LA DONNA E L’AMORE NEL
CINEMA
A cura di:
Ballarini Maria Elena e
Bosoni Laura
Innanzitutto bisogna ricordare che, in
passato, la presenza della donna nel
mondo dell’arte era assai limita perché
essa era soddisfatta dal proprio atto
creativo: la maternità.. Nel cinema,
invece, la figura della donna ricopre
considerevole anche se per quanto
riguarda il ruolo del regista, esso è
tuttora una prerogativa maschile. In
quest’ambito bisogna sottolineare il
contributo notevole fornito da una tra le
più famose registe: Jane Campion, che
nei suoi film delinea una immagine del
personaggio femminile ben precisa.
Due concetti bisogna tenere presente
quando si parla di cinema:
il corpo: riferito alla donna con
riflessione su erotismo e pornografia
il tempo: è una delle discriminanti che
caratterizza la cultura femminile rispetto a
quella maschile.
Oggi il cinema si caratterizza per
immagini veloci, perché è ciò che richiede
il pubblico, comportando un vero e
proprio disonore per l’immagine. Il tempo
veloce è patrimonio della cultura
maschile, infatti proporre film veloci è
una scelta al maschile. La cultura
femminile è quella dell’attesa, è un fatto
psicologico e non solo fisiologico (
gestazione). I film più lenti sono
appannaggio delle donne come emerge
chiaramente in Ritratto di Signora
LIVELLO INFERIORE : “Vacanze di Natale”
“Carabinieri”
LIVELLO SPERIORE:
“Pretty woman”
“Harry ti presento Sally”
“Prestazione straordinaria”
In questi film l’immagine della
donna assume ruoli stereotipati: la
madre risulta un personaggio
antipatico allo spettatore perché è la
classica impicciona, snob. Le altre
figure femminili sono presentate
come delle imbecilli, grossolane,
oche. Importante sottolineare che il
nudo in questa categoria di film
ricorre spesso, infatti le attrici scelte
per questi ruoli non emergono per le
loro doti artistiche, ma per la loro
bellezza fisica. Sembrano le
protagoniste della pubblicità, dove
il corpo femminile è oggettivato, ed
essendo in funzione dell’uomo,
diventa oggetto sessuale.
In questo film, contrariamente ai
precedenti, il ruolo femminile è più
marcato e soggetto ad evoluzioni nel
corso della storia.
La protagonista cambia a causa della sua
proponibilità fisica e visiva. Rappresenta
la donna “antica”: bella, che si raffina, si
sente spesso a disagio e per sentirsi
sicura si fa guidare dall’uomo. È una
figura tranquillizzante, che ha riscosso
molto successo a botteghino, per la forte
identificazione delle giovani donne in
questo personaggio. Il film tranquillizza
uomini e donne: non ci sono mai scene
di nudo, la donna è quasi angelica,
nonostante il suo ruolo precedente di
meretrice.
In questo film il personaggio femminile, incarna le caratteristiche della donna
manager e i ruoli sono ribaltati perché lei lo vuole avere. Già in una delle prime
scene del film si vede la protagonista che lo vuole concupire e si può inoltre
notare la presenza del nudo.
La scena finale è sostanzialmente diversa rispetto a quella iniziale: i due
protagonisti si uniscono, ma non c’è il nudo, quasi che l’autore non voglia un
contatto epidermico.
Una donna seria nel film commerciali, non è mai nuda, contrariamente ai film
d’autore, in cui esiste una forte differenza tra erotismo e pornografia.
La pornografia privilegia una parte del corpo, l’erotismo, invece, analizza il
corpo che rivela dentro di sé la ferita da cui esce la luce dell’individualità, che
rende la donna unica. Oggi c’è poco erotismo, è la cultura maschile che
domina: tu donna, vuoi essere, ma lo diventi solo dopo che io ti ho plasmato,
che ti permetto di essere protagonista di una storia che è la mia storia.
La rappresentazione della protagonista di questo film è in gran parte come il
protagonista maschile vuole che sia, ma alla fine tutto rientra nella normalità e
la donna riacquista una sua personalità.
Anche in questo film come in
“prestazione straordinaria” i ruoli sono
ribaltati, alla fine lui ritorna e lei cede.
Emerge, così, una donna che di fronte
al richiamo dell’amore cede, lasciando
però, cadere molti principi.
Assistiamo così al trionfo della cultura
maschile, veicolato attraverso la figura
femminile. Questo film ci aiuta a
capire che viene a mancare la
differenza tra i due sessi, maschile e
femminile dovrebbero essere due
identità
distinte,
alcuni
valori
femminili dovrebbero rimanere e non
sparire
“Ritratto di signora”
“Segreti e bugie”
“Turista per caso”
Questo film è emblematico perché è vero che la donna è diventata protagonista,
ma secondo quali valori? L’autore l’ha resa protagonista, ma secondo i suoi
valori. Oggi non è protagonista la cultura femminile, è sconfitta perché nel
passato essa non deteneva un qualche potere. Ora è vero che vince, ma vince
secondo valori maschili.
In certi film alcune donne vogliono vendicarsi , ma questa non è cultura
femminile, bensì maschile. La cultura della donna è basata sul perdono che non
è affatto un valore debole ma piuttosto una decisione forte.
All’inizio la donna ci appare un po’ invadente, lei prende l’iniziativa. Nella scena
in cui lui si reca da lei per disdire la cena, lei rimane in silenzio, che rappresenta
qualcosa di accogliente e ribalta l’immagine che ci siamo fatti di lei. Lei lo
prende per mano, iniziativa della donna, ma per guidare l’altro, non per imporre
la propria volontà. È una donna che sfugge alle apparenze, fortemente pudica,
disdegna ogni classificazione superficiale. Frequenti sono gli abbracci:
l’abbraccio simboleggia la cultura dell’accoglienza, è cioè una donna che sa
accogliere, non è passiva.
Ha un figlio e anche nel ruolo di madre evidenzia molta dignità: non si lascia
È uno dei pochi film che trattano il mondo
femminile come tema centrale, affrontando la
differenza tra uomo e donna tramite il rilievo
dato all’autonomia femminile. Una delle scene
principali è ricondotta al momento cruciale in
cui la ragazza di colore cerca la madre naturale.
Assistiamo ad una sequenza di dialogo con
l’assistente sociale che ha il compito
istituzionale di aiutarla dandole tutte le
informazioni sulla madre biologica, ma anche
consigli
improntati
ad
accertarne
la
determinatezza.
La
ragazza
ha
un
comportamento
estremamente
deciso,
determinato, ma anche pacato; si instaura tra le
due donne una profonda complicità e solidarietà
in un momento così cruciale della propria vita,
così denso di rischi, che la protagonista s sente
di dover affrontare ad ogni costo. È più grande
la sete di verità, il bisogno interiore fortissimo
di sapere il perché dell’abbandono in tenera età.
Questo coraggio, dotato di una grande consapevolezza di andare incontro
all’inconscio, alle incognite dell’esistenza, è difficile per gli uomini dei
nostri tempi. In questa sequenza, in cui viene messo in rilievo il
riferimento esplicito ai sentimenti (l’assistente sociale si preoccupa dello
stato d’animo della ragazza), tipico del mondo femminile, il protagonista
assoluto è il coraggio interiore, che sarà premiato, la forza d’animo, non
fisica. In molti film commerciali, invece, come ad esempio in “Nikita”, le
donne sono vincenti solo se assumono atteggiamenti virili. Emblematico
lo zoom sullo sguardo della ragazza: è proiettato lontano, vaga oltre la
situazione contingente: lei ha già fatto la sua scelta, la sua decisione di
intraprendere un cammino faticoso alla ricerca della verità, è già stata
assunta con enorme consapevolezza.
The much-anticipated adaptation of the classic Henry James novel
introduces the boldly independent heroine, Isabel Archer (NICOLE
KIDMAN), just as she rejects a most lucrative marriage proposal in favour
of her hunger to experience the world. The film is set against the grand
European background of splendid wealth and Old-World sensibilities, and
layered with contemporary resonance.
Isabel’ s defiant refusal stuns her suitor, as well as the relative with whom
she is staying in England. However, an admiring male cousin, Ralph
Touchett (MARTIN DONOVAN), secretly lends his support to Isabel’ s
daring pursuit by convincing his dying father to leave her a generous share
of his fortune. Yet Isabel’ s large inheritance does not bring her the
freedom she so desires. Her -headstrong innocence proves no match
against the manipulations of a duplicitous friend, Madame Merle
(BARBARA HERSHEY), who leads Isabel into an unfortunate marriage
to a self-serving and devious dilettante, Gilbert Osmond (JOHN
MALKOVICH).
•Isabel suffers gravely as a
result of her impulsive choice
that ends in disaster. But after
the dark truth behind Madame
Merle and Osmond’ s web of
deception and betrayal is
revealed, Isabel awakens to a
curious freedom. In emerging
from the darkness of her folly,
Isabel discovers her one true
love in an epiphany that sends
her forth in hopeful triumph,
stronger and more selfless than
she had ever imagined.
–About The Casting....
•Casting the main roles that were coveted by
numerous actors in America and Europe was no
easy task. Jane Campion had Nicole Kidman in
mind for the part of Isabel Archer since the origins
of the project. The two women have known each
other for years, from the time Kidman was cast at
the age of fourteen to appear in Campion’ s
graduation movie, but was unable to take time off
from school to appear in it. Since then, Kidman
has appeared in a large number of US box-office
hits and has become an international star.
Campion met with Kidman over a two-day period
in Los Angeles to work on the film, in a sort of
audition that "cleared the air," as Kidman puts it,
and allowed Campion to see that her old friend's
personality and acting skills were perfect to play
Isabel Archer.
•Campion originally intended to offer John
Malkovich the part of Ralph Touchett and
offer the role of Gilbert Osmond to William
Hurt. The latter, however, had doubts about
the part, and since Campion was looking for
actors with total commitment, she preferred
to look elsewhere. As she herself says, these
parts are so great that she had a wide choice
of actors and so was able to choose
performers whom she considered perfect for
the parts. Due to the demanding schedule, a
number of actors with family obligations
were ruled out at an early stage. One of those
who was able to commit totally to the film
was Barbara Hershey, who obtained the role
of Madame Merle over competition from
every other actress of her generation.
•The actors were clearly delighted to tackle
such parts and work with a director of
Campion's stature.
•For the young Italian actress Valentina Cervi,
who plays Pansy, Gilbert Osmond's obedient and
apparently submissive daughter, her role is a
great opportunity to make her mark in a big
international prestige production. She feels a
kind of spiritual communication with Campion
that dates from her first audition for the part,
even though she could hardly believe her luck
when she found out that she had been chosen
from so many young actresses to play Pansy.
•Martin Donovan, best known to moviegoers for
his work with Hal Hartley, finds himself here in
a totally different world than the urban
environment of films he is normally cast in.
Aside from this change of environment, the actor
was taxed more by Campion's desire to change
his acting style, to bring him towards a more
exteriorized style of performing. His usually
cerebral style was pushed aside to make way for
the outgoing, generous and carring nature of
Ralph.
•Barbara Hershey, who plays the mysterious Madame Merle, was ecstatic at the
prospect of working with Jane Campion to bring to life this "very contradictory,
complicated" personality. As she points out, the elusive Madame Merle has been
hard for critics to pin down, since they describe her alternately "as a villain, a
tragic figure, all kinds of things." She auditioned for the part and claims that she
went to the audition with no clear idea about how to play the role since there were
"a billion ways" of seeing Madame Merle, a unique experience for this actress.
•Hershey, like many other members of the cast, relished the opportunity to be
working in Europe. For John Malkovich, a long-time resident of Europe, the part
of Gilbert Osmond also represented the opportunity to work with a director who
was "smart, focused and loved the material" and to tackle a character who is
clearly "manipulative, doesn't like women much, or only on the narrowest terms"
and, in a way, embodies the decadence of Americans living in the Old World that
is referred to in the novel's character notes by James.
•In the role of Isabel Archer, the Australian-born actress Nicole Kidman is given
the task of portraying the heroine as, a "woman who wants to experience things,
not to rebel against society but to understand herself." Due to the fact that she
never rebels openly, the character is a particularly tough one to play, coming as it
does after Kidman's lauded performance in Gus Van Sant's film "To Die For" as a
"wild, strange and evil" character.
Kidman relished the opportunity to do a complete U-turn and balance that
performance with "THE PORTRAIT OF A LADY" as "a woman trying to be
true to herself and others." Like many of the other actors on the movie, she was
delighted to be working in Europe, considering that the shoot was "not just a
filmmaking experience, but a life experience for yourself and you can't ask for
anything more."
Ritratto di Signora” rappresenta una storia
moderna, nella quale troviamo la
centralità del personaggio femminile,
Isabel. La protagonista assume una
posizione passiva, invece di prevalere è
perdente in quanto trovandosi al centro
degli avvenimenti non ha una visione
globale delle cose, ma si espone allo
sguardo altrui. Nicole soffre di cecità
perché non accetta i consigli di Ralph e si
fa soggiogare da Osmond, non riuscendo
a vedere come lui è in realtà. È come se
vivesse in un sogno e nemmeno davanti a
chiari segnali del comportamento di
Osmond si rende conto dello sfruttamento
che lui sta attuando nei suoi confronti. Un
chiaro esempio è rappresentato dalla
scena in cui la giovane figlia di Osmond
manifesta il suo stato di obbedienza
eccessiva nei confronti del padre, Isabel le
propone una passeggiata nel giardino del
convento dove abita la ragazza, ma lei
rifiuta perché il padre le ha vietato di
oltrepassare una linea.
Ma a differenza di Isabel, che alla fine
si ribella, la figlia si dimostra ancora
più debole e senza forza di volontà.
Nonostante Isabel ostenti un disperato
amore per la libertà non si rende conto
di quanto strano e contro i suoi ideali
sia questo comportamento. I primi
piani che inquadrano Nicole rendono
bene l’ idea di un’ eroina negativa,
attraverso un’ immagine non dialettica,
ma
assoluta,
che
esprime
l’
impossibilità ad attivare la ragione.
Malkovich, con la sua interpretazione,
si mostra come un perfetto
calcolatore, un uomo dal “sangue
freddo”. Al contrario il cugino di
Nicole ha un atteggiamento di
scompostezza naturale che rivela una
certa genuinità
dei sentimenti. Ralph si dimostra una persona
lucida, sensibile e generosa: offre a Isabel
indipendenza economica, un ragionamento
esplicativo sulla seduzione, una vicinanza sia
fisica sia soprattutto morale e dei consigli
senza alcun tipo di prevaricazione. Il
personaggio di Ralph inizialmente viene
frainteso, così come non lo capisce la
protagonista anche noi siamo tratti in inganno,
ma si dimostra tanto più bello quanto più viene
capito. Alla fine Isabel matura, è come un
romanzo di formazione: finalmente si rende
conto di essre stata preda di una trama di cui
non aveva capito nulla. Le situazioni che si
trovano in questo film (e a maggior ragione
nell’omonimo romanzo), possono trovare un
riscontro nei nostri giorni, perché sono
“universali” dal punto di vista concettuale: oggi
al centro dell’attenzione si trovano i
“cialtroni”, coloro che hanno carisma da
mettere in mostra per prevalere sugli altri.
La gente che invece ha più spessore
interiore non ama la “luce dei riflettori” e
sta in disparte, non ha bisogna di esagerare
perché è abbastanza equilibrata e conosce i
propri limiti e le proprie potenzialità.
Osmond, invece, è un uomo che prova dei
complessi di inferiorità e quindi più si sente
insicuro più si dimostra arrogante. Per
sentirsi apparentemente più forte ha
bisogno di manifestare la sua autorità
despotica su di una donna a lui sottomessa.
Alla fine del film, quando Isabel prende
coscienza di quello che succede, il punto di
vista muta: dal centro delle scene ad una
posizione
laterale.
Il
personaggio
femminile possiede una volontà di cercare
la libertà più che altro esibita, nel suo
comportamento sta il desiderio di sentire
vivere davvero le sue decisioni
In questo insistente bisogno di essere se stessa perde il contatto con la
realtà e fugge da un uomo che la ama veramente. Le persone da cui è
veramente attratta sono quelle che rifugge, in altre parole Isabel non
concretizza mai le sue idee.Date queste spiegazioni possiamo capire con
più lucidità perché nonostante conosciamo i vari spostamenti della
protagonista, in verità non la vediamo mai in azione, ma solo una volta
arrivata a destinazione. Infatti lei rimane in un certo senso sempre ferma
perché è psicologicamente statica. Solo nella scena finale viene
sottolineato il movimento con un rallenty ad effetto: Isabel dopo essersi
lasciata andare e aver recuperato le occasioni perse, baciando un uomo che
da tempo la amava, scappa e si dirige verso casa. In questa scena emerge
l’immagine di quello che potrebbe essere il meglio di una donna: viene
sottolineata la grazia dei movimenti che rappresenta la sua maturazione
interiore e il movimento che finalmente viene vissuto in modo attivo da
Isabel, che adesso più che mai è vera protagonista.
•Director, screenwriter.
•Born: 1954.
•Birthplace: Waikanae, New Zealand.
An award-winning director of ioften dark films about strong and
unusual women, she earned international acclaim for An Angel at
My Table (1990), originally a TV miniseries based on the life of
New Zealand writer Janet Frame. Her other movies include The
Piano (1993), which won numerous Academy Awards, including
Best Actress, Best Supporting Actress, and Best Scrennwriter, and
was nominated for Best Director and Best Picture. Her others films
include After Hours (1984), The Portrait (1996), and Holy Smoke
(1999).
Henry James was born in New York City on April 15, 1843, in a house on
Washington Square, a respectable and rich part of the town. His father was a
cultured man, his elder brother was a psychologist and philosopher. He wrote about
them in the last years of his life in his two volumes of autobiography, A Small Boy
and Others (1913), and Notes of a Son and Brother (1914). He spent his early years
and his boyhood in the States, with several sojourns in Europe. He attended the
Harvard Law School for a short period, but he soon gave it up, devoting himself to
writing. At first he wrote short stories for magazines and reviews; when he was only
25 he was considered the best writer of short stories in America. In 1870 he revisited
Europe, and went for the first time to Italy, the country of many of his novels. Back
from Europe he lived in Boston for two years (1870-1872), trying to make his way
there, but in 1872 he returned to Europe, where he remained, living mostly in Italy,
until 1874. In 1875 he returned to New York, but the rich European culture attracted
him so deeply that in the same year he realised that Europe was the place his mind
and soul had chosen. At first he went to France, and in 1876 he settled in England,
with periodic trips to France and Italy. He returned to America only twice, in 1881
and in 1904, but all his friends were now in the sophisticated European world, with
its old traditions, its love of art and culture, its refined though
sometimes corrupt and ambiguous way of life. He never married; he
was not interested in the social changes of the time or in public
affairs. He only cared for his art, and wrote 20 full-length novels,
about a dozen short novels, more than one hundred short stories,
travel writing, essays, two volumes of autobiography. He died in
London on February 28, 1916. At first his ashes were taken to
America, but later they were removed to London, and buried in Poets’
Corner in Westminster Abbey. Henry James’s activity is generally
divided into three phases:
•In the first phase (1874- 1886) his stories deal with the clash
between the Puritan and the idealistic manners of American
people and the more tolerant, highly sophisticated, but often
ambiguous and corrupt European manners. All the so-called
“International stories” of the first phase, though recognising
the European richness in art, culture and refinement, give a
moral victory to American innocence and idealism.
•In the middle phase (1886- 1899) Henry James mostly dealt
with English characters and the English world, treating such
problems as the suffragette question, anarchism, art and the
stage. For five years (1890 to 1895) he devoted himself to
play-writing, neglecting fiction, but he gained a modest
success, and returned to the novel,
Writing a series of short fictions which show the influence of the scenic
method.
In the third phase (1899- 1916) he concentrated upon the individual’s
mind. He tried to reach the truth of events without commenting on
them, but making us take part in their development. The various
characters project out of themselves their thoughts and impressions,
their point of view. The author apparently does not exist, and the reader
feels present and invited to add his personal opinion. Sometimes the
same fact is narrated by several witness, and from different point of
view. In the technique Joyce and Virginia Woolf were his great
successors, art-fully hiding themselves (though always present and
always extremely subjective in their quest for objectivity), and turned
the course of the novel into the new direction which Henry James had
pointed out.
The Portrait of a Lady is the masterpiece
of James’s middle period, and Isabel is
perhaps his most engaging central
character: the novel explores the central
figure of Isabel Archer, showing how she
comes to a full sense of her own being,
admidst forces which threaten to distort,
exploit, or constrain her.
“the person in question was a young lady,
who seemed to interpret the greeting of
the small beast… Bunchie’s new friend
was a tall girl in black dress, who at first
sight looked pretty. She was bare headed… the independent young girl.”
These are some lines of Isabel’ s
description.
This description gives us two important informations: she is a very pretty woman
and she wants to be free. After this introduction, James write a brief flashback
about Isabel’ s origins and this first backward step signals the need to notice both
gaps and hesitancies in her progress. One of three daughters, long motherless,
now orphaned, Isabel is rescued from Albany by her Aunt Touchett, who seems to
be a cross between a fairy godmother and Dickens’ s Betsey trotwood in David
Copperfield.
Later, through her, Isabel meets Touchett and her cousin Ralph, who in their own
different ways promote her progress. Isabel rejects an American and an English
offer of marriage, but, having, inherited her uncle’s fortune, she attracts a third
proposal, from the expatriate Gilbert Osmond, who lives in retirement outside
Venice.
Three sisters, three Touchetts, three suitors, the pattern grows menacing as Isabel
finds herself involved in yet further triangles. One is with her husband and his
daughter Pansy, herself almost to be married. Another involves Lord Warburton,
formerly Isabel’s suitor, now a potential fiancè for her stepdaughter.
The last links both Isabel and Pansy with Madame Merle, an old friend of the family,
who introduced her to Osmond, the man responsible of the future pain.
Isabel is vulnerable. “With all her love of knowledge, she had a natural shrinking from
raising curtains and looking into unlighted corners. The love of knowledge coexisted in
her mind with the finest capacity for ignorance”. But this warning comes just before an
important debate between Isabel and Madame Merle about what constitutes identity.
Madame Merle, the woman of the world, knows: “There’s no such thing as an isolated
man or woman; we are each of us made up of some cluster of appurtenances. What we
shall we call our “self”? Where does it begin? Where does it end? It overflows into
everything that belongs to us-and than it flows back again…. One’s self-for other
people-is one’s expression of self; and one’s house, one’s furniture, one’s garments, the
books one reads, the company one keeps-these things are all expressive”. Yet Isabel
retorts, “I don’t agree with you. I think just the other way…. Nothing that belongs to me
is any measure of me; everything’s on the contrary a limit, a barrier, and a perfectly
arbitrary one”. The exchange is central to the novel.
Madame Merle planned the meeting between Isabel and Osmond. He was able to make
her love him. After this moment Isabel’s life seemed a prison. She has chosen Osmond’s
devotion:she has taken up residence in his conception of her. Only Ralph tried to save
Isabel telling her the truth about his husband.
The dialogue between the two protagonists is presented like a drama because there
are a lot of discussions. Ralph dared to express his opinion, “I had amused myself
with planning out a high destiny for you. There was to be nothing of this sort in it.
You were not to come down so easily or so soon.” He wanted something more for
this intelligent woman but Isabel didn’t want to accept his suggestion, “Mr Osmond
is the finest I know; he is good enough for me, and interesting enough and clever
enough.”
Osmond was sitting by the window in his study when Isabel finally came to leave
him to attend to her dying cousin. She walked in, without knocking, and found him
coping the print of a drawing of an antique coin: the devalued image of his thirdhand aestheticism. When she challenged him, “ I suppose that if I go you’ll not
expect me to came back”, what he asked is, “are you out of your mind”? Her mind,
at last, is its own place.
The concluding scenes of parting from Ralph and then from Goodwood, preceded by
the vigil with her aunt, amount to an exploration of what Isabel’s mature vision
means in terms of the narrative, by contrasting her imagination with her aunt’s
failure, Ralph’s original project and Goodwood’s determination. Enjoying, perhaps
greedily, her potential for life, so different from his own, Ralph made his cousin rich:
“-that was not happy” . It was a generous, but yet a directive gesture: the act of an
author, setting the conditions of her story.
Goodwood would take her now, give her a future: “ Ah, be mine as I’m
yours!.”
Isabel’s response recognized, without bitterness or denial, what each implies
for her. With Ralph, exonerated from selfishness, a shared vision is at last
possible: “nothing mattered now but the only knowledge that was not pure
anguish-the knowledge that they were looking at the truth together”. With
Goodwood, a knowledge of the other is a liberation: “she felt each thing in
his hard manhood that had least pleased her, each aggressive fact of his
face, his figure, his presence, justified of its intense identity and made one
with this act of possession. So had she heard of those wrecked and under
water following a train of images before they sink. But when darkness
returned she was free”. The power to know, to feel, to recognize, and then
be free, marks Isabel’s independence of all fictions which might enclose
her, whether from other characters of the author. The “very straight path”she
finds eventually is that of her own integrity.
Cinema e amore: una coppia che da sempre funzione benissimo. La storia
del cinema è infatti indissolubilmente legata a quella dei grandi film
d’amore: opere che riflettono i cambiamenti e le evoluzioni della società e in
cui tutti riconosciamo frammenti delle nostre storie, delle nostre emozioni,
dei nostri desideri.
Sin dalla sua nascita il cinema ha fatto l’amore con l’amore. Sin dall’inizio
la settima arte ha saputo, per istinto, che nei sentimenti più profondi e intimi
dell’uomo c’è il più grande serbatoio di storie da raccontare e di passioni da
mettere in scena. Ne sono nati capolavori intramontabili, imperdibili.
La grande tradizione non si è mai interrotta e il cinema ha continuato in tutti
questi anni a moltiplicare le sue visioni, regalandoci sogni, raccontandoci
quello che tutti crediamo di conoscere e che sempre ci stupisce:l’attrazione,
l’innamoramento, l’insicurezza
C’è chi scappa e chi insegue. Prede e cacciatori, vittime e carnefici. Il gioco
serissimo dell’amore assomiglia a una corrida dove è possibile l’impossibile.
Che all’improvviso ci si scambi le parti e che il toro inizi a scansare gli
attacchi del torero… Del resto, in amore, l’irresistibile impulso a inseguire chi
fugge e sfuggire chi ci insegue è talmente comune da essere considerato una
delle principali leggi del desiderio.
Del resto il significato originale del verbo latino “desiderare” (composto di
de- e sidus, sideris “cielo, stelle”) contiene in sé proprio l’idea di una
lontananza incolmabile. Sembra infatti che
“de-sidere” debba essre
interpretato come “trovarsi lontano dal cielo”, “rimanere a terra”, ossia “privi
di quella gioia immensa che fa sentire in alto”, al di sopra degli altri mortali”;
di conseguenza: “desiderare ciò che può condurci, o ricondurci, alle stelle”.
Ma qual è l’origine di questo sentimento che vive nutrendosi di ciò che non ha?
Il filosofo greco Platone, nel Simposio - il dialogo dove Socrate e i suoi allievi, al
termine di un felice banchetto, discutono della natura e dell’origine dell’amorenarra l’antichissimo mito dell’ androgino originario, collegando l’idea più
profonda dell’amore alla mancanza e quindi al desiderio. Secondo questo mito
(che si trova narrato in modo abbastanza simile nella mitologia indiana e in quella
persiana) in origine gli esseri umani erano creature sferiche con quattro braccia,
quattro gambe e due facce: di natura sia maschile sia femminile, avevano dunque
in sé la completezza e non conoscevano il desiderio. Queste creature erano però
così potenti e presuntuose che Zeus le colpì con un fulmine, separandole in due
metà: uomo e donna. Da quel momento le due metà non desiderarono altro che
trovare la maniera per ricongiungersi e perciò il rapporto sessuale non è che
un’illusione di unità, un breve sollievo allo struggimento che i due esseri, separati
per sempre, provano l’uno per l’altro. Sarebbe dunque questa incompletezza,
unita all’illusione di poter trovare qualcuno che sia davvero “la nostra metà”, a
spingerci alla ricerca del partner perfetto che ovviamente è quello che ancora non
conosciamo e che, messo alla prova, fallirà fatalmente, perché l’amplesso, breve
simulacro della ricomposizione, è sempre insoddisfacente rispetto allla pienezza
dell’unità originaria.
Spesso nei film d’amore i protagonisti, e in modo particolare le
donne, sembrano insicuri e incapaci di abbandonarsi all’amore.
Molti psicologi hanno cercato di analizzare l’insicurezza, arrivando
alla conclusione che se il desiderio nasce da una separazione
originaria, che per alcuni psicologi coinciderebbe con la nascita, è
il bambino nel ventre materno che forma con la madre, idealmente,
l’unità perfetta e originaria. Solo se saremo stati capaci di elaborare
e superare questa separazione grazie alla crescita e allo sviluppo
armonioso della personalità riusciremo a diventare adulti
predisposti ad una positiva ricerca di affetto e di amore all’interno
di una coppia. Viceversa la mancata, intima riconciliazione con la
madre da cui siamo stati per forza separati creerà un profondo
senso di inadeguatezza, che si ripercuoterà poi sulla vita affettiva. Il
fuggitivo, colui che insegue i sogni e batte puntualmente in ritirata
ogni volta che qualcuno ricambia le sue attenzioni e il suo interesse,
è spesso un insicuro, una persona che svalutando se stessa,
consideri anche di poco valore chiunque le dimostri affetto e
comprensione.
Spesso nei film d’amore i protagonisti, e in modo particolare le
donne, sembrano insicuri e incapaci di abbandonarsi all’amore.
Molti psicologi hanno cercato di analizzare l’insicurezza,
arrivando alla conclusione che se il desiderio nasce da una
separazione originaria, che per alcuni psicologi coinciderebbe
con la nascita, è il bambino nel ventre materno che forma con
la madre, idealmente, l’unità perfetta e originaria. Solo se
saremo stati capaci di elaborare e superare questa separazione
grazie alla crescita e allo sviluppo armonioso della personalità
riusciremo a diventare adulti predisposti ad una positiva ricerca
di affetto e di amore all’interno di una coppia. Viceversa la
mancata, intima riconciliazione con la madre da cui siamo stati
per forza separati creerà un profondo senso di inadeguatezza,
che si ripercuoterà poi sulla vita affettiva. Il fuggitivo, colui che
insegue i sogni e batte puntualmente in ritirata ogni volta che
qualcuno ricambia le sue attenzioni e il suo interesse, è spesso
un insicuro, una persona che svalutando se stessa, consideri
anche di poco valore chiunque le dimostri affetto e
comprensione.
Il mondo tace.,
trattiene il respiro,
anzi scompare, non
esiste più… è nato un
amore. La forza
dell’innamoramento,
che dicono capace di
fare miracoli, è
innanzitutto
un’esperienza
estraniante e
totalizzante: un vero
terremoto dei
sentimenti
Amori crudeli e impossibili,
seduzioni pericolose, attrazioni
fatali, baci proibiti, disperazione,
speranze e redenzioni sullo sfondo di
tramonti velati. Il cinema d’amore è
tutto questo. E anche di più. Il
melodramma è qualcosa di più di un
genere in senso stretto del termine.
Perché
tinte
melodrammatiche
assumono anche i film di guerra,
western, le ricostruzioni storiche, e i
gangster movie. È più precisamente
una “forma di immaginazione”,
come scrive Thomas Elsaesser, uno
dei primi studiosi in materia. Ma,
ovviamente,
non
troveremo
melodrammi-commedie, “per la
contraddizion che nol consente”,
come direbbe Dante.
“Se esiste una legge del melodramma, potremmo forse identificarla con
la svolta che prima o poi conduce tutte le sue eroine, docili o trasgressive
al sacrificio silenzioso, al pianto soffocato. Soffrire, rinunciare,
reprimere, non dire nulla affidandosi alle glorificazioni postume che
potranno venire dallo sguardo lontani degli angeli o da quello
egualmente impotente, ancorché partecipe, delle Madri.”
Guido Fink, autore del passo che avevate appena letto, certamente ha
ragione: il melodramma nasce e cresce sopra una intensa retorica ed
etica del sacrificio.
Ma chi sono queste grandi eroine di cui parla con tanto affetto e con
tanta comprensione il noto saggista? E quali sono gli occhi dei cosiddetti
angeli?
Come non poter parlare di Ingrid Bergman, Marilyn Monroe…e delle
altre 9 attrici più apprezzate degli ultimi anni.
Interprete di alcuni dei più indimenticabili personaggi femminili della storia, ai
suoi esordi Ingrid Bergman venne considerata l’unica degna candidata all’eredità
artistica della divina Greta Garbo. Eppure, difficilmente l’ambiguità che pure ha
contraddistinto entrambe le grandi attrici svedesi può essere considerata così
diversa. Il volto pulito e sincero, solare e pieno di gioia di vivere della Bergman
non ha mai trasmesso il fascino oscuro e carico di sottintesi della sua
connazionale. Anzi, l’immaginario evocato sullo schermo dalle eroine
bergamaniane ha sempre vissuto di una luce ben diversa, di un manifesto candore
sempre trasformatosi nel fuoco della passione più aperta e sentita. Il suo primo e
aureo periodo hollywoodiano, è stato scandito da memorabili interpretazioni che
dall’esordio americano di Intermezzo, hanno poi portato ai grandi ruoli di donna
passionale angosciata e combattiva in Casablanca, Per chi suona la campana,
Angoscia, Io ti salverò, Anastasia, e Assassinio sull’Orient Express col quale
vinse l’Oscar per la migliore interpretazione.
Ma io credo di aver avvertito
allora che il luminoso timore nei
suoi occhi e la smarrita innocenza
del suo sorriso rispecchiare anche
fantasie diverse, come l'ostinata
richiesta di affetto del bambino
che la guardava rapito. Il film era
"Gli uomini preferiscono le
bionde". Ricordo che provai un
po' di pena per la bruna del film,
Jane Russell, destinata a restare in
ombra sin dal titolo. Ma con
Marilyn Monroe, un nome
meravigliosamente roboante
come la fanfara della fox, la
battaglia non poteva che essere
persa in partenza.
A quei tempi non si era tenuti ad uscire dalla sala a fine film: lo spettacolo era un
flusso continuo, segnato da persone che entravano o uscivano in qualunque
momento. Così, dopo aver visto il film due volte, rimase a lungo a fissare il
manifesti nell'atrio. A memorizzare quel viso che sarebbe passato alla leggenda
nell'essenzialità dei suoi elementi. Riproducibile con due tratti di matita e reso
unico dalla fortuita, ma geniale posizione di un neo. Sarei ricorso a qualunque
bassezza pur di tornare a casa con una sua immagine. Ma era del tutto fuori
discussione. L'home Video credo abbia finito col placare molte delle ansia della
mia generazione. Noi di un film o di un attore non potevamo possedere quasi
nulla e la mia "ossessione" per anni si alimentò di ritagli di giornali, qualche
manifesto, che più tardi riuscii a comprare, e poche "pose" fra le cartoline delle
star vendute in tabaccheria. E i dischi, che riproducevano la voce calda e un po'
afona che tanto contrastava con i doppiaggi squillantoi dei suoi film. Poi i libri.
Quando Marilyn era viva ne uscirono sì e no cinque. Ora sono più di cento e il
ritmo non accenna a rallentare anche se la maggior parte dei fan di oggi non era
nata quando, nel pomeriggio del 5 agosto del 62, sentii alla radio la notizia della
sua morte. Marilyn, come la chiamiamo con familirità non era un mito allora.
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L`amore e la donna nel cinema