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30/09/2010
INT - Scuola superiore: no a insegnanti pagati come metalmeccanici
Ricerca “La Scuola che vorrei” della Università di Milano - Bicocca e della Fondazione
Intercultura: sì ad aumenti per merito agli insegnanti, no all‟esame di maturità, un ruolo più da
protagonisti agli studenti
Roma, 30 set (Il Velino) - Gli insegnanti delle scuole superiori? “Sono pagati come dei
metalmeccanici”. “L‟esame di maturità? Mah … meglio un anno preparatorio per l‟università”,
“Meno Sumeri e più Novecento nei programmi”, “Stop all‟immobilismo delle classi”, “Sì al voto di
condotta per imparare ad entrare nel mondo del lavoro”, “Stage nelle aziende anche al liceo”.
Questi sono solo alcuni dei risultati emersi da uno studio intitolato “La Scuola che Vorrei” svolto
dai ricercatori dell‟Università degli studi di Milano – Bicocca guidati da Susanna Mantovani,
docente di Pedagogia e prorettore dell‟Università, e dalla Fondazione Intercultura. Protagonisti, 50
studenti accomunati dall‟aver frequentato il quarto anno di liceo all‟estero, dagli Usa, al Canada, dai
Paesi Scandinavi, alla Germania, dall‟Ecuador al Venezuela, dall‟India alla Cina, grazie a un
programma di Intercultura e che quindi hanno una visione comparativa nei confronti della scuola
italiana. A loro è stato chiesto di formulare una proposta di scuola ideale. “Le idee di questi
universitari hanno particolare valore - spiega la prof.ssa Mantovani - perché sono studenti che
hanno avuto la possibilità di sperimentare due diversi sistemi scolastici. Insomma, sono osservatori
privilegiati grazie al loro profilo e alle esperienze che hanno vissuto. Hanno infatti potuto osservare
„dall‟esterno‟ il proprio ambiente, acquisendo la capacità di riconoscerne i tratti culturali che
tendono a non essere notati, perché dati per scontati; allo stesso tempo, possono guardare alla
propria cultura e, in questo caso al proprio sistema scolastico, con la conoscenza di chi „sta
all‟interno‟, e quindi sono in grado di proporre cambiamenti al di fuori dei dibattiti convenzionali
sui programmi e il percorso scolastico”. Roberto Ruffino, segretario generale della Fondazione
Intercultura, commenta: “La realizzazione di questa ricerca grazie alla collaborazione con
l'Università di Milano-Bicocca ci ha soddisfatto molto, perché è un'iniziativa che si inserisce
perfettamente nel progetto della Fondazione Intercultura: aiutare le nuove generazioni ad aprirsi al
mondo e a vivere da cittadini consapevoli e preparati in una società multiculturale”. Criticati molto
duramente da questi studenti, ma anche riconosciuti e rispettati, gli insegnanti rappresentano il
punto di partenza da cui costruire la nuova scuola ideale. Basta “con gli stipendi da metalmeccanici
e gli anni di precariato che non portano a nulla” altrimenti i professori non saranno mai motivati ad
essere più preparati, capaci di ottenere rispetto e di far mantenere i giusti ruoli e le giuste distanze.
A loro, soprattutto, viene rimproverato di utilizzare metodi monotoni e passivizzanti, considerando
gli studenti “non solo come un vaso da riempire di contenuti accademici, bensì come menti fresche
che criticano, si confrontano, analizzano, come succede, ad esempio, negli Stati Uniti”. Ma il
progetto di ricerca, durato quasi un anno di lavoro, non si sofferma solo sulla figura dei docenti. La
scuola, emerge dalla ricerca, è trascurata, vecchia e ha molti difetti, ma per chi ha avuto il coraggio
e la fortuna di avere anche un‟altra esperienza, vederla da un po‟ di distanza, permette anche di
valorizzarne le tradizioni e i pregi. Due le sintesi emblematiche, la prima negativa, la seconda più
possibilista: “Abbiamo passato tanto tempo nella scuola, ma la nostra vita non era lì” e “La scuola
italiana non sarebbe nemmeno tanto male … se solo funzionasse”. Quali dunque i punti di forza e di
debolezza della scuola italiana rispetto all‟estero?
Di positivo la scuola italiana permette un‟equità di accesso a tutte le classi sociali in scuole di
qualità, offre un‟ampia cultura generale, stimola i collegamenti interdisciplinari nelle materie
umanistiche, richiede impegno e ore di studio, prepara sui fondamenti teorici delle materie,
consente forti legami di amicizia, offre spazi di partecipazione e cittadinanza. L‟altra faccia della
medaglia? Secondo gli studenti della ricerca la nostra scuola vuole far apprendere troppi contenuti
“Voli su tutto, ma non ti fermi mai a pensare. All‟estero è più leggera ma esci con qualcosa in testa,
da noi esci, hai studiato tante cose, ma ti resta poco perché non sai perché ti serve”; induce
atteggiamenti poco responsabili: “In Germania non ci sono le giustificazioni: sono più liberi e molto
più responsabili”; è rivolta al passato in modo asfittico: “Non voglio solo tradurre una frase di
Platone, ma poi anche discutere del contenuto, cosa vuol dire e se sono d‟accordo”; è troppo teorica;
i metodi di insegnamento sono monotoni e passivizzanti “Forse in Italia si approfondisce di più, ma
in Danimarca gli studenti pensano da soli”; è punitiva, non premia e non motiva: “In Svizzera
riconoscevano gli sforzi e ti incoraggiavano”; è spesso fatiscente, sporca e poco attrezzata; è
autoreferenziale e poco collegata col territorio, il mondo del lavoro e quello universitario; ha bassa
stima dei giovani; pone al centro i programmi, non gli studenti; è noiosa: “Non vedi l‟ora che
finisca e di uscire”. La ricerca coordinata dalla prof.ssa Mantovani, docente di Pedagogia e
prorettore dell‟Università di Milano – Bicocca, si è infine concentrata sull‟elaborazione di una
proposta concreta de “La Scuola che Vorrei”, motivata dalla presa di coscienza delle deficienze
della scuola italiana e dal confronto con quella straniera del Paese che li ha ospitati per un anno. Di
seguito i punti principali. Cosa non funziona dunque nella scuola italiana oggi e quali le proposte di
riforma? Innanzi tutto la sua durata. Diversamente da molti altri Paesi europei e non solo, dove il
ciclo di studi è di 12 anni, il nostro ne dura 13, uno di più. In altre parole: così entriamo nel mondo
del lavoro un anno dopo. La proposta: un unico percorso scolastico che offra la possibilità di scelta
o di approfondimento nell‟ultimo biennio o triennio e che preveda che l‟ultimo anno sia di
transizione all‟Università o al mondo del lavoro: “L‟ultimo anno di preparazione all‟università
potrebbe evitare le tantissime bocciature alle facoltà con test di accesso o le scelte sbagliate”. In
base all‟esperienza all‟estero, dove la rotazione delle classi è una normalità, emerge una proposta
concreta, quella della scelta e costruzione da parte dello studente del piano di studi: la scuola che
vorrei deve strutturarsi, almeno a partire dal triennio, per il 60 per cento del calendario con materie
obbligatorie e nel rimanente 40 per cento con quelle a scelta, organizzate con un sistema di crediti.
A sorpresa, tra quelle obbligatorie, oltre a un italiano che permetta di sapere scrivere, alla
matematica e all‟informatica (“Vogliamo studiare CON IL computer, non IL computer”),
all‟inglese (meno letteratura, più conversazione), si insinuano anche lo sport (come “palestra fisica
ed etica”), la geografia mondiale (“Non solo fisica, ma politica, culturale, ambientale”), la storia
contemporanea (“Altrimenti, chi ci aiuta a guardare al nostro presente e al futuro?”), l‟educazione
civica e alla vita democratica (“Siamo cittadini del mondo!”). E le materie a scelta? Ad esempio, LE
religioni (non solo quella cattolica), l‟ecologia, le lingue extra-europee, l‟economia e il diritto, la
musica, la fotografia, il teatro, e sì, anche il latino e il greco. Da non perdere un periodo di studio
all‟estero, come chiave di volta per una scuola che voglia aprirsi al mondo e le attività
extrascolastiche come parte della vita scolastica (“Scuola come luogo di vita, come nei campus
americani”).
Senza ridurre il numero di materie, anzi la loro varietà e ampiezza è un punto di forza della scuola
italiana, tuttavia emerge dal confronto con l‟esperienza all‟estero che i nostri programmi vanno
coordinati meglio rispetto alla durata del calendario: “Non si possono fare 40 volte i Sumeri e poi
leggere a casa, a scuola finita, della Guerra Fredda!”, vanno collegati molto di più al presente,
liberati dal giogo della completezza e dal mito dell‟enciclopedismo (“In Germania il professore ha
fatto tre, quattro lezioni di presentazione del quadro storico del Medio Evo, poi noi abbiamo
sviluppato delle tesine specifiche”) e soprattutto sprovincializzati, allargati alla realtà del mondo
(“La scuola italiana è molto autocentrata culturalmente, ma neppure ti trasmette un forte senso di
identità nazionale”). Il giudizio sugli insegnanti è tagliente: “Gli insegnanti dovrebbero diventare
una categoria ammirata e rispettata dalla società, sono coloro che hanno in mano l‟educazione delle
generazioni future, invece si trovano anche per colpe loro ma non solo, considerati alla stregua di
qualsiasi impiegato pubblico”. La soluzione? Più giovane, colto, rigoroso: l‟insegnante della scuola
ideale, preparato culturalmente e rigoroso, deve apprendere a saper essere un interlocutore,
allenatore e counsellor. In altre parole, un adulto coerente e un modello di condotta (“Dovrebbe
essere un modello di comportamento”), capace di relazioni equilibrate, appassionato (“Ti aspetti che
ti insegni qualcosa”) che valorizza i giovani, colto e comunicativo (“Non solo lezione frontale, ma
discussioni e dibattiti”). Insomma una figura da rispettare e da emulare, capace di interagire con lo
studente “In Italia si consuma quotidianamente una stupida guerra tra studenti e professori”, “In
Finlandia c‟era più rispetto per gli insegnanti, gli davi del tu, ti davano la giusta confidenza, ma si
sa anche tenere la giusta distanza”, “Trasmettevano interesse per la materia e allora provavi rispetto
per loro”. Da non sottovalutare, infine, la formazione dei docenti: “Oltre alla laurea dovrebbero
partecipare a un corso di uno, due anni per imparare ad insegnare”, un sistema di valutazione della
didattica, attualmente più diffuso nelle università, una riforma della modalità di selezione e
reclutamento, con un sistema misto di concorsi e assunzioni dirette da parte degli istituti e che
consenta di far carriera “Va permesso loro di cambiar posto di lavoro, anche in ambito
internazionale”.
Nella scuola che vorrei la valutazione è fondamentale: deve essere rigorosa ma prevedibile, chiara
nei criteri e articolata. L‟incoraggiamento e il riconoscimento degli sforzi sono una forza potente
per spronare ad impegnarsi e per valorizzare il merito “In Italia se sei bravo, sei uno sfigato mentre
all‟estero sei considerato un modello”. Le proposte concrete: valutazioni su prove orali derivanti da
dibattiti, non nozionistiche; valutazione su prove scritte argomentate e discusse in precedenza, un
esame di maturità su tutte le materie ma a metà anno per poi concentrarsi su una tesi finale che
metta in luce le capacità individuali. Sì infine al voto di condotta: “E‟ giusto che chi non si sa
comportare in modo civile venga penalizzato: nel mondo del lavoro chi non si sa relazionare o crede
di comportarsi come vuole ha vita breve”. Abitare la scuola o stare a scuola? Questo è il dilemma.
“In Italia le lezione di scienze è sul libro, negli USA è in laboratorio”. La scuola ideale, nella
proposta concreta degli studenti con esperienza di studio all‟estero non può esimersi dall‟avere
ambienti attrezzati (laboratori, biblioteche, internet, pc), spazi di socializzazione fra studenti e
colloquio con i docenti, dove la scuola diventa luogo di vita, dotata di ambienti personalizzati (gli
armadietti), spazi per attività sportive, libri gratis (da prendere in prestito e da rendere in buone
condizioni) e soprattutto pulita,curata, funzionale e non fatiscente: “In Ecuador il livello
dell‟insegnamento non era come quello italiano e gli edifici erano spartani, ma quanto rispetto per
un‟istituzione riconosciuta veramente importante”. Scuola maestra di vita, anche a livello pratico.
Ultimo tassella della ricerca: lo stage dovrebbe essere incluso nel percorso scolastico, a patto che lo
stagista non venga considerato “uno schiavetto”, ma affinché “gli enti abbiano la possibilità di
testare in anticipo possibili futuri lavoratori e sentirsi più motivati ad assumere giovani e ad
organizzare stage formativi”. Questo solo a patto chela scuola si renda visibile nel territorio e che
renda visibili i suoi studenti, anche in un‟ottica di merito e di valorizzazione delle eccellenze. Chi
vivrà, vedrà … Di sicuro emerge da questa ricerca la “necessità di ridefinire il significato
dell‟espressione „cultura generale‟, che spesso ricorre quando si parla di scuola – afferma la prof.ssa
Mantovani - Ci sono segnali che la vecchia idea di cultura generale non sia più soddisfacente: ad
esempio, la difficoltà di formare studenti che si presentino all‟università con un background di
eccellenti risultati scolastici, oppure la mancanza di capacità di decodificare e comprendere i
principali temi di attività. Attraverso la ricerca si vogliono indagare anche temi come il bagaglio di
nozioni e competenze che gli studenti che escono dalle scuole superiori dovrebbero avere; oppure
quale dovrebbe essere il mix ideale tra tradizione e innovazione o tra apprendimento teorico e
apprendimento pratico”.
(com/dbr) 30 set 2010 10:20
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