Relazionalità e interattività
di Stefano Rolando*
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1. I profili culturali dell’amministrazione aperta
Si è molte volte fatto riferimento all’arco normativo degli anni novanta per
collocare nel tempo – e quindi per sottolineare esclamativamente una nota di
ritardo storico nell’esperienza italiana – il ribaltamento della cultura del silenzio e del segreto che aveva retto per 130 anni i comportamenti dell’amministrazione italiana introducendo, prima ancora che competenze e funzioni, nuovi
profili culturali attorno alla nozione di amministrazione aperta1.
In effetti gli anni novanta si dischiudono, in questo ambito, con il varo della
legge 241 che costruisce la cornice dell’accesso, della trasparenza e della pubblicità dei percorsi amministrativi – salvo deroghe da normare formalmente – e si
concludono con il varo della legge 150 che – dando seguito a normazioni precedenti (tra cui essenzialmente la costituzione, con il D.Lgs. 29 del 1993, degli uffici per le relazioni con il pubblico e le normative sulle carte dei servizi e sul contesto comunicativo dei processi di semplificazione definito dalle cosiddette
“leggi Bassanini”) – completano la legittimazione all’agire comunicativo della
PA italiana2. Si prevedono strutture direttamente protese ad interagire con
l’utenza e strutture orientate a fornire un’interfaccia professionale (secondo
modalità invalse nel sistema di impresa e nell’esperienza del sistema politico) ai
media, tradizionali e multimediali. Dunque una legge di legittimazione delle
*
1
2
Docente di Teoria e Tecniche della Comunicazione Pubblica, Libera Università di Lingue e
Comunicazioni di Milano.
Sotto la voce “Amministrazione aperta” è ormai contenuta una varietà di argomenti che, in particolare negli sviluppi delle relazioni in rete, hanno sempre più riferito a profili di accessibilità
e inter-attività temi e questioni riguardanti le dinamiche della PA. Vanno sotto questa dizione così
una gran quantità di convegni, di premi, di progetti che trovano in questa espressione tanto
“generica” quanto “rivoluzionaria” un inquadramento concettuale e comunicativo ormai invalso.
Nella letteratura le ricerche sulla materia investono la nozione di “interesse generale” che, nell’ambito dei processi comunicativi, prendono le mosse con le ricerche promosse nell’ambito del
CNR con il coordinamento di Gregorio Arena contenute nella pubblicazione La comunicazione
di interesse generale, edita da Il Mulino, Bologna, 1987.
Il primo segnale forte nel processo di ricognizione del cattivo stato del rapporto tra amministrazione e cittadini è, notoriamente, contenuto nel Rapporto redatto da Massimo Severo Giannini e
trasmesso alle Camere il 16 novembre 1979 sui “principali problemi della amministrazione dello
Stato” che Guido Melis nella sua Storia dell’Amministrazione italiana, Il Mulino, Bologna, 1996
definisce “il portato migliore di quel riformismo amministrativo che, seppure spesso sconfitto,
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
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funzioni sia di comunicazione che di informazione la quale tuttavia introduce –
circa i profili comunicativi – strumenti più idonei allo sviluppo di funzioni relazionali che a presidiare dinamiche di progettazione e gestione di prodotti e servizi di comunicazione. Ovvero ipotizzando gli uffici per le relazioni con il pubblico sia come sede della relazionalità che della regia comunicativa, a cui la
legge destina anche strumenti specifici come quelli della pianificazione. Questa
compressione alla lunga si rivelerà di incerta attuazione, di fatto distinguendosi la costituzione e l’operatività degli URP all’interno di un più articolato quadro di funzioni relazionali dagli ambiti destinati a programmare, produrre o
comunque presidiare attività propriamente comunicative e in molti casi anche
dalla gestione dei siti web che hanno uno sviluppo esponenziale con profili di
riporto funzionali assai dissimili (negli urp, negli uffici stampa, in autonomia
operativa, a mezzadria, affiancando altre funzioni, eccetera). Con altre normative, a cui si accennerà in seguito, sono poi regolati gli sportelli unici per il sistema di impresa.
Questa legge era stata ipotizzata fin dal 1994 come rispondente ad un bisogno
di una “norma quadro”. Aveva poi avuto un iter parlamentare originato dall’idea
di tutti i governi succedutisi nella seconda metà degli anni novanta che sulla
delicata materia e comunque rispetto ai profili di costo che sarebbero intervenuti sulle amministrazioni sarebbe stato auspicabile un contesto legislativo trasversale e un atto creativo dello stesso organo legislativo3.
Meno esplicita – ma certamente influente su questa scelta – la problematica
di accreditamento della figura professionale contrattualmente distinta dei giornalisti che, pur introducendo una interessante novità rispetto alla difficoltà
generale dell’amministrazione pubblica di riconoscere gli “specialismi” e pur
rispondendo ad un bisogno di fasatura professionale tra istituzioni e media, pre-
3
aveva tuttavia proposto costantemente un’alternativa al modello burocratico dominante”. E che
– come ricorda Stefano Sepe nel suo Stato legale e Stato reale, pubblicato nel 2000 e rieditato da
Il Sole 24 ore, Milano, 2007 e che contestualizza molti aspetti del processo di legittimazione dell’agire comunicativo della PA negli anni ’90 – aveva espresso una proposta di riforma che si chiudeva sulla seguente significativa valutazione: “il diverso tipo di rapporto tra amministrazione e
cittadini trova scarsa emersione nelle leggi, alcune delle quali troppo invecchiate, e comunque
non rispettose della garanzia della libertà dei cittadini, tra cui prima la libertà di essere informati circa i fatti dei poteri pubblici”.
Circa il contenuto della legge 150/2000 in rapporto alle concrete dinamiche attuative si veda, tra
i tanti e nella fase di primo impatto della normativa, Alessandro Rovinetti, Diritto di parola, Il
sole 24 ore, Milano 2000. Un inquadramento generale, attento anche ai profili di riferimento culturale, in Paolo Mancini Manuale di comunicazione pubblica, Laterza, seconda edizione aggiornata, 2002. Per una riflessione più meditata dei profili normativi si veda l’ottima voce
Comunicazione pubblica (a cura di Maria di Benedetto) nella Enciclopedia giuridica Treccani,
2002. Si veda anche Roberto Grandi, La comunicazione pubblica, Carocci, 2001 e Franca Faccioli,
Comunicazione pubblica e cultura del servizio, Carocci, Roma, 2000. Nella relazione tra comunicazione istituzionale e diritto all’informazione, Elisabetta Zuanelli (a cura di), Manuale di comunicazione istituzionale, Colombo, Roma 2000. Circa un bilancio sul primo quinquennio di attuazione, Stefano Rolando, Profili organizzativi della comunicazione istituzionale. Bilancio dell’attuazione della legge 150 e nuove tendenze – In Micro&Macro Marketing – Il Mulino, Bologna n.
2/2005.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
senta evidenti ambiti di delicatezza e di ambiguità per l’interesse della politica
di disporre di strumenti istituzionalizzabili orientati non solo al servizio pubblico ma anche ad introdurre nei costi di tale servizio la gestione della “visibilità”
(oggi, in verità, problematica più metabolizzata, anche istituzionalmente, di
dieci anni fa).
In sostanza la legge 150 legittima formalmente l’agire comunicativo ma, per le
stesse formidabili trasformazioni strutturali dei processi comunicativi intervenute in questi anni, lascia oggi aperti problemi di ridefinizione organizzativa
dello specifico territorio comunicativo. Mentre apre più robustamente – ma
forse senza una presa d’atto e di coscienza della specificità e dell’autonomia di
questo segmento – il campo all’agire relazionale, che è nelle organizzazioni
complesse (pubbliche e private) che non si limitano a fidelizzare mercati ed
orientare consumi una sfera forse più importante e strategica dell’intera dinamica sociale, ovvero di esternalizzazione, in cui esse sono collocate. E da cui
dipende il grado di intercettazione del cambiamento sociale e la capacità di
accompagnamento delle trasformazioni anche della mission.
Per questa essenziale ragione questo segmento del capitolo sulla “cittadinanza amministrativa” approfondisce esclusivamente l’ambito delle relazionalità4 .
Sarà consentito ricordare che nel 2004, all’atto di varare la vasta e capillare
rilevazione nelle pubbliche amministrazioni italiane sulla situazione e le tendenze della comunicazione istituzionale, la parte conclusiva del già ponderoso
questionario che il Dipartimento per la Funzione Pubblica si apprestava ad
inviare con lettera del Ministro a tutti i soggetti interessati risultava dedicata
proprio al segmento delle relazionalità, rispetto ai numerosi argomenti propri
del perimetro “informazione e comunicazione”5. Essa fu tagliata in considerazione della prevedibile onerosità compilativa, ma nel riconoscimento che il
tema rivestiva importanza almeno pari a quello delle funzioni di prodotto, tanto
da meritare una successivo analoga rilevazione. Il bisogno di dare svolgimento
a questa istanza conoscitiva – per ora rimasta inattuata – è una delle argomentazioni propositive che questo capitolo vuole sottolineare.
4
5
È questo l’approccio di ricerca prevalente che ha originato l’impostazione di lavoro dell’
Osservatorio sulla comunicazione di pubblica utilità in Italia e in Europa nell’ambito della
Fondazione Università IULM (che è all’origine del progetto delle giornate europee tematiche
della comunicazione di pubblica utilità, che prenderanno il via nell’autunno del 2007 a Milano
iniziando dal tema dell’inclusione sociale) a cui, con chi qui scrive, collaborano molti ricercatori, in particolare giovani, con cui – anche nell’occasione della redazione di questo testo – si aprono discussioni e valutazioni collettive. Tra di essi: Valentina Casiraghi, Daniele Comboni,
Raffaella De Marte, Annalisa Ferretti, Stefano Florio, Patrizia Galeazzo, Alessandra Mazzei,
Massimiliano Panarari, Alessandro Papini, Ilaria Perrozzi, Alessia Scordo, Valeria Peverelli.
Il Rapporto al Ministro per la Funzione Pubblica su “Situazione e tendenze della comunicazione
istituzionale in Italia (2000-2004)”, patrocinato dal Dipartimento della Funzione Pubblica (che lo
ha editato in proprio nel 2005 e collocato nel sito web istituzionale) in collaborazione con
l’Università IULM di Milano e coordinato da Stefano Rolando, contiene in appendice il questionario integrale strutturato su 144 domande e inviato con lettera del Ministro a 1.942 amministrazioni di cui il 55% ha fornito risposte elaborate nel Rapporto. La parte riguardante “le attività
relazionali della PA” è stata scorporata e destinata e altra rilevazione, ancora non attivata.
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RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
2. Una nuova cultura di patto tra pubblico e privato
180
Una cornice di questa svolta è costituita dalla delineazione di una nuova cultura di patto tra pubblico e privato che è figlia di una crescita della maturità civile di base della società, ovvero di una più diffusa cultura dei diritti di cittadinanza. E al contempo anche di una necessità del sistema economico-produttivo
di contare su sinergie istituzionali indispensabili nell’incremento del perimetro
– dal locale al globale – dei processi di sviluppo e di competizione.
Dunque in un quadro in cui la società si caratterizza per minore sudditanza e
maggiore negozialità, sia pure con aree disomogenee quanto a comportamenti
prevalenti; e in cui l’economia, ove costretta a rinunciare ai benefici del “sistema paese”, induce a ripieghi che sconfinano nella illegalità per mantenere i suoi
livelli di “vitalità” , mentre se sostenuta in una condivisa cultura dello sviluppo percorre moderne e praticabili opportunità sinergiche6.
Questa cultura è stata espressa con varie formule di cui quella più sintetica e
rappresentativa di un cambiamento percepito dall’utenza è quella di “amministrazione condivisa” che Gregorio Arena ha formulato come principio organizzativo fondato “sulla collaborazione tra amministrazione e cittadini, anziché
sulla più o meno netta separazione tra amministrazione e amministrati che
caratterizza i sistemi amministrativi tradizionali”7. E che trova oggi un ambito
di incentivata opportunità nei processi di sussidiarietà e nella nuova formulazione dell’art. 118 della Costituzione che – come altrove sottolinea lo stesso
Arena8 – “riguarda non il fatto che dei privati possono attivarsi nell’interesse
generale, ma che possono farlo ‘autonomamente’ di propria iniziativa, senza
aspettare che la pubblica amministrazione li autorizzi a farlo e gli chieda di
farlo; con la seconda novità che se i cittadini si attivano in tal modo le pubbliche amministrazioni devono sostenerli, non possono limitarsi ad osservare passivamente le loro attività né tanto meno possono ostacolarli” (in una visione
che, è facile comprenderlo, corrisponde a qualche vero e proprio salto mortale
culturale circa gli stili giuridico-amministrativi e quelli socio-relazionali invalsi, corrispondendo ad un grado elevato di capacità partecipativa soprattutto
quando “altri” e non essa stessa sono soggetti di iniziativa).
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7
8
Nella versione positiva di questa relazione è collocata l’analisi del rapporto tra sistema delle
imprese e pubbliche amministrazioni, in cui sono codificate le principali tipologie della relazione, di Elena Zuffada, Amministrazioni pubbliche e aziende private. Le relazioni di collaborazione, Egea, Milano, 2000. Tema inquadrato anche in Paolo Rondoni Brovetto, Le relazioni tra imprese e amministrazioni pubbliche, Egea, Milano 1996. In generale sull’induzione organizzativa nel
sistema della PA generato dalla percezione di ruolo attorno al “valore aggiunto” costituito dal servizio si veda Franca Faccioli, Comunicazione pubblica e cultura del servizio, op. cit e Giorgio De
Michelis, Le istituzioni pubbliche di fronte al servizio, in L’innovazione difficile-Studi sul cambiamento organizzativo nella pubblica amministrazione, a cura di Lavinia Bifulco e Ota de
Leonardis, Franco Angeli, Milano, 1997.
Gregorio Arena, Amministrazione condivisa in Teoria e tecniche della comunicazione pubblica,
a cura di Stefano Rolando, Etas, Milano, 2003.
Gregorio Arena, Cittadini attivi-Un altro modo di pensare all’Italia, Laterza, Bari, 2006.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
Questa cultura trova un terreno di articolata applicazione soprattutto nella
accentuazione delle dinamiche competitive territoriali, intese come una architrave non solo della non facile attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale ma, in generale, come integrazione (fondata su un nuovo livello organizzativo delle relazionalità) tra scopi e competenze dell’apparato pubblico (di controllo, garanzia e sostegno allo sviluppo) e l’apparato produttivo e dei servizi che
la società esprime9 .
È qui che le culture amministrative profilano una grande varietà di esperienza e di espressione formale nel concepimento delle norme, nella intercettazione
dei bisogni di cambiamento delle norme stesse, nella modernità di attuazione e
valutazione dei processi di impatto. Difformità che si registrano certamente tra
le amministrazioni centrali. Non tutte regolate dalla stessa cultura identitaria e
relazionale. E naturalmente che sviluppa uno spettro ancora più contraddittorio
nelle condizioni di un territorio nazionale che non ha ancora vinto il problema
di una eredità critica della formazione dello stato unitario, quella che consente
di distinguere ambiti della società italiana che criticano le istituzioni ma le
rispettano e altri ambiti che lusingano le istituzioni ma le disprezzano10.
Ogni “patto” dura nel tempo e si conclude. Quindi sta all’interno della cultura del cambiamento delle regole non nella cultura della fissità del sistema normativo.
E ogni “patto” richiede una rappresentazione, affinché i contraenti si misurino con il giudizio sociale e con le regole dei “guardiani della democrazia” (non
solo i media) tese a dare più spessore alla trasparenza, non solo come misura
etica ma anche come parametro della continua riorganizzazione dei ruoli.
Questa “rappresentazione” è tecnicamente il contenuto del teatro delle relazionalità che impegna le pubbliche amministrazioni e i soggetti del servizio
pubblico a proporre e subire tutte le varianti interpretative che reggono quel
“patto”:
• a livelli di sussistenza, per mantenere l’ordinamento;
• a livelli propulsivi, per creare uno scambio (di conoscenze, di interpretazioni e di classe dirigente) che è la condizione per gestire modernamente sia lo
sviluppo che la solidarietà.
Il tema non è in ombra e le analisi sul cambiamento della pubblica amministrazione lo hanno patrimonializzato da qualche tempo. La Relazione al Parlamento
sullo stato della Pubblica Amministrazione nel 2004 redatta per responsabilità
del Ministro per la Funzione Pubblica così si esprime: “La tradizionale
rappresentazione della pubblica amministrazione come sistema statico e uni9
10
Alberto Quadrio Curzio, Sussidiarietà e sviluppo – Paradigmi per l’Europa e per l’Italia – Vita e
Pensiero, Milano, 2002.
Guido Melis, Storia dell’amministrazione pubblica – op.cit e l’efficace successiva sintesi di La
burocrazia, Il Mulino, Bologna, 1998. Stefano Sepe, Laura Mazzone, Ignazio Portelli e Giovanni
Vetritto, Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana (1861-2002), Carocci, Roma, 2003.
181
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
182
forme arretra progressivamente di fronte a una realtà articolata di pubbliche
amministrazioni che esprimono dinamicità e competitività, che accrescono il
proprio capitale relazionale e che tendono ad avviare nuove modalità relazionali con i cittadini” 11.
Innumerevoli sono i documenti e le analisi, soprattutto generati dalle organizzazioni economiche e dalla rappresentanza di impresa nel nostro paese, che
esprimono non tanto scetticismo in ordine a questa dinamica quanto circa la
forza di questo incipiente processo di nuova relazionalità ad incidere in modo
consistente sui bisogni di semplificazione (che investe un costo stimato in 15
milioni di euro all’anno per fronteggiare oltre 5.000 procedimenti (della sola PA
centrale) di cui un quinto risponde alle leggi precedenti agli anni Sessanta12.
Altrove – nel rapporto in cui è collocato anche questo capitolo – sarà ricordato questo dibattito e questo confronto, che resta comunque all’origine della priorità tuttora dichiarata dal mondo economico rispetto alla riforma della PA La
citazione qui di opinioni controverse (a cui potrebbero aggiungersi studi sul contenzioso tra cittadini e amministrazioni che negano accesso e trasparenza, oppure studi sulle criticità nei processi di investimenti internazionali in Italia che
riconoscono nel cosiddetto “rischio burocratico” uno dei principali fattori impeditivi) vuole solo richiamare il tema del riscontro sul cambiamento della PA
verso una nozione piena di “amministrazione aperta” che – a differenza di ciò
che pensano alcuni funzionari sul podio e alcuni “studi interni”– non può essere una diagnosi autocompiaciuta ma deve essere espressione di giudizi esterni,
di analisi rigorose condotte da centri qualificati e delle opinioni correttamente
registrate dei cittadini e delle imprese.
Naturalmente il fattore che le ricerche di campo segnalano come più critico –
oltre ai profili culturali e comportamentali dell’insieme dei funzionari – è quello dell’attitudine della politica a svincolarsi in molte occasioni da un rapporto
di utilizzo corretto e istituzionale degli strumenti comunicativi e relazionali che,
con fatica e con il tempo, sono stati radicati nelle organizzazioni e nelle procedure della PA Tema complesso che riguarda:
• in alcuni casi una “domanda interna” che la politica che assume la responsabilità delle istituzioni sa interpretare per orientare quelle funzioni ad una
maggiore metabolizzazione delle dinamiche istituzionali da parte della società, ad un servizio alla leggibilità delle leggi e alla accessibilità si servizi;
11
12
La Relazione al Parlamento sullo stato della pubblica amministrazione 2004 è rintracciabile nel
testo integrale sul sito www.funzionepubblica.it.
La ricerca “Italia da semplificare” presentata da Guidalberto Guidi e promossa dal Centro Studi
di Confindustria nel 1998 si è avvalsa del contributo di un gruppo di esperti coordinati dal prof.
Sabino Cassese che ha lavorato con un comitato di imprenditori e di esponenti di associazioni
imprenditoriali coordinato da Amalia Maggioli. Questa consapevolezza ha trovato negli ultimi
dieci anni anche spazio e argomentazione all’interno di certi movimenti culturali in seno alla
pubblica amministrazione. Ne sono uno esempio “Le tesi di Mario Rossi”, ispirate dall’ex-sottosegretario alla Funzione Pubblica e successivamente al Lavoro Maurizio Sacconi e sostenute da
un club di alti funzionari pubblici pubblicate come Le regole semplici della libertà responsabile,
Marsilio, 1995.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
in altri casi una “domanda interna” che prescinde dai contenuti di servizio
per accentuare profili di visibilità e di sostegno al marketing elettorale con
un costo scaricato – da una crisi progressiva degli apparati politici – sugli
ambiti di “collaborazione diretta” previsti nelle istituzioni spesso estesi alle
funzioni preposte alla “visibilità”, cioè quelle della comunicazione13.
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3. Cresce il protagonismo del cittadino
A leggere molta stampa o a raccogliere lo stereotipo del mugugno nazionale
parrebbe crescere il divario tra sfera decisionale e condizione partecipativa. Gli
stereotipi contengono sempre qualche verità 14. E il mugugno nasconde comunque una difficile percezione del cambiamento positivo. Ma andando a misurare parametri oggettivi che la sociologia della governance ci aiuta a decifrare si
registra anche una crescita del protagonismo del cittadino nella cui dinamica,
forse ancora in modo preponderante, al valore costituzionale non ha corrisposto
una adeguata cultura burocratica con l’ulteriore onere a volte di una confusa
sovrapposizione da parte della politica tra le identità civili e quelle elettorali del
cittadino15 .
Questa evoluzione non ha qui spazio per essere adeguatamente dimostrata.
Ma l’analisi del cittadino partecipativo è un assunto circa i cambiamenti dei
connotati della attuale comunicazione pubblica.
A partire dalla prima metà degli anni Novanta, si è insomma palesato, in
modo più o meno consapevole e in seguito a forti spinte dal basso, che:
• il rinnovamento della relazione istituzione-cittadino in senso orizzontale
passa attraverso il coinvolgimento del cittadino alle decisioni istituzionali;
• che tale coinvolgimento si crea largamente attraverso modi di fornire le
informazioni adatti – e adattati – alle esigenze degli utenti.
Parte integrante dei processi di contatto con l’utenza della comunicazione
istituzionale, la progettazione editoriale dei contenuti, inscindibilmente legata
13
14
15
Il dibattito al riguardo è lontano, non frequentissimo, talvolta importante. Stefano Sepe vi dedica
il capitolo Politica, istituzioni, governo. Chi decide cosa nel citato Stato legale, stato reale. In esso
sono ricordati alcuni capisaldi del dibattito, a cominciare da Arturo C. Jemolo, La politica e l’amministrazione, in La crisi dello Stato moderno, Laterza, Bari, 1954. Nelle evidenze di chi qui scrive è conservato il saggio di Giuliano Amato – che iniziò negli anni sessanta a operare nel quadro
istituzionale nell’avvio del primo centro-sinistra, con una attenzione costante alla relazione tra
amministrazione e politica – dedicato a La burocrazia nei processi decisionali in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, Giuffrè, Milano n. 2/1975 in cui si affronta uno dei temi contenuti
nella complessità della questione, quello della “fedeltà collusiva” della amministrazione rispetto alla politica.
Loredana Sciolla, Italiani. Stereotipi di casa nostra, Il Mulino, Bologna, 1997.
Gregorio Arena, Cittadini attivi, op.cit., secondo questa premessa generale: «Grazie allo sviluppo
della società italiana ed al nuovo principio di sussidiarietà è non solo possibile ma necessario
invertire in determinati casi la direzione del rapporto tra istituzioni e cittadini, prevedendo che
questi ultimi possano, insieme con la Repubblica, esercitare una nuova forma di libertà, solidale e responsabile, contribuendo al perseguimento di un interesse generale che, in fondo, coincide con l’interesse alla loro piena realizzazione come persone».
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
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al continuo soddisfacimento del diritto di ricevere e ricercare informazioni16
diventa un’attività strategica rilevante mossa da un fine comune: mantenere
costante la relazione paritaria con il cittadino. A distanza di anni, è questo il
senso che assumono iniziative apparentemente lontane tra loro come i manuali
di stile e di semplificazione del linguaggio amministrativo; campagne e azioni
di comunicazione interna come il “progetto Chiaro”; e le leggi, da quelle quadro,
come la 150/2000 a quelle specificamente dedicate a singoli mezzi di comunicazione, primo fra tutti il web, come la legge 4/2004 (cosiddetta “legge Stanca”) e
il decreto legislativo 82/05 sull’uso per via telematica dei dati nella pubblica
amministrazione17 .
Nei primi anni del nuovo secolo, in seguito anche all’affermarsi della comunicazione attraverso supporti che, come il web, possono eliminare la dipendenza tra la materialità del testo e supporto, iniziano a circolare e ad affermarsi concetti e termini quali accessibilità, usabilità, efficacia e chiarezza nel garantire il
più possibile il completamento della pratica amministrativa, identificazione e
controllo d’accesso, privacy e sicurezza, protezione della rete, grafica e comunicazione coordinata tra diversi supporti. Ciò che sta dietro a tutti questi termini
e ai loro usi è una idea tanto semplice quanto profondamente democratica:
prima si ragiona sulle competenze dei destinatari, e in base a questo si decide il
veicolo e la forma dei contenuti18.
In particolare, la conoscenza, concepita come insieme di informazioni che
possono essere utilizzate in un processo decisionale, è una risorsa che per l’organizzazione può costituire, se integrata con il modello di Porter, fonte di vantaggio competitivo anche in ambito sociale19. Questo perché il knowledge capital è una risorsa atipica:
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19
Gianluca Gardini, Le regole dell’informazione, principi giuridici, strumenti, casi, Bruno
Mondadori, Milano, 2005, capp. 3, 9 e 10.
Per un panorama critico dell’evoluzione delle normative in materia Riccardo Fedriga, Il cittadino lettore, Edizioni Sylvestre Bonnard, Milano, 2005, appendice.
Direttiva sulla semplificazione del linguaggio nelle pubbliche amministrazioni, Ministero della
Funzione Pubblica, 24/10/2005. Nel testo della direttiva è scritto: “Un testo non viene elaborato
in astratto. Va pensato in relazione ai suoi destinatari. Addetti ai lavori, singoli cittadini, un gruppo di essi, il loro universo. Quando ci rivolgiamo a tutti, dobbiamo pensare al destinatario meno
istruito. Leggibile e comprensibile è appunto un testo assimilato presto e senza difficoltà. In
sostanza, leggibilità e comprensibilità sono due facce della stessa medaglia. L’una e l’altra rispondono a precisi criteri. Il loro rispetto riduce gli ostacoli a una piena fruibilità del testo”. Si tratta
di una affermazione che può essere avvicinata a un modello di conoscenza, quale quello proposto da Jerome Bruner, che ben si adatta a descrivere il genere di conoscenza che viene rappresentata dall’informazione e dagli strumenti che si impiegano per trasportarla e renderla fruibile. Alla
base di questa concezione sta il riferimento a un tipo di conoscenza organizzata secondo una
natura situata e distribuita, ovvero che fa riferimento da una parte ai contesti, ai contenuti e agli
interlocutori e dall’altra agli strumenti e agli artefatti di cui si serve. Jerome Bruner, The culture
of education, Cambridge Ma., Harvard University Press, 1996, trad. it., a cura di Lucia Cornalba,
La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli, 1997.
Michael Porter e Mark R. Kramer, Strategia e società: il punto d’incontro tra il vantaggio competitivo e la corporate social responsibility, “The Harvard Business Review Italia”, 1-2, gennaio-febbraio 2007.
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si deprezza se non è utilizzata;
perde valore nel tempo;
cresce se è condivisa e quando viene elaborata;
inoltre è caratteristica intrinseca dell’individuo che la possiede, che sceglie
se condividerla o meno.
Oggi è chiaro come le istituzioni non manchino degli stimoli o dei mezzi tecnici per rispondere alle nuove sfide organizzative. Esse, invece, sembrano non
prestare sufficiente attenzione ai frutti dell’unione tra processi produttivi (e
organizzativi) e prodotti: spesso ci si concentra solo sulla rincorsa all’ultimo
prodotto (meglio se tecnologico), perdendo, così, di vista una logica relazionale
incentrata sul destinatario e sulle sue competenze20.
Da questi fattori deriva una certa ambiguità circa il riconoscimento e l’identificazione della fonte, che costituisce il vero problema da risolvere: l’incremento
della qualità della relazione fiduciaria tra cittadini-istituzioni passa anche attraverso l’integrazione dei servizi e dei dati delle amministrazioni21 .
La difficoltà di comprensione e l’impossibilità di fruire della conoscenza per
agire sul funzionamento delle istituzioni, anche all’interno di un irrisolto quadro di alfabetizzazione amministrativa e civile, oltre a privare i cittadini di alcuni diritti fondamentali, porta diritta verso l’apatia democratica, cioè verso una
cultura, orientata ai benefici che l’elettore spera di trarre dal sistema politico e
avversa, invece, a una cultura partecipante, “propria degli elettori che si considerano potenzialmente impegnati nell’articolazione delle domande e nella formazione delle decisioni”22.
È giusto chiedersi cosa prevalga nella cultura delle amministrazioni riguardo
al cittadino: il riconoscere la priorità delle competenze del cittadino stesso o
l’incentivare il processo di apatia democratica? Questa dinamica contraddittoria esiste nella realtà. Ma è vero anche che il cittadino gode di alcune novità
sostanziali nel rapporto con i pubblici poteri:
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Nel citato Rapporto Situazione e tendenze della comunicazione istituzionale in Italia si osserva
che: «a partire da una chiara coscienza del processo di semplificazione amministrativa e del linguaggio, è emersa negli operatori una altrettanto consolidata consapevolezza delle attività di
comunicazione dei contenuti di pubblica utilità. Quello che preme evidenziare è una certa mancanza di progettazione di queste attività, che troppo spesso vengono attuate senza un coordinamento di fondo: quasi tutte evidenziano la mancanza di una gestione integrata dei contenuti editoriali. Una buona percentuale della amministrazioni centrali (69,7%), ha dichiarato di aver attivato al proprio interno dei progetti grafici in qualche misura rispondenti a linee progettuali coerenti e uniformi, cioè a progetti editoriali atti a migliorare l’immagine di comunicazione. Tale
percentuale scende a dati compresi tra il 52 e il 53% di enti quali Province e Regioni e si attesta
solo intorno al 24,5 per enti come i comuni».
Luigi Nicolais, Linee d’intervento per un’amministrazione di qualità, in www.innovazionepa.gov.it/seminario_Caserta.pdf, Caserta, 2007. Sulla materia del capitale intellettuale nella PA si
veda Sauro Angeletti, Innovazione e conoscenza nelle amministrazioni pubbliche, in “Queste
istituzioni”, n.135/2005.
Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984.
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appare una maggiore visibilità – nel quadro della riforma in senso prevalentemente proporzionale del sistema elettorale – dell’utilità del singolo voto23;
appare in crescita un ruolo sociale e culturale del cittadino-consumatore che
trasferisce sempre più le abitudini e le opportunità di scelta e di rifiuto
anche nei processi riguardanti i servizi pubblici (come la incrementata letteratura sulla customer satisfaction nel settore pubblica ci aiuta a decifrare24;
appare maggiore la flessibilità del principio di appartenenza territoriale in
cui – per l’individuo e per l’impresa e anche sulla spinta dei forti flussi
prima emigratori e ora immigratori – i radicamenti (locali, regionali e persino nazionali) sono se non ancora “liberi” certamente meno vincolati di un
tempo25;
appare maggiore la potenzialità di iniziativa sostitutiva o sussidiaria rispetto a compiti svolti dalla pubblica amministrazione alla luce delle riformulate disposizioni dell’art. 118 della Costituzione e nel quadro di una diversa
ottica che riflette oggi la nozione di “interesse generale”26;
appare in costante ampliamento un processo di inclusione digitale, ovvero
di cittadini individualmente in condizione di operare ricerca autonoma sul
web in ordine all’informazione di natura politica, istituzionale e giuridicoamministrativa operando quindi dalla base alcune possibili disintermediazioni;
appare più legittimato il ruolo inter-attivo del cittadino rispetto all’agire
amministrativo delle istituzioni di suo riferimento in seguito ad un complesso di norme che sono state ampiamente ricostituite negli anni novanta in
ordine al principio di responsabilità dell’azione amministrativa e al codice
etico dei funzionari che (decreto del ministro Cassese del 31 marzo 1994) ha
Sulle trasformazioni del sistema elettorale riguardo alla problematica qui evocata, Giovanni
Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, Il Mulino, Bologna 2004; Alessandro Chiaromonte,
Tra maggioritario e proporzionale: l’universo dei sistemi elettorali misti, Il Mulino, Bologna,
2005; Gianfranco Pasquino, I sistemi elettorali, Il Mulino, Bologna, 2006.
Una ricognizione metodologica sul tema è stata compiuta da Cantieri-Dipartimento della
Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri e contenuta in La Customer satisfaction nelle amministrazioni pubbliche, a cura di Angelo Danese, Giuseppe Negro e Annalisa
Gramigna, Rubettino, Soveria Mannelli, 2003; e successivamente in Amministrazioni in ascoltoEsperienze di customer satisfaction nelle amministrazioni pubbliche, a cura di Annalisa
Gramigna, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2005. Per un trattamento più riferito al rapporto con le esperienze del sistema di impresa e ai modelli internazionali, La customer satisfaction
nel settore pubblico, a cura di Giampaolo Fabris e Stefano Rolando, Franco Angeli, Milano, 1999.
Il fattore “territorio” declinato come sistema di reti, come dinamica economica di produzione e
distribuzione del reddito e come cornice prevalente nell’esperienza italiana della cultura dell’appartenenza, è un indicatore stabile di ricerca dei rapporti annuali sulla situazione sociale del
paese realizzati dal Censis, al cui catologo (www.censis.it) si rinvia.
Il 12 marzo 2004 si è svolta a Roma la prima Convenzione nazionale della sussidiarietà, la cui
“carta” approvata articola in forma analitica e propositiva il tema della riforma dell’art. 118 ( il
documento è rintracciabile sul sito www.cittadinanzaattiva.it). Sulla soluzione dell’eterna conflittualità tra Stato e cittadini, Sabino Cassese, L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in
“Rivista trimestrale di diritto pubblico”, Giuffrè editore, 2001.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
iniziato a porre in dinamiche più precisate profili di conflitto, di imparzialità e di indipendenza della pubblica amministrazione27.
Il protagonismo del cittadino fa dunque assumere in forma più consistente la
sua percezione da parte dell’amministrazione in una declinazione di identità di
cui la più significativa resta quella di “utente”. Ma – come dicono dati di recente rilevazione – che la pubblica amministrazione tratta ancora solo nel 10,8%
dei casi come un ambito che richiede attenzione costante con strumenti di ricerca e valutazione28.
A conclusione di questa premessa moderatamente ottimistica sulle condizioni di contesto che rendono oggi irrinunciabile il presidio istituzionale di processi relazionali (da e verso l’esterno) si pone naturalmente il tema del nutrimento
di questa crescita di scambi attraverso contenuti che appartengono solo alla logica delle riforme. Cioè alla logica dei cambiamenti, che induce anche la burocrazia a rinunciare al suo eterno principio di “carta che corrisponde a carta” quando è in gioco la prospettiva di confermare alla società che essa sa e può gestire
anche “carte che corrispondono a realtà”.
Va da sé che la riforma delle riforme che da senso complessivo a questa logica è proprio quella della stessa pubblica amministrazione, terreno declamatorio,
spinoso, a passo di gambero per i governi tanto di uno schieramento quanto dell’altro. E riforma che seleziona brutalmente all’interno della stessa organizzazione pubblica, inducendo ormai a scegliere modelli che rendano la struttura meno
costosa e di garanzia di maggiore rendimento. Dunque modelli che si schierano contro interessi corposi e sostanzialmente rivolti a condizioni parassitarie, al
rifiuto della cultura della valutazione e alla perpetuazione della forma autoritaria e auto-referenziale delle istituzioni 29.
Quanto alla cornice di un necessario accompagnamento istituzionale, di
garanzia e controllo, della relazione tra i processi di trasparenza e quelli comunicativi e relazionali, era emersa un’opportunità di affiancare alle funzioni della
Commissione per l’accesso presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di
recente riorganizzata, anche funzioni di stimolo e vigilanza a sviluppare una
seria e uniforme attività valutativa sul ruolo comunicativo della PA, trovando
27
28
29
Si veda Lorenzo Sacconi (a cura di), Etica della pubblica amministrazione, Guerini e Associati,
Milano, 1998. Anche in Gianni Bazzan, Pubblica Amministrazione &Cittadino-cliente-Dalla 241
alla Riforma Bassanini, Vannini, Cassago (Bs), 1997.
Fiammetta Mignella Calvosa, Il cittadino utente, nel Rapporto al Ministro per la Funzione
Pubblica su Situazione e tendenze della comunicazione istituzionale in Italia 2000-2004, op. cit.
Dopo un lungo periodo di inagibilità di ogni tentativo di mettere mano alla riforma della pubblica amministrazione con i suoi 3 milioni e mezzo di dipendenti e circa 300 mila contratti precari
(stranamente anche con un governo che prendeva le sue mosse programmatiche dall’esigenza del
sistema economico-produttivo di operare in un contesto in cui la PA esprimesse minore aggravio
risultando più produttiva), il 2007 si è aperto con un protocollo di intesa tra governo e sindacati
teso – come si è espresso il Ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa – a “gestire le
amministrazioni in funzione di una produttività maggiore” e – come si è espresso il Ministro per
187
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
altresì soluzione alla crisi di interfaccia istituzionale che la stessa applicazione
della legge 150 a fatto misurare negli ultimi tempi. L’ipotesi è stata fatta cadere
ma il problema di qualificare una sede istituzionale in ordine alla vigilanza del
settore resta aperta anche come istanza qui riproposta30.
188
4. Relazionalità e interattività
Si tratta ora di entrare sul terreno dei processi reali e delle connesse funzioni.
La problematica che abbiamo brevemente introdotto può essere letta attraverso due profili distinti: quello della relazionalità e quello della inter-attività.
In questo profilo non è ricompreso – se non in una cornice assai più vasta di
“relazioni esterne delle amministrazioni” – il principio dell’ “esternalizzazione”
da intendersi come ambito di gestione di attività in outsourcing31.
Il primo – il profilo della, o meglio delle, relazionalità32 - segnala essenzialmente le dinamiche che muovono dagli interessi dell’amministrazione e sono
dirette a molteplici target (interni ed esterni, sociali e istituzionali, individuali e
collettivi) per molteplici obiettivi, tra cui:
• per sviluppare adempimenti,
• per costruire reti di conoscenza,
• per creare architetture organizzative nei flussi informativi,
30
31
32
la Funzione Pubblica Luigi Nicolais – ad “avere una pubblica amministrazione capace veramente di raggiungere i cittadini e di essere motore dello sviluppo”. Date le dichiarazioni di parte sindacale che sbalorditivamente non collocano una vera riforma sul principio del “minor costo,
maggiore rendimento” tra le priorità del paese (Raffaele Bonanni su La Stampa del 7.1.2007 “Gli
statali? Non sono il primo problema”) e data l’immediata opposizione della dirigenza pubblica al
memorandum siglato tra governo e sindacati, c’è da pensare (ad inizio 2007) che questo processo parta nuovamente in pesante salita.
Sulle connessioni tra le leggi 241/1990 e 150/2000 riflessioni sono state svolte da molti studiosi, tra cui più e meglio da Gregorio Arena. Si veda in proposito La funzione di comunicazione
nelle pubbliche amministrazioni, Maggioli, 2002. Quanto alla legge 241/1990 si ricorda che l’8
marzo 2005 è entrata in vigore la legge 15/2005 recante Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa, in cui sono state recepite nuove problematiche (privacy, normative comunitarie, obblighi di comunicazione, un diverso
ruolo della Commissione per l’accesso ) pur sollevando – il riferimento è proprio alle analisi di
Gregorio Arena – dubbi sui profili di tutela della trasparenza.
Sulla materia si veda Giovanni Vetritto (a cura di), L’esternalizzazione strategica nelle amministrazioni pubbliche, Rubbettino 2006, e anche il rapporto promosso dal Dipartimento della
Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Le esternalizzazioni nelle amministrazioni pubbliche – Indagine sulla diffusione delle pratiche di outsourcing, a cura di Maria
Letizia D’Autilia e Nereo Zamaro, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2005.
Per un inquadramento generale delle relazioni pubbliche gestite dalle organizzazioni complesse,
Manuale di relazioni pubbliche, a cura di Emanuele Invernizzi, prima parte Le tecniche e i servizi di base, seconda parte Le competenze e i servizi specializzati, McGraw, Milano edizioni rivedute 2005 e 2006.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
•
•
•
•
per creare condizioni di servizio,
per accompagnare funzioni e responsabilità,
per gestire eventi,
per motivare e coinvolgere filiere operative e professionali interne ed esterne,
per svolgere rappresentanza istituzionale.
Il secondo – il profilo della, o meglio delle, inter-attività – segnala, anche nella
logica di attuazione del punto precedente, le dinamiche che possono muovere
dagli interessi di interlocutori esterni (individuali e collettivi, pubblici e privati) nel creare flussi informativi e comunicativi che producono adempimenti
obbligati o volontari33.
Si postula che l’istanza relazionale muova dall’esterno. Oppure che, su stimoli generati dall’interno attorno ad uno dei punti in precedenza richiamati, si
determinino spinte (occasionali o permanenti) a modificare (parzialmente o
integralmente) il contenuto dell’approccio nel senso di costituire nuove fonti di
iniziativa che richiedono di volta in volta:
• capacità di intercettazione,
• strumenti adeguati di trattamento,
• organizzazione di riscontro,
• erogazione del servizio corrispondente,
• valutazione del valore aggiunto determinato,
• implementazione della reputazione consolidata presso il target di riferimento.
L’insieme di queste funzioni identifica un complesso di possibili prestazioni
relazionali ciascuna delle quali esprime una sua specialità tecnico-professionale che consente di assemblare in format assai articolati:
• conoscenze di marketing,
• competenze di ricerca e di analisi interpretativa,
• adozione di linguaggi,
• assunzione di progressivi livelli di iniziativa,
• coniugazione a prodotti e servizi di comunicazione,
• idoneità a trasferire il portato della relazione a livelli superiori o differenziati nel quadro delle competenze interne.
Come sarà facile intuire questa varietà specialistica si moltiplica per le tipologie distinte degli interlocutori possibili, ciascuna delle quali costituisce
un’area di analisi e di attenzione che non andrebbe improvvisata ma, al contra-
33
Analisi dei processi interattivi in Carla Bertolo, L’interfaccia e il cittadino-Comunicazione pubblica tra tecniche e riflessività, Guerini Studio, Milano, 2005.
189
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
190
rio, coltivata nel tempo con progressivi livelli di conoscenza e di penetrabilità.
Si presuppongono infatti distinti processi relazionali 34:
• verso il cittadino,
• verso gruppi sociali,
• verso soggetti di interesse socio-economico,
• verso le imprese,
• verso altre istituzioni,
• verso soggetti con capacità di incidenza/decisione nel sistema produttivo e
attuativo delle norme.
Il doppio livello della matrice delle prestazioni deve essere caso per caso
meglio identificato per promuovere, in una prospettiva organizzativa, il quadro
più chiaro possibile di funzioni e connessi profili professionali.
Immaginando la matrice delle prestazioni come il punto di incrocio tra culture interne e macro-aree esterne (soggetti e attese fondamentali) si colgono oggi
tre concentrazioni dissimili (con sollecitazioni della politica a privilegiare, a
seconda dei punti di vista, l’una o l’altra) e una trasversalità che punta a incrociarle:
• una spinta allo sviluppo delle capacità relazionali è originata dall’esigenza
di avvicinare le pubbliche amministrazioni al sistema di impresa, attraverso
soprattutto la velocità di accesso a dati e atti che legittimano e agevolano i
processi produttivi, attraverso i processi di semplificazione e attraverso
sinergie nello sviluppo delle politiche di sostegno alla competitività, terreno
che si esprime nell’ambito degli “sportelli unici” ma che si alimenta soprattutto nella convegnistica;
• una spinta allo sviluppo delle capacità relazionale è originata dall’esigenza
di avvicinare le pubbliche amministrazioni al cittadino inteso come persona, come utente/contribuente, come titolare di diritti riguardanti ambiti di
tutela individuale (privacy, educazione, salute, eccetera), terreno che si
esprime nell’ambito degli “URP” ma che si estende a tutte le forme di cerniera in cui la funzione pubblica intercetta, punto per punto, le sue vaste
utenze;
• una spinta allo sviluppo delle capacità relazionale è originata dall’esigenza
di avvicinare le pubbliche amministrazioni a luoghi pubblici e privati che
34
I canoni tradizionali di interpretazione del marketing hanno visibilmente sofferto l’ampliamento
disciplinare verso i settori pubblici e sociali. “Negli ultimi dieci, quindici anni – è scritto nell’introduzione del rinomato manuale Marketing a cura di Luigi Guatri, Salvatore Vicari e Renato
Fiocca, Mc-Graw Hill, Milano, 1999 – la letteratura di marketing si è arricchita di un numero
crescente di contributi, tutti tendenti a dimostrare quanto fosse opportuna l’applicazione del
concetto e dei tipici strumenti di marketing a contesti sempre più lontani da quelli che hanno originato tale disciplina. È opportuno, in proposito, affermare, si da ora, che alcune proposte interpretative e applicative rappresentano obiettive forzature di metodo e di contenuto”. Il filone di
ricerca nell’area pubblica e sociale del marketing si è tuttavia sviluppato e accreditato (se ne da
conto in altro punto di questo capitolo) e ha tra i suoi primi contributi metodologici riguardanti
l’approccio italiano il testo di Giorgio Fiorentini, Il marketing dello Stato, Bibliografica, Milano.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
erogano servizi socio-culturali, ambiti di mediazione tra dinamiche collettive e dinamiche individuali, intesi come corpi intermedi riconosciuti dalle
istituzioni come “sociali” e dal cittadino come “istituzionali”, terreno che ha
la sua mappa nella rete degli eventi locali;
• una spinta allo sviluppo delle capacità relazionale è originata dall’esigenza
di avvicinare le pubbliche amministrazioni a tutti i soggetti che sono alimentati da stimoli al contatto (dallo studente che svolge ricerche alla associazione di impresa che vuole esercitare pressioni sulle regole) e che hanno individuato l’web come territorio della relazione, con la forza della sua strumentazione, la cultura dei suoi presidi e i limiti della sua azione di promozione
dell’accesso35.
Rispetto alla ormai diffusamente chiarita distinzione tra informazione e
comunicazione, laddove il trasferimento della notizia costituisce approccio culturale e professionale diverso dalla sua percezione e dal sistema di interazioni
che ne conseguono, una variante definitoria del processo relazionale potrebbe
anche essere contenuta nella composizione del segmento comunicativo inteso:
• come prodotto (con varie sovrapposizioni ai profili strutturali dell’informazione);
• come processo (con varie sovrapposizioni ai profili propri dell’architettura
relazionale).
Resta però concettualmente necessario mantenere la distinzione definitoria
qui in generale postulata, proprio perché tale architettura relazionale costituisce
l’impianto organizzativo a monte, fatto di procedure, presidi, tecniche di ascolto, modalità delle gestioni riorganizzative, eccetera,
• rispetto ai contenuti che per l’appunto (in diverse tipologie e format) scorrono all’interno di questa rete precostituita;
• e pure rispetto alle culture comportamentali che si formano – tra gli interlocutori – nella fruizione di tali contenuti.
5. Fattori strutturali dello scenario
Alcuni fattori di scenario, soggetti a forte trasformazione, intervengono come
parti di un teatro obbligato nello svolgimento di queste prestazioni. Essi hanno
tratti comuni:
• implicano un reale padroneggiamento tecnico e culturale;
• determinano nessi ormai strategici nella cultura del management dell’amministrazione;
• comportano – nella varietà delle tipologie professionali che possono eserci35
Spunti di riferimento in Giancarlo Fornari, La nuova comunicazione pubblica, Il Sole 24 Ore,
Milano 2004 e in Mattia Miani, Comunicazione pubblica e nuove tecnologie, Il Mulino, Bologna
2005; sui processi di e-democracy Alessandro Papini (a cura di), Dossier E-democracy, in “Rivista
Italiana di Comunicazione Pubblica”, Franco Angeli, Milano, 2005.
191
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
192
tare le relative funzioni (con provenienza giuridica, sociologica, economica,
tecnico-amministrativa, scientifica, eccetera) – una irrinunciabilità rispetto a
qualunque funzione esercitata;
creando così una base (formativa e operativa) comune che permea l’identità di
questo nuovo, ma ormai diffuso, settore professionale delle amministrazioni.
Per sintesi e semplicità espositiva abbiamo qui limitato tali fattori ai tre essenziali, che riguardano la tecnologia, la socialità, la comunicatività.
5.1 Il fattore tecnologico
L’avvento della nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione e il
rapido diffondersi dei nuovi media (internet e la telefonia mobile in primis) nella
società italiana hanno non solo accompagnato ma, come appare dal corpo di leggi
più recenti36, anche guidato la radicale trasformazione della PA nel nostro Paese.
Una trasformazione che ha comportato una profonda modificazione e re-ingegnerizzazione di pressoché tutte le procedure, i processi e i codici della macchina
organizzativa pubblica. E naturalmente le sue funzioni relazionali.
In meno di un quindicennio, l’intero sistema pubblico-privato si ritrova a
dover inseguire le nuove istanze inter-relazionali emergenti nella società. E la
PA italiana, in mancanza di una vera e propria propedeutica all’acquisizione del
fattore tecnologico, risponde dando seguito ad un importante – e necessariamente radicale – processo di ripensamento del proprio ruolo e delle proprie funzioni nella società: caratterizzato dalla ricerca di nuove soluzioni tecnologicoorganizzative capaci di ridefinire una struttura basata su sistemi cartacei e
codici comunicativi prevalentemente di tipo informativi, a spazio di interazione mediata e comunicazione pluri-direzionale con i propri pubblici di riferimento ed in generale con i cittadini;
• in cui l’informatizzazione della PA diviene insieme obiettivo e percorso
verso la costruzione di quella sfera pubblica digitale, nuovo paradigma della
modernizzazione verso una società più globale.
L’anarchica fase di sperimentazione dei primi anni della cosiddetta new-economy, caratterizzata dal fiorire di tentativi ed esperienze a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica italiana – dalla nascita dei primi siti internet dei singoli enti, alle reti civiche, ai primi servizi digitali – pone le basi per l’elaborazione ed il consolidamento di modelli e format che negli anni andranno a definire
le linee guida nazionali per lo sviluppo della società dell’informazione.
36
Dalla legge n. 59 del 1997, il D.P.R. n. 445 del 2000 (il testo unico sulla documentazione amministrativa) al “Codice dell’amministrazione digitale”, frutto del decreto legislativo n. 82 del 2005,
che ha poi assorbito il decreto legislativo 42 del 2005 relativo all’istituzione del “Sistema pubblico di connettività”. Per un quadro complessivo della normativa si rimanda al sito del Centro
Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
La stessa struttura ministeriale di riferimento in due fasi riaccorpa e indirizza
le diverse esperienze nazionali e inizia ad operare una armonizzazione con il
quadro delle esperienze e degli indirizzi comunitari37. Da questo punto in poi è
possibile riannodare i fili della rivoluzione tecnologica della pubblica amministrazione italiana attraverso tre grandi dimensioni e linee guida del cambiamento, qui colte nella loro incidenza trasversale circa le funzioni che le amministrazioni svolgono mettendo in connessione soggetti interni ed esterni ad esse.
a) La dimensione dell’inclusione digitale intesa non solo come funzione avente per oggetto la relazione tra tecnologie informatiche e disabilità (accessibilità), quanto piuttosto come diritto dei cittadini di poter beneficiare delle
nuove opportunità offerte dalla Società dell’Informazione e più ampia categoria di trasformazione culturale volta a rafforzare la capacità di connessione relazionale tra la PA e i propri interlocutori attraverso interventi miranti
alla riduzione dell’esclusione digitale intesa:
• in funzione tecnologica come ampliamento delle possibilità di accesso ai
requisiti della rete e ai sistemi di tecnologia avanzati;
• in funzione cognitiva come crescita della conoscenza informatica attraverso la promozione di programmi di alfabetizzazione digitale;
• in funzione amministrativa verso contesti di semplificazione dei canali di
fruizione delle informazione e dei servizi della PA.
b) La digitalizzazione del servizio pubblico, che rappresenta il propulsore della
trasformazione della sfera pubblica, caratterizzata sia da una profonda organizzazione delle nuove procedure e degli strumenti di relazione con l’esterno (firma digitale, protocollo informatico, posta elettronica certificata e
archiviazione digitale), sia da una articolata revisione dei modelli organizzativi interni alla macchina organizzativa e degli strumenti ad essa correlati
(documento informatico). L’eGovernment38 assume qui il ruolo di cornice
organizzativa in cui si sviluppa la trasformazione delle relazioni interne ed
esterne della PA attraverso le tecnologie dell’informazione. Il fruitore del servizio (cittadino, impresa, ente) è al centro dell’attività della PA come terminale del cambiamento. I servizi si misurano ora nella capacità di arrivare
all’utente finale e nella sua soddisfazione rispetto alla fruizione.
c) La cultura della partecipazione, che misura i risultati della tecnologizzazione della sfera pubblica andando a verificare il grado di adesione degli attori
al complesso di scenari messi in campo dalla PA. Il concetto di partecipazione digitale rimanda non solo a forme di fruizione proattiva del servizio, o a
logiche di tipo consultivo volte all’acquisizione di informazioni rispetto alla
percezione e alla opinioni dei fruitori in merito a determinate issues. Ma
37
38
Piani d’azione eEurope 2002, eEurope 2005 per lo sviluppo della Società dell’informazione e
l’iniziativa “i2010: una società europea dell’informazione per la crescita e l’occupazione” promossi dalla Commissione delle Comunità Europee (http://europa.eu.int).
Per un approfondimento sul Piano d’Azione e-Government 2000 e successivi, si rimanda al sito del
Sito del Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie (www.innovazione.gov.it).
193
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
conduce ad un più ampio concetto di partecipazione democratica alla vita
delle istituzioni mediante interventi sui livelli decisionali dell’amministrazione. La e-Democracy39, non solo tendenza evolutiva dei sistemi della rappresentanza verso ambiti di democrazia diretta ma soprattutto promozione di
nuove forme di partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica attraverso l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione,
s’innesta in un più ampio processo di riavvicinamento del cittadino alle istituzioni politiche del paese, in uno scenario di ridefinizione della cornice
delle relazioni (e delle modalità di relazione) tra tutti i soggetti della sfera
pubblica e di riaffermazione della centralità politica dell’individuo, in forma
singola o associata, nella definizione delle proprie matrici di rappresentanza, non più legate a pochi ambiti elettorali, ma ampliati a criteri e processi
pluri-rappresentativi.
194
5.2 Il fattore sociale
Esso è costituito, anche nel sistema delle attività relazionali, dalla crescita di
una cultura del servizio che crea di per sé valore aggiunto nella prestazione.
Il mutamento nella relazione tra pubblico e privato – consolidato dalle riforme costituzionali – ha legittimato un’attenzione diversa delle amministrazioni
nei confronti del proprio sistema di relazioni, che impone un presidio e un’organizzazione della propria attività relazionale, non integralmente riferibile all’insieme di funzioni di comunicazione in capo all’URP.
È diffusamente cambiato il modo di relazionarsi con gli attori del sistema che
introducono ormai il bisogno di interagire con l’amministrazione come “sistema
aperto” in cui l’interazione con l’ambiente esterno diventa parte costitutiva e non
ridondante del funzionamento stesso. È in tale cornice che si comprende pienamente che le amministrazioni non possono più trascurare il fattore sociale – presente a tratti nelle priorità e nella formazione degli operatori – secondo un processo che impone di cambiare cultura organizzativa superando l’autoreferenzialità che le ha caratterizzate e protette nei confronti della complessità ambientale
crescente40.
Questo orientamento naturalmente non si deve limitare all’area delle competenze della PA in materia appunto “sociale”, in cui resta comunque aperto il problema di ruoli distinti ma sinergici rispetto alle fonti private e associative della
comunicazione sociale, ma deve portare cultura del sociale in tutta la filiera
amministrativa in particolare quella che presenta vaste superfici di relazioni con
39
40
“Avviso nazionale per la selezione di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale (e-democracy)” promosso dal Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie in attuazione della IV linea di
azione del piano di e-government. La documentazione è disponibile sul sito del Comitato
Strategico per l’innovazione e le tecnologie (www.crcitalia.it).
Fiammetta Mignella Calvosa, Il cittadino utente, in Rapporto al Ministro per la Funzione Pubblica
“Situazione e tendenze della comunicazione istituzionale in Italia (2000-2004)” op.cit.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
utenze esterne41.
Lo stereotipo che annullava la responsabilità del funzionario di essere garante della corretta applicazione delle norme precede la legge 241/90 ma inevitabilmente si prolunga anche nella contemporaneità, in cui si riapre il dibattito:
• per recuperare il ruolo di mediazione tra norme e cambiamento sociale;
• ritrovare anche la capacità di analisi della coerenza tra le leggi e il bisogno
sociale che esse sorreggono.
È vero che il citato modello di “amministrazione condivisa”, che sorregge dal
punto di vista teorico questo ragionamento, stenta a svilupparsi, anche se negli
ultimi anni una certa pressione sociale e l’evoluzione normativa (le già citate
riforme nella direzione della sussidiarietà, ma anche la direttiva sulla customer
satisfaction del 2004 e la normativa in materia di comunicazione) stanno lentamente inducendo le amministrazioni a investire di più sul valore del capitale
relazionale nel senso di dichiarare strategie sociali nella gestione degli strumenti comunicativi42.
Il rapporto tra cittadini e servizi pubblici è centrale in questa trasformazione.
In esso si legge con chiarezza una percezione metaforica di tutta la funzionalità
o la disfunzionalità del settore pubblico, trasformandosi così il corretto funzionamento del “servizio sotto casa” in una positiva idea del più vasto funzionamento delle istituzioni. E naturalmente viceversa43.
La domanda di sevizi pubblici qualitativi ed efficienti ha stimolato la visione
del cittadino nel ruolo non più di utente bensì di cliente, soggetto ciò valutativo, convalidata dall’introduzione, all’inizio degli anni ’90, delle Carte dei servizi, intese come dichiarazioni preventive di un patto riguardante contenuti e
modalità dei servizi resi44. Al di là dell’effettivo diffuso funzionamento di questo strumento, l’applicazione delle amministrazioni alla sua introduzione ha
modificato la relazione tradizionalmente conflittuale. E ha moderatamente contribuito:
• a far uscire, almeno teoricamente, il cittadino dal ruolo passivo di amministrato per attribuirgli più “sovranità”;
• ha introdotto nei sevizi pubblici un “orientamento al cliente” che ha incri41
42
43
44
Si veda in ordine al ruolo dei soggetti privati e associativi Giovanna Gadotti (a cura di) La comunicazione sociale. Apogeo, Milano 2001 e sul ruolo della PA nel settore il paragrafo sulla
Comunicazione sociale, in Stefano Rolando (a cura di) Teoria e tecniche della comunicazione
pubblica, op.cit.
Lucia D’Ambrosi e M. Valentina Giardina, Amministrazione pubblica e partecipazione, Carocci,
Roma, 2006.
Nel 2004 Civicom ha realizzato per Confservizi una ricerca sul tema Cliente & cittadino - Indagine
sulla percezione sociale del valore dei servizi pubblici, a cura di Nadio Delai e Stefano Rolando,
presentata nell’ambito della Giornata dei servizi pubblici locali, Verona 10 maggio 2004, in cui il
dato è al centro dei risultati della rilevazione demoscopica.
Un ampio dossier (normative e case histories) in La città più bella, a cura della Cispel, presentazione di Franco Bassanini, prefazione di Chicco Testa, introduzione di Renato Strada, D’Anselmi
editore, Roma, 1996.
195
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
196
nato il tradizionale “sguardo abbassato” delle burocrazie per far crescere
consapevolezza di ruolo all’interno del valore sociale aggiunto;
ha portato a riconoscere e normare altri bisogni espressi dai cittadini nei
confronti delle amministrazioni (oltre alla esigenza di efficienza e di efficacia), dal diritto all’informazione a quello alla partecipazione per realizzare
una forma di cittadinanza “amministrativa” che integri stabilmente la più
alta forma di cittadinanza, quella politica45.
Dunque da cittadino a utente, da utente a cliente e a chiusura del ciclo ancora da cliente a cittadino. Dove la percezione della titolarità di diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti e garantiti induce la PA ad una missione
complessa in cui essere azienda è necessario ma non sufficiente.
Nelle ancora poche innovative esperienze di partecipazione messe in atto
soprattutto dalle amministrazioni locali, si è in tale quadro superata la visione
dei cittadini come “amministrati” per passare ad una visione di cittadini “alleati” da coinvolgere nelle decisioni per stabilire livelli più relazionali e argomentati di consenso.
La cultura sociale naturalmente è nutrita da progetti di formazione e di ricerca che, nell’ambito delle competenze assegnate, mantengano in tensione la capacità interpretativa delle amministrazioni.
5.3 Il fattore comunicativo
Gli snodi individuati come spinte all’attività di relazione delle pubbliche
amministrazioni (per avvicinare il sistema delle imprese, per avvicinare il cittadino-utente, per avvicinare le “istituzioni” culturali e sociali), si caratterizzano
per la comune immersione in una scenografia comunicativa: la comunicazione
è infatti al contempo pre-condizione e strumento di declinazione operativa del
processo relazionale e inter-attivo.
Forse proprio in questa compenetrazione tra comunicazione e informazione
può rintracciarsi un limite della legge 150/2000 che, pur nella pretesa d’essere
una legge-quadro, si dettaglia, come si è già osservato, in strutture e figure che
mirano ad assicurare le premesse per l’interattività e la relazionalità assai più
che la comunicazione. Letta con l’evoluzione del quadro applicativo, essa
rischia di non riuscire a comprendere la dinamica di tutte le connesse prestazioni. Portando così elementi di contraddizione all’unica struttura-contenitore prevista, quell’URP che nel nome stesso manifesta tuttavia la priorità dell’“apertura” delle pubbliche amministrazioni (ossia della perdita di inespugnabile autoreferenzialità) rispetto alla previsione di processi formalizzati di esternazione.
45
Gregorio Arena, La funzione di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, op. cit.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
Nondimeno, la progettazione e la gestione dei servizi e dei prodotti di comunicazione richiede presidi (formalizzati in strutture oppure no, interni oppure di
supporto consulenziale) differenti rispetto a quelli preposte all’ascolto o all’accompagnamento nell’erogazione del servizio. Nel concreto infatti, come ricordato in apertura di questo capitolo, la compressione di funzioni di comunicazione
e di relazione nel solo URP non si è realizzata; si è assistito invece a una declinazione organizzativa – per lo meno funzionale – assai più articolata.
Articolazione organizzativa che si traduce in una pluralità di servizi e prodotti:
• il sito Internet, attivato complessivamente dal 86,1% delle amministrazioni
(quelle Centrali nel 97% dei casi)46;
• “eventi”, intesi come convegni e conferenze (realizzati dall’81% delle amministrazioni), ai quali possiamo sommare le conferenze stampa (69,4%)47;
• opuscoli e brochuristica in genere (80,7%);
guide (58%);
• libri e quaderni (con un 31,4% di media d’utilizzo che nasconde il 75% delle
amministrazioni centrali);
• newsletter (28,3%);
• Cd-Rom (36%) e video (25,9).
L’elencazione delle tipologie di servizi e prodotti e la percentuale di casi
acquisiti dimostrano:
• che le amministrazioni riescono a “inventarsi” il modo per gestire – se non
propriamente presidiare – la complessità della produzione di contenuti;
• che ciò è dovuto nella maggioranza dei casi alla capacità della struttura organizzativa di attivare sinergie (ricordando che quasi la metà della amministrazioni dichiara una positiva collaborazione, che si può leggere in termini di
“supplenza” degli Uffici Stampa nella progettazione dei prodotti);
• che si comprendere così l’affermazione (di oltre 7 amministrazioni su 10)
che i profili disegnati dalla legge siano sufficienti a coprire le esigenze; salvo
poi ammettere alcuni desiderata (incrementi di funzioni): operatori Internet
(richiesti nel 71,3% dei casi), tecnici pubblicitari (59,1%), responsabili delle
mediazioni coi soggetti economici (45,7%), organizzatori di eventi (38%)48.
46
47
48
Le etichette “sito vetrina” e “sito di servizio” richiamano rispetto al dato complessivo la problematica della unilateralità/bidirezionalità e interattività della progettazione dei siti pubblici, dove
soltanto la seconda tipologia rimanda alla volontà di reale comunicazione con gli utenti.
Come ricorda Guglielmo Trillo, autore del capitolo Eventi nel citato Rapporto del 2004, “fra le
attività di comunicazione che le PA hanno intrapreso negli ultimi due anni non compare la voce
eventi come forma a se stante di comunicazione” e gli eventi come convegni e conferenze stampa si caratterizzano in tono minore -per carattere, valenze e finalità - rispetto all’evento inteso
in senso proprio. Non a caso, “alla voce strutture l’ufficio eventi risulta il meno formalizzato nell’organigramma delle amministrazioni” (11,8%, ossia sesto dopo URP, Ufficio Stampa, Ufficio
Statistico, Ufficio Web, Ufficio Intranet), pur essendo la voce eventi quella a cui viene destinato
il budget più alto, 32,9%, rispetto a tute le altre attività di comunicazione”.
Le segnalazioni vanno lette alla luce del dato che delinea negli URP, attivati da oltre il 70% delle
amministrazioni, delle “microstrutture”, composte nella metà dei casi al massimo da 3 addetti.
197
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
198
Volendo sintetizzare, servizi e prodotti ci sono. Ma le stesse amministrazioni
ammettono che all’elevata produzione non corrisponde una medesima attenzione per la fase di progettazione: manca una linea editoriale coerente (72,1% degli
intervistati) e addirittura manca progettualità grafica (65,2%).
Questo significa – e qui sta il suggerimento e la proposta di riflessione – che i
differenti presidi organizzativi formalmente o pionieristicamente creati non sono
mantenuti “in tensione” e connessi tra loro. Non sono cioè allineati gli obiettivi
strategici, nell’ottica della piena realizzazione del paradigma di comunicazione
integrata che il legislatore richiama più volte senza che attecchisca, a causa della
lenta metabolizzazione del concetto di “cultura comunicativa” nelle pubbliche
amministrazioni riscontrabile:
• nella scarsissima presenza di una struttura di coordinamento (sul totale delle
amministrazioni censite nel Rapporto per il Ministro della Funzione
Pubblica, solo il 41,5% ha istituito una struttura di coordinamento49;
• dalla conseguente mancanza di una cultura della pianificazione, testimoniata dal dato – sempre tratto dal citato Rapporto – di redazione di un Piano di
Comunicazione annuale da parte di due amministrazioni su dieci50;
• che a sua volta comporta una pressoché totale assenza di cultura della valutazione capace di provvedere a correttivi in itinere e a orientare le scelte successive.
Tuttavia, la trasformazione del fattore comunicativo, che insistiamo a definire
come una “quinta permanente” delle dinamiche relazionali e interattive, è sicuramente in atto. Tanto da far pensare che presto la valutazione sulla progettazione e sulla gestione della attività e dei prodotti comunicativi potrà essere effettuata non più soltanto secondo una prospettiva interna (ovvero in base alla capacità del modello organizzativo di assicurare accesso e trasferimento, mettendo in
connessione e implementando l’uno con l’altro i differenti presidi formati nelle
prestazioni) ma anche secondo una prospettiva esterna (facendo cioè muovere la
valutazione dalla rispondenza delle attività, e quindi dei prodotti, alle esigenze
dei soggetti destinatari). Questa attitudine comporta poi un terreno di fasatura tra
il presidio delle problematiche comunicative qui brevemente descritte e quello
che si riferisce alla relazione tra sistemi politico-istituzionali e sistema mediatico. Dunque il tessuto che investe una permanente relazione tra soggetti pubblici
e cittadini sottoposto:
49
50
Sul dato complessivo pesano soprattutto Comuni e Comunità Montane, mentre le Province,
Regioni e Amministrazioni centrali si attestano in un range compreso tra il 60% e il 70%. Per
approfondimenti sulla struttura di coordinamento si rimanda al citato Rapporto del 2004 e al
volume Poligoni Irregolari, a cura di Nicoletta Levi Dipartimento Funzione Pubblica, Regione
Emilia Romagna, Progetto URP degli URP - Grafitalia Reggio Emilia 2004.
Per approfondimenti ancora più recenti sul tema, si rimanda al volume Il Piano di comunicazione. Apprendere dall’esperienza a cura di Nicoletta Levi, Dipartimento Funzione Pubblica, Roma
2006.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
•
•
alle regole del mercato della notizia;
alle regole del protagonismo della politica rispetto all’amministrazione nel
costituire fonti dell’informazione;
alle regole del negoziato tra politica e media nella formazione delle dominanti del dibattito pubblico, ovvero della agenda setting51.
Nuove dinamiche della cultura comunicativa delle amministrazioni sono
comunque in atto. La spinta normativa è già iniziata: si pensi alla periodizzazione delle indagini sulla fiducia dei cittadini nelle amministrazioni52. La segnalazione nei testi di casi riusciti di Citizen Relationship Management anche su
suolo italiano lascia spazio per immaginare una interessante evoluzione53.
6. Oltre la legge 150
Il sistema relazionale diventa così un’area di sviluppo strategico e quindi
della modernizzazione della PA che va creando una condizione di “comparto”
che – soprattutto per le amministrazioni medio-grandi – obbliga a collocare i
profili organizzativi previsti dalla legge 150 in uno schema di funzioni e di
responsabilità più vasto. Esso si colloca nella rivalutazione del capitale relazionale che oggi è sostenuto da normative, tecnologie e politiche pubbliche in una
indispensabile discontinuità che tutte le analisi mettono in evidenza. “ Per
molto tempo il concetto di capitale relazionale – scrivono Lucia D’Ambrosi e
M.Valentina Giardina – è risultato estraneo, se non del tutto ignorato, alla pubblica amministrazione. La monumentalità delle infrastrutture, lo scarso uso
della segnaletica, la predisposizione di ambienti poco accoglienti e comunicativi, l’inesistenza di supporti telematici sembravano essere le immagini più frequenti delle strutture statali”54.
La citazione rinvia, tra l’altro, al grande tema dell’accoglienza, del décor,
della qualità ambientale del lavoro dei soggetti pubblici sia come problema in
sé sia in relazione all’accesso e alla fruizione da parte degli utenti di tali contesti. Tema importante:
• per le sue derivate culturali (la percezione della qualità ambientale come
problema di un patrimonio presidiato dai funzionari e dagli utenti nel rispetto di una “propria casa” e non di un “bene estraneo”);
• per le sue derivate finanziarie (l’incidenza della riqualificazione e della
manutenzione dei livelli di qualità);
51
52
53
54
Rolando Marini, Mass media e discussione pubblica – Le teorie dell’agenda setting, - Laterza, Bari
2006.
Ad esempio la Direttiva del Ministro per la Funzione Pubblica sulla Rilevazione della qualità percepita dai cittadini 2004.
Il Ministero degli Interni italiano segnalato da molti osservatori. Per approfondimenti, si rimanda all’articolo La comunicazione pubblica verso il CRM di Fiorenza Ballabeni e Claudio Forghieri
consultabile su www.forumpa.it . Per i casi europei più apprezzati, e citati dagli autori, l’esempio www.leeds.gov.uk e www.bcn.it (Comune di Leeds e municipalità di Barcellona).
Lucia D’Ambrosi e M. Valentina Giardina – op.cit.
199
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
200
per le sue derivate progettuali che, pur nel rispetto dell’autonomia della rappresentazione di sé di ciascuna amministrazione in rapporto alla propria
identità e al percepito stilistico del proprio segmento sociale), dovrebbe
comportare un univoco approccio metodologico e di determinazione delle
priorità generali.
Tornando al tema del capitale relazionale bisogna qui collocare l’analisi,
anche tesa a nuove implementazioni, sui dati conoscitivi che recenti rilevazioni
hanno reso possibili. L’esperienza di radicamento degli URP dimostra (come il
citato Rapporto del 2004 ha documentato) una condizione infrastrutturale di
base che investe i due terzi dell’amministrazione italiana e che mescola operativamente funzioni comunicative e funzioni relazionali. “Il 72,4% di installazione degli uffici per le relazioni con il pubblico – è detto nell’introduzione di quel
Rapporto con riferimento al 55% delle pubbliche amministrazioni italiane che
ha risposto al questionario – non deve essere un dato sottovalutato qualunque
sia ancora la resa complessiva di uffici che hanno profili talvolta di relazione
sociale efficace, talvolta di puro e semplice tamponamento”55.
L’aspetto di ampliamento – riguardo alla legge 150 – è parte di un dibattito
ancora non sufficientemente sviluppato ma che dovrà impegnare – con elementi di ricerca e riflessione più mirati – l’immediato futuro.
Si tratta di valutare, una volta acquisiti adeguati dati:
• sul radicamento;
• sulla proceduralizzazione;
• sul perimetro di esperienza;
• sulla fasatura organizzativa con gli altri comparti sinergici;
• sull’acquisizione dei profili professionali in discussione;
se il trattamento di questo quadro di funzioni meriti un nuovo sostegno normativo e regolamentativo, ovvero collaterale alla legge 150 oppure disegnato nel
quadro di una rilettura del modello ormai articolato in:
• area delle relazioni con i media;
• area delle relazioni con il pubblico;
• area delle prestazioni comunicative;
connesse da un management delle strategie relazionali e comunicative che dia
razionalità e introduca tutte le sinergie necessarie tra:
• chi presidia sportelli permanenti;
• chi interfaccia il diritto di informazione;
• chi interfaccia il diritto di accesso e l’interlocuzione degli interessi organizzati;
• chi progetta e produce segmenti comunicativi tradizionali e innovativi;
• chi gestisce eventi;
55
Introduzione-Temi generali e proposte nel Rapporto Situazione e tendenze della comunicazione
istituzionale in Italia (2000-2004), op.cit.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
•
chi opera per la comunicazione interna;
chi cura la rete delle prestazioni relazionali.
In ogni caso l’attuale formulazione della legge 150 richiede un intervento correttivo che raccolga e ordini in modo più disteso la problematica qui in oggetto56.
201
7. La cornice del marketing pubblico
In alcuni contesti della PA italiana e comunque dei servizi di pubblica utilità
il comparto comunicativo e relazionale ha già caratteristiche organizzative proprie del marketing pubblico che connotano quindi una cornice disciplinare che,
tra le altre coinvolte, può esercitare un ruolo di regia (organizzativa e formativa)
nello sviluppo della cultura relazionale della PA
I mutamenti di scenario accennati in precedenza hanno determinato – combinati all’evoluzione del fattore normativo – la necessità, anche per i soggetti pubblici, di ripensare la relazione tra organizzazioni pubbliche e cittadini, non solo
in termini di efficienza ma anche in termini di cambiamento culturale che induca la PA ad adottare quello che può essere definito un orientamento al “marketing copernicano”57. All’utente viene riservato il ruolo di fonte della gerarchia
dei bisogni, pur espressi a volte con difficoltà di cognizione giuridica e per lo
più in forma conflittuale, attorno a cui l’ente si organizza:
• da un lato come servizio di valorizzazione e di interpretazione (riconducendo altresì la materia alla sua distinzione tra bisogni e diritti, cioè tra fronteggiamenti volontari e obbligati);
• dall’altro lato come gestore di atti e prestazioni capaci di intercettare concretamente le attese.
Quanto detto sull’evoluzione della domanda di servizi pubblici, divenuta
sempre più critica ed esigente, impone alla PA di rispondere orientandosi in
maniera totale alla soddisfazione dei bisogni espressi dai cittadini, soprattutto
con l’obiettivo strategico di recuperare, consolidare, rafforzare il rapporto di
fiducia tra enti e cittadini58.
56
57
58
Il dibattito sull’attuazione e sui temi di possibile innovazione, integrazione e riforma dell’attuale normativa è trimestralmente seguito da Rivista italiana di comunicazione pubblica, Franco
Angeli, Milano.
Antonio Foglio individua “il marketing copernicano” inteso come l’approccio in cui l’organizzazione si mette al completo servizio dell’utente, attorno al quale essa fa “ruotare” tutta la propria
attività di marketing, come una delle caratterizzazioni proprie del marketing pubblico rispetto a
quello privato. In Marketing pubblico, Franco Angeli, Milano, 2003.
Giorgio Fiorentini, Erika Mallarini, La relazione tra comunicazione e marketing, in Rapporto al
Ministro per la Funzione Pubblica Situazione e tendenze della comunicazione istituzionale in
Italia (2000-2004) op. cit.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
202
È questo un percorso strategico che presuppone capacità di piano. La necessità è quella di introdurre una integrazione59 del “modello burocratico” e di un
profilo funzionale di tipo economico-manageriale per offrire flessibilità, qualità
e adattabilità tra prestazioni e cambiamenti ambientali60.
L’adozione della cultura e dei postulati del marketing da parte gli enti pubblici, non è più una scelta opzionale. Essa è in realtà sollecitata dall’utenza che
legge nei doveri della funzione pubblica quello – al pari delle dinamiche commerciali dell’impresa – di riconoscere e distinguere i bisogni. E la legislazione
incoraggia il processo. La normativa relativa alla riorganizzazione della PA indirizza da tempo verso un modello amministrativo che sottende obiettivi riconducibili a quelli postulati tradizionalmente dal marketing61. Le leggi sulla semplificazione amministrativa, sulla trasparenza e sulla accessibilità degli atti,
le norme sulla qualità e la regolamentazione delle Carte dei servizi, oltre alla più
volte citata normativa sulla comunicazione, hanno costruito nel tempo l’orientamento al marketing come una delle formule del cambiamento culturale e organizzativo. Il significato invalso della disciplina è di essere un “processo necessario per pianificare e realizzare lo sviluppo, la promozione e la distribuzione di
idee, beni e servizi, per creare uno scambio che soddisfi le aspirazioni degli individui e delle organizzazioni”62.
Una definizione che contiene in sé un chiaro riferimento alla costruzione di
una relazione di scambio con attinenza sia alla sfera economica che agli aspetti sociali63.
L’evoluzione più recente della concezione del marketing da transazionale a
relazionale ha indotto gli studiosi a pensarlo come la funzione che “ricerca le
modalità di interfaccia più convenienti tra soggettività diverse” e che quindi
viene a “collocarsi in una zona molto particolare all’interno del sistema aziendale: esattamente sulla linea di confine tra l’impresa (organizzazione) ed il contesto esterno. Di conseguenza, esso assume la connotazione emblematica di attività aziendale a più stretto contatto con il pubblico degli interlocutori esterni,
acquisendo un ruolo di front structure dell’impresa (organizzazione)”64.
Si connota qui la cornice disciplinare che, tra le altre coinvolte e forse più di
altre, può esercitare un ruolo di regia (organizzativa e formativa) nello sviluppo
59
60
61
62
63
64
Giorgio Fiorentini, Erika Mallarin, La relazione tra comunicazione e marketing, in Rapporto al
Ministro per la Funzione Pubblica Situazione e tendenze della comunicazione istituzionale in
Italia (2000-2004) op. cit.
Aurelio G. Mauri, Il marketing per il settore pubblico, in Comunicazione di pubblica utilità –
Vol.1 Identità, politica, istituzioni, pubblica amministrazione, a cura di Stefano Rolando Franco
Angeli, Milano, 2004.
Tra le prime pubblicazioni ad avere posto i paradigmi dell’efficacia e dell’efficienza nella dinamica di “soddisfazione dell’utente” nella comunicazione pubblica, Silvio M. Brondoni (a cura di)
La comunicazione nell’azienda pubblica, Giappichelli, Torino, 1999, che contiene altresì lo scritto di Stefano Parisi La comunicazione pubblica come servizio all’utente.
La definizione così redatta dalla American Marketing Association è richiamata in Enrico Valdani
(a cura di), Marketing, Utet, Torino, 1995.
Aurelio G. Mauri op. cit.
Elena Giaretta, Business Ethics e scelte di prodotto, Cedam, Padova, 2000.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
della cultura relazionale della PA. Rispetto ad altre funzioni essa infatti inquadra maggiormente il tema della relazionalità e si conquista un ruolo di integratore nello sviluppo della cultura relazionale di istituzioni, enti pubblici ed altri
soggetti pubblici erogatori di servizi.
Si è detto che il tema supera i profili della ricerca di efficienza. Qui aprendosi le necessarie distinzioni tra dinamiche commerciali e dinamiche di servizio
pubblico a cui il marketing presta la sua strumentazione. Problema dei soggetti
pubblici è di adeguare un modello di comunicazione che sviluppi un sistema di
relazioni a due vie tra PA e cittadino. La richiesta del cittadino non è più solo
quella di una accountability ex-post, ma è quella di partecipazione e coinvolgimento a monte delle scelte e nei processi di metabolizzazione del rapporto tra
legge e quadro sociale. Il marketing pubblico assume, quindi, un’ulteriore caratterizzazione, quella di strumento della partecipazione65.
Vi sono, in realtà, oggi segmenti della PA che concepiscono l’attuazione delle
analisi delle attese e dei bisogni con approcci molto simili a quelli del marketing profit, i quali trovano già una necessaria distinzione con gli ambiti di gestione di servizi in regime di monopolio (sanità, istruzione, previdenza, sicurezza,
fiscalità etc.), e altre distinzioni in chi presidia il marketing caratterizzandosi
per la necessità di accompagnare il compiersi di comportamenti obbligatori.
Una gamma complessa di attitudini che si riconoscono comunque in una
costruzione “sociale” delle decisioni e della gestione delle relazioni in cui sono
centrali i bisogni dei cittadini, destinatari di riferimento del pubblico, con attenzione a profili percettivi disuguali ma tutti da servire imparzialmente (artt. 97 e
98 della Costituzione).
Allo stato attuale comunque, nonostante la legge 150 del 2000 legittimi strumenti di marketing in capo all’URP in grado di attivare processi “proattivi” nei
confronti dell’utenza, gli enti pubblici dimostrano ancora di rimanere, in generale e fatte le dovute eccezioni, legati ad una visione burocratico-amministrativa del marketing che si traduce nel prevalente utilizzo di strumenti di “osservazione passiva” della soddisfazione dei cittadini, non in un’attenzione a strumenti di “valutazione attiva”.
I dati sulla diffusione e percezione del marketing da parte degli enti pubblici
contenuti nel citato Rapporto al Ministro per la Funzione Pubblica “Situazione
e tendenze della comunicazione istituzionale in Italia (2000-2004)” dimostrano
quanto l’interpretazione del marketing come funzionale all’organizzazione efficace delle funzioni relazionali delle organizzazioni pubbliche sia ad oggi funzione presidiata organizzativamente solo da una parte delle istituzioni nel panorama della PA italiana:
65
Ancora Antonio Foglio parla, in questo senso, di marketing partecipato: “L’azione pubblica richiede larghi consensi, quindi non può essere fatta in solitario; ciò significa che il marketing pubblico deve essere aperto alla partecipazione di tutti, vale a dire, manager, personale dipendente,
nonché di cittadini utenti. La partecipazione che il marketing pubblico richiede non è solo quella a livello di consenso, ma è anche di scelte, azione, programmi, campagne di comunicazione,
ecc…Il marketing pubblico deve fare della partecipazione una sua fondamentale caratterizzazione; ciò significherà attribuire alla sua azione una grande credibilità”, op. cit.
203
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
•
•
204
•
il 42% della amministrazioni non contempla la funzione di marketing nel
proprio modello gestionale;
laddove la funzione vi fosse, essa assumerebbe il ruolo di dare informazioni
sui servizi (38.6%) o di promuovere l’immagine dell’ente (32%);
in rarissimi casi il marketing ha l’obiettivo di far partecipare i cittadini alle
scelte dell’ente (12.5%);
o di presidiare la domanda di prestazioni rivolte all’ente (8.4%).
E ancora, in un quadro che sottolinea la ancora forte fragilità di rapporto tra
dinamiche relazionali e supporti di ricerca:
• i servizi sono ancora organizzati esclusivamente sulla base delle normative
e gli strumenti di relazione con l’utenza non vengono interpretati come funzionali alla progettazione di servizi più efficienti;
• il 90% degli enti (malgrado le disposizioni della direttiva della Funzione
Pubblica del 24.3.2004) non dispone di un monitoraggio continuo della
“customer satisfaction” che, laddove venga perseguita, si realizza:
• in maggioranza attraverso il canale del contatto diretto con l’utenza (49.6%),
• ovvero, nella gestione dei reclami attraverso protocolli di risposta pre-stabiliti (29%)66.
8. Verso un ripensamento dei modelli organizzativi
Profilare una nuova cornice culturale e organizzativa nella coniugazione
delle funzioni comunicative e relazionali delle pubbliche amministrazioni è
dunque un’esigenza determinata da molteplici fattori:
• la complessità normativa che si è espressa tra gli anni novanta e gli ultimi
anni;
• il profilo più accentuato e quello meno accentuato nelle normative attorno
alle varie funzioni in questione;
• l’obsolescenza degli aspetti tecnologico-culturali della materia che presenta
cicli sempre più stretti (oggi attorno ai tre anni);
• i fattori di criticità gestionale della pubblica amministrazione italiana (tagli
alla spesa, criticità quantitative e qualitative degli organici, inadeguatezza
del management nei settori, problema di gestione dell’esternalizzazione dei
servizi);
• il nuovo perimetro sociale della domanda di prestazioni e servizi.
Da questi punti di partenza deve quindi prendere le mosse una discussione
tesa a generare nuovi traguardi consapevoli del rapporto tra costo della modernizzazione e beneficio sociale ed economico dell’efficacia conseguita.
66
Giorgio Fiorentini e Erika Mallarini, in Rapporto al Ministro per la Funzione Pubblica Situazione
e tendenze della comunicazione istituzionale in Italia (2000-2004), op.cit.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
Pur non essendo questa la sede di contestualizzazione del portato di questo
specifico tema nel contesto di una nuova modellizzazione dei profili professionali, organizzativi e funzionali della pubblica amministrazione italiana – che
pur sempre deve fare i conti in proposito con ipotesi adatte alla sua condizione
di “amministrazione disaggregata” per usare un’espressione di Massimo Severo
Giannini67 – si rinvia a tale dibattito di cornice sia in relazione alla specificità
del caso italiano sia in relazione all’impatto del processo di integrazione europea nella logica irrinunciabile del cambiamento68. E naturalmente deve qui essere ipotizzato che vi siano condizioni per ripensare con qualche successo al fattore organizzativo della PA, che generalmente è considerato uno dei fattori di
maggiore fragilità nazionale (pubblica e privata, secondo anche recenti impietose analisi che ripercorrono esperienze delle istituzioni e delle imprese come
segni di “incapaci cronici in un mondo complesso”)69 .
Un correlato organizzativo di facile comprensione è quello della non ridondanza di funzioni tra ruoli informativi, comunicativi, relazionali e loro trasversalità (snodi tecnologici, servizi di ricerca e interpretazione, funzioni connessi
allo sviluppo delle risorse umane, ecc.).
Funzioni che debbono sempre più essere pensate in chiave sinergica e coordinata (tra dentro e fuori, tra abiti decisionali ed esecutivi). Con alcune avvertenze:
• il modello organizzativo relativo a questa area naturalmente mantiene il suo
principio di flessibilità in rapporto alla tipologia del livello di ordinamento
e alla dimensione territoriale dell’utenza servita.
• esso avrà anche un punto di trattamento differenziato in ordine alla internalizzazione (parziale, integrale, solo limitata alla capacità di briefing) di funzioni che oggi trovano capacità esterne a sviluppare adeguato outsourcing.
• il principio che non dovrebbe essere troppo flessibilizzato – e che invece
risulta ancora adottato solo dal 41,5% delle amministrazioni pubbliche italiane70 – riguarda il riporto dell’insieme delle funzioni fin qua descritte ad
una responsabilità coordinante collocata in buona evidenza nello schema
delle line con capacità decisionale e con esposizione alla interlocuzione
diretta con l’autorità politica che presidia l’amministrazione.
67
68
69
70
Massimo Severo Giannini, Il pubblico potere. Stati e Amministrazioni pubbliche, Il Mulino,
Bologna 1986.
In proposito Marcello Fedele, Come cambiano le amministrazioni pubbliche, Laterza, Bari 1998
e Marcello Fedele, Il management delle politiche pubbliche, Laterza, Bari 2002.
Pierfranco Pellizzetti e Giovanni Vetritto, Italia disorganizzata, Dedalo, Bari 2006.
In Rapporto al Ministro per la Funzione Pubblica Situazione e tendenze della comunicazione istituzionale in Italia (2000-2004), op.cit.
205
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
9. Parametri per la valutazione e per la formazione
Questo contesto organizzativo è riferimento essenziale per fissare i parametri
di valutazione e i parametri della formazione.
Attorno a cui sia consentito svolgere qui alcune considerazione di orientamento generale.
206
9.1 I parametri di valutazione
L’apertura a un nuovo ambito relazionale spinge le amministrazioni pubbliche a doversi misurare con l’inedita priorità dell’agire amministrativo, che consiste nel putting customer first71. Questo principio pone le amministrazioni nella
condizione di essere sottoposte a “rendicontazione” al duplice scopo di:
• accertare che le funzioni attivate siano orientate al servizio all’utente-cliente (valore sociale);
• porre un controllo autoreferenziale alla propria attività (valore autoreferenziale)72.
Nonostante ciò la valutazione rappresenta una cultura e una procedura ancora con vaste aree di omissione e diseguali applicazioni nella PA.
Per esempio, nel segmento qui considerato, il D.Lgs. 29/93 e la successiva
legge 150/2000, sulle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche
amministrazioni, gettano solo le basi per il diffondersi di una cultura orientata
alla valutazione.
Nel quadro di prima attuazione della nuova legge questo è il dato autodichiarato dalle amministrazioni pubbliche (sempre rispetto al 55% di dichiaranti
rispetto al totale interpellato):
• il 30% delle pubbliche amministrazioni si pone il problema di adottare tecniche di valutazione delle attività svolte;
• il restante 70% non è in grado di coglierne il ruolo essenziale nell’accompagnamento di processi organizzativi, formativi e interpretativi dell’impatto
sociale73.
Questo rapporto non positivo ha varie ragioni. Prima di tutto la massa critica
attiva sull’argomento è assolutamente minoritaria. Molti operatori considerano
la materia “rischiosa”, non sostenuta da un assetto normativo forte, e in via del
tutto sperimentale per ciò che concerne la metodologia. La tendenza delle istituzioni esprime ancora al riguardo una certa “deresponsabilizzazione”, un prin71
72
73
Regione Toscana, Creare una pubblica amministrazione che lavori meglio e costi meno, 1995.
Stefano Rolando, Valutazione delle attività di informazione e comunicazione delle istituzioni e
della PA in – La comunicazione di pubblica utilità, op.cit.
Nel Rapporto citato, con particolare riferimento alla Introduzione, paragrafo su La criticità delle
funzioni di pianificazione e valutazione.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
cipio che nella cultura organizzativa si esprime spesso nella rinuncia ad assumere rischi e responsabilità.
A ciò va aggiunto un dato storico: la derubricazione nell’iter parlamentare
(per ragioni che non si approfondirono in tale sede) di due articoli sull’obbligo
di valutazione delle attività comunicative dall’originale “articolato Frattini” del
199474 .
Nonostante lo sviluppo della valutazione abbia incontrato molti ostacoli, resta
necessario che essa diventi parte integrante delle attività delle amministrazioni
e che, offrendo una visione di sintesi fondata su analisi puntuali e sull’applicazione di metodi specifici, rappresenti un momento di confronto con i risultati
dell’azione amministrativa contribuendo al processo decisionale.
I danni della marginalità della valutazione nelle attività comunicative e relazionali sono stati indicati:
• si è più volte sostenuto che la parzialissima attuazione dell’obbligo di pianificare è una evidente condizione di vanificazione di funzioni valutative,
mancando traccia delle ragioni e delle argomentazioni metodologiche e
amministrative che sorreggono le scelte da valutare;
• e a sua volta la parzialissima attuazione di serie valutazioni (condotte da
soggetti terzi rispetto alle responsablità degli operatori) è alla base di una
geografia di modelli organizzativi spesso non corrispondenti a nessuna
razionalità dell’efficienza ma alle tortuose strade prodotte dal caso o da esigenze di frammentare presunti poteri.
È tuttavia una condizione organizzativa e culturale irrinunciabile quella che
ripropone alle amministrazioni di considerare la funzione valutativa come
un’attività manageriale fisiologicamente integrata con le fasi di progettazione,
pianificazione e attuazione delle attività di comunicazione di un’organizzazione complessa, imprescindibile in funzione di una relazione consapevole con il
cittadino.
Ciò richiede che la valutazione sia intesa non più come atto finale, posto al
termine di operazioni di comunicazione, ma come un tentativo di riportare a
uno stadio esplicito i processi di attivazione del valore, facendone una componente stabile del management di programmi e attività 75.
I risultati che ne derivano portano a comprendere:
• non solo quanto vada migliorato il prodotto delle attività pubbliche (output);
• ma anche a verificare l’impatto dell’azione pubblica sul contesto economico
e sociale (outcomes);
• e infine a valutare la soddisfazione dei cittadini–utenti-clienti, i destinatari
ultimi dei servizi (customer satisfaction)76.
74
75
76
Il racconto dell’iter è sinteticamente contenuto nel citato testo Valutazione delle attività di informazione e comunicazione delle istituzioni e della PA di Stefano Rolando.
Gianfranco Rebora, La valutazione dei risultati nelle amministrazioni pubbliche, Guerini &
Associati, Milano, 1999.
Maria Vittoria Lupò Avagliano (a cura di), L’efficienza della Pubblica Amministrazione. Misure e
parametri, Franco Angeli, Milano, 2001.
207
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
208
Pertanto valutazione non equivale ad una semplice misurazione. Valutare
significa argomentare più che misurare, cioè dare un significato ad un fenomeno sulla base di obiettivi espliciti dichiarati. Le procedure di analisi e ricerca
sono fondamentali e l’analisi va condotta basandosi su capacità interpretative di
cui l’amministrazione deve essere espressione, qualunque sia il supporto di
ricerca che adotti e che la affianchi77 .
Fondamentale diventa, per ogni amministrazione, attraverso l’investimento di
risorse nella formazione, provvedere allo sviluppo di specifiche professionalità
che siano in grado di impiegare metodologie e tecniche provenienti da un contesto disciplinare composito. O gestire in modo competente forniture di servizi
sempre stimolati da una domanda dettagliata e mirata.
I responsabili del coordinamento delle funzioni di valutazione applicate alle
attività comunicative e relazionali devono in sintesi disporre di:
• indicatori oggettivi (per ri-orientare i percorsi organizzativi e dare credibilità esterna alla verifica);
• un lavoro interpretativo (che alimenta una formazione continua degli operatori).
Devono poi confrontare i risultati con i piani di comunicazione tenendo conto
di alcuni parametri che qui si ricordano come una matrice di base applicabile ai
settori in questione:
• analisi della strategicità (obiettivi generali, declinazioni operative, individuazione delle risorse, metodo di valutazione);
• articolazione delle operatività, ovvero della coerenza (cultura progettuale)della comunicazione integrata sia da un punto di vista normativo che
funzionale;
• analisi delle risorse professionali a disposizione;
• analisi del budget;
• analisi dell’impatto delle principali campagne;
• funzionalità dell’URP;
• analisi della mediatizzazione delle attività di comunicazione e degli eventi;
• analisi della “citizen satisfaction”;
• analisi della comunicazione interna;
• analisi delle conseguenze della comunicazione sull’organizzazione e sulla
pianificazione.
In conclusione la connessione che la funzione valutativa esercita tra organizzazione delle operatività, ruoli di coordinamento e livelli decisionali ha due
obiettivi sostanziali che ricadono sulle dinamiche della cultura amministrativa:
77
Nicoletta Levi (a cura di), Il piano di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, Edizioni
scientifiche italiane Spa, Napoli, 2004.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
•
crescita dell’efficienza (cultura economica) intesa come miglioramento organizzativo in termini di rapporto costi/benefici. Si consegue raggiungendo
l’obiettivo con il minore impiego di risorse possibile;
crescita dell’efficacia (cultura sociale) intesa come miglioramenti di impatto sociale generali sull’utenza, a livello di percezione, sul piano della funzionalità rispetto ai servizi e dal punto di vista della credibilità78.
209
9.2 I parametri formativi
Ripensare e ridisegnare una nuova cornice di interventi formativi che possano coniugare le due funzioni, comunicative e relazionali, è diventato per le pubbliche amministrazioni un must imprescindibile.
La cornice all’interno della quale inquadriamo il profilo della relazionalità
induce al riconoscimento della esigenza di intercettare parametri formativi complessi79.
Le trasformazioni dei processi comunicativi e l’apertura al campo dell’agire
relazionale introducono, infatti, la necessità di formare professionalità capaci di
utilizzare strumenti cognitivi più idonei, che consentano di interagire intercettando il cambiamento sociale e, nel contempo, di accompagnare la mission istituzionale.
Dare svolgimento a questa nuova istanza conoscitiva significa essere connessi al dibattito sui contenuti di riforma della stessa pubblica amministrazione;
ovvero significa ripensare e trasmettere la cultura del cambiamento delle regole
e del protagonismo del cittadino alla quale deve necessariamente corrispondere
una nuova cultura burocratica.
In questa ottica l’area della relazionalità impone un’accurata riflessione sui
temi e le competenze da infondere attraverso la formazione:
• una rivisitazione degli interventi formativi da ripensare ad hoc non più per
formare o aggiornare profili professionali con competenze solo comunicative e sempre più specifiche e tecniche, come accadde a seguito dell’approvazione della legge 150/2000;
• il sostegno dunque di percorsi formativi di professionalità capaci di presidiare il complesso dei processi relazionali dell’amministrazione da e verso
l’esterno;
78
79
Argomenti di verifica e di confronto sono contenuti in Emanuele Invernizzi, Un metodo per progettare, pianificare e monitorare l’attività di relazioni pubbliche, in Manuale di relazioni pubbliche, a cura di E.Invernizzi, op.cit.
Molteplici riferimenti alla centralità del processo formativo e al ruolo delle università nelle dinamiche della comunicazione pubblica sono contenuti nel dialogo introduttivo Comunicazione e
cambiamento tra Marcello Boldrini e Stefano Rolando nello studio La comunicazione utile. Il
caso dell’Università di Siena, a cura di Alessandro Lovari e Davide Orsini, Franco Angeli, Milano
2005. Sul tema dei processi formativi nel settore della comunicazione e delle relazioni come
ponte tra università e cambiamento del mercato del lavoro anche il recente Antonio Dini, Le professioni della comunicazione, edito da Il Sole 24 ore in collaborazione con l’Università IULM,
Milano, 2006.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
210
l’esigenza di lavorare su una equilibrata integrazione tra scopi e competenze
dell’apparato pubblico ed esigenze di accompagnamento dei processi di sviluppo dell’apparato produttivo e dei servizi.
È certo che si pone il problema di organizzare adeguatamente un’offerta formativa di tale profilo. Vi sono oggi alcuni corsi universitari che sono costruiti
con pratiche formative allineate al tema della relazionalità. Ed esiste una per
altro non costante attenzione delle scuole specialistiche della PA verso questa
materia. Ma è probabile che il potenziale formativo non sia all’altezza di un bisogno qui auspicato come diffuso e strategico.
La valutazione dei fabbisogni reali dovrà quindi essere compiuta come precondizione di ogni riflessione sull’adeguamento delle prestazioni. Così come
una passaggio regolamentativi più chiaro delle figure e dei profili professionali
qui delineati agevolerà e conterrà su un terreno metodologicamente adeguato e
corretto gli sforzi di progettazione formativa.
Un patto tra le istituzioni e altri qualificati soggetti formativi, a cominciare dal
sistema universitario, potrà dunque essere alla base di un layout generale dell’approccio metodologico alla didattica riguardante questa complessità disciplinare capace di gestire la dimensione inter-attiva delle pubbliche amministrazioni verso l’articolato e differenziato novero di interlocutori già citati: cittadini,
gruppi sociali, imprese (in forma singola e in forma associata), altre istituzioni.
Il bagaglio linguistico, quello di una piena alfabetizzazione tecnologica e
quello riguardante la gestione competente dei processi di accoglienza accompagnano inevitabilmente il set formativo nel settore, rispetto a cui l’incrocio dei
saperi giuridico-amministrativi e dei saperi socio-economici costituisce in generale la soglia di successo dell’offerta.
Dunque definire parametri formativi capaci di trasferire le competenza per
applicare i principi del marketing pubblico, necessarie trasversalmente a chi presidia sportelli, a chi interfaccia il diritto di accesso, a chi progetta segmenti
comunicativi, gestisce eventi o opera per la comunicazione interna.
L’area della relazionalità implicherà soprattutto il saper agire all’interno di
una domanda/offerta di contenuti informativi e di riorganizzazione dei servizi.
Richiederà competenze non solo legate alle tecniche di comunicazione interpersonale, ma anche di interpretazione sociale, di sensibilità relazionale rispetto a
pubblici cognitivamente differenziati, la capacità di analizzare e rilevare oggettivamente il rapporto tra servizi e prestazioni. Significherà formare nuovi profili
legati all’area della interazione e dei public affairs. E accanto ai profili generali
giuridico-economici sarà importante concepire anche conoscenza del processo
storico politico per comporre l’adattamento interno della domanda sociale e una
visione integrata delle scienze sociali per interpretare il bisogno. In più, ma non
per ultimo, una formazione non solo teorica ma con un’offerta sostanziata da
laboratori di esperienza in cui ci sia effettivamente comprovazione della messa
in opera dell’approccio, abituando già in sede formativa l’operatore a dare valore aggiunto alla relazione e a misurarla.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
10. Sul fronte dei “public affairs”
Fa parte di questo ambito di analisi anche il profilo complementare dei
“public affairs” ovvero delle funzioni di relazione istituzionale generate nel
sistema di impresa e nel sistema associativo e della rappresentanza rispetto ai
soggetti istituzionali a tutti i livelli dell’ordinamento. Profilo che va disegnato
nel quadro di regole etico-professionali che facciano parte di una cultura condivisa tra le amministrazioni e il sistema socio-economico. Il tema è oggi oggetto
di una diversa percezione tra gli studiosi e tra gli operatori tanto da poter essere introdotto come il problema del “metodo di governo” a fronte dei Public
Affairs, ovvero il problema della definizione di nuovi paradigmi di gestione
della relazione tra interessi pubblici e privati.
Il 6 agosto 2006, sulla prima pagina del Corriere della Sera, un editoriale a
firma di Mario Monti titolava: “Il metodo Merkel sconfigge le lobbies”80.
Nell’articolo l’autore proponeva, a partire dall’attuale situazione tedesca, uno
spunto di analisi e riflessione sulle capacità e modalità del governo italiano (e
dei governi in generale) di gestire la negoziazione delle istanze dei gruppi d’interesse (o lobbies), nel processo di definizione delle politiche di riforma strutturale di ampi settori del Paese. La citazione vuole solo ricordare quanto sia infrequente in Italia il porre in luce la questione del ruolo delle istituzioni nel rapporto con i gruppi di interesse, soggetti ormai da considerare parte integrante dei
network che si formano intorno ad istanze di rilevanza pubblica, su cui il governo è chiamato ad intervenire attraverso la definizione di politiche.
Agli inizi degli anni ’90 i termini lobbying e public affairs hanno cominciato
ad affacciarsi nel dibattito sul processo di riforma istituzionale e della pubblica
amministrazione. Da subito la questione si è delineata intorno all’eventualità o
meno di un quadro regolatorio che predisponesse procedure, modalità e limiti
nell’interazione tra gruppi di interesse e istituzioni. A distanza di parecchi anni,
non è stata ancora individuata una risposta al problema, ma il dibattito stesso
sembra ora dare accenni di ripresa, dopo un periodo di lungo silenzio da parte
delle istituzioni.
Le cause del riaccendersi del dibattito possono essere rintracciate in tre elementi principali:
• il processo di liberalizzazione di settori strategici, ma non solo, dell’economia nazionale (energia, telecomunicazioni, farmaci), seppur in un lento
divenire, si trova in uno stadio di maggiore maturità rispetto al 1990, risultando più chiari i vantaggi, i rischi e le possibilità di attuazione di politiche
concorrenziali, ma soprattutto il ruolo degli attori coinvolti;
• il processo di decentramento amministrativo può dirsi oggi concluso nella
sua prima fase e dunque popolato di soggetti (regioni, province, comuni e
authority) più consapevoli dei propri poteri e del proprio ruolo all’interno
del sistema decisionale nazionale, ma anche internazionale;
80
Mario Monti, Il Metodo Merkel sconfigge le lobbies, dal “Corriere della Sera”, 6 agosto 2006.
211
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
212
la progressiva cessione di competenze verso ambiti di autorità superiore (l’
Unione europea) e inferiore (le Regioni) ha determinato cambiamenti profondi nel processo di policy making sia a livello nazionale/regionale che a livello europeo.
Questi “processi” hanno ovviamente prodotto mutazioni nel comportamento
e nelle modalità di relazione tra istituzioni e gruppi di interesse. Una prima spiegazione del fenomeno può essere rintracciata in alcune ricerche anglosassoni.
Nel 2000, Jeremy Richardson, nell’articolo “Government, interest groups and
policy change”81, muovendo dall’esperienza del governo britannico, propone
una interessante spiegazione su come cambia il comportamento dei gruppi di
interesse al modificarsi del metodo di governo dell’esecutivo. Richardson scrive:
“ Gli anni ’80 e ’90 sono stati testimoni di instabilità e di molteplici cambiamenti nei metodi di governo in gran parte degli Stati europei. In particolare, quando
alcuni governi hanno fatto proprio un metodo più decisionista, solo allora i
gruppi di interesse hanno imparato a cogliere tutte le opportunità offerte da un
processo di policy, sempre più caratterizzato da strutture dotate di molteplici
spazi d’azione, come nel caso di tutti quei settori che sono progressivamente
passati da competenza nazionale a competenza europea. (…) Il processo di policy making negli Stati europei così come a livello di Unione europea è infatti oggi
molto più fluido, imprevedibile, e dunque meno controllabile da parte dei gruppi di interesse nei suoi esiti. Ne consegue che questi ultimi aumentano la loro
attività per cercare di ridurre l’incertezza stessa, che però a sua volta aumenta
all’aumentare dell’attività dei gruppi stessi”.
Se connettiamo questa tesi al citato articolo di Mario Monti, appare chiaro
come, a fronte di una tendenza che vede i gruppi di interesse come soggetti dotati di un ruolo di primo piano nel processi di policy, in quanto detentori di conoscenza, risorse e tecniche per esercitare legittimamente pressione nei confronti
dei decisori, l’atteggiamento, o come meglio afferma Monti, il metodo di governo
scelto dall’esecutivo diventa l’elemento chiave per garantire all’esecutivo e a tutte
le strutture ad esso connesse di poter governare e quindi produrre decisioni.
Nel quadro dell’analisi qui condotta è proprio questo il passaggio che si intende sottolineare, essendosi definito un terreno del rapporto tra lobbies e istituzioni
(nel cui quadro si esprime un’articolazione di ruoli che non si limitano ai soli soggetti politici, essendo in molti casi assai rilevante il ruolo degli apparati amministrativi) in cui regole e andamenti della relazione non sono solo iscritti nel “sistema di pressione” ma cominciano ad essere letti come sistema di “inter-azione”
Ciò ha riscontri rintracciabili in diverse realtà europee e nel quadro delle dinamiche proprie delle istituzioni comunitarie, dove, seppur con alcuni aspetti
81
Jeremy Richardson, nella rivista “Political Studies”, 2000 vol 48,1006-1025.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
ancora da perfezionare, esse utilizzano un metodo condiviso per la concertazione /negoziazione con gli interessi organizzati.
A fronte di queste tendenze l’Italia rappresenta un caso distinto, non tanto
perché da noi non si sia concepito con una certa modernità il ruolo dei gruppi
di interesse nel processo di policy, ma perché finora ha regnato la mancanza di
metodo condiviso nella gestione delle relazioni con gli stessi. È però doveroso
notare che le istituzioni, ad ogni livello di ordinamento, mostrano sempre di più
la necessità di agire di concerto con i rappresentanti di interessi particolari, per
produrre decisioni su temi di pubblica utilità come sanità, viabilità, ambiente.
Casi come quello di Scansano Jonico del 2003, o più recenti ancora come quello della TAV in Val di Susa sono l’esempio di come la mancanza di metodo e
coordinamento tra le istituzioni centrali e periferiche, determini spesso la vittoria di interessi organizzati (e non solo), basata più sull’ottenimento di una maggiore risonanza mediatica, piuttosto che su un confronto condotto con le regole
della democrazia parlamentare. Non bisogna dimenticare alcuni recentissimi
casi, in cui l’esecutivo ha agito attraverso un metodo in cui è stato in grado di
esercitare l’effettivo ago della bilancia nella decisione. Il decreto Bersani sulle
liberalizzazioni in cui il Ministero, dopo aver definito una posizione propria
sulla proposta di legge, ha proseguito con una consultazione pubblica delle
parti, per decidere poi definitivamente in autonomia, è un esempio recente.
Insomma il caso italiano presenta una situazione disomogenea dove accanto a
casi di giusta pratica gestionale della relazione, si affiancano ancora esperienze
di fragilità istituzionale che alimentano nel cittadino-elettore la percezione di
debolezza decisionale di molti livelli di governo.
Dunque la necessità di sviluppare una nuova logica di percorso, si affaccia
proprio all’interno di una percezione più matura e complessa del valore del quadro relazionale in cui operano le pubbliche amministrazioni. Se, come già
accennato, gli anni ’90 hanno dato l’opportunità ai gruppi di interesse di ribadire un proprio legittimo ruolo nei confronti dei soggetti istituzionali, oggi sono le
istituzioni che devono ridefinire un proprio ruolo nei confronti dei gruppi di
interesse. Valori come trasparenza, concorrenza ed eticità dei comportamenti
sono stati per troppo tempo trascurati, lasciando all’ambito di relazionalità pubblico–privata dei public affairs un’aurea di sospetto e negatività.
Un segmento di esperienza, soprattutto per gli enti locali, generato da normative che risalgono al periodo 1997-1998, si inquadra in questa più generale tematica a proposito degli sportelli unici per le imprese, a cui corrispondono – sul
terreno della semplificazione e dello snellimento delle procedure e dei percorsi
amministrativi a favore di soggetti di attività produttive ed economiche – analoghe strutture in quasi tutti i paesi d’Europa. Un quadro di esperienza, fondato
sul principio dell’ascolto e della competenza relazionale di secondo livello, che
213
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
214
dai dati sui processi di attuazione segnala la riduzione fino a due terzi dei tempi
in precedenza necessari per mettere a disposizione delle imprese le necessarie
autorizzazioni82.
Per quanto riguarda invece la problematica più generale dei Public Affairs, dal
1976 agli inizi del 1990 si sono susseguite, senza esiti, proposte di legge nazionali, cui si aggiunge un solo caso di Legge Regionale (in Toscana) approvata ma
non attuata, volte prevalentemente a limitare e controllare l’attività dei gruppi di
interesse nei confronti delle istituzioni, e non, come logica vorrebbe, orientate a
definire regole capaci di assicurare trasparenza e legalità alla relazione tra i due
soggetti coinvolti, ovvero l’istituzione e il gruppo di interesse.
I tempi sono forse oggi maturi per consolidare un tassello importante circa
l’annoso problema degli esecutivi, ovvero come sostenere la propria credibilità
di azione agli occhi dell’opinione pubblica e dei propri stakeholders. È in
discussione uno sforzo per cercare dei nuovi paradigmi per la gestione delle
relazioni orientate soprattutto alla tutela della trasparenza amministrativa e al
rispetto di regole di eticità. Questo può avvenire mediante misure legislative o
attraverso la decisione di creare delle procedure condivise il cui uso ne consolidi nel tempo l’utilità.
Se guardiamo all’estero, in particolare negli Stati Uniti, troviamo l’esempio
lampante di come la presenza di un’architettura di leggi sul tema abbia accompagnato, nel corso dei decenni, l’evoluzione e i cambiamenti di una relazione
strategica per le attività decisionali di uno Stato. Negli Stati Uniti infatti, la
prima legge sull’attività dei gruppi di interesse risale al 194683, poi modificata
sostanzialmente nel 199584. Oggi, a seguito dell’imponente scandalo riguardante
la rete di corruzione di congressman messa in piedi dal lobbista Jack Abramoff,
la legge è in fase di nuova modificazione. L’esempio americano ci dimostra come
la presenza di regole in un settore come i Public affairs esplichi la sua forza da
un lato nel funzionare da parametro/confine dell’illegalità per il lobbista, ma
anche per il rappresentante istituzionale, dall’altro nel rappresentare la via più
efficace per poter intervenire e così ristabilire un funzionamento eticamente corretto nel momento in cui il sistema subisce un corto circuito, riportando i soggetti preposti alla definizione della decisione nelle condizioni di poter decidere.
82
83
84
Lo sportello unico per le imprese è previsto dal D.Lgs. 112 del 1998 ed è regolato da decreti attuativi della legge 59 del 1997. Sui principi ispiratori Alessandro Rovinetti, Lo Sportello unico per
le attività produttive, in Diritto di parola, op. cit.
Federal Regulation of Lobbying Act, 1946.
Lobbying Disclosure Act, 1995.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
11. La relazionalità interpreta vocazioni territoriali
Una lettura, ancora, delle dinamiche della competizione orientate dai processi glocal in forma sempre meno rispondente alle rigidità del diritto amministrativo, apre a considerazioni di scenario – a cui le pubbliche amministrazioni territoriali sono per ora un poco più predisposte rispetto a quelle nazionali – di
costruzione di logiche relazionali attorno ai profili “vocazionali” e non solo a
quelli amministrativi85.
Vi è qui un ambito di profondo ridisegno del ruolo pubblico in generale e
degli strumenti relazionali di cui esso dispone. La chiamata in causa delle
amministrazioni – e ben inteso la capacità delle amministrazioni di “chiamare
in causa” altri soggetti pubblici e privati – è in forma crescente determinata non
solo e soltanto dall’attuazione ordinaria delle competenze, ma dalle insorgenze
della problematica economica e sociale in cui il sistema delle collettività locali è ormai oggetto dell’impeto, delle bizzarrie, spesso della violenza ma altrettanto spesso delle opportunità, fenomeni creati da una agenda setting in cui politica, sistema degli interessi e media riarticolano quotidianamente priorità e obiettivi. Si collocano in queste dinamiche innumerevoli questioni, qui ricordate solo
per esempi:
• le questioni dell’ordine e della sicurezza (in cui tra gli organi di contrasto e
i soggetti devianti passa una grande quantità di ambiti della prevenzione e
della mediazione sociale;
• le questioni della promozione e dell’attrazione del territorio (ambito che riferisce direttamente alle funzioni relazionali, passando ormai abitualmente
sotto la dizione di “marketing territoriale”;
• le questioni connesse agli eventi culturali, spettacolari, sportivi e commerciali;
• le questioni generate dai processi di convivenza, dai fenomeni migratori e
dal multiculturalismo (nuove prioritarie dinamiche sociali che presuppongono capacità di intercettare bisogni e accompagnare comportamenti);
• le questioni della rigenerazione di attività e funzioni economico-produttive
attorno al tramonto delle forme della società industriale (con la connessa
nuova relazionalità tra le dinamiche dell’impresa e la ormai vasta tipologia di
forme sollecitatorie o promozionali o partecipate messe in campo dai soggetti
pubblici).
Si dice che la capacità di presidiare fenomeni di determinazione delle priorità nei processi di cambiamento risponda più ad una cultura interpretativa delle
dinamiche territoriali (spesso senza precisi confini) che all’utilizzo di poteri
provenienti dalle regole con cui il diritto pubblico e quello amministrativo “prevedono” una relazione ordinaria tra amministrazione e società.
85
Carlo Gelosi, Comunicare il territorio – Franco Angeli, Milano 2004; Lucio Biggiero e Alessia
Sammarra, Apprendimento, identità e marketing del territorio, Carocci, Roma, 2002; Fabio
Ancarani, Enrico Valdani (a cura di), Strategie di marketing per il territorio - Egea, Milano 2000;
Stefano Rolando, Riccardo Fedriga, Patrizia Galeazzo (a cura di), Scuola, comunicazione e relazioni con il territorio, Franco Angeli, Milano, 2005.
215
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
216
In questo senso la citata necessità di programmare la formazione degli operatori agisce qui con più fortuna attraverso gli ambiti della cultura sociale dello
sviluppo che attraverso i canoni formativi tradizionali della contabilità o dei
principi amministrativi che regolano i procedimenti amministrativi. Ancorché
poi l’azione amministrativa non possa e non debba prescindere dall’uso corretto dei suoi strumenti tradizionali, è qui in evidenza un territorio sempre più
incidente che chiede di disporre di canali di relazione organizzata, inter-attiva,
a forte scambio:
• un flusso che assicura il contenimento legale dei processi di trasformazione;
• un flusso che assicura l’emersione dei rischi e delle opportunità in tempo reale.
12. La relazionalità ha un presupposto su cui investire:
la comunicazione interna
Il grande tema del turn-over culturale e professionale della funzione pubblica
(ridimensionamento e innalzamento della capacità e della qualità) pone a tutto il
sistema una strategia e un’organizzazione specifica per rifondare la comunicazione interna intesa come un qualificato ambito di relazionalità teso a costruire:
• motivazione;
• condivisione e percezione comune degli obiettivi;
• assetti totali rispetto ad un modo nuovo di lavorare86.
Molte esperienze di relazionalità integrata condotte di recente dalle pubbliche amministrazioni, per esempio attorno a grandi eventi, presentano un modello organizzativo che presuppone uno standard acquisito efficace di comunicazione interna, così da garantire un ruolo programmabile sinergico rispetto al successo dell’evento stesso non solo della piccola porzione dell’organizzazione che
è deputata allo scopo specifico ma la molteplicità di settori che, in forma prevista o anche con lievitazioni spontanee, possono concorrere agli esiti positivi e
soprattutto alla patrimonializzazione a posteriori nella cultura interna dell’esperienza svolta87.
Già la normativa attuale88 sottolinea come la comunicazione interna rappresenti un obiettivo primario per le PA nell’opportunità di basarsi sull’intenso utilizzo di tecnologie informatiche e banche dati, dandosi come scopi:
86
87
88
Un efficace e sintetico inquadramento in Alessandra Mazzei, La comunicazione interna della PA
Dinamiche di una nuova frontiera, e in Giuseppe Nucci, La comunicazione interna della PA come
affrontare l’innovazione organizzativa. Entrambi i contributi sono contenuti in Stefano Rolando
(a cura di), La comunicazione di pubblica utilità, vol. 1, Identità, politica, istituzioni, pubblica
amministrazione, Franco Angeli, Milano, 2004.
Un recente buon esempio di coordinamento tra organizzazione della comunicazione esterna ed
interna di un ente pubblico a fronte di un grande evento è analizzata nel testo Comunicare la cittàIl caso di Torino olimpica, di Anna Martina, Paravia Bruno Mondadori, Milano, 2006, scritto a
conclusione del rapporto tra il Comune di Torino (in cui Anna Martina dirige la comunicazione
strategica) e l’organizzazioni delle Olimpiadi invernali del 2006.
Direttiva sulle attività di comunicazione delle PA, del Ministro della Funzione Pubblica del
7/2/2002 (G.U. 28/3/2002, n. 74.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
•
•
il miglioramento della qualità dei servizi e dell’efficienza organizzativa;
la creazione del senso di appartenenza;
lo sviluppo di uno specifico coinvolgimento nelle fasi più significative del
cambiamento.
Le attività di informazione e di comunicazione istituzionale comprendono
infatti ormai formalmente — accanto all’informazione ai mezzi di comunicazione di massa e alla comunicazione esterna - la comunicazione interna89, come
uno degli strumenti che l’U.R.P. deve utilizzare per attuare “i processi di verifica della qualità dei servizi e di gradimento degli stessi da parte degli utenti”
come una attività “fondata su un’ampia circolazione delle informazioni, sulle
attività ed i processi lavorativi e il pieno coinvolgimento del personale nei progetti di cambiamento organizzativo, per consentire di costruire al meglio l’identità di un’amministrazione, favorire la crescita del senso di appartenenza positivo alla dimensione del lavoro pubblico e contribuire a porre su nuove basi l’immagine della sfera pubblica”90.
Nell’esperienza ormai diffusa delle amministrazioni il sito web è un portale
essenziale della comunicazione interna per:
• creare uno spazio condiviso che favorisce la trasparenza e il reperimento
delle informazioni;
• semplificare i processi organizzativi interni;
• implementare in modo diretto la formazione on line;
• sviluppare canali di ascolto e altre forme di comunicazione diretta con il
personale91;
• semplificare i linguaggi.
Al fine di comporre un quadro di funzioni che assolva agli obiettivi citati, il
presidio dovrebbe esprimere – in situazioni con dimensioni significative – funzioni qualificate e non assegnazione casuale, secondo uno schema ottimale che
comprende:
• un responsabile dell’intero schema della comunicazione interna, che presiede l’architettura delle banche dati, l’intranet, l’organizzazione e il controllo
del passaggio delle informazioni provenienti da tutti i settori; identificabile
dagli snodi interni, con capacità relazionali e di raccordo almeno con il
responsabile della comunicazione esterna e con il responsabile delle risorse
umane; a cui riportano:
89
90
91
Direttiva sulle attività di comunicazione delle PA, cit, art. 1, comma 4.
Direttiva sulle attività di comunicazione delle PA, cit, art. 8.
Paradigmatico il caso, recentemente oggetto di riassetti, dell’Amministrazione Comunale di Verona
in cui essendola figura del direttore della comunicazione interna si è determinata anche la creazione di un blog riservato a tutto il personale dipendente allo scopo di attivare e convogliare in modo
trasparente sia rimostranze che proposte rispetto alle problematiche del lavoro. Sulla cornice del
caso Verona. La comunicazione al servizio dei cittadini e dello sviluppo, prefazione di Paolo Zanotto,
Franco Angeli, Milano, 2004.
217
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
•
218
un responsabile della Intranet, che ingegnerizza i contenuti, rendendoli
fruibili presidiando gli accessi e i protocolli informatici; un responsabile del
sito Web, che organizza i contenuti da mettere on line secondo criteri di pubblica utilità rispettando le esigenze dell’amministrazione; un responsabile
dei servizi informatici; un responsabile della documentazione.
La comunicazione interna è oggi materia di sviluppo dei diritti degli operatori della funzione pubblica secondo i principi della “cittadinanza organizzativa”
che significa riconoscere e far riconoscere le persone all’interno di un sistema di
valori e di regole trasparente, esplicito e condiviso per consolidare la motivazione al lavoro e il senso di appartenenza alle istituzioni. Operativamente essa è:
• sul piano tecnico, un sistema per il miglioramento della qualità e per la
gestione delle risorse umane e per la gestione delle relazioni di scambio di
valori, di comportamenti, di decisioni, di informazioni e dati, di emozioni,
di divieti e prescrizioni;
• sul piano strategico una leva del cambiamento riguardante processi culturali e valori organizzativi attraverso la motivazione e il coinvolgimento,
offrendo stimoli per l’ efficienza, per l’organizzazione, per il raggiungimento di obiettivi, per il miglioramento dei risultati
Nel rapporto con le attività relazionali va sottolineato che la comunicazione
interna è leva essenziale di fronteggiamento dei cambiamenti esterni in cui il
principale problema che la cultura di una organizzazione percepisce è di
rischiare di dover disapprendere convinzioni, atteggiamenti, valori e assunti e
impararne di nuovi.
Nel citato Rapporto sulla situazione e le tendenze della comunicazione istituzionale in Italia (2000-2004) è emerso che, dall’entrata in vigore della legge
150/2000, la comunicazione interna:
• è migliorata nel 50,8% dei casi ed è rimasta qualitativamente invariata nel
48,1% dei casi;
• è stata potenziata nel periodo nel 46,9% dei casi e rimasta invariata nel
51,9% dei casi.
Il Rapporto ha altresì messo in rilievo che:
• il più delle volte (58,1%) non esiste nell’amministrazione una struttura che
coordini la comunicazione interna con quella esterna anche se, laddove è
presente, i rispondenti sembrano molto o abbastanza soddisfatti (30,5%) del
suo operato;
• diversa è la situazione negli uffici della Sanità e della PA centrale dove la
presenza di strutture efficienti e coordinate sale rispettivamente al 57,5% e
al 46,8%92.
92
Nel Rapporto più volte citato il capitolo su La comunicazione interna è a cura di Giuseppe Nucci.
Dello stesso autore si veda un trattamento più organico in La comunicazione interna nelle imprese private e nelle amministrazioni pubbliche – UCSI-Iusob, I quaderni di Desk, Roma, 2005.
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
Questi elementi quantitativi (che, si ricorda, sono riferiti al 55% dell’insieme
delle PA oggetto della rilevazione ministeriale) si accompagnano ad un altro
aspetto critico che, nell’insieme, ha fatto aprire questo paragrafo con l’indicazione di un settore che meriterebbe una “rifondazione” ovvero un ridisegno strategico e forse più certe basi regolamentative. Una difficoltà diffusa nelle pubbliche amministrazioni a dare attuazione alla citata normativa sulla comunicazione interna è stata, infatti, individuata nel conflitto potenziale che può insorgere nel trattamento, come qui schematizzato, della competenza tra la direzioni
responsabile delle Risorse Umane (una volta integralmente responsabile di questo segmento) e la Direzione responsabile della Comunicazione (oggi investita
formalmente da responsabilità). Appare chiaro che i risvolti dei rispettivi
approcci sono abbastanza chiaramente individuabili come complementari e che
sarebbe necessaria una visione della complementarità in seno all’ambito di
riporto superiore dei due settori di competenza.
13. Proposte e raccomandazioni
a. Costituisce oggetto di raccomandazione lo sguardo alla materia relazionale
come indispensabile contenitore – nelle esperienze delle pubbliche amministrazioni – di funzioni diversamente riferite a prodotti e servizi di informazione, comunicazione e di presidio a tecnologie e strutture che regolano flussi comunicativi. “Contenitore” è cosa diversa da funzione di connessione o
di scenario. Ed è cosa diversa dal rappresentare ambiti di complementarietà
o di ancillarità rispetto all’altra funzione sorretta da una parola forte come
“comunicazione”. In verità sta qui una distinzione “di processo” non trascurabile tra sistemi pubblici e dinamiche di impresa, ove per queste l’esigenza
di concentrare spesa ed energie nell’induzione dei consumi rappresenta
spesso una strategia centrale del rapporto con il mercato, in alcuni ambiti e
per alcuni settori (mercati della domanda pubblica, settori regolati da tariffe, settori a pesante concorrenza internazionale, eccetera) pari soltanto al
rilievo della funzione dei public affairs. Le pubbliche amministrazioni e i
servizi che ad esse riferiscono vedono piuttosto nei processi di accompagnamento delle utenze (non singoli atti comunicativi, ma insieme di prestazioni complementari) una assolta priorità della mission.
b. Circa le proposte, si richiama l’iniziativa promossa dal Ministro per la
Funzione Pubblica nel 2004 per la redazione del Rapporto sulla situazione
e le tendenze della comunicazione istituzionale in Italia, che è stato reso
pubblico nel 2005, ricordando che l’articolato questionario somministrato fu
privato – per giustificate preoccupazioni di compilazione da parte delle
amministrazioni – della parte finale, tesa a rilevare impostazione e attuazione di funzioni relazionali. Ciò per auspicare che questo segmento di rilevazione venga compiuto revisionando eventualmente il questionario anche
alla luce di alcuni parametri che il capitolo qui redatto pone in evidenza.
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RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
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c. Grazie ad una indagine che consenta di interpretare il rilievo delle funzioni
qui trattate (che il rapporto dovrebbe cogliere anche nel perimetro organizzativo disegnato nella connessione di queste specifiche operatività in rapporto ad altre citate funzioni di tipo comunicativo ma anche riguardanti la
formazione e la ricerca) sarebbe più facile attivare una discussione responsabile e rappresentativa (il citato rapporto aveva indicato l’opportunità di
una conferenza di settore) per valutare come promuovere una evoluzione
normativa e regolamentativa. Essa dovrebbe essere orientata al complesso
compito di dare solidi presupposti per “organizzare la relazionalità”, aiutando così le amministrazioni sul loro profilo più lacunoso; comprendendo:
• per alcune fattispecie il bisogno di una attuazione di norme attuali ma
non applicate;
• per altre fattispecie il bisogno di accompagnare processi applicativi più
avanzati;
• in relazione, in generale, alla legisalazione delle specificità relazionali
l’individuazione di forme di regolamentazione (e anche di statuto professionale, che è e resta uno specifico obiettivo di più avanzato trattamento
normativo sia in sede nazionale che regionale) che diano migliore inquadramento giuridico-amministrativo alla materia qui trattata.
d. Vale per i profili relazionali come per quelli comunicativi e informativi l’esigenza di disporre di procedure e parametri per rendere effettive:
• le attività di valutazione, gestite da soggetti terzi, con chiarezza di condivisione metodologica, così da sollecitare una corretta pianificazione, oggi
marginalissima, coerente con i problemi di contenimento della spesa e di
trasparenza e razionalità degli obiettivi;
• le attività di formazione, che consentano efficaci patti tra PA e soggetti
erogatori (interni ed esterni, e in particolare le università) oggi polarizzati in ambiti di eccesso teorico e ambiti di eccesso tecnicistico, ove è evidente che il profilo formativo adeguato non prescinde dalla concreta professionalizzazione ma neppure da una necessaria percezione teoricometodologica dell’evoluzione della materia (statuto disciplinare, su cui il
sistema universitario dovrebbe fare una riflessione “tabellare” più aggiornata).
e. La trasversalità del fattore tecnologico, qui esaminata, comporta di estendere l’utilizzo del web e di altre forme di comunicazione innovativa per sostenere processi di partecipazione e di inclusione che non dovrebbero distribuirsi, come avviene, a “macchia di leopardo” ma avere sviluppo uniforme
e imparziale, cioè a favore di tutti i cittadini in tutti i contesti amministrativi. Dunque si pone l’esigenza di collegarsi allo sviluppo di piani di riduzione dell’analfabetismo tecnologico, circa i livelli di padroneggiamento da
RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
parte della amministrazioni e circa i livelli di fruizione da parte degli amministrati.
f.
In questa cornice si raccomanda il rilancio del tema della comunicazione
interna, oggi davvero carentissima, non progettata, mal presidiata, vista
ancora come risorsa individuale nei “giochi di potere” e in una ottica non
cooperativa nelle dinamiche interne alle organizzazioni pubbliche e quindi
pochissimo come il principale strumento di modernizzazione e aumento
della qualità organizzativa e di servizio.
g. Lo sviluppo di un approccio innovativo alla materia qui trattata comporta
un inquadramento disciplinare nei profili del marketing pubblico (cerniera
evidente di una dimensione multi-disciplinare), che consenta:
• di trovare condivisione in dottrina tra la tradizione “profit” del suo trattamento e l’ampliamento, di recente acquisizione, ai caratteri della socialità e dell’interazione con i poteri pubblici;
• di trovare accoglienza culturale più vasta nell’organizzazione pubblica
affinché non venga rifiutata la percezione della relazionalità funzionale
con l’utenza a forme apparentate a quella del rapporto tra cliente e fornitore.
h. La dinamica che questo Rapporto – nelle sue linee generali – indica a proposito della “cittadinanza amministrativa” investe un percorso storico che va
dal dirigismo alla co-decisione, passando attraverso una presidiata e regolata fase di ascolto e di partecipazione. Il rafforzamento dunque del principio
della democrazia partecipativa (oggetto di proposta costituzionale in sede
comunitaria, ancorché il Trattato resti oggi sospeso) può e deve rappresentare materia di iniziativa nazionale e regionale in Italia, attraverso forme ed
eventi che debbono essere incoraggiati93.
i.
In sinergia con ciò che altre parti del Rapporto indicano – ad anno 2007
avviato – il problema di una valutazione politica circa il processo di attuazione della legge 150/2000 che, lo si è ricordato, resta il maggiore contenitore delle funzioni relazionali, oltre che di quelle comunicative e informative,
della PA. La citata quadripartizione delle condizioni di attuazione nell’espe-
93
Fondazione Università IULM e Rappresentanza a Milano della Commissione Europea hanno promosso a fine 2005 una ricerca e un convegno sul tema Democrazia partecipativa in Italia e in
Europa - Regole e prassi del rapporto fra democrazia e comunicazione, materiali che con questo
titolo sono pubblicati nel n. 29/2006 di Rivista italiana di comunicazione pubblica, Franco Angeli
editore (il programma di ricerca e discussione è stato coordinato da Stefano Rolando; i testi introduttivi sono di Nadio Delai, Maria Migliazza, Roberto Santaniello; del team della ricerca hanno
fatto parte Daniela Piana, Stefano Florio, Valentina Casiraghi, Raffaella De Marte, Alessandro
Papini).
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RELAZIONALITÀ E INTERATTIVITÀ
rienza italiana (nessuna attuazione, attuazione minimale, attuazione coordinata, attuazione strategica) appunto mette ora Governo e Parlamento di fronte a misure che debbono agire su scenari molto differenziati. L’obiettivo della
proposta contenuta alla lettera b dovrà quindi essere mirato ad accogliere
questo posizionamento differenziato.
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La parte della proposta, invece, contenuta alla lettera d sul rilievo della “valutazione” dovrebbe promuovere l’identificazione – a livello nazionale e a livello
regionale – la figura autoritativa (collegiale o monocratica) in grado di assolvere ad una funzione terza (tra amministrazione e cittadini) che determini i parametri e agisca sull’esperienza che matura nel vissuto delle amministrazioni.
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