura
servente rispetto a differenti livelli politici istituzionali e di agevolare il
coordinamento tra differenti pubbliche amministrazioni. A questi fini, se in
definitiva si sceglierà di costituire una Agenzia, sarebbe opportuno che la
sua sede non fosse a Roma e che almeno uno dei componenti del
Consiglio di amministrazione venisse designato dalla Conferenza unificata
Stato – Regioni – Enti locali.
E comunque è bene che a tali decisioni si arrivi in tempi non
eccessivamente
lunghi.
Qualsiasi
organismo
può
funzionare
efficacemente solo con un orizzonte temporale non ristrettissimo, con un
31
minimo
di
certezze
sulla
permanenza
delle
proprie
funzioni
e
caratteristiche. E‘ inutile darsi da fare per far funzionare bene e migliorare
la struttura esistente, se domani viene creata una struttura completamente
nuova. Non è ipotizzabile che la lunghissima attesa di una nuova
normativa sulla cooperazione allo sviluppo non abbia già nel frattempo
comportato effetti negativi sulla struttura esistente.
E, innovando rispetto al passato, sarebbe anche opportuno prevedere per
il futuro che la struttura amministrativa pubblica competente per la
cooperazione allo sviluppo abbia una responsabilità globale, per
assicurare continuità e trasparenza agli interventi. Se, per far un esempio,
gli interventi in Kossovo vengono affidati ad una branca della pubblica
amministrazione, mentre un'
altra è responsabile per gli interventi di
Angola… così facendo si pongono le premesse migliori per la scarsa
trasparenza e gli elevati costi.
Gli interventi di cooperazione allo sviluppo possono riguardare i settori più
disparati e quindi chiamare in causa i rami più diversi della pubblica
amministrazione. Se si vuole però uscire da una logica emergenziale, è
necessario prevedere in anticipo che ogni intervento di cooperazione,
anche nei casi di massima urgenza, faccia sempre capo, in definitiva, ad
un'
unica struttura.
Sembra anche necessario affermare con forza, nella futura normativa, il
principio del cosiddetto “slegamento”, cioè il principio per il quale gli aiuti
finanziari non debbono essere vincolati alla fornitura di beni e servizi di
origine italiana. Oltre tutto i benefici che l'
opposto principio attualmente
vigente, quello del cosiddetto “legamento”, ha finora apportato alle
aziende italiane sono più apparenti che reali. La cooperazione allo
sviluppo non deve essere confusa con una politica di sostegno alle
esportazioni italiane, politica che va perseguita in altre sedi e con altri
mezzi. Peraltro l'
obbligo per il Paese beneficiario di acquistare beni o
servizi prodotti da aziende del Paese donatore contrasta, oltre che con le
32
raccomandazioni degli organismi internazionali, anche con la finalità
fondamentale di qualsiasi politica di cooperazione allo sviluppo, cioè il
sostegno ad uno sviluppo endogeno. Ed è probabile che beni e tecnologie
obbligatoriamente acquistati nel Paese donatore risultino spesso non
adeguati alle esigenze dei paesi destinatari.
Di converso, va anche rimarcato che l'
instaurarsi di solidi rapporti tra
Paese donatore e Paese beneficiario determina di per sé, nel medio
periodo, possibilità di nuovi sbocchi commerciali ed economici, anche
senza nessun obbligo contrattuale di “legamento”. In via di deroga, tale
obbligo potrebbe essere ammesso dalla futura normativa italiana solo ove
particolari circostanze lo rendessero opportuno, con esplicita
autorizzazione e dandone adeguata informazione al Parlamento.
Una eccezione potrebbe essere prevista, in via generale, per il caso
dell'
aiuto alla formazione di piccole e medie imprese nei Paesi in via di
sviluppo, con un finanziamento pubblico per le società italiane che
decidessero di collaborare con società locali per la nascita di imprese di
questo tipo.
Sempre allo scopo di evitare anche il solo sospetto che si voglia piegare la
politica della cooperazione a finalità ad essa estranee, occorrerebbe
anche affermare - in termini più netti di quelli previsti nel disegno di legge
della passata legislatura - l'
obbligo della gara o procedura concorsuale, o
comunque una trasparente selezione per la scelta degli organismi,
pubblici o privati, ai quali affidare l'
esecuzione dei progetti. Questo
naturalmente non significa che le procedure della legge Merloni o del
Regolamento generale della contabilità dello Stato possano essere
sempre seguite, anche in località distanti molte migliaia di chilometri
dall'
Italia ed in condizioni di estrema difficoltà ambientale. Ed è anche
evidente che gli interventi di emergenza - per i quali la responsabilità
politica viene assunta dal Governo o dal Ministro degli Affari Esteri –
debbono, per ovvii motivi, sfuggire all'
obbligo della gara e alle lungaggini
33
che essa comporta. Fatte le opportune distinzioni ed eccezioni, va però
affermato l'
obbligo generale di procedure e di selezioni trasparenti. E,
rifiutando una certa diffusa filosofia pauperistica della cooperazione, tale
obbligo deve essere previsto non solo per gli interventi finanziari mediante
crediti di aiuto, ma anche per gli interventi a dono. E` opportuno, a mio
parere, respingere la diffusa suggestione a riconoscere in questo settore
quasi una sorta di monopolio o comunque una scelta preferenziale per
l'
affidamento della esecuzione dei progetti ad organismi non a fini di lucro.
La distinzione fra crediti di aiuto e doni ha un significato dal punto di vista
del destinatario finale dell'
intervento di cooperazione, il quale solo nel
primo caso è obbligato ad una restituzione, sia pure a condizioni
agevolate. La distinzione invece non è rilevante - non GHYH essere
rilevante (ed anche in questo caso è opportuno innovare rispetto al
disegno di legge della passata legislatura) - allorché si tratta di scegliere
l'
ente o l'
organismo che esegue il progetto. Qui infatti si tratta solo di
individuare il soggetto che offra le migliori condizioni, quelle che meglio
garantiscono l'
efficacia dell'
intervento. Al limite, un intervento a dono potrà
essere eseguito meglio, ed a costi inferiori, da una società a fini di lucro,
che però abbia una soddisfacente conoscenza del territorio in cui dovrà
agire ed una perfetta padronanza delle tecniche da utilizzare, piuttosto che
da una Organizzazione Non Governativa, che agisce solo per scopi
umanitari e tuttavia è così poco organizzata da presentare dei costi di
produzione insopportabilmente elevati. All'
inverso, nulla impedisce di
immaginare che una Organizzazione Non Governativa possa risultare, a
seguito di regolare gara, assegnataria dell'
esecuzione di un credito di
aiuto, poiché la rinuncia al profitto aziendale, congiuntamente alla
competenza tecnica e alla conoscenza del territorio, le consente di
operare con maggiore efficacia.
Va rammentato che anche la Corte dei Conti, nella relazione del dicembre
2001 sulla attività delle Organizzazioni Non Governative ha sottoposto a
critica l’articolo 3, comma 3 della legge n. 412 del 1991, che esclude
34
dall’obbligo generale di gara le iniziative di cooperazione attuate tramite
Organizzazioni Non Governative. E la Corte di giustizia delle Comunità
europee, in una sentenza di qualche anno fa, rimarcava come l'
assenza
dello scopo di lucro non facesse comunque venir meno la natura
economica dell'
attività, con conseguente applicabilità delle norme in
materia di concorrenza. Insomma sembrerebbe opportuno affermare in
termini generali l'
obbligo di una selezione tra i differenti organismi che si
offrono per la realizzazione del progetto. Ovviamente a tale obbligo vanno
sottratti gli interventi di emergenza, ma bisogna evitare di ripetere la
negativa esperienza del passato, allorché l'
Italia - differenziandosi rispetto
agli altri Paesi donatori - aveva inventato una sorta di via mediana tra aiuti
di emergenza ed aiuti ordinari di cooperazione allo sviluppo, cioè quella
“cooperazione straordinaria” in cui la straordinarietà rendeva possibile la
sottrazione agli ordinari controlli. Certo, tutte le volte che si impongono
procedure diverse rispetto a quelle precedenti, si determinano dei
rallentamenti. All'
epoca, la Commissione parlamentare di inchiesta sulla
cooperazione allo sviluppo registrò molte lamentele, da più parti, sui danni
provocati dall'
improvviso obbligo generalizzato di gare per i crediti di aiuto.
Si tratta del problema, ben noto agli studiosi di tecnica legislativa, del
cosiddetto diritto intertemporale, ovvero della fase di prima applicazione di
una nuova normativa: e nulla impedisce di prevedere che il nuovo obbligo
procedurale entri immediatamente in vigore solo per le nuove iniziative,
mentre ne siano esentate le iniziative già avviate.
Un altro insegnamento che è possibile trarre dall'
esperienza passata
concerne le limitazioni che il legislatore deve porre a se stesso.
Probabilmente il disegno di legge della XIII legislatura non arrivò alla
approvazione finale anche perché cammin facendo si era eccessivamente
arricchito, era divenuto pesante e poco gestibile. Forse proprio la
consapevolezza di questo passato errore spiega per quale motivo oggi sia
così diffusa la tentazione di considerare sufficienti alcune modifiche
35
puntuali della legge n. 49. Qualunque sia la scelta del tipo di intervento
normativo, è comunque evidente la necessità di un nuovo intervento del
legislatore, per ridare fiato alla cooperazione bilaterale. E un nuovo
disegno di legge - se vuole avere probabilità di arrivare all'
approvazione
finale - dovrà limitarsi alla definizione di pochi principi fondamentali,
tracciando chiaramente le procedure essenziali ed i rapporti tra i principali
soggetti, senza però perdersi in normative di dettaglio, che potranno ben
essere demandate ad atti successivi. E'anche ipotizzabile che, seguendo
d'
altronde una tendenza oggi largamente prevalente, l'
intervento
legislativo si presenti come legge di delega rinviando a successivi decreti
legislativi.
Naturalmente prevedere uno specifico apparato amministrativo della
cooperazione allo sviluppo non deve comportare alcuna tentazione a
considerare tale apparato di per sé sufficiente. Anzi il suo specifico
compito dovrà in via ordinaria consistere nel coordinamento dell'
opera di
altri apparati pubblici e soprattutto nella valorizzazione dell'
ampio e
variegato mondo della cooperazione non governativa e decentrata o
territoriale, qualunque sia la dizione che si preferisca usare. In questo
mondo sono nate iniziative che fanno particolare onore all'
Italia e che
costituiscono una ricchezza - in termini politici, professionali ed umani alla quale non si può assolutamente rinunciare. E proprio perché si tratta
di un mondo ormai adulto e in grado di muoversi autonomamente, lo Stato
non deve offrire ad esso forme di sostegno improprio ed ambiguo, ma solo
la possibilità di un coordinamento esterno che ne esalti l'
efficacia.
In tale ambito sarebbe anche opportuno tentare di ridisegnare
organicamente l'
attuale frammentaria disciplina normativa delle figure del
volontario e del cooperante. Chi presta la sua opera nella cooperazione
allo sviluppo, spinto essenzialmente da motivazioni umanitarie e con una
continuità di impegno che garantisce il massimo risultato della sua opera,
deve essere attentamente distinto rispetto sia a chi non fa altro che
36
esplicare la sua ordinaria attività professionale sia anche rispetto a chi
presta del tutto gratuitamente la propria opera, ma proprio per questo non
può essere obbligato ad una prestazione continuativa, con un
conseguente, ineliminabile, carattere di occasionalità dell'
impegno.
Insomma anche in questo caso vanno soddisfatte esigenze di tipo diverso.
Da una parte tali operatori devono essere indotti ad offrire un minimo di
continuità e professionalità nelle loro prestazioni: correttamente il disegno
di legge della passata legislatura prevedeva che la durata continuativa del
servizio da prestare non fosse inferiore ad un anno, oltre ad un periodo
aggiuntivo di formazione specifica preventiva, non superiore a tre mesi.
D'
altra parte sarebbe però anche opportuno evitare che un'
attività di
questo tipo acquisti di fatto le caratteristiche di una (quasi) ordinaria
attività di lavoro dipendente. E, in questa prospettiva, colpisce il fatto che,
nel disegno di legge della passata legislatura, al limite temporale minimo
dell'
attività di volontario non si accompagnasse alcun limite temporale
massimo, quasi che si potesse essere volontari a vita.
Altra questione sulla quale forse sarebbe necessario porre in discussione
le scelte della precedente legislatura, è quella della auspicabilità o meno
che la struttura amministrativa pubblica competente per la cooperazione
allo sviluppo sia del tutto privata della possibilità di eseguire direttamente i
progetti. Certamente lo Stato moderno è sempre più uno Stato regolatore
e controllore piuttosto che uno Stato direttamente produttore di beni o
erogatore di servizi. E'anche vero però che la effettiva possibilità di
controllo permane solo in presenza di una adeguata capacità tecnica di
intervento diretto. Non si riuscirà mai a controllare effettivamente una
attività delle cui specifiche caratteristiche si ignora tutto. Se il controllore o
presunto tale dipende dal suo controllato anche per l'
acquisizione di dati
informativi minimi, la effettiva possibilità di controllo svanisce ed il
controllore diventa prigioniero del controllato. Certo le gare o comunque le
procedure di selezione competitiva servono anche a far sì che la
37
competizione fra i potenziali esecutori faccia emergere i dati reali. Ciò
tuttavia può non risultare sufficiente e pertanto sarebbe forse prudente
mantenere una capacità operativa autonoma alla struttura amministrativa
pubblica competente.
Anche per questo aspetto una pacata riflessione sui risultati del dibattito
sin qui tenutosi potrebbe evitare confusioni e determinare le premesse
migliori per un rilancio dell'
attività di cooperazione allo sviluppo.
38
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Desidero ringraziare gli organizzatori di questo convegno ed il Consiglio
Regionale del Veneto per avermi invitato a partecipare a questo Seminario
che si propone di approfondire un argomento cui ho dedicato larga parte
della mia attività professionale presso la Direzione Generale per la
Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri.
Un tentativo di riflessione mi sembra effettivamente quanto mai opportuno,
dal momento in cui l’ingresso delle Autonomie locali come soggetti di
cooperazione, voluto dalla legge n. 49 nell’ormai lontano 1987, ha subito
in questi ultimi anni un’evoluzione molto netta, che non si è ancora
rispecchiata in un adeguato sistema normativo a livello centrale. La
cooperazione decentrata si è andata infatti sempre più configurando come
una nuova modalità di aiuto allo sviluppo, con proprie specifiche
caratteristiche che la distinguono dalla cooperazione governativa,
ancorché legata a quest’ultima da vincoli di complementarietà. Sarebbe
difficile negare che la copiosa produzione legislativa regionale in materia,
dotando le Regioni di risorse proprie da dedicare alla cooperazione – cosa
non prevista dalla legge n. 49 del 1987 – abbia di fatto attribuito alle
Regioni stesse una competenza concorrente con quella dello Stato,
nonostante, come dice la legge 49, la cooperazione “…faccia parte
integrante della politica estera dell’Italia”.
Ho ascoltato con molto interesse le relazioni precedenti e vorrei osservare
qualcosa sia riguardo alla riforma al Titolo V° della Costituzione, sia in
tema di possibile riforma della legge 49, concentrandomi sulla parte
concernente la cooperazione decentrata.
39
A mio avviso la riforma del Titolo V° potrebbe legittimare ancora di più le
Regioni, i Comuni e gli Enti locali a svolgere attività di cooperazione,
riconoscendo la competenza di questi Enti a compiere attività che di fatto
hanno svolto per dieci anni e continueranno a svolgere soprattutto nel
quadro di protocolli di intesa con realtà omologhe dei Paesi in via di
sviluppo.
Ancorché la Costituzione riformata preveda la capacità della Regione di
stipulare accordi con altri Stati nelle materie di propria competenza, non
credo che ciò sia necessario per quanto concerne la cooperazione. Penso
che debba continuare a spettare allo Stato, anche nel caso di progetti o
programmi di cooperazione decentrata, stipulare le necessarie intese con i
Governi dei Paesi in via di sviluppo, lasciando alle Regioni la stipula di
protocolli operativi con le controparti locali. A ciascuno il suo ruolo. E’
quello che intendevo dire prima parlando di “complementarietà” tra
cooperazione governativa e cooperazione decentrata. Non si porrebbe
quindi in questo caso un problema di “pieni poteri”, la cui necessità deriva
dall’osservanza del diritto internazionale che non riconosce alle Regioni la
personalità internazionale e quindi la capacità di concludere accordi
internazionali se non a nome dello Stato, che resta responsabile del loro
adempimento.
Per quanto riguarda la relazione del dottor Laurenzano che mi ha
preceduto, sui tentativi, poi non andati in porto nella passata legislatura, di
riforma della legge sulla cooperazione, mi pare che l'
impressione generale
che se ne può trarre sia quella di capire perché alla fine questa riforma
non sia passata. L'
impresa era più difficile di quanto non potesse apparire
a prima vista: l’esigenza di affidare ad una struttura specializzata il
controllo e la gestione tecnico-amministrativa degli interventi di
cooperazione difficilmente può essere risolta con la creazione di
un'
agenzia, perché alla fine i responsabili dell'
agenzia vogliono essere
responsabili anche della programmazione. Infatti definire un confine tra
quella che è la politica estera, il rapporto intergovernativo e la
40
programmazione che si vorrebbe lasciare al Ministero degli Affari Esteri e
l’attività meramente esecutiva da affidare all’agenzia è quasi impossibile
senza creare sovrapposizioni, con il rischio poi di ripetere inconvenienti
come quelli a cui oggi si vuole ovviare, per esempio, nel campo del
commercio estero. Qui esistono strutture specializzate, come l'
Istituto per
il Commercio Estero, che hanno i propri uffici all'
estero ma che spesso
non si raccordano con le ambasciate, per cui recentemente si è pensato di
accorparli al Ministero degli Affari Esteri per rendere più coordinato e
funzionante tutto questo settore. E’ facile prevedere che situazioni di
questo tipo si riprodurrebbero qualora si creasse un'
agenzia per la
cooperazione esterna al Ministero degli Affari Esteri.
Non credo che questo problema possa essere risolto a breve termine.
Riscontriamo in molti Paesi una tendenza a far rientrare in seno ai
Ministeri degli Affari Esteri e alle ambasciate competenze che erano state
delegate ad altri organismi, in Francia per esempio. Questo anche perché
la cooperazione allo sviluppo è sempre più legata alla politica estera in
quanto oggi non si tratta più solo di eseguire progetti e fornire
infrastrutture, ma soprattutto aiutare i Paesi più poveri nei processi di
transizione democratica, nei processi di pace, nella governabilità. Le
ambasciate sono quelle che meglio possono interpretare queste esigenze,
meglio possono interloquire con i governi e monitorare gli interventi. Per
questo io ritengo che la cooperazione dovrebbe sempre più fare capo alle
nostre ambasciate, come fa la Commissione Europea che sta
decentrando sempre di più la gestione e la programmazione dei propri
interventi di cooperazione verso le proprie delegazioni all'
estero.
Dopo queste osservazioni passerei al tema della mia relazione: "L'
azione
del governo italiano per l'
aiuto allo sviluppo e l'
emergenza umanitaria".
Naturalmente questo è un tema vastissimo che porterebbe via moltissimo
tempo. Vedo che fra la documentazione che avete ricevuto figura la
Relazione previsionale al Parlamento sulle attività di cooperazione allo
sviluppo dell'
anno 2002 che spiega molto bene le linee direttrici dell'
azione
41
del nostro Governo. Scorrendo questo documento, che non è poi
lunghissimo, ci si rende conto di come la cooperazione sia cambiata e di
come sempre più importante sia il coinvolgimento dei poteri locali, delle
Organizzazioni Non Governative e della cosiddetta “società civile” sia del
nord che del sud con il conseguente incremento del ruolo di questi nuovi
soggetti, Regioni ed Enti locali in testa. Noi in Italia abbiamo precorso i
tempi, in un certo senso, perché la legge 49 del 1987, all’articolo 2,
comma 5, introduceva per la prima volta questi soggetti in un periodo in
cui non ne parlava nessuno. Io mi occupai in quell'
epoca di dare un
contenuto anche operativo a quella disposizione, di individuare un
percorso praticabile dalle Autonomie locali desiderose di intervenire nella
cooperazione. Redigemmo in quel periodo le prime linee di indirizzo sulla
cooperazione degli Enti locali del 1989, che furono approvate anche dal
CICS e dai Presidenti delle Regioni. Leggendole adesso ci rendiamo
conto di come quel documento andasse parecchio al di là di quanto
stabilito dalla legge 49. La legge comunque è rimasta quella di prima. Si è
parlato nell'
ambito della riforma di dare alla cooperazione decentrata una
dignità, uno spazio e un regolamento più chiaro, ma poi la riforma non c’è
stata. Questo non ha impedito però alla Direzione Generale per la
Cooperazione allo Sviluppo di andare avanti e di proseguire sulla strada
iniziata mediante l’approvazione nel maggio 2000 di un secondo
documento di indirizzo più aggiornato che introduce per la prima volta il
concetto di cooperazione decentrata come qualcosa di diverso dalla
cooperazione governativa. In questo documento si considerano le Regioni
e gli Enti locali come dei veri e propri soggetti paritari con il Governo e
quindi del tutto legittimati a stipulare con la mia Direzione Generale delle
convenzioni di cofinanziamento per l'
attuazione di progetti individuati e
formulati in comune.
Passando all’esame di singoli capitoli della Relazione Previsionale del
Parlamento vorrei sottolineare alcuni punti qualificanti soprattutto sotto
42
l’aspetto dell’importanza che viene attribuita al partenariato, che
rappresenta l’essenza della cooperazione decentrata.
Tra gli obiettivi internazionali dello sviluppo, messi a punto dai Capi di
Stato e di Governo e dalle Nazioni Unite, a cui la cooperazione italiana
ovviamente si associa, un posto di rilievo viene riservato allo sviluppo di
rapporti di partenariato globale per lo sviluppo. Si è arrivati a questo
concetto attraverso una lunga riflessione svoltasi in sedi internazionali che
ha condotto alla conclusione che il processo di globalizzazione già prima
dell'
11 settembre sollecitava un nuovo approccio allo sviluppo qualificabile
come partenariato diffuso, cioè suscettibile di associare su base paritaria
la comunità internazionale ai vari livelli, sia istituzionali, intergovernativi,
statuali, locali, che della società civile. Gli obiettivi comuni di sviluppo
umano sostenibile e partecipativo devono contraddistinguere la
cooperazione tra Paesi ricchi e meno favoriti. Questo concetto, formatosi
in questi ultimi anni, è basato su tre componenti interrelate, cioè
l'
approccio cosiddetto dal basso - "bottom-up" - come metodologia di
pianificazione degli interventi, e poi "l’enpowerment" come principio
basilare, e cioè l'
aiuto per mettere in grado le varie categorie, in particolare
le più vulnerabili, di realizzare il proprio potenziale di trasformazione socioeconomica e di affermazione dei propri diritti. Infine c’è la cosiddetta
"ownership", cioè l'
appropriazione dell'
attività di sviluppo da parte dei
governi beneficiari, nonché delle comunità locali con il decentramento
amministrativo e il consolidamento della società civile. Quindi partendo da
questi obiettivi, da queste strategie, la cooperazione italiana si dà un
proprio approccio che è basato sui seguenti principi (li cito molto
rapidamente): condivisione dei principi della governabilità; coerenza tra le
varie politiche connesse allo sviluppo; coordinamento tra soggetti donatori
nazionali e multilaterali; complementarità tra le attività di sostegno
sanitario, educazione e formazione delle risorse umane; e poi questo che
io ritengo molto significativo in questa sede: collaborazione tra sistemi
Paese tramite, in particolare, le Organizzazioni Non Governative, gli Enti
43
locali, le imprese, le istituzioni universitarie, per trasferire il know how in
Paesi in via di sviluppo e portare sul terreno risorse umane preziose ai fini
della formazione in loco e del "good government". Quindi, come vedete, la
cooperazione italiana adotta, tra gli altri, un approccio che va totalmente
incontro alle capacità, alle potenzialità e alle aspirazioni delle Autonomie
locali nel campo della cooperazione.
Esaminiamo adesso alcuni indirizzi programmatici della cooperazione
italiana sempre in quest’ottica di coinvolgimento degli Enti locali e dei
territori. Il primo è la riduzione della povertà. Questo è l'
obiettivo centrale
della cooperazione che intendiamo promuovere anche attraverso la
cancellazione del debito. In effetti l’Italia ha adottato un programma di
cancellazione del debito molto più avanzato di quello di altri Paesi, ma
vogliamo che le risorse liberate vengano destinate dai Paesi beneficiari a
programmi di riduzione della povertà. Come concepiamo i nostri interventi
in questo settore? Essenzialmente privilegiando lo sviluppo locale con la
partecipazione dei soggetti direttamente interessati, quindi Enti locali,
organizzazioni di società civile, piccole e medie imprese, Organizzazioni
Non Governative italiane ed internazionali. L’attuazione di questa strategia
è affidata a programmi quadro di riduzione della povertà in determinati
Paesi o aree tra cui, per esempio, il Sahel ed il Centro America, da noi
finanziati sul canale bilaterale e multilaterale, che lasciano ampi spazi per
la cooperazione decentrata.
Evito di menzionare, per motivi di tempo, tutti gli altri settori in cui noi
siamo attivi per passare ad una modalità che interessa particolarmente le
Regioni e cioè l'
aiuto pubblico come fattore catalizzatore inteso a
promuovere la creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo delle
Piccole e Medie Imprese.
Su questo fronte molte Regioni si sono attivate soprattutto nei Balcani e
nel Mediterraneo con interventi di cooperazione da non confondere con le
azioni di promozione commerciale vera e propria. Le azioni di
cooperazione devono tendere a creare un ambiente propizio allo sviluppo
44
economico locale che poi aprirà la strada agli investimenti italiani. Su
questa linea noi siamo prontissimi a dare tutto il nostro appoggio.
Accennerò ora alla collaborazione della cooperazione italiana con gli
organismi internazionali. E'questo un settore cui destiniamo gran parte
delle nostre risorse. Noi finanziamo il 60% dei nostri interventi attraverso
organismi multilaterali. Si tratta di una percentuale tra le più elevate che si
riscontrano tra i Paesi donatori. Ciò è dovuto anche, rilevava il dottor
Laurenzano, alla debolezza delle nostre strutture, che oggi sono molto
ridotte rispetto a quello che la legge 49 prevede; per una unità tecnica
prevista di 120 persone, adesso ce ne saranno sì e no una sessantina.
Questo comporta una maggiore utilizzazione degli organismi multilaterali
per la gestione degli interventi, ma anche una minore visibilità. Ciò
nonostante va detto che attraverso gli organismi internazionali non solo
riusciamo ad effettuare degli interventi efficaci, ma anche a maturare
esperienze che ci serviranno molto quando, spero presto, ricominceranno
ad affluire risorse alla cooperazione, ridotte ormai allo 0,13% del prodotto
nazionale lordo, una delle percentuali più basse - cioè la penultima prima
di quella degli Stati Uniti - di tutti i Paesi donatori. Quando aumenteranno
le risorse noi le destineremo sempre di più alla cooperazione bilaterale.
Verso la fine del documento in questione si cita tra gli obiettivi la
promozione del Sistema Italia attraverso la cooperazione allo sviluppo,
che si traduce soprattutto nella collaborazione del Ministero degli Affari
Esteri con le Organizzazioni Non Governative e con gli Enti locali.
Leggendo questo paragrafo si nota come per noi la cooperazione
decentrata costituisca una delle modalità più innovative. Riconosciamo
che la crescita spontanea di questa forma di cooperazione rappresenta
una grande opportunità per la cooperazione governativa. Non solo una
opportunità, ma anche un impegno complesso, perché ci sentiamo
chiamati a collaborare sempre più con le Regioni e con una molteplicità di
Enti locali per fare sì che i loro interventi rientrino sinergicamente nei nostri
programmi di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e si inseriscano
45
nelle più ampie strategie che il Governo persegue. I nostri sforzi in questa
direzione richiederebbero la creazione di strutture interne più robuste che
supportino questo nuovo settore. Le Organizzazioni Non Governative
hanno un ufficio apposito presso la Direzione Generale per la
Cooperazione allo Sviluppo mentre le Regioni e gli Enti locali non ce
l'
hanno ancora. Noi comunque abbiamo aiutato molte Regioni ed Enti
locali ad inserirsi in programmi quadro di cooperazione. Mi riferisco ai
programmi UNDP/UNOPS di sviluppo umano, da noi finanziati, che
organizzano la cooperazione decentrata secondo certe modalità, offrendo
a centinaia di Comuni ed anche alle Regioni la possibilità di intervenire in
maniera efficace e coordinata in determinate aree. Mi sono trovato in
parecchie occasioni in questi Paesi ad inaugurare progetti, a parlare con i
suoi attori, e ho notato molta soddisfazione per l’apporto dato dagli esperti
dell’UNOPS che, interloquendo con i Governi oltre che con le autorità
locali, hanno individuato settori di intervento in cui poi si è inserita molto
bene la nostra cooperazione decentrata.
Questi programmi quadro in realtà avrebbero potuto essere anche
bilaterali, ma il fatto di non disporre di risorse umane sufficienti ci ha
indotto ad utilizzare organismi internazionali come l'
UNDP/UNOPS.
Sul piano bilaterale abbiamo stipulato una convenzione con la Regione
Friuli Venezia Giulia che prevede il cofinanziamento di un programma di
cooperazione decentrata localizzato nell'
area subdanubiana-croata. Esso
comprende un insieme di progetti (ce ne sono più di venti) di sostegno
istituzionale ad attività socio-economiche, produttive, alla piccola e media
impresa, con il coinvolgimento di vari attori del territorio. Questo
programma, iniziato da poco, rappresenta un banco di prova sulla
capacità delle Regioni di gestire interventi complessi ed impegnativi.
Un'
altra convenzione che stiamo per stipulare con la Regione Toscana si
propone di guidare e valorizzare gli interventi degli Enti locali toscani. Il
programma prevede la costituzione di una rete di Comuni toscani con 21
Comuni dei Balcani, appartenenti a diversi Stati, con un approccio
46
regionale che riteniamo molto opportuno. Questa rete servirà a sostenere
il buon governo e soprattutto a rafforzare la capacità degli Enti locali
balcanici nei servizi pubblici locali e nel sostegno allo sviluppo economico
locale. Questi sono i due settori che la Regione Toscana ha scelto e sui
quali si confronterà svolgendo un ruolo di coordinamento che noi riteniamo
estremamente interessante. Non tutte le Regioni italiane credo siano
idonee a svolgere un simile ruolo catalizzatore nei confronti degli Enti
locali del proprio territorio anche perché forse altrove non c'
è quella
omogeneità che esiste in Toscana. E’ tuttavia auspicabile che le Regioni
assumano la leadership, rappresentando un punto di riferimento per i
propri Enti locali. Programmi di questo tipo potranno essere da noi
coofinanziati fino al 70% del loro valore.
Se poi le Regioni non riuscissero a convogliare gli Enti locali, questo ruolo
potrebbe essere assunto dall'
ANCI che potrebbe farsi promotore di un
programma simile a quello della Regione Toscana in un’area geografica
come ad esempio il subcontinente latinoamericano. In effetti il Ministero
degli Affari Esteri non vorrebbe lasciare le iniziative degli Enti locali senza
un punto di riferimento, senza un programma quadro. Ormai è finito il
tempo in cui il Ministero pensava di avere l'
esclusiva della cooperazione e
desiderava evitare interferenze in questo settore. Oggi il Ministero degli
Affari Esteri ha riconosciuto la funzione importante e complementare che
le Regioni possono svolgere nel campo delle relazioni internazionali,
decidendo tra l'
altro di collocare dei consiglieri diplomatici presso le
Regioni ove queste lo richiedano. Quindi noi speriamo di riuscire, con il
vostro aiuto, a stabilire sempre maggiori sinergie e quindi conferire
sempre maggiore valore aggiunto agli interventi sia nostri che vostri,
riconoscendo a ciascuno un proprio campo di azione.
Ciò detto, bisogna guardarsi dall’aderire alla tesi di coloro che ritengono la
cooperazione tra governi inefficace e pensano di sostituirla con la
decentrata: come ho già detto in precedenza le due forme di cooperazione
sono complementari e andrebbero sempre più integrate tra loro.
47
La situazione normativa è indubbiamente carente, perché siamo rimasti
alla legge 49. Senza aspettare una riforma che prenderà presumibilmente
molto tempo, sarebbe opportuno pensare ad una leggina, che riguardi
specificatamente la cooperazione decentrata per sciogliere i nodi che
rendono difficili i cofinanziamenti.
Concludo qui questo mio intervento sperando di avere tratteggiato, sia
pure in maniera sommaria, la nostra visione sulle grandi potenzialità della
cooperazione decentrata, soprattutto se affiancata o meglio ancora
integrata in quella governativa, mettendo anche in luce i limiti, di natura
strutturale, che ostacolano il suo cammino.
48
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Desidero ringraziare il Consiglio regionale che ha voluto questo seminario
e tutti i presenti per la pazienza, l’attenzione e l’interesse che stanno
dimostrando.
L’Osservatorio Interregionale sulla Cooperazione allo Sviluppo (OICS), di
cui sono direttore, è l’ente di servizio comune di tutte le Regioni italiane
per la cooperazione allo sviluppo, promosso dalla Conferenza dei
Presidenti di Giunta delle Regioni, che designa anche il Presidente
dell’OICS. Attualmente è il Presidente della Regione Marche, Vito
D'
Ambrosio.
Prima di presentare rapidamente che cosa è oggi la cooperazione
decentrata a livello regionale, credo sia importante capirci sullo scopo
della cooperazione.
La parola “cooperazione” comincia con un “co”: significa che ci sono
almeno due soggetti che collaborano insieme, quindi non può essere
ridotta a rapporto tra uno che dà e l'
altro che riceve, cioè una sorta di
elemosina internazionale. Chi opera in questa logica crea solo più
dipendenza, cioè distrugge la capacità economica, di autosostenibilità, di
sovranità dei Paesi terzi. Pensate al contadino povero del Kenya che si
spacca la schiena tutto l'
anno per riuscire a produrre qualche pannocchia:
le porta al mercato e non è in grado di venderle perché non può
competere con i doni alimentari che arrivano dal Nord del mondo. Cosa fa
a quel punto? Vende la sua terra alla prima multinazionale (magari la
stessa che aveva venduto allo Stato del Nord i prodotti alimentari poi
mandati come aiuti), e va ad ingrossare le masse sterminate di mendicanti
49
alla periferia di Nairobi assistite dalla cooperazione internazionale. Dopo
un po'l'
assistenza non c'
è più, ci sono solo prestiti internazionali, che
creano ulteriore debito dopo che si è distrutta una capacità produttiva che
c'
era in quel Paese.
La cooperazione invece si basa soprattutto sul principio di operare
insieme, cercando il vantaggio reciproco di entrambe le parti. Da parte
nostra essa deve reggersi su una motivazione fondamentale: il dovere
morale di solidarietà verso le popolazioni di quei Paesi in cui le condizioni
di vita sono veramente disperate, ma questo può degenerare in “carità
pelosa” se non vi si associano altri elementi, tra cui la ricerca di vantaggi
reciproci e quindi anche di nostri interessi di ritorno. Non mi riferisco a
sfruttamento o rapina, ma a interessi di ordine più generale. Intendo dire
per esempio che non è utile per l'
Italia essere circondata per tre quarti da
paesi destabilizzati, in guerra, da cui c'
è una fuga di persone disperate,
come è oggi grazie alle guerre che ci sono state nei Balcani, quella in
Palestina, le stragi in Algeria, eccetera.
Ci sono altri vantaggi di tipo globale: la salvaguardia dell'
ambiente
riguarda tutti e, dopo aver distrutto le nostre, non possiamo pretendere
che senza contropartite i popoli del terzo mondo scelgano fame e
sottosviluppo per non sfruttare le loro risorse naturali.
Ci sono anche legittimi interessi economici. Non vorrei sembrarvi cinico,
ma mi sono stancato del manicheismo ipocrita di chi, sostenendo che "non
sappia la mano destra cosa fa la mano sinistra", separa seccamente la
cooperazione allo sviluppo dalla internazionalizzazione economica, con il
risultato che alla fine non si fa né l'
uno né l'
altro, ma si usano i soldi dei
contribuenti italiani per comprare da fornitori speculativi attrezzature,
eccedenze e servizi di dubbia utilità per lo sviluppo locale. Che poi
finiscano in Africa o naufraghino per strada non importa a nessuno, quindi
non generano neanche dei vantaggi per l'
Italia. Lo sa bene il dottor
Laurenzano, con cui ho avuto l’onore di collaborare nella Commissione
parlamentare di inchiesta sulla cooperazione.
50
Non mi sto riferendo a scandali, abusi o tangenti, che pure vi sono stati,
ma a dispersioni frutto anche dell’ipocrisia che ho lamentato. Per esempio
chi tra gli anno ’80 e ’90 sia stato nel Corno d'
Africa avrà visto più rottami
di veicoli fuoristrada “Fiat Campagnola” che sassi. Questo perché si
trattava di un veicolo, oggi non più prodotto, inadeguato in quei Paesi,
privo di assistenza in loco e sconosciuto ai meccanici del posto, ma che la
cooperazione italiana imponeva in tutti i progetti. Non trovo per niente
scandaloso che con i fondi della cooperazione anche l'
impresa italiana
tragga un beneficio, e che quindi si sia preferito favorire la Fiat piuttosto
che la Toyota. Però in questo modo non si è fatto né il vantaggio dei Paesi
partner, né quello della nostra politica economica estera, che consiste nel
favorire la penetrazione dei nostri prodotti in quei mercati, nel rendere più
redditizi i nostri investimenti all’estero o nell’attrarre investimenti esteri. Ciò
si poteva fare – continuando con l’esempio della Fiat, ma questo vale
anche per altri settori – formando i meccanici locali, sostenendo reti di
assistenza e manutenzione, favorendo processi di sviluppo economico
locale. Se il piccolo produttore o commerciante locale raggiunge le
condizioni economiche per comperarsi il furgoncino e trova, nel suo
Paese, una rete in cui è già noto e assistito il furgoncino dell'
Iveco, compra
quello piuttosto che un altro, pur stando nella libera concorrenza. Quello
che è stato fatto non è servito né alla Fiat, al di là della piccola prebenda
data con l’acquisto di alcuni veicoli, né ai locali, riempiti di macchine inutili.
Affermo con chiarezza che cooperazione allo sviluppo e
internazionalizzazione economica del “Sistema Italia”, pur avendo finalità
diverse, non sono necessariamente contrapposte e, anzi, possono spesso
essere sinergiche. Tanto più che cooperare allo sviluppo dei Paesi terzi
vuol dire anche ed innanzitutto favorire lo sviluppo economico. Come
diceva De Filippo: "I soldi non fanno la felicità, figuratevi la miseria". Sia
chiaro, non basta produrre nuova ricchezza perché ciò generi
automaticamente più giustizia e più equità: anzi, è sistematico che la mera
crescita economica avvantaggi pochi, emarginando e relegando la
51
maggioranza della popolazione in condizioni ancora più miserabili. E’
necessario che lo sviluppo economico si accompagni a quello sociale,
culturale e politico, della democrazia e della partecipazione. Ma è certo
che se non c'
è più ricchezza e non c'
è nulla da distribuire, è inutile
discutere su come ridistribuire più giustamente.
Entrerò ora nello specifico della cooperazione decentrata. Mi scuso per la
lunga premessa, ma è proprio nella decentrata che è più importante la
sinergia tra cooperazione allo sviluppo e internazionalizzazione
economica territoriale.
L’azione internazionale delle autonomie locali è un fenomeno
relativamente recente, ma in rapida e forte crescita. Anche al di là della
riforma del Titolo V° della Costituzione è inevitabile che il ruolo dello Stato
nazionale vada progressivamente assottigliandosi. In un mondo
globalizzato, molte delle sue competenze passano a livello sovranazionale
(Unione Europea, IFI – Istituzioni Finanziarie Internazionali -, Nazioni
Unite), altre competenze passano a livello più basso, a livello regionale, a
livello provinciale, a livello comunale, a livello di società civile.
Tuttavia, nell'
ambito della cooperazione, concordo con il Ministro Serafini
che il ruolo delle autonomie locali non è né sostitutivo né alternativo a
quello dei due altri soggetti: le istituzioni sovraregionali (Stato, Unione
Europea, ONU, ecc.) e le organizzazioni della società civile
(Organizzazioni Non Governative e Volontariato). Al contrario, la
cooperazione decentrata costituisce un nuovo anello che unisce una
catena altrimenti spezzata, inserendosi tra quei due soggetti, collegandosi
con entrambi e svolgendo propri compiti specifici, diversi e complementari
con quelli di ciascuno di loro.
Delle Organizzazioni Non Governative parlerò dopo, sulla sinergia con la
“grande cooperazione” mi spiego rapidamente con un esempio concreto.
Essa ha donato alla città di Tirana una bellissima centrale dell'
acqua, da
cui esce acqua purissima che potrebbe essere trasformata
52
immediatamente in acqua minerale e che ovviamente è costata molti soldi.
Però di questa acqua solo il 30% arriva ai rubinetti di Tirana e solo una
frazione di questa arriva ad utenti registrati che pagano l'
utenza, dando
alla società dell'
acqua i fondi con cui assicurare servizio e manutenzione.
Ciò perché la rete idrica urbana è obsoleta e la società di gestione è
inadeguata. Ecco una competenza tipica della cooperazione decentrata,
che può avvalersi anche dell’esperienza delle amministrazioni locali
italiane e delle ex municipalizzate. Non sono certo né la Regione Veneto
né il Comune di Venezia che possono farsi carico delle grandi
infrastrutture, strade, dighe, centrali, elettrodotti, discariche, ecc., pur
necessarie per lo sviluppo, ma non è il Ministero degli Affari Esteri che può
sostenere la gestione dei servizi, la capacità albanese di amministrare il
territorio, se non incaricandone le autonomie locali e i loro enti strumentali.
Più in generale, in cosa consiste la cooperazione decentrata? Consiste
sostanzialmente nella capacità di costruire tra un territorio italiano ed uno
o più altri territori dei Paesi terzi degli accordi quadro in cui si mettono
insieme le vocazioni, le competenze, le capacità, i punti di forza e quelli di
debolezza dei due territori e si cerca di integrarsi a vicenda. Non si tratta,
come prevede l'
attuale legge 49 sulla cooperazione nazionale, di progetti
dettagliati all’origine in cui cinque anni prima si prevede che tra cinque
anni si compreranno tre vanghe e due zappe e se poi si scopre che invece
servono due vaghe e tre zappe si deve ricominciare da capo. Sono
programmi di partnerariato, specie di “patti interterritoriali”, in cui all’origine
si concordano solo gli obiettivi generali, gli impegni reciproci, gli ambiti di
intervento e le modalità di collaborazione e di consultazione con cui via via
si definiscono i progetti operativi.
Ma chi realizza di fatto questi progetti? Non la Regione Veneto, non il
Comune di Padova o di Venezia; la vera forza della cooperazione
decentrata è la capacità di costruire questi accordi quadro in cui si
mettono insieme come protagonisti, come soggetti attivi, tutti i soggetti dei
53
due territori; questo è il senso di territorialità, di partenariato globale. In
pratica si tratta di costruire un mosaico.
La differenza tra un insieme di pietre colorate ed un mosaico sta nel
disegno in cui le tessere sono accostate. Il disegno è l’accordo quadro di
partnerariato. Le tessere sono i soggetti del territorio: gli Enti locali che si
coordinano tra loro e con la Regione, le società che gestiscono pubblici
servizi, le associazioni di categoria di imprenditori, artigiani e
commercianti, gli istituti di formazione - ricordo peraltro che la formazione
ancora prima della riforma del Titolo V° era una competenza esclusiva
delle Regioni -, gli Istituti di credito – pensate all’importanza del
microcredito rurale, artigiano e delle piccole e medie industrie nei Paesi
terzi -, le piccole e medie imprese che possiedono saperi importanti da
offrire, le comunità organizzate di immigrati che possono svolgere una
funzione di ponte con i loro Paesi di origine, e ovviamente le
Organizzazioni Non Governative.
Mi limito qui a ricordare come piccolo esempio un recente accordo
stipulato tra una Regione dell’Italia centrale ed una Regione del Cile, una
Regione relativamente ricca, ma con una economia distrofica e
sbilanciata. Si tratta infatti di un’area mineraria, in cui arriva molta valuta
pregiata per le esportazioni di rame, ma dove tutta l'
economia è basata
sulle miniere di rame e tutto il resto deve essere importato, perfino l’acqua.
L’agenzia finanziaria della Regione italiana si è recata in Cile con una
serie di operatori, pubblici e privati per analizzare, insieme ai cileni, i punti
di forza e di debolezza della realtà, della società e dell'
economia di quel
territorio. Sono così arrivati ad un accordo che è in parte di
internazionalizzazione economica e di scambi economici, finanziati dagli
operatori interessati delle due parti, e in parte di cooperazione, aiuto,
formazione e assistenza tecnica, a carico delle due pubbliche
amministrazioni, il tutto con un rilevante finanziamento a dono e a credito
del Banco Interamericano di Sviluppo. I diversi aspetti sono tra loro
54
integrati con intelligenza, non con istinto di rapina. Per esempio in questo
territorio importano anche i sanitari per i bagni, e li importano dal Messico.
Le due parti hanno analizzato insieme la possibilità di importarli dall’Italia.
Hanno concluso che il prodotto italiano sarebbe stato più costoso di quello
messicano, ma che i produttori italiani avrebbero potuto esportare invece il
loro know how per produrre sanitari per bagni in Cile, contribuendo così
alla differenziazione dell'
economia di quel territorio, ma anche
avvantaggiando gli imprenditori italiani che in qualche modo hanno potuto
aprire così delle imprese.
Tra le Organizzazioni Non Governative e la cooperazione decentrata ci
sono stati spesso dei malintesi, per cui è bene spendere due parole anche
su questo. Le Organizzazioni Non Governative di volontariato
internazionale e di cooperazione allo sviluppo non sono le uniche realtà
della società civile in questo campo, ma sono soggetti normalmente molto
validi, molto capaci, che hanno ormai una lunga esperienza di oltre 40
anni nel mondo e che quindi conoscono bene le realtà in cui operano.
Esse progettano insieme ai partner locali e realizzano in prima persona
progetti di sviluppo, di emergenza e di assistenza, per lo più a favore dei
poveri. Per finanziare queste attività raccolgono anche fondi nella società
italiana, ma soprattutto chiedono contributi a grandi “donors”: Ministero
degli Esteri, Unione Europea e, in minor misura, anche Regioni ed Enti
locali. Da questi ultimi provengono contributi molto piccoli, ma spesso
indispensabili. Infatti Ministero e Commissione europea pretendono che
una percentuale del costo di ogni progetto sia finanziata autonomamente
dalla Organizzazione Non Governativa e in Italia la possibilità di
raccogliere fondi direttamente dalla popolazione è sempre molto bassa.
Con la crescita della cooperazione decentrata le Organizzazioni Non
Governative hanno temuto che questi piccoli contributi potessero venir
meno, e che anzi Regioni ed Enti locali diventassero concorrenti sleali,
drenando dai grandi donors parte dei fondi destinati alle Organizzazioni
55
Non Governative stesse. Alcune hanno anche sospettato che le
Amministrazioni locali minassero la loro autonomia, pretendendo di
coordinare i loro progetti; altre che Sindaci, Assessori e altri amministratori
locali si improvvisassero esperti di cooperazione sostituendo il ruolo
tradizionale delle Organizzazioni Non Governative. A questi equivoci
hanno involontariamente contribuito anche l’Unione Europea ed il
Ministero degli Esteri. La prima ignora la realtà della cooperazione
decentrata (italiana, ma anche tedesca, spagnola e di altri Paesi), al punto
che quando andiamo a Bruxelles dobbiamo tradurre in “coopération
deconcentrée” perché per la Commissione “coopération decentralisée”
include tutto ciò che non sono i governi centrali, quindi anche le
Organizzazioni Non Governative sia del Nord che del Sud del mondo.
Quanto al Ministero degli Esteri, esso, non trovando nella legge nazionale
normative adeguate per la cooperazione decentrata, ha spesso cercato di
trattarla per analogia con quella delle Organizzazioni Non Governative.
Oggi la gran parte delle più di
italiane, e tra esse tutte le “top
svolgono più dell’80% del volume
quei timori erano infondati. Anzi la
200 Organizzazioni Non Governative
ten”, cioè quelle poche che da sole
totale di attività, hanno ben capito che
cooperazione decentrata chiede loro di
raddoppiare il loro ruolo: da un lato di continuare il loro ruolo tradizionale
di soggetti a tutto campo che fanno i loro progetti con i contributi del
Ministero degli Esteri, dell'
Unione Europea ed anche delle Regioni e degli
Enti locali, che continuano ad essere erogati come prima. D’altro lato si
chiede loro di svolgere in più un nuovo compito, cioè di partecipare a
quegli accordi quadro che costituiscono la cooperazione decentrata con
una funzione duplice: quella - se torniamo all'
esempio del mosaico - di
essere una tessera di questo mosaico, e quella, mutando la metafora dal
mosaico alla vetrata gotica, di essere anche il listello di piombo che tiene
insieme i pezzi di vetro colorato della vetrata, offrendo agli accordi di
56
partnerariato territoriale la loro cultura, conoscenza ed esperienza della
cooperazione “bottom up”.
Parliamo ora dei principali settori di intervento della cooperazione
decentrata. Nessuno ha mai stabilito formalmente quali devono essere,
anzi in realtà siamo ancora in una fase nascente, c'
è di tutto e il contrario
di tutto. Però dall'
osservazione delle migliori pratiche si possono rilevare i
settori e gli ambiti in cui la cooperazione decentrata sta maggiormente e
meglio operando. Uno è quello del “buon governo territoriale”, del
rafforzamento istituzionale. In gran parte dei Paesi terzi è in atto, con
grandissima difficoltà, un processo di decentramento amministrativo
interno, soprattutto nei Paesi storicamente più centralisti, come quelli
dell’Europa dall'
Est. Il decentramento favorisce i meccanismi di
partecipazione e quindi la democrazia, ed è un settore di vocazione
naturale delle amministrazioni decentrate italiane, in cui hanno particolare
competenza e possono pertanto impegnarsi ad aiutare sia i governi
centrali dei Paesi terzi sul piano giuridico ed amministrativo a creare
meccanismi di decentramento, sia le nuove autorità territoriali a governare
i loro territori, che non è una cosa facile. In questo settore è molto
importante anche la formazione politico-amministrativa dei nuovi Sindaci,
dei nuovi amministratori e dei nuovi funzionari.
Un secondo settore è quello dei servizi pubblici. Prima parlando
dell'
acquedotto di Tirana ho fatto un esempio, i servizi pubblici sono
essenziali in tutti i campi: sanità, educazione, acqua, energia, trasporti,
ambiente, fognature, sia nel campo della realizzazione di piccole
infrastrutture sia soprattutto nel campo della gestione. Noi abbiamo
un'
esperienza storica che è quella delle ex municipalizzate, in cui si è
dimostrata l’utilità di mettere insieme pubblico e privato in società di
gestione di servizi pubblici. Ora in tutte le città dell'
America Latina o la luce
elettrica non c'
è o, dove c'
è, non esiste una società di gestione, gli
57
allacciamenti sono abusivi, la luce alla fine manca e così via. E'importante
portare la luce, ma è ancora più importante essere in grado di gestirla e
questo richiede interventi vari anche di formazione tecnica gestionale.
Un terzo settore è quello dello sviluppo economico locale, ambito che
maggiormente
si
interseca
con
quello
dei
processi
di
internazionalizzazione. Sviluppo economico vuol dire creare occupazione,
creare meccanismi di impresa, creare capacità di produzione agricola. Si è
appena concluso il vertice della FAO sulla sicurezza alimentare (che io
preferirei chiamare sulla “sovranità alimentare”), che ha messo in primo
piano lo sviluppo economico in campo produttivo agricolo, zootecnico,
ittico, della piccola imprenditorialità, che poi è il modo più serio di lottare
contro la fame.
In questo campo è importantissima l’esperienza maturata dal territorio
italiano, soprattutto in quelle aree, come il nostro Nord-Est, in cui lo
sviluppo economico si è basato sulla piccola impresa diffusa e sullo stretto
intreccio fra agricoltura, industria e terziario, creando modelli che non
esistono in molti Paesi. Anche in questo campo è efficace una
cooperazione decentrata che abbia come protagonisti i diversi soggetti del
territorio, tra cui anche il settore della piccola e media impresa e delle
cooperative ed il settore del credito.
Cito come esempio un esperimento in Tunisia di una Regione dell’Italia
centrale insieme ad un suo Comune di medie dimensioni, esperimento
guardato con estremo interesse da tutta l'
area del nord Africa arabo, di
introduzione del concetto di impresa sociale, cioè di imprese che possano
sostituirsi al tradizionale assistenzialismo verso handicappati fisici e
mentali, mettendoli in grado, con un minimo di aiuto, di operare nel
mercato, dando loro la dignità di lavoratori ma anche dando una soluzione
alternativa seria all'
assistenza.
58
Questi tre che ho citato sono i principali settori di intervento della
cooperazione decentrata; su di essi si stende trasversalmente un quarto
settore, quello della formazione: politico-amministrativa nella “good
governance”, tecnica e gestionale per le “public utilities”, professionale e
manageriale per lo sviluppo economico locale.
Resta l’esigenza di interventi di emergenza, non pianificabili, ma necessari
quando ci sono catastrofi, sia di origine naturale, sia, più spesso, di origine
umana. Ma anche nei disastri peggiori, essi devono limitarsi ad assicurare
la sopravvivenza della popolazione solo intanto che si cerca di ricostruire il
tessuto sociale ed economico, e da subito impostati in questa prospettiva.
Ho già spiegato il perché con l’esempio del contadino kenyota ridotto a
mendicante.
Vi è poi un ulteriore ambito di interesse sia della cooperazione decentrata
che dell’internazionalizzazione territoriale, spesso sottovalutato: quello del
governo dei flussi migratori, in tutte e due le direzioni. A questo è stato
fatto un cenno anche da un altro relatore in apertura del seminario.
Ricordo che una volta, girando in macchina nello Stato brasiliano di
Espirito Santo, mi sono fermato per chiedere l'
informazione di una via in
portoghese; mi si è avvicinato un signore e mi ha detto: "comandi sior". Ho
scoperto poi che in quella zona la lingua più parlata non è il portoghese
ma il veneto. Questo evidenzia l’utilità reciproca di creare rapporti di
cooperazione, ma anche di internazionalizzazione e di scambio
economico, con le comunità italiane di antica emigrazione, che sono molto
presenti in alcuni Paesi.
Poi c'
è il processo di immigrazione. Sia chiaro: sbaglia chiunque sostenga
che con la cooperazione si può ridurre quantitativamente il flusso di
immigrati; questo non è vero, anzi è scientificamente dimostrato che più e
migliore cooperazione con un determinato Paese aumenta la quantità di
immigrati da quel Paese. Però c'
è un fatto fondamentale: esiste una
differenza sostanziale tra quella componente di flusso immigrato che
59
arriva per fuga, spinto dalla fame, dalla guerra e quindi viene in condizioni
disperate, per lo più clandestinamente, essendo per sopravvivere
disponibile a fungere da manodopera a basso costo per la criminalità, e il
flusso invece che viene per chiamata, cioè il flusso che viene perché la
nostra economia ha bisogno di immigrati, e l'
economia del Veneto forse
più di altre. Riuscire a generare meccanismi di formazione, di selezione, di
collegamento con la richiesta di flusso immigratorio è un contributo
fondamentale per trasformare il problema dell'
immigrazione da problema
di ordine pubblico a problema di vantaggio reciproco per noi che riceviamo
ed anche per i Paesi da cui questi immigrati vengono. Ricordo a tutti che
fino agli anni ‘50 le rimesse degli emigrati sono state per l'
Italia la seconda
voce della bilancia dei pagamenti.
Sul piano geografico, è ovvio che la cooperazione decentrata può operare
in tutto il mondo e in effetti lo fa. Ma vi è una concentrazione prevalente
nelle aree di prossimità, sostanzialmente nel Mediterraneo, e
prevalentemente nell'
area dei Balcani, nell'
Europa orientale, nel Nord
Africa arabo e, anche se oggi solo in termini umanitari perché non è
possibile sviluppare altre componenti di cooperazione, nell'
area del Medio
Oriente.
Il quadro normativo è già stato trattato approfonditamente nelle altre
relazioni di questa mattina, quindi mi limiterò a dire che la riforma della
legge 49 non è all'
orizzonte prossimo, ormai tutti l'
hanno capito. Con la
legge attuale la regolamentazione della cooperazione è molto complessa,
talmente complessa che
è praticamente impossibile per l’Italia
programmare, gestire e realizzare direttamente iniziative di cooperazione.
Non è un caso che, stando ai dati riportati anche stamattina, l'
Italia riesce
a dedicare solo un quarto delle sue risorse (già di per se’ irrisorie: siamo al
penultimo posto come percentuale del PIL) al bilaterale ed il resto al
multilaterale, quando gli altri Paesi europei mediamente danno il 70% sul
60
bilaterale e il 30% sul multilaterale. Ma neanche questo quadro è reale,
perché se dal bilaterale togliamo il cosiddetto “multibilaterale”, che sono i
soldi che l'
Italia dà bilateralmente ad una Agenzia delle Nazioni Unite
perché realizzi lei le iniziative concordate, il bilaterale puro si riduce
intorno al 12-13%. Questo è un termometro del fatto che la legge non
funziona, perché per riuscire a spendere i pochi soldi disponibili il
Ministero degli Esteri è costretto a ricorrere ad una scorciatoia, qual è il
ricorso al multibilaterale e al multilaterale.
Però non credo che il naufragio della riforma della legge 49 sia venuto
solo per nuocere, perché purtroppo, condivido quanto diceva il dottor
Laurenzano, sembra quasi sia un patrimonio cromosomico del nostro
Parlamento il fatto che ogni volta che si mette mano ad una legge la si
appesantisca; veniva fuori dalla Camera un testo che quasi pretendeva di
regolamentare anche il colore dei calzini dei volontari. Questo non
semplifica: ai complessi meccanismi attuali si rischiava di sostituirne altri,
forse più lineari, più aggiornati e più moderni, ma di complessità non
minore.
Credo che oggi, tanto più dopo la riforma del Titolo V della Costituzione,
sia possibile procedere su due tempi. Prima si cerchi di far funzionare la
legge che c'
è e sperimentare le innovazioni necessarie. Ciò vuol dire
buttare via il D.P.R. n. 177 dell'
88, il regolamento di attuazione della legge
49, cioè le norme applicative che articolo per articolo contraddicono la
legge, delegificare al massimo rimuovendo rigidità eccessive e passaggi
inutili e paralizzanti, apportare alcune modifiche legislative minimali che
riportino, per quanto possibile, la legge ad elementi di principio.
Soprattutto semplificare le procedure, oggi basate su una paranoica e
infinita analisi istruttoria preliminare per approvare nei più minuti dettagli
ogni progetto (dettagli che non potranno più cambiare neppure davanti
all’evidenza della realtà, magari anni dopo), tutto ex ante; cosa succede
davvero poi quando finalmente si realizza il progetto e quali risultati ha
ottenuto quando è terminato, nessuno mai andrà a guardarlo.
61
E’ dunque necessario semplificare la legge e le procedure al massimo ma
anche introdurre, come diceva prima il Ministro Serafini, una serie di
piccole modifiche che, pur non essendo la grande riforma, rendano
possibile procedere per progetti quadro, costantemente verificati e via via
riaggiustati nel corso della loro realizzazione. Ciò soprattutto per la
decentrata.
Solo in un secondo tempo, alla luce delle esperienze fatte e dei risultati
ottenuti, sarà possibile riformare validamente l’intero impianto legislativo.
Vorrei fermarmi qui. Vi ringrazio e voglio concludere ribadendo che prima
o poi si dovrà arrivare anche alla riforma della legge di cooperazione, però
credo che sia meglio che le leggi non si studino a tavolino, prima si
sperimentino e poi si legiferi. Per quanto riguarda la cooperazione
decentrata credo sia importante anche la capacità di operare in senso
verticale. Intendo dire questo: per la cooperazione le Regioni hanno una
struttura orizzontale che è quella che io dirigo; i Comuni hanno, all'
interno
della loro struttura orizzontale che è l'
ANCI, degli uffici specializzati per la
cooperazione; le Organizzazioni Non Governative, hanno una loro
struttura orizzontale che è l'
Assemblea Nazionale delle Organizzazioni
Non Governative; è bene che questi continuino ad esistere, sono momenti
di coordinamento, ma nel pratico la cosa che funziona meglio è la capacità
di raccordarsi tutti su base territoriale. La Regione Veneto, i Comuni del
Veneto, le Province del Veneto, le Organizzazioni Non Governative del
Veneto, la società civile del Veneto, riescono a costruire quel mosaico che
è ben più difficile fare se i Comuni si raccordano solo orizzontalmente con
l'
ANCI, le Regioni per i fatti loro sul coordinamento orizzontale nostro, le
Organizzazioni Non Governative per i fatti loro e così via.
62
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Iniziamo i lavori del pomeriggio, che prevedono una tavola rotonda dal
titolo “Per una rinnovata politica nazionale e di aiuto allo sviluppo”.
Io credo che l'
immigrazione sia un prodotto della disuguaglianza dei Paesi
e che quindi le politiche di cooperazione debbano avere come obiettivo
quello di promuovere lo sviluppo con una strategia di autosviluppo. Ed è
necessario affidarci ai veicoli di questo sviluppo, quindi non solo alle
imprese ma anche alle Organizzazioni Non Governative, alle Università,
alle A.S.L., ai Comuni, agli Enti locali, ma soprattutto dobbiamo credere
nella partnership di collaborazioni collettive.
Diamo inizio ai lavori con l'
intervento della dottoressa Ivana Purificato del
Ministero della Salute, che viene a nome del Sottosegretario Onorevole
Guidi.
63
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Buonasera a tutti Voi. Ringrazio, a nome del Sottosegretario Prof. Antonio
Guidi, il Coordinatore di questi lavori per averlo invitato a partecipare a
questo importantissimo incontro. Riunione che il Sottosegretario - con
delega all'
attuazione di programmi sanitari internazionali – auspicava che
venisse organizzata per affrontare da vicino alcune problematiche sorte in
questi mesi, in occasione dell'
emergenza in Afghanistan che tutti
conoscete: all’interno della Segreteria il Sottosegretario aveva istituito una
task-peace per gli aiuti sanitari, presieduta da lui e da me coordinata.
Questa non voleva essere solo una task-peace per gli aiuti immediati ai
popoli coinvolti nel conflitto, ma l’obbiettivo del Sottosegretario era di più
ampio respiro: inviare in missione all’estero personale sanitario italiano per
interventi di “emergenza”. Attualmente la legislazione – relativamente alla
legge 49 sulla cooperazione - purtroppo non ci consente di affrontare
queste tematiche.
Il Sottosegretario ha organizzato, all’interno della task-peace, un tavolo di
coordinamento al quale hanno aderito con interesse moltissime
Organizzazioni Non Governative, dalle più famose a quelle meno
conosciute. In Segreteria era tutto pronto perché la missione partisse –
farmaci, vaccini e prodotti sanitari generali – ma ci siamo trovati di fronte
ad una enorme difficoltà, quella dell'
invio non di materiale, ma di persone,
di operatori sanitari. E` vero, le Organizzazioni Non Governative hanno
personale sicuramente di alto livello, lo sappiamo tutti, ne abbiamo parlato
diverse volte alle riunioni della task-peace, anche se il Sottosegretario ha
notato che le Organizzazioni Non Governative, messe intorno ad un tavolo
comune, spesso si trovano ad essere in qualche maniera un pochino
“autoaccreditanti”. Ed è proprio a causa di ciò che per l'
Istituzione diventa
a volte un po' difficoltoso gestire le risorse disponibili. Il ruolo
64
dell'
Istituzione, così come lo desiderava il Sottosegretario Guidi, era quello
di capire e di organizzare al meglio con l’obiettivo di non sprecare le
risorse a disposizione: il grande ostacolo è stato potersi avvalere di
operatori sanitari italiani con il trattamento di missione all’estero.
Abbiamo cercato, considerato che era già fine novembre quando si è
verificata questa emergenza, di superare la difficoltà posta dalla legge 49,
magari inserendo una piccola modifica alla legge all’interno della
finanziaria, e devo ringraziare personalmente il dottor Bertinato, dirigente
del Servizio per i rapporti socio-sanitari internazionali della Regione
Veneto, che si è molto speso nei nostri confronti per cercare di capire, dal
punto di vista legislativo, come potessimo comportarci. L'
Assessore alle
Politiche sanitarie della Rgione Veneto, l’avvocato Fabio Gava, si è
dimostrato più che disponibile, è venuto a Roma ed ha incontrato il
Sottosegretario: la difficoltà comunque non è stata superata, ormai la
Finanziaria era andata molto avanti e nel frattempo la situazione in
Afghanistan è cambiata rapidissimamente a livello politico, lo sapete tutti.
Il Sottosegretario non trova, nella giornata di oggi, occasione migliore per
creare i presupposti giusti e più funzionali per il futuro e soprattutto si
augura che non accadano più situazioni di emergenza internazionali così
gravi.
Quando parliamo di emergenze non parliamo solo di guerra, emergenza
non significa solo guerra. Da colloqui che ha avuto il Sottosegretario, con il
nostro Ufficio Legislativo, con il nostro responsabile dei rapporti
internazionali Prof. Silano e da un esame attento della legge 49, è emerso
che fosse certo la cosa migliore, la più veloce, soprattutto come iter
legislativo, dedicare un nuovo testo di legge al personale sanitario che
desidera partecipare a missioni di emergenza; sembrava la strada
migliore. Abbiamo anche scritto un piccolo testo che, se lo desiderate,
gradirei leggere, per sottoporlo a voi per primi che avete organizzato
questa tavola rotonda, per poterlo discutere tutti insieme ed organizzare
magari un gruppo di lavoro ad hoc su questo testo, soggetto alle vostre
65
osservazioni e modifiche, a miglioramenti. Non so se sarà possibile
definire la questione con il prossimo Dpef , considerata la ristrettezza dei
tempi, siamo quasi a luglio, altrimenti ci adopereremo per la Finanziaria.
Desidero leggervi questo testo per ascoltare le vostre osservazioni. Ciò
che il Sottosegretario intende sottolineare è che, in un momento così
delicato per la spesa sanitaria nazionale, ogni Regione dovrà fare bene
anche conti di tipo economico e comunque c'
è da tenere presente che
quello che le forze del volontariato offrono e mettono in campo è bello, è
grande, è giusto, ma comunque le Istituzioni, a parere dell’Onorevole
Guidi, devono avere compiti di coordinamento su quanto le Istituzioni
mettono a disposizione dal punto di vista economico. Solo così i valori etici
che il Ministero della Salute si propone di portare avanti, con il ruolo nuovo
che hanno acquisito le Regioni, potranno essere realizzati, con un'
ottima
organizzazione nel coordinamento.
Passo a leggervi questo testo.
Il titolo è generico: "Invio di personale dipendente del servizio sanitario
nazionale in missione umanitaria all'
estero”.
³$O ILQH GL DVVLFXUDUH OD UHDOL]]D]LRQH GL LQWHUYHQWL VWUDRUGLQDUL D FDUDWWHUH
XPDQLWDULR SHU IURQWHJJLDUH FDODPLWj QDWXUDOL H DOWUH VLWXD]LRQL GL
HPHUJHQ]D D OLYHOOR QD]LRQDOH HG LQWHUQD]LRQDOH OH 5HJLRQL SRVVRQR
DXWRUL]]DUH LO SHUVRQDOH GLSHQGHQWH GHO VHUYL]LR VDQLWDULR QD]LRQDOH D
SDUWHFLSDUHDVSHFLILFLSURJUDPPLGLLQWHUYHQWRFRQFRUGDWLFRQLO0LQLVWHUR
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DOO
HVWHUR GHO SHUVRQDOH VL SURYYHGH QHOO
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IRQGRVDQLWDULRUHJLRQDOHGLFLDVFXQD5HJLRQHR3URYLQFLDDXWRQRPD
Questa è, ovviamente, una bozza che sottoponiamo a voi e su questo
tema desidero ascoltare le vostre impressioni.
66
9LQFHQ]R5,%21,
&RPLWDWRSHUODFRRSHUD]LRQHDOORVYLOXSSR
Io penso che questa proposta di legge che norma l’impiego del personale
del Servizio Sanitario Nazionale nell’ambito di interventi umanitari, e in
particolare nei casi di emergenza, sia fondamentale.
Infatti è vero che non esiste una normativa precisa, che faciliti le Regioni e
le Unità Sanitarie Locali nell'
invio di personale per scopi umanitari in
emergenza.
Perciò non può che accogliersi favorevolmente questa proposta di legge.
Anche la nostra Regione Veneto si sta facendo carico di questa iniziativa,
per quello che so, e credo che tutto ciò sia molto importante.
Già abbiamo una classe di Direttori Generali nelle Aziende Sanitarie del
Veneto - alcuni di loro sono qui presenti - molto sensibilizzati, attenti e
disponibili alla cooperazione.
Ben venga pertanto questo atto legislativo con la norma che autorizza e
legittima la partecipazione del personale, mettendo le Direzioni Generali in
condizione di assoluta tranquillità soprattutto sul versante della spesa, che
non è cosa di poco conto.
67
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Desidero porre l’accento su una questione, a mio avviso, molto
importante. Nel corso dell’esperienza della task-peace, ho avuto modo di
essere contattata da 300 - 400 medici, e da altrettanti infermieri. Molti di
loro erano professionisti di provata esperienza nel settore delle
emergenze, professionisti che da vent’anni vanno in missione in territori di
guerra, altri sono persone che hanno voglia di aiutare gli altri ma privi di
esperienza. Il problema principale davanti al quale ci siamo trovati è stato
proprio quello della formazione dei volontari sui territori di emergenza,
argomento sul quale, a mio avviso, è necessario lavorare. Sono a
conoscenza, per fare un esempio, che la Segreteria Attività Culturali
dell’Istituto Superiore della Sanità si occupa anche di questo tipo di
formazione. Penso che ogni Regione debba organizzarsi in questo senso
– per promuovere preventivamente campagne di formazione per gli
operatori sanitari, e preparare dei livelli di formazione: un primo da
“osservatore”, colui il quale acquisisce gli elementi base, e due o tre livelli
superiori – lo sto pensando in questo momento – rappresentati da un
esperto e da un coordinatore. L’obiettivo potrebbe essere, per il futuro,
organizzare un Registro Regionale degli operatori sanitari. Questo tipo di
organizzazione, di difficile realizzazione all'
inizio, consentirebbe nel tempo
l’organizzazione di un bacino di utenza dal quale attingere in periodi di
emergenza sanitaria.
68
*LOGR%$5$/',
La ringrazio dottoressa, mi rallegro per la comunità di intenti e volevo dire
qualcosa su entrambe le questioni che lei ha sollevato.
Questa mattina ricordavo che nella scorsa legislatura i Presidenti delle
Giunte Regionali, sul piano politico, e l’OICS su quello tecnico, si erano
intensamente impegnati a sostegno della proposta di legge di riforma della
cooperazione allo sviluppo, per assicurare una regolamentazione positiva
della cooperazione decentrata. Quella proposta è naufragata e non
riteniamo oggi matura una riforma globale, che dovrebbe affrontare molti
altri aspetti oltre alla cooperazione decentrata; peraltro, tanto più alla luce
delle modifiche al Titolo V° della Costituzione, buona parte di quanto è
necessario è possibile anche nel quadro legislativo attuale. Permangono
tuttavia alcuni ostacoli insormontabili senza uno specifico intervento
normativo, tra cui quello di cui Lei ha parlato. Per questo l’OICS,
consultandosi con alcuni funzionari del Ministero degli Affari Esteri, sta
predisponendo un breve testo di legge che, una volta approvato dalla
Conferenza dei Presidenti delle Regioni, potrà essere portato in
Conferenza Stato-Regioni per chiedere al Governo di farlo proprio come
proposta governativa. Si tratta di una leggina che renda possibile la
cooperazione decentrata nel clima normativo attuale. Essa è basata
sostanzialmente su tre punti: uno di questi è proprio la possibilità per le
Regioni di poter utilizzare ed inviare in missione tecnici ed operatori
pubblici o para-pubblici (non solo del settore sanitario), nell'
ambito di
interventi di cooperazione decentrata (di emergenza e non solo), con
diritto alla conservazione del posto, alla progressione di carriera, alla
continuità assistenziale, assicurativa e pensionistica, ecc.
Gli altri due punti sono che la cooperazione decentrata possa operare
nell’ambito programmi quadro, cioè definiti a monte non nel dettaglio, ma
solo negli obiettivi, risultati attesi, costi e tempi, rimandando i dettagli
operativi alla programmazione in corso d’opera (cosa fondamentale
69
soprattutto in emergenza e nelle azioni di rafforzamento istituzionale) e
che, come già ricordato dal ministro Serafini, gli eventuali cofinanziamenti
governativi siano erogati prima della spesa e non a rimborso, essendo
difficile per l’amministrazione regionale anticipare e poi recuperare.
Sull'
altro aspetto di cui Lei ha parlato, quello della formazione, desidero
informare che l’OICS sta predisponendo un’iniziativa importante: un corso
di alta formazione per amministratori e funzionari delle Regioni e dei loro
enti strumentali, nonché, ove chiesto dalle Regioni, dalle Città
metropolitane e Province, che si occupano di cooperazione allo sviluppo.
L’intera iniziativa, di durata biennale, sarà finanziata in parte dal Ministero
degli Esteri e in parte da noi e dalle Regioni partecipanti. All’inizio del
prossimo anno saranno pronti i materiali didattici su supporto informatico
multimediale e interattivo e sarà avviata una serie di percorsi formativi e
informativi su Internet. Verranno quindi avviati tre corsi (raggruppando tra
loro le Regioni dell’Italia Settentrionale, quelle del Centro e quelle del
Mezzogiorno) ciascuno articolato su due livelli: un livello di base, rivolto a
circa 300 persone (100 per corso) e consistente in alcuni seminari e
nell’accesso al materiale Internet; un livello specialistico per 150 persone,
con ulteriori corsi e lezioni sia in aula sia per via telematica.
70
$OHVVDQGUR6(5$),1,
Sarò rapidissimo. Ricordo che, quando ero Ambasciatore in Guatemala
qualche anno fa, ogni anno veniva una equipe di medici italiani ad operare
del tutto gratuitamente presso un ospedale per handicappati tenuto dai
frati Francescani italiani.
Questi medici prestavano la loro opera con molto entusiasmo, e non
chiedevano di essere considerati come esperti e pagati per questo.
Ovviamente
a
loro
interessava
fare
un'
esperienza
anche
professionalmente valida. Quello che lamentavano era la mancanza di
una legislazione che consentisse loro di considerare il periodo trascorso
all’estero non come ferie, ma come attività di formazione.
Un provvedimento di questo tipo basterebbe ad incentivare questa valida
forma di intervento umanitario con scarsi oneri per l’erario e con buoni
ritorni nel campo della formazione del nostro personale medico-sanitario.
Auspico che il Ministero della Salute possa fare qualcosa al riguardo.
71
,YDQD385,),&$72
Anch’io ho vissuto questa esperienza. Le dico sinceramente che molti
medici e infermieri che telefonavano, volendo esprimere una percentuale
la dico con amarezza l’85% - ponevano subito una prima domanda:
"Quanto guadagnerò?" Purtroppo è così, pochi altri invece si sono
espressi come dice lei e mi dicevano: "Guardi dottoressa, io mi prendo le
ferie, l'
aspettativa, non mi interessa, basta che mi facciate partire, io non
voglio soldi, non mi interessa", queste erano le frasi che veramente mi
toccavano, ma le ribadisco, era una percentuale bassa.
Altri invece lo sapete che cosa mi hanno chiesto? Non il lato economico, si
sarebbero accontentati di avere dei punteggi per la progressione della loro
carriera. Questa è un'
altra cosa che ho dimenticato di dirvi prima, molti
desideravano avere dei punteggi.
Ricordo che 20 anni fa, quando ci fu il terremoto in Campania, io ero
ancora una ragazza, avevo delle amiche che lavoravano in un ospedale,
erano infermiere: queste ragazze sono andate volontarie a lavorare nelle
zone colpite ed hanno acquisito dei punteggi presso la loro azienda
ospedaliera. Grazie a questi punteggi acquisiti, qualcuna è diventata in
seguito caposala.
Quindi, a mio avviso, sarebbe anche importante incentivare in questo
senso medici, tecnici ed infermieri.
72
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L’Associazione delle Organizzazioni Non Governative Italiane esiste da
anni ed è stata ufficialmente formalizzata con statuto notarile alla fine del
2000. Rappresenta a livello italiano ed internazionale 164 Organizzazioni
Non Governative italiane, da decenni operative nella cooperazione e
nell’educazione allo sviluppo.
Dagli interventi di questa mattina, come in apertura di questa Tavola
rotonda pomeridiana, sono molti gli spunti sui quali potremmo riflettere.
Una domanda però mi viene spontanea: perché affrontiamo sempre i
problemi singolarmente, senza soffermarci invece sui problemi di fondo? E
cioè: il ruolo e l’importanza della cooperazione allo sviluppo; la qualità
dello sviluppo; le strategie italiane per lo sviluppo; la non funzionalità della
cooperazione italiana; la necessità di una nuova cooperazione… Ci
limitiamo invece a pensare ai problemi per l’invio degli operatori sanitari, i
punteggi, il progettino, ecc…
Con l’undici settembre la grande vulnerabilità degli equilibri internazionali
e delle stesse società industriali avanzate si è manifestata in tutta la sua
drammatica evidenza. In tale contesto i media, gli analisti e gli esperti
dedicano una nuova attenzione al ruolo della cooperazione internazionale,
allo sviluppo quale possibile risposta per ridurre l’ingiustizia e la crescente
diffusione della povertà.
Oggi più di ieri, la ricerca di soluzioni efficaci ai problemi drammatici della
povertà e del sottosviluppo, tramite gli strumenti della cooperazione
internazionale, costituisce una importante priorità, anche a partire dalla
necessità di ridurre i rischi di instabilità politica e sociale del “sistema
mondo”. Aiutare i poveri e gli esclusi, quindi, non costituisce soltanto un
imperativo etico ed umanitario, ma anche un interesse essenziale della
comunità e della sicurezza internazionale.
73
E’ in tale contesto e per questi motivi che si impone di dare più incisività e
concretezza all’azione della Cooperazione italiana nel mondo. Per contro,
lo stato di profonda crisi della nostra cooperazione internazionale è sotto
gli occhi di tutti e si deve ad alcuni fattori principali: innanzi tutto per la
tendenziale inconciliabilità fra gli obiettivi della cooperazione
(sradicamento della povertà, riduzione del divario di sviluppo tra i diversi
Paesi, ecc.), che richiedono azioni e strumenti di lungo periodo, e gli
orizzonti, quasi sempre di breve termine, dei singoli Governi; poi per la
riduzione dell’Aiuto pubblico allo Sviluppo (APS): in Italia l’APS è passato
infatti dai 4.122 milioni di dollari USA del 1992 ai 1.376 milioni di dollari
USA, ovvero dallo 0,34 allo 0,13 per cento del Prodotto Interno Lordo,
collocando l’Italia al ventunesimo posto fra i ventidue Paesi industrializzati
che aderiscono all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico (OCSE); per la crescente burocratizzazione gestionale, che
comporta tempi insostenibilmente lunghi per l’approvazione dei progetti,
l’erogazione dei fondi ed il successivo esame ed approvazione dei
rendiconti: negli ultimi anni, e soprattutto da quando le attività di
cooperazione sono state inquadrate nell’ambito della contabilità ordinaria
dello Stato, si è affermata un’enfasi particolare sulle procedure formali
relative all’iter di approvazione e realizzazione dei progetti; in tale contesto
le direttive elaborate dalla Ragioneria dello Stato e dalla Corte dei Conti si
sovrappongono alle procedure in vigore, che vengono in più occasioni
reinterpretate e, spesso, stravolte: ciò ha creato una situazione di grande
confusione, nel cui contesto si è affermata una crescente incertezza sulla
“interpretazione autentica” delle procedure, e sono enormemente
aumentati i tempi per lo svolgimento degli atti necessari; da ultimo per la
drastica riduzione delle risorse umane che operano nella Direzione
Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero degli
Affari Esteri, passate dalle 557 unità del 1995 alle 332 del 2001, pari ad
una diminuzione del 40 per cento.
74
Questa
gravissima
situazione
non
può
lasciare
insensibili
le
Organizzazioni Non Governative italiane, che negli ultimi 40 anni si sono
dedicate con passione e determinazione al sostegno della lotta alla
povertà del Sud del mondo e si sono guadagnate sul campo, soprattutto in
virtù dell’efficacia del lavoro svolto, il riconoscimento di soggetti credibili
della cooperazione allo sviluppo.
Ho l'
impressione a volte che si stia vivendo una schizofrenia totale in
materia di cooperazione. Non ricordiamo più il significato di
“cooperazione”. Abbiamo trasformato la cooperazione in “emergenza”
dove vengono destinati i maggiori finanziamenti… abbiamo deciso di fare
cooperazione solo in alcune zone geografiche… perché finalizzata alla
lotta all’immigrazione, alla promozione del commercio estero, alla
sicurezza comune, agli interessi economici, al mercato.
Oggi a Siviglia nell'
incontro dei Capi di Stato dell’Unione Europea, si
approverà la soppressione del Consiglio Sviluppo, e di conseguenza della
Direzione Generale allo Sviluppo e di tutto ciò che ne fa parte a livello
politico, riconducendo tutta la cooperazione alla Direzione Relazioni
Esterne, ossia al Ministero degli Affari Esteri italiano. Parallelamente la
prossima settimana verrà istituito un gruppo speciale sullo sviluppo
nell'
ambito della Convenzione Europea, perché i trattati dell'
Unione
Europea riconoscono come ambito specifico quello dello sviluppo e della
cooperazione allo sviluppo.
Che peso diamo ancora oggi politicamente alla cooperazione allo
sviluppo? Giustamente il nostro Governo dice: 700 miliardi, poco più, alla
cooperazione non sono nulla, non significano nulla, e siamo ben lontani
dai proclami che il Presidente del Consiglio sta facendo di arrivare all’uno
per cento del PIL, oggi siamo allo 0,13 per cento, cifre molto basse. Cifre
molto basse che comunque il nostro Ministero degli Affari Esteri non
riesce a spendere, nonostante le centinaia di progetti delle Organizzazioni
Non Governative italiane in attesa di finanziamento. Da due anni il
Parlamento chiede al Ministero degli Esteri di gestire i soldi dell'
otto per
75
mille dello Stato destinati alla cooperazione, ed il Ministero degli Affari
Esteri non li accetta perché non è in grado di gestirli!
Ci sono difficoltà oggettive a gestire la spesa anche per cifre irrisorie nella
cooperazione italiana, per le procedure e la burocrazia che caratterizzano
la nostra amministrazione pubblica, mentre dall'
altra parte le situazioni di
divario, le situazioni di povertà aumentano in maniera spaventosa. Un
miliardo e 400 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile!
Mancanza di lavoro, di cibo, di scuole, di assistenza sanitaria… sono solo
alcune delle minacce che oggi privano circa metà della popolazione
mondiale del loro “diritto alla vita”!
Non credo che la soluzione sia quella di cercare di affrontare
singolarmente i problemi. Il Ministero della Sanità non può occuparsi di
cooperazione per risolvere il problema dell’invio del personale sanitario in
Afghanistan, il Ministero dell'
agricoltura non deve occuparsi dei problemi
della sicurezza alimentare nel mondo, ecc.. Come veniva ribadito,
dobbiamo mantenere un testa che coordini e possa sviluppare un piano
strategico in materia di sviluppo, capace di realizzare una politica dello
sviluppo coerente con tutte le altre politiche complementari in materia di
cooperazione. La cooperazione allo sviluppo è un settore difficile da
definire, un settore vasto che implica una serie di relazioni commerciali,
industriali, agricole, ambientali, economiche…
Il Sottosegretario del Ministero degli Affari Esteri Senatore Mantica, la
settimana scorsa affermava: "Il Governo con quattro decisioni su
Afghanistan, Argentina, e-government, Eritrea, ha già impegnato più della
metà dei fondi della cooperazione". Questo significa che le decisioni
governative stanno sempre più determinando l'
utilizzo di quelle poche
risorse della cooperazione italiana. Dobbiamo poi ricordare che la parte
maggiore dei fondi disponibili vengono gestiti a livello multilaterale, date
cioè in gestione alle Agenzie internazionali. La lotta alla povertà,
l'
attenzione verso quei popoli, quelle persone che sono in situazioni
76
particolarmente difficili, disagiate… dove non ci sono interessi specifici,
sono dimenticate!
E’ necessario definire e ricollocare strategicamente il ruolo della
cooperazione a livello politico, definire i ruoli dei vari soggetti che oggi
sono coinvolti nella cooperazione ed agire strategicamente per lo sviluppo
di tutti, per la difesa del diritto fondamentale di ogni persona: il diritto alla
vita!
Alcuni decenni fa non si parlava di Enti locali e di tanti altri attori che oggi
invece hanno un ruolo importante e che possono averlo ancora di più nella
cooperazione. E’ necessario però definire questo ruolo, coordinarlo
all'
interno di un disegno strategico unico per non metterci in
contrapposizione, con il rischio addirittura di sviluppare settorialmente o
singolarmente il proprio specifico.
Ritengo che sia questa oggi la strada per andare oltre, fare un salto di
qualità. Qualcuno dice: manca la volontà politica, manca la strategia, non
lo so, ma i risultati non ci sono.
La cooperazione decentrata deve rappresentare una volontà ed un
approccio di solidarietà e di cooperazione allo sviluppo e riconoscere
ufficialmente il ruolo essenziale della società civile nelle azioni di sviluppo.
Deve essere espressione della consapevolezza nelle istituzioni, della
necessità di coinvolgere le organizzazioni non governative impegnate
nella solidarietà e nella cooperazione allo sviluppo, unitamente ai vari
attori sociali, in un rapporto di “partnerariato” per quanto riguarda gli
iterventi e le azioni di sviluppo.
L’introduzione di questa nuova “metodologia operativa” nel più vasto
concetto di “cooperazione allo sviluppo” non sostitutiva, ma eventualmente
complementare, è indice di una chiara volontà di ampliare la rosa degli
attori impegnati nel processo di cooperazione con lo scopo principale di
meglio mobilitare ed utilizzare le ricchezze di competenza e di iniziativa
presenti nella diversità che compone il tessuto sociale di ogni comunità e
Paese, sia al Sud che in Europa.
77
La coscienza sociale dei diversi attori, unitamente al concetto di “sviluppo
partecipato”, caratterizza l’azione della cooperazione decentrata a partire
dal consolidamento dei processi di democratizzazione, dalla promozione
dei diritti dell’uomo, dall’autonomia socio-economica, dalla valorizzazione
delle risorse umane e tecniche dei Paesi in via di sviluppo, per il
raggiungimento comune di un unico “sviluppo sostenibile e durabile”.
In questa direzione i programmi di cooperazione decentrata si devono
distinguere dagli altri progetti ed azioni di solidarietà e sviluppo, per il
principio di “non ingerenza” del Governo verso le attività degli attori
decentralizzati, a partire dalle azioni delle Organizzazioni Non
Governative, anche se queste possono essere state coofinanziate con
fondi pubblici. Ciò suppone l’impiego di decentralizzare responsabilità, fino
ad oggi detenute dal Governo, ad attori non governativi impegnati a
promuovere azioni sociali culturali, formative, micro-economiche in favore
dello sviluppo umano.
La cooperazione decentrata non può e non deve essere quindi perseguita
esclusivamente come un nuovo “strumento finanziario” per le iniziative
sociali o delle stesse Organizzazioni Non Governative. Essa rappresenta
un tentativo concreto di crescita qualitativa dell’intera società civile, in un
processo di sviluppo durabile. Può stupire quindi, il ritardo di un processo
che apparentemente sembra naturale nel vedere le collettività locali e le
stesse municipalità impegnate in azioni e rapporti di cooperazione, ma per
troppo tempo la cooperazione allo sviluppo è stata esclusivo oggetto di
dialogo e confronto tra soli Stati, senza la partecipazione diretta dei
cittadini, con risultati altamente insufficienti.
Le Organizzazioni Non Governative, l’associazionismo sociale, sono oggi
l’espressione di una crescente partecipazione sociale iterativa.
Se vogliamo effettivamente uscire da questa impasse e da questo
rincorrerci dietro a parole, e metterci a dare delle risposte concrete, credo
che momenti come quelli di oggi, di confronto tra i vari soggetti che
servano a dare degli indirizzi, siano estremamente importanti, soprattutto
78
se riusciamo ad imparare a cooperare tra di noi, vari soggetti, all’interno di
un coordinamento che sappia tenere le fila per rispondere ai bisogni delle
persone, dei popoli, prima forse che agli interessi delle politiche più
tematiche o settoriali.
79
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Desidero sottolineare, rispetto a quello che lei ha detto, che, secondo me,
quello di cui abbiamo bisogno, noi rappresentanti delle istituzioni e voi
come Organizzazioni Non Governative, è una sola cosa, ma molto
importante: una nuova cultura, una nuova ideologia della cooperazione
internazionale diversa da quella a cui noi tutti siamo stati abituati fino ad
ora.
Questo cambiamento abbastanza radicale nel fare di domani ha bisogno
di tempi, che ci auguriamo non troppo lunghi. Credo anche che questa
Tavola rotonda oggi organizzata segni un grande passo avanti,
auspicando che il prossimo incontro avvenga in tempi abbastanza brevi
per portare noi, insieme anche alle altre Regioni, un apporto vero e
concreto, al di là di tanti discorsi che si possono fare su problemi che un
po'tutti conosciamo nel dettaglio.
80
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6HQDWRUHGHOOD5HSXEEOLFD
Io faccio parte della Commissione Diritti Umani del Senato, istituita
recentemente e che dovrebbe interessarsi anche di cooperazione allo
sviluppo: ma non siamo ancora arrivati a discutere problemi di carattere
generale.
L'
argomento di questo seminario mi pare lontano dalla sensibilità politica
di Camera e Senato. Non so se i tecnici che seguono i lavori del
Parlamento hanno impressioni diverse. Si è costituita recentemente
questa Commissione in seguito a emergenze che hanno posto
all'
attenzione del Parlamento la necessità di prendere posizione su
determinate situazioni mondiali.
Ci siamo interessati finora di pena di morte, di tortura, di detenzione, di
mine antiuomo, abbiamo cominciato ad allargare l'
orizzonte parlando di
Afghanistan e poi dei diritti delle donne che sono collegati alla situazione
dell’Afghanistan. Solo di recente si è ravvisata la necessità di allargare
l'
orizzonte e di parlare di interventi organici di carattere economico, nei
riguardi di Paesi dove esistono emergenze, che nascono da un particolare
contesto socio-economico sul quale bisogna intervenire. Si sente la
necessità ormai di superare sempre di più a livello teorico e pratico la
dottrina del non intervento. E` chiaro che operiamo all'
interno di una
sensibilità arretratissima, all'
interno anche di una legislazione arretrata, e
finora in Parlamento non ho sentito parlare né di un mini modifica, né di
una sostituzione della legge 49.
C'
è stata nei vostri interventi, c'
è comunque a livello di nostra sensibilità, la
coscienza di dover coordinare: lo Stato non deve invadere da questo
punto di vista, lo Stato deve coordinare e gli Stati tra loro devono
coordinarsi, perché i problemi fondamentali sono più grandi di quelli a cui
può far fronte lo Stato stesso. Oggi siamo di fronte all'
emergenza
dell’immigrazione clandestina e mi pare che il grido di dolore del Governo
81
italiano, dei Ministeri, sia quello di dire: a livello italiano non riusciamo a
risolvere il problema, tentiamo di risolverlo a livello europeo intervenendo
negli Stati d'
origine, creando condizioni diverse perché questi cittadini non
siano spinti ad emigrare.
Vorrei porre l'
accento su un aspetto della cooperazione, frutto di mie
esperienze. Non dimentichiamo i nostri operatori economici, con i quali noi
dobbiamo stabilire sinergie da ogni punto di vista. Trovo un cenno a
questo aspetto nella relazione del dottore Laurenzano. Io ho due
esperienze, l'
una l'
ho fatta in Romania, dove i nostri veneti, e qui c'
è il
ruolo della Regione, sono intervenuti a delocalizzare, creando ricchezza
nel Paese. In Romania si sente il bisogno di un salto di qualità dal punto di
vista della formazione professionale, della organizzazione aziendale, cose
sulle quali interviene molte volte il volontariato italiano: penso ai Salesiani
che stanno intervenendo con le loro scuole di formazione professionale in
Romania e recentemente in Albania. E’ un volontariato che dà una
risposta all'
imprenditoria italiana, ai piccoli e medi imprenditori che
arrivano là, ma che contemporaneamente crea una imprenditoria locale,
crea dei liberi professionisti locali, crea una mentalità.
Mio figlio che sta preparando l'
esame di maturità, dopo aver letto i giornali
dei giorni scorsi sul convegno della FAO, mi ha detto: "Ma la FAO esce
massacrata dai giornali!". Dai giornali appare che si è fatto un enorme
convegno, organizzatissimo, dicono che hanno mangiato molto bene, però
i Governi nei loro vertici massimi non hanno partecipato; soprattutto si è
scoperto che la metà delle spese della FAO va per mantenere la
macchina organizzativa. Dal convegno FAO non siamo usciti bene noi,
non è uscita bene la FAO, non sono usciti bene gli organismi
internazionali e credo che questo ci induca a rimeditare il problema in
termini più moderni. Abbiamo imprenditori che stanno creando ricchezza
nel mondo: questa, che potrebbe essere un'
opera di mero sfruttamento,
può diventare invece un'
opera di sviluppo se gli Stati accompagnano
questi imprenditori con iniziative adeguate. C'
è un gruppo di imprenditori
82
veneti che sta investendo mille miliardi in uno Stato del Brasile. Hanno
preso contatto loro, con enorme difficoltà, con il Presidente e i Ministri di
questo Stato, ottenendo appoggio alle loro iniziative che oltre a creare
ricchezza, creano crescita sociale, soprattutto se accompagnate da
iniziative di formazione professionale che possono essere fatte dalla
nostra Regione o dallo Stato italiano.
Parte domani una delegazione del Senato per l'
Argentina per vedere
come possiamo contribuire a far uscire questo Paese dalla crisi in cui si
trova. Normalmente noi interveniamo più facilmente in Stati che hanno
una certa consanguineità, una cultura affine alla nostra (e l'
Argentina è
una nazione in cui metà dei cognomi sono italiani) oppure che sono vicini
a noi, pensiamo alla Romania, all'
Albania, oppure interveniamo in regioni
di cui conosciamo le grandi difficoltà. Credo siano utili le sinergie
soprattutto tra Ente pubblico e operatori privati. A capo ci sarà sempre il
Ministero degli Affari Esteri, cioè il Governo italiano, poi ci saranno le
Regioni, il potere pubblico. Non dimentichiamoci di intervenire accanto ad
operatori economici che hanno bisogno di interventi per la formazione, per
aiuti, per strutture etc. Questo intervento può contribuire moltissimo a far
crescere la nazione nella quale i nostri operatori operano spinti da pure
logiche economiche.
83
0DULD3LD0$,1$5',
Si diceva questa mattina che la cooperazione decentrata non è sostitutiva,
ma è aggiuntiva. Sentivamo oggi che la cooperazione etica non sta più
trovando spazio; vorremmo sentire il parere del rappresentante
dell'
Associazione Volontari Servizio Internazionale.
84
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In questo breve intervento vorrei partire dalla riforma del Titolo V° della
Costituzione ed in particolare dal nuovo articolo 118 che, a mio parere, è
fondamentale. L'
ultimo comma recita: "Stato, Regioni, Città metropolitane,
Province e Comuni favoriscono l'
autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del
principio di sussidiarietà".
Si tratta di una riforma costituzionale che, a ben vedere, ha una portata
culturale e operativa ancora maggiore del federalismo: è un
riconoscimento delle forze dei singoli e della società: imprenditori,
organizzazioni non governative, organizzazioni di volontariato, singoli
cittadini e le loro associazioni.
Il principio di sussidiarietà è fondamentale per aiutare a liberare e
valorizzare tutte queste potenzialità.
Nella cooperazione non governativa, il ruolo delle Organizzazioni Non
Governative in questi anni ha sempre un po'incarnato questa applicazione
del principio di sussidiarietà. Negli schemi classici, infatti, ci sono la
cooperazione governativa e la cooperazione non governativa, questo
significa che sono state fatte delle esperienze significative e che anche il
ruolo delle Organizzazioni Non Governative nei Paesi in cui esse operano
è utile per far crescere sia le capacità delle persone in stato di bisogno, sia
delle persone che hanno responsabilità istituzionali nei Paesi stessi.
Recentemente, nel marzo 2002, si è svolta l'
assemblea dell’Associazione
italiana delle Organizzazioni Non Governative che ha approvato un
documento unitario che considera proprio il principio della sussidiarietà e
la valorizzazione dei diversi attori: "La lotta alla povertà, il sostegno ai
processi di sviluppo, implicano la realizzazione di attività complesse alla
cui realizzazione possono e devono partecipare con ruoli differenziati le
diverse realtà del Paese oltre le Organizzazioni Non Governative,
85
l'
associazionismo, le imprese, le Università e gli Enti locali in grado di
mettere in campo specifiche capacità e professionalità. Tutto il sistema
Paese deve mobilitarsi valorizzando le diverse funzioni, mentre il Ministero
degli Affari Esteri deve svolgere prevalentemente una funzione generale di
coordinamento. In tale contesto occorre superare le concezioni centraliste
ed applicare il principio di sussidiarietà come strumento essenziale per la
valorizzazione dei diversi soggetti coinvolti e l'
identificazione di nuove e
più efficaci modalità di cooperazione internazionale e coordinamento interistituzionale anche attraverso nuove forme di partnership complementare
e paritaria tra i diversi soggetti. Tale approccio deve inoltre essere
accompagnato da una chiara definizione dei ruoli e delle modalità di
accesso delle risorse. In tale contesto occorre inoltre valorizzare e
articolare ulteriormente il ruolo della cooperazione decentrata. Le Regioni
e gli Enti locali possono svolgere un'
importante funzione di sostegno ai
processi di sviluppo allocando risorse umane, finanziarie e di competenza
aggiuntive rispetto a quelle decise dal Parlamento, sostenendo i progetti e
le attività delle Organizzazioni Non Governative e delle altre realtà
presenti nel loro territorio, promuovendo specifiche iniziative di sostegno
alla formazione e alla crescita di settori, come le piccole e medie imprese
e l'
artigianato. Occorre inoltre valorizzare la partecipazione e il pieno
coinvolgimento delle società civili dei Paesi beneficiari per arrivare ad una
vera cooperazione tra popoli che attraverso forme associative organizzate
e strutturate devono essere coinvolti nelle diverse fasi delle politiche di
cooperazione, dell'
identificazione, pianificazione, realizzazione e
valutazione dei progetti".
Vorrei concludere con un esempio, frutto di una esperienza della
Organizzazione Non Governativa con cui collaboro. L’Associazione
Volontari Servizio Internazionale è presente da diversi anni nelle favelas
delle metropoli brasiliane, in particolare a San Salvador de Bahia, dove dal
'
92 ha avviato un progetto di risanamento urbanistico delle aree degradate
di questa città. La metodologia di intervento, che ha privilegiato il
86
coinvolgimento della popolazione locale, ha fatto sì che questo progetto
fosse valorizzato dalle istituzioni locali, quindi dalle municipalità dello Stato
di Bahia e della città di Salvador, ma anche da organismi internazionali
come la Banca Mondiale.
E’ la prova che in un modo globalizzato la cooperazione non può essere
solo governativa e non governativa, ma riguarda anche le istituzioni
sovranazionali.
Anche il ruolo dell'
Italia, attraverso l’Associazione Volontari Servizio
Internazionale e gli altri soggetti che hanno partecipato al progetto, è
risultato valorizzato.
E' stato quindi un intervento che oltre ad aiutare tante persone –
attualmente i beneficiari sono circa 120 mila - ha avuto anche una valenza
sociale e politica.
87
*LRUJLR*$%$1,==$
&RPLWDWRSHUODFRRSHUD]LRQHDOORVYLOXSSR
Sono tentato di drammatizzare la questione, nel senso che mi pare che
abbia ragione il Senatore Favaro quando dice che non c'
è ancora
consapevolezza da parte delle istituzioni, come ad esempio il Parlamento,
delle grandi e nuove questioni dell'
interdipendenza. Credo che la Regione
del Veneto non possa governare pensando solo all'
interno dei suoi confini,
ma la condizione dell'
interdipendenza determina la necessità di guardare
ben oltre e di pensare in modo unitario ed integrato, non considerando la
cooperazione allo sviluppo un settore piccolo e marginale, ma invece
riconoscendolo come uno degli elementi di risposta ai nuovi diritti e alle
condizioni civili e umane del Veneto e fuori del Veneto.
Faccio alcuni esempi. Chernobyl con le sue conseguenze fuori dei suoi
confini, compreso il Veneto; la crisi argentina, 300 mila risparmiatori italiani
colpiti; la "water crisis", questi sono tre studi internazionali finanziati
dall'
O.N.U. Questi studi, terminati nel 2000, multidisciplinari, monitorati e
sostenuti nei loro esiti anche da altri studi, ci dicono che se le condizioni
stanno così, senza avere ulteriori elementi di incremento entro il 2020, nel
2025 tre miliardi di persone saranno private dell'
acqua. Queste persone
chiederanno nei loro Paesi normative per la tutela dell’acqua nei loro
territori, oppure cercheranno di andare dove l'
acqua c'
è, e la causa di tutto
questo è data da un insieme di fattori: l'
effetto serra, un certo tipo di
mobilità, un certo tipo di attività produttive, un certo tipo di sistema di
riscaldamento e via dicendo. Noi dobbiamo dare adeguate risposte non
solo in direzione della cooperazione internazionale con congrui
finanziamenti, ma spostando risorse delle organizzazioni governative,
dell'
apparato produttivo privato, pubblico, etc., in quella direzione per
modificare questa situazione, perché la risposta dei veneti è anche una
risposta che deve guardare al di fuori dei confini veneti. Se pensiamo
quali saranno le conseguenze di quelli che saranno esodi biblici, altro che
88
leggi rigorose sull'
immigrazione! Bisogna spostare sia attività e modi di
consumare, di vivere, ovviamente senza tornare indietro rispetto alle
conquiste civili che abbiamo ottenuto, sia spostare delle risorse. Allora mi
permetto di dire - ci sono legislatori regionali presenti, mi pareva dovesse
esserci il governo regionale ma comunque vedrà gli atti - che ora ci sono
degli appuntamenti straordinari. La soggettività internazionale delle
Regioni è stata sancita dalla riforma della Costituzione. Le cose dette
questa mattina vanno recuperate fino in fondo ed il Consiglio regionale del
Veneto deve essere consapevole del fatto che non solo deve iniziare il
suo lavoro per lo Statuto e per inserire in modo positivo quello che sarà il
nuovo possibile ruolo internazionale della Regione e le sue nuove
capacità di intervento dentro ad una politica estera che ha le
caratteristiche che ricordava questa mattina il Presidente Cota, ma
sapendo che queste risposte date dalla politica estera sono risposte che
vengono date anche nella reciprocità degli interessi, nella difesa degli
interessi di questo territorio. Credo che vi sia la necessità di accelerare in
modo straordinario il lavoro di costruzione del nuovo Statuto regionale e di
avviare una stagione di riforme capace di dare alla Regione un ruolo
internazionale. Credo anche che non ci sia solo la necessità di un nuovo
Statuto con la ridefinizione della tutela di nuovi diritti che vengono immessi
da queste nuove condizioni dell'
interdipendenza, ma che ci sia la
necessità anche di una nuova organizzazione, unitaria, delle attività
"estere", dalla cooperazione internazionale, facendo “sistema”, e alcuni
esempi, come quelli portati dal Senatore Favaro, possono essere con
equilibrio seguiti. Penso che lo Stato fino ad oggi, seppure oggi con
qualche difficoltà, con la riduzione degli organici e del personale, ha
prodotto una sua attività internazionale con un poderoso corpo diplomatico
e un'
organizzazione solida, ma talvolta carente, e oggi carente in alcuni
settori come, si diceva, in quello della cooperazione internazionale. La
Regione come intende riorganizzare? E'sufficiente di volta in volta definire
degli accordi? Ricordo alcuni viaggi regionali, anche con il Centro Estero
89
delle Camere di Commercio, per la sottoscrizione di alcuni accordi. Ho
partecipato alla definizione dell’accordo con lo Jiangsu, la Provincia cinese
di 72 milioni di abitanti, l’applicazione dell’accordo con l’Hebei con la
costruzione possibile di un’antenna veneta per poter far incontrare la
domanda e l’offerta dei due sistemi economici e produttivi della nostra
Regione e di quella Provincia. Ricordo le presenze in Brasile in un’area
veneta, che è quella del Rio Grande do Sul, dove si insegna il “talian” che
è una sorta di sedimentazione del dialetto veneto.
Sono sufficienti occasionali interventi di questa natura o va ricostruito un
apparato più forte con nuove professionalità, capace di rendersi
interdipendente rispetto ad altre politiche, dentro alla Regione?
Scusate se non sono intervenuto specificamente, ma sono un volontario di
un'
organizzazione non governativa, oltre ad avere collaborato alla stesura
del testo della legge regionale che abbiamo oggi, però credo che vi sia
questa necessità di un grande salto di qualità, consapevoli che oggi la
situazione è drammatica e che ciascuno di noi deve fare la sua parte per
dare risposte adeguate, ritenendo che la cooperazione internazionale
vada interpretata non solo come sostegno ai dannati della terra, ma come
un rapporto di reciprocità che va a costruire un nuovo tessuto, una nuova
condizione del pianeta.
Termino dicendo che il miliardo e mezzo stanziato dalla Regione del
Veneto per la cooperazione allo sviluppo, indicato dall’ultimo relatore di
questa mattina, in realtà è un miliardo: 350 milioni sono per la cultura della
pace e i diritti umani; 150 per l'
emergenza; quindi la cifra è minore, ho
visto che era segnato un miliardo e mezzo, era assai basso, comunque
non ci siamo.
Ultima questione: costruire le alleanze. Il ruolo del governo del Veneto
deve essere quello di aggregare e coordinare altre forze ed altre risorse.
Ieri ho partecipato ad un convegno presso l'
Associazione Industriali di
Verona organizzato dall'
Associazione Industriale e il Movimento Laici
America Latina, un'
organizzazione non governativa, sulla questione del
90
marketing sociale. Da studi di settore è emerso che l'
82% dei cittadini a
pari condizioni o anche a diverse condizioni di prezzo, preferisce
acquistare prodotti con la vendita dei quali si vadano a sostenere o
progetti di cooperazione o progetti sociali anche nel Veneto, in Italia. Però
talvolta le dichiarazioni del produttore sono effettive e vere, talvolta le
condizioni del prodotto e le condizioni dell'
accantonamento per il sostegno
dei progetti sono assai limitate, quasi non veritiere. Serve una normativa
che lo stesso Veneto potrebbe fare non solo per dare certezza a quell'
82%
di consumatori che intendono come valore quello che vanno ad acquistare
sapendo che una parte viene accantonata per progetti di questa natura,
ma credo che sia e possa diventare uno strumento affinché sempre di più
forze economiche e produttive possano contribuire all'
autosviluppo di una
parte rilevante del mondo.
Una legge dello Stato prevede che l'
8 per mille dei primi tre capitoli delle
entrate correnti degli Enti locali possa essere destinato a progetti di
cooperazione. Utilizzando questa legge ci sono dei Comuni che fanno
azioni di natura straordinaria, altri un po'meno. Non potremmo in analogia
richiedere che anche la stessa Regione del Veneto trasferisca parte delle
sue risorse in questa direzione, sapendo che è una risposta anche per gli
interessi del Veneto?
91
3DROR0(5/2
&RPLWDWRSHULGLULWWLXPDQLHODSDFH
Oggi si può parlare di stallo della cooperazione internazionale o meglio di
crisi della cooperazione internazionale in Italia. Negli interventi di oggi si fa
riferimento alla legge 49, però ricordiamoci che tale legge è del 1987 e da
quella data lo scenario economico, politico e sociale del mondo è
completamente cambiato: noi abbiamo quindi come riferimento una
normativa sulla cooperazione internazionale che risulta datata e
largamente superata, quindi inefficiente. Vanno bene le indicazioni e le
sollecitazioni del dottor Baraldi di attuare alcuni accorgimenti per
migliorare quella legge, ma noi sappiamo che questo indica un grave
ritardo di carattere politico, e senz'
altro anche culturale, dei vari governi
nel campo della cooperazione internazionale.
Lo 0,13% del PIL, richiamato più volte, è la spesa che oggi l'
Italia riserva
alla cooperazione internazionale.
Voi sapete che negli accordi a livello di Unione Europea, lo Stato italiano
si era impegnato, e non solo lo Stato italiano, ad riservare lo 0,7% dei
bilanci per iniziative di cooperazione. Quello che si scrive negli accordi
internazionali, spesse volte viene dimenticato e non più realizzato; questo
lo dobbiamo ricordare.
Faccio riferimento a quanto diceva Gabanizza sulla legge n.68 del '
93 che
recita " I comuni e le province possono destinare un importo non superiore
allo 0,8 % della somma dei primi 3 titoli delle entrate corrente dei propri
bilanci di previsione per sostenere i programmi di cooperazione allo
sviluppo". Grazie a tale legge gli enti locali potevano promuovere iniziative
e progetti di cooperazione internazionale. Il problema è, secondo me, che
molti Comuni non conoscevano questa possibilità e opportunità, anche se
bisogna convenire sulle difficoltà di carattere economico, che gli degli Enti
locali stanno vivendo. Condivido il suggerimento del relatore che mi ha
preceduto nell'
invitare la Regione Veneto ad attuare almeno questa norma
92
della legge del 93'
, più attuale ovviamente della legge 49'dell'
87, tante
volte ricordata. La passata amministrazione comunale di Padova aveva
inserito nel proprio bilancio delle risorse economiche per iniziative di
cooperazione allo sviluppo; molti Comuni, mi diceva l'
assessore, avevano
chiesto informazioni per realizzare delle iniziative significative, alla luce
della normativa vigente. Senz'
altro esiste un problema di informazione e
conoscenza.
La Regione Veneto, dobbiamo riconoscere, è ed è stata sensibile alle
problematiche relative alla cultura di pace ed alla cooperazione allo
sviluppo. Voglio ricordare, per chi non è veneto, che la nostra Regione si è
dimostrata con le leggi regionali n. 18 del 1988 e n. 18 del 1992, molto
sensibile e attenta nel promuovere la cultura dei diritti umani, della pace e
della solidarietà nel territorio. E'stata infatti fra le prime Regioni italiane a
realizzare iniziative legislative in questi settori. Oggi con la legge regionale
n. 55 del 1999, la Regione continua il suo impegno nel campo della
solidarietà internazionale, coniugando insieme cooperazione e diritti
umani. Gli interventi nei Paesi in via di sviluppo devono avere come
obbiettivo la cooperazione decentrata e la promozione della democrazia;
lo sviluppo economico coniugato però al riconoscimento dei diritti umani
per tutti, intesi come focus dei nostri interventi in campo internazionale.
Il dottor Baraldi parlava di immigrazione e cooperazione internazionale. Io
credo che una grande azione di cooperazione internazionale è stata
realizzata e continua ad essere fatta dagli immigrati con le rimesse verso i
loro Paesi. Tale cooperazione fatta dagli immigrati che chiamerei
"cooperazione domestica" è quasi, se non superiore, a quella dello Stato
italiano. Questo ci deve far riflettere sul rapporto fra cooperazione ed
immigrazione.
Quale cooperazione nel Veneto e verso quali Paesi? Sono appena stato
nominato in questo Comitato, però da anni mi occupo di cooperazione
internazionale e diritti umani. Non mi risulta che ci sia una recente
mappatura di tutte le numerose iniziative ed attività di cooperazione allo
93
sviluppo realizzate dai vari soggetti presenti nella Regione. In particolare il
Veneto è stato molto attento alle tragedie della ex Jugoslavia e numerosi
sono stati anche i progetti di cooperazione allo sviluppo realizzati in altri
Stati.
Sarebbe necessario quindi, conoscere le iniziative, i progetti realizzati in
particolare dalle Organizzazioni Non Governative, dai Comuni, dalle
imprese, dalla società civile e i risultati ottenuti negli ultimi anni. Tale
ricerca può essere utile anche per creare una maggiore collaborazione e
sinergia fra i vari soggetti che si occupano di cooperazione allo sviluppo.
Un'
altra proposta che mi sento di avanzare è di creare un Ufficio regionale
per la cooperazione internazionale, provvisto di risorse umane ed
economiche adeguate, come è stato previsto o realizzato in altre Regioni,
in Piemonte ad esempio. Si può chiamarlo anche osservatorio, non ne
facciamo un problema lessicale: l'
importante è invece istituire un punto di
riferimento, di informazione, di consultazione e anche di coordinamento
per i vari soggetti che si occupano di cooperazione internazionale nel
territorio (enti, associazioni, gruppi di società civile, piccole e medie
imprese… ), in collaborazione con i due Comitati previsti dalla legge
regionale n. 55 del 1999.
E'necessario inoltre che la Regione promuova dei corsi di formazione per
persone disponibili ad occuparsi di cooperazione internazionale ed
intervenire nei Paesi in via di sviluppo a sostegno di progetti realizzati dai
vari soggetti operanti nel Veneto. Alcuni anni fa, il corso regionale di
“Mediatori allo sviluppo” promosso dall’Iscos (Istituto Sindacale per la
Cooperazione allo Sviluppo) e dall’Elea, ente di formazione della Olivetti,
ha reso possibile la formazione di persone con competenze culturali e
tecniche per intervenire a livello locale ed internazionale nel campo della
cooperazione decentrata.
Visto che la cooperazione, i diritti umani e la pace sono strettamente
correlati, come componente di uno dei Comitati previsti dalla legge
regionale n.55, chiedo che questi due organismi siano convocati insieme,
94
come è stato fatto oggi, almeno due o tre volte l’anno, per progettare,
monitorare e promuovere iniziative comuni in questi campi.
Spero che il nostro contributo di riflessione e la disponibilità dei due
Comitati ad operare possano essere utili a richiamare l’attenzione sulla
cooperazione internazionale, a livello locale e nazionale, spesso
dimenticata ed anche ostacolata. Per rendere maggiormente operativo
tale compito, si potrebbero incaricare i due Comitati stessi a promuovere e
realizzare iniziative proprie di sensibilizzazione e formazione nel territorio
sui temi della solidarietà e cooperazione decentrata, in difesa dei diritti
umani e della pace delle persone e dei popoli.
La Regione Veneto con l’incontro di oggi, che considero positivo anche
per la presenza di importanti relatori ed esperti, spero voglia rendersi
ancora disponibile a promuovere incontri e progetti di cooperazione
decentrata allo sviluppo ed iniziative in difesa dei diritti e della pace, con i
vari i soggetti, le Organizzazioni non governative, gli Enti locali, le piccole
e medie imprese, i sindacati e gruppi di volontariato, che formano il
mosaico di solidarietà, ricchezza del nostro territorio.
95
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5HJLRQH9HQHWR
Buongiorno, sono il dirigente del Servizio che si occupa di cooperazione
all’interno della Segreteria Regionale Sanità e Sociale.
Le questioni che sono state poste oggi sono le questioni “scottanti” di chi
vuole fare cooperazione nel 2002 in maniera moderna. La legge 49/1987
non permette alle Istituzioni italiane questo salto di qualità. Da un lato, non
vorrei fare il solito piagnisteo di noi italiani, però è vero che ci sono molti
programmi di cooperazione iniziati e portati avanti dall’Italia, di cui però
altri Stati hanno preso il merito. In molte Organizzazioni Internazionali ci
sono funzionari di altissimo livello provenienti da tutti i Paesi del mondo,
mentre gli italiani sono purtroppo sempre sotto-rappresentati, soprattutto
rispetto ai contributi economici che l’Italia dà a questi enti, e questo non
viene facilitato, né dalla legge 49, né dai regolamenti amministrativi delle
nostre Istituzioni, che riguardano la mobilità all’estero del personale
italiano.
C'
è stato, è vero, un grande investimento del mondo diplomatico italiano
nelle Organizzazioni Internazionali, un investimento che si è rivelato non
sempre rappresentativo di quello che noi portiamo come esperienza
tecnica nei vari settori della cooperazione, culturale, etica e di rispetto
delle nostre tradizioni all'
interno di Organismi Internazionali quali FAO,
OMS, Unicef, Alto Commissariato.
Credo che su questo punto possiamo trovarci d'
accordo, per questo
chiedo veramente al Consiglio regionale, alla Giunta della Regione
Veneto, alla Commissione Speciale, che si è fatta promotrice finalmente di
questa iniziativa, di lavorare su una nuova legge per la cooperazione che
sia rappresentativa della esperienza delle Istituzioni pubbliche, private e
del volontariato presenti nel Veneto.
96
Chiedo, inoltre, di voler raccordarsi con altre Istituzioni nazionali, come
l’Osservatorio Interregionale, il Ministero della Salute per far ripartire il
dibattito sul nuovo testo di legge sulla cooperazione a livello di Governo e
a livello di Ministero degli Affari Esteri.
Come diceva la rappresentante del Ministero della Salute, abbiamo fatto
una proposta di modifica di uno degli articoli della legge 49 che non
permette ai medici ed agli infermieri, dipendenti del sistema sanitario, di
andare a fare cooperazione all’estero. Questa proposta prevedeva di
attribuire gli stessi diritti dei cooperanti del Ministero degli Esteri a chi fa
cooperazione per conto della Regione o degli enti locali.
E` da quattro anni che la Regione Veneto, nel campo della sanità, si
gestisce direttamente almeno dieci progetti di cooperazione in almeno
nove Stati. Pare giusto, in un momento di grande devoluzione nel sistema
sanitario nazionale che, se la Regione nella sua libertà e indipendenza
programmatoria decide di voler investire in cooperazione, lo possa fare
con i suoi dipendenti del Sistema Sanitario Nazionale. Invece oggi questo
non lo si può fare, se non a prezzo di paradossali acrobazie
amministrative.
Mi pare di grande valore il fatto che i Direttori generali delle Aziende
Sanitarie del Veneto abbiano, tra i loro obiettivi programmatori del triennio,
un obiettivo che riguarda la cooperazione decentrata.
La strategia regionale è quella di far sì che le attività di cooperazione non
debbano essere di carattere straordinario, ma che entrino sempre più
nell'
attività ordinaria di un'
azienda sanitaria. In questo senso credo che
uno degli aspetti su cui bisogna veramente ragionare è come si possa fare
cultura della cooperazione all’interno dei nuovi soggetti amministrativi che
la riforma del Titolo V° della Costituzione individua come referenti delle
attività internazionali.
Cultura della cooperazione si fa prevalentemente con le attività di
formazione, con la gestione diretta dei programmi e con finanziamenti
adeguati. La cosa che limita maggiormente l’attività delle Regioni rispetto
97
alle istituzioni centrali, è il livello del finanziamento. Il lavorare su
programmi di cooperazione decentrata con mini budget ci obbliga a
cercare delle partnership con i vari soggetti esterni, in particolare con il
mondo imprenditoriale. A Timisoara stiamo mettendo in atto un
programma proprio su invito degli imprenditori veneti.
Ma le ragioni della nostra presenza nel mondo sono diversificate: nelle
Province argentine di Cordoba, Santa Fe e Buenos Aires, stiamo
cooperando perché ci sono i discendenti dei veneti, a Nazareth siamo stati
coinvolti perché c’è un ospedale italiano ed il direttore è di Verona. Ci
sono delle situazioni per cui la nostra presenza è permessa e fattiva, però
ovviamente con dei budget assolutamente insufficienti, perché, tutti lo
sanno, fare cooperazione costa.
Nonostante questo, abbiamo destinato coraggiosamente l'
uno per mille
del fondo sanitario regionale per permettere i ricoveri in Veneto, per
ragioni umanitarie, di persone non appartenenti all'
Unione Europea,
purchè siano segnalati da istituzioni, prevalentemente Organizzazioni Non
Governative, che abbiano sede nella nostra Regione.
Questo è un segno importante in cui un'
istituzione come la Regione vuole
collaborare con le Organizzazioni Non Governative, con le ONLUS e con
le Istituzioni che, nella loro normale attività di cooperazione, incontrano un
caso clinico che non riescono a risolvere sul posto. Mi pare che sia già un
segnale: potremmo pensare, un giorno, di destinare una percentuale del
budget complessivo della Regione per l'
attività di cooperazione.
Concordo con il Ministro Serafini
Regioni all'
interno del Ministero
opportunità!
Sarebbe però anche utile mettere
nell’Ufficio della rappresentanza
Bruxelles, in grado di dialogare
sull’idea di mettere un ufficio per le
degli Esteri: non perdiamo questa
un esperto regionale di cooperazione
italiana presso l’Unione europea a
con l’Ufficio di cooperazione della
Commissione, denominato “Europaid”.
98
Vorrei chiudere con un’ultima nota. Chi di noi fa cooperazione decentrata
e si trova a lavorare all’estero con le Ambasciate italiane, non sempre ha
un'
accoglienza dignitosa: è un peccato, perché le UTL e UTC vedono la
cooperazione decentrata degli Enti locali spesso come un'
intrusione e non
come una risorsa aggiuntiva a beneficio dell’immagine del nostro Paese.
La collaborazione delle Regioni con il Ministero degli Affari Esteri e con il
Ministero della Salute potrebbe beneficiare di quell’investimento italiano
che è più sul multilaterale, per lo più destinato agli organismi internazionali
talvolta a fondo perduto in termini di utilizzo di personale e Istituzioni
italiane.
Questo potrebbe dare più dignità ai fondi a disposizione del Ministero degli
Affari Esteri per la nostra cooperazione decentrata.
Alla fine di questa giornata, compiacendomi di questa iniziativa e dei
contributi sin qui sentiti, chiedo fortemente alla Commissione Speciale per
la Cooperazione di farsi portavoce di tutte queste istanze e soprattutto
aiutare chi già sta cercando di modificare il testo della normativa nazionale
sulla cooperazione perché sia più adeguato al nuovo assetto
amministrativo del nostro Paese ed al contesto europeo ed internazionale
di riferimento.
99
0DULD3LD0$,1$5',
Ci faremo sicuramente parte attiva in questa situazione dove ci conduce il
dottor Bertinato. L'
abbiamo già fatto in sede di bilancio richiedendo ampi
spazi per la cooperazione, non sempre abbiamo avuto risposte positive,
ma continueremo nel nostro lavoro.
100
6DQGUR&$)),
8/66Q
Volevo portare alcune considerazioni che nascono da un’esperienza
pratica. Fra gli obiettivi dei Direttori generali c'
è quello di lavorare per i
processi di cooperazione. L'
esperienza dell'
Azienda ULSS 4 assieme alle
altre della Provincia è stata molto positiva per la cooperazione in Albania e
questo ha creato un fortissimo spirito di coesione, di emulazione e di
volontà di cooperare fra il personale sanitario.
Il suggerimento, l'
ipotesi è che oltre al finanziamento ci sia anche una
possibilità per il personale di andare per periodi, tutto sommato, limitati,
perché questo consente la sostituzione a scavalco, e che non ci sia un
allontanamento troppo lungo e soprattutto che i professionisti di alto livello
si accostino a questo tipo di esperienza. Questo, secondo me, è un fatto
fondamentale e così potrebbe essere superato anche quanto diceva prima
il dottor Laurenzano circa il sorgere di “professionisti della cooperazione”.
Processi di cooperazione, di adozione o di collaborazione fra comunità
locali permettono, poi, anche il rispettivo scambio di esperienze e di
persone: il fatto di andare a lavorare con la missione Arcobaleno ha
riportato in Italia personale che veniva dall'
Albania; altri tre che
aspettavamo non sono venuti per mancanza dei visti.
La cooperazione, specie in ambito sanitario, è sempre vista come
cooperazione in attività ospedaliere. Penso che questa sia estremamente
importante, però non sufficiente perché noi andiamo così ad esportare
generalmente industria “pesante”, che non sempre è possibile mantenere
nei momenti successivi. Questo crea delle problematiche. Direi che è
molto importante che oltre che trasmettere esperienze, tecnologia, attività
di tipo ospedaliera di alto livello e di alto contenuto tecnologico, ma anche
di alto costo per questo tipo di comunità, si esportino esperienze di tipo
preventivo e si assistenza sanitaria primaria. Penso che questo sia il fatto
fondamentale.
101
Altro punto: molto spesso gli operatori provengono da esperienze molto
diverse, da U.L.S.S. differenti per territorio e per composizione sociale. C'
è
sempre chi ha avuto un'
esperienza particolare; è indispensabile favorire
processi di formazione e processi di trasmissione, perché i periodi brevi di
permanenza certe volte portano ad avere una mancanza di collegamento
fra i professionisti.
102
$OEHUWR9,(/02
8/66QRYHVWYLFHQWLQR
Segnalo alcuni problemi emersi nell’Ovest vicentino, che può essere
considerato un laboratorio, se la politica regionale vuole prenderne atto.
L'
ovest vicentino è il territorio che ha la più grande percentuale di
immigrati, siamo al 10%, in taluni Comuni si arriva al 20% di immigrati, il
16% dei nati nella nostra divisione di ostetricia è extracomunitario. Noi ci
troviamo a poter misurare una delle azioni previste dalla legge 55/99:
come sostenere, mediante mezzi e contributi, le iniziative promosse dai
soggetti di cui all'
articolo 6, e quindi poi i cittadini di Paesi in via di sviluppo
o loro associazioni, presenti sul territorio regionale che possono essere
coinvolti nella progettazione di iniziative di cooperazione decentrata rivolti
ai loro Paesi di origine.
Se noi partiamo dall'
enunciato del Ministro Ruggero, che ci è stato prima
formulato, nel quale al primo punto ci sono processi di lotta contro la
povertà, alcune considerazioni sono state fatte relativamente alle rimesse
degli immigrati, ma resta pur sempre da interpretare la dichiarazione di
Baraldi secondo il quale la cooperazione aumenterebbe i fenomeni
migratori.
A mio avviso dobbiamo prendere atto anche di una situazione dove una
parte degli immigrati desidera, per vicinanza al Paese d'
origine - da noi la
prevalenza è quella di persone provenienti dai Paesi dei Balcani oppure
dal nord Africa – farvi ritorno intessendo piccoli commerci o altre attività
economiche compatibili.
Per queste situazioni trovo analogie nella mia famiglia: sono nipote di
emigranti, mio nonno aveva due fratelli, uno è rimasto in Italia e gli altri
sono andati negli Stati Uniti, uno è rimasto lì ad Albuquerque, dove ha una
discendenza di quasi cento persone con il mio stesso cognome. Mio
nonno invece è ritornato e ha portato in Italia una serie di competenze che
lo hanno fatto diventare imprenditore nel campo delle costruzioni.
103
Cosa voglio dire? Queste persone possono essere messe in condizione,
nel momento in cui hanno la possibilità di ritornare nel loro Paese, di poter
intraprendere delle attività economiche per le quali possono essere formati
qui da noi.
Evidentemente siamo solo osservatori, ma all’interno dell’ULSS abbiamo
percepito come queste persone più sono integrate, più imparano i
mestieri, più diventano tessuto produttivo - e non emarginati e massa di
disperati -, più possono essere propositivi: dietro loro impulso abbiamo
istituito la mediazione culturale, ovviamente come ULSS, per gli aspetti
sanitari e sociali.
Le persone che remuneriamo, i mediatori, sono immigrati e quindi
riscuotono la fiducia delle persone del loro Paese perché parlano lo loro
lingua, conoscono usi e costumi e riescono al meglio negli approcci sociali
e sanitari. Riprendendo quanto esposto dal Senatore Favaro, non
possiamo escludere i vantaggi delle nostre imprese e sviluppare attività
all’esterno, ma il vantaggio deve essere soprattutto quello che va a favore
della comunità locale.
Se noi riusciamo ad intraprendere, al pari di quello che facciamo con la
mediazione per offrire i servizi sanitari, in questa stessa comunità di
immigrati, altre iniziative previste dalla legislazione regionale, ecco che
potremmo chiudere un cerchio che porta a risultati concreti. E`su questo
aspetto che mi dichiaro disponibile eventualmente a collaborare fornendo
alla Commissione o comunque al Consiglio regionale una serie di numeri,
dati e risultati di attività svolte ed in essere interessanti per intraprendere
iniziative che abbiano come riferimento una comunità forte di immigrati.
Tali esperienze possono diventare tesoro e motore per combattere la
povertà in modo, a mio avviso, particolarmente significativo e pratico, al di
là di teorizzazioni che sono sicuramente opportune, ma di effetto meno
immediato. Abbiamo sentito quante difficoltà esistono e quanti rivoli di
risorse non vengono utilizzate.
104
Ritengo che partendo subito da piccole cose si possa arrivare prima a
qualcosa di concreto.
105
&ODXGLR%(/75$0(
8/66Q
Il dibattito e le diverse riflessioni che si stanno sviluppando toccano vari
aspetti e, a mio avviso, stanno giungendo al cuore del problema.
Prima di affrontare questo aspetto, vorrei fare un piccolissimo inciso che
riguarda in parte un'
esperienza personale e in parte un evento che si è
verificato in questi giorni.
Come tutti sapete, l'
Italia ha cancellato il debito che il Mozambico aveva
con il nostro Paese. Uno degli interrogativi che molti si sono posti è:
perché proprio il Mozambico? Per un dato molto semplice, perché l'
Italia è
stato il Paese che ha consentito, con la Comunità di Sant'
Egidio, la firma
di un accordo di pace fra le fazioni che hanno combattuto la guerra civile,
accordo di pace che da dieci anni sta reggendo in Mozambico.
Credo sia uno dei pochissimi esempi, dopo la guerra di Crimea, in cui la
diplomazia italiana è riuscita a registrare un successo così importante,
purtroppo nella più totale ignoranza da parte del popolo italiano che, pur
pagando con le proprie tasse sia la cooperazione che la diplomazia, è
stata privata di un'
informazione credo abbastanza importante.
Ma per quale motivo l'
Italia è stato il Paese che ha favorito e consentito la
realizzazione di questo processo di pace? Perché l'
Italia ha utilizzato tutte
le risorse in suo possesso e, in buona misura, quel grosso patrimonio che
caratterizza lo stile della cooperazione italiana, che è fatta di circa 160
organizzazioni non governative (e non di colossi come Medici Senza
Frontiere o l’OXFAM), che sono l'
espressione e la peculiarità dei vari
territori di questo Paese, con cui si identificano.
La cooperazione promossa da questi organismi, da queste associazioni,
dal volontariato in molti casi, aveva fatto crescere e maturare una fiducia e
una solidarietà tra chi operava e chi riceveva.
Ciò ha consentito la creazione di quel processo di pacificazione che
nonostante tutto sta ancora reggendo. Era ed è una cooperazione che non
106
è fatta di mattoni, è una cooperazione fatta soprattutto di solidarietà.
L'
Italia era il primo donatore del Ministero della Sanità di quel Paese,
forniva una cooperazione che si basava su professionalità, su competenze
e su azioni specifiche e mirate ai bisogni.
Purtroppo mi pare sia mancato poi, nell'
evoluzione, quello che doveva
essere il vero completamento di quel processo di pace, cioè l'
intervento,
anche nella dimensione economica, delle istituzioni italiane, che doveva
aprire le porte a quello che poteva essere un nuovo rapporto di solidarietà
e di partenariato economico tra Italia e Mozambico.
Si continua a ragionare su chi deve fare la cooperazione, come la si fa,
come la si organizza. Il quesito di fondo è se sia proprio indispensabile
che tutta la cooperazione, quella ufficiale, sia garantita e assicurata dal
Governo centrale, quando esistono competenze, conoscenze e capacità
presenti sia nel tessuto sociale sia all'
interno di quello istituzionale e che
sono altamente competitive.
Penso all'
esperienza che ha fatto, per esempio, la città di Padova in
collaborazione con l’Azienda ospedaliera con il lavoro che sta sviluppando
nella Provincia di Sofala in Mozambico, ma anche a tutte le altre
esperienze che si stanno realizzando, tra cui quelle dell’Azienda ULSS 7.
Stiamo, infatti, assicurando la supervisione a degli operatori albanesi per il
trattamento di minori in situazioni problematiche in Albania.
Ci sono capacità e competenze che vengono assicurate dalle Aziende
sanitarie ma anche da altri soggetti della comunità in cui esse operano e
che, se solo fossero sostenute anche da un terzo soggetto, probabilmente
avrebbe effetti abbondantemente decuplicati.
Ho l’impressione che si stia perdendo una grossa opportunità. Veniva
ricordato che il 60% dei fondi della cooperazione vanno a finanziare
interventi realizzati in ambito multilaterale. Ciò temo voglia dire
semplicemente togliere visibilità a quello che è l'
impatto e l'
immagine che
può essere messa in campo dalla cooperazione italiana, da quella
107
cooperazione fatta anche dal volontariato, dalle istituzioni e dalle Aziende
sanitarie.
E‘ un 60% che viene dato, paradossalmente, a delle Agenzie
internazionali che, per realizzare i loro interventi, si avvalgano di
Organizzazioni Non Governative, ma in virtù della nostra incapacità di fare
lobby, vanno a finanziare Organizzazioni Non Governative di altri Paesi.
Questo è il banalissimo contributo che volevo dare. Credo che dietro ai
ragionamenti sulla riforma della legge 49 o meno, ci sia soprattutto la
necessità di riconoscere un ruolo alle Regioni, e credo che la Regione
Veneto abbia dimostrato di sapere e di voler fare, e soprattutto di avere le
competenze e le capacità per agire, un ruolo attivo sulla scena della
cooperazione, però ricevendo anche i necessari supporti per continuare a
garantire gli interventi. A tale riguardo basterebbe che le Regioni
venissero trattate come una qualsiasi Organizzazione Non Governativa,
riconoscendo loro la possibilità di presentare progetti da co-finanziare e
per la realizzazione di quali sia possibile beneficiare dei contributi previsti
dal Ministero degli Esteri.
108
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Purtroppo devo andar via per problemi logistici. Vi ringrazio di nuovo di
questo incontro. Spero che ce ne sia un altro abbastanza ravvicinato. Ho
già illustrato al Sottosegretario – quando mi sono allontanata ero al
telefono con lui - cosa si è detto qui.
Sarà mia cura relazionarlo nel dettaglio quando ci incontreremo la
prossima settimana.
L’Onorevole Guidi mi ha pregato di salutarvi e di ringraziarvi per questa
importante iniziativa.
109
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Il mio intervento sarà un intervento di taglio amministrativo, quindi mi
scuso della limitatezza delle cose che dirò.
La mia U.L.S.S. ha attraversato tutte le possibili esperienze di
cooperazione internazionale, sia come attuatrice di un progetto di
cooperazione internazionale finanziato dalla Regione Veneto all'
interno
della legge regionale n. 55/1999 con la comunità di Pola, sia concedendo
personale a progetti di cooperazione internazionale attuati ai sensi della
legge nazionale 49, e sia autorizzando i propri dipendenti a partecipare ad
attività umanitarie all'
estero al di fuori della normativa nazionale e
regionale, attività realizzate da Organizzazioni Non Governative.
Alla luce di queste esperienze ho qualche difficoltà ad inquadrare nel
sistema delle fonti la proposta di legge sull'
utilizzo del personale sanitario
per iniziative di cooperazione decentrata.
Innanzitutto meriterebbe una riflessione la necessità o l'
opportunità di una
legge nazionale che intervengono sul personale sanitario dopo la riforma
del Titolo V° della Costituzione, però questa è materia delicata e quindi
non mi addentro in questa querelle.
Più concretamente mi sembra che le ipotesi possano essere due o tre. La
prima ipotesi è che si realizzi una iniziativa di cooperazione decentrata ad
opera della Regione, l'
onere, in tale ipotesi, è a carico della Regione
perché il personale sanitario è finanziato con il fondo sanitario regionale,
in questo caso credo che gli strumenti legislativi siano già ampiamente
sufficienti. Richiamo l'
articolo 9, lettera c) della legge regionale 55/1999
che afferma: "Gli interventi regionali consistono in collaborazione tecnica
anche mediante l'
invio di personale regionale e il coordinamento delle
eventuali risorse umane messe a disposizioni da Enti pubblici", quindi già
in applicazione di questo articolo si può benissimo ritenere che il
personale sanitario delle U.L.S.S. può partecipare, come già partecipa, a
110
progetti di cooperazione decentrata senza necessità di ulteriori discipline
normative.
La seconda ipotesi è quella di un progetto di cooperazione internazionale
promosso da organismi governativi al quale partecipa personale del
servizio sanitario regionale della nostra Regione. Anche in questo caso,
secondo me, gli strumenti sono sufficienti o quantomeno esiste uno
strumento che è l'
articolo 27 della legge 49 che consente "ad esperti e
tecnici qualificati designati allo scopo dal Direttore Generale per la
cooperazione allo sviluppo di essere inviati all'
estero per brevi missioni di
durata inferiore a quattro mesi con oneri a carico dell'
amministrazione
centrale". In applicazione di questo articolo la nostra Azienda ha inviato
più volte proprio personale sanitario all'
interno di progetti di cooperazione
internazionale o interventi umanitari attuati all'
estero.
La terza ipotesi, che mi pare impraticabile, è che l'
autorità centrale
promuova un progetto di cooperazione internazionale utilizzando
personale del servizio sanitario regionale con oneri a carico del servizio
sanitario regionale stesso. A parte la considerazione dei rapporti delicati
tra Stato e Regioni, c'
è un'
altra considerazione importante: da quando è
stata derubricata la categoria delle aspettative per motivi personali esiste
già una normativa contrattuale che consente di concedere aspettativa
senza assegni al personale che si reca all'
estero per interventi umanitari o
per attività di cooperazione internazionale.
In questo caso credo sia sufficiente una breve nota della Regione che
induca le U.L.S.S. a concedere con larghezza l'
aspettativa al personale
che si reca all'
estero per attività umanitarie. Se invece l'
intenzione è quella
di introdurre un nuovo istituto giuridico, cioè un'
aspettativa con assegni per
il personale che si reca all'
estero per interventi umanitari, temo che lo
strumento legislativo non sia lo strumento più adeguato perché questa è
materia di contrattazione di lavoro.
111
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Seguo per l’ANCI Veneto oltre che i problemi socio-sanitari anche la
cooperazione internazionale decentrata.
Il Presidente nazionale dell’ANCI Domenici e la dottoressa Paganini, che
segue questo settore per l’Associazione italiana dei Comuni, non potendo
essere personalmente presenti, mi hanno chiesto di portare un breve
contributo ai lavori di questa giornata, oltre che ovviamente portarvi il loro
saluto e le scuse per non essere potuti intervenire.
L’importanza della partecipazione delle comunità locali alle politiche di
aiuto allo sviluppo, vista come strumento per rendere più efficaci anche
sotto il profilo economico e dei risultati ottenuti rispetto all'
entità delle
risorse impiegate, secondo il principio di sussidiarietà, è stata più volte
ricordata e credo sia molto importante sottolinearla. Si tratta di un
processo riorganizzativo importante, che vede partecipi gli Enti locali
assieme alle istituzioni associative pubbliche e private ed ai soggetti
economici interessati, su cui i Comuni stanno da tempo cercando di dare il
loro contributo.
Le iniziative dei Comuni in questo campo sono davvero numerosissime,
anche se molto disperse e molto scoordinate perché legate ad
emergenze,
a rapporti particolari,
ad episodicità
territoriali.
Prevalentemente direi che sono ancora molto legate a questo tipo di
dinamiche, anche se non mancano esempi positivi. Ricordo l'
iniziativa
dell'
ANCI nazionale per il forum delle città dell'
Adriatico, il progetto città e
città che riguarda la Federazione Jugoslava e che ha visto coinvolto il
Ministero, le Regioni e in modo particolare la nostra Regione. Ricordo per
ultimo l'
accordo siglato proprio a Venezia qualche mese fa tra l'
ANCI e
l’omologo dell'
associazione dei Comuni della Federazione Jugoslava. E’
un accordo di cooperazione di ampio raggio che ovviamente ha ancora
112
molti contenuti pratici da conquistare, ma che è una base di partenza
sicuramente interessante.
Il breve contributo che volevo portare è questo: credo che, come è stato
ricordato in moltissimi interventi, l'
esigenza particolare che noi abbiamo
non è quella che ognuno faccia tutto, ma che ognuno faccia bene il suo.
Questa esigenza è tanto più importante e tanto più sentita,
drammaticamente sentita, come nei casi testimoniati dagli interventi che
mi hanno preceduto, in una situazione di transizione particolarmente
caotica come quella che stiamo vivendo adesso, anche in considerazione
della riforma del Titolo V° della nostra Costituzione. Da questo punto di
vista porto solo questa considerazione generale. Attuare la sussidiarietà
ed anche la devoluzione verso il basso dei poteri è un esercizio che deve
essere fatto con grande responsabilità a tutti i livelli a partire anche da
quelli alti, perché il trasferimento di poteri non può essere solo aggiuntivo
di apparati e di organizzazione, ma deve essere anche davvero
decentrativo.
Cogliendo anche alcuni stimoli molto importanti emersi oggi, mi pare
necessario sottolineare anche in questa sede come sia fortemente
auspicabile che ciò che è cooperazione decentrata, ciò che è aiuto allo
sviluppo fatto a livello decentrato, debba vedere a livello governativo
anche un'
azione di parziale smobilitazione di risorse dell'
apparato verso le
Regioni, altrimenti noi avremmo un federalismo che anziché costare come
prima, rischia di costare molto più di prima per fare le stesse cose di
prima.
Questa è una prima sollecitazione di carattere generale. Però le cose che i
Comuni chiedono al Governo centrale, sono sostanzialmente tre, di cui
una è una grande capacità di finalizzazione strategica. Oggi, infatti,
abbiamo una pluralità di azioni che si muovono in tutte le direzioni, e
spesso gli aiuti sono pochi e casuali; credo sia giusto e interesse di tutti,
anche delle molte Organizzazioni Non Governative e dei molti Comuni che
intrattengono a loro carico iniziative in tutti i campi, che ci sia un'
azione di
113
governo efficace che abbia la forza politica di finalizzare su alcuni temi
importanti le azioni da incoraggiare e da sostenere. Io ne pongo due dal
punto di vista dei Comuni, non perché debbano essere i primi, ma
secondo me perché sono due obiettivi strategici importanti che dovrebbero
entrare in questa azione di finalizzazione. Uno è sicuramente legato al
tema dell'
allargamento dell'
Unione europea che può vedere i Comuni
come attori importanti. Il processo rischia di non avere sviluppi positivi, se
le comunità locali non vi entrano da protagoniste. In secondo luogo c’è poi
il tema dell'
immigrazione o, meglio, un’azione particolare finalizzata ai
Paesi di origine delle maggiori comunità di stranieri extracomunitari
presenti nel nostro Paese, magari con una specializzazione per area
geografica o per regioni che potrebbe vedere coinvolte le Regioni in
maniera significativa. Un ulteriore richiesta che noi avanziamo a livello
governativo è il riconoscimento degli ambiti di competenza. Credo che
ognuno debba svolgere bene il proprio compito e che gli Enti locali
possano esprimere il meglio delle loro competenze e delle loro capacità in
termini di cooperazione internazionale decentrata nel sostegno delle
politiche di decentramento amministrativo, nel sostegno e nella
promozione dei processi di rafforzamento della democrazia locale, della
transizione verso la democrazia locale che interessa moltissime aree del
mondo, nel sostegno delle politiche a tutela delle fasce di popolazione a
maggiore rischio e delle minoranze per declinare anche questo tema dei
diritti umani che è sicuramente uno dei principali, nel sostegno delle
politiche di tutela del patrimonio ambientale e locale e della conservazione
dell'
eredità delle specificità culturali e locali e più in generale nella
pianificazione e nella gestione dei servizi territoriali locali. Credo che su
questi temi, che sono la capacità tecnica più matura a livello degli Enti
locali, debba essere riconosciuto anche a livello governativo e regionale
un ruolo primario che gli Enti locali possono esprimere nei processi di
partnership, di cooperazione decentrata e di aiuto allo sviluppo.
114
La terza cosa fondamentale è sicuramente quella di dare attuazione alla
riforma legislativa. Noi come ANCI siamo rimasti davvero negativamente
sorpresi dal fatto che la riforma, che era ampiamente condivisa a livello
parlamentare fino all'
anno scorso, si sia inopinatamente bloccata e che
risultino bloccati anche i margini di ripresa di un processo, al di là davvero
di ogni considerazione di parte, ma prevalentemente per una resistenza di
inerzia di apparato. La ripresa di questa riforma è una cosa che la nostra
associazione auspica nella maniera più forte possibile anche formalmente
nei documenti, pur comprendendo le esigenze di intervenire in via breve
anche con microleggi, con interventi che possano favorire alcuni aspetti
specifici. E’ però assolutamente necessario che si riprenda lo spirito che
aveva portato alla definizione di quel progetto di legge.
Per quanto riguarda le Regioni, noi riteniamo che possano rientrare in
questi progetti e sostenere in maniera particolare il sostegno e
l'
orientamento alle partnership organizzate e strutturate.
Credo che se c'
è qualcosa di più che possono portare gli Enti locali,
questo sia la capacità e il ruolo che possono avere nella costruzione di reti
di coordinamento di solidarietà e di aiuto allo sviluppo della transizione e
che siano partnership autentiche. In questo senso nella Regione Veneto
abbiamo degli esempi positivi. Abbiamo salutato con favore l'
innovazione
legislativa che, diversamente dallo Stato, è riuscita a fare con la 55 ed
ancora positivamente abbiamo valutato i segnali giunti dalla sua prima
attuazione. Stiamo seguendo sia alcuni progetti come Ente attuatore di un
progetto della Regione, sia progetti a contributo, lo facciamo tanto come
associazione regionale che come singoli Comuni, con il coinvolgimento e
la partecipazione di diversi Comuni.
C'
è però un progetto particolare che volevo sottolineare, che risponde
anche a un'
esigenza più volte sollevata negli interventi precedenti, che è
quello della conoscenza di tutto ciò che si muove nella nostra Regione in
questo settore. Stiamo realizzando un progetto di monitoraggio che mi
auguro possa uscire nel giro di quattro, cinque mesi in maniera ampia e
115
compiuta, e che è finalizzato non solo alla conoscenza, ma a superare,
guardo con onestà i limiti grossi che ci sono nel mondo delle autonomie, o
aiutare a superare la frammentazione e l'
effetto campanile, che da sempre
è un limite grosso dell'
azione dei Comuni. Noi abbiamo visto anche
esperienze positive, per esempio il Comune di cui io sono Sindaco,
insieme a molti altri Comuni veneti e non solo, sostiene da tempo il
progetto delle Agenzie della Democrazia Locale, che è una rete di Comuni
e di Organizzazioni Non Governative a sostegno di progetti di area.
Abbiamo visto che solo il fatto di promuovere la conoscenza spinge
all'
associazione responsabile, alla collaborazione responsabile tra più Enti
locali e questo, oltre a permettere di dare continuità ai progetti, è sempre
anche un elemento importante di ritorno di informazione e di cultura nelle
comunità locali.
Vorrei chiudere con questo riferimento: il coinvolgimento locale, dei
Comuni, nei progetti di cooperazione è lo strumento più efficace per far
crescere la cultura e la consapevolezza della responsabilità che noi
abbiamo nelle politiche di cooperazione. Il Senatore Favaro diceva che di
queste cose a livello parlamentare non c’è particolare sensibilità. E'stata
ricordata l'
insufficienza delle risorse, della rappresentatività che abbiamo a
livelli che contano. Credo che il presupposto fondamentale per riuscire a
superare tutti questi problemi sia che la classe politica abbia la forza per
investire in questo settore e passi necessariamente attraverso azioni che
non sono di semplice informazione, ma di aumento della consapevolezza
che, oltre che l'
aspetto etico umanitario sicuramente importante, esiste
anche un interesse comune che abbiamo nei processi di allargamento, nei
processi di globalizzazione che ci deve portare a investire in questi settori.
Tutto ciò passa nelle nostre comunità, nelle nostre popolazioni
principalmente attraverso un coinvolgimento diretto degli Enti locali in
partnership forti che li coinvolgano in sede di progettazione e che pertanto
poi li coinvolgano direttamente anche nel restituire alla popolazione
ragioni, successi e obiettivi raggiunti di questo operare.
116
Credo, alla luce di tutto ciò, che il coinvolgimento degli Enti locali possa
portare, oltre che ad una migliore efficacia oggettiva dei progetti con
migliori risultati a parità di risorse, anche ad un investimento generale di
crescita culturale delle nostre comunità.
Pur con tutte le difficoltà, i limiti e la frammentazione che la variegata
realtà degli oltre 8000 Comuni che l'
associazione rappresenta, dagli Enti
locali giungono però segnali positivi e, tutti lo possono verificare, una
disponibilità ed una volontà importante.
Anche per questo ringrazio la Regione Veneto e la Commissione per aver
voluto questa iniziativa e per le altre che, mi auguro, seguiranno.
117
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Mi dispiace se nel mio precedente intervento ho dato l’impressione di voler
rinunciare ad una riforma della legge nazionale sulla cooperazione. Ho
solo preso atto che nella scorsa legislatura essa è caduta non tanto per
contrasti parlamentari, la proposta aveva anzi il consenso di gran parte sia
della maggioranza che dell’opposizione, ma piuttosto per un forte
“boicottaggio burocratico” da parte della macchina dello Stato. Peraltro,
pur avendola sostenuta per tutta la scorsa legislatura, devo riconoscere
che quella riforma aveva il difetto di essere una legge nata da volontà
positive e da un’analisi attenta dei fallimenti e delle loro cause, ma non da
sperimentazioni delle innovazioni e quindi, se approvata, sarebbe stata di
difficile applicazione e forse avrebbe prodotto più difficoltà di quante ne
avrebbe risolte. Nessuna rinuncia dunque: sono convinto che la
legislazione italiana sulla cooperazione allo sviluppo vada profondamente
riformata, sia per rimuovere le pastoie che la paralizzano (oggi l’unica
possibilità reale e rapida di spesa è ricorrendo al multilaterale), sia
soprattutto per tener conto dei grandi cambiamenti planetari degli anni ’80
ad oggi. Ma, se è vero che per mangiare un salame bisogna tagliarlo a
fette, e soprattutto che le riforme migliori sono quelle non solo pensate,
ma almeno un po’ anche sperimentate, cominciamo ad andare fetta per
fetta, cercando e sperimentando i miglioramenti possibili nel quadro della
normativa vigente o con piccole leggi emendatarie. L’intervento legislativo
proposto dal rappresentante del Ministero della Sanità e la leggina che
come Osservatorio abbiamo elaborato e che auspichiamo i Presidenti
delle Regioni, a partire da quello della Regione Veneto, facciano propria e
chiedono al Governo di presentarla come proposta governativa, rientrano
in questa strategia e consentono alla cooperazione decentrata di operare.
Non riprendo il tema degli immigrati, ne abbiamo parlato tanto, però anche
in questo campo ci sono piccoli interventi procedurali importanti. Faccio un
118
esempio: una Regione italiana fece una proposta che mi sembrava valida.
Disse: "La nostra economia ha bisogno di manodopera immigrata e vi è
molta richiesta di immigrazione dall’area balcanica. Come Regione siamo
già impegnati in attività di formazione professionale nei Balcani e
possiamo censire sul nostro territorio le richieste di manodopera immigrata
e concordare con i richiedenti che, se essi si impegnano ad assumerli
regolarmente, noi verifichiamo quante tra le persone formate sono
disponibili ad immigrare e offriamo loro ulteriori elementi formativi più
mirati al lavoro propostogli.” E’ una proposta che può essere attuata solo
se il Governo centrale, che concorda con i Paesi terzi le quote di
immigrazione, poi accetta di riempire le liste degli immigrandi con le
persone così formate e “prereclutate” dalle Regioni, e purtroppo,
nell’esempio che vi ho riferito, così non è stato. E’ evidente che questa
proposta avrebbe spostato la composizione dei flussi migratori a favore di
quelle componenti che sono più utili sia per la nostra economia che per
quella del Paese di origine (tutti sappiamo quanto pesano le rimesse degli
emigranti nel bilancio dei loro Paesi), riducendo le componenti di
clandestini in fuga dalla miseria o dalla guerra e quindi, dovendo
sopravvivere, disponibili a tutto, dal lavoro nero a quello offerto dalla
criminalità organizzata.
Credo che oggi, soprattutto dopo la riforma del Titolo V° della
Costituzione, sia possibile pretendere anche questo tipo di raccordo e più
in generale un ruolo attivo e protagonista delle autonomie locali, capace di
coniugare solidarietà, cooperazione internazionale, vocazioni specifiche
del proprio territorio e reciproco vantaggio.
Un’ultima riflessione prima di salutarvi. La cooperazione allo sviluppo
richiede competenza e preparazione. Come in tutte le attività umane, fare
significa anche commettere errori, ma in questo caso a pagare gli errori
che noi facciamo sono proprio i popoli che si vogliono aiutare. Inoltre in
119
questo campo operano moltissimi attori (Agenzie delle Nazioni Unite,
Organizzazioni Internazionali, Commissione europea, Governo italiano,
Autonomie locali, Volontariato e Società civile), spesso mal correlati tra
loro; sovrapposizioni e contraddizioni a volte possono produrre più danni
che benefici. E’ dunque indispensabile che anche gli operatori della
cooperazione decentrata abbiano una elevata preparazione.
Meno di un mese fa il Ministero degli Affari Esteri ha approvato e si è
impegnato a finanziare un progetto di formazione dell'
ANCI, denominato
“Solaria” e rivolto agli operatori dei Comuni. L’OICS ha messo a punto un
percorso di alta formazione rivolto ad amministratori, dirigenti ed altri
funzionari preposti alle attività di cooperazione internazionale delle
Regioni, delle Province e Città metropolitane che collaborano con esse,
denominato “La piazza della cooperazione”. Questo percorso prevede sia
corsi in aula, sia corsi fatti per via telematica con specialisti internazionali,
accompagnamento guidato dell'
accesso di tutti i documenti che possono
servire all'
esperto di sanità piuttosto che a quello di agronomia a livello
internazionale, chat line con specialisti, ed altri strumenti di formazione a
distanza perché sappiamo che una persona impegnata, un
amministratore, un dirigente, un funzionario di alto livello non può
spostarsi per troppi giorni a seguire lezioni in aula.
Vi chiedo di partecipare, ma soprattutto di parteciparvi nel modo giusto. In
passato infatti abbiamo collaborato a corsi voluti da varie Regioni, ma con
risultati molto modesti. Per spiegarmi meglio farò l’esempio di un corso
intensivo di altissimo livello rivolto a 40 dipendenti di una Regione, che
purtroppo aveva scelto operatori nessuno dei quali si era mai occupato o
avrebbe mai più, dopo il corso, avuto modo di occuparsi di cooperazione.
Bisogna partecipare con le persone che poi utilizzano realmente quello
che acquisiscono, altrimenti non serve a niente.
120
3DROR'(67()$1,
&HQWURGLULWWLXPDQL8QLYHUVLWjGL3DGRYD
Rappresento il Centro Diritti Umani dell’Università degli Studi di Padova e
sono componente del Comitato per la pace e diritti umani della Regione
Veneto.
Intanto ringrazio la Commissione Speciale per questo seminario perché è
stato estremamente interessante ed utile anche per chi dall'
interno si
occupa di questioni di cooperazione o questioni correlate con esse, quindi
me ne felicito e faccio i complimenti a chi l'
ha organizzato. Molte cose
sono state dette e non voglio aggiungere, ribadire o rimarcare perché non
è il caso a quest'
ora. Desidero soltanto dire due cose. Una è
un'
esperienza di qualche mese fa. Sono stato ad un congresso
organizzato da Organizzazioni Non Governative europee con il sostegno
del governo olandese e di quello svedese, una specie di forum di
Organizzazioni Non Governative che si occupano di risoluzione dei conflitti
e diritti umani e l'
argomento era appunto come mettere insieme risoluzione
di conflitti e diritti umani in situazioni di crisi internazionale. Ebbene: sono
arrivate una quantità di organizzazioni di cooperazione allo sviluppo da
tutta Europa, italiane purtroppo nessuna, ma tedesche, olandesi, grosse
strutture. Il tema diritti umani e il ruolo che la cooperazione allo sviluppo in
senso tradizionale può svolgere rispetto alle questioni di emergenze
internazionali, sicurezza internazionale, ecc. è ormai una delle questioni
principali per chi si occupa di cooperazione allo sviluppo. Non si tratta più
di scavare il pozzo, ma è il pozzo in un contesto di pacificazione,
riconciliazione, dopo che c'
è stato un conflitto o prima che un conflitto
avvenga. Questa dimensione politica in senso lato del ruolo che la
cooperazione allo sviluppo può svolgere rispetto ai conflitti in corso o
potenziali in tante parti del mondo è fondamentale e non può sfuggire
all'
attenzione di chi si occupa di cooperazione, anche di chi fa la
121
cooperazione in termini prettamente tecnici nel campo sanitario, nel
campo delle infrastrutture e così via.
Questo tema era presente anche in uno dei lucidi che sono stati mostrati
dal dott. Baraldi, l'
importanza che assume quello che si chiama
governance in questo quadro: non è una cosa che si attacca
surrettiziamente all’attività di cooperazione: è invece parte integrante della
funzione di cooperazione e solidarietà internazionale.
La seconda questione che si aggancia e che rafforza quello che ho
appena detto riguarda le Nazioni Unite che, un paio di anni fa, hanno
elaborato un documento, il rapporto “Brahimi” dal nome dell'
uomo politico
algerino che l'
ha redatto insieme ad un gruppo di esperti (è la stesso
Brahimi che sta in Afghanistan a coordinare la presenza delle Nazioni
Unite). In questo rapporto si parla di come le Nazioni Unite dovrebbero
organizzarsi meglio per fronteggiare le crisi internazionali umanitarie e in
particolare quelle che riguardano l'
intervento di peace-keeping allargato.
Anche nelle missioni fatte per sostenere il ristabilimento della pace in
situazioni post-conflittuali l’intervento per la pace va attuato in stretta
connessione con gli sforzi per costruire la governance e lo stato di diritto.
Quindi certo, mandare la Polizia, mandare missioni militari, ma insieme
anche costruire forme di partecipazione popolare, costruire istituzioni di
rappresentanza, costruire meccanismi dello stato di diritto e così via. Tutti
ambiti che in qualche maniera fanno ormai parte di un panorama molto
ampio che ormai mette insieme i diritti umani, la cooperazione allo
sviluppo, gli interventi per la sicurezza internazionale, soprattutto
preventiva, che sono il quadro in cui tutte le nostre attività si devono
collocare: non è possibile mantenere distinzioni. Credo che anche
nell'
approccio che si evince dalla lettura del documento del Governo
italiano, che è stato presentato stamattina, la cosa sia abbastanza
evidente: si legge tra le righe.
Un'
altra cosa che emerge in particolare dal rapporto Brahimi, ma anche da
molte altre cose che si producono a livello di Nazioni Unite, è l'
importanza,
122
la necessità che viene affermata a questi livelli, di avere disponibili degli
elenchi, degli albi di personale, che si è formato nei vari modi, attraverso
l'
azione dentro le Organizzazioni Non Governative, attraverso la
cooperazione decentrata o non decentrata etc., personale che possa
essere messo a disposizione dagli Stati per partecipare, per esempio, a
queste missioni di pace multidimensionale, come si è detto. Personale di
questo genere può comprendere tecnici civili in vari settori, dal sanitario,
alle infrastrutture, alle comunicazioni etc., anche personale di Polizia oltre,
naturalmente, al personale militare.
Mettendo insieme queste varie cose io mi chiedo: è possibile che la
Regione del Veneto faccia pressione affinché lo Stato italiano, anche
utilizzando le esperienze che si sono fatte a livello di cooperazione, o
cooperazione decentrata, valorizzando le professionalità che si sono
formate nel mondo delle Organizzazioni Non Governative, che sappiamo
essere valide benché non sempre visibili a livello internazionale, affinché
dicevo lo Stato italiano si proponga come uno dei fautori principali di
questa iniziativa che le Nazioni Unite richiedono? Creare cioè roster,
questi albi di personale qualificato da attivare quando è necessario, e
metterli a disposizione per queste missioni, ma anche per altre iniziative
che si possono fare. Non si pensa che questo sia un contributo maggiore
alla comunità internazionale, a questi organismi internazionali che l'
Italia
magari finanzia abbondantemente, ma nei quali poi alla fine non c'
è
nessun italiano? Mi sentivo di dire questo perchè, secondo me, il maggior
valore che noi possiamo mettere in campo in queste situazioni è il
patrimonio umano, le persone che nel nostro contesto si sono formate,
che attraverso le nostre organizzazioni sono andate all'
estero, hanno fatto
queste esperienze e hanno accumulato questo bagaglio di esperienza, di
professionalità che dobbiamo mettere a disposizione di tutti.
Dal punto di vista di un organismo universitario, come quello che in questo
momento rappresento, ciò vuol dire anche rafforzare la dimensione della
formazione permanente, quindi non soltanto quella che si dà nei corsi di
123
laurea (in particolare questa mattina c'
era il professor Faggi che è il
direttore del corso di laurea di cooperazione allo sviluppo all'
Università di
Padova, che è stato attivato l'
anno scorso). Non soltanto questo tipo di
formazione di base, ma anche formazione continua che sia funzionale al
mantenimento di questi albi, di questi roster di personale qualificato,
formato e messo a disposizione della comunità internazionale. Spetta
all'
università ed eventualmente anche ad altri enti certificare la capacità di
una persona, la sua idoneità a svolgere certi ruoli anche a livello
internazionale. In questo modo la cooperazione dello Stato e delle Regioni
acquisterebbe quella visibilità, ma anche quel valore aggiunto qualitativo
che spesso manca nelle iniziative, che pure l'
Italia finanzia, ma delle quali
poi gli italiani non colgono i benefici.
124
*LRUJLR)5$1&(6&+(77,
8QLYHUVLWjGL3DGRYD
Oltre ad un sentito complimento al Consiglio regionale del Veneto per aver
promosso questa iniziativa, mi rallegro con gli organizzatori per aver
coinvolto operatori per così dire nuovi o per lo meno non visti in precedenti
analoghi dibattiti. Abbiamo avuto da costoro un contributo originale,
abbiamo ascoltato il loro punto di vista sul tema del seminario.
Alla luce di quanto sentito e considerato il tempo disponibile, mi permetto
una riflessioni che spero utile al già ricco dibattito della giornata.
Attenzione: l’intervento di cooperazione è non omologabile per tutti i
contesti socio-politici (quello che si fa in Romania è ovviamente ben
diverso da quanto si potrebbe fare in Tunisia), inoltre il cooperare è assai
più complesso di quanto possa apparire a prima vista, specie per gli effetti
distorsivi per non dire anche negativi che può arrecare ai beneficiari.
Questa affermazione mi permetto di rivolgerla prevalentemente alle
imprese private e alle aziende pubbliche qui rappresentate sulla scorta di
quasi un trentennio di esperienza di cooperazione allo sviluppo. Non è
certo sufficiente trasferire capacità manageriali ed esperienze produttive,
maestranze e capitali delle nostre imprese private o Aziende pubbliche
venete, per poter innescare virtuosi meccanismi di crescita economica
durevole e soprattutto di sviluppo umano secondo le linee proposte dalle
Nazioni Unite. Direi che talvolta, specie se sono nuovi soggetti privati ad
intervenire, si rischia di agire con una non sufficiente ponderazione sui
reali bisogni dei beneficiari della cooperazione.
Se la situazione politica attuale veneta è più favorevole del passato a dar
spazio al mondo dell’imprenditoria privata ad interventi di cooperazione, a
mio parere sarebbe rischioso non ricorrere ai seguenti due passaggi.
125
Il primo riguarda la formazione dei quadri che dirigono iniziative a favore
dell’estero ed esemplifico nel settore ove mi trovo ad operare, quello
economico-agrario. Un buon cooperante, che uso chiamare anche agente
di sviluppo, dovrebbe disporre di un solido bagaglio culturale su:
-
temi generali quali a) la conoscenza di modelli di sviluppo economico
anche alternativi o complementari a quello di mercato b) il ruolo
dell’agricoltura e la zootecnia nell’ambito dello sviluppo economico
complessivo (ricordo che nei Paesi ad economia povera, ove di norma
si porta la cooperazione, il settore primario è ancora di notevole
rilevanza economica);
-
temi macroeconomici quali a) la conoscenza delle regole del
Commercio internazionale, b) il ruolo delle Istituzioni nello sviluppo
rurale (aspetti riguardante la pianificazione agricola, l’assetto fondiario,
ecc.);
-
temi microeconomici quali a) la percezione dei ricavi e dei costi nelle
produzioni aziendali, aspetti non solo inutilizzati, ma spesso inesistenti
nel paradigma culturale dei beneficiari dell’intervento; b) l’introduzione
delle tecnologie appropriate sia per opportunità di natura economica,
ma anche rispettose delle tradizioni e dei saperi locali;
-
temi strumentali quali a) la finanza etica ed il microcredito, b) la
certificazione specie nel settore foresta legno (solo apparentemente
strumento da annoverare tra le recenti novità di PDUNHWLQJ dei Paesi
industrializzati).
In altre parole, per chi intende operare nella cooperazione, ritengo
imprescindibile una formazione tecnica oltre che di cultura generale che
potrà
esser
formata
anche
personalmente
(sulle
ricadute
della
globalizzazione, sulla storia politica e sulla geografia sociale del Paese di
126
intervento) per non incorrere in interventi che siano solo a favore del
donante e a svantaggio del beneficiario.
Il secondo passaggio, altrettanto essenziale, è quello della ricerca ovvero
dell’analisi, della proposta, della valutazione. Anche in questo caso ricorro
ad una esperienza che si rifà al settore dell’economia agraria. La Giunta
Regionale veneta mi ha recentemente finanziato una ricerca applicata,
finalizzata ad analizzare il sistema del credito nelle aree rurali nel distretto
di Iasi in Romania. Tale ricerca, peraltro suggerita dalle autorità locali
(Municipalità, Diocesi), è finalizzata ad indagare e proporre soluzioni per
imprese italiane (venete) nel settore del credito solidaristico. In altre parole
si intenderebbe valutare le possibilità di “spazio economico” per mettere a
disposizione dell’economia locale il prezioso servizio delle Casse rurali di
storica memoria nella nostra Regione. Attualmente il credito, al di fuori
delle città rumene, è un “prodotto” quasi sconosciuto e se è conosciuto è
quasi inavvicinabile per l’eccessivo costo del denaro e le pesanti garanzie
richieste. Le economie di tali aree ed in primis la zootecnia e l’agricoltura,
difficilmente potranno superare il modesto livello produttivo e reddituale se
non saranno in grado di accedere al sistema creditizio. Interessanti
esperienze di finanza etica e di oculate politiche di microcredito portate
avanti in altri Paesi ad economia povera (ricordo l’India e la Grameen
Bank per tutte), possono costituire un buon riferimento per cambiare la
situazione di povertà di intere popolazioni.
Non vorrei sembrare di parte ma anche nel settore della ricerca, e in
questo campo la Regione potrebbe giuocare un ruolo rilevante di sponsor,
credo si debba credere ed investire, per consentire un trasferimento
ponderato e per quanto possibile programmato di capitali e di imprese sia
127
private che pubbliche (come forse non è avvenuto nel caso della già citata
Romania).
Concludendo
ritengo
fondamentale,
nella
prospettiva
sempre
più
consolidata di cooperazione decentrata, che la spesa regionale a favore
della cooperazione vada in parte a supportare una adeguata formazione
e una qualificata ricerca applicata caratterizzata da originalità, innovazione
e trasferibilità con il preciso orientamento di portare uno sviluppo non di
interesse di pochi espatriati, ma di sostegno solidaristico pur nella giusta
redditività a favore delle imprese operanti.
128
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Volevo mettere a tema quattro questioni. La prima parte da
un’affermazione che è già stata fatta da qualcuno che mi ha preceduto.
Penso che il cuore del problema potrebbe essere espresso così: la
cooperazione, anzitutto, bisogna farla, praticarla. E cioè bisogna essere in
prima istanza consapevoli, coscienti, convinti che l’atto cooperativo fa
crescere in qualità la propria esperienza personale, comunitaria e sociale.
Questo è un fattore decisivo, che consente anche di evitare le storture
della cooperazione. Perché è soltanto nell’esperienza concreta del fare
cooperazione con questo spirito che si capiscono possibili storture, alcune
delle quali sono state prima accennate.
Penso sia importante ridefinire l’identità della cooperazione. Che cosa vuol
dire oggi fare cooperazione? Sono d’accordo con chi mi ha preceduto: la
cooperazione deve avere una sua progettualità. Quello che non condivido
è che il fattore decisivo di una buona cooperazione debba nascere da una
gestione centralista. Per molti aspetti un governo centralista è contro la
natura del cooperare. Distinguiamo bene, quindi. Io parlo da consigliere
regionale, ma questo può riguardare anche il governo di una
Organizzazione Non Governativa. Avere un disegno, degli obiettivi, una
modalità di azione precisa, dei valori da tradurre in pratica attraverso l’atto
della cooperazione è una cosa, impostare un’azione di governo in chiave
centralista è tutt’altro. Ed è anche a mio modo di vedere qualcosa di molto
pericoloso.
Non c’è tempo per approfondire questo concetto, ma penso sia importante
almeno accennarvi. La cooperazione è un fattore sociale, di cultura, di
maturità di un popolo. Volete un esempio? La legge 49. Ad oggi non è
stata ancora riformata, è vero, ma non perché la politica non vuole la
riforma. Io posso esserne testimone, avendoci lavorato nella passata
legislatura e ho toccato con mano che su questo tema è intervenuto un
129
potere più forte della politica. Nella cooperazione è entrato un fattore
esterno, interessi non compatibili. Sono solo cenni, che meriterebbero più
spazio, ma secondo me qui sta il punto importante.
Tradurrei così la seconda osservazione: la cooperazione non è la risposta
alle emergenze. La risposta alle emergenze è uno dei tanti aspetti e dei
momenti della cooperazione. Non certo il fattore decisivo. Detto in altri
termini, cooperare non è fare delle cose o dare delle cose, ma è avviare
un cammino di comune ricerca del bene all’interno di un rapporto fra
esperienze, fra popoli, fra culture, fra Enti locali, fra comunità locali. In
questo cammino si mettono in campo anche risorse di tipo economico. Ma
anche in questo caso la prima risorsa è il rapporto personale, la
comunicazione, lo scambio di esperienze tra persone. Questa si trascina
dietro tutto il resto, compresi anche i soldi ovviamente. Insisto: il salto di
qualità che si deve fare è tra il dare delle cose, che non è di per sé
negativo, ma è più legato all’emergenzialità, all’avviare invece un
cammino, un percorso. Occorre giungere alla capacità di farsi carico di un
problema e insieme di risolverlo, fornendo anche nell’atto cooperativo
alcuni elementi per cui poi il partner possa camminare da solo. Si tratta di
un salto di qualità, è chiaro.
Terzo elemento. Anch’io ritengo sbagliato non procedere alla riforma
legislativa. Ma prima ancora mi pongo una domanda, che secondo me sta
a monte. E il fatto che non ce la siamo posta fino ad oggi spiega anche
tante incertezze. Che cosa vogliamo noi da una legge nazionale nel
campo della cooperazione? Non è una domanda vuota o retorica. Nasce
dalla volontà di evitare che la legge diventi una gabbia, piuttosto che uno
strumento di lavoro. E che paradossalmente un provvedimento tanto
invocato dal mondo cooperativo diventi qualcosa che non aiuta lo sviluppo
della cooperazione.
Bisognerebbe perciò chiarire una volta per tutte che lo strumento
legislativo non sostituisce la creatività sociale. È uno strumento, appunto,
che detta opportunità e condizioni perché chi si sente maturo per
130
cooperare lo possa fare. E ciò significa applicare in pratica il tanto
declamato principio di sussidiarietà. I soggetti sociali, comprese anche le
istituzioni locali, che si sentono in grado di fare cooperazione devono
essere messi nelle condizioni migliori per poterla attuare.
La riforma legislativa dovrebbe in qualche misura rafforzare questo
elemento “sussidiario”. Dovrebbe cioè da una parte semplificare e
dall’altra fornire strumenti, proprio nello spirito della sussidiarietà, per
consentire ai soggetti sociali, e alle comunità locali, Comuni, Province e
Regioni, di poter sviluppare, secondo la consapevolezza e la maturità di
ciascuno, l’atto cooperativo.
Quarto punto. Qualcuno potrebbe porsi la domanda, e quindi possiamo
chiedercelo anche noi come Regione Veneto: perché sentiamo il bisogno
di ritornare a ragionare sulla cooperazione? Cito l’esperienza personale
che credo tutti voi conosciate. Come assessorato alla sanità ad un certo
punto abbiamo deciso di rendere la cooperazione parte integrante dello
sviluppo dell’intero sistema socio-sanitario. Non ci siamo limitati a
finanziare iniziative, pure di per sé importanti. Voi capite che quando nella
struttura di un settore si istituisce un ufficio ad hoc per questo, quando si
fissa lo sviluppo della capacità di cooperazione da parte dell’Azienda
come elemento qualificante nella mission dei Direttori generali (che sono il
braccio operativo del sistema socio-sanitario), ciò significa aver introdotto
la logica cooperativa come parte integrante della crescita del sistema.
Per l’esperienza che noi abbiamo fatto, il cooperare è un’occasione per
rivisitare se stessi. È l’occasione - stando all’esempio – di ricomprendere
sia i fattori positivi del modello socio-sanitario del Veneto, sia i fattori
negativi che ci possono essere stati. Perché nel proporre un modello, nel
trattare delle risorse umane e tecnologiche di questo modello, il confronto
sul campo diviene più impegnativo e più forte. Quindi la cooperazione è
un’occasione per rimettere in discussione anche la propria identità
strutturale ed organizzativa, non soltanto culturale. Credo che questo sia
un altro tema da sviluppare.
131
Non penso che sia molto noto il livello di qualità sviluppato da alcune
esperienze cooperative della nostra Regione. Io cito spesso l’esempio,
perché molto legato alla mia vicenda personale, del Mozambico. È il
percorso che parte dagli accordi di pace di Roma, passa per un
consigliere ed assessore comunale di Padova che fa un anno di
volontariato nella Provincia di Sofala, Beira e a Maputo, poi arriva al
gemellaggio del Comune di Padova, costruisce all’interno di quel
gemellaggio una serie di iniziative. Ma l’esperienza non si ferma a livello
padovano. Il nostro assessore comunale arriva in Regione e porta a
maturazione
una
proposta
di
cooperazione
che
coinvolge
complessivamente le famiglie padovane, le istituzioni padovane a tutti i
livelli, dalle banche al Comune, lo stesso sistema socio-sanitario
regionale. È un sistema complesso di partnership che ha attivato un
progetto, che oggi è parte della vita della città.
Potremmo proporre altri esempi che raccolgono molte delle osservazioni
emerse oggi, riguardanti l’esigenza del coordinamento, della formazione,
della risorsa persona importante tanto quanto la risorsa finanziaria,
dell’impresa come parte del progetto, non unico attore. Secondo me nella
nostra Regione si sono maturate esperienze che, se meglio focalizzate,
conosciute ed analizzate, possono dare un grande contributo. E non è un
caso che, non più tardi di due anni fa, sia stato il Veneto a rilanciare il
tema della riforma della legge nazionale, perché nel nostro territorio c’è la
cultura per poter fare un salto di qualità.
Mi auguro e credo che il convegno sia stato organizzato dalla
Commissione anche per questo scopo: rilanciare la cooperazione, con
maggiore forza e con maggiore consapevolezza. È vero infatti quanto è
stato detto oggi, che la cooperazione deve giocare un grande ruolo
all’interno di fenomeni epocali quali la globalizzazione. Ma anzitutto
occorre che rappresenti un’opportunità per il Veneto, perché la nostra
Regione possa ripensare se stessa e ritrovare un proprio ruolo nel
132
contesto di questi fenomeni globali, che non possono annullare le identità,
ma renderle più coscienti di sè.
133
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Voglio ringraziarvi dell’onore che mi avete fatto, invitandomi a questo
Seminario. Per me è stato un vero piacere ascoltare gli interventi, che mi
sono sembrati tutti estremamente interessanti.
Vorrei fare solo una piccola annotazione. Non dimentichiamo che le
Regioni possono fare proposte di legge alle Camere. Sarebbe davvero
utile se la Regione Veneto, dopo attenta istruttoria, potesse presentare al
Parlamento nazionale un disegno di legge di riforma organica della
cooperazione allo sviluppo.
134
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Ringrazio tutti di essersi fermati fino ad ora, di aver passato tutta la
giornata con noi, lascio il saluto definitivo ad Amedeo Gerolimetto.
Credo che i membri della Commissione possano dire di avere imparato
molto questa sera e di avere una piattaforma già pronta per i lavori futuri.
Grazie a tutti.
135
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Credo ci sia poco da aggiungere dopo i commenti e le considerazioni fatte
da due Colleghi di Commissione.
Va sottolineato ancora una volta che non a caso abbiamo creato questa
occasione di incontro all’interno del Consiglio regionale del Veneto, proprio
perché, come è emerso qui, nel nostro territorio, c'
è un substrato
straordinario, importante, che secondo me è un vero patrimonio non solo
per la Regione, ma anche in ambito nazionale.
Gli interventi, come è stato detto prima, lo hanno dimostrato fino in fondo,
l’obiettivo che la Commissione si era posta con l’organizzazione di questo
seminario, di questa occasione di discussione, era quello di rimettere in
moto la discussione sulla legge che regolamenta la cooperazione, un
processo di riforma che ci attende per rispondere in modo serio e concreto
anche ai problemi posti dalla globalizzazione.
Qualcuno prima ha detto in modo preciso: attenzione a come si agisce. Io
credo che l'
agire debba esserci, ma che debba essere accompagnato
anche dalla riflessione.
Credo che ci sia l'
impegno di tutti noi su questo, e sicuramente la nostra
Commissione e il Consiglio regionale del Veneto se ne faranno carico, per
far sì che questo appuntamento sia l'
inizio di un percorso che deve
raggiungere l'
obiettivo finale.
Grazie ancora a tutti voi per aver contribuito al successo di questa
iniziativa.
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Politiche nazionali di aiuto allo sviluppo e ruolo delle Regioni