Famiglia e conoscenza condivisa
Psicoanalisi con Genitori e Bambini: la Consultazione Partecipata
Dina Vallino
(Psicoterapeuta, Membro Ordinario con funzioni di training della SPI e dell’IPA)
Come dal titolo, Vi parlerò del piccolo gruppo, costituito da padre madre, figlio o figlia, quello che arriva al
mio studio, quando i genitori mi chiedono una consulenza che li aiuti a comprendere e ad affrontare la
schietta sofferenza o l’indefinibile disagio o la vera e propria ineducabilità dei loro figli. Nella mia
relazione, cercherò di mostrarvi le varie fasi della Consultazione partecipata, prima nei suoi termini generali
poi con alcune esemplificazioni.
E' dal 1984 che ho cominciato a praticare una consultazione per i bambini diversa da quella che mi era
stata insegnata. Nel modello di consultazione da me proposto ho iniziato a chiedere ai genitori e ai
bambini di divenire, insieme a me analista, protagonisti essi stessi di un lavoro psicoanalitico di breve
durata. Sottolineo che l'innovazione concerne il rapporto con i genitori, che vengono invitati, nella stanza
di consultazione, con i loro figli, a dare un contributo, laddove in passato, l'analista pretendeva di
incontrare il bambino da solo. Malauguratamente, infatti e per troppi anni, la psicoanalisi dei bambini ha
imitato la psicoanalisi degli adulti, considerando il lavoro clinico col bambino alla luce di una privacy che
generava nei genitori un potente senso di esclusione e di conseguenza nei figli un forte disagio. Spesso
quest'atteggiamento degli analisti, applicato rigidamente, conduceva a un'interruzione precoce delle
terapie, per l'incomprensione da parte dei genitori del lavoro dell'analista.
Il progetto di impostare una consultazione che restituisca ai genitori la responsabilità nella cura dei loro
figli è stato accolto con attenzione da un nutrito numero di colleghe e colleghi, psicoterapeuti,
neuropsichiatri infantili, ma anche psicologi, assistenti sociali, fisioterapisti, tanti operatori di varie
professionalità che nelle istituzioni nei loro ambulatori o negli studi privati hanno messo alla prova l'
efficacia della CPP come intervento preventivo precoce.
L’idea di Consultazione Partecipata nasce in me dall’esperienza di Infant Observation in cui mi sono
cimentata per più di trent'anni personalmente e in gruppi di studio. E' una formazione che mi ha
consentito di conoscere la famiglia di numerosi neonati, così da entrare in contatto con la relazione della
madre con il bambino piccolo, avvertendo anche l’importanza della presenza del papà, dei fratelli e delle
sorelle. Questa conoscenza ravvicinata delle dinamiche familiari che, essendo Osservatore, non avevo
possibilità di modificare, mi ha portato a ri-conoscere nell’intimità delle case frequentate alcuni tipi di
difficoltà che le madri incontrano con i loro bambini nella crescita, difficoltà che sintetizzo in una parola:
fraintendimento della comunicazione del bambino, dei suoi sentimenti, dei suoi vissuti. Il sintomo del
bambino spesso deriva dalla mancata risposta dei genitori alla sua comunicazione e dunque
dall'ecquivocare i suoi stati mentali. La parola Fraintendimento significa interpretare travisando (anche
solo per disattenzione) il valore di una o più parole, od anche un gesto, un atto, un comportamento. Nella
parola "fraintendere" il <fra> è preposizione nel senso di ostacolo interposto. Per alcune accezioni
fraintendimento si incrocia con malinteso ed equivoco (espressione verbale che si presta ad essere
interpretata in più modi). Considerazioni analoghe sulla <frattura> relazionale generata dal
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fraintendimento, mi hanno indotto a realizzare un tipo di Consultazione in cui, invece di lasciare i genitori
fuori dalla stanza riproducevo, nel mio studio, una relazione tra mamma- bambino- padre in cui
diventasse visibile, ai genitori, il loro fraintendimento. In pratica, la Consultazione partecipata permette di
indicare ai genitori in difficoltà educative, che il sintomo del bambino deriva dalla mancata loro risposta
alla sua comunicazione. 1)
Nella Consultazione partecipata è la durata del setting e la sua modulazione che permette di selezionare
eventi affettivi inconsci che ristabiliscono una comunicazione tra genitori e figli.
Quando ricreo nella stanza d’analisi una situazione familiare per mamma - bambino-padre, è facile notare
come reagisce un bimbo piccolo, trattato bruscamente o semplicemente in modo disattento dalla madre
(o dal padre): ecco che inibisce la sua capacità di comunicazione, abbassa la testa, distoglie lo sguardo, si
guarda le mani o i piedi oppure comincia a piangere, si agita in braccio alla madre e così via. Possiamo
inoltre osservare come i genitori, a loro volta, a fronte dell’ essere il loro bimbo divenuto insofferente, si
allarmano ulteriormente per non riuscire a confortarlo, con il risultato di confusione tra il disagio del
bambino e il disagio dei genitori. Tale confusione è la matassa intricata che il lavoro della consultazione è
in grado non solo di rivelare, ma di modificare. Talvolta può essere sufficiente una sola seduta .
Consultazione Partecipata relativa a Ludovico 4 mesi
La consultazione è richiesta per una malformazione alla manina sinistra e il problema è inerente
all’applicazione di una protesi. Vengono proposte diverse possibilità e i genitori, in grande incertezza, mi
chiedono di essere aiutati a pensare in modo ordinato sul da farsi.
La mamma arriva col bimbo in braccio, accompagnata dal padre. Lodovico è un magnifico neonato con
una testolina bionda, appena pelurie, che mi guarda fissamente seguendomi con gli occhi, forse azzurri e
spalancati, mentre lo faccio accomodare. Noto con difficoltà la malformazione alla manina, tanto il suo
aspetto è piacevole e armonioso.
Subito all’inizio della consultazione la madre enumera i diversi tipi di diagnosi e prognosi per questa
malformazione. Con tono molto lamentoso la madre passa in rassegna le visite dai chirurghi che hanno
dato pareri contrapposti sull’ applicazione della protesi (fare subito l’intervento o invece al compimento
dei due anni). La protesi comunque è stata ordinata per il compimento dell’anno. (Dunque è già deciso il
da farsi, penso).
Rivolgendomi al bimbo e parlando a bassa voce, come in conversazione con lui, brevemente sottolineo
che Ludovico ha subito molte visite e gli chiedo se col suo guardami fisso sta studiando che cosa voglio
fare e se ha timore di essere visitato ( “avrai forse paura di un’altra visita”?) Lo rassicuro.
1
Sin dagli anni 50 del secolo scorso pur tra scuole di pensiero differenti, come quella di Anna Freud e quella di Melanie
Klein, espressa anche dal lavoro di Donald Meltzer, vi fu un accordo implicito sul fatto che i genitori dovessero essere
lasciati fuori dalla stanza d'analisi dei loro figli, oppure dovessero essere convinti essi stessi o a farsi analizzare o a
fare con altri psicoterapeuti un lavoro di sostegno. (cfr. Melzer 1967)
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La madre mi dice che ha difficoltà a capire che cosa va bene per il bambino e per questo si sono rivolti a
me dietro consiglio del Prof. X, per poterne discutere insieme. Parla in tono di voce lacrimevole e il
bambino che prima mi guardava fisso, adesso comincia ad agitarsi in braccio a lei sino a mettersi a
piangere in modo sconsolato.
Intervengo rivolgendomi al padre e alla madre per dire che Ludovico adesso piange e che mi sembra che il
suo pianto sia in risonanza con la voce preoccupata della mamma. Forse avverte che c’è qualcosa che non
va. Aggiungo che ha una sensibilità eccezionale.
A questo punto la madre scoppia in un pianto dirotto e mi spiega che lei ha avuto l’informazione (sulla
malformazione) alla nascita del figlio e esclama con una certa esasperazione: “io l’ho fatto rotto… io l’ho
fatto rotto ! Io glielo dico a volte e piango spesso con lui, io piango per te –gli dico- per la tua manina- non
posso accettarla, lui mi guarda, a volte mi sorride”
E' qui che vedo intervenire il fraintendimento: il lattante non dimostra affatto di sentirsi rotto, è la madre
che sente che lui è oppresso da infelicità. La infelicità è invece della madre che, senza volerlo, la attribuisce
al figlio (identificazione proiettiva patologica).
Purtroppo il lattante di quattro mesi già introietta il vissuto disperato materno e si dispera a sua volta;
non sappiamo in quale forma precisamente tale introiezione (identificazione introiettiva) potrà incidere in
lui.
La madre continua a piangere dicendo che ha fatto un bambino rotto ma aggiunge che una sua
conoscente che non ha potuto avere figli lo avrebbe voluto anche rotto un figlio, certo non sa cosa vuol
dire! meglio sarebbe stato non averlo, piange. L’ha saputo dopo il parto, ha avuto uno choc!
Intanto il pianto di Ludovico si è fatto disperato. Lo prende in braccio il papà che, assentendo con la
moglie, stava sino a quel momento in silenzio. Il papà lo porta alla finestra come per distrarlo. Ludovico si
calma istantaneamente e quasi subito si addormenta. Mentre dorme c’è come un piccolo sospirosinghiozzo nella vocina: hmmh.
La madre ricomincia a parlare, travolta dal suo problema della protesi mentre insistentemente mi chiede :
"Gli devo parlare, gli devo dire della manina? Che ne facciamo una nuova? Devo chiedergli cosa
preferisce?"Mi si confermava l’impressione iniziale che la madre era sconvolta e non aveva nessuna idea di
come fosse un lattante: lo vedeva avanti negli anni, capace di prendere decisioni e intanto trascurava
l’angoscia e la disperazione del suo piccolo, lì, nel momento presente, da lei provocata. Cerco di tradurre
questa mia impressione con qualche commento sul fatto che è importante che lei parli col bambino, ma è
opportuno che lo conforti, parlandogli con un tono di voce tranquillo; cerco di riportarla alla realtà del
bambino, piccino così bisognoso di conforto. Le mostro come il bambino tra le braccia del papà si è subito
tranquillizzato.
La madre a questo punto fa qualche osservazione sulle difficoltà di capire un bimbo così piccolo.
Aggiungo che era importante che lei si rendesse conto di che cosa provava il suo bambino, guardandolo
poteva accorgersi di cosa provava.
La invito ad ascoltare insieme a me il sonno del lattante con quel leggerissimo ma costante lamento.
Facciamo silenzio. Cerco con questa esortazione al silenzio di conquistare un momento di osservazione in
favore di Ludovico.
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Per sollevare il velo del fraintendimento occorreva restituire alla madre un'immagine diversa da quella del
bambino " rotto". Dopo uno o due minuti perciò commento qualcosa sul come Ludovico è davvero un
bambino bellissimo, vivace, lo sguardo penetrante e parlando anche al neonato addormentato gli dissi
quanto lui sembrava capire dalla voce della madre che cosa lei provava e mostrava di avere già un forte
legame affettivo con la sua mamma.
Riassumendo: nelle due ore di questa prima ed unica consultazione non si è affatto parlato su ciò che i
genitori avevano chiesto, ma, potremmo dire, la consultazione partecipata ha imposto la sua propria
regola: la madre si è lasciata andare a mostrare tutta la angoscia e mancanza di speranza. La risposta
risonante di analoga angoscia del lattante ha permesso a me terapeuta di intuire il fraintendimento
costitutivo in quel periodo della relazione della mamma col figlio ed il possibile, alla lunga, effetto
patologico su di lui. Aprendo un tempo di osservazione sul bambino ho potuto mostrare ai genitori in
modo diretto e vivo che il loro bambino diventava infelice se la madre era infelice ma che poteva essere
confortato, come avveniva col padre e che, è sensibilissimo, legato alla madre affettivamente e insomma
bellissimo. 2)
Ci rendiamo conto così che il fraintendimento della comunicazione del bambino e l'identificazione
proiettiva patologica della madre ( o della figura di riferimento) sono una coppia di processi inconsci,
complementari l'uno dell'altro.
Infatti l'identificazione proiettiva patologica è l'altra faccia del
fraintendimento che accade quando una madre, come la mamma di Ludovico,
non è in grado di
riconoscere la persona del suo bambino, cioè non è in grado di osservarlo per comprenderlo nelle sue
manifestazioni personali, poiché la sua mente si sente spinta in direzione opposta: a impadronirsi e
installarsi nella mente del suo bambino. Il fraintendimento da luogo all'obliterazione del bambino come
persona, ed è il prodotto di una identificazione proiettiva patologica.
La peculiarità della CP è che essa non riguarda solo i bambini 0/2 cioè i piccolini per cui è indispensabile la
presenza di papà e mamma, ma può essere estesa a bambini più grandi sino all’adolescenza.
Anche per questi bambini si tratta di mostrare ai genitori come il sintomo del bambino deriva da una
mancata risposta alla sua comunicazione, da cui il sintomo.
La Consultazione Partecipata promuovendo la ripresa dei momenti aurorali di dialogo madre-bambinopadre, rende possibile una ripresa dello sviluppo. Ad es. Arianna, 3anni e mezzo, risolve un ritardo
importante nell’educazione degli sfinteri e un’insistenza nel continuare a sporcare nel pannolino, (quasi
una forma di encopresi primaria), quando la psicoterapeuta mostrò ai suoi genitori, attraverso la
consultazione partecipata, le possibilità di superare con la bambina, nel gioco, una buona dose di
fraintendimento circolante tra loro in modo tossico.
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Sin qui ho indicato soltanto la problematica dei bambini piccoli, dai 0 a 2 anni, per cui è particolarmente idonea e
necessaria come sanno tutti gli operatori, la presenza dei genitori, come avrete notato io intendo partecipazione in
senso stretto, nel senso che la madre o il padre non rimangono semplicemente a fare compagnia al bambino affinché
non si spaventi ma vengono coinvolti nella problematica della consultazione stessa.
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Insomma occorre cercare di far vivere al bambino e ai genitori, in consultazione, un momento di
riavvicinamento. Cercare di far sì che la consultazione sia per il bambino un’occasione di ritrovare un
momento di comprensione con i genitori, un accordo che, perdurando il fraintendimento, da molto
tempo non si verificava tra loro.
Il setting della Consultazione Partecipata (CPP)
è di circa 7 incontri, che possono essere prolungati (CPP) secondo il progetto che emergerà da questo
lavoro:
1 colloquio (il primo) è con i genitori
2 consultazioni madre e bambino/a (o genitori e bambino/a)
1 consultazione padre e bambino/a
1 colloquio con i genitori in corso d’opera
1 colloquio conclusivo con i genitori
1 colloquio di restituzione al bambino/a.
Fa parte del setting chiedere, nel primo colloquio con i genitori, di portarmi, quando verranno col figlio/a,
documenti familiari, filmini, foto, i primi disegni, qualche album di scuola. Dico loro che li guarderemo nel
primo incontro col bambino per considerare momenti, per lui, significativi della sua vita passata,
documenti della sua vita che lo aiutino a sentire di essere ascoltato, che lo facciano sentire nella mente
dei genitori ed essere considerato per quello che è e per quello che pensa. Lo scopo è anche costruire
insieme i tratti essenziali della sua biografia: come è nato, che giorno era, come stava da piccolo, cosa è
successo poi nell’allattamento e allo svezzamento, cosa è avvenuto al primo compleanno, o quella volta
che era con i nonni etc.
L'uso di questi documenti non è solo finalizzato a iniziare con me terapeuta una conoscenza del bambino,
ma è un’occasione per lui stesso per pensare alla sua storia. Il guardare documenti del suo passato, mi pare
essere per i bambini un sentire di esistere per i genitori. Se qualcuno pensa alla sua storia insieme a lui e si
interessa di lui, ricompare un vissuto analogo a quella curiosità che i bambini felici rivolgono alla madre o
al padre: dimmi come ero quando sono nato, come stavate voi quando non c’ero, quando mi avete fatto
nascere cosa pensavate ecc.
Mi sono accorta nel tempo che la memoria del loro breve passato è per bambine e bambini una parte
importante di sé, come è fondamentale prendere consapevolezza sul fatto che Qualcuno, non di famiglia,
può interessarsi della loro storia.
I genitori sono, durante la CP, sempre invitati a giocare col figlio come fanno a casa e ad aiutarlo a
realizzare il suo gioco. Ho notato che alcuni genitori non sanno giocare o ritengono il gioco una perdita di
tempo. Qui si apre una parentesi: come sviluppare con padre e madre una <cultura del gioco> come
mezzo per facilitare lo scambio affettivo con i loro bambini? Spesso mi trovo a dialogare con loro sulle
possibilità di apprendere a giocare, anche come adulti . Nei colloqui con i genitori, (da soli) riguardiamo i
miei appunti sulla seduta familiare e dialoghiamo su ciò che abbiamo potuto insieme osservare e sui
cambiamenti che potranno iniziare nei confronti del loro figlio evitando il fraintendimento. Illustrerò ora
alcuni di questi aspetti riferendomi a un caso in supervisione.
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Consultazione Partecipata relativa a Silvia di otto anni 3)
Silvia una bambina di otto anni soffre di molte paure, di farsi male e di morire. Viene chiesta una
consultazione per questo. Che le è accaduto? Silvia vive in una città in cui, quando lei ha quattro anni,
avviene una terribile strage, a causa del quale muoiono l’ amico d’asilo di Silvia, la madre di questo
bambino e un altro fratellino più piccolo. Nella prima CP in presenza della madre, Silvia mostra di non aver
dimenticato quella tragedia, infatti comincia subito a parlare delle sue paure che sono iniziate da quando è
morto il suo amico una sera d'estate, lei non sapeva cosa era successo, glielo ha detto la mamma. Nella
conversazione, la bambina fa l'adulta, ma la Terapeuta avverte che i suoi sintomi (fobie degli insetti, di
cadere ecc.) sono espressione di un grave malessere da lutto. Delle innumerevoli fobie di Silvia la madre
appare stufa, annoiata e fraintende totalmente il significato dei sintomi della bambina, prendendoli per
una esagerata richiesta d’attenzione. Ma in realtà attenzione la madre ne dà ben poca a Silvia. come rivela
questo episodio: qualche giorno prima, Silvia aveva avuto un incidente, cadendo si era fatta male al polso;
la mamma che doveva andare alla fiaccolata per l’anniversario della strage non le aveva creduto ed era
uscita, ma il giorno dopo a Silvia avevano dovuto ingessare il braccio. C’è nel racconto di Silvia un
rimprovero implicito rivolto alla madre, tanto che la madre sente il bisogno di giustificarsi e sottolinea che
Silvia ha sempre paura di farsi male e ha paura anche degli insetti.
Si noti che la strage avvenuta in quella città è nel campo mentale della consultazione: la madre deve
andare a una fiaccolata per la strage, ma non diventa nella mente della madre un evento generatore di
sofferenza per la figlia.
Nella seconda consultazione Silvia non fa più l' adulta, ma parla con tono di voce abbattuto, dice che è
<stanca> e la terapeuta genialmente comprende che sono le sue fobie a stancarla, le generano una serie di
impedimenti: nello stare in spiaggia e nel giocare con gli altri bambini, per esempio, deve stare attenta a
tante cose, a non cadere, agli insetti,alle mosche, alle api che possono pungerla. Di nuovo la madre appare
sorpresa del malessere della figlia come fosse una rivelazione e questa volta non la critica . E’ una seduta in
cui Silvia inizia a dare forma al suo senso di solitudine e al suo malessere di bambina fobica. Lo fa
disegnando un gattino Minù solo in mezzo a un foglio e raccontando la storia di questo gattino che è
scappato fuori dal giardino e piange e piange per farsi sentire, ma nessuno lo trova.
La sofferenza di Silvia, il suo sentirsi sola, comincia a trovare una rappresentazione nel piccolo gattino
Minù disegnato tutto solo in mezzo al foglio. La terapeuta ha l’impressione che Silvia avverta un forte senso
di solitudine.
Nel successivo colloquio con i genitori, la Terapeuta cercherà di mostrare loro che Silvia manca di fiducia
nel fatto che gli adulti possano aiutarla; l’evento-Strage -ha forse prodotto in lei il sentimento di essere
completamente senza protezione, alla mercè di qualsiasi catastrofe? Con questa domanda la Terapeuta
chiede ai genitori di riflettere sulla propria disattenzione.
Nella terza consultazione, finalmente un cambiamento! la madre abbandona l’atteggiamento di distacco e
dice di dover aiutare Silvia a dire una cosa che Silvia non riesce a dire. E’ la prima volta che la mamma
sembra rendersi conto che la sua bambina non è solo noiosa, ma una bambina sofferente. Aiuterà la figlia a
dire che ha molta paura di morire giovane e questo dà alla Terapeuta l'occasione di intervenire chiedendole
di nuovo da quando sono iniziate queste paure. Silvia potrà allora per la prima volta parlare di quello che
3
Ringrazio la dr.ssa Monica Tomagnini per avermi consentito di riferire il suo lavoro con questa bambina.
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ha provato quando è morto il suo compagno Luca. con cui era tanto amica . Condivide con la Terapeuta i
suoi ricordi di Luca. Si prolunga nella stanza un silenzio pieno di dolore. Si è potuto entrare nel tema del
dolore del lutto per la strage e la madre interviene per dire che lei quando era successo il tutto, aveva
ritenuto giusto farle cambiare asilo per farle cambiare aria. Silvia siede accanto alla mamma strusciandosi a
lei con una ricerca di tenerezza, ma la mamma appare di nuovo bloccata e un po’ annoiata. Silvia sembra
scuotersi e prendere coraggio, parla del mare, del fatto che non si diverte per le troppe cose da cui deve
guardarsi, paura di cadere, insetti, mosche etc. un vero repertorio di fobie! Ma la mamma dice che Silvia
sta volentieri con gli amici e al mare gioca tanto e lei deve sempre aspettarla. Il fraintendimento è molto
evidente tra madre e figlia: appena la madre appare distaccata Silvia comincia a elencare le sue paure.
In un colloquio separato con i genitori, la Terapeuta chiede loro come hanno vissuto il tragico incidente
della loro città e li fa riflettere sull’impatto e la risonanza affettiva che quel lutto ha avuto sulla loro
bambina. La CP permetterà alla terapeuta di mostrare ai genitori la sofferenza della bambina, il loro
averla fraintesa come una bambina noiosa e li metterà sull’avviso rispetto al lavoro terapeutico che resta
da fare nei prossimi mesi. La consultazione può essere un’occasione per ridare al bambino il valore di
persona, il che diventa possibile mettendo in pratica interesse ed attenzione per i suoi diritti, per le sue
domande che non hanno ricevuto risposta, per le sue comunicazioni che sono state fraintese.
Bisogna pensare che tra queste tre persone (madre, padre, figlio/a) c’è stato un perdersi, ma esse sono lì
sono in attesa di potersi ritrovare. Affinché ciò avvenga, spesso si tratta, per il terapeuta, di tollerare
un’atmosfera plumbea di silenzio e a volte di ostilità del bambino e anche dei genitori e andare avanti per
aprirli alla speranza. Nel mezzo di una difficile silenziosa seduta di consultazione, dopo aver guardato con
me foto, disegni e quant’altro, una bambina di dieci anni, Serena, può dirmi, senza che io abbia mai
nominato il sintomo per cui i genitori hanno chiesto la consultazione," io sono venuta qui perché non voglio
vestirmi da femmina, e lei (indicando la madre) mi sgrida sempre, ma io mi sento un maschiaccio". Dunque
Serena entra nel merito della consultazione rapidamente, forse proprio perché facilitata a pensare a se
stessa. Un’altra Albertina di otto anni dirà sofferente di una forma anoressica esclama dopo un lungo
silenzio: “io sono venuta qui perché ho sempre paura di soffocare e di morire soffocata”
Conclusione
Rispetto al periodo storico in cui ho iniziato a praticare la Consultazione partecipata sono avvenuti dei
mutamenti culturali che la rendano ancor più utile e necessaria. Mi riferisco alla comparsa nel campo
familiare di una complessità nuova, con cui i bambini devono fare i conti, alle nuove configurazioni di
famiglie entrate in scena: famiglie adottive, affidatarie, le famiglie di immigrati, del divorzio,
ricostituitesi, allargate, le famiglie sorte dalla procreazione assistita ecc. E' una tipologia assai varia,
all’interno della quale gli elementi di instabilità nella relazione tra genitori appaiono più frequenti e gravi
che non nel passato. Penso ad es. al bisogno di sostegno che hanno i genitori dei bambini adottati o in
affidamento. Penso ai figli dei separati e divorziati con lo zainetto pronto per andare da mamma o da papà,
mentre intanto sanno, non solo di aver perso la famiglia, ma anche di non avere più la loro casa come
rifugio sicuro. Pensiamo ai figli delle famiglie extracomunitarie a quanti problemi di adattamento, di lingua,
di esclusione devono affrontare. Il problema del fraintendimento attraversa tutte le famiglie odierne come
una concausa del disagio familiare.
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Persino nelle famiglie “più tradizionali” c’è un sollecitare i figli con richieste e aspettative a volte
incompatibili con i ritmi infantili. Quelli che possiamo definire “bambini campioni o bambini manager”,
affollati di impegni per tutta la settimana, spesso eccellenti almeno in un campo, intenti a realizzare le
attese dei genitori nei loro confronti, sono frequentemente tra i nostri pazienti. Infatti, quando le attese
dei genitori non possono essere più corrisposte per il malessere che generano, il figlio inizierà a presentare
sintomi di vario tipo, a seconda dell’età e del tipo di “rottura” dell’identificazione inconscia con madre e
padre. Paradossalmente, se i figli riescono a esprimersi con un sintomo abbastanza inquietante per i
genitori, si potrà ristabilire, già nella Consultazione, una comunicazione in famiglia.
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Dina Vallino - Medicina e Persona