UIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRETO
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE I SCIEZE STORICHE E
FORME DELLA MEMORIA
Corso di Storia delle Istituzioni Politiche
titolare prof.ssa Anna Gianna Manca
Le costituzioni del ovecento
di
Giovannini Alessandro
matr. 143706
AO ACCADEMICO 2010/2011
1. ITRODUZIOE
Il presente lavoro si basa sullo studio delle costituzioni europee del Novecento ed è
diviso in tre parti. Nella prima sarà fatta luce sulle caratteristiche generali delle costituzioni
del XX secolo, con riferimento al saggio di Silvio Gambino e Maria Rizzo dal titolo Le
costituzioni del ovecento, inserito nel volume Il ovecento a scuola a cura di Armando
Vitale. La seconda parte prenderà in esame le modalità di nascita di una costituzione; in
particolare ci si concentrerà sul Grundgesetz, la costituzione tedesca nata dopo il secondo
conflitto mondiale. In questo caso si farà riferimento al saggio di Gustavo Gozzi
L’esperienza costituzionale tedesca dalla Costituzione di Weimar alla Legge fondamentale
di Bonn, inserito nel volume La Costituzione italiana a cura di Maurizio Fioravanti e
Sandro Guerrieri. La terza e ultima parte sarà invece dedicata ai metodi di attuazione di
una costituzione appena entrata in vigore. Ci si richiamerà questa volta alla Costituzione
Italiana del secondo dopoguerra e in particolare al libro di Livio Paladin Per una storia
costituzionale dell’Italia repubblicana.
Alla fine del saggio avremo così un quadro generale che non tratterà solamente le
caratteristiche salienti delle costituzioni del XX secolo da un punto di vista teorico, ma che
comprenderà anche esempi concreti di nascita e di applicazione di due particolari carte
costituzionali.
1
2. LE COSTITUZIOI DEL XX SECOLO
La vera forza delle costituzioni novecentesche consistette nel completamento e nel
superamento del costituzionalismo dello Stato liberale che, sorto per garantire potere
politico alla borghesia, divenne alla fine un elemento di equilibrio tra parti sociali in
conflitto1.
Con il costituzionalismo novecentesco infatti si ebbe una maggiore attenzione per
quanto riguardava i diritti, le libertà e l’uguaglianza degli individui. Nelle costituzioni
ottocentesche invece tutti questi fattori rappresentavano solo una facciata dietro cui si
celava il dominio della borghesia. Nello Stato liberale vi era una discrepanza fra la sua
struttura teorica, composta da persone uguali e libere dinnanzi alla legge, e la sua struttura
reale, che invece garantiva il potere politico alla sola borghesia. Lo Stato liberale era in
realtà uno Stato monoclasse, in cui i protagonisti della rivoluzione economica, ovvero i
nuovi ceti industriali e possidenti, rivendicavano non solo libertà in campo economico, ma
anche partecipazione politica. La borghesia iniziò infatti a mettere le mani, oltre che sulla
sfera economica, anche sulla sfera statale. Tutto ciò fu facilitato dal comportamento dello
Stato che da un lato rimase estraneo agli accordi economici tra privati e dall’altro protesse
libertà e proprietà dei ceti borghesi2.
Il parlamento rappresentava l’organo centrale nello Stato liberale. Questa istituzione
avrebbe dovuto rispecchiare il popolo ma si rivelò un’entità ben poco rappresentativa in
quanto la sua composizione fu prevalentemente borghese. I vari parlamenti furono infatti
formati sulla base di vincoli come il censo o l’istruzione. Il suffragio ristretto consentiva
alla borghesia di dominare la rappresentanza parlamentare. Se a livello teorico quindi lo
Stato liberale si identificava come uno Stato formato da uomini uguali, nella realtà si
configurava invece come uno Stato composto da uomini diseguali, lontano da una società
sempre più proletaria e aperta alla democrazia e al socialismo3.
Una vera e propria svolta si ebbe fra ‘800 e ‘900, quando prese forma una
democrazia di massa che si poggiava sui partiti, ossia su quelle associazioni di persone
1
Silvio Gambino, Maria Rizzo, Le costituzioni del ovecento, in Il ovecento a scuola, a cura di Armando
Vitale, Roma, Donzelli, 2001, p. 165.
2
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 159-161.
3
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 163-164.
2
accumunate da una stessa finalità politica. La comparsa sulla scena politica dei partiti diede
il via a quel rinnovamento che portò alla dissoluzione della democrazia di stampo liberale4.
Vediamo ora nel concreto come avvenne questo delicato passaggio da uno Stato
liberale a uno Stato caratterizzato dalla presenza attiva dei partiti, prendendo come
riferimento la Costituzione tedesca di Weimar del 1919.
La Costituzione di Weimar è l’emblema della modernizzazione dello Stato liberale, il
quale, dopo aver dato voce alla volontà della borghesia, si avviò a instaurare diritti di
uguaglianza e libertà per tutte le persone, superando ostacoli come le discriminazioni
dovute al censo o all’istruzione. La priorità da affidare alla sfera sociale andò comunque di
pari passo alla volontà di conservazione del sistema economico capitalistico; si venne cioè
a creare un compromesso fra borghesia e proletariato, fra diritto alla proprietà e finalità
sociali. I diritti sociali promossi dalla Costituzione di Weimar infransero prima di tutto la
tradizionale brevità delle costituzioni ottocentesche che infatti non risultavano quasi mai
sufficientemente dettagliate. Da quel momento s’iniziò ad inserire nella carta
costituzionale tutto ciò che riguardava uno Stato5.
I costituenti tedeschi impegnati nella creazione della Carta Costituzionale di Weimar
non si limitarono a mettere in primo piano l’allargamento della rappresentanza
parlamentare. Vennero infatti create una serie di istituzioni destinate a neutralizzarsi l’una
con l’altra nel caso di abusi o prevaricazioni. Accanto ad un parlamento che si faceva
portavoce di tutto il paese (entrò in vigore il suffragio universale sia maschile che
femminile relativo a tutti coloro che avevano compiuto vent’anni), si collocò per esempio
la figura del Presidente del Reich, elemento di equilibrio fra potere legislativo e potere
esecutivo. Il Presidente del Reich, eletto a sua volta dal popolo, aveva infatti il potere di
sciogliere il parlamento e sospendere alcuni diritti fondamentali degli individui,
proclamando lo stato di emergenza. Lo stato di emergenza poteva venir dichiarato qualora
l’ordine e la sicurezza risultassero minacciati6. La Costituzione di Weimar aveva quindi al
proprio centro due strumenti d’autorità diversi ma allo stesso tempo legittimati dal popolo.
Accanto a questi vi era poi un organo esecutivo collegiale formato dai vari ministri e dal
Cancelliere, che non solo rimaneva in carica grazie alla fiducia del parlamento, ma che era
4
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., p. 164.
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., p. 169.
6
Articolo 48 della Costituzione di Weimar.
5
3
anche responsabile delle azioni del Presidente del Reich. Le ordinanze del Presidente
infatti dovevano essere sempre controfirmate da un membro del governo7.
Se da un lato la Costituzione di Weimar fallì, aprendo le porte al partito
nazionalsocialista che conquistò il potere attraverso vie legali, dall’altro rappresentò il
tentativo riuscito di trasformare uno Stato liberale monoclasse, tipico del XIX secolo, in
uno Stato pluriclasse.
Le prime costituzioni del ‘900 differirono da quelle ottocentesche non solo per la
maggior fiducia accordata ai diritti delle persone o per l’allargamento della rappresentanza
parlamentare, ma anche per la volontà di superare la guida monarchica. Il parlamento cioè
non avrebbe dovuto continuamente chiedere spazio e poteri al sovrano. Avrebbe dovuto
saper imporre le proprie decisioni in modo autonomo. La costituzione iniziò poi ad essere
vista non più come un semplice pezzo di carta incapace di porre un limite alla volontà del
sovrano. Sarebbe dovuta divenire uno strumento “rigido”, da rispettare e applicare. Non
sarebbe stato più possibile modificarla senza il consenso di maggioranze parlamentari più
ampie di quelle richieste per la normale attività legislativa. Occorrevano di conseguenza
organi e meccanismi che garantissero l’efficacia della costituzione in modo tale da
sottolinearne la superiorità rispetto a tutte le altre norme giuridiche esistenti8.
Un altro elemento innovativo delle costituzioni novecentesche fu la grande
importanza attribuita ai giuristi. Nell’800 i monarchi concedevano le carte costituzionali
senza studiarle troppo, non coinvolgendo cioè nella stesura personalità esperte come
giuristi o costituzionalisti. Nel ‘900 invece le assemblee che si accingevano a dar vita alle
carte costituzionali erano composte dai giuristi più famosi dell’epoca.
Non sempre però le costituzioni dei primi anni del Novecento andarono in questa
direzione social-democratica. Nell’Europa post bellica infatti emersero regimi totalitari in
cui non si trova traccia di quel rinnovamento democratico che aveva permesso di superare
le strutture dello Stato liberale. Il primo paese dove sorse uno stato totalitario che si sostituì
ad una democrazia liberale fu l’Italia degli anni ’20. Qui si passò da una forma di governo
parlamentare ad una forma di governo monopartitica. Il partito unico era rappresentato dal
movimento fascista. Al vertice dell’esecutivo venne a trovarsi il leader di questo partito
unico: Benito Mussolini. Il partito fascista aveva quindi nelle mani sia le funzioni
legislative che le funzioni esecutive. Fondamentale nell’ascesa del regime fascista fu la
7
8
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 170-171.
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., p. 174.
4
debolezza dello Statuto Albertino del 1848, la prima costituzione dell’Italia unitaria. Lo
Statuto Albertino risultò essere una costituzione troppo fragile, che non pose limiti alle sue
possibili modifiche, al cambiamento delle sue direttive. Pur non venendo mai abrogato
divenne un semplice contenitore di leggi private di ogni legittimazione9.
Ancora più estrema fu l’esperienza del nazionalsocialismo in Germania. Se in Italia
infatti vi fu una sorta di trasformazione in senso autoritario dello Stato liberale, in
Germania vi fu un vero e proprio sovvertimento. La Costituzione di Weimar venne
delegittimata attraverso la soppressione dei partiti politici, la cancellazione delle libertà
individuali e dei vari organi costituzionali, la concentrazione dei poteri legislativo,
esecutivo e giudiziario nelle mani di Adolf Hitler, leader del partito unico. Tutto ciò
avvenne nel rispetto delle legalità costituzionali10, dimostrando come la presenza di vincoli
di revisione nella costituzione non rappresentasse ancora uno strumento efficace11.
A partire dal secondo dopoguerra si può notare invece l’affermarsi del concetto di
supremazia della costituzione. Questa sorta di sovranità attribuita alla costituzione conferì
per la prima volta immediata validità ai principi e alle norme contenute in essa,
trasformando così anche i diritti fondamentali degli individui in diritti inviolabili. La
superiorità della costituzione divenne uno strumento di tutela e garanzia. I valori che erano
contenuti in essa rappresentarono perciò un qualcosa che andava al di sopra della legge
ordinaria, al riparo da ogni violazione e sopruso. Le costituzioni del secondo dopoguerra
presero quindi le distanze sia da quelle dell’800 che da quelle dei primi decenni del XX
secolo. Le costituzioni sorte nell’800 erano infatti caratterizzate da una raccolta di leggi
astratte e prive di reale legittimazione. Quelle nate nei primi decenni del ‘900, pur
comprendendo la necessità di salvaguardare e distinguere la carta costituzionale dalle leggi
ordinarie, non riuscirono sempre a garantire il successo della democrazia. Le nuove
costituzioni europee sorte nel secondo dopoguerra attribuirono ad un apposito organo il
fondamentale compito di impugnare e annullare le norme che andavano contro la legge
superiore. Questo organo venne identificato nella Corte Costituzionale, che non solo fu
dotata di un compito “negativo”, ovvero la sanzione di leggi ritenute anticostituzionali, ma
abbracciò anche un compito “positivo”, cercando di adeguare la costituzione alla vita
politica, economica e sociale del paese12.
9
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 177-178.
Come nel caso italiano, anche la Costituzione tedesca venne sconvolta senza venir abrogata.
11
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., p. 179.
12
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 183-190.
10
5
Altro aspetto molto importante delle costituzioni del secondo dopoguerra, oltre alla
difesa dei diritti umani e al principio di superiorità, fu la legittimazione giuridica dei partiti
politici
che
vennero
finalmente
riconosciuti
come
elementi
di
aggregazione,
rappresentanza e partecipazione. Tramite il partito, il singolo cittadino si inseriva ora nelle
strutture dello Stato, faceva sentire la propria voce, partecipava attivamente alla vita
politica. I partiti politici rappresentarono il collegamento tra Stato e società che dunque
cessarono di essere due realtà distinte. Lo Stato, grazie ai partiti, iniziò ad inserirsi
realmente all’interno della società; allo stesso tempo la società si insinuò nelle maglie dello
Stato13.
Con le costituzioni del secondo dopoguerra lo Stato intervenne anche nella sfera
economica lasciandosi definitivamente alle spalle il laisser faire, ovvero il principio del
liberalismo economico che non vedeva di buon occhio l’intromissione dell’apparato
pubblico. Questo intervento avvenne però senza privilegiare determinate categorie o
individui. Il fine consisteva nell’applicare meccanismi di Welfare che comportassero
benefici per tutta la popolazione. Lo Stato democratico si tramutò quindi in Stato sociale.
Divenne prioritaria la difesa delle categorie sociali economicamente più fragili che si
esplicò con l’introduzione della giustizia retributiva. Una tassazione più pesante avrebbe
dovuto gravare sui ceti più abbienti mentre vari sussidi e aiuti avrebbero dovuto alleviare le
spese che gravavano sul bilancio delle famiglie più povere. Lo Stato si fece anche
imprenditore offrendo stimoli per l’occupazione, per la produzione, per rianimare il
mercato14.
Queste costituzioni del Novecento mostrano però oggi una crisi che è dovuta, per
riflesso, alle difficoltà che incontra lo Stato contemporaneo. In primo luogo vi è il dissesto
dello Stato sociale. Non sempre all'enunciazione dei diritti sociali da parte di norme
costituzionali corrisponde l’obbligo della pubblica amministrazione ad erogare le relative
prestazioni. I diritti sociali rappresentano quindi diritti che lo Stato proclama ma che non
sempre sono realmente effettivi. Il secondo elemento di crisi è dato da uno Stato sempre
meno sovrano, sempre meno padrone di un sistema economico che si allarga ormai oltre i
suoi confini. Viviamo nell’era della globalizzazione e lo Stato è vittima di una realtà in
continuo sviluppo. Il terzo e ultimo fattore di crisi riguarda il declino dello Stato
pluripartitico. I partiti smettono infatti di essere l’anello di congiunzione fra Stato e società
13
14
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., p. 193.
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 195-196.
6
e finiscono per essere superati da altre forme di comunicazione e azione politica come
immagini e messaggi diretti che passano attraverso i media. A ciò si deve aggiungere il
malessere interno ai partiti che con i loro atteggiamenti sempre meno credibili e sempre più
rivolti al proprio tornaconto, minano la loro stessa legittimità15.
Tuttavia, nonostante questa crisi, le costituzioni continuano ad essere considerate un
elemento fondamentale nell’equilibrio e nell’ordinamento della società, delle istituzioni e
dei poteri di uno Stato.
15
S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 198-202.
7
3. LA ASCITA DEL GRUDGESETZ
Dopo aver visto le caratteristiche principali delle carte costituzionali del Novecento,
passiamo ad analizzare da vicino come viene creata una costituzione. Prenderemo in esame
il Grundgesetz tedesco. Grundgesetz o Legge fondamentale è il nome dell’attuale
costituzione tedesca che entrò in vigore il 23 maggio 1949 e che venne inizialmente
considerata provvisoria.
Agli inizi del 1948 le potenze occidentali diedero alle tre zone in cui era suddivisa e
occupata la Germania Ovest, la possibilità di creare un’organizzazione statale. I vari
Länder che componevano la Germania Ovest decisero però di non creare una vera e
propria Assemblea Costituente, causa il carattere ancora provvisorio dello Stato tedesco. I
vari Landtage16 preferirono infatti inviare proprie rappresentanze affinché formassero un
Parlamentarischer Rat. Compito del Parlamentarischer Rat sarebbe stato quello di
elaborare una costituzione provvisoria, il Grundgesetz, da presentare poi ai vari Landtage
per l’approvazione conclusiva. Il Grundgesetz venne effettivamente accettato dai Länder
nel corso della deliberazione conclusiva che si tenne tra il 18 e il 21 maggio 194917. Fin dal
momento in cui fu promulgata, il 23 maggio 1949, la Legge fondamentale venne
considerata provvisoria, in attesa della riunificazione tedesca. Solo allora infatti si sarebbe
realizzata, secondo le volontà dei costituenti, la vera e propria costituzione18. La Legge
fondamentale venne considerata provvisoria anche perché quest’ultima fu creata seguendo
orientamenti espressi in larga misura dalle forze di occupazione. Nel luglio del 1948 i
governatori militari delle tre zone occupate della Germania Ovest consegnarono infatti ai
Länder una sorta di “mandato costituzionale”. In questo mandato si esortava l’Assemblea
Costituente ad elaborare una forma di governo di tipo federale in cui vi fossero garanzie
nei confronti degli ordinamenti dei Länder e riguardo i diritti e le libertà individuali. Se la
costituzione non avesse seguito queste indicazioni generali, i governatori militari potevano
non autorizzarne la ratifica19.
16
Termine utilizzato per definire l’organo parlamentare di ciascun stato federale della Germania (Land).
Gustavo Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca dalla Costituzione di Weimar alla Legge fondamentale
di Bonn, in La Costituzione italiana, a cura di Maurizio Fioravanti e Sandro Guerrieri, Roma, Carocci, 1998,
p. 247.
18
In realtà, al momento della riunificazione tedesca, si decise di mantenere, pur con qualche modifica, la
costituzione occidentale.
19
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 250.
17
8
Nella composizione del Grundgesetz vi furono frequenti dibattiti fra i costituenti
tedeschi e i governatori militari alleati. Un primo grande contrasto emerse riguardo le
competenze dei Länder nei confronti delle imposte. Mentre la visione tedesca voleva
istituire un’autorità centrale a cui affidare l’amministrazione di tutte le imposte federali
comprese quelle dei vari Länder, la visione alleata prevedeva la ripartizione delle
competenze sulle imposte fra governo e singoli Stati tedeschi. Alla fine prevalse la tesi
alleata. Un secondo punto di attrito riguardò il termine da adottare per nominare la nuova
costituzione.
I tedeschi
prevedevano
l’uso
della
parola
Grundgesetz
(“Legge
fondamentale”) invece di Verfassung (“Costituzione”) per sottolinearne così il carattere
provvisorio. Questo contrasto venne risolto battezzando la costituzione Grundgesetz Vorläufige Verfassung ovvero “Legge fondamentale – Costituzione Provvisoria”20.
Facciamo ora un passo indietro e vediamo nei particolari come avvenne la creazione
della Legge fondamentale. Il 25 luglio del 1948 i Ministerpräsidenten dei vari Länder
istituirono una commissione di esperti per elaborare le linee principali di un Grundgesetz
da sottoporre poi al Parlamentarischer Rat. La commissione si riunì nel castello di
Herrenchiemsee in Baviera a partire dal 1° agosto. Il Parlamentarischer Rat iniziò invece i
lavori il 1° settembre. Nel Parlamentarischer Rat entrarono a far parte i rappresentanti dei
vari Landtage. Nel caso del Grundgesetz quindi non ci fu l’elezione diretta da parte del
popolo di un’Assemblea Costituente. Queste persone provenienti dai Landtage erano
comunque ritenute i rappresentanti legittimi della popolazione tedesca che risiedeva nelle
zone occupate21.
Il dibattito costituzionale all’interno del Parlamentarischer Rat si orientò attorno a
due questioni principali. Prima di tutto occorreva rafforzare il governo poiché una debole
guida, a suo tempo, non aveva saputo opporsi alla dittatura nazionalsocialista. In secondo
luogo si volevano rafforzare le garanzie dei diritti fondamentali degli individui22, tra cui i
diritti politici. Allo stesso tempo però si cercò limitare tali garanzie nell’interesse della
sicurezza dello Stato23. Attorno a questi due punti centrali si ebbero quindi tutta una serie
di discussioni che riguardarono non solo come assicurare stabilità all’esecutivo ma anche
come, e con quali criteri, compilare il catalogo dei diritti fondamentali delle persone.
20
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 250-251.
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 266.
22
Per diritti fondamentali degli individui si intendono: diritto alla vita, uguaglianza davanti alla legge, libertà
di fede e di coscienza, libertà di espressione, libertà di riunione, libertà di associazione, libertà della
professione, inviolabilità del domicilio, ecc..
23
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 249.
21
9
Per quanto riguarda la stabilità del governo, la commissione di Herrenchiemsee
elaborò un progetto secondo il quale doveva essere il Bundestag, ovvero il Parlamento
Federale, ad eleggere a maggioranza il Cancelliere24. Se fosse mancata questa maggioranza
spettava al Presidente Federale nominarlo. Il Bundestag, a sua volta, avrebbe potuto
esprimere la propria sfiducia nei confronti del Cancelliere ma solamente in presenza
dell’indicazione di un successore. Questa sfiducia, come venne precisato successivamente
dal Parlamentarischer Rat, doveva essere espressione della maggioranza dei membri del
Bundestag. Si cercò in questo modo di evitare le debolezze che contraddistinsero la
Costituzione di Weimar, la quale comunque influì sulla nuova forma di governo adottata
dalla Legge fondamentale. L’esecutivo infatti non doveva basarsi solo sulla figura del
Cancelliere ma anche sul principio collegiale, principio in base al quale la volontà di un
organo è frutto del concorso di tutte le persone partecipanti al collegio, e sul principio
dell’autonomia e della responsabilità del singolo ministro all’interno del proprio ufficio25.
Per quanto riguarda invece il catalogo dei diritti fondamentali, l’accordo fra socialisti
e liberali impose la limitazione di quest’ultimo ai tradizionali diritti individuali di libertà,
escludendo così i diritti sociali. In particolare, il partito dei socialdemocratici vedeva,
nell’allargamento dei diritti fondamentali ai diritti sociali, un limite all’azione del
legislatore. Furono escluse quindi dal Grundgesetz materie di ambito economico e sociale
come il diritto al lavoro, l’assistenza pubblica, la partecipazione dei sindacati alle decisioni
economiche, che rientrarono di conseguenza nei compiti ordinari del legislatore. Sul rifiuto
di ampliare il catalogo dei diritti delle persone pesarono altri due fattori. In primo luogo il
carattere provvisorio del Grundgesetz. Per la maggior parte dei membri del
Parlamentarischer Rat era ancora troppo presto per fare previsioni sulla futura struttura
sociale ed economica della Germania. In secondo luogo influì la volontà, già accennata
precedentemente, di tutelare ma allo stesso tempo limitare i diritti fondamentali del
cittadino per la protezione della costituzione stessa26. La difesa della Legge fondamentale
rappresentò d’altronde un aspetto significativo nei dibattiti interni al Parlamentarischer
Rat. In caso di necessità, per scongiurare eventuali attacchi alla democrazia, fu deciso di
sospendere alcuni diritti fondamentali. Così l’articolo 18 afferma che chi abusa della
libertà di espressione, della libertà di stampa, della libertà di riunione, della libertà di
insegnamento, perderà questi diritti. L’articolo 21 aggiunge che saranno sciolti tutti quei
24
Il Cancelliere incarna le funzioni di Capo del Governo.
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 265-266.
26
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 254-256.
25
10
partiti volti a “danneggiare o eliminare l’orientamento democratico e liberale”27. La
possibilità di restrizione di tutti quei diritti visti come minaccia per la costituzione
democratica, escludeva automaticamente la necessità di adottare misure di sicurezza
pubblica come il famoso articolo 48 della Costituzione di Weimar28.
Ma quale organo doveva assumersi la responsabilità di difendere il Grundgesetz? Gli
articoli 18 e 21 stabiliscono che il Bundesverfassungsgericht, ovvero il Tribunale
Costituzionale Federale, divenga l’organo centrale di tutela del Grundgesetz, con il
compito di pronunciarsi riguardo “questioni di incostituzionalità”. La creazione e le
competenze del Bundesverfassungsgericht furono oggetto di aperte discussioni sia
all’interno della commissione di Herrenchiemsee che all’interno del Parlamentarischer Rat.
Alla fine però si optò per la sua istituzione, ponendolo su un gradino superiore alla sfera
legislativa, amministrativa e giudiziaria. Il Bundesverfassungsgericht doveva allo stesso
tempo difendere i diritti fondamentali degli individui dagli eventuali abusi delle
maggioranze parlamentari. Il modello di Tribunale Costituzionale cui si ispirò la
commissione di Herrenchiemsee fu quello enunciato all’art. 60 della Costituzione bavarese
del 1946. In questo articolo si menzionava un Verfassungsgerichtshof con competenze
relative alla custodia e alla garanzia della Costituzione29.
I diritti fondamentali delle persone non potevano però essere difesi solo dal
Bundesverfassungsgericht. Occorreva che questi diritti assumessero all’interno del
Grundgesetz una posizione centrale che li rendesse immediatamente validi, poiché “non
sono delle mere declamazioni, delle dichiarazioni e direttive, non sono raccomandazioni”
come affermò Carlo Schmid membro del Partito Socialdemocratico Tedesco30. I diritti
fondamentali cioè non dovevano essere compressi dalle leggi ordinarie. Tutto ciò trovò
applicazione nell’articolo 1, comma 3°, del Grundgesetz che eleva infatti i diritti a norme
giuridiche immediatamente valide. L’articolo 19 poi stabilisce delle garanzie precise
contro l’intervento del legislatore. Se infatti l’articolo 18 consente allo Stato di intervenire
per porre un freno a questi diritti, l’articolo 19 stabilisce entro quali limiti questo potere
politico può essere applicato31.
27
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 257.
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 258.
29
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 258-259.
30
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 262.
31
In particolare, l’articolo 19 sottolinea come “in nessun caso un diritto fondamentale può essere leso nel suo
contenuto essenziale” e che “chiunque è leso nei suoi diritti dal potere pubblico può adire l'autorità
giudiziaria”.
28
11
L’importanza dei diritti fondamentali per i costituenti tedeschi del secondo
dopoguerra si nota anche da un altro elemento. Mentre infatti nella costituzione di Weimar
i diritti fondamentali furono posti nella seconda parte della carta costituzionale, dietro la
struttura e le funzioni del Reich, nel Grundgesetz trovano posto all’inizio, davanti alla
parte che tratta l’organizzazione dello Stato32.
Il Grundgesetz, ritenuto fin dalla sua creazione una costituzione provvisoria, finì poi
per rappresentare stabilmente la vera e propria carta costituzionale del popolo tedesco.
Quando infatti avvenne la riunificazione tedesca (1990), si decise semplicemente di
mantenere valido l’intero corpo della Legge fondamentale, modificandolo solo in alcuni
punti.
32
G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 262-263.
12
4. L’ATTUAZIOE DELLA COSTITUZIOE ITALIAA
Una costituzione non si limita a nascere e ad entrare in vigore. Una costituzione
infatti deve passare dall’aspetto teorico all’aspetto pratico, ossia deve essere attuata.
Prenderemo come modello, per dare un esempio di applicazione di una carta
costituzionale, la Costituzione Italiana.
La Costituzione Italiana, che entrò in vigore il 1° gennaio 1948, affiancò a norme
considerate precettive, ovvero introduttive di norme giuridiche immediate, “norme
direttive o programmatiche”, la cui efficacia era subordinata ad un intervento legislativo.
Queste norme programmatiche si presentarono, nell’insieme, come un mosaico: alcuni
tasselli vennero subito presi in considerazione dai legislatori, altri invece rimasero
accantonati per più tempo33.
Nel periodo in cui si svolsero i lavori dell’Assemblea Costituente, il Governo non
interferì nella preparazione della costituzione. Con l’inizio della prima legislatura (dal
1948 al 1953) il Governo De Gasperi cominciò però ad incidere nell’attuazione di
quest’ultima. Spettò infatti al Governo la selezione delle previsioni costituzionali da attuare
e quelle invece da rinviare. Si venne così a creare un quadro suddiviso in quattro parti: vi
furono iniziative destinate a non ricevere alcuna attuazione nemmeno in futuro; iniziative
che sarebbero state attuate solamente a molti anni di distanza; iniziative rinviate nonostante
sollecitazioni governative e infine iniziative che si sarebbero giovate di un qualche
successo già durante il periodo degasperiano34.
Rientrarono nella prima categoria previsioni quali la struttura e le funzioni dei
sindacati (art. 39 della Costituzione) e dei consigli di gestione delle aziende (art. 46 della
Costituzione)35.
Le iniziative che il Governo evitò di trattare, considerandone l’attuazione un evento
prematuro per i tempi, riguardarono soprattutto il Consiglio Superiore della Magistratura e
la giustizia militare. Al posto del Consiglio Superiore della Magistratura si continuò a fare
33
Livio Paladin, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 75.
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 89.
35
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 90.
34
13
affidamento su un ordinamento giudiziario posto nelle mani del Ministero di Grazia e
Giustizia. Non venne riorganizzato nemmeno il Tribunale Supremo Militare36.
Nella terza categoria rientrarono invece le riforme regionali. In mancanza di una
legge elettorale regionale, per altro prevista dal 1° comma dell’articolo 122 della
Costituzione, l’unico prodotto della prima legislatura fu la legge Scelba 10 febbraio 1953,
n. 62, riguardante il funzionamento degli organi delle Regioni a statuto ordinario. Questa
legge però, invece che lasciare alle singole Regioni autonomie statutarie e legislative,
finiva per divenire troppo puntigliosa e restrittiva. Dovranno trascorrere 17 anni prima
dell’elezione dei Consigli regionali37.
Considerando queste prime tre categorie, non può destare meraviglia il giudizio
negativo, dei costituzionalisti e dei giuristi italiani, nei confronti del Governo De Gasperi
in tema di attuazione delle previsioni costituzionali. Se da una parte Crisafulli parlava di
“Costituzione tradita”, dall’altra Calamandrei sottolineava la singolare capacità del
Governo nel “disfare una Costituzione”38. Vi era da più parti la convinzione che
l’immobilismo costituzionale degli anni tra il 1948 e il 1953 fosse voluto dalla stessa
maggioranza del Parlamento. Quel che è certo è che il Governo De Gasperi dovette
affrontare pesanti difficoltà politiche e contrasti che sicuramente non favorirono
l’attuazione della Costituzione. De Gasperi e la Democrazia Italiana infatti non vollero
governare da soli ma al contrario cercarono di coinvolgere tutti i partiti (compreso il
Movimento sociale italiano che non venne messo al bando nonostante il divieto di
ricostruire il partito fascista), nel tentativo di salvaguardare le fondamenta stesse della
democrazia. In quello stesso periodo comunque, accanto al “congelamento” della
Costituzione, furono gettate solide basi per l’entrata in funzione, nella seconda legislatura,
della Corte Costituzionale. Queste solide basi erano rappresentate dalla legge 11 marzo
1953, n. 87, riguardante il funzionamento della Corte Costituzionale39.
Con la seconda legislatura (dal 1953 al 1958) si andarono a definire meglio alcune
istituzioni previste dalla Carta Costituzionale come il Presidente della Repubblica, il
Presidente del Consiglio dei Ministri e le Camere del Parlamento. In particolare, a partire
dal 1953, il Presidente del Consiglio dovette rassegnarsi al ruolo di mediatore tra le forze
politiche costituenti la maggioranza di Governo, invece che porsi come guida della propria
36
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 92.
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 94-96.
38
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 97.
39
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 99.
37
14
coalizione. All’opposto, il Capo di Stato, grazie alla figura di Gronchi, crebbe la propria
influenza40.
La seconda legislatura è però importante anche per una serie di attuazioni normative
destinate a caratterizzare nel profondo la Costituzione. Essenziale fu per esempio la
formazione della Corte Costituzionale, l’organo preposto alla difesa della Costituzione.
Questa istituzione aveva fra i suoi compiti principali quello di giudicare la legittimità
costituzionale delle leggi. La stessa Costituzione e poi il Parlamento avevano per altro
previsto due sole tipologie di sentenze spettanti ai giudici della Corte: la decisione di
accoglimento dei testi legislativi impugnati o la decisione di rigetto. Fin dal 1956 però la
Corte utilizzò un terzo tipo di sentenza: la sentenza interpretativa di rigetto, destinata nella
pratica a riscrivere i testi di leggi impugnati. In questi casi quindi la Corte Costituzionale si
trasformò in una sorta di terza Camera del Parlamento41.
La seconda legislatura ebbe anche il merito della creazione di due altri organi previsti
dalla Costituzione: il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) e il
Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Sia il CNEL che il CSM videro però
sminuito il loro ruolo rispetto a quanto stabilito dalla Costituzione. La legge istitutiva 5
gennaio 1957, n. 33, riguardante il CNEL, fece in modo infatti di non rendere obbligatoria
la consultazione dell’organo da parte di Camere e Governo in materia economica e sociale.
L’attività del Consiglio si limitò quindi alle sole indagini e alle ricerche nel settore
economico. Con la legge istitutiva 24 marzo 1958, n. 195, vennero invece realizzati i
presupposti per la creazione del Consiglio Superiore della Magistratura, ossia l’organo di
garanzia della magistratura. La legge però dava largo spazio alle ingerenze del Ministero di
Grazia e Giustizia soprattutto riguardo le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le
promozioni del personale della magistratura ordinaria42.
Al pari della seconda legislatura, anche la quinta legislatura (dal 1968 al 1972) fu
protagonista nel produrre un numero rilevante di leggi che attuarono o semplicemente
integrarono le disposizioni costituzionali. Questa mole di lavoro fu tale da far ritenere, per
la prima volta nella storia della Repubblica, che la Costituzione fosse stata portata a
compimento quasi del tutto. Ciò avvenne all’interno di un quadro politico difficile. La
40
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 125-129.
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 143-144.
42
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 144-149.
41
15
quinta legislatura fu infatti caratterizzata da un succedersi di governi fragili (ben 6 in 4
anni)43.
Proprio in quegli anni di crisi politica, fra il ’70 e il ’72, furono approvate una serie di
leggi che portarono all’entrata in funzione delle Regioni a statuto ordinario. Nel giugno del
1970 si tennero finalmente le elezioni regionali che furono anticipate, nel maggio dello
stesso anno, dall’entrata in vigore della legge n. 281, che doveva disciplinare
l’ordinamento finanziario delle Regioni. La legge n. 281, pur risultando incompleta,
sostituì l’articolo 9 della legge Scelba che costringeva i Consigli regionali a legiferare
solamente su materie di secondaria importanza. Ora era possibile per le Regioni legiferare
anche riguardo temi importanti, pur sempre nei limiti delle competenze territoriali. La
legge n. 281 ha però allo stesso tempo limitato le autonomie delle Regioni ordinarie dal
punto di vista delle entrate finanziarie, disciplinando fortemente imposte e tasse. Un’altra
limitazione all’entrata in vigore delle Regioni riguardò il passaggio alla sfera regionale
degli uffici e delle funzioni statali previsti dall’articolo 117 della Costituzione (tutela e
sicurezza del lavoro, istruzione, professioni, tutela della salute, protezione civile, ecc.). Se
l’articolo 17 della legge n. 281 sottolineò come questo trasferimento dovesse avvenire “per
settori organici di materie”, il Governo operò invece suddividendo fra periferia e centro le
competenze
riguardanti
ciascuna
materia
regionale.
Le
funzioni
affidate
alle
amministrazioni regionali risultarono di conseguenza molto circoscritte. La riforma che
portò all’istituzione delle Regioni era quindi ancora lontana dall’avere una vera e propria
conclusione44.
Negli anni successivi alla quinta legislatura però qualcosa mutò. Attraverso la leggedelega 22 luglio 1975, n. 382, ma soprattutto con il decreto presidenziale 24 luglio 1977, n.
616, vi fu una ridefinizione delle materie di competenza regionale che andò oltre le
indicazioni dell’articolo 117 della Costituzione. Grazie infatti al decreto n. 616 si ebbe un
più completo trasferimento delle funzioni statali alle Regioni, anche se non si poté ancora
scrivere la parola “fine” sui rapporti fra Stato e Regioni. Il decreto presidenziale d’altronde
non risolveva le varie concorrenze fra Regione, Comune e Provincia, lasciando largo
spazio alle amministrazioni comunali nella sfera dei servizi sociali45.
La quinta legislatura vide anche l’attuazione della legge riguardante i referendum.
Questa sorta di “democrazia diretta” non aveva mai trovato entusiastici pareri tra le
43
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 243.
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 254-257.
45
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 264-265.
44
16
maggiori forze politiche in Parlamento, che non volevano perdere il controllo della podestà
legislativa. L’approvazione della legge n. 352 del 1970 disciplinò però il ricorso alle
consultazioni referendarie previste all’articolo 75 della Costituzione. Determinante per
l’applicazione concreta della legge n. 352 fu l’accoglimento della proposta legislativa
relativa all’introduzione del divorzio (legge 1° dicembre 1970, n. 898). Per evitare infatti
che la questione concernente l’abrogazione o meno della legge n. 898 determinasse in
Parlamento una spaccatura troppo netta fra le forze politiche, il Governo decise di ricorrere
alle consultazioni referendarie previste dalla Costituzione46.
Nel 1971 vennero introdotti anche dei nuovi regolamenti parlamentari che dovevano
portare a compimento gli articoli 64 e 72 della Costituzione. Scopo di questi regolamenti
era dare centralità al Parlamento, ossia fornire alle due Camere compiti di controllo e di
indirizzo della vita politica del paese. Si vedano a questo proposito le cosiddette
“risoluzioni parlamentari”, destinate non solo a manifestare pareri ma anche indirizzi che
avrebbero dovuto vincolare il Governo stesso. Le aspirazioni delle Camere non trovarono
però applicazione nella realtà, sottolineando come il Parlamento italiano fosse
principalmente un Parlamento legislatore47.
La quinta legislatura si occupò anche delle riforme riguardanti i diritti e i doveri dei
cittadini. Fondamentale a questo proposito fu l’entrata in vigore dello Statuto dei
lavoratori, grazie alla legge 20 maggio 1970, n. 300. Questa normativa, oltre a trattare la
“dignità e le libertà dei lavoratori” dedicò ampio spazio alle libertà e alle attività
sindacali48. Con la legge-delega 9 ottobre 1971, n. 825, invece si consentì al Governo di
adottare un’organica riforma tributaria che riequilibrasse i criteri approssimativi alla base
delle varie forme di prelievo. Con questa legge si volle per esempio modificare il metodo
con cui veniva definita l’imposta comunale di famiglia, metodo ancorato all’apparente
agiatezza del gruppo familiare. Si cercò anche di rimediare allo squilibrio fra imposte
dirette e imposte indirette, squilibrio che favoriva le seconde rispetto alle prime. Tuttavia,
negli anni successivi, ci vollero ulteriori decreti legislativi per portare a compimento la
riforma tributaria49.
Anche la sesta legislatura (dal 1972 al 1976) proseguì sulla strada dell’attuazione
costituzionale. In questo periodo l’attenzione venne rivolta alla riforma del servizio
46
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 266-267.
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 276.
48
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 279.
49
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 283-284.
47
17
pubblico radiotelevisivo ma soprattutto alla formazione del nuovo diritto di famiglia, che
risulterà una tra le più solide attuazioni costituzionali degli anni settanta. Il nuovo
ordinamento riguardante il diritto di famiglia (legge 19 maggio 1975, n. 151) poneva
l’accento sul rapporto paritario tra i coniugi, trasformando la potestà maritale in potestà dei
genitori, valorizzando il lavoro della donna nell’ambito familiare e prescrivendo, in via di
principio, la comunione dei beni acquistati nel corso del matrimonio50.
Come si è potuto notare, l’attuazione della Costituzione Italiana non avvenne con
immediatezza ma fu caratterizzata da varie tappe che toccarono più legislazioni. A partire
dal 1956, anno in cui entrò in funzione, un ruolo fondamentale in tutte queste attuazioni lo
ebbe la Corte Costituzionale. Se da un lato infatti la Corte ha posto rimedio alle omissioni
del legislatore, dall’altro ha ripulito l’ordinamento giuridico da tutte quelle norme
contrastanti con le disposizioni costituzionali. Il tutto utilizzando strumenti che hanno
consentito di risolvere varie controversie nella piena affermazione dei valori
costituzionali51. Ciò ha permesso di superare quell’ostruzionismo denunciato da
Calamandrei all’inizio degli anni ’50, facilitando l’applicazione di riforme sempre più
numerose.
50
L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 292-294.
Ad esempio la Corte Costituzionale respinse le accuse di illegittimità rivolte al decreto presidenziale 24
luglio 1977, n. 616, che ridefiniva le materie di competenza regionali. Secondo alcuni questo decreto si
spingeva oltre le indicazioni fornite dall’articolo 117 della Costituzione. La Corte Costituzionale rispose che
le leggi ordinarie potevano ridefinire i limiti delle competenze regionali in base alle nuove considerazioni
delle funzioni da svolgere in quegli ambiti.
51
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BIBLIOGRAFIA
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a cura di Armando Vitale, Roma, Donzelli, 2001.
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Gustavo Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca dalla Costituzione di Weimar alla
Legge fondamentale di Bonn, in La Costituzione italiana, a cura di Maurizio Fioravanti
e Sandro Guerrieri, Roma, Carocci, 1998.
•
Livio Paladin, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, Bologna, Il
Mulino, 2004.
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Le costituzioni del ovecento