UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE
FACOLTA’ DI ECONOMIA “GIORGIO FUÀ”
Dottorato di Ricerca in Diritto dell’Economia
Ciclo X
IL FRANCHISING:
TRA L’AUTONOMIA CONTRATTUALE
E L’ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
Coordinatore: Chiar.mo
Prof. Gerardo Villanacci
Tutor: Chiar.mo
Prof. Daniele Mantucci
Dottoranda:
Dott.ssa Elys Dayse Goncalves
da Cunha Brokamp
Anno Accademico 2009 - 2012
SOMMARIO
CAPITOLO UNO
1.1
Origine e Evoluzione del franchising ............................................ p.
4
1.2
La integrazione verticale del contratto di franchising ...................
19
1.3
Franchising e Integrazione verticale ..............................................
22
1.4
Distribuzione Commerciale e il Franchising .................................
23
1.5
Le prospettive di Forme di Integrazione Contrattuale
della distribuzione nel caso italiano...............................................
28
1.6
Le rete di imprese ..........................................................................
33
1.7
Rete di imprese, interdipendenze e complementarietà ..................
37
1.8
Tipologia di rete e regolazione giuridica ......................................
44
1.9
Concetto di rete e organizzazione delle imprese ...........................
50
1.10 Franchising e relazioni cooperative ...............................................
55
1.11 Dalla rete di imprese al contratto di rete........................................
57
CAPITOLO DUE
2.1 Affiliazione commerciale nella legge nella legge
n. 129 del 2004 ................................................................................
65
Forme e contenuto del contratto ....................................................
79
2.3 Principio della buona fede oggettiva .............................................
118
2. 4 Principio dell’equilibrio delle prestazioni .....................................
124
2.2
2
CAPITOLO TRE
3.1 La proibizione di abuso di dipendenza nel contratto di subfornitura.
L’applicazione ad altri contratti di distribuzione. La vocazione espansiva
della proibizione di abuso di dipendenza economica nelle relazioni tra
imprese
................................................................................ p.
130
3.1.1
Aspetti generali .........................................................................
130
3.1.2
La dipendenza economica .........................................................
133
3.2 La teoria dell’abuso e la nullità di protezione nei contratti ..................
143
3.3 Il problema del contratto giusto e della verificazione del contratto
analizzato sotto l’esercizio della libertà contrattuale ............................
144
3.4 La proibizione dell’abuso di dipendenza economica e il franchising...
147
3.5 Asimmetria di poteri contrattuali ..........................................................
149
3.6 Il terzo contratto
................................................................................
155
3.7 Abuso di autonomia negoziale e i contratti di mercato ........................
167
3.8 La proibizione di abuso di dipendenza economica nel contratto
di affiliazione commerciale ..................................................................
172
3.9 Della violazione di obbligo di disclosure nel contratto di franchising .
175
Conclusioni
................................................................................
181
Bibliografia
................................................................................
196
3
CAPITOLO UNO
1.1 Origine ed evoluzione del franchising
Il fenomeno del franchising nacque un secolo fa negli Stati Uniti con lo
scopo di soddisfare la crescente esigenza di organizzare la distribuzione capillare
dei prodotti specialmente in mercati considerati di difficile inserzione.
La parola franchising o affiliazione commerciale, come definita in Italia,
descrive una serie di schemi contrattuali che conferiscono disciplina giuridica a
operazioni di decentralizzazione commerciale e industriale.1
Tale decentralizzazione è effettuata attraverso concessioni tra imprenditori
di settori della distribuzione o della produzione o di ambedue.
Tra le cause del rapido sviluppo del franchising e della sua diffusione
immediata, non solo nei paesi dove nacque, ma anche nel vecchio continente, V
.DE GIOIA distacca il doppio vantaggio della sua utilizzazione. In primo luogo,
per la impresa produttrice di beni e servizi, perché
rende possibile una
collocazione razionale ed economicamente vantaggiosa. In secondo luogo, per gli
imprenditori che entrano nel circuito commerciale della distribuzione, questo
sistema dà la possibilità di mantenere la propria indipendenza economicagiuridica in relazione alla impresa produttrice, e di usare del privilegio di
commercializzare determinati prodotti o servizi della impresa principale,
utilizzandosi della fiducia che questa ultima gode in relazione ai consumatori,
oltre ad usufruire di un patrimonio di conoscenze e tecniche, che sarebbe o
impossibile o estremamente oneroso ottenere fuori della inserzione in questa rete.2
1
Cfr. V. De GIOIA. Il Contratto di Franchising. Profili dottrinali, giurisprudenziali, schemi
operativi e formulario. Experta S.p.a, 2004, p.2-3
2
Cfr. V.De GIOIA. Il Contratto di Franchising. Profili dottrinali, giurisprudenziali, schemi
operativi e formulario. Experta S.p.a, 2004, p. 2-3
4
Rimontando alle origini del franchising, F. BORTOLOTTI, anche se
attribuisce la stessa origine americana, afferma che il franchising originalmente
sviluppato in quel paese, possiede un significato più ampio di quello inteso dalla
legge italiana, avvicinandosi ad altre forme distributive già esistenti (così come
vendita in esclusiva e concessione di vendita). Del resto afferma che l’idea basica
che si relaziona con il franchising è quella della concessione di un privilegio 3,
che consiste nella concessione ad altra persona del diritto di commercializzare
prodotti o servizi, usufruendo dei segnali distintivi, e , in conseguenza, della
notorietà ottenuta dal franchisor.
La parola inglese franchising si origina, come osserva A. MARRONE
4
dalla parola francese franchise, franchigia, che nel medioevo era un privilegio con
cui si concedeva autonomia agli stati e ai cittadini; una città franca era una
comunità che aveva ottenuto dal Re o dal signore una dispensa permanente dal
tributo e che allora disponeva di un diritto di libera circolazione di persone e di
cose. Anche oggi la parola franchigia è usata per indicare situazioni di esonero da
tasse e da tributi.
In senso stretto la parola franchising indica la relazione contrattuale di
affiliazione (affiliazione commerciale, franchising, franchissage o franchise,
franquicia, Frachise-Systema), con cui in ultima analisi una impresa (affiliante,
franchisor, franchisseur, franquiciador, Franchise-Geber) concede ad un altro
(affiliato, franchisee, franchise, franquiciado, Franchise-Nehmer) di svolgere una
attività commerciale sotto la bandiera e le forme tipiche del concedente.5
Negli Stati Uniti le prime manifestazioni del franchising si ebbero quando
grandi compagnie, come la General Motors e la Singer, adottarono questa tecnica
3
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising. La Nuova Legge sull’affiliazione
commerciale. Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 2. Questo privilegio é identificato
da Zanelli, Il Franchising in Trattato di diritto privato, a cura di Pietro Rescigno, 11, Torino, 1984,
p. 143 ss, 147.
4
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffré Editore, Milano, 2004, p.3
5
Cfr G. GALIMBERTI. Il Franchising. Giuffré Editore, Milano, p. 2
5
di commercializzazione per una distribuzione, più rapida ed efficace, attraverso di
commercianti locali, dei propri prodotti, in aree distanti dalla sede centrale.
6
La
evoluzione più rilevante del fenomeno avvenne dopo l’ultimo conflitto mondiale,
alimentata dalla esigenza di ricostruzione economica e dalla ricerca di nuove
soluzioni atte a soddisfare la crescente domanda di mercato. Il franchising
cominciò allora a espandersi sul piano internazionale, inizialmente nelle aree
geograficamente caratterizzate come aventi maggiori affinità culturali e
socioeconomiche con gli Stati Uniti, e solo più tardi a diffondersi per tutta
l’Europa.
Come indica la dottrina accettata da tutti, è stato soprattutto nel periodo
susseguente alla seconda guerra mondiale che si assiste al grande espandersi del
franchising, sostenuto dallo sviluppo economico di quegli anni. Il boom
economico, come nota G. GALIMBERTI,
7
rese più facile l’incontro di interessi
di diversi soggetti. I produttori, che affrontavano una crescente domanda,
avrebbero dovuto affrontare il problema dello sviluppo rapido della propria rete di
vendite, per riuscire a coprire una quota soddisfacente del mercato. Molti
commercianti messi in difficoltà a causa della diffusione delle grandi catene di
vendita, a loro volta cercano di adeguarsi e resistere alla concorrenza. Altri
operatori, con capacità economica indipendente, erano attratti dalla possibilità di
inserirsi nel processo, diventando piccoli impresari commerciali. Per tutti questi
soggetti, il franchising rappresentava una soluzione semplice e funzionale.
Già nel 1988, secondo una relazione annuale del Departement of
Commerce (Bureau of Industrial Economy), negli Stati Uniti esistevano circa
2200 società operando in regime di franchising, appartenenti a più di 40
6
7
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffé Editore, Milano, 2004, p.4
Cfr. G. GALIMBERTI. Il Fanchising. Giuffré Editore
6
(quaranta) settori diversi nel mercato. Questo fatto testimonia la flessibilità di tale
tecnica.8
L’ordinamento americano registra una articolata legislazione positiva sul
tema. Più di venti stati adottano le leggi di carattere generale che si riferiscono a
questo contratto. Nel piano federale deve essere risaltata la Rule 436 della F.T.C
sui Disclosure Requirements and Prohibition Concerning Franchising and
Business Opportunity Ventures, del 1978, che dispone e regola le informazioni ai
candidati a affiliati prima di realizzare il contratto.
9
Tra le informazioni che
devono essere presentate c’è la esperienza dell’affiliato e dei suoi funzionari,
eventuali azioni penali o civili promosse negli ultimi sette anni, pagamenti che
l’affiliato è obbligato ad effettuare prima dell’inizio della attività e nel corso del
contratto, beni che l’affiliato deve acquistare, eventuali limitazioni all’esercizio
della sua attività, durata del contratto, condizioni di rinnovamento e di rescissione,
programmi di formazione, ecc.10
La particolarità degli Stati Uniti, come nota F. BORTOLOTTI, è che in
ogni stato autonomo gli interventi legislativi di protezione all’affiliato sono
estremamente differenti. Così, alcune leggi (come esempio: Maryland, North
Dakota) prevedono la registrazione preventiva di eventuali offerte di franchising
ed una responsabilità civile e penale nei casi di inosservanza. Il Franchise
Investement Act 269 del 1977 del Michigan stabilisce, oltre alle classiche norme
sul disclosure statement, anche una serie di disposizioni relative al contenuto del
contratto, sanzionando espressamente la nullità di eventuali clausole che
8
Cfr. G. GALIMBERTI. Il Franchising, Giuffré Editore, Milano, p.7
Cfr.G. GALIMBERTI. Il Franchising, Giuffré Editore, Milano, p.4. F. BORTOLOTTI. Il
Contratto di Franchising. La Nuova Legge sull’affiliazione commerciale. Le Norme Antitrust
Europee, CEDAM, 2004, p.10
10
Cfr G. GALIMBERTI. Il Contratto di Franchising. La Nuova legge sull’affiliazione
commerciale. Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 10. Devono essere inserite le
informazioni in un Disclosure Statement redatte secondo criteri precisi imposti dalla normativa in
questione.
9
7
permettano lo scioglimento del contratto prima della scadenza dello stesso senza
che ci sia presente una <<good cause>>, o anche di clausole che permettano
all’affiliante il rifiuto del rinnovo del contratto senza un nuovo acquisto di
prodotti, beni strumentali, ecc. Nel Missouri una legge (Missouri Revised Statutes,
Chapter 407) proibisce al franchisor di sciogliere o non rinnovare il contratto,
senza che lo stesso non abbia notificato la controparte con un avviso previo di 90
giorni. Altre leggi includono parti che proibiscono il veto imposto al franchisee di
cambiare il management (ammissibile però in presenza di giusta causa,
comunicata per scritto), ancora più genericamente, l’imposizione al franchisee di
<<unreasonable standards of performance>> (Nebraska), o anche, forme di
discriminazione tra franchisee, a meno che il franchisor provi la razionalità della
differenziazione (Washington). 11
È necessario però osservare, come fa G. GALIMBERTI, che negli Stati
Uniti con lo stesso termine <<franchising>> si indica sia il business format
franchising (bff), sia il franchising dei prodotti e della marca. Le due tecniche,
come risalta l’autore, sono significativamente diverse; con il primo, assieme al
prodotto si cede l’intero insieme di tecniche, strategie e know-how ; a sua volta nel
franchising di prodotto e di marca passa a secondo piano la importanza dei servizi
forniti dal franchisor al franchisee.12
Per quanto riguarda il Canada, la legge della Provincia di Alberta (Alberta
Franchisee Act) prevede classici obblighi di disclosure con la possibilità per il
franchisee di sciogliere il contratto in caso di inosservanza. Interessante in questo
11
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising. a Nuova Legge sull’affiliazione
commerciale. Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p.2. Questo privilegio è identificato da
Zanelli, Il Franchising in Trattato di diritto privato, a cura di Pietro Rescigno, 11, Torino, 1984, p.
143 ss, 147
12
Cfr. G. GALIMBERTI. Il Franchising, Giuffré Editore, Milano, p. 7. Il business format
franchising corrisponderebbe più adeguatamente al modello italiano di affiliazione commerciale.
8
contesto è la previsione di nullità di eventuale clausola derogativa del foro che
escluda la giurisdizione della Corte di Alberta. 13
Dando una vista panoramica sul continente americano, l’autore distacca la
esperienza Brasiliana che già nel 1994 ha introdotto una specifica legge che
prevede ampi obblighi di disclosure sanzionati con la possibilità per il franchisee
di ottenere l’annullamento del contratto e la restituzione del valore pagato.14
Nell’altro lato dell’emisfero, nel Giappone, il franchising si è sviluppato
seguendo l’esempio americano, presentando però particolarità proprie. L’
esperienza giapponese, secondo Gianmaria Galimberti, si distingue in quanto
tende a privilegiare la produttività e la aggressività commerciale della vendita in
rete. In relazione alla normativa giuridica, si mette in evidenza che la Legge del
1973 che regola il franchising, anche se anteriore a <<Full Disclosure>> soffre in
modo notevole della influenza nordamericana. La forte presenza di affiliazione di
matrice straniera trova la principale giustificazione nella forte domanda del
mercato locale per prodotti e servizi occidentali. 15
Per quanto riguarda la Europa, la legge francese del 31 dicembre 1989
(Loi Doubin), impone una serie di obblighi di informazioni precontrattuali. Tale
legge si applica ai contratti in cui << una persona mette a disposizione di un’altra
un nome commerciale, un marchio o una insegna, pretendendo dall’altra un
impegno di esclusività o di quasi esclusività per l’esercizio della sua attività>>. In
questo modo si cercò di individuare, in accordo con gli obblighi di disclosure, una
categoria più ampia di quella dei franchisee, estensibile a tutti i distributori che, in
cambio della disponibilità della marca o di una insegna della controparte,
assumevano in relazione a questa ultima l’obbligo di esclusività, il che
13
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising. La Nuova Legge sull’affiliazione
commerciale. Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 10-11
14
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising. La Nova Legge sull’affiliazione
commerciale. Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 10-11
15
Cfr. G. GALIMBERTI. Il Franchising. Giuffré Editore, Milano, p.8
9
giustificherebbe la protezione riconosciuta da tale legge. D’altro lato, per quanto
concerne gli obblighi di informazioni, che riguardano tutta una serie di dati
(fornitori, la loro esperienza, rete, lista di affiliati, caratteristiche del contratto e
del mercato dei prodotti o di servizi oggetto del contratto, ecc.), la legge prevede
sanzioni di natura penale (contravvenzione) e civile (nullità del contratto). 16
L’Inghilterra sarebbe il secondo paese dell’Europa, dopo la Francia, in
numero di franchisor e di franchisee, essendo molto significativa la presenza di
catene americane, che in questo paese non hanno incontrato barriere né culturali e
né di lingua. Lo sviluppo del franchising, come accenna Gianmaria Galimberti, fu
stimolato dalla mentalità particolarmente favorevole delle banche, che ne
incentivarono il suo diffondersi. Di fatto,commenta l’autore, numerose banche
inglesi furono dotate di staff specializzati in offrire servizi agli operatori
interessati nello stipulare contratti di franchising. Per quanto riguarda la
distribuzione settoriale dei contratti, si nota che il franchising nella Inghilterra ha
registrato uno sviluppo maggiore nel settore dei servizi, se paragonato con il
settore della distribuzione commerciale.17
La legge spagnola n. 7 del 15 gennaio 1966, posta in atto con il decreto
2485/1988, è un altro esempio interessante circa la normativa europea sul
franchising, poiché impone nel suo art. 62, la iscrizione di chiunque che decida
svolgere una attività di franchisor, con uno specifico registro, assieme all’obbligo
di comunicare ai potenziali franchisee una serie di informazioni. A proposito, è
conveniente ricordare la definizione di franchising del suddetto decreto, secondo
il quale: << ... si considererà come attività commerciale in regime di franchising,
regolata nell’articolo 62 della Legge 7/1996, dell’Ordinamento del Commercio
Minoritario, quella che si realizza in virtù del contratto per il quale una impresa, il
16
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising. La Nuova Legge sull’affiliazione
commerciale. Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p.12.
17
Cfr. G. GALIMBERTI. Il Franchising, Giuffré Editore, Milano, p.16.
10
franquiciador, cede all’altra , il franquiciado, in cambio di una controprestazione
finanziaria diretta o indiretta, il diritto di usare una franchigia per
commercializzare determinati tipi di prodotti o servizi e che include, per lo meno:
l’uso di una denominazione o marchio comune e una presentazione uniforme dei
locali e dei mezzi di trasporto oggetto del contratto; la comunicazione da parte del
franquiciador al franquiciado di un <<saper fare>> e la prestazione continua da
parte del franquiciador al franquiciado di assistenza commerciale o tecnica
durante la vigenza del contratto.>>18, la quale afferma che la Spagna scoraggia in
maniera forte la penetrazione di franchisor stranieri con leggi severe in materia di
trasferimento di tecnologia, autorizzazioni e esercizio di attività, così come il
controllo sui franchisee locali.
A sua volta, in Germania non ci fu un significativo espandersi del
franchising. La giustificativa per questo fatto è molteplice: prima di tutto è
attribuita a una questione culturale, visto che il contratto di concessione non è
tradizionalmente diffuso in questo paese, essendo pertanto poco conosciuto dagli
operatori; per quanto riguarda la pratica commerciale, a sua volta, si osserva che il
settore commerciale in Germania registra una elevata efficienza ed una ampia
diffusione della grande distribuzione. 19
In Italia, la nascita del franchising risale al settembre del 1970, anno in cui
è inaugurata a Fiorenzola la prima affiliata Gamma d.i., impresa di grande
distribuzione, posteriormente assorbita dalla Standa. Le condizioni per
l’affiliazione erano la disponibilità di una superficie minima di vendita, il
possesso di una autorizzazione di vendita al minuto, e almeno di un permesso di
deposito, e la disponibilità di un capitale adeguato per la preparazione dei locali.
L’appalto e la fornitura di una prima rimessa agli affiliati garantiva l’utilizzazione
18
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising. La Nuova Legge sull’affiliazione
commerciale. Le Norme Antitrust Europee, CEDAN, 2004, p.12.
19
Cfr. G. GALIMBERTI. Il Franchising, Giuffé Editore, Milano, p. 13
11
della insegna, il servizio di supporto per la apertura degli esercizi, la fornitura
delle merci e il know-how.20
Nell’ambito della normativa europea non sussiste una disciplina organica
in materia di franchising. Il contratto si trova previsto da due regolamenti, cioè:
quello abrogato del 30 novembre 1988, n. 4087, e quello del 22 dicembre 1999, n.
2790, concernenti ambedue la tutela della concorrenza, ed in particolare
l’applicazione dell’art. 85, paragrafo 3, del Trattato che istituì la Comunità
Europea.
Come già annotato da innumerevoli autori, per quanto riguarda la
Comunità Economica Europea, la Commissione CEE e la Corte CEE hanno avuto
opportunità più di una volta di affrontare il problema di definire le caratteristiche
essenziali del contratto di franchising.
21
I primi tentativi degli organi comunitari
per disciplinare il franchising risale, come nota Alessandra Bonfanti, agli anni
settanta; tuttavia solamente con il Regolamento (CEE) n. 4087/1988 la materia è
stata centro di attenzione anche se limitatamente ad alcuni aspetti.22
Il Regolamento CEE n. 4087 88, del 30.11.88, ha caratterizzato il
franchising, conforme opinione di parte della dottrina, già con questo diploma
normativo come contratto tipico, descrivendolo nella seguente forma : l’accordo
di franchising si intende come quello con cui una impresa, l’affiliante, concede ad
un’altra, l’affiliata, dietro corrispettivo finanziario diretto o indiretto, il diritto di
sfruttare un franchising allo scopo di commercializzare determinati tipi di beni e o
servizi, comprendendo esso almeno gli obblighi connessi, all’uso di una
denominazione o di una insegna commerciale comune e di una presentazione
20
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffé Editore, Milano, 2004, p.4. BONFANTE, A.
L’evoluzione Normativa in Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale (a cura di O.
CAGNASSO), Giappichelli, Torino, p.10.
21
Cfr. G. GALIMBERTI. Il Franchising, Giuffré Editore, Milano, p.4.
22
Cfr. BONFANTE, A. L’Evoluzione Normativa in Norme per La disciplina dell’affiliazione
commerciale (a cura di O. CAGNASSO), Giappichelli, Torino, p.23
12
uniforme della sede e/o dei mezzi di trasporto oggetto del contratto; alla
comunicazione da parte dell’affiliante all’affiliato di un know-how; alla
prestazione permanente da parte dell’affiliante all’affiliato di una assistenza in
campo commerciale o tecnico per la durata dell’accordo. 23
I regolamenti hanno efficacia immediata per gli stati membri. Nonostante
questo, la dottrina non è stata unanime nella difesa della tipicità del contratto di
franchising nel diritto italiano, anche prima dell’esistenza di legge interna. 24
L’occasione per la redazione del regolamento era aspettata fin dal celebre
caso Pronuptia, della quale si occupò la Corte di Giustizia CEE nel 1986, che, in
breve sintesi, considerò: 25
.
la compatibilità dei contratti di franchising in materia di distribuzione con
l’art. 85, par. 1, subordinando questa compatibilità alle clausole che esso
contiene e al contenuto economico in cui si inseriscono;
.
le clausole che sono indispensabili per impedire che i concorrenti si
approfittino del know-how del concedente non rappresentano restrizioni alla
concorrenza, ai sensi dell’art. 85, par. 1;
.
le clausole relative ai controlli del concedente finalizzate a difendere la
identità e la reputazione della rete di distribuzione non costituiscono
restrizione alla concorrenza, ai sensi dell’art. 85, par. 1;
.
le clausole che dividono i mercati tra concedente e concessionario
costituiscono restrizione alla concorrenza ai sensi dell’art. 85, par.1;
23
Cfr. G. GALIMBERTI. Il Franchising, Giuffrè Editore, Milano, p. 5.
Cfr. A. FRIGNANI. Il Contratto di franchising, Milano, 1999, p. 1 e ss. G.MAGRI, Precetti e
sanzioni nella nuova disciplina sull’affiliazione commerciale in Giurisprudenza italiana, 2006, vol.
3, p. 2215.
25
Cfr. BONFANTE, A. L’Evoluzione Normativa in Norme per La disciplina dell’affiliazione
commerciale (a cura di O. CAGNASSO), Giappichelli, Torino, p.24-25.
24
13
.
il fatto con cui il concessionario pratica prezzi indicativi non costituisce
restrizione alla concorrenza, dato che ciò sarebbe originato da un accordo tra
le parti per praticare tali prezzi;
.
i contratti di franchising in materia di distribuzione che contengano clausole
che dividano i mercati tra il concedente ed il concessionario possono
pregiudicare il commercio tra gli Stati membri.
Il regolamento CEE n. 4087/88 stipula che gli accordi che sono in
violazione all’art. 85 sono nulli. Tuttavia questa norma nel suo paragrafo terzo
prevede determinate ipotesi di inapplicabilità della stessa. Il contratto di
franchising sarebbe suscettibile di rappresentare una limitazione alla libera
concorrenza nella misura in cui l’affiliato può essere obbligato, per esempio, a
comprare merci esclusivamente dall’affiliante, oltre a distribuire i prodotti o
servizi secondo modalità e nell’ambito di uno stato indicato dallo stesso
affiliante.26 Allo stesso modo, la Commissione Europea ha considerato che questa
tipologia di accordo non rappresenta una violazione all’art. 85, e nel risolvere la
questione ha fornito una serie di indicazioni che hanno contribuito a definire in
maniera più esatta l’istituto del franchising.
Procedendo ad un breve esame del regolamento, si osserva che il
legislatore comunitario fa una precisa distinzione tra il franchising industriale, che
si riferisce alla produzioni di beni, ed il franchising di distribuzione, che si
riferisce alla vendita di prodotti, ed infine il franchising di servizi che si riferisce
alla prestazioni di servizi. Chiarifica in particolare che l’art. 85, par. 3, del Trattato
si riferisce appena agli accordi di franchising di distribuzioni e di prestazioni di
26
Cfr. BONFANTE< a. l’Evoluzione Normativa in Norme per La disciplina dell’affiliazione
commerciale (a cura di O. Cagnasso), Giappichelli, Torino, p. 27.
14
servizi. Questa chiarificazione sembra lasciar chiaro che la eccezione non si
riferisce al franchising industriale. 27
Nota A. BONFANTE che,
con lo scopo di individuare l’ambito di
applicazione del regolamento, l’art. 3 detta una serie di definizioni, con le quali si
possono individuare le peculiarità e le principali caratteristiche di questo tipo di
contratto.28
In questo modo la Commissione Europea definisce il franchising come
:”... un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi,
denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore,
know-how o brevetti da utilizzare per la rivendita di beni o per la prestazione di
servizi ad utilizzatori finali”.
Nello stesso regolamento, come risalta A. MARRONE, troviamo anche la
definizione di accordi di franchising: “... per accordo di franchising si intende un
accordo con il quale un’impresa, l’affiliante, concede ad un’altra, affiliato, dietro
corrispettivo finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising allo
scopo di commercializzare determinati tipi di beni e/o servizi; esso comprende
almeno gli obblighi connessi all’uso di una denominazione o di un’insegna
commerciale comune e di una prestazione uniforme della sede e/o dei mezzi di
trasporto oggetto del contratto; alla comunicazione da parte dell’affiliante
all’affiliato del know-how; alla prestazione permanente, da parte dell’affiliante
all’affiliato, di un’assistenza in campo commerciale o tecnico per la durata
dell’accordo”.29
La normativa in esame prosegue, conforme appunta A. BONFANTE,
definendo elementi specifici del contratto, come per esempio: il know-how, ossia,
27
Cfr. BONFANTE, A. L’Evoluzione Normativa in Norme per La disciplina dell’affiliazione
commerciale (a cura di O. CAGNASSO), Giappichelli, Torino, p. 27.
28
Cfr. BONFANTE, a. l’Evoluzione Normativa in Norme per La disciplina dell’affiliazione
commerciale (a cura di O. CAGNASSO), Giappichelli, Torino, p. 28..
29
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffé Editore, Milano, 2004, p. 6-7.
15
il “patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da
prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed accertato”.
Di fatto, come annota la sopraccitata autrice, l’importanza attribuita al know-how
ha portato una parte della dottrina a identificarlo come una nuova categoria di beni
immateriali. 30
Altro elemento oggetto di attenzione del legislatore del regolamento
europeo dice rispetto al versamento a favore dell’affiliante di un corrispettivo
economico diretto o indiretto da parte dell’affiliato. Infine, il regolamento prevede
la figura del contratto di master franchising, come l’accordo con cui una impresa,
affiliante, concede all’affiliato principale, con il rispettivo pagamento, il diritto di
sfruttare un sistema di affiliazione commerciale, stipulando a sua volta contratti
con altre imprese.
Tale definizione può essere messa sulla stessa linea del codice
deontologico europeo del franchising: “ ... il franchising è un sistema di
commercializzazione di prodotti e/o tecnologie basato su una stretta e
continuativa collaborazione tra imprese legalmente e finanziariamente separate e
indipendenti, il franchisor e i suoi franchisee, secondo il quale l’affiliante
concede ai suoi affiliati il diritto, e impone loro l’obbligo di intraprendere
un’attività economica in base al sistema elaborato dall’affiliante. Il diritto
legittima ed obbliga l’affiliato, in cambio di un corrispettivo finanziario diretto o
indiretto, ad usare il nome commerciale e/o i marchi relativi a prestazioni di
servizi, il know-how, i metodi commerciali e tecnici, le procedure e gli altri diritti
di proprietà industriale e/o intellettuale, collegati ad una prestazione continuativa
30
Cfr. BONFANTE, A. L’Evoluzione Normativa in Norme per La disciplina dell’affiliazione
commerciale (a cura di O. CAGASSO), Giappichelli, Torino, p. 28. La referenza é di R. RANDIN,
p. 503.
16
di assistenza commerciale e tecnica nel quadro e secondo le condizioni di un
contratto di affiliazione scritto, concluso tra le parti a questo fine”.31
Tra le definizioni più o meno articolate contenute negli statuti e nei codici
deontologici delle associazioni di categoria nazionale ed internazionale, per la
semplicità e completezza merita distacco quella data dalla Assofranchising
Italiana, che ha anche come peculiarità nella sua definizione il consistente
riferimento la tutela dell’interesse dei consumatori:
... “Il Franchising – Affiliazione commerciale – è una forma di
collaborazione continuativa per la distribuzione di beni o servizi fra un
imprenditore (<<Affiliante>>) e uno o più imprenditori (<< Affiliati >>),
giuridicamente ed economicamente indipendenti uno dall’altro, che stipulano un
apposito contratto attraverso il quale:
a)
L’Affiliante concede all’Affiliato l’utilizzazione della propria
formula commerciale, comprensiva del diritto di sfruttare il suo know-how
(l’insieme delle tecniche e delle conoscenze necessarie) ed i propri segni
distintivi, unitamente alle altre prestazioni e forme di assistenza atte a consentire
all’Affiliato la gestione della propria attività con la medesima immagine
dell’impresa affiliante;
b)
L’Affiliato si impegna a far proprie politica commerciale ed
immagine dell’Affiliante nell’interesse reciproco delle parti medesime e del
consumatore finale, nonché al rispetto delle condizioni contrattuali liberamente
pattuite.32
Similmente al Regolamento (CEE) N. 4087/1988, il Regolamento (CE) N.
2790/1999 tratta dell’applicazione dell’art. 85, par. 3, riferendosi tuttavia alla
categoria di accordi verticali che dicono rispetto alle disposizioni relative alla
cessione o all’uso del diritto di proprietà intellettuale.
31
32
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffré Editore, Milano, 2004, p.7
Cfr. G. GALIMBERTI. Il Franchising, Giuffré Editore, Milano, p.5
17
Come nota A. BONFANTE, in particolare, il regolamento disciplina le
ipotesi in cui l’art. 85, par. 3 non sia applicabile, ma specificamente nei casi di
“accordi verticali contenenti disposizioni relative alla cessione, all’acquisizione o
all’uso da parte dell’acquirente di diritti di proprietà intellettuale, a condizione che
tali disposizioni non costituiscano l’oggetto primario degli accordi e che esse
siano direttamente collegate all’uso, alla vendita o alla rivendita di beni o servizi
da parte dell’acquirente o dei suoi clienti”. Esattamente perché l’oggetto
principale del contrato di franchising è la cessione di know-how, di disegni, di
segnali, di distintivi del franchisor, di modelli di utilità, di diritti d’autore, della
marca e di assistenza e consulenza tecnica e commerciale, si deve concludere,
come fa l’autrice succitata, che tal modalità contrattuale si inquadra nell’ambito
dell’art. 85, par. 3. 33
La mancanza di una maggiore ispirazione del legislatore italiano alla
Legge modello dell’ Unidroit, è criticata da F. BORTOLOTTI, secondo cui si è
perduta una grande opportunità di approfittare in proporzioni più dignitose della
legge modello per predisporre la legge 129/2004, rappresentando il suo testo uno
strumento di grande utilità per individuare le problematiche più critiche in
relazione alla disclosure e per la ricerca di soluzioni efficaci ed equilibrate al
momento contemporaneo. 34
La legge modello della Unicitral, la Model Franchise Disclosure Law,
adottata a Roma nel settembre 2002, possiede un carattere indicativo per gli Stati
che desiderano assicurare un contesto sicuro alle parti contrattanti di un
33
Cfr. A. BONFANTE, L’Evoluzione Normativa in Norme per La disciplina dell’affiliazione
commerciale (a cura di O. CAGNASSO), Giappichelli, Torino, p.29-30.
34
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising. La Nuova Legge sull’affiliazione
commerciale. Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 13.
18
franchising, rendendo possibile che un potenziale franchisee riceva informazioni
sufficienti per permettere di effettuare una scelta informata. 35
1.2. L’Integrazione Verticale del Contratto di Franchising
Nel corso degli anni 80 (ottanta) lo sviluppo tecnologico, organizzativo e
istituzionale delle imprese commerciali mostrò la tendenza a dislocare il sistema
di controllo dei canali in forma diretta – costosa e rigida – in direzione a forme
indirette caratterizzate dalla maggior flessibilità, con l’obiettivo di diminuire la
distanza tra produttori, distributori e consumatori e ridurre così i costi di controllo
e di ricerca di informazioni sorti dalla gestione di una crescente varietà e instabile
preferenza nella catena finale. In questo quadro della rete di imprese nelle
relazioni verticali si colloca il franchising come strategia organizzativa flessibile e
di controllo dei canali di distribuzione. 36
La scelta di sistemi di accordo orizzontali tra agenti per la gestione dei
canali di distribuzione e le scelte di integrazioni verticali tra produttori e
distributori, fa con che il fenomeno del franchising per la sua diffusione passi ad
essere oggetto di ampio dibattito tra gli studiosi, come anche da parte degli
operatori, per le implicazioni che hanno prodotto in termini di organizzazione e di
controllo delle forme di vendita (verticale ed orizzontale) al consumo finale.
L’origine di questo interesse teorico e pratico è dovuta al fatto che il
franchising si configura sempre di più come una peculiare forma organizzativa di
attività economica che consente di unire controllo e rischio, senza ricorrere a
configurazioni di canoni di integrazione proprietaria e di controllo di gerenza. Il
35
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising. La Nuova Legge sull’affiliazione
commerciale. Le Norme Antitrust Europee., CEDAM, 2004, p. 13.
36
Cfr. A. SPRANZI. Presentazione XXII – I Contratti di Franchising – Organizzazione e
controllo di rete, a cura di Luciano Pilotti~Roberto Pozzana, EGEA. Milano, 1990, p.2
19
franchising da un lato aumenta la possibilità di controllo esercitato sullo scambio
di merci nel mercato (tra franchisor e franchisee); d’altro lato, riduce o evita le
conseguenze più negative della integrazione completa a cui è sempre condotta la
separazione tra proprietà e potere, tra controllo e rischio. 37
La chiave di lettura che permette focalizzare la natura strategica di questa
forma di controllo, si riferisce al franchising e alla sua capacità imprenditoriale, o
alla natura dell’imprendimento che tale forma mette in evidenza. Possiamo
incontrare una prima risposta nella ambivalenza del controllo espresso per mezzo
del franchising, che è allo stesso tempo organizzativo e imprenditoriale.
Organizzativo perché capitale e lavoro incontrano molteplici forme di controllo
prescritte nelle norme contrattuali, alcuni dati obiettivi funzionali per essere
realizzati. Imprenditoriale poiché è essenziale la capacità soggettiva di decisione
degli agenti coinvolti, che affrontano a titolo diverso i rischi di una attività incerta,
accettando una remunerazione post attraverso di peculiari strutture di risk-sharing.
Organizzazione e imprenditorialità che si fondono in una forma che è
significativamente alternativa ai canoni tradizionali: sia nel confronto a quella
perfettamente decentralizzata o non integrata del mercato, sia in direzione a quella
espressa dalla piena integrazione verticale o proprietario-gerarchica. 38
Il termine entrepeneur è normalmente considerato con tre significati,
dipendendo dal contesto analitico in cui è usato. Il primo, attribuisce
all’imprenditore la funzione speciale di sfruttare opportunità di vantaggio, tra cui
quella di selezionare tra diversi livelli di prezzo e di sviluppo di nuovi prodotti e
mercati. L’imprenditore è allora un organizzatore che studia la composizione
37
Cfr. A Spranzi. Presentazione XII – I Contratti di Franchising – Organizzazione e controllo di
rete, a cura di Luciano Piloti~Roberto Pozzaba, EGEA. Milano, 1990, p.3.
38
Cfr. Cfr. A. Spranzi. Presentazione XXII- I Contratti di Franchising – Organizzazione e
controllo di rete, a cura di Luciano Pilotti~Roberto Pozzana, EGEA, 1990, p.3.
20
migliore delle risorse a disposizione.39 Il secondo significato è attribuito a Knight
(1921), che per la prima volta introduce il problema del rischio ed attribuisce
all’imprenditore il residuo della attività di organizzazione delle risorse. Insomma,
due definizioni che in complesso costituiscono una innovazione parziale della
tradizione neoclassica, poiché introducono definizioni di imprenditorialità che
qualificano l’imprenditore o come organizzatore che deve scoprire le soluzioni
migliori (o le più soddisfacenti) o, ancora l’imprenditore che assume i rischi.
Una terza, più recente impostazione di fondo neo classico attribuisce
all’imprenditore la natura di monitor, il cui principale compito è quello di
assicurare che tutti i fattori dell’impresa si mantengano in livelli compatibili con
gli obblighi assunti e promessi. Al monitor è riservato, allora, il compito di
controllo dei compiti della impresa, equiparata a una squadra unita da una
missione di cooperazione produttiva. Al monitor spetta inoltre la importante
funzione di aumentare la produttività di ogni componente e di minimizzare la
possibilità di shirking di questi componenti.40
Frattanto è nella scuola austriaca di pensiero che troviamo i primi elementi
di una definizione non deterministica di imprenditore, con il contributo di
Shackle, che qualifica l’imprenditore come un creatore di alternative di scelta. In
tale linea l’imprenditore diventa uno scopritore di nuove possibilità non viste
anteriormente, non perché non fossero conosciute (imperfect information), ma
perché fino a quel momento non esistevano nell’orizzonte della scelta. Non esiste
più un unico ambiente, ma forme organizzative possono coesistere e più ancora
diventare complementari, dando la possibilità allora che una molteplicità di
percorsi strategici e di funzioni oggettive siano ammesse per una sopravvivenza
39
Cfr. A. Spranzi. Presentazione XXII – I Contratti di Franchising – Organizzazione e controllo
di rete, a cura di Luciano Pilotti~Roberto Pozzana, EGEA. Milano, 1990, p.3. Tale definizione si
sviluppa seguendo la linea aperta dalla scuola austriaca.
40
Cfr. A. Spranzi. Presentazione XXII – I Contratti di Franchising – Organizzazione e controllo
di rete, a cura di Luciano Pilotti~Roberto Pozzana, EGEA. Milano, 1990, p.4
21
efficiente. E questo contesto decisionale, caratterizzato da interdipendenza e nonosservabilità delle prestazioni, la figura dell’imprenditore perde i connotati più
individualisti - indeterministici della definizione tradizionale e si veste di
connotazione di coalizione.
Una coalizione può essere considerata come un insieme organizzato in
modo consensuale tra agenti indipendenti, attraverso regole di comportamento che
valorizzino le potenzialità progettuali
congiunte ed evitino azioni di
irresponsabili.41
1.3 Franchising e Integrazione Verticale
Una impresa può operare una selezione tra differenti forme di
integrazione: integrazione completa o proprietaria, quasi integrazione, accordi
(equity e non equity) e contratti. La prima modalità è quella che esige costi di uso
di tempo di controllo imprenditoriale e di supervisione per il coordinamento della
attività economica. Il franchising può essere considerato come uno strumento che
diminuisce i vincoli in relazione alla capacità impresariale di coordinamento,
utilizzando in una forma peculiare di quasi integrazione. Il franchising di fatto
riunisce in un tutto opportunamente i vantaggi delle integrazioni con quelle della
decentralizzazione del mercato, rappresentando una forma di mercato organizzato.
Normalmente il sistema di incentivi è costituito da una tassa di entrata e la
remunerazione del diritto di uso del mercato di una certa marca (o il servizio) del
franchisor e/o della royaltie versata a quest’ultimo dal franchisee.
La relazione di franchising non è allora equiparata ad una relazione di
subordinazione (nel senso della distribuzione di poteri organizzativi). Così, il
41
Cfr. A. Spranzi. Presentazione XXII – I Contratti di Franchising – Organizzazione e controllo
di rete, a cua di Luciano Pilotti~Roberto Pozzana, EGEA. Milano, 1990, p. 6.
22
franchisee si distingue ampiamente sia dal manager sia dal lavoratore dipendente,
perché si inserisce in un contesto organizzativo e di gerenza di risk-sharing (exprima) e di profit-sharing (ex-dopo).42.
Sotto l’aspetto impresariale, una delle principali esigenze a cui il
franchising risponde, è, di fatto, la questione della divisione tecnica del lavoro con
specializzazione di incarichi. Attraverso il sistema di franchising sono create
aggregazioni di imprese con specializzazioni, nel loro interno, delle varie funzioni
impresariali. In speciale, l’impresa franchisor si occupa del maggior
perfezionamento della immagine impresariale, della amministrazione delle
innovazioni e della consolidazione e dello sviluppo della immagine impresariale
anche per mezzo dello stimolo pubblicitario. Le imprese franchisee disimpegnano
altre fondamentali attribuzioni, come la formazione del personale di vendita, il
collegamento con la clientela, il credito al consumo. L’attività della impresa
franchisee si sviluppa sotto il nome della impresa franchisor, avvantaggiandosi
della sua notorietà e reputazione, condizionata però da clausole contrattuali che la
dirigono secondo i principi della politica commerciale e della conduzione
impresariale stabilita dalla impresa franchisor.43
1.4 Distribuzione Commerciale e il Franchising
Il franchising, a sua volta, si inquadra pienamente nell’ampio genere della
distribuzione commerciale, poiché le imprese produttrici coordinano non solo la
vendita, ma anche tutte le operazioni finalizzate a questo fine e, essendo la
distribuzione l’anello di congiunzione tra la produzione e il collocamento dei
prodotti o servizi ai consumatori, esso risponde efficacemente alle esigenze
42
Cfr. A. Spranzi. Presentazione XXII – I Contratti di Franchising – Organizzazione e controllo
di rete, a cura di Luciano Pilotti~Roberto Pozzana, EGEA. Milano, 1990, p.10.
43
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffrè Editore, Milano, 2004, p.20.
23
proprie
della
moderna
industria
di
realizzare
una
decentralizzazione
dell’originario ordine organizzativo.44
Analizzando la intrigante relazione tra rete e informazione, E. RULANI fa
notare che uno dei fenomeni più interessanti del panorama economico degli ultimi
anni è lo sviluppo di una pluralità di forme organizzative nuove di distribuzione
commerciale. Ricorda il successo della formula commerciale derivata dal
franchising, considerato in questo caso non come contratto, ma come tecnica
commerciale, caratterizzata da una particolare concessione strategica all’interno
delle relazioni della filiera distributiva.45
L’ampia utilizzazione del contrato di franchising, come concessione
strategica può essere sintetizzata in due grandi opzioni, che sono due direzioni
evolutive nelle quali cammina la organizzazione commerciale:
-
da un lato, costruire una rete diretta per quanto riguarda la circolazione delle
informazioni nella catena distributiva;
-
dall’altro lato, utilizzare la costruzione della rete con il contributo di una
pluralità di operatori indipendenti (sotto l’aspetto proprietario e di gerenza),
coordinati attraverso di contratti e media comunicativi che danno la
possibilità di creare efficaci relazioni cooperative tra il centro della rete e i
suoi terminali periferici.46 La grande originalità di questo sistema si individua
nel fatto che ogni membro è giuridicamente indipendente, però vincolato
economicamente e contrattualmente alla impresa promotrice del sistema
franchising. La stretta interdipendenza economica tra i partner implica che i
risultati economici ottenuti e previsti dal franchisor dipendono dalla solidità e
dallo sviluppo della intera catena delle imprese franchisee e viceversa.
Diventa perciò ovvio l’interesse del franchisor
44
Cfr. V. De GIOIA. Il Contratto di Franchising. Profili dottrinali, giurisprudenziali, schemi
operativi e formulario. Experta S.p.a, 2004, p.4-5
45
Cfr. E. RULANI. Reti e Informazione: La Rivoluzione Commerciale Prossima, p. 33
46
Cfr. E. RULANI. Reti e Informazione: La Rivoluzione Commerciale Prossima, p. 33.
24
-
per assicurare agli affiliati le migliori condizioni di ritorno, in quanto questi
congiuntamente costituiscono parte complementare indispensabile per il
sistema impresariale. E dalla sua stabilità e vitalità dipende il successo
economico della impresa-madre. 47
-
In questo modo, nota Enzo Rulani, il contratto non è più sopportato da una
costosa rete di agenti monomandatari incaricati di premere sui punti di
vendita e sugli altri operatori della filiera distributiva (operatori, logistici,
centri di assistenza, punti di finanziamento) per promuovere le vendite. Ma
sono gli operatori stessi che entrano a far parte del business dell’impresa
leader
(industriale e
commerciale),
legandosi ai linguaggi ed
ai
comportamenti irradiati dal centro della rete. In questi ,la costellazione di
operatori che vincola il proprio comportamento a standard di comunicazione
di rete finisce per assumere una parte del rischio dell’impresa leader, sia nel
senso positivo (profitti), sia eventualmente in senso negativo (perdite).
-
Di fatto, non ci sono dubbi che all’aderire ad una rete di franchising,
l’impresa franchisee perde parte della propria autonomia decisionale, ma
riceve in cambio il supporto della forza commerciale della impresa
franchisor, come ugualmente sfrutta di una forte limitazione dei rischi48.
Il principale vantaggio che la strategia di esternalizzazione e di governo
della esternalità porta l’impresa leader, creatrice della rete, consiste nella rapidità
con cui è possibile spandere quantitativamente e qualitativamente la rete,
ricorrendo, a tal fine, alla cooperazione dei centri indipendenti che usano capitale
proprio e che assumono il rischio dell’investimento. D’altro lato il vantaggio per
un operatore periferico di questo genere di rete consiste nella possibilità di
47
48
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffré editore, Milano, 2004, p. 20.
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffré Editore, Milano, 2004, p.20
25
partecipare, in certa misura, della ridistribuzione dei lucri potenziali impliciti in
una business idea di successo. 49
Come già affermato in altri posti, diverse sono le motivazioni che rendono
il franchising una figura attrattiva, sia per gli agenti che si mettono per la prima
volta in una attività imprenditoriale, sia per gli agenti che operano già nel
mercato. In particolare, per i primi, il franchising rappresenta una soluzione valida
per svolgere una attività autonoma coniugata con una certa sicurezza. La notorietà
di una marca, la tranquillità proveniente da esperienze precedenti, il trasferimento
di know-how, l’assistenza tecnico commerciale permanente, sono elementi che
infondono sicurezza al potenziale imprenditore senza nessuna esperienza
commerciale precedente. Ma, allo stesso modo, chi già opera in un settore maturo
può scegliere di aderire ad una rete di franchising per affrontare una concorrenza
sempre più agguerrita, a una situazione congiunturale sfavorevole e, più
genericamente, la grande incertezza che circonda l’ambiente economico.50
In ogni modo, una delle più significative motivazioni che giustifica la
preferenza da parte del franchising alla gestione diretta di una attività, è
certamente la esigenza di dividere i rischi economici, organizzativi e di mercato
con altri partner, e di operare con una maggior efficienza grazie alla
specializzazione di funzioni su cui si fonda il franchising.51
Nell’ambito della distribuzione commerciale in Italia esistono alcuni
accordi di collaborazione che presentano affinità con il franchising. Il franchising
costituisce una delle quattro categorie del commercio associativo, che sono:
49
Cfr. E. RULANI; Reti e Informazione: La Rivoluzione Commerciale Prossima, p.36/37. Cfr. A.
FRIGNANI,citato da A. MARRONE. Il Franchising. Giuffré Editore, Milano, 2004, p. 23 – con il
termine”strategia”, in ambito aziendalistico, si intende “L’insieme delle azioni di fondi
dell’impresa, necessarie per conseguire le sue finalità e i suoi obiettivi di lungo periodo”. Partendo
da questa definizione, si può affermar che la, scelta di operare in franchising costituisce una
strategia per entrambi i partner del rapporto.
50
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffré Editore, Milano, 2004, p.23. L’autore rimanda a A.
FRIGNANI.
51
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffré Editore, Milano, 2004, p. 19.
26
- Unione o catene volontarie,cioè accordi verticali tra grossisti e dettaglianti;
- Gruppi di acquisto, associazioni di tipo orizzontale tra dettaglianti;
-
Franchising, accordi tra operatori economici appartenenti a vari livelli del
processo di commercializzazione dei prodotti.52
Di fatto, non è solo il franchising; in generale diventano ogni giorno più
rilevanti nei giorni attuali le relazioni cooperative che si possono svolger nella
catena del valore che va dalla produzione industriale fino al consumo finale in
senso verticale e/o orizzontale. Attraverso questo tipo di relazione, come nota
Enzo Rullani, in parte contrattuale e in parte extra-contrattuale, si realizza un
coordinamento efficace di più imprese per la messa in valore delle reciproche
complementarietà o per lo sviluppo congiunto di strategie innovative che
richiedono una sincronizzazione e finalizzazione dei comportamenti ad uno scopo
di comune interesse.53 Si parla allora di co-imprenditorialità tra diverse imprese e
di co-evoluzione delle stesse; si realizza dunque, in questo modo, senza che sia
soppressa l’autonomia delle diverse parti, come invece accadrebbe se la
centralizzazione strategica e distintiva avvenisse utilizzando gli strumenti
tradizionali delle fusioni o delle acquisizioni per concentrare proprietà e potere
nell’impresa leader.
Di fatto, l’autonomia delle parti è mantenuta nei limiti che è funzionale
rispetto alla strategia centrale: è una autonomia temperata dal riconoscimento di
una finalità strategica compartita e dall’uso di risorse distinte che devono essere
usate congiuntamente.54
Tra i vantaggi che offre l’associazione in franchising, vi è sicuramente
quello di poter beneficiare di economie di scale (nell’approvvigionamento dei
52
Cfr A. MARRONE. Il Franchising. Giuffré Editore, Milano, 2004, p.21.
Cfr. E. RULLANI. Reti e Informazione: La Rivoluzione Commerciale, p. 38
54
Cfr. E. RULLANI. Reti e Informazione: La Rivoluzione Commerciale Prossima, p. 39
53
27
profitti e materie grazie alla entità notevole delle ordinazioni fatte dal franchisor e
alle opportunità occasionali di acquisto a prezzi molto convenienti che si aprono
solo alle grandi organizzazioni dotate di molti punti di vendita territorialmente
sparsi), di godere di un vantaggio competitivo concreto nei confronti dei
concorrenti presenti nello stesso settore, di superare le barriere all’entrata in nuovi
settori.
1.5 Le prospettive di forme di Integrazione contrattuale della
distribuzione nel caso Italiano
Come visto, la integrazione contrattuale e, pertanto, il franchising può
diventare uno strumento ed una alternativa soddisfacente per l’efficace controllo
tra produzione e distribuzione.
La esperienza italiana presenta senza dubbio peculiarità che danno la
possibilità
di
ampliare
questa
pratica,
contrariamente
ad
altre
realtà
commercialmente più evolute. Questo perché la struttura distributiva a servizio
dei beni problematici si presenta frantumata in un numero altissimo di esercizi
commerciali.
Le ragioni di questa polverizzazione, come sottolinea L. PELLEGRINI
nella sua precisa analisi sulla integrazione contrattuale nelle relazioni tra industria
e distribuzione, sono da cercare non solo nella evoluzione interna del commercio
italiano, ma più in generale nei suoi rapporti con la struttura produttiva nei
comportamenti del consumo. “La struttura industriale italiana, in particolare in
alcuni dei mercati commercialmente più rilevanti dei beni problematici, come
quelli del tessile, dell’abbigliamento e del mobile, è stata e, e in parte lo è ancora,
dominata dalla piccola e media impresa e non ha dunque conosciuto quel processo
di concentrazione finalizzato al conseguimento di economie di scala che è stato
28
alla base della standardizzazione produttiva dominante fino alla fine degli anni
‘60”.55
Infatti, mentre dove la concentrazione produttiva era elevata, la grande
distribuzione diventa il partner commerciale ideale, in contesti come quello
italiano, era il dettaglio indipendente a rappresentare l’interfaccia distributivo
adatto per una produzione fortemente differenziata. Sul lato del consumo, in un
paese che iniziava il suo processo di sviluppo nel secondo dopoguerra, non
esistono ancora le premesse di uniformità che altrove alimentavano la domanda
delle grandi imprese della distribuzione. Tanto l’offerta come la domanda erano
allora orientate in modo da favorire la permanenza di un apparato commerciale
polverizzato.
Le caratteristiche della produzione industriale, come ce ne dà notizia il
succitato autore, cominciano a cambiare solo partire dagli anni 70 “ Dalla ricerca
di prodotti il più possibile standardizzati, in grado di garantire il conseguimento di
economie di scala, si passa ad un processo via via più accentuato di
differenziazione dell’offerta apportato da politiche di marca”. In questo senso,
l’apparato produttivo italiano, dominato dalla piccola e media impresa, si trova in
condizioni favorevoli e, come dimostra anche il positivo andamento dell’export
nei settori maturi, si adatta immediatamente a questa maggiore enfasi sulla
differenziazione e sulla ricerca di un migliore e più stretto rapporto con i diversi
segmenti della domanda. Quest’ultima, a sua volta, alimentata da una crescente
capacità di spesa, risponde in modo naturalmente positivo all’aumento delle
opportunità di scelta, non avendo di fato mai vissuto una fase di reale
standardizzazione dei consumi.56
55
Cfr. L. PELLEGRINI. L’Integrazione Contrattuale nei Rapporti tra Industria e Distribuzione,
77/78
56
Cfr. L. PELLEGRINI – L’Integrazione Contrattuale Nei Rapporti tra Industria e Distribuzione,
77/78
29
Non pochi esempi di successo commerciale, da quelli legati ai nomi degli
stilisti italiani nell’abbigliamento, a quelli del design industriale nel mobile e nei
prodotti per l’arredamento, fino al caso Benetton che ha ormai assunto una
dimensione internazionale, troviamo una non marginale ragion d’essere nella
capacità di sfruttare le potenzialità dell’integrazione contrattuale con la
distribuzione.
La dottrina aziendalista ha elaborato una tipologia articolata di contratti di
distribuzione, anche se, come critica R. PARDOLESI, non si è occupata nel
tracciare una linea descrittiva tra il franchising e altri contratti di distribuzione:
-
Il rivenditore autorizzato, caratterizzato dal fatto di essere selezionato sulla
base di criteri non soltanto oggettivi (come avviene per il Fachhandler,
commerciante specializzato), ma altresì quantitativi. Come dire che egli gode
del vantaggio – c’è chi parla, esplicitamente, di privilegio – di essere stato
scelto fra i (numerosi) aspiranti a tale qualifica;
-
Il concessionario, che reca le stimmate dell’Eingliederng, dell’integrazione
nella rete distributiva organizzata da controparte;
-
Il franchisee, che si contraddistingue per il fatto di presentarsi all’esterno, agli
occhi del pubblico, secondo i canoni di un’immagine unitaria, alla stregua di
filiale (apparentemente) del produttore (o, comunque, del franchisor).”57
Come afferma R. PARDOLESI la tassonomia come prospettata a prima
vista sembra non aggiungere niente, ma colloca in evidenza una ispirazione
comune a tutti i contratti di distribuzione, ossia: la integrazione verticale del
contratto, che oscilla tra un minimo di coinvolgimento ad un massimo di
compenetrazione. 58
57
Cfr. R. PARDOLESI. Tipologie Prevalenti dei Contratti di Franchising: Aspetti Giuridici Ed
Economici, p. 100
58
Cfr. R. PARDOLESI. Tipologie Prevalenti dei Contratti di Franchising: Aspetti Giuridici Ed
Economici, p. 100
30
Tra tutti i contratti di distribuzione, il franchising avrebbe goduto di una
maggior predilezione nel trattamento a livello comunitario. Ricorda, il citato
autore, la sentenza del 28 gennaio 1986, e la possibile rotta di collisione tra il
franchising e le regole antitrust comunitarie, su cui la decisione della Corte di
Giustizia CEE stabilì che “i sistemi di franchising non possono essere considerati,
nel loro complesso, restrittivi della concorrenza, consacrando una valutazione di
compatibilità tendenziale con la disciplina comunitaria, compatibilità che, nel
caso in specie, veniva meno solo per due profili specifici: l’imposizione del
prezzo di rivendita e la compartimentazione territoriale.”59l
La decisiva simpatia per i contratti di franchising provocò da parte della
Commissione CEE un pullulare di soluzioni (tutte nel senso di esentare tali
contratti dai fulmini dell’art. 85), giacché si attribuiva a tale sistema la capacità di
incentivare lo small business, migliorando la distribuzione e promovendo, in
ultima analisi, l’interesse pubblico. 60
Mettendo in rilievo la grande disparità di trattamento tra il franchising e
gli altri contratti di distribuzione commerciale, l’eminente giurista presenta i
seguenti esempi come discrepanti e che denunciano che il Regolamento da
trattamento disuguale a situazioni assolutamente equivalenti:
“La clausola di non concorrenza per il periodo successivo alla cessazione
del rapporto non è ammessa dai regolamenti 1983 e 1984/83: essa può fruire
soltanto di esenzione individuale. Ma, per il franchising, niente paura! Detta
clausola rientra nella white list, cioè fra quelle che neppure incrociano il divieto di
cui al ripetuto art. 85, a condizione che il lasso di tempo sia ragionevole, e
comunque non superiore ad un anno, nel territorio in cui ha avuto esecuzione il
59
Cfr. R. PARDOLESI. Tipologie Prevalenti dei Contratti di Franchising: Aspetti Giuridici Ed
Economici, p. 101
60
Crf R. PARDOLESI. Tipologie Prevalenti dei Contratti di Franchising: Aspetti Giuridici Ed
Economici, p. 104
31
contratto. Ancora, l’imposizione di un fatturato minimo è considerata
normalmente illecita, e soltanto esentabile in via individuale (art. 3, n. 1, lett.f,
reg. 4087). Di più l’obbligo imposto al distributore comune di sottoporre a
controllo di controparte le proprie iniziative pubblicitarie è usualmente messo
all’indice (v. La sentenza Hasslblad), mentre diventa acqua santa in ambito di
franchising (art. 3, n. 1, lett. g); analogo discorso vale per la location clause, ossia
per l’obbligo di non trasferire il punto di vendita (art. 3, n. 2, lett. g). C’è
dell’altro. Il divieto di fare pubblicità fuori zona è il solo ammissibile per la
generalità dei contratti di distribuzione, mentre per il franchising si dà ingresso al
ben più ampio divieto di ricercare clienti in territori in cui si prospetta concorrenza
con altri membri della stessa rete (art. 3, n.1, lett. c). Persino l’obbligo di vendere
soltanto a consumatori finali, altrove puntualmente demonizzato, risulta qui
contrato a divieto (art. 3, n. 1, lett. e)”.61
Conclude PARDOLESI che il relativo favore introdotto dal Regolamento
4087/88 al franchising, non sarà esteso a tutti i contratti di distribuzione,
probabilmente perchè agli occhi della autorità comunitaria “Il franchising è
legato, mani e piedi, all’immagine del piccolo ed inesperto imprenditore
commerciale, aiutato a prendere il volo in un ambiente che si preannuncia, con
l’incombenza del mercato unico, viepiù impietoso. Di fronte al dispiegarsi di una
(probabilmente malintesa) direttiva politica di sostegno all’impresa mediopiccola, aspettarsi che gli organi preposti alla disciplina antitrust europea vincano
gli interessi dei loro precedenti, e rimedino ad ingiustificate disparità di
trattamento, sa da lontano di rassegnazione sotto mentite spoglie”.
61
Cfr. R. PARDOLESI. Tipologie Prevalenti dei Contratti di Franchising: Aspetti Giuridici Ed
Economici, p. 111/112
32
1.6 Le Reti di Imprese
Le reti di imprese possiedono una lunga traiettoria storica, esistendo
proprio prima della impresa verticalmente integrata e hanno svolto , come fa
notare F. CAFAGGI, una funzione importante nel processo di globalizzazione. Da
sistemi particolari, legati sia all’economia reale che a quella finanziaria, troviamo
traccia della loro esistenza già prima del 1492 nella organizzazione degli scambi
di materie prime, semilavorati e prodotti finiti, che aveva luogo sia in Europa sia
tra l’Europa ed il continente asiatico.62
Il fenomeno è sorto di recente, nel tardi ‘900. Le reti sono emerse nei
mercati reticolari a causa della liberalizzazione che con lo sviluppo tecnologico ha
portato allo smantellamento dei monopoli. E con una diversa morfologia si
incontrano anche nei settori della energia, nelle telecomunicazioni, nel settore
bancario e finanziario e in quello dei trasporti.
Tali reti possono essere considerate più come fenomeno derivante dalle
trasformazioni dei mercati, dalle divisioni internazionali del lavoro e dalla
deverticalizzazione delle filiere produttive che come esito di un processo di
liberazione dei mercati e di ridefinizione di paradigmi. “In questo ambito si
comprendono forme di collaborazione in fase produttiva e distributiva come la
subfornitura o i gruppi di acquisto, i contratti di outsourcing, le joint ventures, i
raggruppamenti di imprese, le ATI, i contratti plurilaterali di ricerca e di sviluppo,
i sistemi di controllo di qualità lungo la filiera, il franchising, la concessione, le
licenze di marchio, i consorzi e altri ancora”.63
62
Cfr. F. CAFAGGI, Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p.9.
Cfr. F. CAFAGGI, Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 9. Queste
reti non avevano sino ad ora trovato una disciplina unitaria ma erano emerse sul piano della prassi
talvolta ricevendo, in seguito, riconoscimento legislativo, che rappresentava una risposta alla
vulnerabilità provocata dalla frammentazione proprietaria e dalla piccola dimensione delle imprese
sia italiane che europee.
63
33
La crescita del commercio internazionale e l’aumento delle pressioni
concorrenziali hanno prodotto forme di deverticalizzazione della filiera produttiva
frequentemente associata a delocalizzazioni, determinate sia per fattori di costo sia
per la esigenza di attingere i mercati esterni.64
Come sottolinea F. CAFAGGI, la deverticalizzazione con forme di
outsourcing richiede forme di governo contrattuale che ne permettano il
coordinamento. Dunque alla scomposizione organizzativa si risponde con la
ricomposizione contrattuale.
L’estensione delle filiere hanno portato alla creazione di differenti modelli
di collaborazione interimprenditoriale che vanno dalle forme gerarchiche a forme
modulari e relazionali.65 L’innovazione richiede processi interattivi, di codecisione, non conciliandosi con l’uso di istruzioni gerarchiche che dal produttore
finale o dalla distribuzione pervengono ai costruttori di componenti. Questo
sviluppo sembra consolidare un modello di relazioni.66
Affrontando il tema della regolazione delle reti di imprese, P. IAMICELI
afferma che il tema era fonte di sconforto per i giuristi, visto che si colloca nei
limiti delle categorie giuridiche tradizionali, come il contratto da un lato e
l’organizzazione personificata dall’altro e pertanto, con concetti irrimediabilmente
ibridi.67
Ritornando indietro agli anni del 1934, già in quel periodo Vittorio
Salandra rilevava nel sistema del diritto privato italiano la mancanza del
<<concetto di una pluralità costituita di elementi collegati, i quali, mentre
64
Cfr. F. CAFAGGI, Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 10. Le
prime legate all’offerta di fattori produttivi, le seconde alla modificazione della domanda.
65
Cfr. F. CAFAGGI, Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 10. In
particolare hanno condotto alla emersione di forme di rete, rilevanti nel caso di processi innovativi
che la teoria convenzionale del contratto ha difficoltà a descrivere.
66
Cfr. F. CAFAGGI, Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 10-11.
67
Cfr. P. IAMICHELI. Introduzione – Dalle reti di imprese AL contratto di rete in Le reti di
imprese e i contratti di rete (a cura di P. IAMICHELI), G. Giappichelli, Torino, 2009, p.1
34
conservano la propria indipendenza formale e non assurgono a una nuova unità,
agiscono tuttavia in funzione del gruppo collettivo cui appartengono>>. Tale
lacuna
si
riferiva
tanto
al<<collegamento
tra
individui>>,
quanto
al
<<collegamento fra collettività organizzate>>, le imprese collettive in primis. In
ambedue i casi si ricorreva al concetto di persona giuridica come veste appropriata
per le nuove organizzazioni collettive della società moderna.68
L’introduzione nel nuovo codice civile di una disciplina codicistica dei
consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi è rimarcata come
frutto di questo sconforto della dottrina e delle successive riflessioni che
seguirono tal periodo riguardando il diritto delle unioni di imprese, una disciplina,
come fa notare l’illustre giurista, figlia della cultura giuridica di quegli anni,
quando il coordinamento tra imprese era essenzialmente inteso come strumento di
regolazione della reciproca concorrenza.69
Attualmente, a lato di una legislazione speciale che, con interventi
piuttosto indirizzati ad ambiti di applicazione variamente circoscritti, di fatto
moltiplica le figure consortili, si affiancano ad esse forme poco definite di
associazione di imprese, per lo più temporanee, la fonte di maggior innovazione
organizzativa sembra essere la prassi, ai diversi livelli in cui questa prende forma
anche in ragione della dimensione e dell’apertura internazionale delle imprese.70
Di fatto, reti di subfornitura, di distribuzione, franchising, joint ventures,
alleanze strategiche, accordi su marchi e brevetti, si pongono alla base di veri e
propri sistemi reticolari, fondati sulla collaborazione di lungo periodo,
sull’intensità degli investimenti specifici, particolarmente in capitale umano e
conoscenza, sulla fiducia, sulla flessibilità degli strumenti di governo della
68
Cfr. . P. IAMICHELI. Introduzione – Dalle reti di imprese AL contratto di rete in Le reti di
imprese e i contratti di rete (a cura di P. IAMICHELI), G. Giappichelli, Torino, 2009, p.2.
69
Cfr. . P. IAMICHELI. Introduzione – Dalle reti di imprese al contratto di rete in Le reti di
imprese e i contratti di rete (a cura di P. IAMICHELI), G. Giappichelli, Torino, 2009, p. 4
70
Cfr. . P. IAMICHELI. Introduzione – Dalle reti di imprese AL contratto di rete in Le reti di
imprese e i contratti di rete (a cura di P. IAMICHELI), G. Giappichelli, Torino, 2009, p. 4
35
relazione, in quanto atti a gestire le sopravvenienze di relazioni caratterizzate da
elevata incertezza.71
Sotto l’aspetto della complessità e della capacità di governo delle
relazioni, appare lo stesso aspetto della dicotomia tra contratto e organizzazione. Il
contratto assume quella funzione di disegno strategico delle relazioni che nella
rete incontra una applicazione particolarmente significativa.
In questa forma, dando preminenza all’attività, dinamica, mutevole in
relazione all’atto individualmente considerato nelle relazioni tra imprese, il
contratto passa ad avere una funzione di
assurgere a fonte di regolazione
dell’attività, essendo questa colta nella molteplicità dei suoi stadi e nella
multilateralità delle relazioni, così i contratti nell’area di produzione di
distribuzione.
Il quadro sopra descritto è una trasformazione di prospettiva che da un lato
induce il giurista a <<contestualizzare>> le relazioni contrattuali ed un concreto
ambiente socio-economico, superando la barriera della <<testualità>> ed il
formalismo dell’atto-fonte del rapporto ed esaltando il valore della fiducia che ne
è alla base, d’altro lato, tale trasformazione porta in primo piano quelle forme di
governo del contratto di lungo periodo che, senza esaurirsi nella componente
fiduciaria della relazione, ne consentono il progressivo <<completamento>> pur
in contesti di elevata incertezza.72
Indicando le implicazioni di carattere giuridico provocate dalla
decentralizzazione produttiva, D. SCARPA descrive in primo posto che “la
disgregazione del ciclo di lavorazione ha provocato un mutamento del concetto
71
Cfr. P. IAMICHELI. Introduzione – Dalle reti di imprese al contratto di rete in Le reti di
Imprese e i contratti di rete (a cura di P. IAMICHELI), G. Giappichelli, Torino, 2009, p. 4.
72
Cfr. P. IAMICHELI. Introduzione – Dalle reti di imprese al contratto di rete in Le reti di
imprese e i contratti di rete (a cura di P. IAMICHELI), G. Giappichelli, Torino, 2009, p.5.
36
unitario di produttore, conferendo autonomia giuridica alle imprese che svolgono
le singole fasi del processo produttivo.73
Conseguenza di tale ristrutturazione è la intensificazione dei rapporti di
natura giuridica che precedentemente erano imputabili ad un solo soggetto e
quindi la necessità di un regolamento più specifico per ogni singolo rapporto
contrattuale (la l. 192/98 ne è un chiaro esempio). In secondo luogo il
decentramento è un importante metodo attraverso il quale gli operatori riescono
ad evitare l’applicazione della normativa antitrust. Con riferimento all’art. 86,
Tratt. CE, la giurisprudenza comunitaria ha riconosciuto l’esistenza di una
posizione dominante sul mercato qualora il produttore possa evitare di
approvvigionarsi da fonti alternative e concorrenziali. Tale situazione accade
generalmente nel caso di integrazione “a monte”, quando cioè il produttore è in
grado di acquisire con i propri mezzi le materie prime necessarie per il processo
produttivo. La normativa comunitaria non vieta la “posizione dominante” sul
mercato, ma esclude che un’impresa possa compromettere col proprio
comportamento la concorrenza sul mercato.
Pertanto una violazione dell’art. 86 Tratt. Ce si ha qualora un’impresa, che
è in grado di approvvigionarsi delle materie prime in modo autonomo, si rifiutadi
approvvigionare altri produttori impedendo ad essi, con questo comportamento, la
permanenza o lo sbocco sul mercato e provocando in tal modo una distorsione
della concorrenza”.74
Il legislatore nazionale nell’ultimo decennio ha già cercato di
regolamentare le relazioni tra soggetti che operano nella fase di produzione e in
quella della distribuzione con due distinte leggi: la legge 192/1998 relativa alle
relazioni di subfornitura e la legge 129/2004 relativa alle relazioni di affiliazione
73
Cfr. D. SCARPA. Contratto e impresa – Dialoghi con La giurisprudenza civile e commerciale
diretti da Francessco Galgano, p.167-168
74
Cfr. D. SCARPA. Contratto e Impresa – Dialoghi con La giurisprudenza civile e commerciale
diretti da Francesco Galgano, p. 167-168
37
commerciale, la più conosciuta come franchising. Di fatto, entrambe le leggi
hanno dato vita alla maggior parte delle reti di imprese, come distacca M.
FLICK.75
Oltre alle risposte che si possono trovare nel diritto generale dei contratti,
grande rilevanza deve essere attribuita alle funzioni di coordinamento svolte dal
collegamento negoziale. Questa funzione nasce dalla economia di scala, dalla
circolazione di informazioni, dai meccanismi di adeguamento della regolazione
contrattuale e dalle modalità di esecuzione delle prestazioni, risultati che le parti
ricercano nell’ambito delle singole relazioni per poter potenziare il vantaggio
economico da esse atteso.
Sottolinea la dottrina la importanza della distinzione tra i diversi schemi di
collegamento negoziale, che si possono differenziare in: <<schemi a filiera>>,
ove i contratti si succedono lungo una serie lineare nella quale, se si escludono gli
estremi, ciascuna impresa è parte di due relazioni contigue (esempio può essere
dato dalla sequenza dei contratti di fornitura lungo una stessa catena di
produzione); <<schemi a raggiera>>, in cui una stessa parte conclude più contratti
tra loro collegati (con causa omogenea, o distinta, ma comunque collegata) con
diverse controparti, (emblematico è il caso del franchising);<<schemi misti>>, in
cui lungo una serie lineare, si aprono relazioni che sono strutturate a raggiera,
(esempio a riguardo è dato dal committente che investe il proprio fornitore del
compito di realizzare un certo semilavorato, incaricando questo di intrattenere
75
Cfr. M. FLICK. Rivista di diritto privato, Anno XIII, n. 2, Aprile-Giugno 2008, Kluwer IPSOA,
Milano, p. 342. P. IAMICELI pone dei dubbi se la categoria del diritto generale dei contratti non
rappresentino di per sé, in assenza di qualsiasi nuova legislazione, un sufficiente punto di
riferimento, e se, strada facendo, si sia sedimentata quella mediazione tra pluralità ed unità che
Salandra non riusciva a rivenire in alcun concetto giuridico riconosciuto. Cfr. P. IAMICELI. Le
reti di Imprese e I Contratti di Rete, a cura di Paola Iamiceli, G. Giappichelli Editore – Torino, p.
8.
38
rapporti con ulteriori subfornitori o lasciando il fornitore libero di decidere se
realizzare l’attività direttamente o affidarla all’esterno, anche solo in parte).76
Lo schema negoziale adottato riflette un diverso equilibrio dei poteri
decisionali e un diverso circuito di canali informativi. In speciale, nello schema a
raggiera, del quale il franchising ne è il maggior esempio, ed in quello misto
possono emergere posizioni di centralità rispetto ai diversi modi della rete,
determinate dalla coincidenza di più posizioni contrattuali nello stesso soggetto.
La rete può essere rappresentata, in una visione autopoietica della
integrazione tra imprese, come un sistema di processi di aggregazioni e
trasformazioni dei partecipanti che interagiscono tra di loro, sostengono e
rigenerano in continuità lo stesso sistema.77
1.7 Rete di imprese, interdipendenze e complementarietà
Le reti di imprese sono costituite per un modello organizzativo di crescita,
complementare a quel gruppo. In ambito neoistituzionale sono qualificate come di
natura ibrida, poiché si collocano tra mercati e gerarchie. Si inquadrano
genericamente nel fenomeno delle unioni o aggregazioni di imprese.
Nel piano giuridico, come nota F. CAFAGGI, differentemente dal gruppo,
conservano piena autonomia e indipendenza dalle imprese partecipanti ed
ammettono solo forme gerarchiche relative appena ai poteri contrattuali, non al
controllo proprietario. Ed in funzione della diversa distribuzione di tali poteri sono
76
Cfr. M. FLICK. Rivista di diritto provato, Anno XIII, n. 2, Aprile-Giugno 2008, Kluwer IPSOA,
Milano, p. 342.
77
Cfr. D. SCARPA. In Contratto e impresa – Dialoghi con La giurisprudenza civile e
commerciale diretti da Francesco Galgano, p. 169. Si parla di sistema autopoietico quando un
sistema si autodefinisce e tende a sostenere se stesso. Quando i principi di indipendenza di un
sistema al’interno di una organizzazione superano una certa soglia, il sistema diventa a tutti gli
effetti autopoietico.
39
state differenziate in reti paritarie e gerarchiche, attraendo implicazioni sul piano
della disciplina concernente l’abuso di dipendenza economica e, più in generale,
della governance.78
La funzione delle reti consiste principalmente nel dar luogo a forme di
collaborazione concernenti attività complementari che si svolgono in una singola
fase ovvero comprendono più fasi della filiera produttiva. Le reti si formano
quando le relazioni di mercato si rivelano inadeguate ad organizzare la
complementarietà e l’impresa verticalmente integrata richiede costi eccessivi e
riduce la flessibilità.
La complementarietà sussiste quando diverse imprese conferiscono beni,
servizi e competenze diverse e necessarie alla definizione di un nuovo processo
produttivo ovvero alla produzione di un nuovo bene o servizio, che assicura
competitività.
Le reti tra imprese si costituiscono per produrre beni o servizi che le
imprese singolarmente non sarebbero in grado di fare, o che farebbero a costi
maggiori e con risultati meno efficaci. Questo comporta che la selezione dei
partecipanti alla rete sia fondamentale e che la governance richieda sistemi di
controllo sull’ingresso e sull’uscita.
Anche se le reti permettono la realizzazione tanto di economia di scala che
di economia di scopo a secondo della loro composizione e dei loro obiettivi, la
ricerca della economia non è l’unico, né, molte volte, il principale obiettivo delle
reti.
Con relazione al coordinamento nella rete di imprese, è opportuno mettere
in luce l’importante concetto di network, utilizzato ampiamente dalla maggior
parte delle discipline appartenenti alle scienze sociali, come la sociologia, politica,
antropologia, economia ed economia aziendale. Già nel campo giuridico,
78
Cfr. F. CAFFAGGI. Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p.12.
40
nonostante che la dottrina si sia sforzata nel definirlo, tale concetto economico
non si adatta a analisi giuridica, una volta che la centrale distinzione tra mercati e
gerarchie della moderna economia istituzionale non aiuta a inserire in un quadro
concettuale preciso le caratteristiche proprie del network.
Per altra via, M. FLICK indica i due aspetti fondamentali che formano
l’architettura del network:
1)
La prima caratteristica problematica della catena di fornitura, per la
teoria economica dei costi di transazione, sorge dalla presenza di diversi
partecipanti e dai legami che tra di loro si instaurano. L’innovazione può essere
descritta come un meccanismo di controllo che si occupa dei problemi di
efficienza dell’intero network, non dei costi di transazione di un particolare
contratto. Così, se il tipo di analisi sull’efficienza offerta dalla teoria economica
dei costi di transazione può essere utile in questo caso, deve essere applicata non
solo alle transazioni di mercato coinvolte nella catena, ma anche all’efficienza del
funzionamento complessivo del network.
2)
La seconda caratteristica problematica della moderna catena di
fornitura, per la teoria economica dei costi di transazione, riguarda le motivazioni
dei partecipanti. Le moderne catene di fornitura hanno in comune questa
caratteristica: ogni partecipante deve preoccuparsi della sorte dell’anello debole.
3)
In questo contesto di catena di fornitura, un network comprende
due o più relazioni di scambio, che solitamente consistono in ripetute transazioni
per la vendita di beni. In queste transazioni, comuni accordi per il coordinamento
si applicano a tutti i rapporti e non ai singoli rapporti di scambio. A causa di ciò,
per la configurazione di un network è necessaria la presenza di almeno tre
41
partecipanti, o di due relazioni di scambio, essendo essenziale che tra questi esista
la condivisione di un unico sistema di coordinamento.79
Tale sistema di coordinamento può essere considerato come un tipo di
struttura di controllo, ma anche può essere focalizzato come l’interesse primario
di scambi di informazioni lungo tutta la catena, con la finalità di promuovere la
competitività della catena nel suo insieme.
Di fatto, come osserva F. Cafaggi, le reti si costituiscono quando vi è
interdipendenza tra le attività economiche e queste generano esternalità non
<catturabili>> attraverso la definizione di diritti di proprietà scambiabili.
“L’interdipendenza ricorre quando ci siano elevati investimenti specifici, dunque
non reimpiegabili nell’ambito dei rapporti contrattuali con terzi. Tali investimenti
possono riguardare processi produttivi, tecnologie di processo o di prodotto,
ovvero operare nel campo della distribuzione con l’associazione tra marchi,
prodotto e territori. Dando luogo a collaborazione fondata sulla complementarità
l’interdipendenza aumenta i costi di uscita dalla relazione, così riducendo i rischi
di comportamento opportunistico (Gilson, Sabel e Scott 2009).80
Così sorge un nuovo concetto di interdipendenza, diversa da quella
attribuibile alla corrispettiva che rimarca la definizione convenzionale di
sinallagma contrattuale.81
Tale linea di pensiero è ugualmente seguita da M. FLICK che appunta la
interdipendenza come una delle caratteristiche più importanti dei modelli
organizzativi in rete. Affermando che è una l’ interdipendenza generata attraverso
della complementarietà esistente tra i diversi ricorsi, essendo possibile affermare
che, anche se l’interdipendenza riduce l’autonomia delle imprese, in qualche
79
Cfr. M. FLICK. Rivista di diritto privato, Anno XIII, n. 2, Aprile-Giugno 2008, Kluwer IPSOA,
Milano, p. 349. L’autore si riporta a Hugh Collins.
80
Cfr. F. CAFAGGI. Il Contratto Di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p.
81
Cfr. F. CAFAGGI. Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 14. Il
disegno contrattuale promuove l’interdipendenza dovendo provvedere ad un sistema di governo
che tuteli gli investimenti delle parti – Fabrizio Cafaggi fa riferimento a Williamson.
42
modo attribuisce loro nuovi aspetti, non sono incompatibili tra di loro. Al
contrario è esattamente la combinazione dei due elementi che origina il vantaggio
di rendere la rete competitiva.82
La rete si caratterizza come forma di governo della interdipendenza che
salvaguarda una certa autonomia in capo alle imprese. Si riconosce allora
l’essenza del coordinamento realizzato nell’ambito della rete, come peculiare
funzione organizzativa di questa. Si parla, in questi casi, in distribuzione
coordinata in base a cui è possibile coordinare le fasi della produzione e della
distribuzione attraverso della stipula di una svariata gamma di contratti, tra
operatori formalmente indipendenti, che così sopprimono i vari stadi della
commercializzazione.
In questo senso, è funzione importantissima quella del contratto
incompleto nel quadro delle relazioni di cooperazione e di carattere stabile e
durevole come quello proveniente dalla rete di imprese: “l’incompletezza
contrattuale è ben delineata dalla prospettiva funzionale che assegna alla
determinabilità non soltanto il compito di assicurare la tenuta del contratto a
fronte della (riconosciuta) incompletezza del suo contenuto, bensì anche quello,
diverso e concomitante, di indirizzare il contratto stesso verso il perseguimento e
la realizzazione di obiettivi a loro volta di sistema, quali, sul piano dei singoli
rapporti, la giustizia e l’equilibrio contrattuale, la conformazione della struttura
stessa del mercato, cui il contratto afferisce come momento essenziale e strumento
costitutivo”.83
82
Cfr. M. FLICK. Rivista di diritto privato, Anno XIII, n. 2, Aprile-Giugno 2008, Kluwer IPSOA,
Milano, p.347. Nell’ambito della rete pur considerando l’interdipendenza, deve essere, infatti,
ancora possibile affermare che i diritti residuali di controllo sulla singola impresa spettino ad una
struttura di governo formalmente e sostanzialmente distinguibile da quella di ogni altra
appartenente alla rete.
83
Cfr. M. FLICK. Rivista di diritto privato, Anno XIII, n. 2, Aprile-Giugno 2008, Kluwer IPSOA,
Milano, p. 347
43
1.8 Tipologia di rete e regolazione giuridica.
Le reti di imprese possono assumere differenti forme giuridiche. Così
possiamo distinguere come fa la dottrina: reti organizzative, reti contrattuali e
miste.
Le reti organizzative possono assumere la forma di reti societarie, in
particolare quella della società-rete, ma anche la forma di associazioni, di
fondazione, usando un modello organizzativo senza finalità di lucro. La rete
societaria può costituirsi con la società lucrativa, cooperativa o quella consortile.
Frequentemente lo svolgersi delle funzioni di coordinamento tra le fasi lungo la
filiera è attuato attraverso di una società consortile.
A sua volta, nell’ambito delle reti contrattuali si distinguono due grandi
modelli: quello del contratto plurilaterale e quello dei contratti bilaterali o
plurilaterali collegati. Nel primo caso, come nota F. CAFAGGI, si ha un contrato
di rete di imprese, nel secondo una rete di contratti collegati: “Sotto il profilo
formale la distinzione concerne principalmente l’unitarietà del negozio: solo
quando questa ricorre si avrà contratto plurilaterale di rete, altrimenti si è in
presenza di contratti bilaterali o plurilaterali eventualmente collegati. Sul versante
funzionale l’interrogativo concerne le ragioni che inducono le parti a scegliere un
contratto plurilaterale o una serie di contratti bilaterali collegati.84
Sotto l’aspetto empirico, l’uso dei contratti bilaterali collegati è più
frequente di quello dei contrati plurilaterali; essendo il primo modello usato
quando la struttura della rete prevede la esistenza di un soggetto leader, capace di
84
Cfr. F. CAFAGGI. Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 16. Perché
esista una rete ci deve essere una relazione strumentale di complementarietà tra l’attività delle
imprese di cui il collegamento contrattuale definito dal contratto di rete diviene espressione. Non è
sufficiente dunque il mero riferimento ad un’operazione economica unitaria; occorre che vi siano
elementi di collegamento tra i contatti collegati in rete sotto il profilo causale e dell’oggetto che
rendano evidente l’interdipendenza tra le attività e di conseguenza del rischio di impresa.
44
coordinare l’attività posta in essere attraverso i contratti bilaterali, il secondo con
un modello tendenzialmente paritario.
Per quanto riguarda il collegamento negoziale, i contratti plurilaterali
presentano per lo meno un elemento di semplificazione, dovuto alla necessaria
convergenza delle adesioni delle parti contrattuali ad un unico regolamento
contrattuale.85
Frattanto, i contratti plurilaterali non associativi non si collimano bene con
la struttura di potere fortemente asimmetrica delle relazioni contrattuali, perché,
generalmente tali contratti prevedono sistemi decisionali del tipo paritario con
possibilità limitata di delega gestionale ad organi comuni.86
E finalmente, ci sono le reti miste, in cui strumento organizzativo e
contrattuale vengono impiegati contestualmente. Può succedere che a una rete
contrattuale di subfornitura si affianchi una società lucrativa per la certificazione
ambientale delle componenti del prodotto finale, ovvero una società consortile per
la ricerca e lo sviluppo tecnologico, il cui obiettivo è quello di produrre uno o più
brevetti concernenti il processo produttivo.
Sotto il piano strutturale, come osserva M. FLICK, assume molta
importanza una seconda distinzione: quella tra contratti bilaterali e contratti
plurilaterali. Basta immaginare una rete composta da più di due attori o regolati da
più di una relazione contrattuale. Si può allora affermare che, nella ipotesi del
contratto bilaterale, il coordinamento è dato dal collegamento negoziale instaurato
tra le diverse relazioni bilaterali; nell’ipotesi del contratto plurilaterale, dal
85
Cfr. P. IAMICELI. Le reti di imprese e I Contratti di Rete, a cura di Paola Iamiceli, G.
Giappichelli Editore – Torino, p. 13.
86
Cfr. F. CAFAGGI. Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 17. Dove
esiste una ampia delegazione delle decisioni è necessario l’uso del modello organizzativo
societario. Per questa probabile ragione, non si incontrano catene di fornitura, somministrazione o
distribuzione organizzate tramite contratti plurilaterali; normalmente la distribuzione, anche se
presenta una struttura reticolare per eccellenza, non si incontra generalmente organizzata per
mezzo di contratti plurilaterali, ma sì con rete di contratti collegati.
45
contratto stesso, in quanto plurilaterale, oltre che, di nuovo, dal possibile
collegamento tra contratti plurilaterali.87
Si osservi come emerga la funzione di coordinamento del contratto come
strumento di governo dell’interdipendenza, nel rispetto di una logica di autonomia
tra le unità imprenditoriali contraenti.
Frattanto, le caratteristiche della rete di imprese si differenziano da altri
modelli, come i gruppi di imprese, specialmente in relazione alla natura del
conflitto di interessi e la risposta a questi. La rete si caratterizza per la presenza di
un interesse collettivo, come già altrove esplicitato, che si differenzia da quello
del gruppo, che normalmente si identifica con quello del controllatore. Nella rete
all’interesse dei singoli partecipanti si aggiunge, molte volte si contrappone,
l’interesse collettivo, la cui difesa costituisce frequentemente l’obiettivo delle
regole e del disegno di governo della rete, che lungo il periodo contrattuale si
manifesta vantaggiosa, allo stesso modo, anche per i singoli partecipanti.
L’interesse collettivo, come dimostra F. CAFAGGI, può materializzarsi in
un marchio collettivo, o anche in un marchio che, pur posseduto da una singola
impresa, viene dato in licenza a tutti i partecipanti e così condiviso. Sono modelli
frequentemente
adottati
nell’agroalimentare,
come
anche
nel
tessile
abbigliamento, ma naturalmente è la forma ugualmente utilizzata per tipologie di
distribuzione come il franchising e dealership.88
Nella rete di imprese coesistono scopo comune e divergenza di interessi,
dal momento che le stesse imprese cooperano su alcuni mercati e competono su
altri.
In questi modelli esiste una combinazione tra cooperazione e competizione
diversa da quella presente nelle relazioni di mercato o di gruppo. “È importante
87
Cfr. M. FLICK. Rivista di diritto privato, Anno XIII, n. 2, Aprile-Giugno 2008, Kluwer IPSOA,
Milano, p. 348.
88
Cfr. F. CAFAGGI. Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p.18.
46
sottolineare che la differenza tra questi modelli non può essere rappresentata
configurando il mercato come il modello della concorrenza, la gerarchia con la
cooperazione, la rete come modello misto (Grandori 1999). Nel mercato vi sono
ipotesi di cooperazione così come nel gruppo vi sono fenomeni di concorrenza,
anche accentuati ( Zoppini 2007, 355 ss.).89
Questo perché anche nella rete gli interessi dei partecipanti possono essere
conflittuali conforme la posizione occupata nel mercato da ciascuna delle
imprese-nodo della rete. Basta pensare nell’ipotesi di una impresa che opera come
subfornitrice di un committente per alcuni prodotti e come concorrente dello
stesso per altri.
Così, come regola generale si può considerare che esista un dovere di
lealtà reciproco tra gli appartenenti alla rete ed un dovere di ciascuno appartenente
verso la rete nel suo complesso, costituendo il dovere di lealtà appena una parziale
risposta al conflitto di interessi, essendo frequentemente necessaria la
utilizzazione di strutture di governo della rete e regole precise circa la definizione
del processo decisionale, al fine di ridurre significativamente i rischi del
conflitto.90
Come riconosciuta da ampia dottrina, l’interdipendenza, propria dei
sistemi di rete, rende i rischi di opportunismo più elevati e richiede pertanto
l’introduzione di sistemi di difesa più complessi.
Mettendo in risalto, ugualmente, l’importanza della adozione di regole
contrattuali dirette non solo a sanzionare comportamenti non cooperativi, ma, alla
stessa forma premiare comportamenti cooperativi, M. FLICK sottolinea che
mentre i contratti non caratterizzati da una rilevante interdipendenza tra le
prestazioni, si riducono ad una semplice tecnica remunerativa del lavoro e del
capitale, “in tali contesti, essi sono per lo più abbinati a forme di collaborazione in
89
Cfr. F. CAFAGGI. Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 18.
Cfr. F. CAFAGGI. Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 19
90
47
itinere che accrescono esse stesse l’osservabilità dei comportamenti riducendo i
rischi di defezione.”91
Di fatto, la cooperazione è una delle caratteristiche essenziali della rete di
imprese, proveniente dalla combinazione tra la logica della interdipendenza e la
logica della cooperazione a comporre il quadro di insieme.
Nel contempo, come annotato da ampia dottrina, l’incompletezza dei
contratti peculiari alle relazioni dilunga durata, attribuisce alle clausole generali
una funzione sempre maggiore e significativa, nell’intuito di collimare le lacune
esistenti. È indubitabile, in questo quadro, la utilizzazione della buona fede, tanto
con la funzione di completamento del contratto nel corso del rapporto, quanto,
posteriormente, come applicazione dei rimedi contro la sua violazione.92
Altro importante elemento concerne la stabilità , considerata non solo
come durata indefinita della relazione, ma come una tendenziale corrispondenza
tra la durata della relazione ed il tempo di ammortizzazione dell’investimento
iniziale. Così la stabilità diventa, attraverso di regole contrattuali, sinonimo di
controllo delle relazioni, per il fatto di rappresentare la persistenza del vincolo con
rispetto alla possibilità di essere collocata in discussione la relazione previamente
stabilita in ragione di comportamenti sopravvenenti. Parallelamente alla stabilità,
si allinea un altro importante elemento, a prima vista apparentemente conflittuale:
flessibilità con il significato della possibilità di rivedere i termini del contratto se
le circostanze lo richiedessero, sia con relazione alla allocazione del rischio e dei
diritti in essi contemplati, sia con relazione alle parti coinvolte; potendo, in certi
casi significare anche la possibilità di uscire dalla relazione o di causarne lo
scioglimento.
91
Cfr. M. FLICK. Rivista di diritto privato, Anno XIII, n. E, Aprile-Giugno 2008, Kluwer IPSOA,
Milano, p. 351
92
Cfr. M. FLICK. Rivista di diritto privato, Anno XIII, n. 2, Aprile-Giugno 2008, Klwer IPSOA,
Milano, p. 351
48
Di fatto la flessibilità passa ad essere un importante ricorso, se
consideriamo le difficoltà di prevedere al momento della conclusione del contratto
tutti gli eventi futuri, la percezione dei rischi di opportunismo in qualsiasi modo
connessi ad un elevato tasso di definizione iniziale delle clausole contrattuali, in
contesti in cui difficilmente le parti possano valutare efficacemente la credibilità
dell’impegno da altri assunto.
Così, come ben definisce Maurizio Flick, “la flessibilità è la capacità del
contratto di rispondere alla logica delle sopravvenienze, modificando le proprie
regole in modo corrispondente, ma anche indice di una certa <<longevità>> del
contratto.93
In questo modo la stabilità non può più essere considerata come rigidità
degli obblighi inizialmente assunti, dovendo essere vista come persistenza del
vincolo complessivamente inteso rispetto ai fini perseguiti in modo cooperativo
dalle parti. In questi termini, flessibilità e stabilità sono compatibili e svolgono
funzioni complementari.94
Il risultato è un contratto tendenzialmente <<leggero>>, dove a fronte di
dichiarazioni di intenti, affermazioni di principi e di clausole generali, sono
contemplati meccanismi decisionali da attivarsi nel corso della relazione in
presenza delle circostanze e secondo criteri definiti nel contratto. In questo senso,
la relazione contrattuale, inserita nel contesto della rete, si distanzia dalla struttura
classica del contratto inteso come <<scambio isolato>> e assume le vesti di un <<
contratto relazionale>>, si avvicina alle organizzazioni complesse.95
In questo modo possiamo riassumere le caratteristiche principali della rete
di imprese in: flessibilità, stabilità e affidamenti.
93
Cfr. M. FLICK. Rivista di diritto privato, Anno XIII, n. 2, Aprile-Giugno 2008, Kluwer IPSOA,
Milano, p. 352.
94
Cfr. P. IAMICELI. Dalle reti di imprese AL contratto di rete in Le reti di imprese e i contratti di
rete (a cura di P. IAMICELI), G. Giappichelli, Torino, 2009, p. 136.
95
Cfr. M. FLICK. Rivista di diritto privato, Anno XIII, n. 2, Aprile-Giugno 2008, Kluwer IPSOA,
Milano, p.352
49
1.9 Concetto di rete e organizzazione delle imprese
La impresa capitalista può essere considerata una istituzione
in cui
nonostante la molteplicità delle forme che può assumere, resta in qualsiasi modo
definitiva: nella sua finalità caratteristica, per quanto si riferisce alla
sopravvivenza di condizioni di redditività soddisfacente per la realizzazione per
mezzo della produzione di un plus economico; nei suoi meccanismi fondamentali
di funzionamento, per lo meno dalla esistenza nel suo interno di un soggetto
economico che realizza scelte di direzione e di coordinazione delle forze
produttive da utilizzare, assumendosi il rischio, ed essendo il risultato di tali scelte
poste sotto il controllo e la selezione per un sistema di decisioni decentralizzate –
il mercato, nelle sue molteplici forme.96
È necessario precisare, frattanto, che la definizione di impresa proposta
sopra da S. VACCÀ ammette sia la separazione tra la proprietà e il controllo
interno della impresa, sia la adozione di strutture organizzative che non
significhino la proprietà esclusiva dei mezzi di produzione, di cui si avvale la
impresa per perseguire la sua principale finalità.
La rete, a sua volta,viene considerata come una categoria organizzativa
pura, intendendosi indicare, con tale accezione, “quella specifica modalità di
organizzazione delle forze produttive (e quindi delle risorse, delle capacità e della
potenzialità, specie immateriali) su cui si basa l’evoluzione del capitalismo
industriale, caratterizzata, rispetto ad altre modalità organizzative (gerarchia,
mercato dei fattori), da connessioni interattive, basate su <<linguaggi>> condivisi,
codificati e specialistici.
96
Cfr. S. VACCA. Concetto di <<Rete>> e organizzazione delle imprese in I CONTRATTI DI
FRANCHISING – Organizzazione e Controllo di rete a cura di Luciano Pilotti-Roberto Pozzana, p.
18.
50
La letteratura economica riferisce la categoria analitica di rete ad almeno
due processi, come appunta C. CAMARDI. “Da un lato, al processo di
disgregazione della grande impresa gerarchica e centralizzata, connesso ad un
piano di decentramento che attribuisce elevata autonomia alle singole unità
produttive e sostituisce alla programmazione gerarchica una programmazione
<<per comunicazione e cooperazione intermodulare>>. Dall’altro, al processo di
convergenza spontanea di più imprese precedentemente indipendenti, che
stabiliscono legami specifici di natura negoziale ma anche fiduciaria, intesi a
coordinare le proprie attività fino a renderle interdipendenti l’una dall’altra.97
In altro modo, diventa interessante delimitare quali sono le caratteristiche
della rete che la differenziano da altre forme di organizzazione delle forze
produttive e, più ancora, della soggettività di cui sono portatrici. Secondo S.
VACCÀ l’elemento distintivo di questa forma di organizzazione è la circolazione
di informazioni e di conoscenza, tra i diversi punti o unità del sistema produttivo o
fra diverse imprese autonome, basate su tre fattori:
a)
La codificazione del sapere produttivo, ossia la sua traduzione in codici
efficaci, utilizzabili in procedure automatizzate;
b) La predisposizione, costosa ed impegnativa, di <<linguaggi>> condivisi tra le
parti che compongono la <<rete>>. Questi <<linguaggi>> sono essenziali per
conferire alle informazioni codificate significati univoci per coloro che le
utilizzano.
c)
L’interazione, attraverso i <<linguaggi>> tra le forze produttive che trovano
nella <<rete>> il sistema organizzativo che ne connette l’attività.98
97
Cfr. C. CAMARDI. I Contratti di distribuzione come contratti di rete. Le Reti di Imprese e I
Contratti di Rete, a cura di Paola Iamiceli, G. Giappichelli Editore, Torino, 2009, p. 227.
98
Cfr. S. VACCÀ. Concetto di <<Rete>> e Organizzazione delle Imprese in I CONTRATTI DI
FRANCHISING – Organizzazione e Controllo di rete a cura di Luciano Pilotti~Roberto Pozzano,
p.19.
51
Oltre a ciò, è necessario precisare che cosa si intenda con il termine
interazione, per intendere il suo significato sul piano economico. Si tratta di un
concetto che, in linea generale, indica un particolare tipo di relazione tra differenti
soggetti o attori, dotati di sapere e capacità di iniziativa, come anche di uno spazio
reale di autonomia. La interazione, pertanto, si traduce in relazioni di
cooperazione complementari tra centri decisionali, ciascuno dei quali contribuisce
con apporti specifici e funzionali a facilitare ed arricchire i processi autonomi di
innovazione e le strategie competitive dei centri decisionali coinvolti.
Questo tipo di cooperazione complementare implica prima di tutto e
necessariamente un flusso di informazioni di una impresa all’altra, con una
valorizzazione delle risorse del sapere e della competenza che fanno capo a
ciascuna impresa, molto di più di quanto occorra normalmente attraverso di
semplici relazioni di mercato.
Il concetto di interazione è allora profondamente diverso da quello di
interdipendenza, in quanto i risultati che sono ottenuti per mezzo della interazione
sono estremamente relazionati all ’involvimento attivo di ciascuno dei centri
interessati.
L’interazione fra soggettività richiede, “nelle sue forme più impegnative,
una intesa, un accordo e un’organizzazione dei rapporti fra le parti, che non
scaturisce spontaneamente dalla semplice coesistenza di attori diversi, ma dalla
loro manifesta intenzione di contribuire, con il loro specifico apporto, al
perseguimento di convergenti obiettivi di efficienza dinamica.”99
Altro importante item, e che si rivela fondamentale, è la delimitazione dei
fattori determinanti e principali dei processi di sviluppo delle imprese basato in
parziale abbandono delle strutture e forme organizzative di tipo gerarchico e
99
Cfr. S. VACCÀ. Concetto di <<Rete>> e Organizzazione delle Imprese in I CONTRATTI DI
FRANCHISING – Organizzazione e Controllo di rete a cura di Luciano Pilotti~Roberto Pozzana,
p. 20.
52
centralizzato, e sulla sperimentazione di procedure cooperative ed interattive, che
possono prefigurare strutture organizzative a rete.100
Secondo questa linea di pensiero, sintetizza S. VACCÀ che i processi di
cooperazioni basati nella autonomia dei soggetti coinvolti nella interazione sono
determinati dalle crescenti complessità che le imprese incontrano nella attualità a
fronteggiare nel definire ed attuare strategie innovative. D’altro lato, la crescente
complessità dell’ economia industriale aumenta le difficoltà operative di una
impresa che attua individualmente. Diversamente dal passato, l’ impresa tende ad
essere meno capace di ridurre la complessità con comportamenti collusivi,
ricorrendo a misure protezioniste o strumentalizzando la politica delle istituzioni e
anche lo Stato per le sue esigenze.
L’attuale tendenza è che la impresa per affrontare in modo creativo la
crescente varietà e variabilità del contesto in cui opera, deve trasformare
profondamente le sue strutture organizzative. L’impresa tende cioè a divenire un
sistema che gestisce un insieme di rapporti interattivi-cooperativi con i soggetti
esterni (altre imprese e l’ambiente), così da acquisire risorse specifiche e capacità
progettuali sempre meglio adeguate alla complessità con la quale si deve
misurare.
L’aumento della complessità della economia industriale è il risultato delle
azioni di molteplici fattori, tra i quali: le nuove caratteristiche dello sviluppo
tecnologico; aumento del grado di globalizzazione dei mercati e quindi la
dilatazione dell’orizzonte economico degli operatori. Quanto al primo fattore,
l’impresa passa ad essere spinta ad investire in modo massiccio nella ricerca per
sfruttare la flessibilità potenziale delle nuove tecnologie. In relazione alla
globalizzazione della economia, “ anch’essa trova negli sviluppi tecnologici una
100
Cfr. S. VACCÀ. Concetto di <<Rete>> e Organizzazione delle Imprese in I CONTRATTI DI
FRANCHISING- Organizzazione e Controllo di rete a cura di Luciano Pilotti~Roberto Pozzana,
p.21.
53
spinta fondamentale attraverso la contrazione spazio-temporale delle azioni e delle
reazioni degli operatori economici, garantita dagli sviluppi nelle tecnologie dei
trasporti e delle comunicazioni, oltre che da quelle di elaborazione e trasmissione
delle informazioni.”101
In questo senso, si creano le condizioni oggettive per lo sviluppo dei
processi di cooperazione interattiva tra i diversi soggetti-impresa che attuano a
livello globale, visto che l’estensione del confronto competitivo e cooperativo in
scala globale, si traduce in un aumento della complessità dell’ambiente in cui
operano le imprese.
In questo modo l’impresa passa ad essere di continuo sollecitata ad
organizzarsi “come sistema aperto ad una logica di relazionalità e di interazione
sinergica con altre imprese, e soprattutto di interazione con centri e movimenti
dotati di reale autonomia, cioè in grado di esprimere una posizione attiva e
creativa dei soggetti, capace di contribuire, con professionalità e competenza, a
sviluppare progettualmente le opportunità, le potenzialità che si dischiudono man
mano che cresce la complessità delle situazioni con le quali l’impresa deve
misurarsi”.102
Così, attraverso il ricorso a strutture organizzative di rete tende ad
affermarsi una nuova prospettiva di omogeneità tra i diversi sistemi capitalisticoindustriali. La rete con i suoi processi di codificazioni del sapere e di formazione
di linguaggi condivisi, tende di fatto a dare vita a nuovi e importanti criteri di
omogeneità sui cui basare il confronto efficientistico fra le imprese.
Di fatto, il concetto di rete contribuisce in modo determinante a
confermare che nello sviluppo del capitalismo industriale, competizione e
101
Cfr. S. VACCÀ
. Concetto di <<Rete>> e Organizzazione delle Imprese in I
CONTRATTI DI FRANCHISING- Organizzazione e Controllo di rete a cura di Luciano
Pilotti~Roberto Pozzana, p. 23.
102
Cfr. S. VACCÀ. Concetto di <<Rete>> e Organizzazione delle Imprese in I CONTRATTI DI
FRANCHISING- Organizzazione e Controllo di rete a cura di Luciano Pilotti~Roberto Pozzana, p.
25
54
cooperazione costituiscono due aspetti estremamente interlegati da un identico
processo inteso alla produzione di innovazioni e di valore.103
1.10 Franchising e relazioni cooperative
Uno dei fenomeni più interessanti del panorama economico degli ultimi
anni è lo sviluppo di una pluralità di forme organizzative nuove di distribuzione
commerciale.
Al proposito si deve ricordare il successo di formule commerciali derivate
dal franchising, che si originarono in alcuni casi da una strategia aggressiva di
distribuzione adottata da grandi imprese industriali, e in altri casi, dalla iniziativa
di imprese commerciali di una certa importanza, che estesero la loro influenza a
una serie di punti di vendita da esse coordinati.
Il riferimento al franchising, in questo contesto, dice rispetto non tanto al
franchising come contratto o come tecnica commerciale, ma alla sua peculiare
concezione strategica delle relazioni interne alla filiera distributiva.
La concessione strategica emergente in molte forme organizzative che
fanno largo uso del contratto di franchising può essere sintetizzata, come già
sopra indicato, in due grandi opzioni, che sono anche due direzioni evolutive,
come notò Enzo Rullani, nella tendenza della organizzazione commerciale: “da un
lato, costruire reti dirette quanto a circolazione dell’informazione della filiera
distributiva; dall’altro, utilizzare nella costruzione della rete l’apporto di una
pluralità di operatori indipendenti (sotto il profilo proprietario e manageriale),
103
Cfr. S. VACCÀ. Concetto di <<Rete>> e Organizzazione delle Imprese in I CONTRATTI DI
FRANCHISING – Organizzazione e Controllo di rete a cura di Luciano Pilotti~Roberto Pozzana,
p.28.
55
coordinati attraverso contratti e media comunicativi che permettono efficaci
relazioni cooperative tra il centro della rete e i suoi terminali periferici”.104
Però non è appena il franchising. In generale diventano più rilevanti tutte
le relazioni cooperative che possono svolgersi nella catena di valori che vanno
dalla produzione industriale fino al consumo finale in senso orizzontale e/
verticale. Attraverso questo tipo di relazioni, in parte contrattuale in parte
estracontrattuale, si realizza un coordinamento efficace di più di una impresa per
la messa in valore delle reciproche complementarietà che richiedono una
sincronizzazione e finalizzazione dei comportamenti oggettivi di un interesse
comune.105
Di fatto, la caratteristica comune a tutte queste nuove forme di
distribuzione è quella di manifestarsi come alternativa sia al modello di piccola
impresa commerciale isolata, immersa nel mercato, sia quella della grande
impresa commerciale, capace di gerarchizzare i canali e di integrare verticalmente
tutta la filiera distributiva.106
104
Cfr. E. RULLANI. Reti e Informazione: La Rivoluzione Commerciale Prossima, p. 33
Possiamo citare come esempio di questi tipi di strategia di distribuzione attraverso Il
franchising i casi di alcune grandi imprese dell’abbigliamento, come Benetton, Che non si
limitano ad applicare un contratto tipo di franchising, ma oggettivano La costruzione di una rete di
cooperazione complementare con molti distributori.
106
Cfr. E. RULLANI. Reti e Informazione: La Rivoluzione Commerciale Prossima, p. 39.
105
56
1.11 Dalla rete di imprese al contratto di rete
Dopo lunghi anni di discussioni e di studi, tanto nel campo economico
come in ambito giuridico, in relazione alla rete di imprese e, dopo innumerevoli
tentativi di un inquadramento codicistico, come ugualmente della inserzione in
normative speciali, come per esempio nei modelli di franchising, ancora prima
della sub-fornitura, e nei gruppi di impresa (holding), nei consorzi, come nelle
associazioni temporanee di imprese e nei contratti collegati, finalmente, come fa
notare P. ZANELLI, si è arrivati a una disciplina legale che le conferisce una
definizione giuridica di rete.107
Nota l’illustre giurista il primato dell’Italia in relazione agli altri paesi
europei nella disciplina del tema, dato che non esiste nessuna normativa o
indirizzo comunitario, nemmeno a livello di normativa statale dei singoli Stati
Membri.108
Nasce allora la rete, senza personalità giuridica; non si tratta di una
istituzione, ma di un contratto. In sintesi si allontana dal primo progetto, nel quale
doveva allinearsi la disciplina dei consorzi e dei gruppi di impresa per attualmente
essere definita come un contratto. Anche se la normativa prevede che questo
ultimo debba essere depositato al Registro delle Imprese e abbia un patrimonio.109
107
Cfr. P. ZANELLI. Reti di impresa: dall’economia al diritto, dall’istituzione al contratto –
Contrato e impresa – Dialoghi com La giurisprudenza civile commerciale diretti da Francesco
Galgano, Pubblicazione bimestrale anno XXIV, N. 4-5 Luglio-Ottobre 2010, p. 951.
108
In Europa Il foco si trova diretto agli incentivi alla competitività per promuovere lo sviluppo
delle piccole e medie imprese europee; sul tema 5rimanda Pietro Zanelli a Comm. Ce, 15 dicembre
2009, COM (2009) 680; e ancora prima Comm. Ce 15 gennaio 2009, SEC (2009)92 sulle linee
guida europee di sviluppo e di sostegno alle Piccole Medie Imprese Europee.
109
Cfr. P. IAMICELI. – Le reti di Imprese e I Contratti di Rete, a cura di Paola Iamiceli, G,
Giappichelli Editore - Torino, p. 19/20. Come nota P. IAMICELI precedentemente alla disciplina
del contratto di rete, parte della dottrina aspirava una riforma dei consorzi; per altri sarebbe
sufficiente e preferibile operare con gli strumenti di una politica industriale sul versante dei
distretti, questi originari dei sistemi produttivi, fondati sulle specializzazioni e concentrazioni,le
cui articolazioni si muovono in senso funzionale più che territoriale. Infine, con una prospettiva
civilista più ampia , al proposta di lavorare con una disciplina genera delle reti di imprese, nelle
57
Da qui una delle differenze fondamentali con il Progetto Bersani, che
prevedeva che la rete avesse una personalità giuridica propria ed allora fosse una
entità nuova nel panorama imprenditoriale. Di fatto, come fa notare P. ZANELLI,
non si è usato nulla del d.d.l promosso da Bersani, che prevedeva la emanazione
di una legge delegata ed indicava solo i principi e punti fondamentali che
avrebbero dovuto essere applicati ai “rapporti di coordinamento stabile di natura
contrattuale” tra imprese, e che in una concisa sintesi prevedeva:
1.
Definire le forme di coordinamento stabile di natura contrattuale
tra imprese aventi distinti centri di imputazione soggettiva, idonee a costruire in
forma di gruppo paritetico o gerarchico una rete di imprese;
2.
Definire i requisiti di stabilità, di coordinamento e di direzione
necessari al fine di riconoscere la rete di imprese;
3.
Definire le condizioni, le modalità, i limiti e le tutele cha assistono
l’adozione dei vincoli contrattuali di cui all’item 1;
4.
Definire le modalità per il riconoscimento internazionale delle reti
di imprese e per l’utilizzo, da parte delle medesime, degli strumenti di promozione
e di tutela internazionale dei prodotti italiani;
5.
Definire, anche con riguardo alle conseguenze di natura contabile
e impositiva e in materia di mercato del lavoro, il regime giuridico della rete di
imprese, eventualmente coordinando o modificando le norme vigenti in materia di
gruppi e consorzi di imprese.
Effettivamente, il contratto di imprese è criticato da parte della dottrina
che afferma che al distanziarsi dal Progetto Bersani, la nuova legge “ha cancellato
varie forme di reti contrattuali, organizzative e miste, in grado di rileggere, alla luce degli studi
inter-disciplinari sulle reti di imprese, la teoria del collegamento negoziale, quella del contratto
plurilaterale, alcuni profili del diritto delle organizzazioni. In questa prospettiva si era ipotizzato un
contratto di rete che tra i vari strumenti potesse candidarsi ad una specie di contratto trans-tipico
per il coordinamento inter-imprenditoriale. Frattanto, come afferma IAMICELI, tale proposta non
può soprapporsi al testo normativo che non è in questo senso.
58
tutte le attese di una figura giuridica unitaria e ben definita di rete. Ora abbiamo
pezzi quà e pezzi là che disciplinano diverse tipologie di “reti economiche”.110
Nel quadro attuale la disciplina contenuta nei commi 4º – ter ss. dell’art. 3,
d.l n. 5/2009, come convertito con modificazioni dalla legge n. 33/2009 e
ulteriormente modificato dalla legge n. 99/2009, offre senza dubbio, come nota
IAMICELI, un primo importante strumento operativo, anche se con limitazioni
“che le singole soluzioni normative presentano e delle lacune lasciate da un
articolato a maglie troppo larghe, per la cui applicazione diventa cruciale la
produzione di contratti standard da parte di operatori e associazioni di
categoria”.111 In questo modo, considerando una disciplina così limitata,
acquistano importanza gli strumenti imprestati dal diritto generale dei contratti.
Il contratto di rete è, per espressa previsione legislativa, un contratto con
comunione di interessi e questa connotazione incide chiaramente sul piano
funzionale, estendendosi tanto l’ipotesi di contratto bilaterale quanto quella di
contratto plurilaterale. La disciplina del contratto bilaterale e del contratto
plurilaterale si trovano in un contesto in cui gli aderenti possono optare per una
variabilità del numero delle parti, producendo così una possibile alternanza tra
bilateralità e pluralità.
Anche con la disciplina del contratto di rete, non perde importanza la
tematica del collegamento negoziale, al contrario ne riceve rilevanza; basta
pensare che talune reti contrattuali, oggi governate con il difficile strumento del
collegamento, potranno trovare nuova veste nel contratto di rete, altre forme di
collegamento negoziale potranno originarsi partendo dalla stipula del contratto di
rete. Così, per esempio, “il contratto di rete potrebbe fungere da contratto quadro
110
Cfr. P. ZANELLI. Reti di impresa: dall’economia AL diritto, dall’istituzione AL contratto –
Contratto e impresa – Dialoghi con La giurisprudenza civile e commerciale diretti da Francesco
Galgano, Pubblicazione bimestrale anno XXVI, N. 4-5 Ottobre 2010, p. 953.
111
Cfr. P. IAMICELI. Le reti di Imprese e I Contratti di Rete, a cura di Paola Iamiceli, G.
Giappichelli Editore – Torino, p. 22.
59
o normativo rispetto alla stipula di contratti esecutivi (di forniture, di
distribuzione, di licenza di marchio, brevetto, know-how, ma anche di franchising)
da stipularsi poi tra gli aderenti alla rete o tra questi e soggetti terzi”.112
Come giustamente annotato da P. ZANELLI, “bella o brutta che sia, è
arrivata una legge che ci dà una definizione giuridica delle reti. Pertanto,
nonostante le dure critiche della dottrina, è necessaria l’accettazione della scelta
legislativa e, conseguentemente, l’approfondimento sul nuovo scenario giuridico
della rete di imprese aperto con la emanazione della l..33/99.113
In questo modo, definisce l’art. 3, comma 4-terc, il contratto di rete come
quel contratto con cui “due o più” imprese si obbligano ad esercitare in comune
una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di
accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato.
La rete viene definita come “un contratto ad applicazione generale”,
voltato essenzialmente al “coordinamento tra produzione e distribuzione
(competitività) delle imprese. La principale funzione del contratto di rete è quella
di creare delle regole dispositive – e quindi come tali liberamente derogabili dalle
parti – attraverso le quali le imprese, pur restando autonome ed indipendenti le
112
C fr. P. IAMICELI. Le reti di imprese e I Contratti di Rete, a cura di Paola IAMICELI, g.
Giappichelli Editore – Torino, p. 22.
113
Cfr. P. ZANELLI. Reti di impresa: dall’economia AL diritto, dall’Istituzione AL contrattoContratto e impresa- Dialoghi con La giurisprudenza civile e commerciale diretti da Francesco
Galgano, Pubblicazione bimestrale anno XXVI, n. 4-5 Luglio-Ottobre 2010, p. 953. “ Il diritto è il
mondo della decisione”, come osserva saviamente Natalino Irti. Il legislatore ha deciso di dare alla
rete di imprese la connotazione della l. 33/99, ossia, diversamente dalle associazioni temporanee di
imprese, dai consorzi, dai gruppi di imprese e dalle “reti di revisione”, altro dai distretti, dal
franchising e dalla subfornitura. Di fatto, come afferma Irti, “... al fine di concludere, bisogna
“tagliare” fra le diverse soluzioni, ridurre la pluralità alla unicità. La decisione è sempre una scelta,
un atto selettivo. Chi decide non può rimanere nella molteplicità delle soluzioni, né oscillare tra
l’una e l’altra, né mostrare il buono e il cattivo, l’errore e la verità di ciascuna di esse. Con
linguaggio non consueto ai giuristi, si direbbe che il taglio deve abbattersi sulla foresta e aprire una
radura...”. Cfr. N. IRTI, Dubbio e Decisione, P. 1317 – Scritti in Memoria di Giovanni Cattaneo,
Tomo Secondo. Dott. A. Giuffrè Editore, Milano – 2002.
60
une dalle altre, realizzano dei progetti comuni con il preciso scopo di accrescere la
loro capacità innovativa e la loro competitività sul mercato.114
Effettivamente, gli obiettivi di crescita di fatto sono perseguiti nell’ambito
di un vero e proprio <<programma di rete>>. Pertanto lo sviluppo della attività
economica non è più allora strumentalizzato ad un progetto autonomo
imprenditoriale concepito per un generale arricchimento dei partecipanti o
apprezzabile in termini di guadagno, come occorre per esempio nel contratto di
società, previsto nell’art. 2247 cc. Questo, al contrario è diretto alla realizzazione
di quegli obiettivi strategici e di quel programma comune, i cui risultati sono
destinati a prodursi nell’ambito delle singole imprese.
Da un lato, la condivisione, non solo degli obiettivi ma anche dell’attività,
porta alla configurazione di una vera e propria causa di collaborazione intrinseca
al contratto di rete; per l’altro, il necessario collegamento che tra tale attività deve
sussistere con l’attività di ciascuna impresa, e l’interdipendenza, che così si
instaura tra le imprese medesime, lasciano emergere quella dimensione del
coordinamento propria delle reti di impresa.
Così, conclude Paola Iamiceli, che, se <<il fine ultimo>> delle imprese è
quello di accrescere la propria capacità innovativa e competitiva, il <<fine
immediato>>
consiste
nella
collaborazione
inter-imprenditoriale
e
nel
coordinamento tra attività per il perseguimento di obiettivi strategici condivisi.115
Pertanto, cooperazione e coordinamento concorrono a definire l’elemento
causale del contratto, pur proiettato sui più astratti scenari della crescita di
competitività e capacità innovativa.116
114
Cfr. P. ZANELLI. Reti di Impresa: dall’economia aL diritto, dall’istituzione aL contratto –
Contratto e impresa – Dialoghi con La giurisprudenza civile e commerciale diretti da Francesco
Galgano, Pubblicazione bimestrale anno XXVI, n.4-5 Luglio-Ottobre 2010, p. 953.
115
Cfr. P. IAMICELI. Le reti di imprese e i Contratti di Rete, a cura di Paola Iamiceli, G.
Giappichelli Editore – Torino, p. 24
116
Cfr. C. SCONAMIGLIO. Il Contratto di rete: Il problema della causa, in I Contratti, 2009, p.
962 ss. Critica severamente il legislatore, accennato per equivoco della previsione del
61
Non restano dubbi allora che la causa immediata del contratto di rete può
essere individuata nella collaborazione e nel coordinamento inter-imprenditoriali.
Altro interessante questionamento dice rispetto al contratto di rete come contratto
con causa associativa.
Il contratto di rete offre nel piano causale possibilità di combinazioni dal
semplice coordinamento di attività indipendenti svolto dalle singole imprese
partecipanti alla forma di collaborazione caratterizzata dallo sviluppo di attività
strumentali dirette dalla rete avente all’oggetto le prestazioni di servizi alle
imprese partecipanti, forme di attività in cui la relazione con l’attività delle
singole imprese può essere meno stringente perché la rete svolge attività
complementari a quelle delle imprese partecipanti.117
La riflessione sul contratto di rete come necessariamente contratto
associativo oltre ad essere un contratto con comunione di oggettivi, non ha
solamente un valore descrittivo, come nota P. IAMICELI, ma acquista
significativa importanza per collegare alla sorte dei contratti associativi quelli
degli enti collettivi.118
Alcuni autori intravvedono nella innovazione legislativa una vera e propria
tipicità, della fattispecie del contratto di rete. Altri affermano l’affinità con figure
già conosciute, specialmente il consorzio con attività esterna. Per altro lato,
un’altra ricostruzione appunta che il contratto di rete non fa sorgere un nuovo tipo
contrattuale, ma si qualifica come trastipico destinato ad essere usato per vestire
operazioni economiche riconducibili a una pluralità di figure tipiche già previste
miglioramento della capacità competitiva e innovativa, C. SCOGNAMIGLIO << Non si vede
infatti come le parti possano indicare (quasi si trattasse, appunto, di un fatto ex ante osservabile e
verificabile) che gli obiettivi e le attività dimostrino, come tali, il miglioramento della capacità
innovativa e competitiva delle parti.
117
Cfr. F. CAFAGGI, Il Contratto di rete Commentario, Società Editrice il Mulino, Bologna,
2009, p.29-30.
118
Cfr. P. IAMICELI, Introduzione – Dalle reti di imprese AL contratto di rete in Le reti di
imprese e i contratti di rete (a cura di P. IAMICHELI), G. Giappichelli, Torino, 2009, p. 27-28
62
nell’ordinamento o conosciute nella prassi. A titolo di esempio, al consorzio con
attività interna o esterna,alla joint-venture di produzione e distribuzione. Solo per
citare le figure più conosciute.119
Il fenomeno della rete supera i confini della fattispecie contrattuale
prevista nella legge. Sotto questa prospettiva, l’importanza della configurazione
transtipica del contratto di rete permette lo svolgimento di varie attività
considerate come figure contrattuali unitarie. Con il contratto si possono svolgere,
adottando il modello organizzativo adeguato, tutte le attività dando luogo ad un
contratto destinato ad essere considerato secondo modalità apparentemente a
quelle di contratti già esistenti, oltre ai citati, non nominati.120
Altra importante analisi dice rispetto all’ambiguità legislativa che può
essere tradotta in opportunità, se intendiamo il contratto come contratto trastipico
destinato ad assumere la natura di contrato con causa associativa. In questa
prospettiva, applicazioni similari non sfuggono alla pratica corrente del
coordinamento inter-imprenditoriale, dove oggi già si ricorre a costituzioni di
consorzi, joint-venture, riagruppamenti, franchising.
Indubbiamente l’art. 3, comma 4-ter ss, offre le prime linee della
regolazione della rete contrattuale: una rete dotata di una minima complessità
organizzativa, che può aumentare nel corso della relazione dipendendo dalla
volontà delle parti; una base patrimoniale che, anche se non sono indicate nella
legge le condizioni di acquisto di autonomia patrimoniale, deve essere sufficiente
per garantire almeno una limitazione parziale della responsabilità.
Del resto, la funzionalità della rete è affidata alla progettualità delle parti, e
alla capacità delle parti di definire un programma di attività di diritti e obblighi
degli aderenti, regole di entrata e di uscita secondo criteri idonei di
119
Cfr. P. IAMICELI, Introduzione – Dalle reti di imprese AL contratto di rete in Le reti di
imprese e i contratti di rete (a cura di P. IAMICELI), G. Giappichelli, Torino, 2009, p. 27-28.
120
Cfr. P. PERLINGIERI, la Contrattazione tra imprese in Riv. Dir, Impresa, p. 323 ss.
63
favoreggiamento della cooperazione, prevenendo i conflitti, sfruttando le
efficienze sottese alla complementarietà delle loro risorse strategiche.121
Procedendo ad una analisi circa la applicabilità del contratto di rete, risalta
P. IAMICELI le difficoltà delle imprese nell’adeguamento dello loro strutture al
modello legislativo proposto. Il compromesso di integrazione delle lacune
esistenti in una disciplina limitata ed affidata ai giudici, che hanno la difficile
missione di dirimere gli eventuali conflitti esistenti. Per questo alcuni
suggeriscono il ricorso alla categoria generale del diritto dei contratti nell’intuito
di definire l’estensione degli obblighi di cooperazione e i confini dell’abuso, come
anche per individuare i provvedimenti applicabili.122
121
Cfr. P. IAMICELI, Introduzione – Dalle reti di imprese al contratto di rete in Le reti di imprese
e i contratti di rete (a cura di P. IAMICHELI), G. Giappichelli, Tortino, 2009, p. 41
122
Cfr. I. IAMICELI, Introduzione – Dalle reti di imprese al contratto di rete in Le Reti di
Imprese e I Contratti di rete (a cura di P. IAMICELI), G. Giappichelli, Torino, 2009, p. 42
64
CAPITOLO DUE
2.1 Affiliazione commerciale nella legge n. 129 del 2004
Prima della edizione della legge di affiliazione commerciale, il contratto di
franchising,
anche se non tipificato legalmente, era già considerato dalla
giurisprudenza come espressione del principio della libertà di iniziativa
economica privata dovuto alla sua larga utilizzazione, garantendo nella espressa
previsione dell’art. 1322 c.c., come ugualmente, avendo come
substrato
costituzionale l’art. 41 Cost., che permette e tutela l’aggregazione e l’affiliazione
e, allo stesso modo, la collaborazione di imprese. “Ne deriva che detto contratto
attiene a materia disponibile in quanto espressione della libertà di scelta nello
svolgimento delle attività economiche riconosciuta al soggetto privato in quanto
tale”.123
Si tratta di un contratto che è stato centro per più di venti anni di costanti
decisioni giurisprudenziali, che erano espressioni di una realtà negoziale
considerata rilevante, fluida, e per lungo tempo certamente caratterizzata da un’
ampia zona di incertezza, così come un’ approssimazione ad altre strutture e
finalità come concessione di vendita; e più genericamente, con la utilizzazione
della terminologia riferibile all’affiliazione commerciale in una ampia gamma di
condizioni negoziali concepibili nell’ambito della decentralizzazione delle attività
commerciali.124
123
In tal senso si è manifestata la giurisprudenza che ha riconosciuto la meritevolezza degli
interessi perseguiti dal contratto all’epoca atipico – ma socialmente tipico, data la sua amplia
rilevanza e utilizzazione abituale nel modo dei traffici. Cass. 20 giugno 2000, n. 8376, in Giusti.
Civ, 2001 l, c. 1327. Mettendo in risalto la meritevolezza anche Trib. Milano 28 febbraio 2002, in
Giur. Milanese, 2002, p. 273. Cfr. A. BERTOLOTTI. Norme per la Disciplina dell’Affiliazione
Commerciale a cura di Oreste Cagnasso. G. Giappichelli Editore – Torino, p. 50..
124
I dubbi e Le difficoltà nel distinguere e individuare tra loro i contratti di distribuzione sono
visibili in numerosi pronunciamenti. Ad esempio, A.; BERTOLOTTI, distacca i seguenti:
65
Definendo l’ampia diffusione che il contratto di franchising ha avuto in
Italia e la contestuale mancanza di una regolamentazione sulla materia, la
relazione che ha accompagnato il D.D.L. n. 19 appunta la necessità di una
disciplina “a stabilire un quadro di norme di carattere generale, all’interno delle
quali alle parti deve essere lasciata libertà di contrattazione, pena la costituzione di
un ambito asfittico di una formula che deve proprio alla sua agilità la forza con la
quale si sta sempre più affermando sul mercato”.
Il D.D.L. n. 19 ha subito, senza dubbio, una forte ispirazione dal
Regolamento (CEE) n. 4087/1988, anche se ha più tardi preso alcuni punti dal
Regolamento (CE) n. 2790/1999. Tale influenza si denota dalla nozione di
contratto di franchising che fu estratta dal regolamento del 1988. Così, precisa che
laddove l’accordo consista in “rapporti che ( siano) caratterizzati dalla presenza
di un soggetto, affiliante, fornitor o franchissor, che mette a disposizione di un
altro soggetto, affiliato, acquirente o franchisee, un insieme di diritti di proprietà
industriale o intellettuale relative a marchi, denominazioni commerciali, insegne,
modelli di utilità, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza
tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una
pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare
nell’alternativa tra affiliazione commerciale e concessione di vendita, si è deciso che “... al di là
del nomen iuris, concessione di vendita (nella specie, settore automobilistico) figurante nel testo
contrattuale, è ravvisabile un rapporto riconducibile alla figura del franchising quando
l’integrazione quando l’integrazione tra rivenditore e società di distribuzione raggiunge un tale
grado di intensità da potersi attagliare al rapporto la definizione che di tale contratto fornisce l’art.
1, 3 ,lett. B), Regolamento (CEE) n. 4087/1988. A fronte dell’indiscutibile autonomia del
concedente rispetto al concessionario, deve farsi risguardo alla immagine che, nella fattispecie
concreta (settore automobilistico), la società concedente ed i singoli concessionari danno di sé sul
mercato, creando nei consumatori l’affidamento che si tratti di un unico soggetto che opera sul
territorio attraverso vari rivenditori” (Trib. Crema 23 Novembre 1994, in Contratti, 1996, p. 52).
Cfr. A BERTOLOTTI. Norme per la Disciplina dell’Affiliazione Commerciale a cura di Oreste
Cagnasso. G. Giappichelli Editore – Torino, p. 52.
66
determinati beni o servizi”, indipendentemente dal nomen iuris attribuito dalle
parti al contratto, devono applicarsi le norme ivi contenute.125
Subito dopo della legge di subfornitura e del decreto legislativo sui ritardi
nel pagamento, sopraggiunge un nuovo intervento del legislatore in materia di
contratti tra imprese, che parte dal presupposto che a causa della simmetria
contrattuale, una delle imprese contrattanti ha bisogno di tutela.
In considerazione di tale finalità dell’intervento legislativo, le norme da
esso emanate sono proposte come norme imperative. Di fatto, questa affermazione
è corroborata dalla espresso previsione dell’art. 31 che
taccia di nullità il
contratto verbale; come, allo stesso modo, risulta dalla norma transitoria dell’art.
9, che impone l’adeguamento dei contratti antichi. 126
Troviamo nella Legge 6 maggio 2004, n. 129 norme definitrici, così come
l’art. 1, che definiscono il contratto di franchising e definisce altresì, alcuni
termini che ricorrono nella prassi del franchising.
In questa ottica alcuni elementi sono desumibili dalla definizione dell’art.
1.1.o comma, della legge 129, secondo la quale l’affiliazione commerciale
(franchising) è:”il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici,
economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte
concede la disponibilità all’altra,verso corrispettivo, di un insieme di diritti di
proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali,
insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza
o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito
da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare
beni o servizi”.
125
Cfr. A. BONFANTE. Evoluzione Normativa, in Norme per La Disciplina dell’Affiliazione
Commerciale a cura di Oreste Cagnasso, G. Giappichelli Editore – Torino, p. 36...
126
Cfr. G. DE NOVA la imperatività della norma decorre , inclusivamente, dalla formulazione
dell’art. 1.1 “l’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato...” che
porta senso solo in un’ottica antielusiva – Il Franchising – Collana a cura di Giorgio De Nova –
IPSOA – 2004, p. 6.
67
Il contratto di franchising intercorre, necessariamente, tra soggetti
indipendenti, sia nel piano economico, sia nel piano giuridico. Essendo allora
chiaro che nella nozione di franchising non esistono contratti con soggetti legati
con vincoli di subordinazione, e neanche contratti tra società dello stesso
gruppo.127
Tale conclusione sembra logica, di fatto, nella presenza di una relazione di
subordinazione si applicano le norme sul lavoro subordinato, che prevede una
tutela molto più forte di quella della legge sul franchising. Già nel caso delle
società dello stesso gruppo non c’è l’esigenza di disclosure necessaria nei soggetti
economicamente indipendenti.128
Prendendo il testo della norma, dobbiamo osservare l’uso della formula
<<soggetti giuridici>> adottata dal legislatore per identificare i destinatari della
disciplina, ciò che indusse parte della dottrina a ipotizzare che la norma avrebbe
avuto l’intenzione di escludere dal proprio campo di applicazione le persone
fisiche.129 Di fatto, tale formulazione del testo legislativo denota una mancanza di
attenzione del legislatore in relazione alla coerenza dei termini usati; tuttavia una
interpretazione letterale della norma porterebbe ad una incoerenza con la sua ratio
e , pertanto, non sostenibile, dato che escluderebbe l’imprenditore individuale,
privato di tutela, come difeso dalla dottrina; proprio quel soggetto che
maggiormente avrebbe bisogno di protezione.
127
Non si può pertanto parlare di una relazione di franchising di lavoro subordinato, ma sim,
quando esista uma posizione di dipendenza economcia, nella ipotesi, per esempio del franchisee in
relazione al franchisor. Cfr. G. DE NOVA, Il Franchising – Collana a cura di Giorgio De Nova –
IPSOA-2004, p.6
128
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising – La Nuova Legge sull’Affiliazione
Commerciale – Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 16.
129
Cfr. G. DI NOVA. Il Franchising – Collana a cura di Giorgio De Nova – IPSOA-2004. Per il
quale “soggetti giuridici”, come dire, pare, non persone fisiche, mettendo in risalto, tuttavia, la
figura di imprenditore individuale che “può certamente essere un franchisee”.
68
Forse, come ampiamente fatto notare dalla dottrina, la legge sarebbe stata
più felice se avesse utilizzato il termine imprenditore, in quanto, di solito,
l’affiliazione commerciale viene definita come contratto tra imprese; tale linea di
raziocinio è derivata da una interpretazione sistematica con l’art. 2 della
normativa in questione.
Realmente, come ha dimostrato la pratica dell’uso di questa modalità
contrattuale, nel mondo della affiliazione commerciale è sempre presente la
possibilità per cui l’accesso a tale tipo di attività si pone nei confronti di chi è del
tutto sprovvisto di precedenti esperienze imprenditoriali; è il caso, per esempio,
della persona fisica che decide mettersi nel commercio, proponendosi come
affiliato, in una catena distributiva in cui prevede una possibilità favorevole di
successo; e che, a tal fine, e in modo concreto, dia corso a tutte le pratiche
amministrative a seguito delle quali egli venga a trovarsi iscritto nel Registro delle
imprese, con la qualifica formale di imprenditore individuale.130
Si discute nello scenario sopra disegnato, se potrebbe essere applicabile la
disciplina dell’art. 1469 – bis, contratti dei consumatori, al soggetto che stipula un
contratto come affiliato, ma non esercita ancora nessuna attività, non potendo
pertanto, per tale effetto essere considerato imprenditore, ed essendo persona
fisica potrebbe essere applicabile la tutela consumeristica.
Il problema si inserisce in un dibattito più ampio, circa i confini della
figura <<consumatore>> “che parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene
debba esser definita in modo estensivo, con riguardo cioè ad ogni ipotesi in cui sia
dato riscontrare una condizione di debolezza e di sostanziale squilibrio in capo ad
uno dei soggetti di un contratto per effetto di una asimmetria informativa: tipica di
chi non abbia né la forza di imporre una trattativa sulle clausole contrattuali, né il
130
Può succedere, come già previamente accennato, che un soggetto stipuli un contratto di
affiliazione commerciale, ma ancora nella fase degli atti preparatori non sia un imprenditore, dal
momento che non esercita ancora nessuna attività e, pertanto, non si trova nelle condizioni previste
dall’art. 2082 c.c., neanche l’iscrizione produrrà effetti differenti.
69
tempo, la capacità od il denaro necessari per realizzare le clausole predisposte
della controparte”. Dove si presentasse una simile ipotesi, l’art. 1469 – bis, si
rivelerebbe come idoneo e necessario strumento di tutela.131
Altra parte della dottrina, collocandosi nella prospettiva della affiliazione
commerciale, nega l’applicabilità di tali norme, ed afferma nel senso contrario,
che la propria stipula del contratto, per un orientamento teleologico che lo
caratterizza, costituirebbe un indizio evidente della nascita di una impresa,
suscettibile per sé stesso di escludere la qualificazione del futuro affiliato, anche
se in quel momento non operi già in una impresa, come consumatore.132
In Brasile, parte della dottrina brasiliana considera che il consumatore è in
modo generale colui che si sottopone al potere di controllo dei titolari dei beni di
produzione, cioè, degli imprenditori. Quando si parla pertanto in protezione al
consumatore ci si vuole riferire agli individui o gruppi di individui che, anche se
131
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising – La Nuova Legge sull’Affiliazione
Commerciale – Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 61. Seguendo tale linea il
Tribunale di Ivrea con sentenza 5 ottobre 1999, in Danno e Responsabilità, 2000, p. 861 procede
ad applicare la normativa introdotta con l’art. 25, legge 6 febbraio 1996, n. 52, alla fattispecie di
una persona fisica che acquista beni allo scopo di avviare una piccola attività commerciale
collaterale a quella lavorativa già sua propria.
132
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising – La Nuova Legge sull’Affiliazione
Commerciale – Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 61. L’autore richiama
FRIGNANI, op. Cit. P.31: L’Autore fa richiamo alla sentenza Corte di Giustizia Comunità
Europee, 3 luglio 1997, Benincasa (edita per esteso in Giust
. civ., 1999, I, p. 11, e quindi annotata da COREA, sulle nozioni di “consumatore”: il problema dei
contratti stipulati a scopi professionali, ivi, 1999, I, p. 13), pronunciata in una fattispecie di
affiliazione commerciale. La decisione f riferimento, tuttavia, agli artt. 13, 1.o comma, e 14, 1.o
comma, della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, concernente la competenza
giurisdizionale e l’esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale, ove viene definito
consumatore che agisce <<per un fine che non può considerato estraneo alla sua attività
professionale>>: formulazione che viene interpretata nel senso che <<chi ha stipulato un contratto
per l’esercizio di un’attività professionale non attuale ma futura non può essere considerato come
consumatore>>. Diversa, come è noto, la direzione dell’art. 1469-bis: <<la persona fisica che
agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta>>, in cui
il participio passato (svolta) non parrebbe consentire una interpretazione che non si traducesse in
una effettiva attualità dell’esercizio. Estrato da ANGELO BERTOLOTTI, P. 62.
70
imprenditori, si presentano nel mercato come semplici acquirenti o utenti di
servizi, senza nessun legame con l’attività impresariale propria.133
L’identificazione della figura del consumatore e del fornitore diventa
imprescindibile per la demarcazione materiale del campo di applicazione del
Codice di Difesa del Consumatore, specialmente in conseguenza dell’entrata in
vigore del nuovo Codice Civile e per la necessità di adeguare le regole
consumeristiche unicamente a relazioni tra disuguali, dato che la tutela
differenziatrice prevista nel Codice di Difesa del Consumatore esige la presenza
della vulnerabilità di una delle parti.
I limiti di applicazione del Codice di Difesa del Consumatore sono molto
ben delineati dagli studiosi del tema,134 che mettono in risalto quattro concetti di
consumatori, essendo che il concetto basico, presente nell’art. 2.o Caput,
definendo consumatore come “ogni persona fisica o giuridica che acquista o
utilizza prodotto o servizio come destinatario finale”.
A questo concetto gli autori ne aggiungono altri tre considerati come
clausole equiparate. Il paragrafo unico dello stesso articolo secondo dando
attenzione agli interessi collettivi dispone : “è equiparata al consumatore la
collettività di persone anche se non determinabili, che agisca intervenendo nelle
relazioni di consumo”.
L’art. 17, con la finalità di proteggere coloro che a causa di circostanze
varie possono soffrire danni in conseguenza della fatalità di trovarsi nelle
vicinanze di un locale dove si verifica un incidente causato da difetto dio u
prodotto o servizio, determina che, in relazione alla responsabilità del fornitore
133
COMPARATO, Fabio Konder. A Proteção do Consumidor. Importante capítulo do Direito
Econômico, Rio de Janeiro: Revista Forense, n.o 255, 1976. P.
134
PFEIFFER, Roberto A.C. e PASQUALOTTO, Adalberto (Org.). Código de Defesa do
Consumidor e o Código Civil de 2002, Convergência e Assimetrias, São Paulo: RT, 2002, p. 133
71
per il fatto sopra qualificato, “sono equiparati ai consumatori tutte le vittime
dell’evento”.135
Infine, l’articolo 29 estende la protezione legale a tutte le persone,
determinabili o no, esposte a pratiche commerciali e contrattuali.
I consumeristici osservano che, in base all’art. 1.o del Codice di Difesa del
Consumatore, il campo di applicazione del succitato documento trova
un’importante limitazione ratione personae, riflettendosi solamente ai contratti
dove figurano un consumatore davanti ad un fornitore di prodotti o servizi.136
Così, il concetto di consumatore avrebbe un senso ristretto, dando
attenzione alla sua vulnerabilità appuntando l’articolo 966 del Codice Civile del
2002, e mettendo in risalto che quando si parla in protezione del consumatore si
pensa, inizialmente, nella protezione di un non professionista, che contratta o che
si relaziona con un professionista, impresario, industriale o professionale liberale.
“È quello che si usa nominare nozione soggettiva di consumatore, che
escluderebbe dall’ambito di protezione delle norme di difesa dei consumatori tutti
i contratti fatti fra due professionisti, perché questi starebbero agendo a scopo di
lucro (...).137
Per la riferita dottrina, tuttavia, la opzione del legislatore patrio è ricaduta
su una definizione più oggettiva di consumatore, avendo l’art. 2º del Codice di
Difesa del Consumatore, un’unica nota restrittiva in relazione all’acquisto o
all’utilizzazione del bene, osservato come destinatario finale. Tuttavia ricorda che
è imprescindibile che si dica quello che sarà il destinatario finale. L’autrice
distingue due correnti dottrinarie che si divide lo spazio in relazione alla
applicazione del Codice: i finalisti e i massimalisti. Per i primi “pionieri del
consumerismo, la definizione di consumatore è la base che sostenta la tutela
135
PFEIFFER. Roberto A.C. e PASQUALOTTO, Adalberto (Org.). Idem
MARQUES, Cláudia Lima. Contratos no Código de Defesa do Consumidor, São Paulo: RT,
2005, p. 303
137
MARQUES, Cláudia Lima. Idem.
136
72
speciale... Questa tutela esiste solo in quanto il consumatore è la parte vulnerabile
nelle relazioni contrattuali nel mercato, come afferma il proprio Codice di Difesa
del Consumatore nell’art. 4º, inciso primo. Propone allora che si interpreti il
destino finale dell’art. 2º in maniera più ristretta, come esigono i principi basici
del Codice di Difesa del Consumatore, esposti nell’articolo 4º e 6º (…).138
Per i finalisti, che procedono ad una interpretazione teleologica, non è
sufficiente essere destinatario fatico del prodotto, ritirarlo dalla catena di
produzione, è necessario essere destinatario finale economico del bene, non
acquistandolo per essere rivenduto, non potendolo usare professionalmente. In
questo ultimo caso perché il bene integrerebbe un mezzo di produzione.
Così, questa linea interpretativa restringe la figura del consumatore a colui
che acquista (utilizza) un prodotto per uso proprio e per la propria famiglia.
Sarebbe, in fin dei conti, un non professionista, poiché appartenente ad un gruppo
della società che si trova in posizione di vulnerabilità.
L’applicazione del Codice di Difesa del Consumatore ha apportato una
variazione nella teoria finalista, addolcendone la visione originale, accettando, per
mezzo dell’intervento del Potere Giudiziario, nel caso concreto, il riconoscimento
della vulnerabilità di una società o professionista che abbia acquistato, per
esempio, un prodotto fuori del suo campo di specializzazione. Si noti che questa
prospettiva è sostenuta dalla finalità della norma, significando dire , fondata sulla
protezione del più debole, nella relazione di consumo.
I Massimalisti invece, da un altro punto di vista, vedono nel Codice di
Difesa del Consumatore non una protezione ad uno degli agenti del mercato,
specialmente il consumatore non professionista, ma vedono un nuovo
regolamento del mercato di consumo brasiliano. Così, il Codice di Difesa del
Consumatore sarebbe un Codice generale sul consumo, un Codice per la società di
138
MARQUES, Claudia Lima. Contratos no Código de Defesa do Consumidor, São Paulo; RT,
2005, p. 303
73
consumo ,istituendo norme e principi generali e con riflesso su tutti gli agenti del
mercato, che possono assumere le funzioni ora di fornitori ora di consumatori.
Propongono allora l’allargamento della definizione dell’articolo 2º, affinché le
norme del Codice di Difesa del Consumatore possano essere applicate ad un
numero sempre maggior di relazioni nel mercato.
Per la succitata corrente la definizione dell’articolo 2º sarebbe puramente
soggettiva, non importando se relazionata a persona fisica o giuridica, se con fini
di lucro o meno. Destinatario finale sarebbe allora colui che ritira il prodotto dal
mercato e lo utilizza o lo consuma. Fa notare una nuova tendenza, a cominciare
dall’entrata in vigore del Codice Civile di 2002, individuando una terza teoria, che
potrebbe essere inquadrata come sottodivisione della prima teoria, che la autrice
denomina come “finalismo approfondito”, con il sorgere, nella giurisprudenza,
specialmente in quella del Supremo Tribunale di Giustizia, dimostrando allo
stesso tempo estremo dominio della interpretazione finalista del Codice di Difesa
del Consumatore, ma con la razionalità e prudenza, interpretando l’espressione
“destinatario finale” del Codice di Difesa del Consumatore, in forma differenziata
e mista. 139
Si afferma che il concetto di consumatore adottato nel Codice di Difesa del
Consumatore è stato esclusivamente di carattere economico, prendendo in
considerazione solo e unicamente il personaggio che, nel mercato di consumo,
acquista beni o contratta prestazioni di servizi, come destinatario finale,
presupponendosi che agisca in questa forma per soddisfare una finalità propria e
non per la pratica o sviluppo di un’altra attività produttiva. Aggiunge, inoltre che
si è cercato nella stesura del Codice di Difesa del Consumatore prescindere da
139
MARQUES, Cláudia Lima. Contratos no Código de Defesa do Consumidor, São Paulo: RT,
2005. p. 305
74
concettualismi di natura sociologica o psicologica e, perfino da considerazioni di
ordine letterario e filosofico.140
Sul tema in Brasile, la dottrina, dopo di aver identificato le caratteristiche
di ogni corrente in relazione al concetto di consumatore, afferma che la opzione
legislativa suscita controversie “ nella misura in cui non restringe l’utilizzazione
dei meccanismi di protezione alla parte contrattuale più debole, a persone fisiche,
includendo, al contrario, nel suo ambito di attuazione, le società consumatrici, dal
momento che acquistino prodotti o servizi come destinatarie finali del prodotto
(…)”. 141
È importante mettere in risalto, , che il principio della vulnerabilità
presente nell’art. 4º I, del Codice di Difesa del Consumatore è anche informato dai
principi costituzionali della solidarietà e della isonomia sostanziale, dovendo i due
servire come criterio interpretativo del concetto del consumatore equiparato. In
questa interpretazione, “Consumatore equiparato sarà la persona che, anche se
non consumatrice (nel senso di destinataria di prodotti o servizi, conforme il senso
dell’art. 2º) si dimostra vulnerabile, e come tale, soffre gli effetti negativi dei
contratti di consumo, giustificandosi così l’applicazione della legge di protezione
dei consumatori (...)142
Tale soluzione, come mette in risalto il famoso civilista, dopo di aver
superato il timore di alcuni autori, nel senso che la nozione del consumatore per
equiparazione renderebbe banale la tutela del consumatore, allargando senza limiti
la sua utilizzazione nella pratica impresariale, “ rinforza la percezione, sempre più
140
FILOMENO, José Geraldo Brito. Código Brasileiro de Defesa do Consumidor – Comentado
pelos Autores do Anteprojeto, Rio de Janeiro: Forense Universitária, 2000, p. 26
141
TEPEDINIO, Gustavo. Os Contratos de Consumo no Brasil – Temas I), Rio de Janeiro:
Renovar, 1999, p. 130
142
TEPEDINO, Gustavo. Os contratos de Consumo no Brasil - Temas I), Rio de Janeiro: Renovar,
1999, p. 134
75
maturata, che è la tutela costituzionale delle disuguaglianze che giustifica
l’intervento in favore dei consumatori – e non il contrario. “ (…) 143
Per quanto riguarda le persone giuridiche, si considera che la
equiparazione delle persone giuridiche con i consumatori iposufficienti deve
essere fatta
tenendo presente il concetto indissociabile dell’aspetto di
iposufficienza, ammettendo solo eccezionalmente questa equiparazione quando le
persone giuridiche non abbiano fini lucrativi
144
Servendosi delle lezioni di José
Reinaldo de Lima Lopes fa notare che la configurazione della persona giuridica
come consumatrice in relazione all’altra dipende dalla esistenza di due elementi
che non sono stati adeguatamente esplicitati da articoli del Codice “in primo posto
il fatto che i beni acquistati devono essere beni di consumo e non beni di capitale.
In secondo luogo che ci sia tra fornitore e consumatore uno squilibrio che
favorisca il primo. In altre parole, il Codice di Difesa del Consumatore non è
venuto per revocare il Codice Commerciale, o il Codice Civile in ciò che si
riferisce a relazioni giuridiche tra parti uguali. Una grande impresa oligopolista
non può ricorrere al Codice di Difesa del Consumatore allo stesso modo di un
microimpresario. Questo criterio, insufficientemente esplicitato dalla legge, è
frattanto l’unico che dia senso a tutto il testo. Senza di esso avremmo un non
senso giuridico.145
Ritornando all’Italia, a sua volta, una non meno prestigiosa corrente
difende la tesi della applicabilità dell’art. 9, legge 18 giugno 1998, n. 192, che
introdusse l’istituto dell’abuso di dipendenza economica , così come allo stesso
modo, il d. .lgs ottobre 2002 n. 231 (attuazione della direttiva CE 2000/35 relativa
alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali); nonché le
143
TEPEDINIO, Gustavo. Os Contratos de Consumo no Brasil – Temas I), Rio de Janeiro:
Renovar, 1999, p. 134
144
FILOMENO, José Geraldo Brito. Código Brasileiro de Defesa do Consumidor – Comentado
pelos Autores do Anteprojeto, Rio de Janeiro: Forense Universitária, 2000, p. 28
145
FILOMENO, José Geraldo Brito. Código Brasileiro de Defesa do Consumidor-Comentado
pelos autores do Anteprojeto, Rio de Janeiro: Forense Universitária, 2000, p. 29
76
possibili conseguenze che da una eventuale esistenza di una situazione di
controllo commerciale, art. 2359, 1º comma, n. 3, C.c) possono derivare a carico
della controllante nel caso di dissesto della controllata ; ed ancora, le norme sui
vizi della volontà anche alla luce dell’art. 1337 c.c.146.
Questa linea di pensiero si muove bel senso della necessità di una
normativa che tuteli la parte debole in un contratto tra imprese. Di fatto, il
fondamento per la applicabilità della disciplina del consumatore sarebbe
giustamente la esistenza di asimmetria informativa, in cui è suscettibile di trovarsi
colui che, senza esperienza imprenditoriale, o, in ogni caso, contraente debole,
voglia immettersi nel mondo dell’affiliazione commerciale.
Frattanto, una interpretazione restrittiva della dottrina intende che non si
applicherebbe la norma sull’abuso di dipendenza economica (art. 9 della legge
sulla subfornitura) per assoluta incompatibilità con il contratto di franchising che
presuppone, giustamente, la indipendenza economica e giuridica delle parti
contrattanti, come, ugualmente, per la diversa finalità de entrambe le norme.147
Per quanto riguarda la concessione della disponibilità di diritti di proprietà
industriale o intellettuale, l’art. 1, primo comma, richiede inoltre, oltre ai requisiti
necessari perché possa essere configurato un contratto di affiliazione, nei termini
della legge, la citata concessione della disponibilità: “di un insieme di diritti di
proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali,
insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza
o consulenza tecnica e commerciale...”
146
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising – La Nuova Legge sull’Affiliazione
Commerciale – Le Norme Antitrust Europpe, CEDAM, 2004, p. 63. L’autore cita S. VACCÀ,
Franchising: una disciplina in cerca di identità, in Contratto e impresa, 2004, p. 870
147
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising – La Nuova Legge sull’Affiliazione
Commerciale – Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 18.
77
In questo modo, la legge italiana caratterizza il contratto di franchising
seguendo l’esempio del legislatore comunitario, con un contratto che implica nel
collocare a disposizione del franchisee beni materiali di cui dispone il franchisor.
Allo stesso modo è un contratto bilaterale ed oneroso, in questo senso non
lascia dubbi l’inciso che prevede un corrispettivo, avendo come oggetto diritti di
proprietà intellettuale relativi a: marchi, denominazioni commerciali, insegne,
modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know-how, brevetti, assistenza o
consulenza tecnica o commerciale.
Per quanto si riferisce all’ambito di attuazione , la legge non prevede
nessuna limitazione,
potendo il contratto di affiliazione commerciale essere
utilizzato in qualunque settore della attività economica.
I segni distintivi costituiscono il mezzo di individuazione della impresa e
sono formati: la ditta.
Alla legge italiana sembra, almeno nella fase prodromica, che la stipula
del contratto di affiliazione commerciale offra risposte alla esigenza di tutela di
colui che si trova in una posizione meno vantaggiosa, imponendo una serie di
tutele finalizzate ad eliminare, o almeno a ridurre la asimmetria. In questo senso,
può essere elencata la preoccupazione legislativa con i doveri pre-contrattuali di
correttezza contrattuale, a cominciare dall’art. 6 che, nei primi due commi,
stabilisce a carico dell’affiliante, analogamente a quanto fa il 3º comma per
l’affiliato con tale obbligo generico, mettendo in risalto lo specifico obbligo di
fornire, se richiesto, ogni dato o informazione ritenuta utile dal secondo al fine di
una ponderata stipula del contratto, purché non oggettivamente riservata o non
divulgabile se non violando i diritti di terzi.
78
2.2 Forma e contenuto del contratto
La modernità si è caratterizzata come la era delle certezze, con la
consacrazione degli ideali in altri tempi rivoluzionari del secolo XIX – libertà,
uguaglianza e fraternità – questo sarebbe lo slogan marcando questo periodo.
Si viveva ugualmente, nell’ambito della scienza giuridica la consacrazione
delle aspirazioni politiche della rivoluzione francese, essendo necessario uno
strumento legale per rivelare la fine dei privilegi ristretti alla nobiltà e al clero.
Nasceva un nuovo figurante, - il borghese che esigeva così non solo l’ascesa
economica, ma, soprattutto, il suo riconoscimento come partecipante politico nei
destini della nazione.
Nasce allora, dalla rivoluzione francese il code civile francese, con la
pretesa di essere sistematico, unico, coerente corpo legislativo, enciclopedico
nella previsione degli atti della vita, degni di meritare una tutela giuridica. Nel
campo delle certezze, lo Stato si serve del positivismo già ben preparato, il Diritto
dovrebbe, come scienza, approssimarsi alle scienze naturali, empiricamente
dimostrabili, mentre il legislatore dovrebbe, come uno scienziato, ricercare la
neutralità e la imparzialità, distanziandosi dall’oggetto della creazione, che a sua
volta resterebbe immune dal soggettivismo, dalla volontà e dai vizi personali del
suo creatore.
In questo modo si affermavano i diritti e garanzie individuali di fronte ad
uno Stato sempre più meno interventista, si assicurava la libertà, puramente
formale, nella misura in cui non si può essere liberi senza opzioni, discernimento
e vera capacità di scelta. Allo stesso modo, l’uguaglianza (formale) resta garantita,
essendo proclamata giuridicamente: “tutti sono uguali davanti alla legge”. La
fraternità, invece, questa rimase dimenticata, figurando appena come idealità
illuminista.
79
La codificazione era destinata a proteggere un certo ordine sociale, eretto
sotto il segnale dell’individualismo e avendo come basi di sostegno, nelle
relazioni private, l’autonomia della volontà e la proprietà privata. Il legislatore
non dovrebbe interferire negli obiettivi che dovrebbero essere raggiunti
dall’individuo, limitandosi a garantire la stabilità delle regole del gioco, in modo
che la libertà individuale, espressione della intelligenza di ognuno dei contrattanti
potesse svilupparsi francamente, appropriandosi dei beni giuridici, che, una volta
acquistati, non dovrebbero soffrire restrizioni esogene. 148
Così si garantiva il movimento giuridico e la proprietà privata, questa
considerata come espressione della libertà e della personalità umane.
In questo senso si può capire che il desiderio di essere uguale
rappresentava il grande e, forse, il maggior desiderio della epoca moderna. E,
effettivamente, la uguaglianza sempre è stata assicurata dalle grandi codificazioni
del secolo XIX. I soggetti civili (nobili e plebei) hanno gli stessi diritti e saranno
regolati da un solo Codice, una sola legge, la legge degli uguali.
149
Allo stesso
modo, il principio della libertà contrattuale, o meglio, la ideologia, come ha
allertato ENZO ROPPO
150
nel suo classico libro, “come colonna di sostegno di
una forma di organizzazione delle relazioni sociali più progressive, contiene
indiscutibili elementi di verità. Ma come è proprio di ogni ideologia, gli aggiunge
elementi di dissimulazione e deturpazione della realtà: più precisamente, tace e
occulta la realtà che si nasconde dietro la maschera della uguaglianza giuridica dei
contrattanti, tace e occulta le funzioni reali che il regime del laissez – faire
contrattuale è destinato a svolgere nell’ambito di un sistema governato dal modo
di produzione capitalista, gli interessi reali che per suo mezzo continuano”.
148
MARQUES, Cláudia Lima. Contratos no Código de Defesa do Consumidor, São Paulo: RT,
2005, p. 258
149
MARQUES, Cláudia Lima. Idem
150
ROPPO, Enzo. O Contrato. Coimbra: Almedina, 1988, pg. 37
80
Attualmente, si vive quello che si è osato chiamare come postmodernità,
concetto non molto ben definito, come ha affermato un seria dottrina.
151
La
dottrina francese sottolinea tre attori della modernizzazione: la nazione, la impresa
ed il consumatore. Afferma che nessuno dei tre attori si riduce ad una azione
strumentale.
La Società moderna o industriale non si riduce al trionfo del calcolo e
della autorità razionale legale, “essa è frutto di imprese, essa è portata dalla
coscienza nazionale, essa è sempre più trascinata dalla domanda dei
consumatori”.152
Nella visione più moderna le nazioni sono definite più per una cultura che
per una azione economica, “le imprese cercano tanto il lucro ed il potere, quanto
la organizzazione razionale della produzione; i consumatori introducono nelle loro
scelte aspetti sempre più diversi delle loro personalità, nella misura in cui il loro
livello di vita gli permette di soddisfare necessità meno elementari, pertanto meno
inquadrati nelle regole e statuti tradizionali. L’esplosione della idea classica della
modernità, della ideologia delle luci e del progresso è stata prodotta sia dalla
riscoperta di questi attori, sia dal pensiero di Nietzsche e di Freud”.
153
In questa
prospettiva si afferma che la nazione, l’impresa e il consumatore corrispondono a
punti cardinali di questa modernità divisa, segnalando affinché teorie e pratiche
debbano essere pensate in congiunto come manifestazioni complementari della
stessa crisi culturale generale, quella della modernità.
151
TOURAINE, Alain. Critica da Modernidade, Petrópolis: Vozes, 1999, p. 143
TOURAINE, Alain. Crítica da Modernidade, Petrópolis: Vozes, 1999, p. 143
153
TOURAINE, Alain. Idem
152
81
Trattando sui fondamenti teorici e filosofici del nuovo Diritto
Costituzionale brasiliano, la moderna dottrina costituzionalista154 fa uno studio
investigativo accennando perché ogni interpretazione dei fenomeni politici e
giuridici debba essere contestualizzata in determinato momento storico, essendo la
interpretazione prodotto di una epoca, involgendo “i fatti esaminati, il sistema
giuridico, le circostanze dell’interprete e l’immaginario di ciascuno. La
identificazione dello scenario, degli attori, delle forze materiali attuanti e della
posizione del soggetto della interpretazione costituiscono quello che si denomina
pre-comprensione.”
In questo senso si afferma che il discorso sullo stato ha attraversato,
durante il secolo XX, tre fasi distinte: la pre-modernità (o stato liberale), la
modernità (o stato sociale) e la post-modernità (o stato non liberale). 155
Quanto al costituzionalismo, afferma il citato autore che si tratta di un
progetto vittorioso all’inizio del millennio, ricevendo la consacrazione dalle
rivoluzioni liberali, distaccandosi come la miglior proposta di limitazione del
potere, rispetto ai diritti e promozione del progresso. 156
Infatti il progetto della modernità intesa come ricerca della vita civilizzata,
della giustizia e della felicità non si è ancora completato e, per questa ragione, non
si può proseguire in avanti parlando di post-modernità, per lo meno riguardo al
Diritto Costituzionale. 157
154
BARROSO, Luís Roberto. Fundamentos Teóricos e Filosóficos do Novo Direito Constitucional
brasileiro, in A Nova Interpretação Constitucional (org. Luís Roberto BARROSO), Rio de
Janeiro: Renova, 2006, p. 2/3
155
BARROSO, Luís Roberto. Fundamentos Teóricos e Filosóficos do Novo Direito Constitucional
brasileiro , in A Nova Interpretação Constitucional (org. Luís Roberto BARROSO), Rio de
Janeiro, Renovar, 2006, p.5
156
BARROSO, Luís Roberto. Idem, p. 10
157
BARROSO, Luís Roberto. Idem. P. 11
82
D’altro lato, l’unico punto di consenso sembra essere quello relativo alla
utilizzazione del prefisso “post”, volendo significare che il nostro tempo è segnato
dalla successione di avvenimenti – dal post-guerra, dal periodo postrivoluzionario, post-positivismo ecc.
Come detto, la uguaglianza fra tutti i soggetti di diritto è stata la base
filosofica e politica della Rivoluzione Francese e del risultante più importante – il
Code Civile, del 1804, della Francia. Così si costata che sia la modernità sia la
post-modernità sono basate nel discorso dei diritti, la prima nel discorso dei diritti
acquisiti, nella sicurezza e ordine (istituzionale) e la seconda nei diritti qualificati
dalla sua origine, nel discorso dei diritti umani e fondamentali, come risultati di
un obiettivo di politica legislativa di trattare ora, in maniera disuguale, quei
soggetti della società considerati vulnerabili o più deboli (bambini, anziani,
deficienti, lavoratori, consumatori, per esempio). 158
Nella pos-tmodernità non c’è spazio per la soddisfazione individuale con
una uguaglianza puramente formale, si desidera il rispetto alla differenza, quella
caratteristica personale, quel segnale distintivo che rende uno differente uno
dall’altro. E l’accettazione, la promozione della differenza leva alla osservanza, da
parte dello Stato e da parte dell’altro, di un effettivo rispetto alla dignità di
quell’essere umano: unico, differente da tutto, per reclamare la tutela
promozionale per il suo completo sviluppo.
In questo universo, non è ammesso uno Stato–legislativo omesso,
prescrittivo di diritti puramente negativi. Non basta la uguaglianza di possibilità
astratte, di posizioni formali, è necessario l’esercizio della uguaglianza materiale e
questa solamente potrà essere raggiunta con uno Stato partecipativo, promotore di
politiche pubbliche che valorizzino i più deboli, i vulnerabili. Diventa pertanto
imperativo, per assicurare il trattamento differenziato ai differenti, che lo Stato
158
MARQUES , Cláudia Lima. Contratos no Código de Defesa do Consumidor, São Paulo: RT,
2005. p. 258
83
attui positivamente, determinando comandi legali che ristabiliscano l’equilibrio
perduto.
Si cambia l’ideologia dello Stato Liberale che ha dominato tutto il secolo
XIX, fondata nel primato del patrimonio, nella figura dello Stato come attore
partecipativo,
intervenzionista.
Infine,
è
il
secolo
XX
marcato
dalla
preoccupazione dei poteri pubblici, specialmente lo Stato-legislatore, con
politiche pubbliche di promozione della dignità della persona umana, con la
finalità di ridurre le disuguaglianze sociali.
Accompagnando questa evoluzione, la funzione del Codice Civile, di
figura centrale dell’ordinamento giuridico – la costituzione dei privati,
amministrando in forma ampia e illimitata le relazioni civili, conforme la sua
concezione di origine francese e le posteriori grandi codificazioni che si sono
succedute , un po’ alla volta perde la sua importanza, cedendo alle rapide
trasformazioni sociali. Si esaurisce completamente la pretesa di pienezza
enciclopedica e, il Code si mostra sempre più incapace di tutelare tutti gli atti
della vita, cedendo spazio, in forma progressiva e continua, a favore di discipline
legislative ogni volta sempre più concrete e specifiche – è la chiamata età delle
decodificazioni, denominazione che darebbe il titolo della famosa opera di
Natalino Irti.
159
Questa trasformazione attinge tutte le importanti categorie della
civilistica: la proprietà, sostegno dell’antico regime, già non è più la stessa, cede a
una necessaria funzionalità. Passando da un diritto assoluto, soffre limiti
immanenti ed esterni, il dominus prima sovrano nei suoi confini, vede, nella
funzione sociale, una barriera all’ampio esercizio degli attributi della antica
proprietà. Non molto più avanti il proprietario troverà un’altra limitazione –
l’abuso del diritto, così la sua attuazione deve sempre essere orientata da tali limiti
inderogabili, essendo pertanto di ordine pubblica.
159
IRTI, Natalino. L’età della decodificazione, Milano: Giuffré, 1979, apud TEPEDINO, Gustavo.
Temas de Direito Civil, Rio de Janeiro: Renovar, 1999, p. 7
84
Il contratto, altro importante istituto del Diritto Civile, ugualmente non è
più riconosciuto come in altri tempi, prima appena ristretto alla ideologia della
libertà contrattuale, documentando il suo adeguamento agli interessi ed alle
esigenze della società borghese, alimentando il pensiero giuridico del novecento.
Oggi, prevalendo il concetto di contratto sociale, degno di tutela non solo per
l’importanza della volontà delle parti, ma anzitutto per svolgere importante
funzione sociale.
In questo modo, come storicamente ha fatto notare il giurista italiano,160
l’istituto del contratto si presentava, in quel periodo, sistematicamente vincolato
alla proprietà. “Così, allo stesso tempo contratto e libertà di contrattare figurano
come strumenti di circolazione di ricchezze e, pertanto, della proprietà, che
rappresenta il suo simbolo giuridico. Il contratto assume una posizione
subordinata, servile, relativamente alla proprietà, che si presenta come l’istitutobase, intorno al quale ed in funzione del quale sono ordinati tutti gli altri”.
Posteriormente, per le mani dei pandettisti tedeschi, si distacca la categoria
di negozio giuridico, che passa, per la sua forza di generalizzazione ed astrazione,
a rappresentare un formidabile strumento ideologico, tutto in funzione degli
interessi della borghesia e delle esigenze del suo grado di sviluppo. Come ha fatto
notare la dottrina
161
“collocando la tonica sulla volontà privata come fonte di
effetti giuridicamente rilevanti, si esaltava, evidentemente, il momento
individualistico, legando così il concetto di negozio giuridico con quello di diritto
soggettivo e di proprietà privata (…)”. In questa forma, tutte le relazioni
economiche tra particolari erano considerate dominio esclusivo della volontà degli
interessati; e operazioni di contenuto diverso, grazie alla inclusione nella categoria
160
ROPPO, Enzo. O Contrato, Coimbra: Almedina, 1988, p. 42
RODOTÀ Stefano. Il Diritto Privato nella società moderna. Bologna: Società Editrice Il
Mulino, 1971, apud ROPPO, Enzo, O Contrato, Coimbra: Almedina, 1988, p. 42
161
85
di atto negoziale unica erano, anche esse, sostanzialmente ricondotte alla logica
delle relazioni di mercato.
Con il lungo processo di industrializzazione verificatosi nella prima metà
del secolo XX, con le dottrine rivendicative e con i movimenti sociali ispirati dalle
difficoltà economiche che rialimentavano l’intervento del legislatore, si verifica
l’introduzione, nelle Carte politiche e nelle grandi Costituzioni del post-guerra, di
principi e norme che stabiliscono doveri sociali nello sviluppo della attività
economica privata. Le Costituzioni assumono compromessi per essere adempiti
dal legislatore ordinario, stabilendo limiti della autonomia privata, della proprietà
e del controllo dei beni162
Analizzando l’origine ed il senso storico del diritto del consumatore si
nota che l’entrata di tale ente economico nei testi costituzionali, come oggetto di
speciale attenzione e protezione da parte degli organi pubblici, è fatto recente e
comprensibile, visto che il proprio diritto del consumatore nel suo insieme, come
realizzazione di una politica pubblica è qualcosa di nuovo nella evoluzione del
diritto, rimontando al 1962, anno in cui il Presidente Kennedy pubblicò il suo
famoso messaggio enunciando quattro diritti fondamentali dei consumatori: il
diritto alla sicurezza, il diritto alla informazione, il diritto di scelta e il diritto di
essere ascoltato o consultato. 163
Mette in evidenza il giurista di San Paolo che la nascita di questa nuova
politica governativa, dando origine ad un insieme sistematico di norme giuridiche,
non è stato altro che la manifestazione che le regioni industrializzate del pianete
avevano raggiunto, fin dall’inizio degli anni sessanta, una nuova tappa nella
evoluzione economica. Fino a quel momento la preoccupazione maggiore degli
162
TEPEDINO, Gustavo. Temas de Direito Civil, Rio de Janeiro: Renovar, 1999, p. 7
COMPARATO, Fábio Konder. A Proteção ao Consumidor na Constituição Brasileira de 1988,
Revista de Direito Mercantil, Industrial, Econômico e Financeiro n. 80 , outubro, São Paulo: RT,
p. 66/75
163
86
economisti si centrava nel risolvere le persistenti carenze che affettavano in
maggior o minor grado tutte le regioni del mondo.
Sul tema, aggiunge il giurista: “… All’entrare però, per la prima volta
nella storia della umanità, nella era della opulenza è stato possibile cambiare
l’oggetto centrale delle preoccupazioni politico-economiche; non più la mancanza
di produzione, ma sì la qualità dei prodotti o delle merci distribuite nel mercato. Il
consumatore, da elemento passivo e secondario nella scena economica, assumeva
una funzione attiva e rilevante; nel campo politico, lui cessava di essere tutelato,
per diventare una forza elettorale su cui in futuro sarebbe necessario
contare…”164.
Nel fare la storia sulla nascita della difesa degli interessi dei consumatori,
il succitato giurista indica il grande sistematizzatore del sistema liberal-capitalista
Adam Smith, come il primo a difendere
specificamente gli interessi dei
consumatori, al presentare le basi razionali del liberalismo, si sarebbe
contrapposto alla visione di Josiah Child, che già nel secolo XVIII quando era
Governatore della East Indian Company, sosteneva che l’impresario produttore
doveva essere considerato unico giudice della qualità dei prodotti venduti, senza
nessuna interferenza legale o del governo. 165
Tuttavia, come ha ben osservato il succitato giurista, non si può dire che
gli interessi specifici del consumatore sono passati a ricevere una completa
protezione, quando il liberal-capitalismo si è allargato senza frontiere,
cominciando dal secolo XIX, significando l’abbandono del consumatore,
soprattutto dei più poveri e ignoranti, al libero gioco degli interessi dei produttori.
Di fatto, tale circostanza non è passata senza che la genialità di Marx se
ne accorgesse, e che subito all’inizio della sua inestimabile opera Il Capitale,
164
165
COMPARATO ,Fábio Konder, Idem.
COMPARATO, Fábio Konder, Idem
87
descrive il processo di feticismo della merce e la situazione di abbandono a cui era
stato condannato il consumatore nel sistema industriale capitalista. 166
Effettivamente le esigenze della produzione e del consumo di massa, la
necessità di accelerare, semplificare, uniformare la serie infinita delle relazioni tra
le imprese e la massa dei consumatori determinano un processo di oggettivazione
dello scambio, che tende a perdere parte dei suoi originari caratteri di
volontarietà.167
Così, non si poteva più attribuire grande importanza alla volontà – che
costituiva la sostanza del negozio giuridico – significando la personalizzazione
dello scambio, la sua individualizzazione, il che, pertanto terminerebbe con il
difficoltare tutto il movimento, le cui dimensioni, ora di massa, imponevano che si
sviluppasse in modo più standardizzato e impersonale.
La Costituzione del 1988 inaugura, in Brasile, un nuovo ordine giuridico,
dettato da valori e principi che si impongono in forma sovrana. Si supera l’idea di
semplice carta politica, il cui contenuto era destinato, appena, ai poteri pubblici,
per dirigere, in forma ampia e illimitata, tutti gli spazi della vita pubblica e
privata, con riflessi ogni volta più evidenti nelle relazioni interprivate.
Di fatto, non si tratta più di un diploma politico, semplice carta di
intenzioni del legislatore ordinario, destinata a organizzare la struttura statale e le
relazioni di potere. Incorpora la costituzione brasiliana, ad esempio del modello
seguito nell’Europa e negli Stati Uniti, un vasto numero di norme e principi per
enunciare un nuovo concetto etico al Diritto. In questo senso, possiamo parlare di
un ritorno della morale e della etica alle norme giuridiche, che non potrebbero più
essere appena mandamenti o prescrizioni legali astratte e generiche, a servizio di
qualunque forma di organizzazione del potere, anche se rappresentando una
violazione espressa alle libertà e ai diritti individuali.
166
167
COMPARATO, Fábio Konder. Idem
ROPPO, Enzo, O Contrato, Coimbra: Almedina, 1988, p. 69
88
Purtroppo, ci fu la necessità di vivere le tristi esperienze del periodo tra le
guerre, per poter affermare, per mezzo dello strumento legale più forte e sovrano
dello Stato – nelle grandi Costituzioni del dopoguerra – i diritti fondamentali
dell’uomo.
Ugualmente, si verifica una successiva interpretazione tra gli spazi
pubblico e privato, la caduta della rigida separazione prima esistente tra Diritto
Pubblico e Diritto Privato. Nel Brasile, con l’avvento della Costituzione
democratica, ci fu, come segnalato dalla moderna civilistica, la trasposizione di
principi fondamentali di diversi rami del diritto e anche “i principi fondamentali
del diritto privato” sono passati al testo costituzionale. Così “i civilisti che non
erano presi alla summa divisio si accorsero subito della funzione centrale che la
dignità della persona umana, partendo dalla normativa costituzionale, aveva
acquistato. 168
Bisogna anche mettere in evidenza il concetto filosofico politico di dignità
che si può dedurre partendo dalle lezioni di Kant, riportate dalla dottrina
brasiliana, specialmente del concetto di imperativo categorico. “ L’imperativo
categorico è composto dalla esigenza che l’essere umano mai deve essere visto, o
usato, come mezzo per attingere altre finalità, ma deve sempre essere considerato
come fine a se stesso. Questo significa che tutte le norme decorrenti dalla volontà
legislatrice degli uomini devono avere come finalità l’uomo, la specie umana, in
quanto tale. L’imperativo categorico è allora orientato dal valore basico, assoluto,
universale e incondizionato della dignità. È questa dignità che ispira la regola
etica maggiore: il rispetto per l’altro. “169
168
MORAES, Maria Celina Bodin de. Princípio da Dignidade Humana in Princípios do Direito
Civil Contemporâneo, Rio de Janeiro: Renovar, 2006, p. 3
169
MORAES, Maria Celina Bodin de. Idem, p. 12
89
Seguendo la nozione kantiana si esplicita che nel mondo sociale esistono
due categorie di valori: il prezzo (preis) e la dignità (Würden). “ Mentre il,prezzo
rappresenta un valore esteriore (di mercato) e manifesta interessi particolari, la
dignità umana rappresenta un valore interiore (morale) ed è di interesse generale”.
In questa linea, afferma la citata giurista che “la legislazione elaborata
dalla ragion pratica, che è in vigore nel mondo sociale, deve considerare, come
finalità massima, la realizzazione del valore intrinseco della dignità umana. (…)”
Ricorrendo alla Filosofia Politica e alla Storia, oltre a ciò, la civilista
formula importante riflessione giuridica sul tema, affermando che prima di
incorporare il principio della dignità della persona umana alle costituzioni, è stato
necessario riconoscere essere l’essere umano come soggetto di diritti e, così,
detentore di una dignità propria basata nel diritto universale di avere diritti. 170
Questo panorama è frutto del lungo processo di industrializzazione, che si
è dato nella prima metà del secolo XX, delle teorie rivendicative e dei movimenti
sociali istigati dalle difficoltà economiche, originate dal minimo intervento statale
e dalle libere regole del mercato, regnando assolute le leggi della offerta e della
domanda. Il risultato pratico è un esercito di miserabili riuniti davanti alle
fabbriche e alle grandi industrie mendicando per un impiego, con la sua
“uguaglianza e libertà” pienamente assicurate.
Si inizia così il fallimento del modello liberale, dello Stato minimo,
diventa urgente una nuova configurazione statale, dettando politiche pubbliche
destinate a minimizzare la crescente disuguaglianza sociale, assicurare i diritti
fondamentali dell’uomo, rivedere le regole del mercato, tutelare coloro che sono
visibilmente vulnerabili: il consumatore, il bambino, l’adolescente e l’anziano.
Dalla figura astratta dell’individuo ci si volta alla necessità di tutelare la persona
umana e tutti i suoi possibili centri di interesse. L’individualismo, il guardare a se
170
MORAES, Maria Celina Bodin de. Princípio da Dignidade Humana in Princípios do Direito
Civil Contemporâneo, Rio de Janeiro: Renovar, 2006, p. 13
90
stessi, si rinforza con un nuovo concetto ideale di società che si vuole più giusta,
libera e solidaria. 171
Come segnala la dottrina costituzionalista, la tecnica legislativa ha
cominciato a utilizzare, frequentemente, lungo il secolo XX, clausole aperte o
concetti indeterminati, passando a trasferire all’interprete importanti funzioni, non
limitate a una funzione tecnica di conoscenza come era la interpretazione giuridica
tradizionale secondo la quale il giudice solo riportava il Diritto senza alcuna
funzione creatrice. Adesso il giudice passa ad esercitare una funzione chiaramente
integratrice della norma, complementandola con il suo proprio giudizio. 172
In questa sequenza storica, si dà l’ascesa dei principi, “la cui carica
assiologica e dimensione etica hanno conquistato, finalmente, efficacia giuridica e
l’applicabilità diretta e immediata”. 173
Tali modifiche sociali si riflettono, direttamente, nel compito del Codice
Civile, rappresentando, come allerta perspicacemente la dottrina civilista
brasiliana, una profonda alterazione nella propria dogmatica. “Si identificano
segnali di esaurimento delle categorie del diritto privato, costatandosi una rottura
che può essere ben definita, conforme la ricca analisi di Túlio Ascarelli, come una
crisi tra lo strumentale teorico e le forme giuridiche dell’individualismo
preindustriale, da un lato, e dall’altro, la realtà economica industriale o
postindustriale, che rifiutano l’individualismo. I nuovi fatti sociali danno origine a
soluzioni oggettive e non più soggettive, all’esigere dal legislatore, dall’interprete
e dalla dottrina, una preoccupazione con il contenuto e con le finalità delle attività
svolte dal soggetto del diritto.” 174
171
MORAES, Maria Celina Bodin de. Princípio da Solidariedade, in Princípios do Direito Civil
Contemporâneo, Rio de Janeiro: Renovar, 2006, p. 3
172
BARROSO, Luís Roberto. Temas de Direito Constitucional brasileiro., Tomo III, Rio de
Janeiro: Renovar, 2005, p. 82
173
BARROSO, Luís Roberto, Idem
174
TEPEDINO, Gustavo. Temas de Direito Civil, Rio de Janeiro: Renovar, 1999, p. 6.
91
In questo panorama, leggi speciali, stravaganti, fuori della sistematica
struttura del Codice Civile sono costantemente editate rispondendo al clamore
delle esigenze di tutela giuridica delle grandi trasformazioni economiche e
politiche, al punto di parlarsi di orgia legiferante, per descrivere il periodo di
intenso lavoro legislativo nella creazione di leggi settoriali, con l’attenzione
voltata non all’individuo, astrattamente considerato, ma soprattutto, alle attività
dal lui svolte e ai rischi da esse derivanti. 175
Contemporaneamente, al fallimento del modello liberale, i testi
costituzionali passano, un po’ alla volta, ad assumere il posto di centralità, prima
occupato dal Codice Civile, nella tutela di interessi privati. Questo cambiamento
si verifica nella misura in cui le Costituzioni passano a definire principi prima con
previsione tematica esclusiva nel Codice Civile e, ristretti appena all’ambito della
volontà: la funzione sociale della proprietà, i limiti della attività economica, la
organizzazione della famiglia, materie tipiche del diritto privato, passano ad
integrare un nuovo ordine pubblico costituzionale. 176
Sulla tematica che stiamo focalizzando, la migliore dottrina fa le seguenti
considerazioni: “Quanto al processo di costituzionalizzazione del diritto
contrattuale, questo può essere riassunto, attorno alla sostituzione del suo centro
valoriale: al posto dell’individuo e della sua volontà sovrana, si colloca la persona
– la sua dignità e socialità”. 177
Tali tendenze sono state osservate da moderni giuristi brasiliani che
affermano: “Il diritto contrattuale, tanto quanto qualunque altra disciplina
giuridica, di diritto civile o no, ha come sua responsabilità il compito di tutelare la
persona umana, nei termini che determina la Costituzione Federale.” Diventa
imprescindibile la identificazione della parte vulnerabile, “ si abbandona così
175
TEPEDINI, Gustavo. Temas de Direito Civil, Rio de Janeiro: Renovar, 1999, p. 6
TEPEDINO, Gustavo. Temas de Direito Civil. Rio de Janeiro: Renovar, 1999, p. 7
177
MORAES, Maria Celina Bodin de. Prefácio ao livro de NEGREIROS, Teresa, Teoria dos
Contratos. Novos Paradigmas, Rio de Janeiro: Renovar, 2002,pág. 3
176
92
l’idea che le parti contrattanti sono perfettamente intercambiabili e uguali, nella
misura in cui, indiscriminatamente, sono soggetti di diritto, liberi e capaci”. 178
Niente è più rappresentativo di questo nuovo carattere tutelare assunto dal
diritto tutelare costituzionalizzato che il sorgere, nel 1990, del nuovo Codice di
Difesa del Consumatore.
In altro lavoro scritto, delimitando l’esercizio della libertà dai moderni,
nella prospettiva privata, così si manifestano importanti studiosi brasiliani sul
tema: “La libertà dei privati è cambiata: oggi si trova circoscritta da tutti i lati,
contenuta in limiti strettamente marcati dai più diversi principi, cominciando dai
valori costituzionali, tra i quali in primo posto la solidarietà e la dignità umana…
La volontà privata, oltre a ciò, incontra restrizioni nell’abuso del diritto, nella
frode alla legge, nei principi della buonafede, della probità, così come nella
funzione sociale dei contratti.” 179
Accompagnando questa intepretazione, sembra essere possibile dire che
anche sotto l’ottica consumeristica è possibile identificare una preoccupazione del
legislatore infracostituzionale con la prospettiva comunitaria.
In questo senso, si identifica pertanto una funzione sociale in determinati
contratti di consumi, tra i quali si distacca, e appena a titolo esemplificativo,
l’attitudine recente della Corte Suprema brasiliana, all’ammettere l’applicazione
del CDC alle istituzioni finanziarie. Allo stesso modo, si colloca sulla stessa linea
la giuridicità di politiche pubbliche iniziate dalla magistratura preoccupata con la
effettività dei diritti fondamentali, tra cui la garanzia e l’accesso della popolazione
meno favorita, alla preservazione e manutenzione della salute, con la concessione
di medicine essenziali per assicurare la preservazione del diritto alla vita.
178
MORAES, Maria Celina Bodin de. Idem.
MORAES, Maria Celina Bodin de. A Função da Causa nos Contratos, in RTDC vol 21, p.
95/120, Rio de Janeiro: Padma, 2005
179
93
Su questa questione che stiamo focalizzando, una decisione del Supremo
Tribunale Federale ha definito la responsabilità dello Stato in relazione alla
distribuzione di medicine con la finalità di preservarsi il diritto fondamentale alla
vita:
COMPETENZA – AGGRAVIO DI STRUMENTO - TRANSITO DI
STRAORDINARIO - Come disposto nel § 2.º dell’articolo 544 del Codice di
Processo Civile, spetta al relatore proferire decisione in aggravio di strumento
presentato con la finalità di arrivare al processo dello straordinario. La decisione
del Collegiato avviene dopo aver azionato la norma dell’articolo 545, ugualmente
del Codice di Processo Civile, in quello che è previsto aggravio innominato contro
la decisione proferita. SALUTE – PROMOZIONE – MEDICINE. Il precetto
dell’articolo 196 della Costituzione Federale assicura a chi ne ha bisogno, la
fornitura, da parte dello Stato, delle medicine indispensabili al ristabilimento della
salute, specialmente in caso di malattia contagiosa, come è la Sindrome di
Immunodeficienza acquisita . (STF – AGRAG 238328.RS/1999 – Rel.Min.
Marco Aurelio). AGRAVO REGIMENTAL EM AGRAVO DE INSTRUMENTO
N. 238328.0 – RS – Segunda Turma (DJ 18.02.2000) – Relatore: Ministro Marco
Aurélio).
La questione dell’applicabilità del CDC alle istituzioni finanziarie è sorta
dalla azione diretta di incostituzionalità (ADIn 2.591), che è stata proposta,
ironicamente, come segnala la dottrina consumerista,
180
dalla Confederazione
Nazionale del Sistema Finanziario – Consif, il 22.12.2001, allegando la
incostituzionalità formale e materiale della espressione “incluso quelle di natura
bancaria, finanziaria, di credito e assicurativa, costante dall’art. 3º, paragrafo 2º,
della Legge 8.078/1990. “Questa “pietra” lanciata che è diventata, dopo la bella
180
MARQUES, Cláudia Lima et alii. Aplicação do Código de Defesa do Consumidor aos Bancos
– ADIN 2.591, São Paulo: RT, 2006
94
decisione della ADIn 2.591 emanata dal Supremo Tribunale Federale, una “pietra
fondamentale” nel nuovo diritto privato di consumo”.
In quella occasione il Supremo Tribunale Federale ha affermato due
importanti momenti del diritto privato: la forza normativa della Costituzione
(espressione di Konrad Hesse) ed ha aperto le porte alla Drittwirkung o efficacia
dei diritti fondamentali nelle relazioni private.
Così , la decisione del ADIn 2.591 è stata chiara nello stabilire: “In
conclusione di giudizio, il tribunale, per maggioranza, ha giudicato non
procedente la richiesta formulata in azione diretta di incostituzionalità presentata
dalla Confederazione Nazionale del Sistema Finanziario – Consif contro la
espressione costante nel paragrafo 2.o dell’art. 3.o del Codice di Difesa del
Consumatore –CDC (Legge 8.078/1990) che include, nel concetto di servizio
contenuto dalle relazioni di consumo, le attività di natura bancaria, finanziaria, di
credito e assicurativa (…)”.
Seguendo questa direzione, è arrivata pertanto “la decisione della AdiN
2.591 allo stabilire una interpretazione coerente, avvalorativa-protettiva e
armonica degli art. 5.o, XXXII, 170 e 192 della CF/1988, imponendo realmente
questo nuovo ordine economico costituzionale, ordine di rispetto ai diritti dei
consumatori, come un sistema di valori e principi costituzionalmente imposti (…)
aprendo ugualmente un nuovo momento “per la chiamata efficacia orizzontale dei
diritti fondamentali nelle relazioni private bancarie, tra consumatori banche,
imprese finanziarie, di credito e assicurative nel Brasile”. 181
Parlando sul declino della libertà contrattuale nella moderna società di
consumo si mette in risalto i nuovi limiti imposti al concetto del contratto. Così, la
nuova nozione di offerta, ammettendosi il suo carattere vincolante in nome della
sicurezza nelle relazioni contrattuali e della protezione di fiducia e principalmente,
181
MARQUES, Cláudia Lima et alii. Aplicaçãodo Código de Defesa do Consumidor aos Bancos –
ADIn, São Paulo: RT, 2006
95
passa ad integrare l’offerta di tutte le informazioni (anche quelle pubblicitarie),
che possano far nascere le aspettative illegittime quanto alla qualità e alla quantità
del prodotto o quanto al tipo di obblighi assunti. In questo senso, di cambiamento
di concetto, l’art. 30 e susseguenti del CDC. 182
Si deve osservare, d’altra parte, che la nuova normativa contrattuale
limiterà la possibilità che le imprese contrattino con determinate persone in
determinate situazioni, sia per rispetto ai diritti costituzionali e sia per considerare
illecito l’uso del potere economico per forzare, ad esempio l’aumento dei prezzi.
La nuova teoria contrattuale è impregnata di una visione conglobante della
relazione che deve essere accompagnata dalla buonafede, avvalorandosi, inoltre,
come elemento rilevante, il fattore temporale. In questo modo si sottolinea che:
“nella formazione del vincolo, il tempo sarà considerato come alleato della
razionalità e riflessione nella decisione dei consumatori. Il CDC riconosce
l’importanza delle nuove tecniche di vendita, molte di esse aggressive, del
marketing, e del contratto come forma di informazione del consumatore,
proteggendo il suo diritto di scelta e la sua autonomia razionale, attraverso del
diritto riconosciuto più forte dell’informazione (articoli 30,31, 34, 46, 48 e 54, del
CDC) e un diritto di riflessione (art. 49, del CDC).” 183
In conseguenza, nella esecuzione del contratto l’elemento temporale passa
ad avere valore sia per intendersi l’obbligazione come un processo che estende i
suoi effetti nel tempo, con l’obiettivo di attingere una stessa finalità: la
realizzazione delle aspettative legittime di ambedue le parti, sia per la
valorizzazione del tempo come fattore di pressione e creatività.
182
MARQUES, Cláudia Lima. Contratos no Código de Defesa do Consumidor, São Paulo: RT,
2005, p. 269
183
MARQUES, Cláudia Lima. Contratos no Código de Defesa do Consumidor, São Paulo: RT,
2005, p. 270
96
In questa orbita si può osservare che quanto più duratura una relazione, più
difficile e pregiudiziale per il consumatore la rottura unilaterale da parte del
fornitore dei servizi; a titolo di esempio si può rinunciare a contratti già fatti che, a
causa del protrarsi nel tempo per lunghi periodi, producono nella parte più fragile
della relazione la prospettiva di continuità. Devono considerarsi in questo senso
contratti con prestatori di servizi della sanità privati, che considerando il
cambiamento nel calcolo attuariale e l’aumento nella sinistrosità decidessero
rescindere determinate polizze di assicurazione-salute, per considerarle troppo
onerose, lasciando alla propria sorte un grande numero di anziani, senza copertura
dell’assistenza medico ospedaliera che non saranno assorbiti, ovviamente, dal
mercato.
Serve come esempio la decisione data in ricorso speciale, presentata dal
Ministro Ruy Rosado de Aguiar: “Assicurazione Salute – Limite temporale di
ricovero – Clausola limitativa – Redazione con distacco ---------. La Seconda
Sezione ha deciso essere nulla la clausola limitativa del periodo di internazione
ospedaliera dell’assicurato (art. 51 del CDC).La legge vulnera la decisione che
considera valida clausola limitativa di obbligazione dello stipulante, inserita nel
contratto senza distacco (art. 54 & 4.o, del CDC). Ricorso riconosciuto e disposto.
(Risp. 214237/RJ, j. 02.08.2001) In questo senso la summula n. 302, del Superiore
Tribunale di Giustizia proibendo il limite temporale di internamento,
considerando come abusiva clausola contrattuale che disponga in questo senso. 184
Così, si riconosce una funzione sociale in questi servizi, che impedisce o
mette in pericolo di nullità clausole precedentemente tenute come abituali come
mettere fine a determinato vincolo, rispettando appena il binomio lucrativitàopportunità. Si impone pertanto una maggior possibilità di manutenzione del
vincolo contrattuale.
184
SUMULA 302/STJ. É abusiva la clausola contrattuale dell’assicurazione sanitaria che limita il
tempo di ricovero ospedaliero dell’assicurato
97
Un altro punto che merita considerazione, partendo dai paradigmi
coinvolti nei contratti sviluppati da Stoffel-Munck, citato per dottrina, la
buonafede (esigenza morale e sociale) e la fiducia (esigenza di fedeltà alla fede
giurata e sociale). In questo secondo paradigma, quello della fiducia, non si dà
importanza all’elemento soggettivo, ma si mette in rilievo il riflesso oggettivo che
si relaziona nella società come un tutto (finalità economica e sociale dell’art. 187,
del CDC) e la funzione sociale della clausola e del contratto (art. 421, del CC e
art. 1.o, c.e 51, IV del CDC). 185
Modernamente, si parla infatti della relativizzazione della forza
obbligatoria dei contratti, non volendo ciò significare il disprezzo alla volontà
nella formazione delle attività giuridiche. Ai magistrati si permette un controllo di
contenuto dei contratti dovendo essere integrati per la soppressione di clausole
abusive e sostituite dalla norma legale suppletiva. Allo stesso modo,si osserva che
l’indebolimento della forza vincolativa dei contratti si è data , probabilmente, per
la accettazione della teoria della imprecisione (inciso V, dell’art. 6.º, del CDC).
Si è passato, pertanto ad una visione dinamica dei contratti massificati per
esigere una disciplina propria delle relazioni contrattuali complesse, fisse, di lunga
durata, che per la loro specialità e indiscutibile importanza sociale passano a
imporre una nuova interpretazione degli obblighi assunti. Di questa complessa
gamma di doveri principali e secondari esistenti in queste relazioni contrattuali e
prendendo come parametro la fiducia sorta, il principio della buonafede oggettiva
passa ad essere il principio che orienta questa esegesi.
È opportuno, in questa camminata, analizzare anche i così chiamati “atti di
consumo per connessione o relazioni di consumo accessorie, che possono durare
185
MARQUES, Cláudia Lima. Contratos no Código de Defesa do Consumidor, São Paulo: RT,
2005. p. 274
98
nel tempo e diventare strumenti di fatica cattività dei consumatori.”
186
Seguendo
questo orientamento, le relazioni di consumo possono essere classificate in:
relazioni di consumo principale (per finalità di consumo) e relazioni di consumo
per connessione, per cattività, per accidente (art. 17, del CDC) e incidentali (art.
29 e art. 2.o, paragrafo unico, del CDC).
Non restano dubbi, pertanto, che le reti di contratti per essere nuovo mezzo
di cui si utilizza il mercato per soddisfare gli interessi, resi possibili per il
concatenamento e la simultaneità che i contratti consentono, mettono in
operazione un fenomeno economico di molteplicità di vincoli, di contratti, di
persone e di operazioni per attingere un fine economico unitario, la cui nascita si
incontra nella specializzazione di compiti produttivi, nella formazione di reti di
fornitori nel mercato e, eventualmente nella volontà delle parti; svolgono tali
contrattazioni una funzione sociale che non si può dimenticare, ed è, pertanto,
meritoria di speciale protezione e tutela.
Ed evidenzia la migliore dottrina civilista brasiliana, specificando
l’applicazione del nuovo Codice Civile: “ A proposito, proprio per questo l’art.
421 del Codice del 2002 esplicita che “la libertà di contrattare sarà esercitata in
ragione e nei limiti della funzione sociale del contratto”. In verità, la maniera
come un diritto è esercitato è anche determinante per la sua liceità (art. 1187, CC)
e per la considerazione di essere degno di tutela giuridica. La ragione giuridica
che garantisce la tutela risiede esattamente nel fatto che il contratto deve essere
celebrato per ragioni che l’ordinamento giuridico considera ammissibili e
meritevoli di tutela, di protezione.” 187
186
MARQUES, Cláudia Lima. Contratos no Código de Defesa do Consumidor, São Paulo: RT,
2005. p. 105
187
MORAES, Maria Celina Bodin de. A Função da Causa nos Contratos, in RTDC vol 21, p.
95/120, Rio de Janeiro:Padma, 2005
99
Nelle nazioni in cui l’elemento causale è codificato, come requisito di
validità del negozio giuridico, queste ragioni giuridiche si identificano con esso;
tali ragioni giuridiche però rimangono imprescindibili negli ordinamenti che non
avevano previsto espressamente l’elemento perché corrispondono, in realtà, alla
causa e alla finalità a cui serve l’atto di autonomia privata. In fondo, il problema
centrale della causa è il problema del riconoscimento giuridico dell’atto: è il
problema del perché esiste l’atto, di qual è la sua ragione (giuridica) di essere,
insomma, la sua causa. 188
In questa prospettiva la dottrina sottolinea che “la principale utilità dell’
analisi dell’elemento causale è appuntata, esattamente, nel servizio che presta
come mezzo di ricusa di protezione giuridica ad atti senza giustificativa o senza
significato sociale.189 Così è che il negozio può avere come requisiti di validità
solo la dichiarazione di volontà, l’oggetto e la forma (art. m1104 del CC 2002);
ma, la causa - o la specificazione della funzione che svolge – è l’elemento che lo
definisce, che gli è proprio ed unico, e che serve a differenziarlo da qualunque
altro atto, tipico o atipico. È, pertanto, anche l’elemento che gli conferisce
giuridicità. 190
In questa direzione la stessa interpretazione è condivisa tra l’attuale
civilistica brasiliana, nel disporre che il “ricorso alla funzione deve rivelare il
meccanismo dinamico di vincolatività delle strutture del diritto, in particolare dei
fatti giuridici, dei centri di interesse privato e delle relazioni giuridiche, ai valori
della società consacrati dall’ordinamento, partendo dal suo vertice gerarchico, il
testo costituzionale”. 191
188
E. BETTI apud MORAES, Maria Celina Bodin de. A Função da Causa nos Contratos, in
RTDC vol. 21, p. 95/120, Rio de Janeiro: Padma, 2005
189
ORLANDO GOMES apud MORAES\, Maria Celina Bodin de. A Função da Causa nos
Contratos, in RTDC vol. 21, p.95/120, Rio de Janeiro: Padma, 2005
190
MORAES, Maria Celina Bodin de. Prefazio al libro di NEGREIROS, Teresa, Teoria dos
Contratos. Novos Paradigmas, Rio de Janeiro: Renovar, 2002, p. 7
191
TEPEDINO, Gustavo. Temas de Direito Civil, Rio de Janeiro: Renovar, 1999, p. 6
100
La Costituzione del 1988, anche conosciuta come la costituzione
democratica e cittadina, per aver fondato e riordinato diritti e garanzie
fondamentali, che erano state dimenticate da molti anni, nei più di 20 (venti) anni
di dittatura militare, è stata e continua ad essere la celebrazione della pluralità, del
libero pensare e delle libere scelte, sia politiche che ideologiche, religiose o
sessuali.
Infine, sono proibite le discriminazioni di qualunque specie, si restaura
l’anello perduto tra Stato e democrazia, si riprende la partecipazione popolare nel
processo politico per mezzo della consacrazione del suffragio universale.
Incorpora la Magna Carta, garanzia di diritti e libertà individuali, prima
ridotto riservato autonomo della sfera privata, la Costituzione tocca nell’istituto
più caro al diritto civile – si tutela la proprietà urbana e rurale e si esige il
compromesso da parte dei proprietari, prima titolari di un diritto nominato in altri
tempi come assoluto, che sia attribuita una funzione sociale al rispettivo
bene,sotto pena di essere oggetto di un processo di espropriazione, nei termini
della legge.
Parallelamente, lo Stato passa ad intervenire nella attività economica e
finanziaria, fissando mete e obiettivi chiari da compiere, assicurando nell’art. 170,
V, un nuovo ordine economico che rispetta la libera iniziativa, ma che si fonda
sulla valorizzazione del lavoro umano, e che ha per finalità assicurare a tutti una
esistenza degna, conforme i dettami della giustizia sociale. Elenca, ugualmente il
costituente, nel suddetto dispositivo, la difesa del consumatore tra i principi
generali della attività economica, al fianco della libera concorrenza, della
riduzione delle disuguaglianze regionali e sociali, la proprietà privata e la sua
funzione sociale – tra altre cose.192
192
TEPEDINO, Gustavo. Temas de Direito Civil, Rio de Janeiro: Renovar, 1999. p.6
101
Come detto altrove, la promulgazione della Costituzione della Repubblica
Federativa del Brasile del 1988 rappresenta la inaugurazione di un nuovo ordine
giuridico, una rinnovazione completa della società brasiliana, rispecchiata nel più
alto diploma legislativo del paese che consacra il costituzionalismo (normativo),
come modello di organizzazione statale vittorioso, ad esempio di quello che era
successo in Europa e negli Stati Uniti del post-guerra.
Sono consacrati allo stesso modo, dal legislatore originario, i diritti
dell’uomo e del cittadino, diritti fondamentali sono assicurati, la persona umana è
elevata al centro dell’ordine giuridico, ed in conseguenza la sua dignità si erige
come valore supremo.
Cambia la società ed il diritto ne segue il passo. Nell’orbita privata, la
necessità di rinnovazione è sempre più chiara, esemplificata dall’esteso numero di
leggi settoriali, editate a “spron battuto”, per far fronte al nuovo Brasile. Il Codice
Civile del 1916, datato dall’inizio del secolo, elaborato alla luce dei principi basici
dell’illuminismo, dell’individualismo e del liberalismo, si dimostra, ogni giorno
che passa, sempre più arcaico, anacronistico, incapace di accompagnare gli avanzi
sociali della modernità.
La Costituzione invece incorpora al suo testo valori e principi dei nostri
tempi. Così, “progressivamente si è prodotto, nel Brasile, un fenomeno
anteriormente verificato nella Germania, dopo la Seconda Guerra: il passaggio
della Legge Fondamentale per il centro del sistema. Alla supremazia fino ad allora
formale, si è aggregato un valore materiale e assiologico alla Costituzione,
potenziato dall’apertura dei sistemi giuridici e dalla normatività dei suoi principi”.
193
Per questo, “la Costituzione passa ad essere non un sistema in sé – con il suo
ordine, unità e armonia - ma anche un modo di vedere e interpretare tutti gli altri
rami del Diritto. Questo fenomeno, identificato da alcuni autori come filtraggio
193
BARROSO, Luís Roberto. A Nova Interpretação Constitucional: Ponderação, Direitos
Fundamentais e Relações Privadas, Rio de Janeiro: Renovar, 2003. p. 44
102
costituzionale, consiste in che tutto l’ordine giuridico deve essere letto e capito
sotto la lente della Costituzione, in modo da realizzare i valori in essa
consacrati”.194
Come emanazione della dignità umana ci si può riferire ai diritti della
personalità, che conquistarono autonomia scientifica e normativa, essendo
opponibili
a
tutti
e
producendo,
la
sua
violazione,
la
riparazione
indipendentemente dalla sua ripercussione patrimoniale. 195
In questo senso, la costituzionalità del diritto infracostituzionale,
specialmente in quanto riferito al Diritto Civile, non significa solo la inclusione
nella Legge Maggiore di norme proprie per regolare interessi privati, ma,
soprattutto, la reinterpretazione di tutti i suoi istituti sotto l’ottica costituzionale.
Così, nonostante che il Codice di Difesa del Consumatore sia stata una
legge speciale posteriore al testo normativo costituzionale del 1988, questo fatto
non lo esclude dal citato filtraggio costituzionale, dato che il suo fondamento di
validità è tavola assiologia costituzionale.
Così, se da un lato possiamo affermare la preoccupazione del legislatore
costituente originario con la protezione e difesa dei consumatori al punto da
elencare la sua tutela tra i diritti e fondamentali dell’art. 5º, XXXII della
Costituzione Brasiliana, dall’altro non dobbiamo dimenticare che tale
preoccupazione si è basata in valori superiori alla logica mercantilista,
specialmente nella uguaglianza materiale, nella dignità umana e nella solidarietà.
Così, come altri diplomi legislativi della sua epoca, vediamo per esempio:
lo Statuto del Bambino e Adolescente, 1991, La legge degli Affitti, lo Statuto
dell’Anziano, questo del 2000, posseggono in evidente somiglianza con il Codice
194
BARROSO, Luís Roberto. Idem.
BARROSO, Luís Roberto. Temas de Direito Constitucional brasileiro. Tomo III, Rio de
Janeiro: Renovar, 2005, p. 127.
195
103
di Difesa del Consumatore lo stesso fondamento di validità, basati nella tavola
assiologia normativa costituzionale.
Seguendo questo raziocinio., troviamo il principio costituzionale della
uguaglianza, non quella “appena davanti alla legge”, ma il costituente del 1988 ha
cercato di assicurare che il consumatore, bambini e adolescenti, anziani , locatari
ecc. ricevessero da una legislazione speciale, da essere stesa in momento
posteriore alla Legge Maggiore, un trattamento differenziato, privilegiato,
possiamo perfino dire, ma con la dovuta parsimonia. Dare un trattamento
disuguale a disuguali non significa propriamente privilegi, ma lo sforzo in
assicurare la uguaglianza materiale a soggetti, ovviamente fragili, vulnerabili nelle
loro relazioni: il consumatore inserito nel mercato; il bambino e l’adolescente
nella Famiglia e nella Società, così come l’anziano , ed, infine, i locatari nelle
loro relazioni contrattuali.
Rimane pertanto chiara una preoccupazione statale con la conservazione e
preservazione della dignità umana, individualmente considerata, quando si
presentino con questo “status” di vulnerabilità comune a tutti loro.
Come già affermato in alcuni studi sulla dignità umana,” il principio della
dignità della persona umana comporta varie modalità di efficacia giuridica in
fasce differenti della sua estensione”. 196
In sintesi, la dottrina brasiliana sottolinea che il denominato minimo
esistenziale è composto “dalle condizioni materiali basiche per l’esistenza,
corrisponde a una frazione nucleare della dignità della persona umana alla quale si
deve riconoscere efficacia positiva o simmetrica. Oltre questo nucleo si ingressa
nel terreno in cui si sviluppano appena altre modalità di efficacia giuridica,
196
BARCELLOS, Ana Paula de. A Eficácia Jurídica dos Princípios Constitucionais – O Princípio
da Dignidade da Pessoa Humana, Rio de Janeiro: Renovar, 2002, p. 248
104
decorrenti dalla necessità di mantenersi lo spazio proprio della politica e delle
decisioni maggioritarie”. 197
D’altro modo, il costituente ha imposto l’obbligo sociale di promuovere la
tutela specifica di tali enti - ciò che possiamo considerare come la consacrazione
del principio della solidarietà sociale, si spoglia della figura dell’io, per guardare
al lato, al debole e promuovere il suo pieno sviluppo come persona umana,
attraverso della prospettiva, attenti alla sua vulnerabilità, di ristabilire l’equilibrio
per mezzo di tutele specifiche modellate ad attendere alle sue necessità.
Così, in questa linea di pensiero un’allerta è importante: il Diritto del
Consumatore, in quanto legge speciale nel nostro intendere e per le ragioni sopra
fondamentale, non è gerarchicamente superiore al Codice Civile, che, ugualmente
alla legge consumeristica, sono ambedue legislazione infracostituzionale e
devono, in conseguenza, obbligatoriamente sottomettersi al costante processo di
filtraggio costituzionale. 198
Così intendiamo che non si può affermare che il Codice di Difesa del
Consumatore abbia uno status superiore allo statuto privato, solo per figurare tra i
diritti fondamentali, visto che la tutela protettiva e “privilegiante” conferita ai
consumatori esiste solo e nella misura della loro vulnerabilità, con la finalità
pertanto di assicurare la dignità della persona umana, in quanto figuri come
consumatore. La protezione dei consumatori assume pertanto “un carattere
strumentale ossia, mette in funzione gli interessi patrimoniali del consumatore alla
tutela della sua dignità ed ai suoi valori esistenziali.”
199
Lo sviluppo di questa maniera di pensare è stato iniziato a partire dalla
migliore dottrina , dove abbiamo imparato la precisa lezione: “La protezione
giuridica del consumatore, in questa prospettiva, può essere studiata solo come un
197
BARCELLOS, Ana Paula de. Idem
In senso contrario: MARQUES, Cláudia Lima. Código de Defesa do Consumidor e o Código
Civil de 2002, São Paulo: RT, 2005
199
TEPEDINO, Gustavo. Temas de Direito Civil, Rio de Janeiro: Renovar, 1999, p. 124
198
105
momento particolare dell’ordine pubblico costituzionale, che ha per obiettivo
maggiore la tutela della personalità e dei valori esistenziali”. 200
Queste considerazioni traducono la necessità di definizione dei principi
costituzionali che danno forma alle relazioni di consumo, capaci di dar un nuovo
senso e contenuto alla tutela del consumatore. Dimostrano d’altro lato, come il
tentativo di costruirsi un microsistema di consumatori non deve essere ben
accetto, sia per il pericolo, sempre più inquietante, di nuove tendenze
corporativiste, sia per la incapacità di dare effettività alla protezione del
consumatore in tutti i possibili interessi esistenziali, in consonanza con quanto
detto dalla costituzione, anche in quelle situazioni giuridiche non coincidenti con
la presenza di diritti soggettivi previsti – rectius, pre-tipificati - dal legislatore
settoriale.” 201
Per la migliore dottrina italiana, dobbiamo capire che ci troviamo davanti
ad un problema che non è solo di tutela o di azione, ma è, essenzialmente, un
problema di “meritevolezza” di tutela con tre aspetti estremamente importanti. Il
primo si riferisce alla funzionalità della situazione soggettiva patrimoniale, alla
realizzazione di situazioni soggettive non patrimoniali, sotto il fondamento della
esistenza, nella Costituzione, di una gerarchia chiara di valori che collocano
l’”avere” come strumento per la realizzazione dell’”essere”, e non il contrario. In
secondo posto, ci si affronta con la necessità di un giudizio di merito di tutela
costituzionale, non solo degli atti di autonomia privata, ma anche delle attività e
degli istituti come un tutto. Ed infine il professore di Camerino accentua come
terzo punto l’imposizione di un lavoro di reclassificazione delle norme ordinarie
alla luce della Costituzione. 202
200
TEPEDINO, Gustavo. Idem.
TEPEDINO, Gustavo. Temas de Direito Civil, Rio de Janeiro: Renovar, 1999, p. 124
202
PERLINGIERI, Pietro. La Persona e i suoi Diritti. Problemi del Diritto Civile. Napoli:
Edizioni Scientifiche, 2005, p. 49
201
106
La grande missione del giurista viene sottolineata nella elaborazione di
tecniche ermeneutiche che garantiscano l’attuazione del “personalismo”.
Soprattutto, individuando possibili risposte alle esigenze nuove ed allora
superando il dialogo tradizionale e codicista dei diritti della personalità,
focalizzando la tutela sui valori della persona come fonte – non di un numero
tassativo di diritti – ma, di indefiniti diritti e doveri e, più ancora, come parametro
privilegiato del giudizio di merito di tutela (meritevolezza) degli atti e delle
attività. 203
In questa prospettiva, se rinnova la teoria della interpretazione, la scienza
giuridica assume nuovi compiti e funzioni, servendo a interessi superiori, si
progetta la necessità di ricostruire, se non di fondare, gli istituti apparentemente
distanti da tal compito, mettendoli in funzione ai valori primari dell’ordinamento.
Così si impone odiernamente al civilista, al giurista, una nuova forma di
studio del Diritto Civile, sotto la prospettiva che tutti i suoi istituti devono essere
messi in funzione del pieno sviluppo della persona umana, portata a valore e
principio
fondamentale
dell’ordinamento
giuridico,
per
imposizione
costituzionale. Nella stessa forma, alla magistratura rimane il difficile compito di
scoprire, nel quotidiano delle decisioni giudiziali dei casi concreti, della
fattispecie, l’importanza della applicazione diretta della norma costituzionale, per
realizzare la uguaglianza e la solidarietà tra gli uomini e mettere un freno al
mercato selvaggio ed alla pura razionalità economica.
La migliore dottrina italiana evidenzia “Il tema della funzionalizzazione
come fenomeno, in generale, degli istituti giuridici strettamente collegato ai
valori fondamentali dell’ordinamento, quindi, in primo luogo, al valore dei valori,
la tutela, appunto, della persona umana”.
203
PERLINGIERI, Pietro. La Persona e i Suoi Diritti. Problemi Del Diritto Civile. Prefácio.
Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2005, p. XI
107
Trattandosi , poi, di iniziativa economica privata e proprietà, tali situazioni
devono, nell’insegnamento del maestro di Camerino, essere relazionate al tema
della tutela della persona, non nella visione ottocentista, dove la proprietà era
intesa come essenziale allo sviluppo in sé della persona umana, significando che
l’”avere” era in sé stesso la propria realizzazione della personalità dell’individuo,
ma in un modo nuovo. 204
In questa linea, l’evoluzione dei concetti di atto giuridico e di autonomia
privata diventa imprescindibile, tenendo in vista il mandamus costituzionale che
sostenta i principi fondamentali dello Stato brasiliano.
Il concetto della vita economica come risultato automatico della attività
dei soggetti privati, e la conseguente idea che al negozio bastava assicurare la
libertà, perchè si realizzasse un equilibrio ottimo di interessi. Si comincia a
pensare che l’atto deve servire questa funzione, prima diretta o controllata ma ora
non più automaticamente. Perché la libertà non è sufficiente perché le necessità di
tutti siano soddisfatte, si passa a pensare il prodotto di questa libertà, il negozio,
come strumento di realizzazione degli interessi privati e non come affermazione
della libertà. 205
E così questo concetto, anche se sembra lo stesso, è frattanto differente: la
sua caratteristica differenziatrice lascia di essere la libertà del soggetto, passa ad
essere la funzione che disimpegna , la sua attitudine a produrre certi effetti. Cioè,
l’elemento funzionale del concetto di negozio giuridico era di natura strettamente
individuale – il negozio costituiva lo strumento adeguato per la realizzazione
dell’interesse delle parti, essendo queste e unicamente
esse i giudici di tale
adeguazione – essendo la sua funzione di composizione generale e adeguata di
204
PERLINGIERI Pietro. La Personalità Umana Nell’Ordinamento Giuridico, Napoli: Edizioni
Scientifiche Italiane
205
PRATA, Ana. A Tutela Constitucional da Autonomia Privada, Coimbra: Almedina, 1982, p. 23
108
interessi dipendenti, subordinata e puramente accessoria a quell’altra, di
realizzazione di interessi individuali degli intervenienti.
Le limitazioni all’ autonomia privata si collocavano, in questo contesto,
come un elemento esterno, estraneo al concetto di autonomia e di negozio. Alla
verificazione della non soddisfazione automatica e accessoria dell’interesse
generale, per mezzo del puro esercizio della autonomia privata – e perfino della
frequente inattitudine dell’atto, anche per salvaguardare in casi concreti la
giustizia nella composizione intersoggettiva degli interessi - , è seguita l’idea che
la funzionalizzazione del negozio deve essere affrontata non in una prospettiva
globale estranea alla configurazione del concetto, ma integrata nella propria
struttura concettuale.
Questa ricostruzione, che si manifesta nella generalità degli ordini
giuridici attuali si fonda, nella utilizzazione del concetto di interesse come
elemento basico del sistema giuridico privato – “ il compito della volontà
individuale rimane subordinato all’apprezzo normativo, che è legittimato per
decidere quali le rappresentazioni soggettive che devono intendersi come
meritorie di tutela”.206. La giuridicità dell’atto o della relazione si deduce dalla
dignità dell’interesse in causa, ed il giudizio sotto questa dignità è un giudizio
normativo informato da criteri sopraindividuali.
La dottrina portoghese mette in risalto che la “autonomia privata e negozio
giuridico sono oggi, come sempre, mezzo e strumento di composizione giuridica
di interessi di natura essenzialmente privata, ma differentemente da quanto
succedeva prima, non sono un mezzo e uno strumento lasciati alla esclusiva
disponibilità delle parti. Allo Stato incombono doveri che deve adempiere (anche)
attraverso di questo mezzo e di questo strumento”. 207
206
Francesco Lucarelli apud PRATA, Ana. A Tutela Constitucional da Autonomia Privada,
Coimbra: Almedina, 1982, p. 23
207
PRATA, Ana. A Tutela Constitucional da Autonomia Privada, Coimbra: Almedina, 1982, p. 23
109
In questo senso l’autonomia privata sarebbe la manifestazione di libertà,
nella soddisfazione del proprio interesse particolare. Così non avrebbe mai una
natura
funzionale
in
relazione
all’interesse
pubblico
e
nell’ambito
dell’ordinamento, mentre al contrario l’interesse pubblico si pone di fatto non
come oggetto, ma come limite di questa attività. 208
Come già evidenziato, “i civilisti hanno, notoriamente, una postura
intellettuale di conservazione dinnanzi alla propria disciplina”. Questa postura,
secondo Michele Giorgianni, è favorita, se non proprio provocata, dalla
Codificazione che, cristallizzando un determinato schema di ordine giuridico, crea
l’illusione della validità eterna. 209
Frattanto, è necessario riconoscere che, mentre il Codice Civile ha
corrisposto alle aspirazioni di una determinata classe sociale, interessata in
affermare l’eccellenza del regime capitalista di produzione, ed i cui protagonisti
sono il proprietario, il marito, il contrattante ed il testante – in realtà, vestiti
differenti usati dallo stesso personaggio, l’individuo borghese che voleva vedere
completamente protetto il potere della propria volontà in ciò che riferiva alle
situazioni di natura patrimoniale -, la Costituzione Federale, al contrario ha posto
la persona umana nel centro dell’ordinamento allo stabilire, nell’art. 1, III, che la
sua dignità costituisce uno dei fondamenti della Repubblica, assicurando, in
questa forma, assoluta priorità alle situazioni esistenziali o extra-patrimoniali. 210
La migliore dottrina civilista brasiliana, precorritrice della Scuola di
Diritto Civile Costituzionale nel Brasile, afferma che dal testo costituzionale
possono essere estratti almeno quattro principi fondamentali in materia
contrattuale: “1. La dignità della persona umana (art. 1º III); 2. Il valore sociale
della libera iniziativa (art. 1º IV); 3. La uguaglianza sostanziale (art. 3. III); La
208
PRATA, Ana. A Tutela Constitucional da Autonomia Privada. Coimbra: Almedina, 1982,
riferendosi a Luigi Ferri, p. 24
209
CAMARGO, Margarida Lacombe (Org.) 1988-1998: Uma década de Constituição, p. 116
210
CAMARGO , Margarida Lacombe (Org.). Idem
110
solidarietà sociale (art. 3º, I). I due primi sono considerati da parte del costituente
come fondamenti della Repubblica. Gli ultimi sono presentati come obiettivi
fondamentali della Repubblica. Tali precetti informano la principiologia delle
relazioni contrattuali di consumo, introdotta dal Codice di Difesa del
Consumatore in diversi articoli: a) principio della buonafede oggettiva (art. 4º, III
e art. 51, IV); b) principio dell’equilibrio delle prestazioni (art. 4º, III, 51, IV e 51,
§ 1º, III); c) principio della vulnerabilità (art. 4.º I).” 211
Tali principi, non trovavano posto, né espressamente né implicitamente ,
nel Codice Civile del 1916, odiernamente “rimodellano l’attuazione della volontà
individuale e levano ad effetto la funzionalità della attività economica, in modo
che questa attenda ai valori sociali costituzionalmente tutelati, obbedendo ai
principi della dignità della persona umana, della solidarietà sociale e della
uguaglianza sostanziale, che integrano il contenuto dello Stato Sociale di Diritto
delineato dallo Costituente.” 212
Il nascere della Legge n. 8.078, promulgata l’11 settembre 1990, aveva
come finalità chiara quella di assicurare per mezzo di una legislazione speciale
l’effettiva tutela della persona del consumatore, considerando la sua vulnerabilità,
specialmente davanti agli abusi del potere economico e frequente utilizzazione di
contratti di massa che, finalmente, svuotavano il leggendario equilibrio
contrattuale e la appena immaginabile libera manifestazione volitiva dei
contrattanti.
Così, con l’intuito di venire incontro alle necessità dei consumatori, il
rispetto alla sua dignità, salute e sicurezza, la protezione dei suoi interessi
economici, il miglioramento della sua qualità di vita, così come la trasparenza e
armonia delle relazioni di consumo” (art. 4º), il codice consumeristico si è valso di
una serie di strumenti con la responsabilità oggettiva del fornitore, l’elenco non
211
212
TEPEDINO, Gustavo. Os Contratos de Consumo no Brasil. Temas, op. cit. P. 125
TEPEDINO, Gustavo. Idem
111
tassativo di clausole abusive, la disciplina di azioni collettive, la previsione
espressa di diritti indisponibili del consumatore come il diritto alla adeguata
informazione sul prodotto ed all’inversione del peso della prova, e così
continuando, Tutti questi meccanismi hanno dichiaratamente la finalità di
proteggere il consumatore, la cui vulnerabilità, riconosciuta nell’art. 4º, inciso I,
condiziona l’applicazione di tutte le norme costanti da quel diploma”. 213
È opportuno risaltare la convergenza della base principiologica del Codice
di Difesa del Consumatore e del Nuovo Codice Civile brasiliano, come
anteriormente ha fatto notare la migliore dottrina civilista214, ad impedire la
possibilità di conflitti o antinomie, rimanendo solo all’interprete del Diritto la
delimitazione del campo di applicazione delle leggi riferite al caso concreto
(fattispecie).215
Precedentemente, il Codice di Difesa del Consumatore, abbracciava già il
principio della buona fede, consacrato, anteriormente , in forma piena da altri
statuti stranieri, in particolare meritando un distacco speciale la conosciuta
clausola generale di buonafede consacrata dal paragrafo 242 del Codice Civile
tedesco (BGB).
L’entrata in vigore della Legge n. 10.406, del 10 gennaio 2002 è venuta ad
accompagnare la tendenza esistente negli statuti privati più avanzati della
consacrazione attraverso della regola resa positiva dal principio per cui le parti
devono osservare, tanto nella esecuzione del contratto, come nelle fasi
precontrattuali e post-contrattuali, la lealtà con la controparte, estraendo dal
suddetto principio, inoltre, i doveri di informazione quanto alla economia del
contratto. Si nota pertanto il sorgere di una nuova forma di intendersi l’obbligo,
213
TEPEDINO, Gustavo e SCHREIBER, Anderson. A Boa –Fé Objetiva no Código de Defesa do
Consumidor e no novo Código Civil in Obrigações – Estudos na Perspectiva CivilConstitucional,coord.. Gustavo Tepedino, Rio de Janeiro: Renovar, p. 31
214
TEPEDINO, Gustavo. Os Contratos de Consumo no Brasil, Temas, op.cit. p. 125.
215
112
non solo come semplice fotografia chiusa, circoscritta al momento della
celebrazione dell’accordo, ma invece intesa come un processo. 216
Così, il principio della buonafede svolge una doppia funzione nelle
relazioni contrattuali: delimitare l’autonomia della volontà e stabilire la funzione
della ermeneutica nella relazione obbligazionista. Questo occorre nei centri di
interesse tutelati dal Codice di Difesa del Consumatore, dove presenti, senza
dubbio, la disuguaglianza sia economica, tecnica o giuridica tra i contrattanti,
giustificando il trattamento protettore dello statuto consumeristico fondato nella
vulnerabilità della persona umana nelle sue relazioni come consumatrice. Allo
stesso modo, tali funzioni si accentuano presenti nel Codice Civile, statuto tutelare
delle relazioni stabilite tra uguali.
In questo ambito, analizzando la convergenza di principi tra il Codice di
Difesa del Consumatore ed il Codice Civile del 2002, si può concludere che non
c’è conflitto possibile tra i due statuti normativi, specialmente perché diversi i
campi di applicazione, mentre il Codice Civile del 2002 tratta di relazioni paritarie
dove si trova presente la uguaglianza, il Codice di Difesa del Consumatore,
diversamente, tutela relazioni in cui una delle parti, il consumatore, si trova
francamente in posizione di svantaggio in relazione al fornitore, imponendosi , in
questa forma, l’intervento statale attraverso di norme, molte di ordine pubblico,
perché, per mezzo di un trattamento speciale, possa realizzare la equità intesa qui
usando la visione aristotelica classica di Giustizia nel caso concreto.
Recentemente, è stato analizzato il problema della complessità di fonti
normative, in Editoriale al 22º volume della Rivista Trimestrale di Diritto Civile,
periodico che si distacca come fonte di insegnamento di autorizzata dottrina sui
nuovi cammini della civilistica. In quella occasione ha messo in rilievo, citando
l’attualissima decisione del Superiore Tribunale di Giustizia, per mezzo della sua
216
SILVA, Clóvis Couto e. A Obrigação como Processo, São Paulo: Bushatsky, 1976
113
4ª Turma, nel RESP 661145/ES, il cui relatore Jorge Scartezzini ha ammesso la
tendenza di applicarsi, eccezionalmente, le norme dello statuto consumeristico ,
quando verificata, nel caso concreto, la vulnerabilità tecnica, giuridica o
economica, ammettendo in questo modo una certa diminuzione di rigidezza nella
interpretazione finalista. 217
Risulta dalla decisione proferita dal Superiore Tribunale di Giustizia, il
riconoscimento della unità assiologia dell’ordine civile costituzionale “che si
manterrà integro nella misura in cui si assicura sempre la dignità della persona
umana (consumatrice o no) e la prevalenza delle relazioni esistenziali su quelle
patrimoniali. E non è per caso che gli articoli 17 e 29 del Codice di Difesa del
Consumatore pretendono ampliare il campo di incidenza della tutela del
consumatore… 218
Da un altro lato, si prevede importante mettere insieme le regole relative
ai contratti di adesione, di assicurazione, di correzione, di trasporto ecc. che ora
sono disciplinate dallo statuto consumerisico e dal recente Codice Civile editato
nel 2002 che devono essere interpretate sotto l’ottica della unità dell’ordinamento,
superando le apparenti sovrapposizioni o contrapposizioni.
Sotto tale prisma, e accentuando il criterio della vulnerabilità, come
orientamento per le decisioni giudiziali, si sottolinea la inadeguatezza di parlare
nella supremazia del Codice Civile sulle leggi speciali, specialmente prendendo in
conto dispositivi puntuali (v.g.: art. 732), insufficienti a permettere una
preminenza interpretativa sulla tutela del consumatore, considerata diritto
fondamentale, clausola considerata fondamentale in materia di ordine pubblico
interno (art. 5º, XXXII). Riguardo alla recente disciplina dei contratti di adesione
(articoli 423 e 424) essi non sono sufficienti ad ostacolare l’accesso degli aderenti
217
TEPEDINO, Gustavo. Os Contratos de Consumo no Brasil, Temas, Rio de Janeiro: Renovar,
1999, p. 125
218
TEPEDINO, Gustavo. Editorial, p. 4RTDC abril/junho 2005, Rio de Janeiro: Padma
114
vulnerabili alla disciplina tutelare che gli è propria e affrancata dall’art. 29 del
Codice di Difesa del Consumatore. 219
Infine, secondo la migliore dottrina brasiliana, “I confini interpretativi
devono essere stabiliti partendo non dalla topografia delle definizioni legislative ,
ma dalla diversità assiologia dei beni giuridici che si pretendono tutelare. Per tutto
il tempo in cui rimarrà in vigore la Costituzione della Repubblica, la
promulgazione di un Codice Civile potrà solo rappresentare un aumento nei livelli
di protezione alla persona umana, mai una sua riduzione.” 220
In questa linea parlando sull’argomento che stiamo commentando, gli
studiosi indicano che:: “Realmente, la convergenza di principi tra il Codice di
Difesa del Consumatore ed il Codice Civile del 2002 è la base della inesistenza
principiologica di conflitti possibili tra le due leggi che, con uguaglianza o equità
cercano armonia nelle relazioni civili in generale ed in quelle di consumo o
speciali (…)”221
Analizzando, già nel 1976, la possibilità di conflitto tra tali norme, per
attenta dottrina si metteva in evidenza che la evoluzione giuridica contemporanea
non si è limitata appena a perfezionare le antiche istituzioni nel senso di una
maggior protezione al consumatore, avendo anche originato nuove protezioni
senza precedenti storici, unendo strettamente l’interesse pubblico alla attività
privata. 222
Prendendo come esempio i contratti di adesione o per adesione e citando il
Codice Civile italiano, più specificamente l’art. 1.370, analizza le possibilità di
eventuale conflitto tra lo statuto privato e il consumeristico , per affermare: “Non
si tratta, appena, di un intervento pubblico in materia di interpretazione di clausole
219
TEPEDINO, Gustavo. Idem
TEPEDINO, Gustavo. Editorial, p.5 RTDC 22 abril/junho 2005, Rio de Janeiro: Padma
221
MARQUES, Cláudia Lima. – O Código de Defesa do Consumidor e o Código Civil de 2002,
São Paulo: RT, 2005, p. 21
222
COMPARATO, Fábio Konder. A Proteção ao Consumidor. Importante Capítulo do Direito
Econômico , Rio de Janeiro: Revista Forense no. 255, p. 22. 222
220
115
contrattuali o di forme di stipulazione nei contratti di adesione o per adesione. Si
sa che in questo genere di contratti le clausole dubbie sono interpretate contro chi
le ha redatte. Il nuovo diritto, veramente, non si limita ad editare queste regole di
interpretazione o di forme dei contratti realizzati in massa. Va oltre a questo ,
imponendo la inserzione di determinate clausole di protezione della parte
considerata più debole, o annullando o tornando inefficaci le stipulazioni poco
equitative; instaurando insomma un autentico dirigismo contrattuale.” 223
Nell’ipotesi del sorgere un conflitto tra la applicazione del Diritto del
Consumatore in contrapposizione ad una norma del Diritto Civile, si deve
utilizzare il principio costituzionale della difesa del consumatore che, nella
visione di Fábio Konder Comparato,224 non si esaurisce nello Statuto del
Consumatore una volta che, eventualmente , può succedere che la legge non sia
sufficiente per una ampia e integrale applicazione del suddetto principio, potendo
risolvere la questione solo il ritorno alla tavola assiologia costituzionale che
consacra la norma che tuteli in modo migliore la persona umana in speciale
situazione de vulnerabilità.
Non si può ignorare, oltretutto, la possibilità che una determinata norma
del Codice Civile sia più benefica per il consumatore che le proprie disposizioni
del CDC. In questo caso, non restano dubbi, conforme la competente posizione
dottrinaria di Cláudia Lima Marques riguardo all’imprescindibile dialogo di
complementarietà e sussidiarietà tra tali antinomie apparenti, dovendosi poi
applicare il dispositivo appartenente al Codice Civile del 2002 o una clausola
generale che sarà più favorevole al consumatore. 225
223
COMPARATO, Fábio Konder. A Proteção ao Consumidor. Importante Capítulo do Direito
Econômico, Rio de Janeiro: Revista Forense n. 255, 1976, p. 22
224
COMPARATO, Fábio Konder. A Proteção ao Consumidor na Constituição Brasileira de 1988.
Revista de Direito Mercantil, Industrial, Econômico e Financeiro no. 80, outubro, São Paulo: RT,
p. 66/75
225
MARQUES, Cláudia Lima. Três tipos de diálogos entre o Código de Defesa do Consumidor e
o Código Civil de 2002: superação das antinomias pelo “diálogo das fontes” in Código de Defesa
116
Di fatto, il Giudice, nel caso concreto applicherà il favor debilis
espressamente permesso nell’art. 7º, del DCD, ch, e menziona anche la equità la
sua ratio maggiore. Esempio paradigmatico può essere presentato di un possibile
conflitto di applicabilità tra il disposto nell’art. 735, del Codice Civile, che
prevede la responsabilità contrattuale del trasportatore per accidente con
passeggero, non può essere esclusa per colpa di terzi, permettendo solo azione
regressiva, e l’art. 14 §,II, del CDC, che prevede che il fornitore di servizi non
sarà responsabilizzato quando si esonera dall’obbligo della prova quanto alla
colpa esclusiva del consumatore o di terzi.
La protezione contrattuale è anche trattata dallo Statuto Consumeristico ,
in ciò che riguarda le clausole contrattuali che, secondo l’art. 47, impone che
queste devono essere interpretate in maniera più favorevole al consumatore, il che
permette affermare pertanto, la applicabilità della norma più benefica.
In questo modo può accadere , in determinata circostanza, che una regola
specifica del Codice Civile favorisca la piena realizzazione dei valori
costituzionali come per esempio: la equità delle prestazioni; interpretazione
sfavorevole a chi a redatto il contratto, ecc.
Analizzando con attenzione i contratti di adesione, parte della dottrina
considera che , in materia di interpretazione dei succitati contratti, tre linee
maestre devono essere necessariamente osservate. In primo luogo, seguendo
l’orientamento dell’art. 1.570, del Codice Civile italiano, il contratto deve essere
interpretato, specialmente in relazione alle clausole dubbie, contro colui che
redige lo strumento. Aggiunge che tale orientamento è stato seguito nel sistema
normativo patrio attraverso l’art. 423, del Codice Civile del 2002, imponendo la
interpretazione più favorevole all’aderente nel caso della esistenza di clausole
ambigue o contraddittorie. In secondo luogo, le clausole che fossero state
do Consumidor e o Código Civil de 2002 – Convergências e Assimetrias, São Paulo: RT, 2005, p.
25/26
117
concordate individualmente devono prevalere su quelle stampate o uniformi.
Finalmente sono nulle le clausole che stipulino
la rinuncia anticipata
dell’aderente a diritto risultante dalla natura del negozio. 226
2.3 Principio della Buonafede oggettiva
Il principio della buonafede, è sempre indicato,
227
come associato
principio informativo del diritto obbligazionale essendo oggetto di studi, da lungo
tempo, da parte di importanti giuristi nazionali, tutto quanto facendo credere che
tale motivazione sia stata portata dai venti di diritto straniero, specialmente dal
BGB, che nel suo paragrafo 242 disponeva, in maniera espressa e per la prima
volta, sulla clausola generale della buonafede, influenzando senza dubbio il
legislatore patrio già nel 1850, al menzionare all’accennato principio nel nostro
Codice Commerciale, revocato, nella sua maggior parte, dall’attuale Codice
Civile. 228
La buona fede è stata oggetto della preoccupazione di variati civilisti
brasiliani laddove è stata sostenuta la esistenza implicita del principio nell’art. 85
del Codice Civile brasiliano del 1916. 229
In questa linea, si afferma con base in tale investigazione bibliografica, che
“ancora prima della sua formulazione nel Codice di Difesa del Consumatore, la
226
MARTINS Guilherme Magalhães. Formação dos Contratos Eletrônicos de Consumo Via
Internet, Rio de Janeiro: Forense, 2003, p. 136/137
227
NEGREIROS, Teresa. Fundamentos para uma interpretação constitucional do Princípio da
Boa-Fé, Rio de Janeiro: Renovar, 1998, p. 83
228
NEGREIROS, Teresa. Fundamentos para uma interpretação constitucional do Pincípio da
Boa-Fé, Rio de Janeiro: Renovar, 1998, p. 84
229
NEGREIROS, Teresa. Fundamentos para uma interpretação constitucional do Princípio da
Boa-Fé, Rio de Janeiro: Renovar, 1998, p. 84/87
118
buonafede soggettiva era già riconosciuta dalla comunità giuridica come un
principio fondatore del diritto obbligazionale…” 230
Nonostante che questa ’affermazione sia una realtà, la verità è che il
principio della buona fede, nella sua prematura configurazione nel diritto
brasiliano si trovava ancora ristretto ad una visione soggettiva, preso nei legami
del volontarismo del secolo diciannove, dando massima importanza alla
manifestazione della volontà dei soggetti. Lungi, pertanto dal presentare
i
delineamenti odierni dell’istituto che assume una nuova faccia, questa oggettiva.
I giuristi affermano che l’utilizzazione della clausola della buonafede nel
diritto brasiliano corrispondeva alla sua quarta ricezione. La prima sarebbe
avvenuta con la accoglienza dal diritto romano per mezzo delle ordinazioni; la
seconda si è dovuta alla influenza del diritto francese,partendo dal Codice di
Napoleone; la terza è stata dovuta alla influenza del diritto tedesco, specialmente
attraverso della dottrina della Scuola di Recife e della presenza marcante di Pontes
de Miranda; e la quarta con la adozione di un metodo di raziocinio proprio della
Common Law. 231
Si sottolinea, anche, che nella clausola generale, sia di buonafede che di
lesione, esiste una delega attribuendo al giudice il compito di elaborare il giudizio
valutativo degli interessi in gioco. Allega che essa è una realtà giuridica diversa
dalle altre norme (principi e regole), ed il suo contenuto solo può essere
determinato nella concretezza del caso.
Di fatto, non si può dimenticare che la buonafede ha le radici in un
concetto filosofico romano-cristiano dei principi generali di diritto, con base nel
principio del neminem laedere. Effettivamente, se è vietato il procedimento di
causare male all’altro, si deve, correlatamene, agire con lealtà, cooperazione e
230
NEGREIROS, Teresa. Fundamentos para uma interpretação constitucional do Princípio da
Boa-Fé, Rio de Janeiro: Renovar, 1998, p. 84
231
AGUIAR JR, Ruy Rosado de. A Boa Fé nas Relações de Consumo, São Paulo: Revista de
Direito do Consumidor, RT, p.
119
mutuo rispetto. Tali doveri, traspostati per la relazione obbligatoria ci portano a
credere in questa origine.
La dottrina enfatizza come prima previsione moderna della buonafede
oggettiva nel diritto brasiliano il mandamento legale dell’art. 4.o del Codice di
Difesa del Consumatore che, nel dare disposizioni sulla Politica Nazionale delle
Relazioni di Consumo, ha eretto l’accennato principio come determinante nelle
pratiche consumeristiche. Ugualmente, la norma contenuta nell’art. 51 del citato
diploma legale, ancora una volta, si è valsa della buonafede oggettiva, attribuendo
il carattere di nullità alle obbligazioni che sarebbero incompatibili con essa. 232
Si è allora allontanato il legislatore patrio dal concetto ristretto all’aspetto
soggettivo, con la entrata in vigore della legge consumeristica, come in dottrina si
è indicato, abbracciando un nuovo concetto di buonafede svincolata “dalle
intenzioni intime del soggetto…” La buonafede passa ad esigere comportamenti
oggettivamente adeguati a standard di condotta fondati nella lealtà, onestà e
collaborazione con lo scopo di attingere la economia contrattuale desiderata dalle
parti.
In questa prospettiva si afferma che il principio della buonafede anche se
assimilando , in grande parte, la “ sua versione originale germanica” come
clausola generale, stabilendo comportamenti oggettivamente adeguati alla realtà
sociale, incorporato al diritto brasiliano ha assunto differenti aspetti imponendo
“alle parti il dovere di collaborare mutuamente per il conseguimento dei fini
ricercati con la celebrazione del contratto. Ed è stato in questo senso che il
Codice di Difesa del Consumatore la ha incorporata (…)” 233
232
TEPEDINO, Gustavo. Obrigações na Perspectiva Civil-Constitucional, Rio de Janeiro:
Renovar, 2005, p. 31
233
TEPEDINO, Gustavo. Obrigações na Perspectiva Civil-Constitucional, Rio de Janeiro:
Renovar, 2005, p. 32
120
Questo aspetto differenziato, studiato, con profondità, dal citato giurista è
stato dato a causa della costruzione giurisprudenziale che è passata a utilizzare la
buonafede come “riequilibratoria” delle relazioni non paritarie. Tale funzione,
come notato in altro posto, non faceva parte della genesi della clausola generale di
buonafede, ma all’essere incorporata alla legislazione consumeristica, è passata ad
essere letta, da giudici e tribunali, sotto l’ottica protettiva della vulnerabilità del
consumatore.
Segnalando i differenti livelli di buonafede prendendo come punto di
riferimento il nuovo Codice Civile e il Codice di Difesa del Consumatore, è stato
affermano dai civilisti “che la applicazione del principio di buonafede oggettiva
nelle relazioni mercantili e societarie deve ripercuotere in modo differente da
quello considerato nell’ambito consumeristico. Il campo interimpresariale non è
solo paritario, nel senso che non esiste flagrante squilibrio tra le parti per essere
corretto dalla attività giurisdizionale, ma è caratterizzato ancora dalla presenza di
persone giuridiche che, in situazione di equilibrio economico e giuridico
negoziano diritti e obbligazioni, di forma puramente patrimoniale e perfino
matematico, in modo che all’acquisto di ogni diritto corrisponde un costo che , in
una forma o in un’altra , termina incorporato al prezzo della operazione…” Così,
concludono che “… la buonafede oggettiva non può essere applicata alla stessa
maniera alle relazioni di consumo e alle relazioni mercantili o societarie, per la
semplice ragione che gli standard di comportamento sono distinti…” 234
Da un lato si adduce che nella relazione contrattuale di consumo la
buonafede esercita tre funzioni principali: fornisce i criteri per interpretazione di
quello che è stato combinato dalle parti, per poter definire ciò che si deve
234
TEPEDINO, Gustavo. Obrigações na Perspectiva Civil-Constitucional, Rio de Janeiro:
Renovar, 2005, p. 42/43
121
intendere come adempimento puntuale delle prestazioni; crea doveri secondari e
annessi; limita l’esercizio di diritti. 235
Già la dottrina portoghese afferma che la concretizzazione della buonafede
implica nella genesi dei doveri accessori. 236
I riferiti doveri possono essere classificati quanto al momento della loro
costituzione, in doveri propri della tappa di formazione del contratto (di
informazione, di segreto, di custodia); doveri della tappa della
celebrazione
(equivalenza delle prestazioni, chiarezza, esplicitazione) ; doveri della tappa di
adempimento (dovere di reciproca cooperazione per garantire la realizzazione
delle finalità del contratto; soddisfazione degli interessi del creditore); doveri
posteriori alla estinzione del contratto (dovere di riserva, dovere di segreto, dovere
di garanzia della fruizione del risultato del contratto. Culpa post factum finitu )237
Quanto alla natura si può parlare in doveri di protezione (per evitare danni
mutui), doveri di chiarimenti (obbligazione di informarsi e di dare informazioni) e
doveri di lealtà (proibendo falsità o squilibri). 238
Come è naturale in un momento di solidificazione della teoria dei principi,
la buonafede, come tale, è stata la ragione di fondamento di molte sentenze, senza
che, effettivamente, rimanesse imprescindibile la sua utilizzazione.
Negli ultimi anni si assiste, principalmente attraverso decisioni giudiziali,
ad una riscoperta dei principi e valori costituzionali, ad imporre una lettura
secondo tali disposizioni della civilistica che porta, nel suo interno, una esigenza
di salvaguardia dell’equilibrio contrattuale, ogni volta che questo risulta violato e
235
AGUIAR JR, Ruy Rosado de. A Boa Fé nas Relações de Consumo, São Paulo: Revista de
Direito do Consumidor, RT, p. 30
236
CORDEIRO, Antonio Manuel da Rocha e Menezes. Da Boa Fé no Direito Civil, Lisboa:
Almedina, 1983, p. 603
237
AGUIAR JR, Ruy Rosado de . A Boa Fé nas Relações de Consumo, São Paulo: Revista de
Direito do Consumidor, RT, p. 30
238
AGUIAR JR, Ruy Rosado de. A Boa Fé nas Relações de Consumo, São Paulo: Revista de
Direito do Consumidor, RT, p. 30
122
causando danno alla parte più debole della relazione. In questo senso, il giudice
passa, per ragioni equitative, ad interferire e correggere il contratto secondo i
valori di equilibrio e della giustizia, anche se contrari alla volontà dei contrattanti
ed alla discrezionalità delle parti. 239
Nella letteratura portoghese, al parlare sul dovere di attuare secondo la
buonafede, si fa notare che la legge tedesca, per il fatto di fondarsi nella
codificazione di una giurisprudenza con esperienza e non in una ispirazione
legislativa pubblica, dimostra il compito della buonafede nel controllo dei
contenuti contrattuali , ottenuti per l’adesione a queste condizioni. 240
Come concretizzazione della buona fede si delimita l’esigenza di un
equilibrio materiale tra i vantaggi ottenuti in virtù del contratto delle parti, non
ammettendosi pregiudizi sproporzionati a qualunque di esse.
Il dovere di attuare, d’accordo con la buona fede, implica quello di non
pregiudicare, mediante condizioni negoziali generali, in modo sproporzionale, la
controparte. 241
Gli studiosi che si occupano del tema, nell’esporre sulla buonafede e
sull’obbligo di informare, distaccano l’importanza, sempre più accentuata,
appuntata dalla attenta dottrina italiana, delle funzioni ordinatorie delle molteplici
ipotesi di informazioni nelle relazioni interprivate, sottolineando che il dovere di
informazione “ovvero, per meglio dire, a quelle situazioni in cui la circolazione
della conoscenza costituisce oggetto di un comportamento necessitato. In tali
ipotesi, il valore giuridico dell’informazione emerge con chiarezza in quanto la
comunicazione della stessa rappresenta l’oggetto di un vero e proprio obbligo
239
MARUCCI, Bárbara. Equilibrio Contrattuale: un principio nella continuità in Rassegna di
Diritto Civile diretta da Pietro Perlingieri, Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2003, p. 220/221
240
CORDEIRO, Antonio Manuel da Rocha e Menezes. Da Boa Fé no Direito Civil, Lisboa:
Almedina, 1983, p. 658
241
CORDEIRO, Antonio Manuel da Rocha e Menezes. Da Boa Fé no Direito Civil, Lisboa:
Almedina, 1983, p. 658
123
giuridico, la violazione del quale comporta l’assoggettamento dell’inadempiente
ad un giudizio di responsabilità.” 242
In Italia afferma, ancora, la migliore dottrina, che la buona fede deve
essere utilizzata come un criterio ermeneutico nella interpretazione dei contratti,
alludendo all’art. 1.366 del Codice Civile italiano che dispone che il contratto è
interpretato secondo la buonafede. Adotta un criterio ermeneutico a prima vista
abbastanza promissorio. Questo presuppone una alternativa tra la interpretazione
condotta in modo contrario alla regola di buonafede, e la interpretazione condotta
in conformità a tali regole, e opta a favore della seconda soluzione. 243
2.4 Principio dell’equilibrio delle prestazioni
Il principio dell’equilibrio delle prestazioni trova il suo fondamento legale
negli articoli 4.o, III, 51, IV e 51, Par. 1°., III del Codice di Difesa del
Consumatore, avendo, come sottostrato, la solidarietà sociale e la uguaglianza
sostanziale, ambedue costituendo obiettivi della Repubblica con la finalità di
assicurare la diminuzione delle disuguaglianze sociali e regionali.
In Brasile si afferma che, così come i principi della buonafede e della
funzione sociale, il principio dell’equilibrio economico “porta all’ammissione
speciale di due figure::la lesione e la eccessiva onerosità”.
244
La proibizione che
impedisce che le prestazioni contrattuali esprimano uno squilibrio reale e
242
TARDIA, Ignazio. Buona fede ed obblighi di informazione tra responsabilità precontrattuale1
e responsabilità conrtattuale in Rassegna di Diritto Civile, diretta da Pietro Perlingieri, Napoli:
Edizioni Scientifiche Italiane, 2004, p. 725
243
SACCO, Rodolfo. Trattato di Diritto Civile, Il Contratto, Tomo Secondo, Torino: UTET, 2004,
P. 407
244
AZEVEDO, Antonio Junqueira de. Princípios do Novo Direito Contratual e
Desregulamentação do Mercado, Direito de Exclusividade nas Relações Contratuais de
Fornecimento, Função Social do Contrato e Responsabilidade Aquiliana do Terceiro que
Contribui para Inadimplemento Contratual in Revista dos Tribunais no. 750, São Paulo: RT, abril
1998, p. 113-120 apud Teresa NEGREIROS, contratos, op. cit. P. 155
124
ingiustificabile tra i vantaggi ottenuti da uno o l’altro dei contrattanti o, in altre
parole, la proibizione in cui non si consideri il contratto nel suo profilo funzionale,
costituisce espressione nel principio consacrato nell’art. 3º, III, della Costituzione,
principio della uguaglianza sostanziale.
245
Come bene evidenziato246, esiste una
relazione intrinseca tra il principio dell’equilibrio contrattuale ed il principio della
buona fede oggettiva.
È in questo senso la dottrina, al parlare sull’art, 4º del Codice di Difesa del
Consumatore, per quanto riguarda la Politica Nazionale delle Relazioni di
Consumo e suoi obiettivi, sottolinea che il legislatore ha optato per unire la
condotta secondo la buonafede, con l’equilibrio delle posizioni del polo fornitore
e del polo consumatore 247.
Essa afferma focalizzando che la buona fede ha, tradizionalmente, una
triplice funzione, cioè, attuare come canone ermeneutico integrativo, come fonte
di doveri giuridici e come limite all’esercizio di diritti soggettivi. Sommandosi a
queste funzioni si ha la funzione correttrice dello squilibrio contrattuale.
In questa interpretazione “per rendere possibile
il riequilibrio nella
prospettiva del Codice di Difesa del Consumatore, al fornitore sono imposti, sia in
conseguenza della previsione casuistica, sia in decorrenza del principio della
buonafede, una serie di doveri che pretendono minimizzare lo squilibrio reale (…)
Per quanto concerne le relazioni obbligatorie del consumo, il dovere di agire
conforme la buonafede è previsto in forma puntualizzata per esempio negli articoli
6º, incisi III, IV, V, VI; 12, in fine; 14, in fine; 18; 20; 28; 31; 36 e Par. unico; 39;
46; e 47. Ciascuna delle norme passibili di concretizzazione attua partendo da
245
AZEVEDO, Antonio Junqueira.Idem
BARLETTA, Fabiana Rodrigues. A Revisão Contratual no Código Civil e no Código de Defesa
do Consumidor, São Paulo: Saraiva, apud SALLES, Raquel Bellini de Oliveira, O desequilíbrio
da relação obrigacional e a revisão dos contratos no Código de Defesa do Consumidor: para um
cotejo com o Código Civil in TEPEDINO, Gustavo. Obrigações na Perspectiva CivilConstitucional, Rio de Janeiro: Renovar, 2005, p. 312
247
COSTA, Judith Martins. A Reconstrução do Direito Privado, São Paulo: RT, 2002, p. 646
246
125
questi testi, in uno specifico campo delle relazioni di consumo ossia la previsione
di diritti basici, del regime di rischi, dei doveri di informazione e chiarimento, del
regolamento della responsabilità per danni ecc.”248
La regola dell’art. 5º, V, prima parte del Codice di Difesa del Consumatore
conferisce al Giudice il mandato per modificarre le clausole contrattuali che si
presentino in un dato momento dell’aggiustamento contrattuale con prestazioni
sproporzionate. Si tratta, specificamente, del dover di riequilibrio economico con
l’accoglimento dell’istituto della lesione. 249
Gli autori condividono la stessa definizione della lesione, come “ il danno
che prova una delle parti a causa di una esagerata sproporzione tra il valore tra le
prestazioni interscambiate concomitantemente alla sua formazione, ed il risultato
di profitto, per parte di un beneficiario di una situazione di inferiorità in cui allora
si trova il pregiudicato”. 250
La lesione presuppone, di fatto, “contratto bilaterale commutativo e
sinnalagmatico in cui ci sia equivalenza tra le prestazioni, verificandosi la
sproporzione già nel momento della formazione del vincolo, e ciò differenzia la
lesione dalla eccessiva onerosità che è
superveniente alla conclusione del
contratto.” 251
In questo senso la misurazione dello squilibrio deve tenere conto del
vincolo obbligatorio nella sua pienezza, significando dire come parte della
dottrina che il Giudice deve mettere l’attenzione per i doveri annessi al contratto
e non solamente alla prestazione principale – considerando, in questo modo,
l’obbligo come un processo. 252
248
COSTA, Judith Martins. A Reconstrução do Direito Privado, São Paulo: RT, 2002, p. 646
COSTA, Judith Martins. Idem.
250
COSTA, Judith Martins. Idem.
251
COSTA, Judith Martins. Idem
252
COSTA, Judith Martins. Idem
249
126
Nella prospettiva del Codice di Difesa del Consumatore, il Giudice può
intervenire nella economia del contratto e modificare le prestazioni, nel caso che
verifichi la presenza di clausole lesive annullandole, in vista dello ristabilimento
dell’equilibrio contrattuale.
L’art. 5º V, nello stabilire, specificamente, il dovere del riequilibrio
economico contiene, nella sua seconda parte, un permissivo che autorizza il
Giudice a revisionare il contratto quando il fatto che si origina alla sua
conclusione fa diventare eccessivamente onerosa la prestazione.
La dottrina civilista brasiliana formula una critica che merita una
riflessione e, nel senso che la revisione contrattuale, per eccessiva onerosità,
prevista nel Codice di Difesa del Consumatore, non tutela qualunque perdita, o
qualunque rischio assunto nel contratto, qualunque frustrazione nel consumatore,
ciò che porterebbe a non considerare affatto il principio della auto-responsabilità
(anche derivante dal principio della dignità della persona umana) presumendosi in
modo assoluto, che il consumatore è un infans, un minorenne irresponsabile. La
professoressa di Rio Grande do Sul pensa che l’argomento debba essere
riconsiderato in basi realistiche considerando gli assiomi della modernità, “quello
che si tutela è il rischio straordinario, l’alea che rimane fuori del margine normale
tipico del contratto, cioè quella che suppone il sacrificio tipico economico
sproporzionato in relazione al corrispondente vantaggio del creditore.253
Si nota pertanto la opzione del primato della tutela delle relazioni
esistenziali a detrimento di interessi puramente materiali. È la valorizzazione
dell’uomo come ratio juris dell’art. 6º, V, del Codice di Difesa , condizionando
l’obbligazione al raggiungimento della funzione economica sociale e la sua
attuazione non può permettere grave pericolo alla sussistenza finanziaria del
debitore.
253
COSTA, Judith Martins. Idem.
127
Seguendo questa linea, si può arrivare alla conclusione della
imprescindibile solidarietà sociale tra i partecipanti “di un destino contrattuale
comune”. La relazione di obbligatorietà impone uno sforzo di cooperazione
reciproca tra le parti contrattanti, e questo elimina un sacrificio unilaterale di una
parte in relazione all’altra.
La norma contenuta nell’art. 6º, V, prescinde dalla imprevedibilità, nel
pensiero di parte della dottrina,254 secondo la quale “la revisione del contratto fatta
con atto giudiziale deve modellare il contenuto contrattuale, alla “relazione di
pesi” originale perché costituisce esigenza di una solidaria distribuzione di rischi.
Bisogna tenere in conto, tuttavia, un criterio oggettivo, cioè, la relazione stabilita
tra il costo iniziale della prestazione davanti al beneficio rappresentato per il
creditore dalla controprestazione. Se, tuttavia, la revisione fa in modo che il
contratto perda il suo destino originale come regolamento oggettivo di interessi,
dotato di senso e di determinata funzione economico-sociale, allora sì, in questo
caso bisognerà ricorrere al rimedio estremo dello scioglimento.
Si nota pertanto la opzione del primato della tutela delle relazioni
esistenziali a detrimento di interessi puramente materiali. È la valorizzazione
dell’uomo come ratio juris dell’art. 6º, V, del Codice di Difesa del Consumatore,
condizionando l’obbligazione al raggiungimento della funzione economica sociale
e la sua attuazione non può permettere grave pericolo alla sussistenza finanziaria
del debitore.
Seguendo questa linea, si può arrivare alla conclusione della
imprescindibile solidarietà sociale tra i partecipanti “di un destino contrattuale
comune”. La relazione di obbligatorietà impone uno sforzo di cooperazione
reciproca tra le parti contrattanti, e questo elimina un sacrificio unilaterale di una
parte in relazione all’altra.
254
COSTA, Judith Martins A Reconstrução do Direito Privado, São Paulo: RT, 2002, p. 648
128
La norma contenuta nell’art. 6º, V, prescinde dalla imprevedibilità, nel
pensiero di parte della dottrina,
255
secondo la quale “la revisione del contratto
fatta con atto giudiziale deve modellare il contenuto contrattuale, alla “relazione
di pesi” originale perché costituisce esigenza di una solidaria distribuzione di
rischi. Bisogna tenere in conto, tuttavia, un criterio oggettivo, cioè la relazione
stabilita tra il costo iniziale della prestazione davanti al beneficio rappresentato
per il creditore dalla controprestazione. Se, tuttavia, la revisione fa in modo che il
contratto perda il suo destino originale come regolamento oggettivo di interessi,
dotato di senso e di determinata funzione economico-sociale, allora sì, in questo
caso bisognerà ricorrere al rimedio estremo dello scioglimento.
255
,COSTA, Judith Martins A Reconstrução do Direito Privado, São Paulo: RT, 2002, p. 648.
129
CAPITOLO TRE
3.1 La Proibizione di abuso di dipendenza economica nel contratto
di subfornitura. La applicazione ad altri contratti di distribuzione.
La vocazione espansiva della proibizione di abuso di dipendenza
economica nelle relazioni tra imprese.
3.1.1 Aspetti generali.
Odiernamente c’è un ampio consenso sulla necessità di tutela del
contrattante debole , e questo ha portato i legislatori dei più diversi campi del
Diritto, alla proposizione di interventi correttivi della autonomia negoziale con
l’intuito di cercare situazioni di equilibrio tra le parti contrattanti. Si è arrivati
persino ad affermarsi che dentro dell’ordinamento esisterebbe un principio
generale di protezione delle disposizioni di vulnerabilità contrattuali, o perfino un
principio di tutela del consumatore, o dell’imprenditore debole.256
L’esistenza di un principio di protezione al contraente debole provoca il
questionamento se è possibile ammettere tale tutela, anche se è assente una
specifica norma legislativa, o se le norme di protezione avrebbero dei limiti in
situazioni di debolezza negoziale.
La tutela del contraente debole si trova presente non solo nelle leggi
contemporanee, ma già da qualche tempo era stata prevista dal legislatore dal
1942, contenendo il Codice Civile numerose norme che possono essere ricondotte
al principio di tutela del contraente debole.
256
Cfr. F. GALGANO. Diritto Civile e Commerciale, vol. 1, 2004, Padova, p. 135. Nello stesso
senso F. PROSPERI, Subforniture industriali, abuso di dipendenza economica e tutela del
contraente debole: i nuovi orizzonti della buona fede contrattuale in Rass. D.civ. 1999, p. 641.
130
Di fatto , lo sforzo in collocare in pratica questi strumenti idonei ad
assicurare la tutela del contraente debole in confronto con il contrante più forte,
può essere visualizzata nelle disposizioni in materia di vizio di volontà (come artt.
1427-1440 c.c.), in tema di azione generale di rescissione ( artt. 1447 e 1448 c.c.)
e alle condizioni generali di contratto (artt. 1341 e 1342 c.c.).
Come fa notare A .P. SCARSO, nella equivocata conoscenza della realtà e
nella mancanza di libertà di autodeterminarsi sarebbe immanente una situazione di
debolezza volitiva. Invece nella norma di azione generale di rescissione per
lesione esiste sempre una prospettiva di tutela della posizione di debolezza
negoziale in ragione della previsione tra i suoi elementi costitutivi della iniquità
dello scambio negoziale e allora una diretta considerazione degli interessi
economici del contraente debole.257
Tra le disposizioni contenute nel Codice Civile destinate a tutelare il
contraente debole, assume significativa predominanza la disciplina dei contratti di
massa la cui previsione legale si trova negli art. 1341 e 1342 del c.c., essendo la
ratio di tale normativa di condizioni generali del contratto e la esigenza di
eliminare qualunque abuso relazionato alla pratica dei contratti di adesione. In
tutte le discipline dei vizi di volontà e nella disposizione in materia di rescissione
negoziale si individuano normative di protezione del contraente debole che
sarebbero espressioni di un principio positivamente stabilito nel Codice Civile e
che vieterebbe l’abuso di altri in situazione di debolezza nella formazione della
volontà negoziale.
Già la posizione di debolezza negoziale disciplinata dalle condizioni
generali del contratto sarebbe e sua volta immanente nelle adesioni ad un contratto
predisposto in serie; sarebbe, allora, l’assenza di trattativa o in qualche modo la
forza contrattuale della impresa contrapposta alla vulnerabilità dell’unico
257
Cfr. A. P. SCARSO, sulla c.d. disparità di potere contrattuale studio juris, cedam, Milano,
2008, p. 5. V. ROPPO. Il Contratto in Tratt. Ludica-Zatti, Milano, 2001, p. 884.
131
contraente,
(utilizzatore
o
consumatore)
a
determinare
una
disciplina
convenzionale in grado di rendere il contratto iniquo, fortemente svantaggioso per
la parte vulnerabile, senza una adeguata e ragionevole contropartita.258
Sulla problematica dell’arricchimento ottenuto per mezzo di fatto ingiusto
R. SACCO, indicava nel 1959, all’analizzare tal situazione, segnali di protezione
del contraente debole facendo riferimento al principio di giustizia, affermandosi
che lo stesso vieta l’arricchimento a tale titolo e che, pertanto, nella ricerca di
equilibrio tra le parti contrattanti tale comportamento lesivo di approfittare di altri
ferirebbe l’idea basica della giustizia contrattuale.259
Con precise riflessioni sulle nuove prospettive della protezione dei
consumatori, G. ALPA già indicava la difficoltà di disciplinare questioni
fondamentali sul tema, considerata la grande varietà, dovuta ai diversi modelli
adottati negli ordinamenti nel tempo anteriore alla produzione comunitaria: “vi
sono modelli che tutelano non solo il consumatore ma, più estesamente, la parte
debole; modelli che recano norme speciali in singoli settori; modelli che hanno
addirittura costituito la falsariga dell’azione comunitaria che ad essi si è
generosamente ispirata. Ma vi sono anche modelli che ignoravano il consumatore,
presente solo in una letteratura vastissima che tuttavia non aveva avuto alcuna
influenza sul legislatore nazionale”.260
L’evoluzione dei diritti dei consumatori nella direzione del diritto dei
cittadini incontra una barriera nella nozione restrittiva di diritto del consumatore
abbracciata dal diritto comunitario. Riassumendo, come commenta G. ALPA, il
258
Cfr. U. MORELLO, Condizioni generali di contratto in dig. Disc. Priv. – sez. Civ. III, Torino
2001 (rist.), p. 335
259
CFR. R.SACCO. L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto, Edizioni Scientifiche
Italiane, Unione Tipografica – Editrice Torinese, 1959, p. 8. Ristampa della scuola di
perfezionamento in diritto civile dell’Università di Camerino a cura di Pietro Perlingeri, 1980. Alla
metà della decada del settanta già indicava questo cammino F. MESSINEO.
260
Cfr. ALPA, G. Nuove Prospettive della protezione dei consumatori, in La Nuova
giurisprudenza civile commentata, Milano, Cedam, 2005, p. 101.
132
diritto dei consumatori continua ad essere un diritto “separato” dal diritto
nazionale e un diritto di dimensione economica nel contesto del Diritto
europeo.261
L’influenza del diritto comunitario sugli ordinamenti nazionali ha fatto sì
che la comunità introducesse regole riguardanti il diritto contrattuale per
segmenti. Possiamo pensare alle informazioni pre-contrattuali al diritto di recesso,
alla trasparenza del contratto, alle clausole abusive.
Per la Commissione e per la Corte di Giustizia il diritto contrattuale è
proveniente da un segmento di un diritto della concorrenza ed allora tende a
proteggere gli interessi economici delle imprese più che gli interessi delle parti
contrattanti.
Nei sistemi romanistici si osserva il tentativo di rendere omogeneo un
diritto di derivazione comunitaria al diritto interno, ma si evidenziano molte
lacune. Già nei sistemi di modello germanico troviamo maggiori difficoltà per
arrivare a questa coerenza. Le considerazioni degli studiosi262 indicano che, per
essere individuate le prospettive di un diritto del consumatore, non sia voltato agli
interessi economici in relazione alla parti in conflitto, ma che debba prima di tutto
fondarsi sulla protezione dei diritti della persona che nella scala dei valori non
possono essere nè proposti e nè equiparati ai diritti di natura economica.
3.1.2 La Dipendenza economica
La dottrina civilistica da alcuni anni si dedica con più attenzione e maggior
frequenza sui temi di abuso di autonomia negoziale, della tutela del contraente
261
Cfr. ALPA, G. Nuove Prospettive della protezione dei consumatori, in La Nuova
giurisprudenza civile commentata, Milano, Cedam, 2005, p. 102
262
Cfr. H. MICKLITZ. De la necessité d’une nouvelle Conception pour le developpement du droit
de la consomattion dans la Communauté Europeene, in Melange en l’honneur de Jean CallaisAuloiy, Dalloz-Sirey, 2004, 725 ss. In G. ALPA, Nuove Prospettive della protezione dei
consumatori, in La Nuova Giurisprudenza civile commentata, Milano, Cedam, 20056, p. 102.
133
debole e contratto ingiusto.263 C’è un rinnovato interesse su questi argomenti,
visto che sono affrontati all’interno di una prospettiva più ampia, ossia, quella
della estensione della tutela non appena all’aderente nei contratti di massa, o del
consumatore, ma anche dell’imprenditore nelle relazioni commerciali.
Come fatto notare da A.P. SCARSO, la normativa delle clausole
vessatorie ha marcato un saldo di qualità nella tutela apprestata conforme art. 33
ss del Codice del Consumo.264
L’attenzione della dottrina è stata orientata principalmente sul regime del
divieto di abuso di dipendenza economica prescritto dall’art. 9.º, legge 18 giugno
1998, n. 192, ed in particolare sulle regole che comminano la nullità delle
condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose. Regola questa che prevede il
controllo di equità e dell’accordo degli interessi privati. 265
Ambedue le disposizioni ed i rispettivi provvedimenti normativi
testimoniano l’orientamento legislativo di stigmatizzare l’abuso di posizione
dominante contrattuale, e di collocare un rimedio mediante interventi correttivi
alla autonomia negoziale con la finalità di stabilire l’equilibrio tra le parti nel
contratto. Bisogna osservare, come fa la dottrina, che la situazione di debolezza
contrattuale del consumatore disciplinata nelle normative delle clausole vessatorie
come quella dell’imprenditore regolato nella legge di subfornitura, sia considerata
non in ragione di parametri oggettivi, ma in funzione di uno status, come
consumatore, come imprenditore.266
263
Cfr. G. DI LORENZO. Abuso di dipendenza economica e contratto nullo,
2009, p. 1
264
Cfr. A. P. SCARSO, sulla c.d. disparità di potere contrattuale. Studio juris,
2008, p. 5.
265
Cfr. G. DI LORENZO. Abuso di dipendenza economica e contratto nullo,
2009, p. 5.
266
Cfr. A. P. SCARSO, sulla c.d. disparità di potere contrattuale studio juris,
2008, p.5.
cedam, Milano,
cedam, Milano,
cedam, Milano,
cedam, Milano,
134
Come fa notare A. DI BIASI, il panorama dottrinario e giurisprudenziale
circa il divieto di abuso di dipendenza economica è ancora incerto e oscillante. Sia
per quanto dice rispetto all’inquadramento sistematico sia per quanto concerne la
concreta applicazione di questo istituto; è da tutti accettato che tale normativa,
dopo di aver prescritto le regole generali di proibizione di abuso di dipendenza
economica da parte di una impresa in relazione ad un’altra, sanziona con nullità il
patto attraverso cui si realizza tal abuso. Questa prescrizione per la prima volta fa
riferimento ad una situazione di “debolezza contrattuale” ad un soggetto diverso
dal consumatore, cioè, un imprenditore. Considera per questo il legislatore che
situazioni di squilibrio contrattuale possano darsi fuori dei limiti consumeristici,
verificandosi anche nelle relazioni tra imprese.267
Come distacca A. P. SCARSO, sembra che sia prevalente nella dottrina
l’affermazione che l’abuso di dipendenza economica prescritto dall’art. 9º., legge
18 giugno 1998, n. 192, è applicabile in tutti i contratti tra gli imprenditori.268 M.
BIANCA afferma che questa regola consiste in norma generale e che include il
principio della buona fede nelle relazioni tra imprenditori.269
Sul tema, F. PROSPERI fa notare che l’abuso di dipendenza economica
non costituisce altro che una specifica espressione di un comportamento contrario
alla buona fede, affermando che nemmeno il controllo sulla congruità del
contenuto contrattuale che questo comporta, sembra aver caratteristiche
eccezionali, dovendo, al contrario, essere considerato come l’applicazione
specifica dei principi fondamentali dell’ordinamento.270
267
Cfr. A. DI BIASE. La vocazione allargata di divieto di abuso di dipendenza economica nei
rapporti tra imprese limiti e presupposti applicativi. Rivista di diritto dell’impresa, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli, 2007, p. 543.
268
Cfr. A. P. SCARSO. Abuso di dipendenza economica, e autonomia contrattuale e diritto
antitrust, I parte, in Responsabilità civile e previdenza, gennaio 2008, Milano, Giuffré, p. 261.
269
Cfr. C.M. BIANCA, Il Contratto, Diritto Civile III, Giuffré, Milano, 2000, p. 405
270
Cfr. F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica – profili
ricostruttivi e sistematici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002, p. 346.
135
Di fatto, afferma che la tutela della posizione della parte contrattuale
debole trova solide radici nello sforzo costituzionale in favore della solidarietà e
della uguaglianza sostanziale prevista negli artt. 2 e 3, comma 2, cost., che
trasforma non solo in legittimi, ma in necessari gli interventi legislativi diretti a
correggere queste disparità socio-economiche che impediscono alle parti di godere
della stessa libertà di determinare il contenuto del contratto.
Effettivamente, il contratto di subfornitura non ha, in realtà, disciplinato
un nuovo contratto tipico, autonomo ed alternativo, rispetto a figure negoziali
tradizionali, ma avrebbe, al contrario, configurato una specie di tipo di contratto
generale dovuto al suo carattere di trasversalità. Il problema della norma di
applicazione dell’art. 9º, legge 18 giugno 1998., n. 192, è stato affrontato dalla
giurisprudenza, che in modo maggioritario, forse mossa dalla preoccupazione di
non estendere il campo di operatività di una normativa di potenziale
trasformatore, sia stata molto cautelosa e rigorosa nel considerare le disposizioni
in materia di proibizione di abuso di dipendenza economica come una norma di
settore applicabile pertanto solo alle relazioni di subfornitura come definite
nell’art. 1 della legge n. 192/1998.
Per sostenere questa tesi, sono presentate varie argomentazioni. In primo
posto, la collocazione sistematica della norma inserita in una legge il cui titolo
“disciplina la subfornitura nelle attività produttive” disciplina solo tale
operazione. D’altro lato, una interpretazione estensiva violerebbe il principio
costituzionale della libertà di contrattare espresso negli artt. 41 cost. e 1321, 1322,
1326, 137, c.c. Seguendo questa lettura, la norma sull’abuso di dipendenza
economica costituirebbe parte integrante della legge n. 192/1998 e pertanto
applicabile esclusivamente quando configurata la fattispecie tipica di subfornitura
nel senso dell’art. 1 della stessa legge.
136
Consolidata tale posizione ha interpretato il Tribunale di Bari, nell’ord. del
2 luglio 2002 “è assolutamente contrario ai principi di ermeneutica giuridica
ritenere che una norma inserita in una legge di settore che disciplina la
subfornitura nelle attività produttive, abbia un effetto così dirompente da
stravolgere tutti i principi in materia contrattuale, introducendo un potere così
penetrante in capo al giudice, il quale può riequilibrare l’assetto del contratto”.
Peraltro si aggiunge che la proibizione di abuso di dipendenza economica,
se applicabile fuori della stretta regolamentazione della subfornitura, si
rivelerebbe in modo assoluto come spezzando i principi di comune applicazione
in materia contrattuale, conforme già determinato dalla giurisprudenza, come può
essere verificato dalla ordin. 22 dicembre 2003, del Tribunale di Taranto.
In altre parole, si verifica chiaramente tutta la contrarietà mostrata dalla
giurisprudenza nel cammino di una normativa di forte contenuto protettivo per il
soggetto debole, e che legittima in certo modo e dentro di certi limiti, un esame
giudiziale sull’equilibrio normativo dello scambio negoziale in assoluto disprezzo
dell’antica sentenza pacta sunt servanda.271
Seguendo una linea di pensiero diversa, analizzando la letteralità della
norma che, all’individuare i soggetti protetti dalla proibizione di abuso di
dipendenza economica, non parla in subfornitura e committente , locuzioni al
contrario previste nell’art. 1, ma utilizzata in diversi termini di “impresa cliente o
fornitrice”. Oltre a questo, c’è anche la determinazione da parte del legislatore che
afferma: “l’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di
comprare”.
Deporrebbero a favore dell’ampliamento dell’ambito di applicazione del
divieto di abuso di dipendenza economica i lavori preparativi della legge n.
271
Cfr. R. RINALDI- F. TURITTO. L’abuso di dipendenza economica in P. SPOSATO-M.
COCCIA. La disciplina del contratto di subfornitura nella legge n. 192 del 1998, p. 121. Per il
citato autore una espansione della norma oltre ai limiti della subfornitura sarebbe contraria sotto
gli aspetti sistematico e teleologico.
137
192/1998 che seguendo un piano di interpretazione storica risulterebbero
dall’espresso riferimento alla legge tedesca in tutte le relazioni esposte dalla legge
contro
la
limitazione
della
concorrenza
(Gesetz
gegen
Wettbewerbsbeschrankungen – GWB), come ugualmente all’art. 8 dell’ordinanza
Francese del 1º dicembre 1986, n. 1243, nei due casi le norme non si limitano alla
subfornitura, come anche la originaria collocazione della normativa della
subfornitura nella legge antitrust, visto che in questa sede la norma prescinde
necessariamente da qualunque riferimento al contratto in oggetto.
Gli studi preparatori indicano che l’abuso di dipendenza economica
dovrebbe essere incluso nella legge antitrust di n. 287, del 1990 e, pertanto,
all’interno di una legge di carattere generale. Frattanto prevalse la interpretazione
della autorità garante della norma della concorrenza e del mercato limitando l’
applicazione della norma alla relazione negoziale della subfornitura.
L’art. 9 di fatto, lungi dal configurarsi come disposizione di carattere
eccezionale, non costituisce altro che espressione dei principi generali di divieto
di abuso di diritto, di correttezza, di giustizia ed equità nelle relazioni contrattuali
e più genericamente di solidarietà.
Considera la dottrina che è stata una caratteristica tradizionale nel concetto
del diritto l’esatta corrispondenza degli effetti della volontà espressa dalle parti
nell’accordo, e che di fatto le norme che assicuravano protezione al contrattante
debole ebbero, tuttavia, un carattere eccezionale, perché considerate in contrasto
con il principio fondamentale della uguaglianza giuridica dei contrattanti che
imponeva che le parti dovrebbero essere considerate ugualmente libere per
regolare la sorte dei loro propri interessi.272
272
Cfr. F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economia – profili
ricostruttivi e sistematici, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, 2002, p. 640.
138
Tale prospettiva, come afferma F. PROSPERI, si dimostra fragile e
discutibile, principalmente per non prendere in considerazione la incidenza
sull’istituto del contratto dei principi costituzionali. Nonostante ciò si incontra del
tutto smentita nella introduzione del Codice che sotto il titolo 2, espressamente
dedicato ai contratti in generale, tratta della disciplina dei contratti del
consumatore, che si dedica a garantire una tutela generale al consumatore e
pertanto applicabile a tutti i contratti di adesione conclusi dal consumatore di
questa natura.
Così, la legge di subfornitura deve essere interpretata considerando la
esigenza di operare in modo impositivo a favore del contrattante debole. Questa
specie di tutela è espressione di un principio generale che sembra caratterizzare
grande parte della legislazione privatista di origine comunitaria.
Occorre, poi, con la citata legge una previsione di carattere generale
destinata ad operare oltre all’ambito specifico delle relazioni di subfornitura,
proibendo il divieto di dipendenza economica in tutti i rapporti tra imprese al
sanzionare con nullità il patto in cui si dà tale abuso.
Si tratta di una norma particolarmente importante, potenzialmente
suscettibile di incidere profondamente sulla disciplina del contratto in generale,
dato che con essa, per la prima volta, si afferma in modo espresso, che l’obiettivo
dello squilibrio delle relazioni contrattuali, cioè la semplice ingiustizia delle
ragioni di scambio, è sufficiente a determinare la invalidità del contratto,
prescindendo da qualsiasi altra considerazione relativa alla integrità del consenso
e alla capacità di agire dei contrattanti.273
Effettivamente, si deve allora parlare di una profonda revisione del
compito e della funzione tradizionalmente assicurata alla nozione di autonomia
privata, che non possono essere considerati un valore in se stesso, dovendo il suo
273
Cfr. F. PROSPERI. Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza econômica – profili
ricostruttivi e sistematici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002, p. 642..
139
esercizio come qualunque altro comportamento rilevante adeguarsi in concreto
alle scelte sostanziali che caratterizzano l’ordinamento,
274
specialmente con la
crescente normativa direttamente derivata dall’ordinamento comunitario che dà
enfasi alla tutela dei soggetti considerati socialmente deboli, e il risorgere dei
principi generali come il divieto di dipendenza economica basato in valori
costituzionali.
Riflettendo sulla autonomia privata e sull’equilibrio contrattuale, F.
BENATTI indica la esistenza di varie interpretazioni. Attualmente assicura che
sono due le tesi che prevalgono sulla applicazione della equità; la prima intende
che l’equità è un insieme di norme oggettive preesistenti alla discussione, che si
differenziano da quelle positivate appena dalla fonte. Le positive sono emanate
dalla cultura sociale del tempo. Per l’altra tesi, si richiama come sostegno la storia
ed il diritto comparato, essendo la equità applicabile nel riempimento delle lacune
lasciate dal legislatore, correggendo le omissioni dovute al fatto con cui lo stesso
si sia espresso in termini parziali. Per questa corrente, la equità non si contrappone
al diritto. Tra i due concetti esiste una relazione di continuità. L’ equità ha una
funzione correttiva.275
Riprendendo la classica classificazione di Ralph Newman, G. ALPA276 ha
catalogato i seguenti principi di equità: “ principi basati sul precetto di onestà (ad
esempio: i diritti devono essere fondati sulla sostanza e non sulla forma); principi
basati sul principio di buona fede (ad esempio: sono protette le aspettative
ragionevoli in ordine alla condotta di altri; la legge non tutela le persone senza
scrupoli che intendono realizzare ad ogni costo i loro progetti); principi basati sul
274
Cfr. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Edizioni Scientifiche
Italiane , Napoli, 1991, p. 134 ss.
275
Cfr. F. BENATTI, Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, scritti in memoria di Giovanni
Cattaneo, tomo primo, Giuffré, Milano, 2002, p. 179.
276
Cfr. G. ALPA, L’arte di giudicare, Bari, 1996, p. 169 ss. In F. BENATTI, arbitrato di equità
ed equilibrio contrattuale, scritti in memoria di Giovanni Cattaneo, tomo primo, Giuffré, Milano,
2002, p. 180.
140
precetto di generosità (ad esempio: mitigazione del danno); principi basati
sull’onestà e sulla generosità (ad esempio: modificazione degli effetti del contratto
in caso di difficoltà o di difetto di controprestazione; i benefici ottenuti a seguito
di sinistri o di errori debbono essere soppressi o restituiti a coloro che sono
maggiormente legittimati ad acquisirli).”
Tali principi sono espressi come terminologia diversa nell’ordinamento
italiano essendo articolata la equità nei principi della buona fede, nell’uso onesto
del commercio, nella ragionevolezza, nella efficienza.
Nel diritto positivo sono inserite numerose norme che applicano l’equità
(cfr. gli artt. 1362-1366, 1364, 1460, comma 2, 1526, c.c.). Frequentemente il
diritto applicato ha creato una norma che è emanata dalla uguaglianza, per
esempio nell’art. 1181, c.c. che stabilisce che il creditore può rifiutare
l’adempimento parziale, anche nel caso in cui la prestazione fosse divisibile.
Questa disposizione è considerata corretta nella misura in cui la ricusa illegittima
e contraria la buona fede.
Si
afferma
inoltre
che
la
clausola
risolutiva
espressa
opera
indipendentemente dalla gravità dell’inadempienza, questo perché il potere di
risolvere il contratto per forza dell’art. 1446, c.c. è soggetto alla regola della
buona fede, ugualmente come esercizio di qualunque potere giuridico.
L’opinione diffusa nell’ordinamento italiano, adduce la mancanza di un
principio generale diretto che garantisca la giustizia dello scambio e non intacchi
la intrinseca giustizia del contenuto del contratto.277
L’ordinamento giuridico interviene solo per controllare il quadro esterno
delle circostanze la cui scelta o decisioni sono state assunte e devono essere
277
ROPPO, voce contratto, in Dig. Disc. Priov. – Dez Civ. Torino, 1989, p. 135 in F. BENATTI,
Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, scritti in memoria di Giovanni Cattaneo, tomo
primo, Giuffré, Milano, 2002, p. 183.
141
esecutate e, per questo, la tutela è solo formale sulla correttezza della modalità
esterna nella quale lo scambio è deciso e realizzato.
I rimedi per correggere lo svolgersi delle operazioni economiche dei
contrattanti sono rappresentati da norme sulla incapacità naturale (art. 428, c.c.),
sui vizi di volontà, sulle azioni di rescissione (artt. 1447, 1448, c.c.) e da eccessiva
onerosità (art. 1467, c.c.). Si aggiunga anche l’istituto del presupposto .278
Questa posizione sembra anche confermata dall’art. 1469-ter, comma 2, in
tema di clausola abusiva che dispone: “ la valutazione della clausole vessatorie
non attiene… all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali
elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”.
L’economia di mercato esige che i rischi non possano essere distribuiti di
forma contraria al modo pattuito, esigendosi certezza e stabilità delle relazioni,
comporta il libero gioco della equivalenza, che è rappresentata dal punto di
incontro degli interessi opposti dei contrattanti, che non può essere alterata se non
in presenza di circostanze eccezionali e abnormi per l’intervento del giudice.
Questo orientamento è accettato dai pratici, dalla dottrina prevalente e
dalla giurisprudenza, anche se, attualmente, passa per una revisione che coglie
frutti nella recente letteratura, sintomi che portano a una modifica del concetto
tradizionale di scambio.279
Per quanto si riferisce al contratto dei contrattanti nel periodo delle
trattative, e che incide nella conclusione del contratto, ha valore indiscutibilmente
il principio della buona fede ex. 1337, c.c., che stabilisce i limiti in cui la
scorrettezza di un contrattante fondamenta un’azione di responsabilità dell’altro
278
F. BENATT, Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, scritti in memoria di Giovanni
Cattaneo, tomo primo, Giuffré, Milano, 2002, p. 184. Fuori di queste opzioni non esistono altre
forme idonee ad assicurare la giutizia del contratto per quanto si riferisce ai valori economici.
279
F. BENATTI. Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, scritti in memoria di Giovanni
Cattaneo, tomo primo, Giuffré, Milano, 2002, p. 184.
142
contrattante vittima di slealtà e di disonestà. Bisogna evidenziare che è importante
delimitare ciò che la parte deve comunicare all’altra in ragione della buona fede.
La frequente affermazione che l’obbligo di comunicare sia determinato
dalla qualità delle parti, dalla natura del contratto, dall’oggetto delle prestazioni,
dalla complessa situazione in cui si è fatta la stipula dell’accordo, sono
affermative generiche. La stessa osservazione deve venire incontro a ciò che dice
relazione alla disparità di imposizioni economiche, molte volte denominate come
rilevante disparità e ancora la nozione vaga e troppo utilizzata di contraente
debole e consumatore.280
Tutto questo deve essere delimitato dal concetto di essenzialità delle
informazioni, dovendo escludere la situazione del mercato, la convenienza del
negozio ed i fini speculativi. Non si può disprezzare, inoltre, la considerazione del
costo delle informazioni. Le informazioni sono costose e la correttezza non
impone altruismo.281
3.2 La teoria dell’abuso e la nullità di protezione nei contratti.
Contemporaneamente si discute sulla configurazione della nullità nel così
chiamato nuovo diritto dei contratti in generale e specialmente nei contrati del
consumatore. La differenza della nullità codicista generale si riferisce a elementi o
requisiti dell’atto, o alla contrarietà di questo o di quell’atto nella sua totalità a
norme imperative di ordine pubblico o di buon costume ( art. 1343, ss. e 1418).
280
F. BENATTI, Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, scritti in memoria di Giovanni
Cattaneo, tomo primo, Giuffré, Milano, 2002, p. 187
281
F. BENATTI, Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, scritti in memoria di Giovanni
Cattaneo, tomo primo, Giuffré, Milano, 2002, p. 187.
143
La nuova nullità, al contrario è determinata dall’esercizio non approvato
della libertà contrattuale. Dipende pertanto non direttamente dall’atto, ma dall’atto
posto nel contesto abusivo proprio del settore contrattuale di riferimento e della
verifica sull’esercizio della libertà contrattuale della impresa sviluppata in questo
contesto.282
3.3 Il problema del contratto giusto e della verificazione del
contratto analizzato sotto l’esercizio della libertà contrattuale.
Analizzando lo scenario complesso dell’ordinamento si avverte che la crisi
dei discorsi legittimati dalla prassi moderna sono denunciati da tutte le varianti
teoriche del postmodernismo, facendo rifiorire nel dibattito pubblico tanto
filosofico economico quanto giuridico, lo sconfortante tema della giustizia e di ciò
che si intende come decisione etica.
Attualmente, per quanto si riferisce alla fenomenologia giuridica, le
riflessioni
sono
specialmente
intensificate
sull’istituto
del
contratto,
moltiplicandosi smisuratamente. Afferma F. DI MARZIO che è il tramonto del
sole del diritto formale borghese e del giuspositivismo classico “il venire meno
delle vecchie idee sulla libertà contrattuale come astratta liceità di azione e
manovra economica…”283
Il riferito autore introduce, nel dibattito, la proposta teorica di J.
HABERMA, R. ALEXY e J. RAWLS284 accennando al fatto per cui l’idea di
giustizia nel contratto sempre ha considerato l’accordo artificiale degli interessi
282
F. DI MARZIO, teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in Studi In onore di Nicolo
Lipari, Tomo I, Milano, 2008, p. 861.
283
F. DI MARZIO, Teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in Studi in onore di Nicolo
Lipari, Tomo I, Milano, 2008, p. 863.
284
F. DI MARZIO, Teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in Studi in onore di Nicolo
Lipari, Tomo I, Milano, 2008, p. 864.
144
ottenuti dalle parti, e che aveva come risposta l’idea diffusa secondo cui il
migliore arbitro dei propri interessi sarebbe qualsiasi di noi, il che presupponeva
l’attivazione del dialogo e della negoziazione.
La scelta possibile di un accordo di interessi è allora un accordo su uno
schema di regolamento per ottenere l’esito della trattativa. Secondo il modello
della etica procedimentale ciò che porta alla giustizia del contratto è assicurata
dalla parità delle parti nella conduzioni delle trattative. La comune soggezione alle
necessità e alla condivisione delle aspettative e dei desideri. In sintesi, la
condizione dialogante “di conflittuale cooperazione” in cui tali soggetti sono
equiparati dalla legge. Questa condizione originaria del mutuo riconoscimento
della soggettività dialogante è allora della affermazione che precede il contratto
della dignità reciprocamente riconosciuta dalle parti. Tutto questo apparato, come
indica F. DI MARZIO, cessa con l’arrivo dei contratti in serie che decretano la
fine del dialogo negoziante. Si tratta, secondo l’autore, di una vera e propria
rivoluzione copernicana.285
La libertà contrattuale degli aderenti è pregiudicata non solo dal punto di
vista dell’ampia gamma di opportunità che offriva il contratto negoziato per una
riduzione nel contratto predisposto solo alla adesione, ma anche dal punto di vista
delle condizioni procedimentali per attingere il risultato, una volta che l’accordo
degli interessi può anche soddisfare l’aderente , ma rimane ineludibile che ci sia
stata la sua contribuzione nella sua composizione.
Il contratto non negoziato è autorizzato dal diritto positivo producendo la
esigenza di un controllo sostanziale. Solo questo diventa capace di rispondere alle
aspettative della economia e del mercato in un accordo efficiente degli interessi
nei contratti utilizzati dalle imprese nel mercato.
285
F. DI MARZIO, Teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in Studi in onore di Ni9colo
Lipari, Tomo I, Milano, 2008, p. 864. J. HABERMAS, Faktizitat und Geltung, p. 262.
145
Sembra, allora, che la nuova struttura dell’ordinamento, ampiamente
espressa nell’ambito giuridico economico nelle regole del mercato concorrenziale,
determina l’approssimazione delle regole sul contenuto del contratto con le regole
sulla formazione del contratto, come chiaramente dimostra la innovativa
disciplina di clausole abusive.
A questa approssimazione risulterebbe una scelta positiva giustificata nella
sua razionalità dalla tecnica di nullità, di fatto fondata sulla verificazione del
contenuto del contratto, molto più che dalla inefficacia.
Non differentemente, una nitida trasformazione della prospettiva con
relazione al giudizio di nullità, il controllo sul contenuto non focalizza il contratto
ma presuppone il controllo sulla attività che lo forma. Dal controllo dell’atto
deriva certamente il controllo della attività che lo forma.
Nella terminologia e nella logica della teoria dell’abuso, dal giudizio
astratto sul contratto si arriva al giudizio concreto sull’esercizio della libertà
contrattuale che traspare dall’esame dell’atto nel contesto rilevante in cui fu fatto.
Da questo esercizio si indaga la estensione perché si possa giudicare la sua
ragionevolezza in relazione all’atto. Così, su altro piano si può analizzare la
razionalità del contratto in relazione al mercato.
Nel cambiamento del paradigma la negativa dell’abuso che si fondava
nella autonomia della volontà passa ad essere, nei contratti di adesione, il
fondamento che rende possibile utilizzare la teoria dell’abuso nella difesa della
propria autonomia.
146
3.4 La proibizione dell’abuso di dipendenza economica e il
franchising
La etica sta conquistando spazi sempre più ampi nell’ambito delle
relazioni economiche e anche delle regolamentazioni giuridici. La rigida
distinzione tra la sfera giuridica e la sfera morale che distinse tutto il pensiero
giuridico moderno partendo dalle prime distinzioni di Tommaso d’Aquino e dalle
riflessioni kantiane contenute nella metafisica dei costumi sembra superata.286
Gli studi giuridici stanno conoscendo una autentica svolta . La realtà è che
tra gli economisti è diffusa la convinzione che non tutti i comportamenti umani
sono riconducibili a scelte razionali e neanche tutte le motivazioni di tali
comportamenti sono ispirate in incentivi monetari. Nuove ricerche sia nel campo
della economia cognitiva sia nel campo della economia sperimentale mostrano
aperture sempre più insistenti nel rivisitare l’etica nel presupposto di che sul
comportamento umano dipenda da una molteplicità di fattori, anche etici, e che
generalmente le determinazioni assunte in ambito economico non possono
sistematicamente prescindere da una valutazione assiologica.
L’Etica appare come l’unica fonte idonea e plausibile per proporre codici
di valori comuni, decaloghi di pratiche condivise, complesso di regole che non si
esauriscono appena nella logica delle relazioni di forza e di compromessi di
potere, dei deficienti programmi di coordinamento e di coerenti quadri di
regolamentazioni.
Nell’aspetto giuridico fa notare G. CONTE che la Etica si spande
inizialmente per mezzo della così detta soft law, ma anche per mezzo delle
286
Cfr. G. CONTE, Vincoli giuridici, principi economici e valori etici nello svolgimento
dell’attività di impresa in Studi in onore di Nicolo Lipari, Tomo I, Milano, 2008, p. 488.
147
tradizionali fonti rigide.287 D’altro lato le fonti legislative anche esigono regole
etiche di comportamento per introdurre una più efficace regolamentazione
giuridica dei fenomeni specialmente complessi.
Anche il legislatore comunitario si è già occupato, tempo addietro, con la
Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, ricevuta in Italia
attraverso il decreto legge n. 146/2007, di incentivare l’adozione da parte degli
operatori economici di codici di comportamento, invitando le organizzazioni di
settore a promuovere la diffusione di pratiche considerate corrette, sul piano etico,
integrative della disciplina legislativa.
Rimane importante mettere in evidenza che i valori applicati ai contratti
devono essere legittimati sotto la prospettiva delle regole giuridiche, come
afferma A. FALZEA, anche nel caso in cui il suo contenuto normativo non sia
originale totalmente o parzialmente, ma ritirato da un altro sistema culturale,
l’aggettivazione della generalità per la variante terminologica della clausola
evidenza la funzione dello standard operando per settori normativi e non in
funzione di una singola norma.288
L’analisi rivela prima di tutto che l’oggetto della valutazione , per
esempio, in termini di correttezza, di gravità o di buona fede è sempre ed
esclusivamente un comportamento che si inquadra in una situazione sociale
oggetto di interesse, giacché, per conto suo, possiede una autonoma
valorizzazione giuridica. Per esempio, “le trattative precontrattuali, l’agire in
287
Cfr. G. CONTE, Vincoli giuridici, principi economici e valori etici nello svolgimento
dell’attività di impresa in Studi in onore di Nicolo Lipari, Giuffré, Tomo I, Milano, 2008, p. 493.
Una parte più significativa delle regolamentazioni delle attività delle imprese è, in qualche modo,
affidata a codici etici e di autoregolamentazione che vengono adottati spontaneamente dalle
imprese e cercano di focalizzare la introduzione di standard di condotta influenzati da valori etici e
sociali.
288
Cfr. A. FALZEA, Il controllo di legittimità sull’impiego degli standard valutativi in Studi in
onore di Nicolo Lipari, Giuffré, Tomo I, Milano, 2008, p. 894.
148
pendenza della condizione, l’esecuzione del contratto, il possesso dei beni
ereditari “.289
3.5 Asimmetria di poteri contrattuali
Nella categoria dei contratti di impresa. C. SCOGNAMIGLIO, traduce
l’influenza della nuova prospettiva dei contratti trasportando la tutela della parte
per la tutela del contenuto del contratto per mezzo del sorgere di norme imperative
nell’ordinamento o anche di posizioni di diritti ed obblighi accessori inerenti al
contratto. In particolare quella relativa al recesso e di informazione,
abbandonando definitivamente il tentativo di proteggere l’autonomia dei
contrattanti nella concreta manifestazione di volontà.290
Contemporaneamente sorge il dibattito circa la classificazione come una
nuova categoria contrattuale delle contrattazioni tra imprese in contesto di
asimmetria di poteri
essendo così denominato di terzo contratto, come direbbero gli autori come G.
D’AMICO, di un’area inserita perfettamente nel nuovo diritto dei contratti che, in
materia di relazione tra imprese ha dato grande importanza alla situazione di
debolezza di uno dei contrattanti,sanzionando l’abuso di uno dei contrattanti, e
ricorrendo a tecniche rimediali notevolmente distinte da quelle del modello
contrattuale classico.291
In questo senso, il riferimento a leggi come quella n. 192/1998 sulla
subfornitura, specialmente l’art. 9 che delinea la ben conosciuta fattispecie di
289
Cfr. A. FALZEA, Il Controllo di legittimità sull’impiego degli standard valutativi in Studi in
onore di Nicolo Lipari, Giuffré, Tomo I, Milano, 2008, p. 895.
290
Cfr. C. SCOGNAMIGLIO, Contratti d’impresa e volontà delle parti contraenti in studi in
onore di Cesare Massimo Bianca, Giuffrè, Milano, Tomo III, 2006, p. 853.
291
Cfr. G. D’AMICO, Il c.d. terzo contratto: la formazione in Studi in onore di Nicolo Lipari,
Giuffrè , Tomo I, Milano, 2008, p. 676.
149
abuso di dipendenza economica, o anche il d.lgs n. 231/2002 sui ritardi di
pagamento nelle transazioni commerciali o più recentemente la legge n. 109/2004
sul franchising.
Alludendo al fenomeno del cambiamento della teoria dei contratti, F.
MACARI conferma come il dibattito sulle fonti, uno dei punti fondamentali di
analisi dei giuristi debba arricchirsi con il problema della disciplina eclettica e
complessa degli atti di autonomia provata, anche in considerazione degli interessi
antagonici o forse anche soltanto estranei rispetto all’idea di efficienza del
mercato.292
In un momento in cui la garanzia dei beni esclusivi, disciplinati da indici
economici, finisce per incidere quasi inevitabilmente sulla tutela dei beni i fino al
punto di attaccare perfino la dignità delle persone, la clausola della equità,
correttezza e buona fede costituiscono la inevitabile finalità di ricuperare
all’interno del contratto una funzione riequilibrante non solo delle posizioni dei
contrattanti tra di sé, ma anche della relazione unitariamente compresa con
rispetto alle modalità di funzionamento del settore economico in cui il contratto si
colloca, ed in questo contesto che si deve svolgersi anche il dibattito sulla
giustizia contrattuale.293
I mercati di scambi di massa sono estranei alla disciplina delle relazioni
civili e non condividono nulla con il principio della autonomia, afferma M.
ORLANDI,294 e che fuori della protezione della norma attributiva dei poteri
autonomi si sottomettono a fonti disciplinatrici eteronomiche di livello
292
Cfe. F. MACARIO, Ideologia e dogmatica nella civilistica degli anni settanta. Il dibattito su
autonomia privata e libertà contrattuale in Studi in onore di Nicolo Lipari, Giuffré, Tomo II,
Milano, 2008, p. 1573.
293
Cfr. F. MACARIO, Ideologia e dogmatica nella civilistica degli anni settanta. Il dibattito su
autonomia privata e libertà contrattuale in Studi in onore di Nicolo Lipari, Giuffré, Tomo II,
Milano Giuffré, 2008, p. 1576.
294
Cfr. M. ORLANDI, Le condizioni generali di contratto come fonte secondaria in tradizione
civilistica e complessità del sistema, a cura di F. MACARIO e M. N. MILETTI, Milano, Giuffré,
2006, pag. 380. L’autore indica l’attuazione delle autorità regolatrici del mercato.
150
secondario, come le norme del settore di origine comunitaria e quelle di autorità
indipendenti.
L’autorità dei mercati lascerebbe il posto a una rete di norme secondarie
predominanti in combinazione con le norme di altre fonte applicabili. Il discorso
si allargherebbe ancora una volta alla teoria delle fonti del diritto provato e della
teoria dei microsistemi. L’autonomia contrattuale delle parti considera come
potere bilaterale di definire il contenuto dei contratti è stata ridotta ad un
simulacro per effetto della sistematica attività di predisposizione di standard
contrattuali posti dai contraenti professionali o dalle loro associazioni, e
posteriormente ridotta ad un pretesto per effetto della misura difensiva adottata
dal legislatore per affrontare i poteri di predisposizione di questi ultimi.295
Sul tema, P. PERLINGIERI difende una interpretazione che va
all’incontro dei valori che esige una impostazione assiologia e che diverge dalla
visione del passato. In quanto concerne l’autonomia contrattuale, non si deve
considerare solo l’art. 1322, c.c , come anche la modificazione del titolo V della
costituzione dove si tratta di funzione sussidiaria e di iniziativa dei privati nella
partecipazione alla formazione e alla regolamentazione delle relazioni (art. 118,
della cost.).296
Il giurista dei tempi attuali non deve disprezzare l’intera produzione
normativa comunitaria e extra statale affermando “occorre cioè, avere
consapevolezza della complessità delle fonti e della forte unità dell’ordinamento
giuridico caratterizzato dalla centralità del valore della persona”.297
295
Cfr. G. GITTI, Vecchi e nuovi confini dell’autonomia contrattuale, in tradizione civilistica e
complessità del sistema, a cura di F. MACARIO e M. N. MILETTI, Milano, Giuffré, 2006, p. 394.
296
Cfr. P. PERLINGIERI, Parte generale del contratto, relazione conclusiva in tradizione
civilistica e complessità del sistema, a cura di F. MACARIO e M.N. Miletti, Milano, Giuffré,
2006, p. 484
297
Cfr. P. PERLINGIERI, Parte generale del contratto, relazione conclusiva in tradizione
civilistica e complessità del sistema, a cura di F. MACARIO e M.N. Miletti, Milano, Giuffré,
2006, p. 484
151
Indicando la strada da percorrere P. PERLINGIERI insegna che ancora
una volta gli storici hanno dimostrato come la stessa autonomia negoziale incontra
forti limiti nelle relazioni sociali ed etiche. In uno Stato Sociale di Diritto, come
l’italiano, voltato verso la solidarietà, la uguaglianza, il rispetto della persona e
della sua dignità, non è giustificabile una autonomia negoziale come un dogma in
se. Così fa notare “ non tutto ciò che è voluto dalle parti è meritevole di tutela”.298
Dal punto di vista della prospettiva costituzionale, come appunta N.
LIPARI, dopo di aver riconosciuto la .libertà di iniziativa economica, afferma che
essa non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana: questo è quello che conta, evidenziare nella relazione tra persona e
mercato, che la libertà di impresa nasce limitata in funzione di un principio che
trascende quelli degli operatori economici.299
Il principio enunciato nell’art. 41, cost., rimane criterio fondamentale del
regime giuridico destinato a disciplinare sia le relazioni tra imprenditori, sia quelle
tra imprenditori e consumatori.
Riguardo alla prospettiva contrattuale, la tensione in direzione alla equità
nelle relazioni di scambio è in qualche modo indicativa di un orientamento
generale della esperienza giuridica contemporanea, sperandosi con la invocazione
di normativa di fonte comunitaria ad un giudizio della giustizia come criterio
analisi del regolamento di interessi formalmente evidenziati dai contrattanti.
Finalmente, si supera l’apriorismo di segnale economico secondo cui non si
potrebbe collocare il problema di giustizia del contratto senza intaccare il
298
Cfr. P. PERLINGIERI, Parte generale del contratto, relazione conclusiva in tradizione
civilistica e complessità del sistema, a cura di F. MACARIO e M. N. Miletti, Milano, Giuffré,
2006, p. 485.
299
Cfr. N. LIPARI, Persona e mercato in studi in onore di Giovanni Giacobbe, a cura di Giuseppe
Dalla Torre, Milano, Giuffré, 2010, p. 1.349.
152
principio della libertà del mercato, inteso come molla propulsoria della economia
moderna.300
L’avanzata della progressiva e inarrestabile globalizzazione della
economia e del mercato avverte per la esigenza di evitare squilibri, scompensi,
distorsioni nel gioco della concorrenza e di includere fattori equilibranti. Non
esiste mercato senza scambi e pertanto il contratto rispecchia l’aspetto ontologico
del mercato. Ma non si può tralasciare di affermare che si devono preservare i
valori della persona.301
Nell’attuale sistema il cambiamento della funzione dello stato nazionale, i
diritti di libertà positiva diventano condizionanti del corretto funzionamento del
mercato. Per questo, i diritti e i doveri di iniziativa economica devono essere
meritevoli
di
tutela
secondo
i
principi
fondamentali
dell’ordinamento
costituzionale.302
3.6 Il Terzo Contratto
L’immagine di un terzo contratto deve contrapporsi alla ipotesi di un
fenomeno prospettivamente residuale che passa ad essere definito per sottrazione
agli spazi occupati dal primo e dal secondo contratto, e per altro lato, ammette
come certo che esista un accordo sulla legittimità ed il contenuto della
bipartizione presupposta.
300
Cfr. N. LIPARI, Persona e mercato in studi in onore di Giovanni Giacobbe, a cura di Giuseppe
Dalla Torre, Milano, Giuffré, 2010, p. 1.354-1.355.
301
Cfr. P. PERLINGIERI, Le ragioni del mercato e le ragioni del diritto dalla comunità
economica europea all’unione europea, in studi in onore di Giovanni Giacobbe, a cura di
Giuseppe Dalla Torre, Milano, Giuffré, 2010, p. 1.387.
302
Cfr. E. CATERINI, La terza fase del diritto dei consumi in scritti in onore di Marco Comporti,
a cura di Stefano Pagliantini, Enrico Quadri e Domenico Sinesio, Milano, Giuffré, 2008, p. 643
153
Si considera come primo contratto nella logica delle codificazioni
ottocentesche quello tra parti in posizione di uguaglianza formale non esistendo
pertanto asimmetria nel gioco dei poteri nella contrattazione. Il secondo contratto,
a sua volta, si caratterizzerebbe per la tutela di una delle parti considerata, nel
gioco negoziale, come vulnerabile, debole, per non possedere i mezzi di
produzione, le conoscenze specifiche su di essi.303
Tra l’antico binomio relazione civile-relazione commerciale, si colloca la
ricerca “ su una terra di mezzo” di una area occupata dal terzo contratto.
Il terzo contratto avrebbe le sue origini normative nella legge n. 192/1998
sulla subfornitura, e dalla figura di abuso di dipendenza economica che passa
attraverso la norma sui ritardi di pagamento per concludersi nella disciplina di
affiliazione commerciale.
Che il terzo contratto sia un contratto tra imprese è un discorso corrente.
Nella rilevanza della funzione economica c’è la prima restrizione della ipotesi
perché devono essere eliminati i contratti tra non professionisti. Il nuovo
paradigma è quello in cui il professionista debole (imprenditore economicamente
dipendente) sembra collocarsi al posto del consumatore.
La dottrina italiana, come appunta G. AMADIO, deve a E. ROPPO la
individuazione di un dato quale sia l’asimmetria dei poteri contrattuali dei
protagonisti attorno al quale diventa possibile una macrocategoria potenzialmente
complessiva sia della contrattazione consumeristica sia della contrattazione tra
imprese disuguali.304
Tale modello dei contratti con asimmetria tra le parti sarebbe soggetto ad
un unico e comune sindacato giudiziale sull’equilibrio degli scambi: modello in
303
Cfr. M. ORLANDI, dominanza relativa e illecito commerciale in Il terzo contratto, a cura di
Gregorio Gitti e Gianroberto Villa, Società editrice Il Mulino, Bologna, 2008, p. 137.
304
Cfr. G. AMADIO, Il terzo contratto. Il problema in il terzo contratto, a cura di Gregorio Gitti e
Gianroberto Villa, Società editrice Il Mulino, Bologna, 2008, p. 15.
154
cui si estraggono sia le coordinate sulla norma consumeristica quanto quelle in
relazione al subfornitore.
L’ asimmetria di poteri si lega tanto al caso del consumatore come a quello
della impresa debole. Lo squilibrio regolamentato dalle parti assume valori
sintomatici di un abuso della autonomia contrattuale a cui il giudice è chiamato a
mettere rimedio, il più delle volte ricorrendo a parametri equitativi, come avviene
nella ipotesi di ritardo di pagamento o in caso di agenzia (art. 1751 –bis c.c.).
Il contratto asimmetrico può essere caratterizzato, secondo G. AMADIO,
attraverso cinque aspetti: primo, la modalità della contrattazione e la reale
sostanza di equilibrio, muovendosi nella modalità della contrattazione si può
notare come l’ambito tipico dell’intervento protettivo a favore del consumatore
coincida con l’area della predisposizione di quell’esercizio unilaterale dell’
autonomia privata che consente al legislatore di presupporre la asimmetria come
un dato strutturale e costante, superato solo attraverso della prova di trasparenza
della libertà, testimone per mezzo di trattative individuali (art. 34, comma 4, cod.
consumo) e che per conto di questa logica protettiva pura viene trasferita al
diverso contesto del contratto tra imprese; la circostanza formale della
predisposizione sembra essere sostituita da un dato sostanziale, da verificare caso
a caso, di un significativo squilibrio regolamentare originario dall’abuso di
dipendenza economica.305
Di fatto l’intervento protettivo in favore del consumatore consiste prima di
tutto nella imposizione al professionista di obblighi di informazioni penetranti e
pervasive nell’interesse di una categoria privata di un paritario potere contrattuale
a causa di una inferiorità cognitiva.
Per altro lato, se quella del consumatore è prima di tutto semplice adesione
a regolamenti etero determinati, e questa funzione viene presa come presupposto
305
Cfr. G. AMADIO, il terzo contratto. Il problema in il terzo contratto, a cura di Gregorio Gitti e
Gianroberto Villa, Società editrice Il Mulino, Bologna, 2008, p. 14.
155
dalla normativa di protezione, ciò non si inquadra nella fattispecie del terzo
contratto, che non include per se stessa solo la partecipazione di imprese deboli
alla determinazione della regola e ancora alla sua competenza a questo proposito.
Non per caso, nei contesti delle relazioni contrattuali tra imprese e nei casi
di dipendenza commerciale in relazione ad altra, come nelle ipotesi di franchising,
le informazioni diventano oggetto di un obbligo comportamentale nella fase precontrattuale, ma posto a carico di ambedue le parti ex-vi, in base al 1.º e 3.º
comma dell’art. 6.º, Legge 6 maggio 2004, n. 129.
Nel caso del terzo contratto la dipendenza economica è conseguentemente
disparità di poteri nella contrattazione, asimmetria in concreto, ma ancora non
significa abuso di autonomia. Effettivamente, la logica valutativa usata nella tutela
del consumatore è imperniata su una asimmetria presunta o implicita nella
diversità della funzione e nelle modalità unilaterali della contrattazione.
Trasferita al diverso ambito dei contratti tra imprese sembra difficilmente
utilizzabile e ad essa in qualsiasi possibilità deve essere sostituita per criteri e
modalità di controllo della asimmetria in concreto, capace di ricostruire e
giudicare caso a caso la specificità della operazione negoziale.
Di fatto, la dipendenza economica recitata nell’art. 9º. della legge n.
192/1998 è una asimmetria potenziale, situazione che può essere in grado di
condizionare precedendo il dato giuridico della contrattazione, ma che niente dice
sulla abusività in concreto della sua singolare manifestazione.
Un terzo aspetto consiste nelle ragioni dell’intervento. Tale quesito
evidenzia con maggior forza la distanza tra le due figure, del contratto con il
consumatore e del contratto tra imprese disuguali, poiché alla disparità sostanziale
dei fenomeni non si accompagna una diversità nelle ragioni di tutela.
Il dubbio a questo proposito sorge sul rapporto tra protezione della
impresa debole e struttura concorrenziale del mercato, considerata, questa ultima,
156
come un valore da difendere contro la dannosità potenziale della dipendenza
economica intesa come ipotesi di dominanza relativa. Qui si potrebbe citare come
esempio, partendo dalla evoluzione interna della disciplina di subfornitura, che le
modificazioni introdotte dalla legge 5 marzo 2001 n. 57, sulla indiscutibile
attrazione con il tema della concorrenza, ma che per altro lato già nella versione
originale era intesa, dall’esposto nell’art. 9º, dal richiamo alla possibilità di
reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
L’analoga attrazione si rivela anche nella disciplina dei ritardi dei
pagamenti sia nella finalità della tutela, sia nei parametri valutativi, tra cui ritorna
al confronto con le condizioni del mercato attraverso del richiamo “alla corretta
prassi commerciale”, comma primo dell’art. 7º del d. lgs. N. 231 del 2000.
D’altro lato la tutela della concorrenza non è estranea neanche
assiologicamente alla norma consumeristica, questo perché, come osservato già
dalla dottrina, questa ha come oggettivo garantire che nessun operatore del
mercato si approfitti delle condizioni di inferiorità informativa dei consumatori, e
attraverso di questo possa imporre clausole inidonee per creare vantaggi
concorrenziali.
Peraltro, è anche vero che la invalidità delle clausole abusive prescinde
dalla effettiva esistenza di un vantaggio anticompetitivo. Questo è nullo anche se
tutto il mercato lo pratica, e quindi nessuno è avvantaggiato rispetto agli altri, ed
anche se il suo impiego investe un numero limitato di rapporti non determina
alterazioni consistenti della concorrenza e non implica posizioni dominanti da
parte del professionista.
Il quarto aspetto consiste nella distinzione tra i parametri che devono
essere offerti all’intervento del giudice per giudicare lo squilibrio, si può
affermare che esiste la peculiare struttura del mercato conforme la previsione della
legge di subfornitura, che è utilizzata come criterio di giudicare la dipendenza
157
economica e conseguentemente nello squilibrio del contratto tra imprese dispari,
che sono estranee alla disciplina protettiva del consumatore, poiché in questo il
criterio è vincolato alla qualità del consumatore nella relazione contrattuale.
L’ultimo e quinto aspetto è relazionato alla ermeneutica in contratti tra
imprenditori che dovrà adeguarsi alla peculiare struttura delle relazioni di
coordinazione, osservando due direzioni. In primo posto deve rimarcare come
questa struttura risulta modellata sotto schemi di razionalità a lungo termine,
rispetto a cui il singolo contratto non rappresenta altro che uno dei molti ripetitivi
momenti attuativi.
In questa ottica, anche il riconoscimento degli interessi rilevanti dovrà
essere fatto con relazione a questa più ampia realtà. Così
la valutazione
dell’adeguamento del regolamento si forma non in osservanza all’equilibrio
prescritto nel singolo accordo o nella clausola in particolare, ma nello svolgersi
complesso della relazione di cooperazione.
La seconda direzione appunta per le relazioni organizzative strutturali
consistendo nella in estensibilità della disciplina protettiva di impresa debole alle
relazioni nell’ambito interno al gruppo di società.
La
dottrina
discute,
alla
fine,
circa
l’estensione
della
tutela
dell’imprenditore debole oltre al contratto. Questa alterazione di paradigma
cambia completamente lo scenario e permette di interrogarsi sulla diversa
possibile rilevanza giuridica della dominanza relativa, non più vista nel suo
congiunto regolatorio come clausola contrattuale squilibrata o ingiusta, ma
pensata nella sua essenza di condotta non approvata, che, per ciò stesso, riceve il
predicato di illiceità. E l’abuso a questo punto potrebbe coincidere con l’area del
158
fatto illecito commerciale definibile stipulantemente come un fatto doloso o
colposo lesivo dell’equilibrio economico della impresa dominata.306
Circa gli aspetti rimediali distacca la dottrina che nella normativa
consumeristica si dá enfasi al modello della nullità mentre nella asimmetria tra
imprenditori, per possedere il carattere dissonante della legittimazione proveniente
dalla disciplina dell’abuso di dipendenza economica e anche dalla previsione
introdotta in temi di ritardo di pagamento, l’intervento conformativo del giudice
che abbia dichiarato di ufficio la nullità dell’accordo iniquo, si colloca tra
l’applicazione della disciplina di legge e la rideterminazione equitativa della
disciplina contrattuale.
In linee conclusive G. AMADIO intravvede che il cammino percorso dal
terzo contratto possa essere una via di mezzo che nonostante imponga specificità
al controllo del suo contenuto, mentre questo dovrà necessariamente passare
attraverso il riconoscimento in concreto degli interessi rilevanti, oggettivati
nell’accordo, restituisca a lungo andare la discrezionalità al giudice. Limitata però
dalla applicazione di standard valutativi come anche dal ricupero della clausole
generali, allontanandosi dall’attivismo giudiziale che caratterizza la tutela del
consumatore, in cui la funzione del giudice si limita rigorosamente alla tipicità ed
all’automatismo dei rimedi.307
Procedendo ad una analisi rigorosa circa la validità dei contratti tra
imprenditori in situazione di asimmetria G. VILLA annota che tra l’art. 9.o della
legge 192/1998, come nell’art. 7º, del d. Lgs. 231/2002, dedicato alla lotta contro i
ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, come anche alla disciplina di
306
frR. M. ORLANDIi, dominanza relativa e illecito commerciale in Il Problema in Il terzo
contratto, a cura di Gregorio Gitti e Gianroberto Villa, Società Editrice il Mulino, Bologna, 2008,
p. 137.
307
Cfr. G. AMADIO, Il terzo contratto. Il problema in Il terzo contratto, a cura di Gregorio Giti e
Gianroberto Villa, Società editrice Il Mulino, Bologna, 2008, p. 29.
159
affiliazione commerciale, si tratta di disposizioni connotate di alcune
caratteristiche comuni.308
La previsione è di una fattispecie elastica (abuso, iniquità, durata
sufficiente), che si accompagna ad una compressione degli spazi di autonomia,
lasciati a carico dei contrattanti. Così, il patto che realizza l’atto è nullo, la deroga
gravemente iniqua ai termini dell’adempimento o alle sanzioni per il ritardo
caratterizzano nullità, anche se la legge non specifica, la previsione di una durata
insufficiente nelle relazioni di affiliazione commerciale in contrasto con diversi
precetti imposti dalla legge, può indurre il pensiero ad una nullità virtuale
conforme l’art. 1418, comma 1º.., c.c.
Alla violazione del divieto dell’art. 9.o della legge di subfatturamento ,
come fa notare D. MANTUCCI, alla nullità dell’intero contratto nei modi come
prevedono gli art. 1418 e 1419, comma c, del c.c. o di una maniera più frequente è
preferibile ad una clausola concretamente abusiva. La nullità parziale non
corrisponde ad un astratto principio generale di conservazione del contratto ma
all’interesse che nel caso concreto la impresa debole diretta destinataria della
tutela abbia la manutenzione della specifica relazione, libera dalle clausole che la
caratterizzano come iniqua. Il riequilibrio e la parziale conservazione della
relazione possono in concreto soddisfare ed involvere interessi di terzi e interessi
generali.309
Sono comuni anche i presupposti soggettivi di tale disciplina dal momento
in cui si è in presenza di relazioni tra imprenditori nei quali una parte si sottomette
a patti svantaggiosi in ragione di condizioni di inizio asimmetrici. Questo è notato
per se stesso solo nella nozione di dipendenza economica. È implicito nel rinvio
308
Cfr. G. VILLA, invalidità e contratto tra imprenditori in situazione asimmetrica in Il problema
in Il terzo contratto, a cura di Gregorio Gitti e Gianroberto Villa, Società editrice Il Mulino,
Bologna, 2008, p. 113.
309
Cfr. D. MANTUCCI, Profili del contratto di subfornitura , Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli, 2004, p. 97.
160
operato dalle disposizioni sui ritardi di pagamento (alle condizioni dei contraenti
ed ai rapporti commerciali tra i medesimi) che consentono di imporre dei tempi
ingiustificati, art. 7º, d. lgs n. 23/2002. È presupposto infine nelle relazioni tra un
affiliante che predispone una ridistribuzione in franchising e l’affiliato che fa
l’ingresso.
Mette in evidenza G. VILLA che i fenomeni sopra presentati possono
essere analizzati sotto due punti di vista: si può concentrare l’attenzione sulla
disciplina del contratto e cercare punti di convergenza o di divergenza, rispetto
alla teoria generale elaborata in quel contesto, o anche si può esaminare il tema in
una diversa prospettiva inserita in situazioni normative in un quadro più
complesso che focalizza la tutela della concorrenza e le relazioni davanti ai
cambiamenti anticoncorrenziali del mercato.310
Alla prima considerazione si può tentare di leggere i fenomeni similari con
l’uso della nullità correlata a situazioni di squilibrio in connessione con altre
previsioni che certamente presentano consonanza. È intuitivo richiamarsi a
disposizioni protettive dei consumatori e vedere in tutti questi ambiti espressioni
di un principio generale di buona fede in senso oggettivo, posto a protezione del
contrattante debole e direzionato a sanzionare una proibizione di abuso della
autonomia privata. La caratteristica unificante delle diverse norme specifiche
potrebbe allora incontrarsi nella presenza di una asimmetria di poteri tra le parti
che si riferisce al consumatore, all’investitore, al cliente di banche, al subfornitore,
all’imprenditore soggetto all’abuso.311
Questa approssimazione, sottolineando la uniformità dei presupposti delle
diverse norme, può favorire l’estensione delle regole protettrici del consumatore
310
Cfr. G. VILLA, Invalidità e contratto tra imprenditori in situazione asimmetrica in Il problema
in Il terzo contratto, a cura di Gregorio Gitti e Gianroberto Villa, Società editrice Il Mulino,
Bologna, 2008, p. 114.
311
Cfr. G. VILLA , Invalidità e contratto tra imprenditori in situazione asimmetrica in Il
problema in Il terzo contratto, a cura di Gregorio Gitti e Gianroberto Villa, Società editrice Il
Mulino, Bologna, 2008, p. 114.
161
ad altre situazioni, in modo a creare un modello generale per disciplinare il
funzionamento della nullità di protezione. Questo fa con che si arrivi alla
conclusione nella sequenza di una analoga funzione di tutela del contrattante non
favorito, e che si debba riconoscere, come strumento comune di reazione allo
squilibrio , una nullità dell’atto necessariamente parziale, quanto più relativa,
funzionale agli interessi protetti, destinata ad accompagnare la invalidità, un
generalizzato potere del giudice nel riequilibrare il contenuto contrattuale. In
questo modo si continua nel tentativo di ricostruire una nuova disciplina della
nullità contrattuale alla luce di innovazioni normative, generalmente di
derivazioni comunitarie, che si presentano come dissonanti in relazione al
modello consolidato di validità.312
La nullità non può più essere intesa come una nozione logico-giuridica,
dovendo, al contrario, essere compresa come una figura giuridico-positiva. Nella
dottrina più recente, come indica P. M. PUTTI,313 la visione unificante e astratta
della invalidità è stata sostituita dalla analisi dei particolari casi in cui una
determinata fattispecie non produce effetti o anche li produce parzialmente, cioè,
nella convinzione che possano essere disegnati più di un tipo di nullità in ragione
della gerarchia di valori e dalle cui realizzazioni la comunità giuridica intende che
debbano essere assicurati attraverso delle norme che prevedono tali conseguenze.
Del resto, che l’atto nullo sia rilevante e che il suo trattamento sia conformato agli
interessi che la previsione normativa vuole proteggere e tutelare, sembra chiaro
già da molto tempo in Europa, e la soluzione senza distorsione ideologica è
adottata dalla giurisprudenza italiana per interpretazione ed applicazione non solo
delle norme codicistiche, ma anche alle norme previste dalle leggi speciali,
attenuandosi così inevitabilmente il senso e la ampiezza della distinzione tra
312
Cfr. G. VILLA, Invalidità e contratto tra imprenditori in situazione asimmetrica in Il problema
in Il terzo contratto, a cura di Gregorio Gitti e Gianroberto Villa, Società editrice Il Mulino,
Bologna, 2008, p. 114.
313
Cfr. P.M. PUTTI, La nullità parziale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002, p. 23.
162
nullità e annullabilità che sono considerate di accordo con le scelte operative del
legislatore, destinate a marcare le discipline per quanto dicono rispetto alle
particolarità dei problemi da essere risolti.314
La distinzione tra nullità e annullabilità è di fatto ben delimitata da G.
PERLINGIERI , e deve essere ben studiata non solo riguardo alla differenza tra
interesse generale (nullità) e individuale (annullabilità), ma in diverso modo in cui
i vizi incidono sulla struttura e le funzioni di negozio, oltre che con riferimento al
tipo di squilibrio. Nella nullità di protezione lo squilibrio di potere contrattuale è
strutturale e non occasionale. Tale squilibrio è causato da meccanismi distorti che
nei fatti attribuiscono a uno dei contrattanti la forza di dettare le regole del gioco,
ora attraverso della predisposizione unilaterale, ora facendo valere in sede di
trattative la posizione conquistata sul mercato. Vedere nell’abuso di dipendenza
economica per forza ex. Art. 9.º commi 1 e 2, l. 18/1998, n. 192.315
Nella annullabilità , diversamente dalla nullità di protezione, la debolezza
normalmente non è endemica. Essa si lega normalmente a una perturbazione della
voolntà dovuta all’intervento di fattori occasionali contingenti, in assenza dei
quali le parti negozierebbero in posizione paritaria. Una volta rimossa la causa
dello squilibrio con l’acquisto della capacità, la cessazione della violenza o la
scoperta del vizio,lo statuto della patologia rimette alla disposizione
dell’interessato l’attuazione della tutela. Per questo la giustificazione per cui la
stessa possa essere convalidata è non riconoscibile di ufficio.316
All’interprete, allora, non è acconsentito proporre soluzioni astratte e
generalizzanti, al contrario deve ricorrere alla interpretazione funzionale,
sistematica e assiologica, secondo una prospettiva attenta agli interessi del caso
314
Cfr. P.M. PUTTI, La nullità parziale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002, p. 23.
Cfr. G. PERLINGIERI, La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria nei negozi
giuridici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2010, p. 50.
316
Cfr. G. PERLINGIERI, La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria nei negozi
giuridici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2010, p. 50-51.
315
163
concreto, e soprattutto sensibile a valutare l’effettiva dannosità dell’insieme di
regole negoziali nel (tutto o solo in parte nulle) per il contrattante protetto.317
A sua volta G. D’AMICO, appunta nella sua chiara analisi sulla nullità
virtuale e nullità di protezione, gli equivoci della dottrina. Il primo equivoco
consistente nella introduzione della espressione regole di comportamento usate
per indicare i tipi di regole contrapposte alle regole di validità e alla loro
violazione, conseguentemente collocandosi come un rimedio diverso dalla
invalidità in generale, un rimedio di tipo risarcitorio come espressione di
responsabilizzazione.318
Il secondo equivoco, circonderebbe il tema del principio di separazione tra
regole di validità e regole di comportamento. Il problema della nullità virtuale ha
molto poco da vedere con il principio della separazione riferito, ossia con il
problema di individuare un criterio che dica quando la violazione di una norma
imperativa generi nullità e quando al contrario debba considerarsi nel piano
civilista un altro rimedio.319
La maggior novità in materia di nullità viene presentata non tanto nel
terreno delle nullità non dichiarate, cioè, delle nullità virtuali, ma nell’ambito di
quelle previste dal legislatore ossia delle nullità testuali; soprattutto la legislazione
di tutela dei consumatori focalizza sempre più frequentemente l’uso della nullità
in contesti caratterizzati.320
317
Cfr. G. PERLINGIERI, La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria nei negozi
giuridici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2010, p.51.
318
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1003.
319
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1006
320
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1010.
164
La circostanza per cui il rimedio invalidante nella forma della nullità sia
usato con la finalità di fornire protezione in via diretta e immediata all’interesse di
uno dei contrattanti, cioè, sul terreno della disciplina, si traduce nella riserva della
legittimazione per far valere la nullità solo per il contrattante protetto. La nullità
non si presenta più come dal contratto per intero, ma piuttosto da particolari
clausole. In conseguenza, la sanzione della nullità non attinge il contratto nella sua
interezza ma solo si relaziona alle clausole viziate, regola strettamente vincolata a
quella della attuazione del contrattante protetto, essendo evidente che l’altro
contrattante professionale, non essendo legittimato, non può avvalersi della nullità
per richiedere la caducità del negozio.321
Frattanto è possibile al contrattante protetto dichiarare la nullità integrale
del contratto, dal m omento che possa comprovare che non avrebbe realizzato il
negozio nel caso che avesse saputo del contenuto che ha viziato la clausola come
nulla.322
Sono problemi fondamentali in materia di nullità di protezione, il primo
dei quali dice rispetto al fatto che la nullità di protezione si estende non solo oltre
al testuale ma anche al virtuale, ossia non prevista. A favore di questa ipotesi
alcuni autori invocano la possibilità di applicarsi analogicamente il regime della
cosí detta nullità speciale, opinione a cui si obietta che la formulazione dell’art.
1421, c.c., comporta che la regola della legittimazione assoluta per agire trova
applicazione tutte le vote che sia legislativamente prevista una disciplina
differente, negando così nella matrice la configurabilità di una lacuna,
321
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1011.
322
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1012.
165
giustificando così la esistenza del presupposto necessario per il ricorso alla
analogia.323
Il secondo aspetto consiste nel fatto che non si può allontanare dalla
struttura dogmatica questa forma di invalidità, poiché nella nullità speciale il
dogma di assoluta inefficacia del negozio nullo risulta completamente superato e
la produzione di effetti giuridici deve essere considerata connota nodi con le
regole della nullità speciale.324 Generalmente si presenta come conseguenza
indefettibile della nullità dell’atto la espurgazione del proprio negozio dal mondo
giuridico, che sembra attualmente meccanismo largamente superato visto che al
contrario si oggettiva con la nullità speciale la conservazione della relazione,
adeguandosi la conformazione degli interessi che giustificano la reazione
dell’ordinamento.325
In questo modo si fa riferimento al fenomeno della necessaria parzialità di
nullità, che comporta molte fattispecie di nullità protettive, e la circostanza che in
questo caso c’è la permanenza della relazione e comporta naturalmente che il
contratto abbia efficacia relativamente alla parte valida, che pertanto non è toccata
dalla nullità.
Così, la conseguenza di caratterizzarsi la nullità parziale altera la sorte del
contratto, nella misura in cui la scelta di tutelare il contrattante protetto non gli dá
la possibilità di considerare caduco l’affare “sine die”, ma soprattutto gli
323
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1013.
324
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1013.
325
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1016. Cfr. S. POLIDORO, Discipline della nullità e
interessi protetti, Napoli, 2001, 180, p. 13.
166
conferisce la possibilità di far produrre effetti a una clausola o ad un contratto
inidoneo, convalidando la clausola o il contratto in questione.326
Ipotesi ben differente è quella in cui, al contrario, il legislatore abbia
indicato una norma imperativa senza comminare la nullità come rimedio per la
sua violazione. In questi casi si può pensare alla configurazione di una nullità di
protezione. Frattanto , in questa situazione tocca al giudice il compito di
individuare il rimedio e di costruire la sua disciplina, terminando col riconoscere
grande margine di discrezionalità alla valutazione giudiziale.
3.7 Abuso di autonomia negoziale e i contratti del mercato
Il nuovo diritto positivo dei contratti di impresa, bilaterali e unilaterali, si
presenta nelle discipline sulla base di uno stesso paradigma, come dalla
disuguaglianza sistemica che si può manifestare nella relazione contrattuale
realizzata nel mercato.
Lo schema seguito dal legislatore e dichiarato nella relazione illustratica al
Codice di Consumo, è binario e strutturato su relazioni asimmetriche e parti
contrattualmente deboli. Da questo paradigma sono esclusi i contratti civili e i
contratti simmetrici di impresa, affidati alla disciplina del Codice Civile che a sua
vota è espressione della ideologia liberale classica della astratta uguaglianza delle
parti coinvolte nel contratto. Si afferma così una bipartizione che, secondo V.
ROPPO, si distingue tra contatti simmetrici e contratti asimmetrici.327
326
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1020.
327
Cfr. F. DI MARZIO, Abuso di dipendenza economica e clausole abusive in rivista Del diritto
commerciale e Del diritto generale delle obbligazioni, 2006, Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi,
p. 810.
167
Nella relazione contrattuale disuguale la fonte non può avere come
fondamento e legittimazione solo l’accordo, già che il contratto è unilateralmente
predisposto conforme l’art. 33, del cod. cons. e le clausole contrattuali sono
imposte. Così si esprime, realisticamente, il legislatore tanto nell’art. 3 della legge
antitrust, come nell’art. 9º della legge di subfornitura. Per altro lato la
legittimazione si fondamenta nel controllo non più semplicemente processuale ma
sostanzialmente sul contenuto del contratto che, per essere unilateralmente
imposto, è sottomesso alla disciplina legale e alla verificazione amministrativa e
giurisdizionale.
Nella dottrina, come già esposto, rimane chiara una tendenza interpretativa
voltata alla massima estensione dell’ambito di tutela, così come è concepito sia
dai civilisti come dai commercialisti, che il divieto di abuso di dipendenza
economica funziona come una regola generale in senso lato di disciplina di
contratti disuguali tra imprese. E per i civilisti la nozione di consumatore ampliata
fino al professionista che operi in un mercato rilevante diverso da quello in cui
esercita la propria impresa.
Al contrario, nelle decisioni giurisprudenziali la tendenza è meno nitida e
parzialmente opposta. Delle poche decisioni di merito fino ad oggi pubblicate
emerge che i giuristi a volta tendono a concepire il divieto di abuso di dipendenza
economica solo relativamente alle parti coinvolte nelle relazioni di subfornitura.
D’altro lato, per quanto riguarda la nozione di consumatore, la intendono limitata
alla persona fisica che agisce esclusivamente con finalità di consumo in senso
stretto. Questo è il cammino consolidato e seguito dalla Corte di Cassazione.328
Il ricorso al canone della buona fede oggettiva è utilizzato non solo nella
tutela del consumatore, ma anche del contraente profano, e l’abuso di dipendenza
328
Cfr. F. DI MARZIO, abuso di dipendenza econômica e clausole abusive in rivista Del diritto
commerciale e Del diritto generale delle obbligazioni, 2006, Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi,
p. 811.
168
economica è considerato una regola generale che si applica anche ad altre
relazioni oltre a quelle decorrenti dal contratto di subfornitura. Si ritiene che lo
squilibrio è contrario alla buona fede oggettiva e deve essere combattuto.
Ma il motivo della nuova tutela non sta nella simmetria di poteri
contrattuali in se, e nemmeno nell’insieme squilibrato di interessi che il contratto
dovrebbe produrre. La repressione dell’accordo non equilibrato legittima solo al
ricorrere di specifiche condizioni decorrenti da elementi fisiologici della relazione
contrattuale nel settore di riferimento, come la qualificazione soggettiva dei
contrattanti, la mancanza di negoziazione del contratto, la natura della relazione
contrattuale e la più ampia relazione commerciale in cui dovrebbe inserirsi.
Di fatto, non sono proibite né la dominanza economica né la dipendenza
economica e nemmeno la predisposizione contrattuale negli atti stipulati con il
consumatore, ma l’abuso che queste situazioni possono causare è che riceve
proibizione.
In questo senso, mette in risalto F. DI MARZIO, la recente evoluzione del
diritto antitrust, (ma lo stesso vale anche per il diritto dei contratti), consente di
riabilitare da una figura della teoria del diritto, l’abuso, che poca fortuna ha avuto
nella civilistica, che ha preferito operare con lo strumento della buona fede più
adeguato e meno incerto, conviene notare che le condotte del mercato
stigmatizzate nella legge antitrust, sono tutte condotte abusive e culminano
concettualmente nella proibizione di abuso di posizione dominante, di cui la
proibizione di dipendenza economica costituisce un naturale sviluppo.329
Si noti che nella nozione di dipendenza economica ricevuta nella
letteratura antitrust, non si rivela nessuna dipendenza contrattuale, di asimmetria
di poteri contrattuali, ma la dipendenza dimostrata in una relazione economica che
329
Cfr. F. DI MARZIO, Abuso di dipendenza econômica e clausole abusive in rivista Del diritto
commerciale e Del diritto generale delle obbligazioni, 2006, Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi,
p. 812.
169
acquista senso e determinazione solo se inserita in uno specifico mercato
rilevante, quello dove mancano alternative concretamente applicabili. Di fatto, per
assicurare sui presupposti di applicazione del regime protettivo, diversamente di
quanto occorre nella tutela del consumatore, nella dipendenza economica non è
sufficiente investigare la qualità soggettiva dei contraenti; l’interprete dovrà
andare oltre e verificare la esistenza della dipendenza economica, ossia, se la
impresa che si colloca in relazione di dipendenza abbia o no effettive alternative
soddisfacenti nel mercato, e se la controparte per la sua dominanza economica sia
in grado di imporre nei contratti e più ampiamente nelle relazioni commerciali un
accordo eccessivamente squilibrato nella distribuzione di diritti e obblighi. Solo
dopo la confermazione dello stato di dipendenza economica sarà legittimo
interrogarsi sull’abuso della stessa.330
Sia nel giudizio di abusività delle clausole non negoziate nei contratti di
consumatori, come nel giudizio sull’abuso di dipendenza economica, è usuale il
ricorso alla clausola generale della buona fede. Nella teoria dell’abuso la buona
fede passa ad avere la natura di standard valutativo.
Afferma A. DI BIASI che i vantaggi realizzati da una impresa con danni
ad altra, per essere considera abusivi, oltre che ingiusti devono essere in altro
modo eccessivi, essendo necessaria la verifica di uno squilibrio della relazione
sinalagmatica, così importante in modo da ferire la coscienza di una persona
ragionevole. Ciò in concreto significa che per la esigenza di un abuso da un lato
deve esserci la perdita di un investimento specifico effettuato dal soggetto
dipendente, deve in più costituire una parte rilevante della sua rendita; dall’altro
lato, è necessario che i costi di commutabilità vengano a costituire una perdita
considerevole inflitta dal soggetto in posizione dominante in modo a non
330
Cfr. F. DI MARZIO, Abuso di dipendenza economica e clausole abusive in rivista Del diritto
commerciale e Del diritto generale delle obbligazioni, 2006, Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi,
2006, Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi, p. 812
170
consentire alla impresa dipendente la possibilità di convertire la propria attività
economica, o instaurare una relazione ugualmente remunerata con un’altra
controparte.331
Il terreno di elezione della teoria dell’abuso è il campo della libertà, non il
territorio precluso delle proibizioni; fin dalle prime manifestazioni storiche della
giurisprudenza francese ottocentesca la teoria dell’abuso cerca di sottomettere a
controllo movimenti di libertà di imprese nel mercato. Per combattere gli eccessi,
come il monopolio, accordo di gruppo, usura.332 Bisogna distaccare come G.
TUCCI rimarca che diversi provvedimenti legislativi sono presi per limitare
l’autonomia privata, come quella che proibisce l’abuso di posizione dominante, o
quella che vieta la dipendenza economica, come ugualmente la proibizione di
clausole vessatorie che determinano, malgrado la buona fede, un significativo
squilibrio dei diritti e delle obbligazioni derivanti dal contratto a carico del
consumatore, così come il testo unico in materia bancaria, che disciplinando in
maniera diretta il meccanismo degli interessi antagonici, che stabilisce modalità di
criterio per produzione di interessi su interessi nelle operazioni poste
nell’esercizio della attività bancaria. In relazione a tutti i procedimenti legislativi
già indicati la legge sull’usura possiede caratteristiche peculiari, tenendo in vista
la intersezione tra sanzioni penali e sanzioni civili.333
Il legislatore è intervenuto anche nei settori del risparmio dove la tutela del
contrattante debole ha predisposto ferree obbligazioni di informazione a carico
dell’intermediario finanziario. La finalità è quella di garantire “acquisti coscienti”
da parte dell’investitore, il quale si colloca nella relazione negoziale in una
331
Cfr. A. DI BIASE, La vocazione allargata di divieto di abuso di dipendenza econômica Nei
rapporti tra imprese limiti e presupposti applicativi, Rivista di diritto dell’impresa, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli, 2007, p; 567.
332
Sulla usura v. G. TUCCI, Usura e autonomia private nella giurisprudenza della Corte di
Cassazione in studi in Onore di Piero Schlesinger, tomo V, Giuffré, Milano, 2004, p. 3495-3530.
333
Cfr. G. TUCCI, Usura e autonomia private nella giurisprudenza della Corte di Cassazione in
studi in onore di Piero Schlesinger, tomo V, Giuffré, Milano, 2004, p. 3498-3499.
171
situazione si asimmetria informativa a lui sfavorevole. In questo senso, il testo
unico bancario (d. lg. N. 58 del 1998, modificato dall’art. 4º del d. lg. 164, del
2007).334 Aggiunge G. VILLANACCI che l’intervento del legislatore ha anche
un aspetto costituzionale al difendere la integrità del risparmio come un valore da
proteggere nell’art. 47, comma, n. 1, cost.335
3.8
La proibizione di abuso di dipendenza economica nel
contratto di affiliazione commerciale.
Come ampiamente discusso nella dottrina, la proibizione di dipendenza
economica si applica anche a contratti diversi di subfornitura e, in speciale, deve
essere applicata al franchising.
La fattispecie abuso di dipendenza economica può essere suddivisa in due
momenti, ambedue necessari. La dipendenza economica che è la traduzione
giuridica di una situazione economica in cui un soggetto si trova nella
obbligazione di contrattare con una parte, che nel suo confronto si presenta come
monopolista e che si traduce in un minor potere contrattuale, ed il suo abuso.
Questo ultimo presuppone una situazione di dipendenza economica che
deve essere valutata in relazione alla reale possibilità di concludere un contratto
caratterizzato da un eccessivo squilibrio di diritti ed obbligazioni che si
esteriorizza nella effettiva conclusione di un contratto fortemente squilibrato a
favore di una parte.
334
Cfr. G. VILLANACCI, Il diritto dei consumatori e Le istanze di tutela del contraente debole
nel codice del consumatore e nel T.U.I.F. In consumo e consumismo fenomeno sociale ed istanza
di tutela, a cura di Gerardo Villanacci, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, Vol. 3, 2009, p. 100.
335
Cfr. G. VILLANACCI, Il diritto dei consumatori e Le istanze di tutela del contraente debole
nel codice del consumatore e nel T.U.I.F. In consumo e consumismo fenomeno sociale ed istanza
di tutela, a cura di Gerardo Villanacci, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, Vol. 3, 2009, p. 101.
172
Pertanto, nel valutare la sussistenza o meno della fattispecie abuso di
dipendenza economica si corre il rischio di guardare solo al risultato finale della
contrattazione, cioè, alla presenza di un contratto fortemente squilibrato
dimenticando di valutare anche la sussistenza della dipendenza economica, con la
conseguenza che il giudice potrà intervenire e correggere il contratto anche
quando lo squilibrio non sia stato determinato da una maggior debolezza di una
delle due parti, ma semplicemente dalla inesattezza di una delle parti nel far valere
i suoi propri interessi.
Allora la dipendenza economica può aver luogo non tutte le volte che
esistano eccessivi squilibri tra diritti e obbligazioni, ma anche quando questa
situazione sia stata determinata dal maggior potere contrattuale di una delle parti.
Il legislatore di fatto, con l’art. 9º., della legge n.192/1998 non si è proposto di
tutelare l’imprenditore inesperiente, come al contrario succede nel caso del
consumatore, ma solo quello indifeso perché sottomesso all’abuso di maggior
potere contrattuale nel suo confronto, di cui eventualmente possa disporre un altro
imprenditore.
Un dato indiscutibile e di percezione immediata e generale è che la
esistenza e l’esercizio di un diritto implicano intrinsecamente la possibilità del
loro abuso. In questo senso, è giusta l’affermazione da parte della dottrina che non
sarebbe necessaria la esistenza di una clausola generale di abuso nel diritto, visto
che non aggiungerebbe niente agli istituti giuridici già esistenti.
336
L’abuso di
posizione dominante e l’abuso di dipendenza economica corrispondono a
fenomeni di abuso sostanzialmente differenti fra se, sia per presupposti che per
caratteristiche oggettive.
È lecito allora affermare che la tutela giuridica legata al carattere della
elasticità della nozione di abuso di diritto, ne esca arricchita di nuovi aspetti e
336
Cfr. N. MONTICELLI, Dall’abuso del diritto all’abuso di dipendenza economica, Roma,
Libreria Forense Editrice, 2006, p. 168.
173
rivalutata dalla attuale immersione della categoria dell’abuso di dipendenza
economica, che lotta oggi con rinnovato vigore nell’area grigia tra i contratti ed il
mercato. .In questa prospettiva, di non poca controversia, l’abuso di diritto e la
sua sottospecie di divieto di dipendenza economica sembra razionalmente
espressione di una proficua clausola generale.337
La nozione di posizione dominante nel diritto antitrust comunitario segue
la linea della disciplina nazionale tedesca storicamente precedente. Tale nozione
era simile a quella largamente usata nella dottrina statunitense, che è generalmente
costruita intorno a due poli della possibilità di esercitare un controllo sui prezzi e
della possibilità di mettere in esecuzione comportamenti escludenti di danni dai
concorrenti attuali o potenziali338, elemento in ogni modo similare a quelli che si
incontrano nella posizione dominante del diritto europeo.
Tuttavia, mentre la nozione di potere di mercato sempre ha avuto,
nonostante le incertezze definitorie, una caratteristica di dubitabilità e di
misurabilità, la nozione tedesca di posizione dominante tende ad una
connotazione di un senso più rigido e qualitativo. Su tali aspetti ha inciso la
matrice ideologica “ordo liberalis” del diritto antitrust tedesco e comunitario,
particolarmente sensibile al problema politico dei controlli dei poteri privati.339
In tale quadro, i poteri di fatto delle grandi imprese, se mentre non
condizionati dalle pressioni del mercato concorrenziale ed allora dalla sovranità
del consumatore che in questo quadro è collocato come fondo, sembrava
ingiustificato e pericoloso. Il potere del mercato dovrebbe allora essere limitato
dall’ordine giuridico statale, che passerebbe ad obbligare le grandi imprese come
se nel mercato fossero assoggettate ad una efficace pressione concorrenziale.
337
Cfr. N. MONTICELLI, Dall’abuso del diritto all’abuso di dipendenza economica, Roma,
Libreria Forense Editrice, 2006, p. 174.
338
Cfr. R.A. POSNER, Antitrust Law, The University of Chicago Press, Chicago, 2001, p. 33 ss.
339
Cfr. R.A. POSNER, Antitrust Law, The University of Chicago Press, Chicago, 2001, p. 33 ss.
174
Il dominio del mercato, presupposto e giustificato dall’intervento
correttivo dello Stato, era così inteso secondo il modello influenzato dalla teoria
classica dei poteri in senso politico e giuridico, come attitudine a determinare e
imporre con proprie decisioni unilaterali i comportamenti economici degli altri
soggetti, concorrenti più fiacchi, fornitori, commercianti, consumatori. Questa
idea principale sta probabilmente alla base di un
enunciato trasferito dalla
giurisprudenza comunitaria, che attribuisce all’impresa dominante una speciale
responsabilità, al fine di evitare che sia eliminato o distorto il gioco della
concorrenza nel mercato in cui la stessa impresa opera.340
3.9 Della violazione di obblighi di disclosure nel contratto di
franchising.
Il legislatore italiano con la legge 6 maggio 2004, n. 129, ha introdotto una
serie di disposizioni relative al contratto di franchising, denominato di contratto di
affiliazione commerciale. In particolare viene stabilita la nozione, il contenuto, la
durata minima, gli obblighi delle parti, le sanzioni in caso di comunicazione di
informazioni false nella fase delle trattative precontrattuali, prevedendo, per altro
lato, la possibilità di fare, in caso di controversia, un tentativo preventivo di
conciliazione nella Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura,
nel cui territorio abbia sede l’affiliato. E allora, alla fine, introduce la
regolamentazione normativa di un fenomeno in costante crescita.
Quanto al franchising, si assiste alla stesura del contratto da parte di
soggetti che per la prima volta esercitano una attività economica imprenditoriale,
astratta, quasi sempre con la speranza di fare parte di una
competente rete
340
Cfr. M. LIBERTINI, Posizione dominante individuale e posizione dominante collettiva, in
rivista di diritto commercial e del diritto generale delle obbligazioni, 2003, Casa Editrice Dr.
Francesco Vallardi, p. 547.
175
commerciale. A questo si aggiunge che, al momento dell’assunzione del vincolo
negoziale, la volontà dell’affiliato è limitata alla scelta di concludere o no
l’accordo, senza poter concretamente influire sul relativo contenuto.
In questi casi, si può intravvedere nel franchising, una ipotesi
paradigmatica di ricorrenza di unilateralità di disposizioni contrattuali che può
essere problematica, in realtà, quando diretta a governare e condizionare,
positivamente o negativamente, per un periodo di tempo, la iniziativa economica e
lo svolgersi della attività della impresa affiliata. Questa ultima viene di fatto
condizionata alle esigenze di organizzazione della attività della impresa affiliante
predisponente della rete.
La legge italiana ha dato enfasi, come appunta la dottrina, ad una
minuziosa ed ampia regolamentazione dell’aspetto della formazione del contratto,
dando forza al principio della trasparenza e dei doveri di informazione , evitando
di interferire nel contenuto del contratto, senza preoccuparsi con il rilievo
giuridico e la significativa incidenza delle singole relazioni di adesione alla rete
che l’affiliazione commerciale presuppone come indeffettibilmente esistente ed
operante.
La speciale attenzione del legislatore alla fase precedente al contratto di
affiliazione commerciale è caratterizzata dalla inserzione di specifiche
obbligazioni informative, precontrattuali, obbligazioni di disclosure tra le parti ed
in particolare a carico dell’affiliante, cioè del soggetto, normalmente forte nella
relazione, perché generalmente possiede maggiori conoscenze ed esperienza nel
settore.341 Nella maggior parte dei casi, nel contratto di franchising si ha uno
squilibrio informativo tra affiliante e aspirante ad affiliato.
341
. Cfr. A. DI BIASI, La violazione degli obblighi di disclosure nel contratto di franchising e
l’abuso di dipendenza econômica in Europa e diritto privato, riv. Trim. Giuffré, 2007, p. 802. Per
disclosure si intende quell’insieme di dati e informazioni che le parti sono tenute reciprocamente a
fornirsi prima della stipula del contratto.
176
Di fatto, mentre l‘affiliante amministra i propri interessi con piena
conoscenza di causa, l’altra parte non può fare altro che fidarsi nelle indicazioni
che le sono passate, con la solo prospettiva di poter scoprire la corrispondenza, la
verità, nel corso della relazione quando forse sarà troppo tardi per ricuperare i
pregiudizi.
È chiara la ratio della norma: da un lato garantire al futuro franchisee la
conoscenza di una serie di informazioni, per esempio, la situazione patrimoniale
del franchisor. Si deve osservare che, dei nove articoli di cui è composta la legge,
tre sono dedicati alla fase precontrattuale. Si tratta in particolare, degli articoli 4º e
6º, con cui si individuano specifiche obbligazioni di disclosure, e dell’art. 8º, che
prevede la sanzione per la violazione di questi obblighi.
A queste disposizioni va aggiunto l’art. 3º, comma 4, che fissa il contenuto
minimo del contratto, rinforzando indirettamente l’insieme di informazioni che
l’affiliante è obbligato a fornire all’aspirante ad affiliato. Chiara la ragione di
garantire, nella fase prodromica alla stipula del contratto di affiliazione
commerciale, la trasparenza e la tutela di fiducia della parte, ed in particolare di
quella dell’aspirante ad affiliato, di regola soggetto debole della relazione, e che
deve esser messo in condizioni di conoscere preventivamente le informazioni
essenziali relative al contratto che dovrà stipulare al fine di poter valorizzare con
piena conoscenza la convenienza economica dell’affare, e esprimere di
conseguenza un consentimento pieno ed informato.
È evidente, di fatto, che garantire ai futuri contrattanti di conoscere le
condizioni e gli elementi fondamentali del contratto da concludere, permette agli
stessi una ponderata valutazione del regolamento negoziale che pretendono
sottoscrivere, oltre che dar loro la possibilità di una cosciente scelta fra una serie
di offerte esistenti nel mercato in termini di convenienza ed affidabilità.
177
La finalità, in altre parole, è quella di prevenire comportamenti non corretti
e favorire lo spirito di lealtà e collaborazione che dovrebbe imperniare la instauraz
ione e lo svolgersi di questa tipologia de relazione contrattuale.
L’art. 4º della legge prevede a carico del produttore franchisor il dovere di
consegnare al franchisee per lo meno 30 giorni prima della stipula del contratto,
copia completa del documento da essere sottoscritto, accompagnato da una serie
di annessi, in cui devono essere indicati una pluralità di dati relativi all’affiliante,
cioè, i suoi dati personali e capitale sociale, i suoi bilanci, le marche utilizzate, le
attività oggetto di affiliazione, la lista degli affiliati che operano nel sistema e la
sua variazione negli ultimi tre anni, come anche una sintetica descrizione delle
eventuali procedure giudiziarie o arbitrali promosse in relazione al franchisor.
La disciplina del disclosure è un rinforzo con relazione a quella derivante
dai principi generali del Codice Civile e, in particolare, del principio della buona
fede e della correttezza nelle fasi delle trattative e della formazione dei vincolo
contrattuali da cui deriva una generica obbligazione di informazione, per conto
delle future parti, avendo come oggetto tutte le circostanze rilevanti che dicano
relazione all’affare. Tuttavia la dottrina maggioritaria nega con fermezza che
questo dovere di informazione precontrattuale ex. artt. 1337, 1338, c.c., possa
essere considerato inglobante dell’obbligo della parte di comunicare all’altra dati
e notizie idonee con l’oggettivo di valutare con correzione e convenienza il
negozio, considerando che tali aspetti rientrano nel normale gioco delle
contrattazioni.
È certo che la legge in esame disciplina con sufficiente precisione la fase
delle obbligazioni informative precontrattuali, ma sembra laconica quanto
all’aspetto sanzionatorio, nel caso cioè in cui una delle parti violi i succitati doveri
comportamentali. Di fatto, l’unica disposizione che si occupa di queste questioni è
data dall’art. 8º, che prevede, nel caso in cui una delle parti fornisca all’altra false
178
informazioni, l’annullabilità del contratto. Nei termini dell’art. 1439, c.c., oltre
all’eventuale risarcimento.
La norma non avrebbe nessuna utilità pratica rappresentando solo una
ripetuta riaffermazione in materia di franchising di una regola già estratta dalla
disciplina generale codicistica. Frattanto, come fa notare A. DI BIASI, per dare
una interpretazione adeguata per questo articolo, si potrebbe partire dal
presupposto e considerare la possibilità che la richiesta di annullazione prescinda
dal carattere determinante del consenso ex. art. 1439, c.c. Anche il dolo incidente,
ex. art. 1440, c.c. potrebbe portare alla annullazione.342
La ragione ultima sottintesa tanto dalla disposizione dell’art. 1892, c.c.
quanto dall’art. 8º, l. n. 129/2004, sembrano uguali, precedendo un obbligo legale
di informazione su circostanze rilevanti per la valutazione del rischio, e di riflesso
sanziona, con la caduta della relazione, il comportamento del soggetto che abbia
intenzionalmente comunicato alla controparte notizie non corrispondenti alla
realtà, con lo scopo di originare in questa ultima una non corretta percezione del
regolamento negoziale ed una non ponderata valutazione dello stesso.
Secondo questa ricostruzione, anche il dolo incidente e non solo quello
determinante potrebbe portare all’annullazione del contratto di franchising. Da ciò
deriva al contrario che le informazioni false che tuttavia non abbiano avuto
influenza sulla volontà di contrattare, e neanche su quella di contrattare in
determinate condizioni, non possono portare a quella della fattispecie negoziale.
Un ulteriore problema si presenta quando la informazione fornita da una
parte, di regola il franchisor , all’altra parte, il potenziale franchisee, anche se non
falsa, fosse inesatta o incompleta. In tali casi davanti al silenzio della norma che
non prevede una specifica disciplina, la soluzione prevista sarebbe seguendo i
principi codicistici, perché la comunicazione della informazione inesatta o
342
Cfr. A. DI BIASI, La violazione degli obblighi di disclosure nel contratto di franchising e
l’abuso di dipendenza economica in Europa e diritto privato, riv. Trim. Giuffré, 2007, p. 815
179
incompleta possa causare l’annullazione del contratto. È necessario che tali
informazioni possano aver influenzato la volontà del contrattante. È
indispensabile allora ricorrere ad una delle tre modalità codificate di vizio:
sbaglio, violenza morale o dolo. L’ipotesi adeguata è quella di dimostrare che il
comportamento incorretto della controparte abbia prodotto uno sbaglio
riconoscibile ai sensi dell’art. 1431 del c.c. nonché essenziale. Cioè, in particolare,
lo sbaglio sia stato fatto sull’oggetto del contratto, e non sul motivo dello stesso.
Si può conchiudere nel senso di considerare che l’annullazione per dolo
della relazione di affiliazione contrattuale prescinde dall’impiego, da parte del
franchisor, di artifici o attuazioni, essendo sufficiente la semplice circostanza
rappresentativa di aver dato volontariamente informazioni non corrispondenti a
tutta la reale situazione esistente. Poco importa che queste informazioni siano
caratterizzate da falsità o da semplice incompletezza o inesattezza.
L’esigenza di tutelare i soggetti deboli, ha favorito, per lungo tempo, la
configurazione di ipotesi di debolezza istituzionale o astratta per mezzo delle quali
si è tentato garantire una protezione efficace ai contrattanti, che, se avessero
dovuto provare in giudizio la loro corretta condizione di minorità economica
contrattuale, raramente avrebbero potuto realizzare. La situazione di debolezza
materiale ha come conseguenza la debolezza processuale, per la difficoltà
affrontata dalla parte di provare il diritto allegato.343
Tuttavia, la previsione di subalternità che la legge stabilisce per coloro che
appartengono a determinate categorie come il consumatore, il subfornitore,
sembra superabile mediante prova contraria quando risulta che nella concreta
fattispecie il soggetto supposto debole non lo è.
343
Cfr. D. MANTUCCI, Profili del contratto di subfornitura, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli, 2004, p. 328.
180
CONCLUSIONI
Lo studio ha cercato di esaminare l'istituto del franchising osservare la sua
autonomia come istituto di diritto privato, il suo inserimento nel sistema giuridico
italiano e la possibilità di essere caratterizzato la situazione di dipendenza
economica che è tipica di contratti di distribuzione.
Alla fine, presenta le seguenti conclusioni.
Nell’ambito della normativa europea o contrato de franchising si trova
previsto con Il Regolamento CEE n. 4087/88, de 30.11.88, caratterizzato come
contratto típico: “l’accordo di franchising si intende come quello con cui una
impresa, l’affiliante, concede ad un’altra, l’affiliata, dietro corrispettivo
finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising allo scopo di
commercializzare determinati tipi di beni e o servizi, comprendendo esso almeno
gli obblighi connessi, all’uso di una denominazione o di una insegna commerciale
comune e di una presentazione uniforme della sede e/o dei mezzi di trasporto
oggetto del contratto; alla comunicazione da parte dell’affiliante all’affiliato di un
know-how; alla prestazione permanente da parte dell’affiliante all’affiliato di una
assistenza in campo commerciale o tecnico per la durata dell’accordo’’. 344
Similmente al Regolamento (CEE) N. 4087/1988, il Regolamento (CE) N.
2790/1999 tratta dell’applicazione dell’art. 85, par. 3, riferendosi tuttavia alla
categoria di accordi verticali che dicono rispetto alle disposizioni relative alla
cessione o all’uso del diritto di proprietà intellettuale.
Sotto l’aspetto impresariale, una delle principali esigenze a
cui il
franchising risponde, è, di fatto, la questione della divisione tecnica del lavoro
con specializzazione di incarichi. Attraverso il sistema di franchising sono create
aggregazioni di imprese con specializzazioni, nel loro interno, delle varie funzioni
impresariali. In speciale,
344
l’impresa franchisor si occupa del maggior
Cfr. G. GALIMBERTI. Il Franchising, Giuffrè Editore, Milano, p. 5.
181
perfezionamento della immagine impresariale, della amministrazione delle
innovazioni e della consolidazione e dello sviluppo della immagine impresariale
anche per mezzo dello stimolo pubblicitario. Le imprese franchisee disimpegnano
altre fondamentali attribuzioni, come la formazione del personale di vendita, il
collegamento con la clientela, il credito al consumo. L’attività della impresa
franchisee si sviluppa sotto il nome della impresa franchisor, avvantaggiandosi
della sua notorietà e reputazione, condizionata però da clausole contrattuali che la
dirigono secondo i principi della politica commerciale e della conduzione
impresariale stabilita dalla impresa franchisor.345
Il franchising, a sua volta, si inquadra pienamente nell’ampio genere della
distribuzione commerciale, poiché le imprese produttrici coordinano non solo la
vendita, ma anche tutte le operazioni finalizzate a questo fine e, essendo la
distribuzione l’anello di congiunzione tra la produzione e il collocamento dei
prodotti o servizi ai consumatori, esso risponde efficacemente
proprie
della
moderna
industria
dell’originario ordine organizzativo.
di
realizzare
una
alle esigenze
decentralizzazione
346
Nell’ambito della distribuzione commerciale in Italia esistono alcuni
accordi di collaborazione che presentano affinità con il franchising. Il franchising
costituisce una delle quattro categorie del commercio associativo, che sono:
-
Unione o catene volontarie,cioè accordi verticali tra grossisti e dettaglianti;
-
Gruppi di acquisto, associazioni di tipo orizzontale tra dettaglianti;
-
Franchising, accordi tra operatori economici appartenenti a vari livelli del
processo di commercializzazione dei prodotti.347
La decisiva simpatia per i contratti di franchising provocò da parte della
Commissione CEE un pullulare di soluzioni (tutte nel senso di esentare tali
345
Cfr. A. MARRONE. Il Franchising. Giuffrè Editore, Milano, 2004, p.20.
Cfr. V. De GIOIA. Il Contratto di Franchising. Profili dottrinali, giurisprudenziali, schemi
operativi e formulario. Experta S.p.a, 2004, p.4-5
347
Cfr A. MARRONE. Il Franchising. Giuffré Editore, Milano, 2004, p.21.
346
182
contratti dai fulmini dell’art. 85), giacché si attribuiva a tale sistema la capacità
di incentivare lo small business, migliorando la distribuzione e promovendo, in
ultima analisi, l’interesse pubblico. 348
Le reti di imprese possiedono una lunga traiettoria storica, esistendo
proprio prima della impresa verticalmente integrata e hanno svolto una funzione
importante nel processo di globalizzazione. Da sistemi particolari, legati sia
all’economia reale che a quella finanziaria, troviamo traccia della loro esistenza
già prima del 1492 nella organizzazione
degli scambi di materie prime,
semilavorati e prodotti finiti, che aveva luogo sia in Europa sia tra l’Europa ed il
continente asiatico.349
Il fenomeno è sorto di recente, nel tardi ‘900. Le reti sono emerse nei
mercati reticolari a causa della liberalizzazione che con lo sviluppo tecnologico
ha portato allo smantellamento dei monopoli. E con una diversa morfologia si
incontrano anche nei settori della energia, nelle telecomunicazioni, nel settore
bancario e finanziario e in quello dei trasporti.
Tali reti possono essere considerate più come fenomeno derivante dalle
trasformazioni dei mercati, dalle divisioni internazionali del lavoro e dalla
deverticalizzazione delle filiere produttive che come esito di un processo di
liberazione dei mercati e di ridefinizione di paradigmi. “In questo ambito si
comprendono forme di collaborazione in fase produttiva e distributiva come la
subfornitura o i gruppi di acquisto, i contratti di outsourcing, le joint ventures, i
raggruppamenti di imprese, le ATI, i contratti plurilaterali di ricerca e di sviluppo,
i sistemi di controllo di qualità lungo la filiera, il franchising, la concessione, le
licenze di marchio, i consorzi e altri ancora”.350
348
Crf R. PARDOLESI. Tipologie Prevalenti dei Contratti di Franchising: Aspetti Giuridici Ed
Economici, p. 104
349
Cfr. F. CAFAGGI, Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p.9.
350
Cfr. F. CAFAGGI, Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 9. Queste
reti non avevano sino ad ora trovato una disciplina unitaria ma erano emerse sul piano della prassi
183
La crescita del commercio internazionale e l’aumento delle pressioni
concorrenziali hanno prodotto forme di
deverticalizzazione
della filiera
produttiva frequentemente associata a delocalizzazioni, determinate sia per fattori
di costo sia per la esigenza di attingere i mercati esterni.351
La
deverticalizzazione con forme
di outsourcing richiede forme di
governo contrattuale che ne permettano il coordinamento. Dunque
alla
scomposizione organizzativa si risponde con la ricomposizione contrattuale.
A sua volta, nell’ambito delle reti contrattuali si distinguono due grandi
modelli: quello del contratto plurilaterale e quello dei contratti bilaterali o
plurilaterali collegati. Nel primo caso si ha un contrato di rete di imprese, nel
secondo una rete di contratti collegati: “Sotto il profilo formale la distinzione
concerne principalmente l’unitarietà del negozio: solo quando questa ricorre si
avrà contratto plurilaterale di rete, altrimenti si è in presenza di contratti bilaterali
o plurilaterali eventualmente collegati. Sul versante funzionale l’interrogativo
concerne le ragioni che inducono le parti a scegliere un contratto plurilaterale o
una serie di contratti bilaterali collegati.352
Come riconosciuta
da ampia dottrina, l’interdipendenza, propria dei
sistemi di rete, rende i rischi di opportunismo più elevati e richiede pertanto
l’introduzione di sistemi di difesa più complessi.
La concessione strategica emergente in molte forme organizzative che
fanno largo uso del contratto di franchising può essere sintetizzata, come già
talvolta ricevendo, in seguito, riconoscimento legislativo, che rappresentava una risposta alla
vulnerabilità provocata dalla frammentazione proprietaria e dalla piccola dimensione delle imprese
sia italiane che europee.
351
Cfr. F. CAFAGGI, Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 10. Le
prime legate all’offerta di fattori produttivi, le seconde alla modificazione della domanda.
352
Cfr. F. CAFAGGI. Il Contratto di rete – Commentario, a cura di Fabrizio Cafaggi, p. 16.
Perché esista una rete ci deve essere una relazione strumentale di complementarietà tra l’attività
delle imprese di cui il collegamento contrattuale definito dal contratto di rete diviene espressione.
Non è sufficiente dunque il mero riferimento ad un’operazione economica unitaria; occorre che vi
siano elementi di collegamento tra i contatti collegati in rete sotto il profilo causale e dell’oggetto
che rendano evidente l’interdipendenza tra le attività e di conseguenza del rischio di impresa.
184
sopra indicato, in due grandi opzioni, che sono anche due direzioni evolutive,
nella tendenza della organizzazione commerciale: “da un lato, costruire reti dirette
quanto a circolazione dell’informazione della filiera distributiva; dall’altro,
utilizzare
nella costruzione della rete l’apporto di una pluralità di operatori
indipendenti (sotto il profilo proprietario e manageriale), coordinati attraverso
contratti e media comunicativi che permettono efficaci relazioni cooperative tra il
centro della rete e i suoi terminali periferici”.353
Il contratto di rete è, per espressa previsione legislativa, un contratto con
comunione di interessi e questa connotazione incide chiaramente sul piano
funzionale, estendendosi tanto l’ipotesi di contratto bilaterale quanto quella di
contratto plurilaterale. La disciplina del contratto bilaterale e del contratto
plurilaterale si trovano in un contesto in cui gli aderenti possono optare per una
variabilità del numero delle parti, producendo così una possibile alternanza tra
bilateralità e pluralità.
Prima della edizione della legge di affiliazione commerciale, il contratto
di franchising,
anche se non tipificato legalmente, era già considerato dalla
giurisprudenza come espressione del principio della libertà di iniziativa
economica privata dovuto alla sua larga utilizzazione, garantendo nella espressa
previsione dell’art. 1322 c.c., come ugualmente, avendo come
substrato
costituzionale l’art. 41 Cost., che permette e tutela l’aggregazione e l’affiliazione
e, allo stesso modo, la collaborazione di imprese. “Ne deriva che detto contratto
attiene a materia disponibile in quanto espressione della libertà di scelta nello
svolgimento delle attività economiche riconosciuta al soggetto privato in quanto
tale”.354
353
Cfr. E. RULLANI. Reti e Informazione: La Rivoluzione Commerciale Prossima, p. 33
In tal senso si è manifestata la giurisprudenza che ha riconosciuto la meritevolezza degli
interessi perseguiti dal contratto all’epoca atipico – ma socialmente tipico, data la sua amplia
rilevanza e utilizzazione abituale nel modo dei traffici. Cass. 20 giugno 2000, n. 8376, in Giusti.
Civ, 2001 l, c. 1327. Mettendo in risalto la meritevolezza anche Trib. Milano 28 febbraio 2002, in
354
185
Il D.D.L. n. 19 ha subito, senza dubbio, una forte ispirazione dal
Regolamento (CEE) n. 4087/1988, anche se ha più tardi preso alcuni punti dal
Regolamento (CE) n. 2790/1999.
Tale influenza si denota dalla nozione di
contratto di franchising che fu estratta dal regolamento del 1988. Così, precisa
che laddove l’accordo consista in “rapporti che ( siano) caratterizzati dalla
presenza di un soggetto, affiliante, fornitor o franchissor, che
mette a
disposizione di un altro soggetto, affiliato, acquirente o franchisee, un insieme di
diritti di proprietà industriale o intellettuale relative a marchi, denominazioni
commerciali, insegne, modelli di utilità, diritti di autore, know-how, brevetti,
assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema
costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di
commercializzare determinati beni o servizi”, indipendentemente dal nomen iuris
attribuito dalle parti al contratto, devono applicarsi le norme ivi contenute.355
Si discute nello scenario sopra disegnato, se potrebbe essere applicabile la
disciplina dell’art. 1469 – bis, contratti dei consumatori, al soggetto che stipula
un contratto come affiliato, ma non esercita ancora nessuna attività, non potendo
pertanto, per tale effetto essere considerato imprenditore, ed essendo persona
fisica potrebbe essere applicabile la tutela consumeristica.
Il problema si inserisce in un dibattito più ampio, circa i confini della
figura <<consumatore>> “che parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene
debba esser definita in modo estensivo, con riguardo cioè ad ogni ipotesi in cui sia
dato riscontrare una condizione di debolezza e di sostanziale squilibrio in capo ad
uno dei soggetti di un contratto per effetto di una asimmetria informativa: tipica
di chi non abbia né la forza di imporre una trattativa sulle clausole contrattuali, né
il tempo, la capacità od il denaro necessari per realizzare le clausole predisposte
Giur. Milanese, 2002, p. 273. Cfr. A. BERTOLOTTI. Norme per la Disciplina dell’Affiliazione
Commerciale a cura di Oreste Cagnasso. G. Giappichelli Editore – Torino, p. 50..
355
Cfr. A. BONFANTE. Evoluzione Normativa, in Norme per La Disciplina dell’Affiliazione
Commerciale a cura di Oreste Cagnasso, G. Giappichelli Editore – Torino, p. 36...
186
della controparte”. Dove si presentasse una simile ipotesi, l’art. 1469 – bis, si
rivelerebbe come idoneo e necessario strumento di tutela.356
Altra parte della dottrina, collocandosi nella prospettiva della affiliazione
commerciale, nega l’applicabilità di tali norme, ed afferma nel senso contrario,
che la propria stipula del contratto, per un orientamento
teleologico che lo
caratterizza, costituirebbe un indizio evidente della nascita di una impresa,
suscettibile per sé stesso di escludere la qualificazione del futuro affiliato, anche
se in quel momento non operi già in una impresa, come consumatore.357
Il panorama dottrinario e giurisprudenziale circa il divieto di abuso di
dipendenza economica è ancora incerto e oscillante. Sia per quanto dice rispetto
all’inquadramento sistematico sia per quanto concerne la concreta applicazione di
questo istituto; è da tutti accettato che tale normativa, dopo di aver prescritto le
regole generali di proibizione di abuso di dipendenza economica da parte di una
impresa in relazione ad un’altra, sanziona con nullità il patto attraverso cui si
realizza tal abuso. Questa prescrizione per la prima volta fa riferimento ad una
356
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising – La Nuova Legge sull’Affiliazione
Commerciale – Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 61. Seguendo tale linea il
Tribunale di Ivrea con sentenza 5 ottobre 1999, in Danno e Responsabilità, 2000, p. 861 procede
ad applicare la normativa introdotta con l’art. 25, legge 6 febbraio 1996, n. 52, alla fattispecie di
una persona fisica che acquista beni allo scopo di avviare una piccola attività commerciale
collaterale a quella lavorativa già sua propria.
357
Cfr. F. BORTOLOTTI. Il Contratto di Franchising – La Nuova Legge sull’Affiliazione
Commerciale – Le Norme Antitrust Europee, CEDAM, 2004, p. 61. L’autore richiama
FRIGNANI, op. Cit. P.31: L’Autore fa richiamo alla sentenza Corte di Giustizia Comunità
Europee, 3 luglio 1997, Benincasa (edita per esteso in Giust
. civ., 1999, I, p. 11, e quindi annotata da COREA, sulle nozioni di “consumatore”: il problema
dei contratti stipulati a scopi professionali, ivi, 1999, I, p. 13), pronunciata in una fattispecie di
affiliazione commerciale. La decisione f riferimento, tuttavia, agli artt. 13, 1.o comma, e 14, 1.o
comma, della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, concernente la competenza
giurisdizionale e l’esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale, ove viene definito
consumatore che agisce <<per un fine che non può considerato estraneo alla sua attività
professionale>>: formulazione che viene interpretata nel senso che <<chi ha stipulato un contratto
per l’esercizio di un’attività professionale non attuale ma futura non può essere considerato come
consumatore>>. Diversa, come è noto, la direzione dell’art. 1469-bis: <<la persona fisica che
agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta>>, in cui
il participio passato (svolta) non parrebbe consentire una interpretazione che non si traducesse in
una effettiva attualità dell’esercizio. Estrato da ANGELO BERTOLOTTI, P. 62.
187
situazione di “debolezza contrattuale” ad un soggetto diverso dal consumatore,
cioè, un imprenditore.
Considera per questo il legislatore che situazioni di
squilibrio contrattuale possano darsi fuori dei limiti consumeristici, verificandosi
anche nelle relazioni tra imprese.358
Sul tema, importa notare che l’abuso di dipendenza economica non
costituisce altro che una specifica espressione di un comportamento contrario
alla buona fede,
che nemmeno il controllo sulla congruità del contenuto
contrattuale che questo comporta, sembra aver caratteristiche eccezionali,
dovendo, al contrario, deve essere considerato come l’applicazione specifica dei
principi fondamentali dell’ordinamento.359
Di fatto, la tutela della posizione della parte contrattuale debole trova
solide radici nello sforzo costituzionale in favore della solidarietà e della
uguaglianza sostanziale prevista negli artt. 2 e 3, comma 2, cost., che trasforma
non solo in legittimi, ma in necessari gli interventi legislativi diretti a correggere
queste disparità socio-economiche che impediscono alle parti di godere della
stessa libertà di determinare il contenuto del contratto.
Effettivamente, il contratto di subfornitura non ha, in realtà, disciplinato
un nuovo contratto tipico, autonomo ed alternativo, rispetto a figure negoziali
tradizionali, ma avrebbe, al contrario, configurato una specie di tipo di contratto
generale dovuto al suo carattere di trasversalità. Il problema della norma di
applicazione dell’art. 9º, legge 18 giugno 1998., n. 192, è stato affrontato dalla
giurisprudenza, che in modo maggioritario, forse mossa dalla preoccupazione di
non estendere il campo di operatività di una normativa
di potenziale
trasformatore, sia stata molto cautelosa e rigorosa nel considerare le disposizioni
358
Cfr. A. DI BIASE. La vocazione allargata di divieto di abuso di dipendenza economica nei
rapporti tra imprese limiti e presupposti applicativi. Rivista di diritto dell’impresa, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli, 2007, p. 543.
359
Cfr. F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica – profili
ricostruttivi e sistematici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002, p. 346.
188
in materia di proibizione di abuso di dipendenza economica come una norma di
settore applicabile pertanto solo alle relazioni di subfornitura come definite
nell’art. 1 della legge n. 192/1998.
Per sostenere questa tesi, sono presentate varie argomentazioni. In primo
posto, la collocazione sistematica della norma inserita in una legge il cui titolo
“disciplina la subfornitura nelle attività produttive” disciplina solo tale
operazione. D’altro lato, una interpretazione estensiva violerebbe il principio
costituzionale della libertà di contrattare espresso negli artt. 41 cost. e 1321,
1322, 1326, 137, c.c. Seguendo questa lettura, la norma sull’abuso di dipendenza
economica costituirebbe parte integrante della legge n. 192/1998 e pertanto
applicabile esclusivamente quando configurata la fattispecie tipica di subfornitura
nel senso dell’art. 1 della stessa legge.
Consolidata tale posizione ha interpretato il Tribunale di Bari, nell’ord.
del 2 luglio 2002 “è assolutamente contrario ai principi di ermeneutica giuridica
ritenere che una norma inserita in una legge di settore che disciplina la
subfornitura nelle attività produttive, abbia un effetto così dirompente da
stravolgere tutti i principi in materia contrattuale, introducendo un potere così
penetrante in capo al giudice, il quale può riequilibrare l’assetto del contratto”.
Peraltro si aggiunge che la proibizione di abuso di dipendenza economica,
se applicabile fuori della stretta regolamentazione della subfornitura,
si
rivelerebbe in modo assoluto come spezzando i principi di comune applicazione
in materia contrattuale, conforme già determinato dalla giurisprudenza, come può
essere verificato dalla ordin. 22 dicembre 2003, del Tribunale di Taranto.
In altre parole, si verifica chiaramente tutta la contrarietà mostrata dalla
giurisprudenza nel cammino di una normativa di forte contenuto protettivo per il
soggetto debole, e che legittima in certo modo e dentro di certi limiti, un esame
189
giudiziale sull’equilibrio normativo dello scambio negoziale in assoluto disprezzo
dell’antica sentenza pacta sunt servanda.360
Seguendo una linea di pensiero diversa, analizzando la letteralità della
norma che, all’individuare
i soggetti
protetti dalla proibizione di abuso di
dipendenza economica, non parla in subfornitura e committente , locuzioni al
contrario previste nell’art. 1, ma utilizzata in diversi termini di “impresa cliente o
fornitrice”. Oltre a questo, c’è anche la determinazione da parte del legislatore
che afferma: “l’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di
comprare”.
Deporrebbero a favore dell’ampliamento dell’ambito di applicazione del
divieto di abuso di dipendenza economica i lavori preparativi della legge n.
192/1998 che seguendo un piano di interpretazione storica risulterebbero
dall’espresso riferimento alla legge tedesca in tutte le relazioni esposte dalla
legge
contro
la
limitazione
della
concorrenza
(Gesetz
gegen
Wettbewerbsbeschrankungen – GWB), come ugualmente all’art. 8 dell’ordinanza
Francese del 1º dicembre 1986, n. 1243, nei due casi le norme non si limitano
alla subfornitura, come anche la originaria collocazione della normativa della
subfornitura nella legge antitrust, visto che in questa sede la norma prescinde
necessariamente da qualunque riferimento al contratto in oggetto.
Effettivamente,
si deve allora parlare di una profonda revisione
del
compito e della funzione tradizionalmente assicurata alla nozione di autonomia
privata, che non possono essere considerati un valore in se stesso, dovendo il suo
esercizio come qualunque altro comportamento rilevante adeguarsi in concreto
360
Cfr. R. RINALDI- F. TURITTO. L’abuso di dipendenza economica in P. SPOSATO-M.
COCCIA. La disciplina del contratto di subfornitura nella legge n. 192 del 1998, p. 121. Per il
citato autore una espansione della norma oltre ai limiti della subfornitura sarebbe contraria sotto
gli aspetti sistematico e teleologico.
190
alle scelte sostanziali che caratterizzano l’ordinamento,
361
specialmente con la
crescente normativa direttamente derivata dall’ordinamento comunitario che dà
enfasi alla tutela dei soggetti considerati socialmente deboli, e il risorgere dei
principi generali come il divieto di dipendenza economica basato in valori
costituzionali.
L’etica sta conquistando spazi sempre più ampi nell’ambito delle relazioni
economiche e anche delle regolamentazioni giuridici. La rigida distinzione tra la
sfera giuridica e la sfera morale che distinse tutto il pensiero giuridico moderno
partendo dalle prime distinzioni di Tommaso d’Aquino e dalle riflessioni kantiane
contenute nella metafisica dei costumi sembra superata.362
Gli studi giuridici stanno conoscendo una autentica svolta . La realtà è
che tra gli economisti è diffusa la convinzione che non tutti i comportamenti
umani sono riconducibili a scelte razionali e neanche tutte le motivazioni di tali
comportamenti sono ispirate in incentivi monetari. Nuove ricerche sia nel campo
della economia cognitiva sia nel campo della economia sperimentale mostrano
aperture sempre più insistenti nel rivisitare l’etica nel presupposto di che sul
comportamento umano dipenda da una molteplicità di fattori, anche etici, e che
generalmente le determinazioni assunte in ambito economico non possono
sistematicamente prescindere da una valutazione assiologica.
L’etica appare come l’unica fonte idonea e plausibile per proporre codici
di valori comuni, decaloghi di pratiche condivise, complesso di regole che non si
esauriscono appena nella logica delle relazioni di forza e di compromessi di
potere, dei
deficienti programmi di coordinamento e di coerenti quadri di
regolamentazioni.
361
Cfr. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Edizioni Scientifiche
Italiane , Napoli, 1991, p. 134 ss.
362
Cfr. G. CONTE, Vincoli giuridici, principi economici e valori etici nello svolgimento
dell’attività di impresa in Studi in onore di Nicolo Lipari, Tomo I, Milano, 2008, p. 488.
191
Nell’aspetto giuridico L’etica si spande inizialmente per mezzo della così
detta soft law, ma anche per mezzo delle tradizionali fonti rigide.363 D’altro lato le
fonti legislative anche esigono regole etiche di comportamento per introdurre
una più efficace regolamentazione giuridica dei fenomeni specialmente complessi.
La
dottrina
discute,
alla
fine,
circa
l’estensione
della
tutela
dell’imprenditore debole oltre al contratto. Questa alterazione di paradigma
cambia completamente lo scenario e permette
di
interrogarsi sulla diversa
possibile rilevanza giuridica della dominanza relativa, non più vista nel suo
congiunto
regolatorio
come clausola contrattuale squilibrata o ingiusta, ma
pensata nella sua essenza di condotta non approvata, che, per ciò stesso, riceve il
predicato di illiceità. E l’abuso a questo punto potrebbe coincidere con l’area del
fatto illecito commerciale definibile stipulantemente come un fatto doloso o
colposo lesivo dell’equilibrio economico della impresa dominata.364
Quanto riguarda la questione di nullità rivela fondamentale il aspetto
consiste nel fatto che non si può allontanare dalla struttura dogmatica questa
forma di invalidità, poiché nella nullità speciale il dogma di assoluta inefficacia
del negozio nullo risulta completamente superato e la produzione di effetti
giuridici deve essere considerata connota nodi con le regole della nullità
speciale.365 Generalmente si presenta come conseguenza indefettibile della nullità
dell’atto la espurgazione del proprio negozio dal mondo giuridico, che sembra
363
Cfr. G. CONTE, Vincoli giuridici, principi economici e valori etici nello svolgimento
dell’attività di impresa in Studi in onore di Nicolo Lipari, Giuffré, Tomo I, Milano, 2008, p. 493.
Una parte più significativa delle regolamentazioni delle attività delle imprese è, in qualche modo,
affidata a codici etici e di autoregolamentazione che vengono adottati spontaneamente dalle
imprese e cercano di focalizzare la introduzione di standard di condotta influenzati da valori etici
e sociali.
364
frR. M. ORLANDIi, dominanza relativa e illecito commerciale in Il Problema in Il terzo
contratto, a cura di Gregorio Gitti e Gianroberto Villa, Società Editrice il Mulino, Bologna, 2008,
p. 137.
365
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1013.
192
attualmente meccanismo largamente superato visto che al contrario si oggettiva
con la nullità speciale la conservazione della relazione, adeguandosi la
conformazione degli interessi che giustificano la reazione dell’ordinamento.366
In questo modo si fa riferimento al fenomeno della necessaria parzialità di
nullità, che comporta molte fattispecie di nullità protettive, e la circostanza che in
questo caso c’è la permanenza della relazione e comporta naturalmente che il
contratto abbia efficacia relativamente alla parte valida, che pertanto non è
toccata dalla nullità.
L’esigenza di tutelare i soggetti deboli, ha favorito, per lungo tempo, la
configurazione di ipotesi di debolezza istituzionale o astratta per mezzo delle quali
si è tentato garantire una protezione efficace ai contrattanti, che, se avessero
dovuto provare in giudizio la loro corretta condizione di minorità economica
contrattuale, raramente avrebbero potuto realizzare. La situazione di debolezza
materiale ha come conseguenza la debolezza processuale, per la difficoltà
affrontata dalla parte di provare il diritto allegato.367
Tuttavia, la previsione di subalternità che la legge stabilisce per coloro
che appartengono a determinate categorie come il consumatore, il subfornitore,
sembra superabile mediante prova contraria quando risulta che nella concreta
fattispecie il soggetto supposto debole non lo è.
Il dubbio e’ suscitato dalla lettura della disposizione racchiusa nell’art. 9,
l. n. 192 de 1992 del 1998, la dove il legislatore, consapevole delle possibililà,
multiformi, manifestazioni delle condotte, e con la precisa intenzione di non voler
cristallizzare i comportamenti, si e’ limitato ad indicarne in via esemplificativa
alcuni, e tra questi, oltre al divieto di imposizione di condizioni contrattuali
366
Cfr. G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità) in studi in
onore di Giovanni Giacobbe, tomo II (attività economiche tra autonomia e tutela), Giuffré (a cura
di Giuseppe Dalla Torre), Milano, 2010, p. 1016. Cfr. S. POLIDORO, Discipline della nullità e
interessi protetti, Napoli, 2001, 180, p. 13.
367
Cfr. D. MANTUCCI, Profili del contratto di subfornitura, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli, 2004, p. 328.
193
ingiustificatamente gravose o discriminatorie, ha incluso l’interruzione arbitraria
delle relazioni commerciali ed il rifiuto di vendere e di comprare.
L’interruzione arbitraria ‘e definita, in via esemplificativa, dal recesso
ingiustificato, dalle ipotesi in cui l’impresa in posizione di forza, alla scadenza del
rapporto contrattuale instaurato come l’impresa economicamente dipendente,
rifiuti di rinnovarlo malgrado le costanti e corrette relazioni commerciali. In tale
ipostesi, infatti, legittimamente insorge nel soggetto economicamente piu’ debole
un affidamento nella conclusione di ulteriori contratti, tale da indurlo ad
organizzare la propria attivita’ sul presupposto di una ordinata prosecuzione delle
relazioni contrattuali.
Appare evidente che in tal caso il soggetto economicamente debole non
possa essere lasciato in balia delle scelte unilaterali del contraente forte.
Il problema della legittimità dell’ interrruzione delle relazioni commerciali
riguarda, evidentemente, tutti i rapporti nei quali si riscontri una dipendenza
economica, espressa dall’impossibilita’ materiale di reperire sul mercato
alternativa soddisfacenti. Così non soltanto i rapporti di subfornitura, ma anche i
rapporti di franchising , di concessione di vendita, ecc., soggiacciono alla
disciplina richiamata.
Sicuramente la prospettiva formalistica – che circoscrive l’operatività della
disposizione al contratto di subfornitura- trascura del tutto il problema della
giustizia materiale nell’ ambito di tali contratti, quando, invece, non v’e’ dubbio
che, ad es., il franchisee versi in una situazione di assoluta dipendenza economica
nei confronti del franchisor pienamente assimilabile a quella del subfornitore.
La stessa ratio della disposizione – tutela del contraente debole rispetto al
rischio di un recesso improvviso - sollecita una soluzione interpretativa estensiva.
194
La dottrina già da tempo ha sottolineato l’intimo legame che corre fra
l’abuso e la mancanza di giusta causa. Tuttavia, il rinvio al ruolo della giusta
causa ed alla funzione assolta dal termine di preavviso potrebbe suggerire la
verifica in concreto in ordine alla giustezza dell’esercizio del recesso. Così, in
presenza di alcune circostanze diventa alquanto difficile pretendere che la parte
recedente continui a dare esecuzione al contratto, a fronte dell’ inadempimento
dell’altra parte. Ma se l’impresa recedente abbia, attraverso propri comportamenti,
ingenerato nella controparte il ragionevole affidamento sulla prosecuzione del
rapporto, non può evidentemente pretendere improvvisamente e senza alcun
preavviso di sciogliere il contratto, incontrando il limite della buona fede368.
La conclusione evidentemente si traduce nella necessità che in ogni caso
venga effettuato un giudizio di meritevolezza dell’atto di esercizio del recesso, il
cui esito positivo non può fondarsi esclusivamente sulla mera presenza di una
giusta causa, ma deve scaturire da una valutazione alla stregua del principio di
buona fede.
368
Cfr. A. VILLELLA, Abuso di dipendenza economica ed obbligo a contrarre, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli, 2008, p. 176.
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