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LORENZO ORIONE
EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE
DELLE NEOPLASIE
Prolusione a cura di
Ottavio Losano, Ezio Falco e Sergio Giraudo
CONTRIBUTI SCIENTIFICI
BARTOLOMEO ALLASIA - ALBERTO ATTUCCI
ENRICA BADINO - GIANLUIGI BASSETTI
ANNA MARIA CACCIATORE - GIOVANNI CERA
FLAVIO CIGNA - VINCENZO COSTA
ANDREA DOMESTICI - RENZO FERRARIS
ANNA MARIA FOSSATI – ROSA MARIA LANTERMO
PIERO OLIVIERI - ANGELO PELLEGRINO
IVO RICCARDI – MONICA RIMONDOT - SAVINO ROGGIA
GIANPAOLO SACCHETTO - FRANCESCA SALVATICO
LUIGI SALVATICO - GIGLIOLA SERRATI
CUNEO, 2006
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INDICE
Prolusione (Ottavio Losano, Ezio Falco, Sergio Giraudo)
Introduzione (Lorenzo Orione)
Epidemiologia e prevenzione delle neoplasie
(Lorenzo Orione)
pag. 11
Educazione
sanitaria
e
prevenzione
oncologica: il ruolo del medico di medicina
generale
(Bartolomeo Allasia)
pag. 143
La presenza di cancerogeni negli alimenti di
origine animale: aspetti di medicina
veterinaria
(Alberto Attucci)
pag. 148
Rapporti epidemiologici tra nutrizione e
neoplasie
(Gianluigi Bassetti)
pag. 162
Esposizione
oncologica
(Anna Maria Cacciatore)
pag. 169
(Giovanni Cera, Gigliola
Serrati)
pag. 177
Il ruolo del radiologo nello screening
mammografico
(Flavio Cigna)
pag. 182
L’esperienza del ginecologo nello screening
citologico
(Vincenzo Costa)
pag. 189
professionale
e
malattia
Il Servizio di Anatomia Patologica e lo
screening cervico–vaginale: presente e futuro
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L’acqua destinata al consumo umano come
fattore di rischio oncologico
(Andrea Domestici)
pag. 194
Il gastroenterologo e lo screening del cancro
del colon-retto
(Renzo Ferraris)
pag. 206
L’Unità di Valutazione ed Organizzazione
dello Screening: attività
(Anna Maria Fossati)
pag. 211
Il ruolo del citologo nella prevenzione dei
tumori della cervice uterina
(Rosa Maria Lantermo,
Piero Olivieri)
pag. 214
I rischi ambientali per la malattia neoplastica
(Angelo Pellegrino, Ivo
Riccardi)
pag. 217
Gestione informatica dei programmi di
screening
(Monica Rimondot)
pag. 229
Il ruolo della Farmacia nella prevenzione
oncologica
(Savino Roggia)
pag. 230
La metodica
nell’approccio
mammario
(Gianpaolo Sacchetto)
pag. 236
(Francesca Salvatico,
Enrica Badino, Luigi
Salvatico)
pag. 243
del linfonodo sentinella
chirurgico al carcinoma
Lo psicologo e lo screening oncologico
Riferimenti iconografici
pag. 247
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Prolusione
(a cura di Ottavio Losano, Ezio Falco e Sergio Giraudo)
Con vero piacere presento questo testo, che è il frutto di un pregevole
lavoro di aggiornamento scientifico e promozione della diffusione della
cultura della prevenzione dei tumori realizzato dal Dott. Lorenzo Orione,
responsabile dell’Unità di Valutazione ed Organizzazione degli Screening
e Coordinatore di Prevenzione Serena per la provincia di Cuneo, che si è
avvalso dei fondamentali contributi scientifici di numerosi autorevoli
professionisti.
La presente pubblicazione rappresenta un’importante opera di
aggiornamento in tema di fattori di rischio per la popolazione e sulle
metodiche di diagnosi precoce del cancro e contiene, tra l’altro, l’analisi
del trend di mortalità per i diversi tipi di neoplasia relativamente alla
“Provincia Granda”. Il tutto corredato da una pregevole ed aggiornata
bibliografia di riferimento.
Il testo vuol essere un utile strumento di aggiornamento e stimolo per tutti
i professionisti coinvolti nella tutela della salute dei cittadini: in primo
luogo per i medici di medicina generale (medici di famiglia) e per i medici
ospedalieri, ma anche per altre figure sanitarie (infermieri, etc.) coinvolte
nella prevenzione secondaria (diagnosi precoce), per i medici ed i
veterinari dei Dipartimenti di Prevenzione coinvolti nella prevenzione
primaria ed altresì per le diverse Associazioni (Lega Tumori, etc.).
Un ringraziamento particolare va infine alla Fondazione Cassa di
Risparmio di Cuneo, il cui munifico sostegno ha permesso la realizzazione
di questo importante volume.
Ottavio Losano
Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle, Cuneo
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Questo volume reca un prezioso contributo scientifico ad una migliore
conoscenza del tema della prevenzione delle neoplasie. Si tratta di un
tema centrale, in quanto attraverso la prevenzione è ora possibile
conseguire risultati un tempo impensabili. Nuovi strumenti di conoscenza
consentono di analizzare i contesti ambientali che stanno a monte della
patologia, di monitorarne la cause, di impostare programmi di educazione
sanitaria che rendano familiare a ciascuno la pratica di regolari controlli e
di sane abitudini fisiche ed alimentari.
Le neoplasie hanno avuto sinora costi umani ed economici troppo alti. È
motivo di conforto che il progresso della tecnologia abbia messo a
disposizione apparecchiature scientifiche sempre più efficaci per le
terapie, ma è certo che una corretta prevenzione è la leva strategica per
conseguire risultati importanti, con riferimento all’intera popolazione.
Il ruolo del medico di medicina generale nella prevenzione, la patologia
oncologica in rapporto alla nutrizione ed alle caratteristiche del lavoro, gli
screening specialistici, i rischi ambientali, i compiti dello psicologo, sono
tra i temi specifici trattati nelle pagine che seguono.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che considera il settore della
sanità tra quelli prioritari nella destinazione dei propri interventi, ha
ritenuto importante finanziare questo progetto editoriale e scientifico, che
conferma una volta di più come, in questo campo, la nostra comunità
disponga di strutture e di operatori di eccellenza.
Ezio Falco
Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo
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Siamo stati tra i promotori e continuiamo ad essere fortemente convinti
che, allo stato dell’arte, le armi vincenti contro il cancro sono la
prevenzione primaria e l’anticipazione diagnostica.
Per quanto si tratti di un concetto semplice, elementare, come la pulizia dei
denti che è ormai diventato un comportamento quasi collettivo, la sua
concreta realizzazione fatica a farsi strada.
Certo, negli ultimi anni l’approccio responsabile alla diagnosi precoce è
senza ombra di dubbio, cresciuto e, almeno a livello di comunicazione
personale, sono pochissimi quelli che lo contrastano; ben diversa invece è
la situazione reale e concreta: oltre il 50% degli italiani non fa nulla per
difendersi dal cancro e gli uomini molto meno delle donne.
Risulta che oltre il 60% in età a rischio, infatti, non è mai andato dallo
specialista per un controllo della prostata, per non parlare dei controlli
relativi al cancro colorettale, contro percentuali molto più basse, 32% delle
donne, che non hanno mai eseguito un Pap test e/o una mammografia.
Sono cifre che parlano da sole, quindi il lavoro è davvero tanto difficile.
Nella battaglia contro il cancro non esistono confini. È una guerra, al pari
di altri disastri ed altre calamità che affliggono l’umanità, che merita di
essere affrontata in maniera globale.
E mai, come nel caso della salute e della vita dei cittadini del mondo,
possono esistere steccati, confini, dogane o barriere di qualsiasi natura.
Non possono esserci sul fronte della prevenzione, non devono esistere nel
campo della ricerca, tanto meno possono trovare giustificazione in quello
delicatissimo dell’accesso alle cure ed ai farmaci in condizione di salvare
o prolungare la vita. Questo è ciò che tutti dovremmo riconoscere come
sana e virtuosa applicazione della globalizzazione.
Vorremmo anche sottolineare come sia importante dimostrare la certezza
diagnostica; determinante è il personale e le attrezzature idonee, che
purtroppo sovente creano motivi di dubbi e producono disaffezione nella
popolazione.
Pertanto la sezione provinciale di Cuneo della Lega Italiana per la Lotta
contro i Tumori è felicissima di identificarsi nel trattato “Epidemiologia e
Prevenzione delle Neoplasie” che riteniamo importantissimo per dare a
tutti motivi ed indirizzi utili a proseguire per raggiungere il sogno di
sconfiggere il cancro.
Ci complimentiamo con tutti coloro che hanno dato un forte contributo ed
in particolare con il dottor Lorenzo Orione che ha seguito ogni passo di
questa importante opera e saremo impegnati nella diffusione della stessa.
Sergio Giraudo
Presidente della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori,
sezione provinciale di Cuneo
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Introduzione
L’avvio alla stampa di questo approfondimento scientifico sui temi del
rischio oncologico e dello screening dei tumori rappresenta la concreta
testimonianza del riconoscimento del ruolo centrale che l’epidemiologia e
la prevenzione rivestono nella cultura dell’evidence-based medicine,
funzione che è stata colta con spirito lungimirante da parte del Dr Ottavio
Losano, Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle e
del Dr Ezio Falco, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di
Cuneo, che con munifico gesto ha reso possibile la realizzazione di questo
libro. Contestualmente mi piace richiamare, con la stima di chi ne ha
rilevato la grande passione civile, il Prof. Sergio Giraudo, Presidente della
Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori cuneese, insieme al quale
lavoreremo sempre più al fine di sortire un effetto sovradditivo alle nostre
azioni, nel convincimento assiomatico circa la dimensione prioritaria che
deve rivestire la prevenzione del cancro.
Un ringraziamento speciale va al Commissario dell’A.S.L. 15-16-17, Dr
Stefano Silvano ed ai Direttori Generali dell’A.S.L. 18, Dr Giovanni
Monchiero e dell’A.S.O. S. Croce e Carle, Dr Fulvio Moirano, nonché ai
Direttori Sanitari Dr Corrado Bedogni, Dr Francesco Morabito, Dr Ottavio
Losano; e Dr Giovanni Siciliano, Dr Corrado Rendo, Dr Flavio Boraso,
Dr.ssa Alessandra Gallo, Dr.ssa Maria Cristina Frigeri, per la fiducia
accordata al mio lavoro di Coordinatore del Dipartimento Oncologico.
Desidero inoltre ricordare i responsabili dei Centri, Dr Mario Abrate, Dr
Bartolomeo Allasia, Dr Gianluigi Bruno, Dr Piero Casalis, Dr Flavio
Cigna, Dr Giovanni Cera, Dr Alberto Comino, Dr.ssa Patrizia Corradini,
Dr Vincenzo Costa, Dr Paolo De Giuli, Dr Michele Lo Bello, Dr
Michelangelo Mercuri, Dr Massimiliano Odaglia, Dr.ssa Grazia Ortoleva,
Dr.ssa Graziella Romani e Dr Augusto Scarrone. Un pensiero va al
personale della s.s. Epidemiologia - Unità Valutazione Organizzazione
Screening, di cui sono Medico Responsabile, la Sig.ra Anna Maria Fossati,
assistente sanitaria, alla quale peraltro ho affidato l’incombenza di
estendere un contributo relativo agli aspetti organizzativi; la Sig.ra Monica
Rimondot, perito informatico, alla quale ho lasciato l’incarico di stilare
una relazione sulla gestione informatica; le infermiere, Sig.re Gemma
Aimar, Mirella Bruna-Rosso e Irina Giuliano e le amministrative, Sig.re
Stefania Vesuvio e Manuela Lovera. Desidero ricordare inoltre il Sig.
Roberto Risso, che magistralmente gestisce l’anagrafe dello screening,
nonché i direttori dei C.E.D. aziendali, Dr Riccardo Ortolano, Ing. Aldo
Borgna, Dr Gianfranco Mina, Dr Fabrizio Viglino e Dr.ssa Chiara
Farinelli. Richiamo in questa sede con piacere anche la Dr.ssa Maria
Grazia Tomaciello, il Dr Giovanni Battista Fiducciosi, la Dr.ssa Francesca
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Gota, la Dr.ssa Claudia Cucco, le Sig.re Marina Cavallo, Damiana
Beraudo e Vanda Marchiò, per i tanti consigli pratici fornitimi in itinere.
È poi gradito, citare i nomi degli operatori del nostro Dipartimento. Si
tratta delle ostetriche, Sig.re Marina Battello, Milva Bertorello, Elisa
Capra, Rosanna Chiabò, Vilma Chiari, Manuela Comino, Graziella
Correnti, Bruna Cucchietti, Barbara Danna, Cinzia Demaria, Laura Falchi,
Marisa Forneris, Liana Francione, Laura Gaier, Giuliana Ghigne, Lorena
Isaia, Emilia Lazzarone, Rosangela Lo Strappo, Ivana Lugaro, Federica
Maccario, Maria Grazia Marengo, Cinzia Marini, Serena Oliva, Lucia
Smaldone, Maria Rosa Tecchioni e Luciana Zorzi; degli infermieri, Sigg.
Laura Allemandi, Dr Stefano Barbieri, Vilma Botta e Lorella Miretti; dei
dirigenti e dei tecnici di anatomia patologica, Sigg. Mirella Chiecchio,
Marzia De Fano, Marina Dellaferrera, Dr.ssa Natalia Dogliani, Dr.ssa
Luisa Ferrari, Fiorella Fessia, Dr Flavio Fraire, Franco Gomba, Celestina
Mariano, Dr.ssa Maria Giovanna Milazzo, Giovanni Negro, Maria Lucente
Nuzzo, Wilma Romagnolo, Veronica Rossi, Dr.ssa Maria Cristina
Vivaldo, Dr.ssa Carla Zavattero e Dr.ssa Barbara Zingaro; delle tecniche
di radiologia, Sig.re Caterina Bergia, Maria Teresa Bruno, Sonia Cerruti,
Giovanna Chiappa, Stefania Dongiovanni, Federica Giordano, Valentina
Guglielmi, Maria Longobardi, Livia Pomero, Paola Ramellini, Bruna
Ravera, Lucia Riba, Daniela Righetto, Lucia Ruggiero e Maria Agnese
Saglia; delle amministrative, Sig.re Vincenza Di Cianni e Paola Durando.
E, per il prezioso ruolo svolto in tempi diversi, a n. Norma Bordignon,
Silvana Barabino, Remo Bullio, Dr.ssa Irene Caterinaki, Zuma Reed,
Tanino e Liliana Bruno, Proff. Bruno e Maria Olga Cicchetti, Prof. Sac.
Alessandro Gallo, Mauro Traverso, Lucia Zingarello, Nicolaos Melas,
Wolfhard Kahsler, Gianni ed Elsa Queirazza, Guido e Liliana Peira,
Prof.ssa Lucia Poloniato, Prof. Pietro Crovari.
E, nell’occasione, un caro pensiero ai miei Colleghi del Comitato di Etica
ospedaliero e di riferimento territoriale provinciale.
Ho considerato utile arricchire il mio lavoro con quello di una ventina di
Esperti che hanno stilato i proprî pregevolissimi Contributi su specifici
temi; è stato per me motivo di soddisfazione il constatarne l’entusiasmo,
gradito lievito di una fruttifera dialettica scientifica, rispetto all’idea di
condividere questa esperienza che trova forma concreta nella presente
pubblicazione a stampa. I loro nomi sono rintracciabili a partire da pag.
143, nella sezione dei Contributi Scientifici.
Ante quam omnia c’è, tuttavia, quello degli amici Dr Giovanni Siciliano,
Dr Livio Prato e Dr.ssa Anna Maria Cacciatore, veri alfieri della cultura
delle sinergie tra prevenzione primaria e prevenzione secondaria.
Lorenzo Orione
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Alla Famiglia,
a mio padre, Comm. Cav. Uff. Marcello Orione e a mia madre Giancarla;
a mia moglie, Gabry ed ai nostri adorati figli,
Massimiliano e Marco ai quali, come sempre, vada
… ma sapienza, amore e virtute
Dante, Inf I 104
In principio erat Verbum,
et Verbum erat apud Deum,
et Deus erat Verbum.
Io 1,1-3
Moderatio autemhuius appetitus pertinet ad virtutem studiositatis.
Unde consequens est quod studiositas sit pars potentialis temperantiae.
Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, Secunda Secundae, Q. CLXVI
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EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE DELLE NEOPLASIE
Lorenzo Orione
Responsabile Unità Valutazione Organizzazione Screening e s.s. Epidemiologia,
Coordinatore Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte
Con l’Offitium perquirendi et exequendi expedientia circa conservationem
sanitatis civitatis nostre Mediolani, Gian Galeazzo Visconti teneva a
battesimo la Sanità Pubblica nella penisola italiana;1,2 le cautele onde tener
lontana la peste che, da egli emanate, giungevano a Piacenza il 4 Gennajo
13993 prevedevano, tra l’altro: “Et primo quod nulla persona, sive veniat
ad districtum Placentiae, sive proveniat aliunde, ipsam civitatem possit
intrare, nisi manifeste cognoscatis talem personam non stetisse in parte
morbosa, nec communicasse cum aliquibus personis infectis”.3 A distanza
di sei secoli la medicina, che si confronta con le frontiere4 della terapia
rigenerativa e dello Human Genome Project e che si proclama come
evidence-based,
appellandosi
ai
presupposti
metodologici
dell’epidemiologia5 afferma la centralità della prevenzione primaria e della
diagnosi precoce in ambito oncologico.6
L’applicabilità dei principî della Medicina Preventiva presuppone la
conoscenza dei fattori di rischio delle patologie. Questi, a loro volta,
necessitano di una propria valutazione qualiquantitativa. Gli strumenti
necessarî in tale analisi sono quelli proprî della metodologia
epidemiologica.7
Metodologia epidemiologica
La misura più utile a descrivere i fenomeni sanitarî è quella rappresentata
dai tassi.
Un tasso è una proporzione (rapporto comprendente il numeratore nel
denominatore) che include la specificazione del tempo.
I tassi di morbosità rientrano nei due, basilari, tassi di incidenza e di
prevalenza.
L’incidenza di una patologia è la proporzione tra i nuovi casi di patologia
e la popolazione suscettibile di ammalare di tale patologia (popolazione
media p1+p0/2), per una costante k, in un dato intervallo cronologico.
Tale definizione, come si vedrà, rimanda agli studî longitudinali
prospettivi.
L’esclusione dal denominatore dei soggetti non suscettibili (es.,
nell’ambito delle malattie trasmissibili, degli ammalati, dei portatori, degli
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immunizzati naturalmente o vaccinati) è una correzione generalmente
omessa nelle grandi popolazioni.
Per analisi su coorti dinamiche, che considerano periodi di osservazione
disuguali dei soggetti (a causa di nuovi reclutamenti, perdite al follow up
per trasferimento, drop out, morte), il denominatore considererà la somma
dei singoli reali contributi (misura del tempo-persona di osservazione); per
i casi, il computo cesserà al momento dell’insorgenza della patologia.
Il numeratore dell’incidenza potrà riferirsi ai soggetti od agli eventi, se la
patologia può reiterarsi; ciò va specificato.
La prevalenza può essere puntuale o periodale; sensu strictu, non dovrebbe
essere considerata un tasso, non rapportandosi ad un intervallo
cronologico.
La prevalenza puntuale mette infatti a proporzione i casi presenti in un
istante e la popolazione totale in quell’istante, per k.
La prevalenza periodale, analizzando un periodo, mette a proporzione i
casi presenti nel periodo e la popolazione media (p1+p0/2), per k,
nell’intervallo cronologico; essa sarà quindi pari alla somma della
prevalenza puntuale all’inizio più l’incidenza nel periodo successivo.
Tale definizione, come si vedrà, rimanda agli studî trasversali.
Il denominatore non esclude i soggetti non suscettibili, in quanto il
numeratore comprende tanto i nuovi che i vecchî casi.
La prevalenza dipende (1) dall’incidenza in passato, (2) dalla durata della
patologia; pertanto, le patologie cronicodegenerative, quali i tumori,
tendono ad avere alta prevalenza.
P approx. (I) (d)
se I e d sono stabili, P = (I) (d)
Qualunque tipo di tasso (natalità, mortalità, morbosità) può essere a sua
volta grezzo, specifico o standardizzato.
I tassi grezzi si riferiscono alla popolazione generale (es. tasso di mortalità
= n. morti popolazione / popolazione media, per k, anno); quelli specifici
si riferiscono ad un sottoinsieme della stessa (es. fascia d’età, sesso,
territorio, patologia, ecc.); quelli standardizzati nascono dalla necessità di
eliminare dai tassi grezzi di due popolazioni A e B da confrontare
l’eventuale presenza di un effetto derivante da differenze nella
composizione delle stesse per età, sesso, abitudini, razza, ecc. Infatti, se
l’incidenza di una patologia privilegia una certa età (es. gli anziani), il
tasso grezzo della malattia nella popolazione in cui è più rappresentata
quell’età (es. quella meno giovane) è maggiore, ma ciò non dipenderà da
una diversa esposizione ai fattori di rischio, bensì solo dalla struttura della
popolazione.
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I tassi standardizzati sono fittizî: servono solo a chiarire le situazioni nei
confronti tra tassi grezzi: i tassi reali sono quelli grezzi di partenza. Nel
confrontare tassi di incidenza e mortalità è comune metodo, in
epidemiologia dei tumori, la standardizzazione.7
Esistono due procedimenti di standardizzazione dei tassi; entrambi
presuppongono la disponibilità dei dati di una popolazione terza S,
standard, modello (es. europeo) di distribuzione.
Nella standardizzazione diretta si applicano i tassi (es. mortalità) specifici
(es. per fascia d’età) di A al numero di soggetti delle corrispondenti fasce
d’età di S; in tal modo sono ottenuti i numeri di morti attesi per ogni fascia
di S che, sommati, forniscono il numero di morti attesi in S se essa avesse
in ogni fascia d’età il tasso di mortalità osservato nella corrispondente
fascia di A; dividendo per il numero totale dei soggetti di S, si ottiene il
tasso standardizzato di A. Procedendo analogamente nei confronti della
popolazione B, si ottiene il tasso standardizzato di B. Quindi è possibile
confrontare i due tassi standardizzati.
Ove non siano disponibili i tassi specifici di A e B o se, ancor disponibili,
siano derivati da numerosità piccole e pertanto instabili, si applica il
metodo indiretto. Nella standardizzazione indiretta si applicano i tassi (es.
mortalità) specifici (es. per fascia d’età) di S al numero di soggetti delle
corrispondenti fasce d’età di A; in tal modo sono ottenuti i numeri di morti
attesi per ogni fascia di A che, sommati, forniscono il numero di morti
attesi in A se essa avesse in ogni fascia d’età il tasso di mortalità osservato
nella corrispondente fascia di S; avendo a disposizione il numero di morti
osservati in A, si calcola il rapporto standardizzato di mortalità (SMR):
SMR = n. morti osservati in A / n. morti attesi in A.
Se SMR<1 v’è una sottomortalità rispetto al modello standard (es. SMR =
0.92, esprime una sottomortalità dell’8%); se SMR>1 v’è una
sovramortalità rispetto al modello standard (es. SMR = 1.16, esprime una
sovramortalità del 16%). L’SMR va moltiplicato per il tasso grezzo della
popolazione S al fine di ottenere il tasso standardizzato di A. Procedendo
analogamente nei confronti della popolazione B, si ottiene il tasso
standardizzato di B. Quindi è possibile confrontare i due tassi
standardizzati.
Il proportionate mortality ratio (= n. morti per causa / totale morti, per k,
anno) non è invece un tasso, derivando il denominatore dai morti e non
dalla popolazione.
Gli studî epidemiologici possono venire schematicamente classificati
secondo sei disegni, connotati da un progressivo aumento della capacità di
dimostrare la presenza di associazioni causali.
Infatti, un obiettivo primario dell’epidemiologia risiede nella ricerca nelle
cause (rerum cognoscere causas) delle malattie, attraverso la ricerca di
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inferenze causali basate su osservazioni e su esperimenti.7,8 Hill propose,
in tal senso, una lista di nove criterî: forza, consistenza, specificità,
temporalità, gradiente, plausibilità, coerenza, evidenza sperimentale,
analogia.7
Il modello più semplice è quello degli studî descrittivi (osservazionali),
che attuano un monitoraggio di misure di incidenza, prevalenza o
mortalità. Questi studiano un fenomeno sulla base della descrizione delle
caratteristiche dei soggetti (sesso, età, etnia, istruzione, reddito, residenza,
stato civile, professione, ecc.), dello spazio (geografia fisica, geografia
politica) e del tempo (trend secolare, modificazioni cicliche, modificazioni
a breve termine quali le curve epidemiche per epidemie da sorgente
comune o propagate): si tratta, generalmente, di approccî iniziali, che
servono a formulare ipotesi di partenza.
Si hanno poi gli studî analitici (osservazionali), a loro volta suddivisibili
in ecologici, trasversali, longitudinali retrospettivi e longitudinali
prospettivi. Nei primi l’unità di analisi è rappresentata da gruppi di
soggetti, negli altri tre dai soggetti individuali.
Gli studî ecologici usano gruppi di soggetti quali unità di analisi; sono di
semplice utilizzo, ma consentono di estrapolare al singolo soggetto i
risultati osservati nel gruppo solo se la dispersione delle misure di
esposizione nel gruppo stesso è bassa, per cui la misura possa riflettere
ragionevolmente l’esposizione individuale.
Gli studî trasversali (di prevalenza, surveys), valutando simultaneamente
il fattore di rischio e la patologia, non sono in grado di fornire
informazioni circa il nesso di causalità.
Gli studî longitudinali retrospettivi (caso-controllo) partono dalla
disponibilità di casi di malattia (casi); a questi vengono associati dei
soggetti sani (controlli). Grazie ad essi si opera una valutazione
retrospettiva della frequenza dell’esposizione al fattore di rischio in
entrambi i gruppi dei casi e dei controlli. Dall’analisi dell’associazione tra
condizione di partenza di malattia o meno ed esposizione al fattore di
rischio o meno, emergeranno quattro gruppi di soggetti: malati esposti,
malati non esposti, sani esposti, sani non esposti. Mancando il
denominatore della reale popolazione esposta da cui derivano i casi
disponibili, non si è in grado di fornire altro che una stima del rischio
relativo (odds ratio, OR), dove:
OR = (casi esposti) (controlli non esposti) / (casi non e.) (controlli e.).
Si richiama il fatto che i casi vanno scelti tra quelli incidenti (inclusi i
deceduti), non tra quelli prevalenti, che rappresentano una selezione degli
incidenti che esclude quelli a breve decorso e quelli morti. I controlli,
come i casi, devono essere rappresentativi della popolazione ed avere la
stessa opportunità di esposizione al fattore di rischio dei casi (sarà compito
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dello studio dimostrare se essa sia stata diversa); saranno stabiliti 1, 2,
talvolta 3 controlli per ciascun caso, di stessa area, età, sesso.
Variabili di confondimento (es. età) possono associarsi casualmente tanto
al fattore di rischio che alla malattia: a ciò si ovvia con il matching,
selezionando controlli simili ai rispettivi casi per una data caratteristica
(es. età): chiaramente, non sarà più evidenziabile un eventuale nesso
causale per tale caratteristica (es. matching per razza nello studio del
melanoma maligno). Il matched OR mette a rapporto le coppie discordanti,
costituite da casi esposti associati a controlli non esposti, rispetto a casi
non esposti associati a controlli esposti.
Gli studî caso-controllo sono meno costosi, più rapidi e risultano adatti
all’analisi delle patologie rare (disponibilità di pochi casi); di converso,
forniscono solo la stima del rischio relativo e possono essere afflitti da una
varietà di errore sistematico detta bias di informazione (over-reporting dei
casi rispetto ai controlli, under-reporting dei parenti dei deceduti ed in
generale in funzione del tempo trascorso dall’esposizione).
Gli studî caso-controllo possono essere: (a) “case-based” (ed allora tanto i
casi che i controlli sono selezionati ad un dato istante, es. alla fine di un
follow up); (b) “entro coorti definite”, a loro volta subdistinguibili in
“case-cohort”, in cui i casi sono definiti entro una coorte ben individuata
ed i controlli dalla coorte di partenza, oppure “nested”, in cui vige lo
stesso criterio per i casi, mentre i controlli sono scelti tra i soggetti a
rischio al momento dell’insorgenza dei casi; in questi studî è possibile che
un soggetto scelto come controllo diventi poi un caso. La disponibilità di
coorti ha reso sempre più frequenti gli studî “entro coorti definite”.9
Gli studî longitudinali prospettivi (di coorte) partono dall’esposizione o
meno al fattore di rischio in soggetti sani (suscettibili alla malattia). Grazie
ad essi si opera una valutazione prospettiva dell’incidenza della malattia
nelle due coorti, degli esposti e dei non esposti. Dall’analisi
dell’associazione nel tempo tra l’esposizione al fattore di rischio e
l’insorgenza della malattia (incidenza) emergeranno quattro gruppi di
soggetti: esposti malati, esposti sani, non esposti malati, non esposti sani.
In tal modo viene introdotto il concetto di rischio. Rischio assoluto (RA) è
l’incidenza osservata; quindi, RA negli esposti è l’incidenza negli esposti,
RA nei non esposti è l’incidenza nei non esposti. Rischio relativo (RR) è
il rapporto RA esposti / RA non esposti; è misura del rapporto di
grandezza del rischio negli esposti rispetto ai non esposti. Rischio
attribuibile (Ra) è la differenza RA esposti - RA non esposti; è misura
della parte attribuibile all’esposizione a quel dato fattore di rischio
nell’insorgenza della patologia nella coorte degli esposti.
Si richiama il fatto che gli esposti devono essere rappresentativi della
popolazione degli esposti e che i non esposti devono essere rappresentativi
della popolazione dei non esposti. Gli studî di coorte consentono pertanto
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la misura diretta del rischio e risultano adatti all’analisi dell’esposizione a
fattori di rischio rari; di converso, sono più costosi, presentano la
possibilità di perdere dei soggetti al follow up e, per malattie a bassa
incidenza, necessitano di coorti numerose; non sono particolarmente adatti
per le patologie che si manifestano in tempi molto lunghi dall’esposizione
e per tali ragioni i disegni impiegati in epidemiologia dei tumori sono
prevalentemente quelli caso-controllo.9
Esiste la possibilità di attuare studî prospettivi “storici”, previa
identificazione di coorti storiche sulla base di fonti di dati, per valutarne
l’incidenza nel tempo.
Gli studî sperimentali possono svolgersi tanto in ambito preventivo che in
ambito terapeutico. A partire da un’ipotesi di partenza e dall’estensione di
un protocollo di studio è necessario stabilire un dimensionamento del
campione (sample size), che tenga conto di noncompliance e di perdita al
follow up dei soggetti, per identificare la popolazione sperimentale. Si
osservi come la volontarietà implichi una varietà di errore sistematico
detta bias di selezione, posto che i non partecipanti (per ragioni legate alla
privacy, impegno di tempo, previsione di raccolta di campioni biologici,
ecc.), differiscano dai partecipanti per qualche variabile correlata allo
studio (classico esempio è l’adesione alla sperimentazione di un vaccino
contro una patologia a trasmissione fecorale, che può essere minore in
soggetti di per se meno attenti agli stardard igienico sanitarî).
Le sperimentazioni potranno essere non controllate, controllate non
randomizzate o controllate e randomizzate (randomised controlled trials,
RCTs).
Nelle sperimentazioni non controllate la terapia sperimentale è proposta a
tutti i pazienti; la valutazione dell’efficacia si basa sul confronto con una
nozione generale di prognosi, mancando il gruppo di controllo
(l’assunzione di un “valore medio” della prognosi determina
un’imprecisione; inoltre, l’effetto placebo distorce in senso falsamente
positivo). Risultano utili nei seguenti casi: per malattie a decorso
invariabilmente fatale, per terapie di ragionevolissima efficacia o
presupposti fisiopatologici e farmacologici tali da rendere credibili i
risultati favorevoli, per malattie rarissime, che non permettano un RCT
neppure multicentrico, in assenza di terapie alternative utilizzabili.
Nelle sperimentazioni controllate non randomizzate, l’assegnazione al
trattamento sperimentale od a quello standard/placebo avviene
alternativamente, oppure in base al criterio di giorno pari/dispari di
ricovero, oppure -se si ha tale fiducia da non ritenere etico privare alcuno
della terapia sperimentale- si trattano tutti e come controllo si impiegano
banche dati storiche con terapia standard (limitazione dovuta alle
variazioni nel tempo dei criteri diagnostici / classificativi). La valutazione
01/0
17
dell’efficacia si basa sul confronto, ma l’incerta comparabilità ne
rappresenta un limite.
Nei trials randomizzati controllati, RCTs, per minimizzare l’errore, le
sperimentazioni (essenzialmente di fase 3) sono condotte con protocollo
randomizzato controllato: l’evidence-based medicine ammette l’impiego di
RCTs o di metanalisi di più RCTs condotti sullo stesso trattamento.
Definiti i criterî di inclusione/esclusione, si attua la randomizzazione dei
soggetti (per ottenere l’equidistribuzione delle caratteristiche
prognostiche) nel braccio sperimentale e nel braccio di controllo: l’unica
variabile influente sul risultato resta quindi l’eventuale differenza di
efficacia dell’intervento. La cecità, volta a contrastare la possibilità di
introdurre un bias di informazione, è necessaria quando si impiegano
criterî di valutazione soggettivi (quali intensità del dolore, impotenza
funzionale, tono dell’umore): essa potrà essere singola, doppia, tripla.
L’utilizzo del placebo è eticamente accettabile se per il braccio di
controllo non è disponibile una terapia efficace.
In termini generali si ricorda inoltre come qualunque operazione di
inferenza statistica dei dati osservati nel campione (“universo in
miniatura”) all’universo della popolazione sia afflitta, pur in assenza di
errori sistematici (bias), da un errore di campionamento, fisiologicamente
dovuto alla variabilità biologica nei campioni.
L’entità dell’errore di campionamento è tuttavia esattamente prevedibile in
termini probabilistici grazie alla definizione dell’intervallo fiduciale, o di
confidenza, ambito di valori che si dilata intorno al valore medio
riscontrato nel campione, entro cui verrà a trovarsi con una data
probabilità fiduciale il valore vero (valore dell’universo). L’intervallo di
confidenza dipende dall’errore standard, a sua volta (errore standard di una
media) direttamente proporzionale alla deviazione standard, s, che è
misura della dispersione dei valori delle singole osservazioni intorno al
valore medio del campione, (s è pari alla radice quadrata della sommatoria
dei quadrati degli scarti dei valori osservati nel campione rispetto al valore
medio del campione, divisa per i gradi di libertà n-1) ed inversamente
proporzionale alla radice quadrata della numerosità campionaria (sample
size); l’intervallo di confidenza risulterà inoltre tanto più ampio quanto
maggiormente si sia esigenti in termini di probabilità fiduciale. Tali
considerazioni sono peraltro molto facili da comprendere anche
intuitivamente.
La probabilità fiduciale rappresenta il rischio di errore che arbitrariamente
viene assunto affermando come significativa una differenza osservata (cd.
errore di tipo I, od alfa); ad es. data una probabilità fiduciale p=0.05, il
rischio prestabilito di sbagliare nella conclusione circa la significatività
della differenza corrisponde a 1 volta ogni 20 (95%). Con p=0.01 ad 1
01/0
18
volta su 100 (99%). I due limiti dell’intervallo di confidenza saranno
quello inferiore (lcl) e quello superiore (ucl).
Si richiama il fatto che la deviazione standard assume un preciso
significato geometrico nell’ambito della distribuzione normale, o
gaussiana, delle variabili biologiche; essa corrisponde alla distanza fra il
valore della media e l’intersezione sull’asse delle ascisse della retta
tangente al punto di flesso della curva gaussiana. Su tali basi è pertanto
introducibile il concetto di integrale di probabilità, quale area sottesa alla
curva a destra e a sinistra della media rispetto al valore di 1, 2, 3
deviazioni standard, ove si raccoglie rispettivamente il 68.26%, il 95.40%
ed il 99.75% delle osservazioni del campione (il 95% si raccoglie tra +/1.96 s). Ipotizzando diverse pendenze della retta tangente, dipendenti da
curve gaussiane diversamente appiattite a causa di maggiori dispersioni
dei dati osservati, risulta agevolmente intuibile la funzione descrittiva di s
rispetto al grado di dispersione dei dati entro il campione.
Si richiama inoltre il fatto che la significatività delle differenze osservate
nei risultati in due campioni, e cioè l’assenza di una differenza imputabile
esclusivamente alla casualità (e pertanto da ricondurre all’errore di
campionamento), verrà esplorata con tecniche quali il metodo di Fisher ed
il chi-quadro per le frequenze di variabili qualitative ed il t di Student e
l’analisi della varianza per le medie di variabili quantitative; per tali
aspetti, così come per concetti quali correlazione e regressione, si rimanda
a trattazioni specifiche.8
L’interpretazione dei risultati degli studî epidemiologici deve essere
sottoposta a tali criterî probabilistici. Il criterio di causalità
nell’associazione tra fattore di rischio e patologia (e viceversa) non può
limitarsi ad una semplice constatazione di un valore superiore all’unità (es.
OR=2,5 o RR=3) ma deve considerare l’intervallo di confidenza per una
data probabilità fiduciale (es. p=0.05); solo se 1 non è compreso nel range
tra i due limiti fiduciali si potrà sostenere la significatività
dell’associazione espressa da quell’OR o da quell’RR.9
Al di là dei descritti errori sistematici (biases) va ricordata la possibile
presenza di un confondimento, nelle situazioni in cui l’associazione tra i
fattori di rischio e la patologia è influenzata da una terza variabile, che si
associa tanto all’esposizione che alla malattia (es. in uno studio casocontrollo sul carcinoma broncogeno, l’OR per l’esposizione ad etanolo è
2,5; ciò starebbe a significare che l’alcol aumenta il rischio di cancro del
polmone; se tuttavia si calcolano gli OR in due strati –fumatori e non
fumatori- si ottengono due OR=1, il che depone per il fatto che,
associandosi indipendentemente tanto all’alcol che al tumore, il fumo
agisce da confondente). Nel caso nella presenza di più variabili di
confondimento sarà necessario utilizzare modelli statistici multivariati per
01/0
19
le analisi stratificate (caso, ad esempio, delle neoplasie che presentano
etiologia multifattoriale). Ad esempio, si consideri come soggetti
caratterizzati da elevato consumo di frutta e vegetali siano probabilmente
più adusi anche ad altri stili di vita favorevoli in senso preventivo
oncologico, quali regolare attività fisica, uso di supplementi
multivitaminici, minori abitudini al fumo ed all’alcol, minor consumo di
carni rosse.
Allorchè, attraverso l’applicazione di uno studio epidemiologico, tenendo
conto dell’eventuale influenza di caratteristiche di struttura della
popolazione (v. standardizzazione dei tassi) e dei principî della
significatività statistica, si sia pervenuti ad evidenziare un’associazione tra
un fattore di rischio e l’insorgenza di una patologia, occorre tenere ben
presente che essa può risultare di tre tipi: causale, spuria ed indiretta.7
Causale è l’associazione che soddisfa i citati nove criterî di Hill (causa
dicesi l’antecedente invariabile di un fenomeno).
Un’associazione spuria rimanda ai concetti di errore di campionamento, e
quindi alla variabilità biologica ed all’errore di tipo I, nonchè al bias, od
errore sistematico, che può essere insito nel disegno dello studio, può
essere di selezione oppure di informazione.
L’associazione indiretta dipende da una sottostante condizione comune,
per cui un certo fattore (in verità non di rischio) ed una patologia sono
associati solo in quanto entrambi correlati ad una comune condizione
sottostante. In realtà qualsiasi relazione è probabile sia oscurata da un gran
numero di variabili di confondimento. Quanto detto a proposito del
consumo di frutta e vegetali, con i confondenti possibili, dimostra come
possano osservarsi associazioni indirette nello studio del rapporto tra
l’alimentazione ed il cancro.11
Patologia generale
La caratteristica fondamentale del cancro è la crescita cellulare
incontrollata.12 Anche se i geni espressi dall’uomo nel corso della vita
sono stimati in 30000-40000, in ogni istante sono ne operanti circa 4000:
solo una piccola quota di essi è suscettibile ai fattori cancerogeni e si tratta
di quelli le cui proteine entrano nel controllo di proliferazione,
differenziazione o apoptosi cellulare.12
Le neoplasie rappresentano una classica varietà di patologico
accrescimento,13 così come l’ipertrofia e l’iperplasia. Esse consistono in
una neo-formazione di tessuto, con presenza di cellule atipiche ed
accrescimento autonomo, afinalistico, progressivo.13 Si tratta quindi di
proliferazioni cellulari, in cui la cui tipica perdita dei normali controlli
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20
01/0
biologici porta a crescita sregolata, mancanza di differenziazione,
invasione dei tessuti circostanti e metastasi.
Un tumore maligno può svilupparsi in ogni tessuto, in ogni organo e a
qualunque età. Lo schema di seguito riportato esemplifica i processi che, a
partire dalla cellula normale, conducono alla cellula trasformata maligna.13
cellula normale
Iperplasia / Rigenerazione
Sdifferenziazione
a cellula embrionale totipotente
cellula sdifferenziata
Metaplasia

M. epitelio rivestimento
batiprismatico a
pavimentoso corneificato
(cheratinizzazione vie
respiratorie irritate)

M. epitelio rivestimento
pavimentoso a pavimentoso
corneificato
(cheratinizzazione,
leucoplasia os, cervice)
Atipie
Anaplasia
(malignità)
Momento fondamentale di tale processo è rappresentato dalla comparsa
delle atipie.13 Queste, per semplicità, possono essere considerate a livello
morfologico, biochimico e funzionale.13
Le atipie morfologiche potranno a loro volta osservarsi a livello tissutale,
cellulare o subcellulare.
Quelle tissutali consistono, ad esempio, nella perdita della demarcazione
tra parenchima e stroma, nella perforazione della membrana basale e nella
conseguente invasione in uno dei due sensi, a seconda della natura
carcinomatosa o sarcomatosa della neoplasia.
21
Quelle cellulari sono rappresentate, ad esempio, dal polimorfismo delle
cellule tumorali, come si rileva ad esempio nei sarcomi a cellule nane o
nelle cellule giganti di Sternberg del linfoma di Hodgkin.
Infine, le atipie subcellulari possono riguardare praticamente ogni
componente della cellula.
Rispetto al nucleo, sono distinguibili anomalie osservabili durante il
periodo tra le mitosi ed altre visibili solo nel corso della divisione
cellulare.
Il nucleo intermitotico, come si vedrà trattando della sintesi proteica,
manifesta rilevanti irregolarità quali incisure, talvolta plurilobature,
talvolta polinuclearità, aumento del contenuto di DNA e cromatina,
aumento del volume e del numero dei nucleoli.
Il nucleo in mitosi offre la visione di cromosomi di forma anomala,
aneuploidia, diploidia, poliploidia, aumento della frequenza delle mitosi ed
anomalie ad esse correlate, quali endomitosi senza lisi del nucleolemma,
assenza del fuso mitotico o presenza di fusi mitotici plurimi, mancanza di
fasi della normale mitosi, ecc. Le anomalie possono essere numeriche,14
legate a non disgiunzioni, con frequenti monosomie o trisomie, o
strutturali dei cromosomi,14 specialmente in siti preferenziali; talvolta
traslocazioni portano a prodotti di fusione o variazioni nella regolazione
genica che hanno conseguenze dirette sulla proliferazione cellulare, escape
dall’arresto nel ciclo cellulare o rispetto all’apoptosi,14 influenzando
probabilmente anche regioni cromosomiche vicine.14 Le anomalie
strutturali consistono in14 traslocazioni reciproche (con prodotti genici di
fusione o attivazione di oncogeni), delezioni (frequenti), inversioni e
formazione di isocromosomi; molto importanti le cosiddette
amplificazioni geniche, regioni bandeggiate atipicamente, come in certi
oncogeni (v. oltre, c-myc, N-myc, HER-2/neu).14
Le alterazioni cromosomiche per delezioni, traslocazioni, conferiscono
alla cellula neoplastica un vantaggio proliferativo rispetto alle cellule
normali.
Alcuni esempî,
leucemia mieloide cronica (LMC)
leucemia promielocitica acuta
LMNH
adenocarcinoma colon
melanoma maligno
t=traslocazione
-=delezione
inv=inversione
p=braccio corto (“petit”)
q=braccio lungo
t(9;22)
t(15;17)
t(14;18), t(11;14)
17q-, 18p6q- o inv6
01/0
22
Caratteristico risulta l’aumento delle dimensioni del nucleo e la tendenza
all’inversione del rapporto nucleo / citoplasma.
Non tutte le variazioni cromosomiche sono patologiche: talvolta si
osservano polimorfismi, accumuli di DNA eterocromatico privi di
significato patologico.14 Nell’esame di un campione le cellule neoplastiche
sono frammiste a quelle normali, la qual cosa può complicare l’analisi. 14
La figura di seguito riportata richiama schematicamente il succedersi delle
fasi del ciclo cellulare.
S
G2
M
G1
G1
Interfase: periodo che precede la sintesi del DNA (ha durata non fissa: 25 ore per le cellule labili, come quelle del midollo osseo emopoietico e
degli epitelî di rivestimento; molto lunga per le cellule stabili, come gli
epatociti che si moltiplicano allorchè lesionati; corrispondente alla vita
umana, per cui si parla di fase “G0“, per le cellule perenni, rappresentate
ad esempio dai neuroni e dalle fibre muscolari).15
S
Interfase: sintesi del DNA (generalmente ha durata di 2-4 ore).
G2
Interfase: periodo che segue la sintesi del DNA (generalmente ha durata
di 2-4 ore), con DNA tetraploide.
M
Mitosi (ha durata di 1-2 ore).
Durante le fasi silenti G (“gap”) si verifica l’integrazione del gran numero di
informazioni esterne ed interne alla cellula per il passaggio alle fasi successive.16
Nelle neoplasie le cellule, rispetto a quelle normali, (1) si trovano in minor
percentuale in fase G0 e (2) hanno un tempo di generazione (tempo
impiegato dalla cellula per duplicarsi) più breve.
Le atipie subcellulari riguardo al citoplasma sono correlate in modo
particolare alla sintesi proteica; si osserva l’aumento dei
ribosomi/ergastoplasma, l’aumento della basofilia ialoplasmatica (per la
ricchezza di RNA), la diminuzione dei mitocondri (con relativo deficit
della fosforilazione ossidativa) e dei lisosomi, il possibile aumento
dell’apparato di Golgi; l’impoverimento di maculae e zonulae del
plasmalemma, dispositivi di adesione intercellulare, con un ipotetico ruolo
nel meccanismo delle metastasi.13
Allo stesso modo si ritiene giochino un ruolo molto importante i recettori
del plasmalemma implicati nelle interazioni cellulari (integrine, CD44).17
La CD44 è una glicoproteina transmembranaria, alti livelli di espressione
01/0
23
della quale correlano con prognosi peggiore (probabile ruolo in
metastasi).17 Queste presentano siti di legame per varie molecole della
matrice extracellulare che, attraverso l’attivazione diretta o indiretta,
mediata dall’induzione dell’autofosforilazione su Tyr 397 kinasi (FAK),
promuovono il legame con alcune (note) proteine cellulari in un complesso
che (1) si connette col citoscheletro e (2) attiva una cascata di segnali volti
alla costituzione di un fenotipo di invasione; in effetti il legame col
citoscheletro determina assemblaggi dello stesso, contrazione dei filamenti
di actina, ed esita in una propulsione della cellula neoplastica. Questa
avviene con la perforazione della membrana basale e la progressione nel
connettivo della matrice interstiziale grazie alla sintesi e liberazione di
collagenasi18 ed in genere di proteasi, specialmente metalloproteinasi della
matrice.17 Anche gli eventi intracellulari, possono a loro volta modulare
l’affinità del legame tra le integrine e le molecole della matrice.17
Circa le atipie di natura biochimica,13 si richiamano l’aumento dell’acqua,
la diminuzione del Ca++ extracellulare (con un ipotizzato ruolo nella
diminuzione dell’adesività intercellulare), le alterazioni nel contenuto delle
diverse classi delle macromolecole organiche, quali i glucidi (es. il
glicogeno aumenta nelle leucemie linfatiche e diminuisce
nell’epatocarcinoma), i lipidi (es. la lipoperossidazione consuma gli acidi
grassi) e le proteine (es. la carenza di alcuni polipeptidi). Si verifica un
aumento della glicolisi, anche in condizioni di aerobiosi, con conseguente
accumulo di acido lattico; in relazione alle citate anomalie dei mitocondri
si ha l’aumento del contenuto di ADP e di fosfati inorganici ialoplasmatici.
Potente è l’aumento della proteosintesi (il cancro rappresenta una trappola
per l’azoto ematico, con azione spoliatrice sul metabolismo per utilizzo
dell’azoto derivato dagli alimenti e dal catabolismo proteico tissutale), con
impiego di ATP che fino al 60% deriva dalla glicolisi. Ovvio, l’incremento
dell’anabolismo degli acidi nucleici.13
Pare utile richiamare il fatto che il supporto di ossigeno e nutrienti per la
neoplasia all’inizio è garantito dalla diffusione diretta dalla circolazione
ematica; a partire19 da un diametro di 0.5 mm, invece, dalla sintesi di un
fattore angiogenico tumorale che, legandosi a recettori degli endoteliociti
ed agendo sul microambiente (compresi periciti e fibrocellule muscolari
lisce), promuove la formazione di un supporto vascolare indipendente.18 Il
processo inizia con la degradazione della membrana basale pericapillare,
seguita dall’invasione dello stroma da parte degli endoteliociti che,
moltiplicandosi, si organizzano in una rete vascolare. Contestualmente si
ha la proliferazione di cellule endoteliali progenitrici circolanti a partenza
dal midollo osseo.19
01/0
24
L’angiogenesi, così come l’invasione e le metastasi, si basa su controlli
genetici distinti da quelli che hanno indotto la comparsa del fenotipo
canceroso.12
Infine, le atipie funzionali13 richiamano diversi aspetti, come la crescita
dimensionale. Le cellule tumorali presentano un vantaggio selettivo
rispetto a quelle normali; in quest’ottica, la progressione neoplastica è
riconducibile al concetto di selezione darwiniana.17 È stato osservato che
le mutazioni necessarie alla formazione del tumore risultano
numericamente assai inferiori rispetto a quelle complessivamente
documentate nei tumori umani, il che depone per il ruolo di pochi (da 4 a
7) eventi mutazionali stocastici che, insieme ai difetti riparativi, sono alla
base del conferimento dell’instabilità genetica (“genetic instability”).
Questa si caratterizza per le citate variazioni genetiche, genomiche e
cromosomiche, che stanno alla base della progressione e dell’eterogeneità
della neoplasia,17 con il conferimento delle autonomie di crescita, elusione
dell’apoptosi, angiogenesi, invasione tissutale (acquisizione del fenotipo
invasivo) e metastasi (acquisizione della competenza metastatica):17 le
metastasi avvengono a partire da una sottopopolazione di cellule altamente
aggressive (clone) entro il tumore primario.
L’impiego dei cDNA microarrays ha permesso di evidenziare la notevole
somiglianza del profilo di espressione genica tra il tumore primitivo e le
proprie metastasi, molto superiore a quello riscontrabile tra stesso tipo di
tumore in pazienti diversi.20,21
Il distacco di cellule tumorali nel sangue venoso avviene quasi fin
dall’inizio, tanto che un tumore dal diametro di 10 mm è in grado di
liberare18 oltre 106 cellule/24 h; in generale il numero di cellule
metastatiche circolanti è correlato alle dimensioni ed all’età del tumore
primitivo. Le cellule metastatiche muoiono quasi sempre a seguito di
traumi intravascolari, ma soprattutto in quanto esse rappresentanto una
popolazione apoptotica:22 la probabilità di riuscita di una metastasi a
distanza18 è inferiore a 1/106 e si verifica solo a seguito della descritta
acquisizione genetica di competenza metastatica. In modelli animali, delle
cellule fuoriuscite dai vasi solo 1:40 forma micrometastasi e solo 1:100 si
espande a macrometastasi.17
La cascata metastatica17 prevede il susseguirsi di fasi che, (1) dalla
trasformazione, prevedono (2) l’angiogenesi, (3) la mobilità e l’invasione
ai capillari, alle venule ed ai linfatici, (4) la circolazione, (5) l’arresto nei
letti capillari, (6) l’aderenza all’endotelio, (7) la migrazione –cell motilitynel parenchima extravascolare, (8) la risposta al nuovo microambiente con
la proliferazione cellulare e l’angiogenesi. A loro volta i tumori metastatici
possono generare ulteriori metastasi.
01/0
25
01/0
Le metastasi possono13 essere, secondo la via di propagazione: linfatiche
(con intensa reazione a partire dai centri germinativi dei linfonodi);
ematiche, a loro volta distinguibili in: (1) tipo portale, dal distretto della
vena porta al fegato, (2) tipo vene cave, ai polmoni, (3) tipo polmone, a
qualsiasi organo; canalicolari (es. lungo dotti escretori ghiandolari, o dai
bronchi al polmone); endocavitarie (es. cancro di Krukenberg, metastasi
gastriche all’ovaio; o dal polmone alla pleura viscerale, parietale e quindi
all’addome).
Casi particolari riguardano regioni topograficamente interessate da
anastomosi vasali (es. ampolla rettale e canale anale, dove i plessi
emorroidarî superiore, medio ed inferiore risultano tributarî, a partire dal
medio, dei distretti portale e cavale inferiore). Un ruolo importante è poi
svolto da particolari organotropismi (es. metastasi ossee frequenti nei
cancri di mammella, prostata, tiroide).
È interessante infine ricordare il basso organotropismo alle metastasi del
tessuto muscolare, legato alle contrazioni disfacilitantine l’attecchimento,
e del sistema reticolo endoteliale (rare le metastasi nella milza).13
Le metastasi dei carcinomi sono frequentemente linfatiche (ricchezza di
vasi linfatici nella lamina propria dei tessuti epiteliali), quelle dei sarcomi
frequentemente ematiche (ricchezza di vasi ematici nello stroma
connettivale).
Detto ciò, può risultare utile schematizzare la storia naturale dei tumori;23
una popolazione corrispondente a 1010 cellule equivale a 10 g di tumore
(cancro “visibile”); 1012 cellule corrispondono a 1 kg di tumore.
death
palliation
1012
visible
1010
n. of
cancer
cells
cancer cell resistance /
patient intolerance
add systemic chemotherapy
for occult micrometastases
nonvisible
local treatment: successful prior to metastatic spread
time
L’intervento sul tumore può sortire diversi risultati, come rappresentato
nella precedente figura.
26
Etiologia, fattori di rischio, patogenesi
Il cancro è in origine una malattia del genoma, in cui la progressione dalla
cellula normale al tumore invasivo si verifica in un periodo di 5-20 anni.12
La cancerogenesi (multistep carcinogenesis)24 è un processo che si
sviluppa attraverso il momento dell’iniziazione (initiation) e quello,
successivo, della promozione (promotion).
L’iniziazione comporta la comparsa di modificazioni a carico del
DNA.14,24
Esse possono essere costituzionali, capaci di indurre il cancro, come la
delezione, autosomica dominante, a carico del gene Rb sul cromosoma 13,
all’origine del 40% dei retinoblastomi,14,25 oppure acquisite.
Queste ultime, molto più importanti, consisteranno in un danno del DNA
che potrà dipendere da risk factors ambientali di natura fisica, chimica o
biologica.
Circa la suscettibilità genetica, geni ad alta penetranza responsabili di
cancri familiari rappresentano circa l’1-5% dei casi.26,27
I comuni cancri sporadici sono legati a geni a bassa penetranza, rispetto ai
quali giocano un ruolo varianti genetiche (polimorfismo genetico): es. per
il tumore del polmone il gene per la glutatione S-transferasi M1 –ruolo
sulla detossificazione- rispetto agli idrocarburi policiclici aromatici (IPA),
per i tumori della mammella e del polmone il gene per il citocromo P 450
1A1 (CYP1A1) –ruolo sull’attivazione metabolica- sempre rispetto agli
IPA, per quello della mammella il gene CYP17 –ruolo sull’attivazione
metabolica- rispetto agli estrogeni, ecc.26 Il polimorfismo genetico risulta
alla base del fatto che, ad esempio, non tutti i fumatori svilupperanno un
carcinoma broncogeno.
A seguire vengono schematicamente trattati i più noti fattori di rischio
(risk factors) ambientali, con i rispettivi riferimenti alla considerazione che
agli stessi viene riservata dall’International Agency for Research on
Cancer (IARC). L’effetto dell’esposizione a nove risk factors, in
particolare, è stato recentemente quantificato sul piano epidemiologico28
attraverso l’impiego di dati di revisioni sistematiche / metanalisi delle
evidenze, dati di RR, ecc. Si tratta di 1. Body Mass Index (BMI), 2.
consumo di frutta e verdura, 3. attività fisica, 4. fumo, 5. alcol, 6.
protezione nei rapporti sessuali, 7. inquinamento urbano, 8. uso domestico
di combustibili solidi, 9. iniezioni contaminate.28 Per tali cause di cancro è
stata calcolata la Frazione Attribuibile di Popolazione (FAP),28 quota
percentuale di mortalità abbattibile coll’ipotetico raggiungimento di
un’esposizione associata al minimo rischio teorico “controfattuale”
(rispettivamente: 1. 21, 2. 600 g/die, 3. >=2.5 h/sett. attività moderata, 4.
assenza, 5. assenza, 6. rapporti protetti, 7. 7.5 µg/m3 per PM2.5 e 15 µg/m3
01/0
27
per PM10, 8. no carbone, ecc., 9. iniezioni sterili).28 PAF è un rapporto di
funzioni integrali dove a numeratore è la differenza tra integrali definiti, da
esposizione controfattuale a fattuale, delle funzioni RR P (distribuzione in
popolazione esposta) e RR PI (distribuzione in popolazione controfattuale)
e a denominatore la relativa funzione integrale per la popolazione esposta.
Tale analisi è stata eseguita per sede di cancro, sia per i singoli nove risk
factors che per le loro principali associazioni. Il 35% mondiale dei morti
(37% nei Paesi ad alto reddito) è attribuibile all’effetto complessivo di tali
nove fattori di rischio potenzialmente modificabili, dato inferiore rispetto
alla vecchia analisi di venticinque anni fa29 che, basandosi sull’incidenza e
non sul PAF era influenzata anche da fattori di rischio non noti ed inoltre
era limitata al dato U.S.A. I rispettivi valori sono, per i Paesi ad alto
reddito, 1. 3%, 2. 3%, 3. 2%, 4. 29%, 5. 4%, 6. 1%, 7. 1%, 8. 0%, 9.
<0.5%.28 Alcuni valori saranno riportati più avanti, come valore di PAF
riferito ai Paesi ad alto reddito. In generale, sedi come polmone, cervice
uterina ed esofago hanno valori molto alti di PAF (>60%), mentre grosso
intestino e leucemie più bassi, indicando una maggiore eterogeneità
etiologica e suscettibilità genetica.28

Risk factors fisici.
La probabilità che si verifichi un danno dipende dalla suscettibilità
genetica.26
 Radiazioni ionizzanti (elettromagnetiche); radiazioni X e γ Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
In generale, le radiazioni ionizzanti agiscono direttamente sul DNA,
provocandone la ionizzazione, o indirettamente, attraverso la
produzione di radicali liberi dalle molecole di acqua, capaci di
danneggiare il DNA.27
Risulta fondamentale la radiazione naturale terrestre, ma anche i
raggi X o γ in diagnosi e terapia, bombe atomiche di Hisoshima,
Nagasaki (1945) e tests nucleari o rilascî accidentali da reattori
nucleari.
Circa la dose individuale, si calcola essa sia pari a 0.1 mSv per un
volo andata/ritorno Londra-New York, a 3 mSv per una
mammografia di screening, a 3 mSv/anno per la radiazione naturale
terrestre, a 25 mSv (e a questi livelli si ritiene presente il rischio
oncologico) per l’esecuzione di una TC addominale pediatrica, a
170 mSv/anno per la permanenza in una stazione spaziale.27
Esse producono l’insorgenza di neoplasie virtualmente in
qualunque organo o tessuto; più frequentemente, leucemia mieloide
acuta o cronica, leucemia acuta linfocitica, cancri di tiroide,
mammella e polmone.
Circa le leucemie, dopo una latenza di 2 anni dall’esposizione alle
radiazioni ionizzanti si ha l’ascesa dell’incidenza fino ad un picco a
01/0
28
4-8 anni e quindi la diminuzione del rischio; per i tumori solidi,
dopo una latenza di almeno 5 anni si ha un aumento del rischio, che
sembra restare elevato per tutta la vita.27
 Radiazioni ionizzanti (corpuscolari); isotopi radioattivi, α and βparticle-emitting -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Particelle α: sono nuclei di He. Particelle β: sono elettroni.
Specialmente il 222Radon (gas da decadimento di 238Uranio); ma
anche 40Potassio, 232Torio, 210Polonio, (naturali); 99Tecnezio,
32
Fosforo, 131Iodio, 224Radio (uso medico); varî isotopiPlutonio, 137Cesio
e 131Iodio; ecc.
Penetrano per inalazione, ingestione, migrazione percutanea,
iniezione.
Gli effetti del gas radon sono stati studiati sui lavoratori delle
miniere di uranio, ma anche nel contesto della presenza dell’isotopo
in abitazioni costruite su rocce particolarmente ricche di radon (in
Italia, la media dell’esposizione annuale della popolazione è 1,5
mSv);31 il rapporto di mortalità proporzionale di cancro broncogeno
a causa del 222Rn inalato è stimato pari a 5-15%.6,27
In cinquant’anni dal disastro, in Piemonte sono stimati 360 morti
per tumore attribuibili al fall-out radioattivo provenuto nel 1986 da
Chernobyl.31 Le emivite degli isotopi rilasciati vanno da 8 giorni a
24400 anni (137Cesio: 30 anni; 131Iodio: 28 anni): un territorio
corrispondente alla superficie di metà Italia, in Bielorussia, Ucraina
e Russia, sarà contaminato per secoli; dov’è ricaduto il Plutonio,
sarà inabitabile praticamente per sempre. Nell’Oblast di Gomel, in
Bielorussia, l’incidenza del cancro tiroideo infantile è
bicentuplicata.
 Radiazione solare - Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Si tratta della radiazione ultravioletta (UV, specialmente B, con
lunghezza d’onda pari a 280-320 nm, ma anche A, di 320-400 nm).
Il meccanismo non è ionizzante, ma di conferimento energetico,
con conseguente aumento del livello di eccitazione molecolare.
Soprattutto nei soggetti cronicamente esposti (contadini, marinaî),
si ha particolare rischio di epiteliomi squamocellulare e
basocellulare (cheratosi attinica), per azione diretta dell’UV B sul
DNA, formazione di dimeri di ciclobutano e danno specialmente a
carico del gene p53.27 Soprattutto a causa di ustioni solari acute (5
ustioni solari in adolescenza raddoppiano il rischio), si ha rischio di
melanoma maligno, per azione indiretta dell’UV A, mediata dalla
sintesi di specie reattive di ossigeno.27
Si richiama infine il trattamento pUVA, con la comparsa di
epiteliomi squamocellulare e basocellulare nella terapia della
psoriasi - Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
01/0
29
 Traumi meccanici reiterati, come nel caso della mucosa delle
guance morsa reiteratamente dai denti e comparsa di leucoplasia.
 Asbesto (amianto, silicato) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Fibre (per coibentazioni) di: crisotilo (serpentino), amosite
(anfibolo), crocidolite (anfibolo).
Responsabile di carcinoma broncogeno (si ricorda che asbesto e
fumo hanno effetto sovradditivo)27 e di mesotelioma (specialmente
per gli anfiboli, che persistono più a lungo nel polmone).27 Il 5080% dei mesoteliomi riconosce cause professionali ed il rischio
negli esposti è pari al 2-8% dopo una latenza di 30-40 anni.27

Risk factors chimici.
I cancerogeni chimici provocano un danno genotossico a seguito di
interazioni (non random) su siti specifici del DNA nucleare e
mitocondriale, con formazione di addotti covalenti, consistenti per lo più
in trasferimenti sul DNA di gruppi alchilici o arilici (alchili complessi). Ne
conseguono, durante la fase di replicazione del DNA, i danni. La
probabilità che ciò si verifichi dipende dalla suscettibilità genetica.26
 Biossido di silicio SiO2 (in forma di silice cristallina: quarzo, o
cristobalite) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Presente nella produzione di cemento, mattoni, materiali abrasivi,
ceramiche, sanitarî; nelle demolizioni; nelle miniere.
Responsabile di tumore del polmone.
 Idrocarburi policiclici aromatici, (IPA): benzo(a)pirene,
benz(a)antracene, dibenz(a,h)antracene
-Group 2A “probably
carcinogenic” sec. IARC.30
Provocano, per inalazione: cancro broncogeno; per ingestione (v.
“dieta”): cancro dello stomaco; per contatto cutaneo con catrame e
olio minerale: epiteliomi squamocellulare e basocellulare.
Dal tabagismo dipende oltre il 35% di tutti i tumori; le sedi di
sviluppo sono polmone, laringe, orofaringe, esofago, bocca, fegato,
midollo osseo, ma anche vescica, rene, cervice uterina, pancreas,
stomaco. Il PAF per il fumo28 è, a seconda della sede: 86% (trachea,
bronchi, polmoni), 71% (bocca, orofaringe, esofago), 41%
(vescica), 30% (pancreas), 29% (fegato), 25% (stomaco). Il PAF
del fumo indoor da combustibili solidi (es. carbone) per trachea,
bronchi, polmoni è 0% nei Paesi ad alto reddito, 2% in quelli a
basso reddito. La combinazione fumo + alcol ha PAF=80% per
bocca, orofaringe.28
 Arsenico, As (in pesticidi, erbicidi, possibile contaminante
dell’acqua): -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Provoca carcinoma broncogeno, epiteliomi squamocellulare e
basocellulare.
01/0
30
 Nickel, Ni (composti), cadmio Cd e composti -Group 1
“carcinogenic” sec. IARC.30
Presente negli impianti di produzione di batterie al nichel-cadmio.
Provoca il carcinoma broncogeno.
 Cromo (composti del cromo esavalente, VI) -Group 1
“carcinogenic” sec. IARC.30
Presente nelle attività di cromature, concia delle pelli.
Determina il carcinoma broncogeno.
 Formaldeide (aldeide formica, formalina, HCHO) -Group 1
“carcinogenic” sec. IARC.30
Presente in resine sintetiche, colle, solventi, disinfettanti e
deodoranti.
Provoca il cancro del rinofaringe.
 Amine aromatiche: 2-naftilamina, benzidina, 4-aminobifenile Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Presente nelle attività relative a vernici, gomma, pellami.
Causa il carcinoma transizionale di vescica, uretere, pelvi renale.
 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-para-diossina (C12H4Cl4O2) -Group 1
“carcinogenic” sec. IARC.30
By-product e contaminante nella produzione di erbicidi; liberata nel
corso di processi termici (specialmente da parte di inceneritori,
lavorazioni del metallo).
È considerato un cancerogeno multi-site.
 Benzene -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
È un solvente industriale.
Provoca leucemia mieloide acuta.
 Cloruro di vinile -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Causa angiosarcoma epatico.
 Ossido di etilene -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Utilizzato nella sterilizzazione di strumentazioni chirurgiche.
Implicato nelle neoplasie del sistema linfatico ed emopoietico.
 Farmaci antiblastici elencati in -Group 1 “carcinogenic” sec.
IARC.30
a. Agenti alchilanti (alchilano il DNA, bloccando l'apertura della
doppia
elica):
clorambucil,
ciclofosfamide,
melfalan,
mecloretamina (MOPP); leucemia linfatica cronica, linfoma di
Hodgkin, linfomi non Hodgkin, cancri di mammella e polmone a
piccole cellule.
b. Azatioprina; immunosoppressione nel trapianto.
c. Busulfano; leucemia mieloide cronica, immunosoppressione nel
trapianto.
d. Dietilstilbestrolo; sostituito, in tumori metastatici della prostata e
della mammella nella postmenopausa.
01/0
31
Possibile insorgenza di “second malignancies” es. leucemia acuta in
pazienti trattati con agenti alchilanti.32
 Ormoni elencati in -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Estrogeni (steroidei e non steroidei).
Estrogenoterapia, postmenopausale (aumento del rischio di cancro
di mammella, endometrio).33
Contraccettivi orali (aumento del rischio di cancro di fegato,
mammella, cervice uterina; diminuzione del rischio di cancro di
ovaio, endometrio).33
 Aflatossine B1, B2, G1, G2 -Group 1 “carcinogenic” sec.
IARC.30
Micotossine sintetizzate da Aspergillus flavus, A parasiticus, A
nomius, A niger, che presentano un optimum di temperatura tra +20
e +30 °C e di water activity >0.95.34 Presenti in cereali (frumento,
orzo, mais, riso), arachidi, formaggio ammuffito, ecc. Le aflatossine
sono termostabili, per cui vengono solo parzialmente inattivate
dalla panificazione, in particolare nella parte interna del pane; il
pane ammuffito ne risulta ricco.34
Causano l’epatocarcinoma. In Cina l’associazione tra epatite B ed
alimentazione ricca di aflatossine contaminanti aumenta il rischio di
insorgenza del cancro epatocellulare di 60 volte.35
Aflatossina M1 -Group 2B “possibly carcinogenic” sec. IARC-.30
Prodotto di idrossilazione metabolica della B1 (escreta col latte da
parte delle bovine alimentate con insilati ammuffiti, ecc.).34
 Bevande alcoliche (birra, vino, superalcolici) -Group 1
“carcinogenic” sec. IARC.30
Implicate nelle neoplasie di cavo orale, orofaringe, laringofaringe,
laringe, esofago, fegato, mammella. Il PAF per l’alcol28 è 41%
(esofago), 33% (bocca, orofaringe), 32% (fegato). Circa la
combinazione fumo + alcol, v. fumo.
Di seguito sono riportate le proporzioni di cancri attribuibili
all’alcol su scala mondiale, per sede:36
sede
bocca e orofaringe
esofago
fegato
mammella
maschi
22%
37%
30%
-
femmine
9%
15%
13%
7%
entrambi
19%
29%
25%
-
 Erbe contenenti specie vegetali del genere di Aristolochia,
medicina cinese usata come antireumatico, antiedemigeno, diuretico
- Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
01/0
32
 In generale, gli alimenti che vengono assunti con la dieta
contengono una certa quantità di molecole cancerogene.
A dispetto della comune opinione, tuttavia, gli studî sull’argomento
hanno evidenziato come la grande maggioranza dei cancerogeni
riconosca una provenienza naturale (pesticidi naturali, micotossine,
sostanze prodotte durante i processi di preparazione dei cibi),
mentre i cancerogeni sintetici (attività potenziale di alcuni additivi e
pesticidi) accontino per meno dell’1%.35,37
L’impiego di additivi e pesticidi è regolato dalle competenti
autorità; essi sono sottoposti a sperimentazioni sul modello animale;
di solito, i riscontri sono di valori di legge.
I pesticidi naturali sono tossine prodotte dalle piante stesse contro i
funghi, gli insetti, ecc. Sono numerosi; ad es. si ricorda l’acido
caffeico, polifenolo sintetizzato da moltissimi vegetali e frutti di uso
comune35 e la capsaicina, presente nei pepi (studî epidemiologici
hanno correlato l’incidenza dei cancri di stomaco e fegato all’alto
utilizzo di pepi in certe popolazioni).35
Tra le oltre 300 micotossine identificate, sono state dimostrate
cancerogene per l’uomo le aflatossine (v.) e, probabilmente, la
fumosina B1 (prodotta da Fusarium moniliforme, proliferatum,
ecc.), presente nel grano e ritenuta responsabile, in Cina e Africa, di
molti cancri esofagei.35
Nel corso della preparazione degli alimenti vengono prodotti
almeno quattro gruppi di sostanze cancerogene. Si tratta degli IPA,
delle amine aromatiche eterocicliche, dell’acrilamide e delle
nitrosamine.
Gli IPA sono stati trattati in generale (v.). Nel contesto degli
alimenti essi sono originati nella carne e nel pollo fatti alla brace sul
carbone, che producono da 3 a 5 volte più IPA del grill e,
naturalmente, nel processo di affumicatura dei cibi; è interessante
considerare che le gocce di grasso che precipitano sul carbone
determinano una deposizione di IPA sulle carni dopo esservi risalite
col fumo e che il più cancerogeno benzo(a)pirene è 5 volte più
concentrato nelle bistecche grasse che nei tagli più magri di maiale
e pollo.
Le amine aromatiche eterocicliche sono sintetizzate durante la
friggitura, la grigliatura ed il grill di cibi fortemente proteici (carni
molto cotte) e depongono per un aumento del rischio di cancro
intestinale. Le quattro molecole incriminate sono la 2 – amino – 3 –
methylimidazo (4,5 - f) quinoline (IQ), la 2 – amino - 3,4 –
dimethylimidazo (4,5 - f) quinoline (MeIQ), la 2 – amino - 3,8 –
dimethylimidazo (4,5 - f) quinoxaline (8 - MeIQx) e la 2 – amino –
1 – methyl – 6 – phenylimidazo (4,5 - b) pyridine) (PhIP). In
01/0
33

virus
modelli sperimentali animali si è osservata l’esaltazione della loro
cancerogenicità da parte dell’aggiunta di timo, maggiorana e
rosmarino. Molto importante risulta il ruolo dei polimorfismi
genetici.
L’acrilamide è sintetizzata portando ad alta temperatura i cibi ricchi
di amido (es. patatine fritte) ed in generale quelli ricchi di
carboidrati. Studî hanno stimato che 6 maschi su 10000 si
ammaleranno di cancro a causa dell’acrilamide presente nella
dieta.35
Circa le nitrosamine, infine, va ricordato che esse (oltre ad essere
presenti nel fumo di tabacco) derivano da cibi (affumicati, salati,
sottaceto) conservati con nitriti/nitrati,34 che vengono coniugati con
amine presenti negli alimenti originando i composti cancerogeni,35
che sono attivati dal citocromo P-45026 e producono addotti del
DNA. Sono correlate con tumori a carico di tutti i segmenti del
canale gastroenterico, del fegato, del rinofaringe e della vescica
urinaria.
Risk factors biologici.
 Human Papillomavirus (HPV), tipi 16, 18 -Group 1
“carcinogenic” sec. IARC.30
Per la descrizione dell’HPV e della sua epidemiologia si veda
quanto riportato più oltre, nella trattazione della prevenzione del
cancro della cervice uterina.
Causa il carcinoma della cervice uterina (in Europa e negli U.S.A.,
insieme, il 16 ed il 18 sono responsabili del 71.5% dei casi;38
rispettivamente39 circa 60% e 10%).
Human Papillomavirus (HPV), tipi 31, 33 -Group 2A “probably
carcinogenic” sec. IARC.30
Human Papillomavirus (HPV), altri tipi -Group 2B “possibly
carcinogenic” sec. IARC.30
Evidenza di forte cancerogenicità per i cosiddetti “high-risk
types”38:16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 66.
Studî caso-controllo con ricerca dell’HPV-DNA, hanno dimostrato
un OR=158.2 (lcl=113.4, ucl=220.6, p=0.05).18
L’HPV-DNA è stato identificato nel 99.7% dei cancri della cervice
uterina;39 a specifici HPV si debbono molti cancri del pene, della
vulva e della regione perianale.40,41
 Human Herpesvirus 8 (HHV-8).
DNA virus con ruolo nel sarcoma di Kaposi nei soggetti affetti da
AIDS.
01/0
34
Negli U.S.A. la prevalenza degli anticorpi anti-HHV-8 è pari al 57%, in Italia meridionale, Sicilia e Sardegna è del 20%, nell’Africa
subsahariana è del 60-80%.41
Il sarcoma di Kaposi, che presenta sempre l’HHV-8 all’interno
delle cellule neoplastiche, può insorgere indipendentemente
dall’infezione da HIV; questa, tuttavia, rappresenta un importante
fattore di rischio (co-fattore); la trasmissione riconosce una
modalità sessuale anche se (es. nei bambini) è possibile grazie agli
alti titoli virali presenti nella saliva.41
 Epstein-Barr virus (EBV, HHV-4) -Group 1 “carcinogenic” sec.
IARC.30
L’EBV è un DNA virus che svolge un ruolo molto importante
rispetto ad alcune neoplasie ad esso associate; il DNA virale è
rilevabile nel 97% dei linfomi di Burkitt africani,40 nel 30% di
quelli delle aree non endemiche degli U.S.A.,40 in oltre 50% dei
morbi di Hodgkin,40 nel 30-40% dei linfomi non Hodgkin
immunoblastici acuti nell’AIDS,40 nel 100% dei linfomi
dell’encefalo nell’AIDS,40 nel 10-15% dei linfomi non Hodgkin non
AIDS correlati,40 praticamente sempre nei carcinomi rinofaringei41
e nel 6-10% dei carcinomi delle ghiandole salivari e dello
stomaco.40
 Hepatitis B virus (HBV, fam. Hepadnaviridae), infezione cronica
-Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Nel mondo sono stimati 300 milioni di portatori dell’HBV, oltre la
metà dei quali vive in Asia.
La trasmissione avviene40,42 per via sessuale (con efficacia molto
elevata, fino a 1:4 per rapporto;43 il soggetto HbeAg positivo
presenta oltre 106 HBV/ml di sangue; negli altri fluidi è 100-1000
volte meno concentrato).42 Inoltre, la trasmissione è riconosciuta
attraverso la dialisi, la trasfusione (negli U.S.A. il rischio
trasfusionale è 1:63000),1,43 per via verticale da madre HbsAg
positiva, per morsi, tatuaggi, utilizzi promiscui di rasoî, per puntura
accidentale, per scambio di siringa nei tossicodipendenti per via
endovenosa. L’iniezione contaminata in ambito sanitario ha un PAF
per cancro epatico (HBV+HCV) del 3% nei Paesi ad alto reddito e
del 21% in quelli a basso reddito.28
L’HBV-DNA è circolare, parzialmente a doppia elica con, nella
catena lunga, le regioni S (HbsAg), C (HbcAg; quello scisso da
proteasi e liberato in circolo: HbeAg), X (HBx, proteina implicata
nello stimolo oncogenico).41 Le regioni sono lette come ORFs.
Almeno in parte la neoplasia è dovuta indirettamente ai meccanismi
di accelerazione del turnover cellulare41 (v. HCV). L’HBV-DNA
può essere reperito integrato nel genoma cellulare.44
01/0
35
Il rischio di evoluzione a epatite cronica attiva nei soggetti HBsAg+
è pari al 6% delle infezioni da HBV42 (il rischio è maggiore per le
infezioni contratte nei primi anni di vita, allorchè corrisponde al 2530% delle infezioni);42 il rischio di carcinoma è pari allo 0.3% delle
infezioni da HBV.42 Il RR del carcinoma corrisponde a 94.45 La
quota di cancro attribuibile all’infezione da HBV nel mondo è pari
al 52%.6
La coinfezione HBV/HCV aumenta notevolmente il rischio.42 La
coinfezione e la sovrainfezione HBV/HDV, pur peggiorando la
prognosi
della
malattia,
non
aumentano
l’incidenza
dell’epatocarcinoma rispetto alla sola infezione da HBV.
 Hepatitis C virus (HCV, fam. Flaviviridae), infezione cronica Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Nel mondo sono stimati 170 milioni di portatori dell’HCV, con una
prevalenza del 3%;46 la prevalenza nella popolazione italiana è dello
0.48%.47 Sei diversi genotipi dell’HCV (e varî sottotipi, es. 1b)48
sono stati caratterizzati in soggetti a differente profilo
epidemiologico di infezione.49,50 La correlazione tra essi ed il
rischio di evoluzione ad epatocarcinoma è oggetto di studio.44,51
La trasmissione avviene40,42,52 attraverso la trasfusione (negli U.S.A.
il rischio è 1:103000),1,53 la dialisi, le punture accidentali (negli
operatori sanitarî il rischio di sieroconversione per needle-stick è
del 3-10%),52 i tatuaggi, l’uso promiscuo di rasoi,54 lo scambio di
siringa tra tossicodipendenti per via endovenosa, la via verticale
(10% in madri HCV-RNA positive)52 e quella sessuale (rara;52 in
partners sessuali di portatori cronici la prevalenza dell’anti-HCV è
del 10-19%42).40 Circa il PAF per cancro epatico dell’iniezione
contaminata in ambito sanitario, v. HBV.28
L’HCV-RNA presenta un’ORF codificante per le regioni delle
proteine strutturali (c, capside; E1, E2, envelope) e non strutturali
(NS2, NS3, NS4, NS5, quest’ultima per l’RNA polimerasi RNA
dipendente).
L’HCV è correlato al rischio di carcinoma epatocellulare attraverso
un’azione che prevede un meccanismo indiretto44 legato
all’accelerazione del turnover cellulare a causa dell’epatite cronica
attiva-cirrosi (lisi e rigenerazione degli epatociti).
Il rischio di evoluzione a epatite cronica attiva55,56 nei soggetti antiHCV+ corrisponde al 30-50% delle infezioni;42 il rischio di
carcinoma è dell’1.25-2.50% delle infezioni da HCV.42 L’incidenza,
nei soggetti anti-HCV+ è quadrupla rispetto a quanto si osserva in
quelli HBsAg+.41 La quota di cancro attribuibile all’infezione da
HCV nel mondo è pari al 25%.6
La coinfezione HBV/HCV aumenta notevolmente il rischio.42
01/0
36
 Human T-cell lymphotropic virus type I (HTLV I, Retroviridae) Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Identificato a partire dal Giappone, dalle isole ed aree continentali
dei Caraibi ed in Africa Centrale, con prevalenza mondiale
dell’infezione pari a 20 milioni; la trasformazione avviene
raramente, nel 3-5%44 e con latenza di 30-50 anni. L’Italia è un
paese a bassa endemia, con prevalenza dell’anti-HTLV I pari
all’1% nei tossicodipendenti per via endovenosa, che rappresentano
il principale gruppo a rischio.57
La trasmissione40,57 avviene attraverso la trasfusione (negli U.S.A. il
rischio è 1:641000),1,53 l’allattamento al seno, la via verticale, lo
scambio di siringa tra tossicodipendenti per via endovenosa ed i
rapporti sessuali (specialmente dal maschio alla femmina, per
presenza dei CD4+ infettati nello sperma).57
Il genoma dei Retrovirus si replica attraverso un intermedio di
DNA.44 L’RNA a singola catena contiene, a partire dalla regione
unica U5’ i geni gag, pol, env e la regione unica U3.44 Nel corso
della sintesi del DNA virale, dalle regioni uniche originano le long
terminal repeats (LTR) che contengono i promoters e gli enhancers
per la trascrizione dei geni adiacenti.44 Tra le LTR si trovano le
ORFs per le proteine gag (core), env (glicoproteine dell’envelope) e
pol (proteasi, transcriptasi inversa, integrasi).44 La transcriptasi
inversa (DNA polimerasi RNA dipendente) catalizza la sintesi di
DNA che l’integrasi virale inserisce come provirus nel genoma
umano; esso sarà trasmesso alle cellule figlie e trascritto in mRNA;
l’inserimento può condurre a mutazione o ad alterazione delle
regolazioni.44 L’HTLV I esprime come prodotto ORF le proteine
Tax e Rex; la prima regola l’espressione genica nei CD4+ ed
inattiva proteine coinvolte nella regolazione del ciclo cellulare e
nella riparazione del DNA.58 L’HTLV non è in sè un oncogene; i
siti dell’inserzione del provirus nel DNA sono random da soggetto a
soggetto.44
Il virus agisce nella genesi dell’adult T-cell leukemia / lymphoma
(ATL), dei linfociti T CD4+ (helper): non si ha marcata
immunodeficienza fino alla comparsa dell’ATL.
 Human T-cell lymphotropic virus type II (HTLV II,
Retroviridae); scarsa evidenza epidemiologica per una possibile
correlazione con la T hairy cells leukemia.44
 Human immunodeficiency virus type 1 (HIV 1, fam.
Retroviridae, gen. Lentivirus) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Oltre la metà delle infezioni mondiali è presente nell’Africa
subsahariana.40 In Europa occidentale sono stimati da 520000 a
610000 soggetti infetti.59 La trasmissione avviene per via sessuale
01/0
37
(il rischio per singolo rapporto sessuale con soggetto anti-HIV
positivo è 1:100-1:500),60,61 attraverso l’uso di aghi (nelle siringhe
dei tossicodipendenti residuano in media 34 µl di sangue; in una
punta d’ago la centesima parte: ciò spiega il basso rischio di
contagio in caso di puntura accidentale),60 attraverso la trasfusione
(negli U.S.A. il rischio è 1:493000)1,53 e la trasmissione verticale, il
cui rischio odierno è pari al 2.6%.59
Il bersaglio dell’HIV sono i recettori CD4 (di linfociti helper,
monociti, macrofagi, ecc.).
L’organizzazione del genoma dell’HIV è analoga a quella
dell’HTLV I; esso, tuttavia, specifica per le proteine Tat e Rev
(analoghe). A differenza, esso replica assai attivamente producendo
alti livelli iniziali di viremia e da origine a quasispecie per l’alta
variabilità genetica dovuta alla carenza dei meccanismi di controllo
di qualità della copiatura della transcriptasi inversa.44
Il 40% dei casi di AIDS sviluppa una neoplasia maligna; a
differenza dell’HTLV I il meccanismo alla base dell’insorgenza
delle neoplasie è indiretto e l’HIV agisce da co-fattore con l’HHV-8
nell’insorgenza del KS o con altri virus (EBV, HPV),44 con la
creazione di un quadro di immunodepressione ed insorgenza di
linfomi non-Hodgkin a cellule B, specialmente immunoblastici (con
aumento dell’incidenza pari a 60 volte), linfomi primitivi del
sistema nervoso centrale (rara sede extralinfonodale), tumori di
cervice uterina ed ano.
 Human Immunodeficiency virus type 2 (HIV 2, fam.
Retroviridae, gen. Lentivirus) -Group 2B “possibly carcinogenic”
sec. IARC.30
batteri
 Helicobacter pylori -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC-.30
Implicato nella genesi dell’adenocarcinoma gastrico. Studî casocontrollo hanno evidenziato un OR pari a 1.8-6.0.6 La quota di
cancro gastrico attribuibile a questa infezione è del 71%.6 È
implicato nel linfoma della mucosa dello stomaco.
elminti
 Schistosoma haematobium -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Responsabile di carcinoma a cellule squamose (!) della vescica in
corso di schistosomiasi, per l’azione meccanica irritativa cronica.
 Opistorchis viverrini -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30
Responsabile di carcinoma delle vie biliari extraepatiche.
n. b. circa il ruolo di BMI e sedentarietà si veda più avanti quanto riferito
nella sezione della mammella e del grosso intestino.
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38
In definitiva, attraverso l’estrinsecazione dei meccanismi antevidenziati, si
ha la genesi di un’instabilità genetica, con la comparsa delle atipie
nucleari, legate all’espressione di geni mutati23 (oncogeni e geni
oncosoppressori),12 nonchè di deficit dei normali meccanismi riparativi
del DNA (repair genes), che producono l’accumulo dei difetti.12
Oncogeni. L’attivazione degli oncogeni può avvenire mediante12 (a)
l’alterazione dell’espressione di protoncogeni, (b) la creazione di oncogeni
chimerici. Ad ogni modo, essi possono agire sulla differenziazione
cellulare inducendo ad un fenotipo immaturo che si autoreplica, o
sull’apoptosi, o morte programmata, determinando una sorta di
immortalità cellulare.12 Esempî sono riportati di seguito.
 Nel 50% dei casi di carcinoma broncogeno sono presenti
delezioni di 3p: questa contiene protooncogeni (variabile
espressione di oncogeni cellulari); ne consegue un’attivazione di
segnali di crescita cellulare.
 Il gene ras è alterato nel 25% delle neoplasie; normalmente
inattivo, esso codifica la proteina Ras, che fornisce il segnale per la
divisione cellulare.
 L’attivazione
di
c-erbB2/HER-2/neu
(17q11.02),
con
sovraespressione del prodotto, si ha nel 20-30% dei carcinomi della
mammella,14 correlati a prognosi peggiore (mediatore di metastasi e
forse di organotropismo).62 Il prodotto è un recettore Tyr-chinasi
simile al recettore 2 dello human epidermal growth factor (HER2/neu).62 Esso, stimolato dal proprio ligando transforming growth
factor- (TGF-), sovraespresso, interagisce con ras (spesso
mutata, come visto, nei cancri); questa, controllata da proteine
attivanti la guanosina trifosfatasi, attiva raf. L’attivazione di questo
percorso finisce con l’aumentare l’espressione delle proteine
nucleari jun, fos e myc (es. myc è amplificata nel carcinoma della
mammella), a loro volta fattori trascrizionali inducenti l’espressione
di ulteriori geni.12 Ogni passaggio di questa cascata rappresenta un
potente segnale per l’oncogenesi.
 Geni codificanti le proteinchinasi, che trasmettono un segnale di
avvio per la divisione, dal plasmalemma al nucleo; proteinchinasi a
struttura alterata sono iperattive nel carcinoma della mammella, nel
carcinoma transizionale della vescica e nella leucemia mieloide
cronica.
 L’attivazione dell’oncogene c-myc (8q24) è dimostrata nel
tumore polmonare a piccole cellule.14
 L’attivazione dell’oncogene N-myc (2p23-24) è presente nel
neuroblastoma e nel tumore polmonare a piccole cellule.14
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 La traslocazione –t(9;22)- sul cromosoma 22 di un pezzo di
cromosoma 9 contenente l’oncogene abl con fusione col gene bcr e
sintesi di una proteina chimerica, avviene nell’80-95% delle
leucemie mieloidi croniche (presenza del cromosoma Philadelphia,
Ph, 22), ma anche nella leucemia mieloide acuta e nella leucemia
linfatica acuta.14
Geni oncosoppressori. Un danno ai geni tumor suppressors rappresenta un
altro meccanismo alla base della genesi del cancro. Esempî sono riportati
di seguito.
 Rb, gene del retinoblastoma, codifica per la proteina pRb la quale
regola il ciclo bloccando il fattore di trascrizione E2F12 e quindi il
passaggio da G1 a S in ogni tipo di cellula.25 Mutazioni di Rb si
osservano nel 30-40%18 di tutte le neoplasie (osteosarcomi, tumori
polmari a piccole cellule, tumori della vescica, della mammella e
della prostata). 25
 Il gene p53 è definito “guardian of the genome”.12 Nelle cellule in
cui si verifica un danno al DNA ad opera di agenti mutageni, p53
intensifica l’espressione di p21/CIP1 soppressore delle kinasi
regolatorie (+) del ciclo cellulare (CDKs); il blocco in G1 o G2
(“hibernation”) permette la riparazione evitando che si accumulino
mutazioni e favorendo l’evoluzione successiva ad apoptosi.12
Questo è un processo che si verifica fisiologicamente quando il
carico mutazionale cellulare supera un dato livello; esso prevede
vescicolazione del plasmalemma, contrazione volumetrica cellulare,
condensazione del nucleo e scissione endonucleolitica del DNA.63
Un danno della p53 si osserva nel 50% di tutti i tumori, ed in oltre
il 60% dei tumori del polmone.64
Il danno al gene p53 causato dall’anti7β,8α diidrossi-9α,10αepossi-7,8,9,10-tetraidro-benzo(a)pirene, metabolita attivo del
benzo(a)pirene presente nel fumo, si associa allo sviluppo di addotti
del DNA lungo il gene della p53 (genotipo) che hanno stretta
correlazione col pattern di mutazioni della p53 (fenotipo)
identificato nei tumori broncogeni.64
Si veda più avanti quanto riferito su p53 e Rb nella trattazione degli
HPV-Early Genes.
Ruolo delle anomalie dei meccanismi riparativi del DNA (repair genes).
Ad esempio, la sequenza evolutiva da adenoma a cancro colorettale è
legata a due processi, di seguito indicati come gatekeeper e caretaker
pathways:
(1) La “gatekeeper pathway”12,65 si verifica nell’85% dei cancri sporadici e
nella FAP. Il primo momento è rappresentato dalla mutazione
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40
(inattivazione) del tumor suppressor APC (80%), che conduce alla
chromosomal instability. Allargandosi il polipo, compaiono le mutazioni
(attivazione) dell’oncogene ras (40-50%). Infine, compare il carcinoma,
con le mutazioni (inattivazione) dei tumor suppressors p53 e SMAD4
(80%), fenomeni tardivi. Inoltre, fino all’80% di adenomi/CCR presentano
sovraespressione di COX-2 (inibitore di apoptosi e promotore di
angiogenesi; inibita dai FANS).
(2) La “caretaker pathway”65 si verifica nel 15% dei cancri sporadici e
nell’HNPCC. In questo caso si verificano mutazioni, specie in hMLH1 e
hMSH2, le cui proteine enzimatiche riparano DNA mismatches, cloni di
ripetizioni di pochi, per lo più due, nucleotidi (microsatellite
instability).12,65,66
In realtà i due processi sono in parte embricati.
Ruolo dell’immunocompetenza (vedasi quanto detto circa il sarcoma di
Kaposi).
Infine, accanto alle modificazioni genetiche è importante ricordare la
concorrenza di altri processi, quali quelli epigenetici, ad es. (1)
l’ipometilazione in C5 della citosina (5 metilcitosina), laddove seguita
dalla guanina, oppure (2) l’alterazione degli enzimi che controllano
l’acetilazione degli istoni, ai quali il DNA è legato, con condizionamenti
sulla trascrivibilità.12
La promozione consiste nell’espansione in clone della cellula trasformata;
avviene nell’arco di decennî, dando origine a subcloni geneticamente
differenti, ed è causa dell’eterogeneità tumorale.23
Può essere influenzata dalla dieta, dagli ormoni e dai farmaci.
In questa fase si verifica la transizione dal livello molecolare a quello
istologico.
Con lo sviluppo del tumore si determina la possibilità, in ricerca, di
un’analisi molecolare comprensiva. Nel 2001 è stato completato il
sequenziamento di oltre il 98% del genoma umano; si tratta di 6.8 miliardi
di paia di basi azotate per cellula,14 organizzate in 34 mila geni che
esprimono oltre 100 mila proteine strutturali ed enzimatiche.67 I geni sono
regolati a diversi livelli (trascrizionale, post trascrizionale, traslazionale,
post traslazionale). I progressi dei test genetici sono avvenuti tanto sul
versante delle tecniche di amplificazione (PCR, ibridizzazione) che su
quello dell’introduzione dei DNA microarrays, con la possibilità di
evidenziare le alterazioni dei geni implicati nella cancerogenesi attraverso
la realizzazione di “carte del rischio individuale”, scopo della medicina
predittiva.68
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La tecnica dei microarray è una nanotecnologia di amplificazione
dell’RNA, che si esplica attraverso la lettura dell’attività espressiva
trascrizionale simultanea di migliaia di geni (analisi molecolare
comprensiva).69 La tecnica67 consiste nell’estrazione dell’mRNA dal
campione di tumore, nella retrotrascrizione a DNA complementare, con
impiego di nucleotidi fluorescenti, nell’ibridizzazione del cDNA in un
(noto) spot del microarray, corrispondente al proprio gene e nella misura
dell’intensità di espressione, come fluorescenza dello spot.
Dal confronto delle espressioni dell’mRNA nelle cellule normali ed in
quelle neoplastiche si può risalire ai geni responsabili; analogo l’approccio
per identificare e correlare fenotipi invasivi e metastatici alla prognosi.19
La ricerca, oggi, utilizza la tecnica dei microarrays per una valutazione
iniziale dell’espressione genica globale, per passare quindi alla PCR per
ottenere misure accurate di un numero limitato di geni, con analisi delle
mutazioni in oncogeni e geni oncosoppressori (sono necessarî da 5 a 50
geni per una corretta classificazione tumorale).
Infine, si fa solo un cenno di richiamo al recente ambito di studio
dell’RNA-interference, modello molecolare noto a livello delle piante e da
poco riconosciuto nell’uomo, dove tratti di RNA bielicoidale non
codificante inibiscono l’espressione genica fino a cento volte
maggiormente rispetto all’RNA standard; è stato ipotizzato che difetti
enzimatici correlati col meccanismo in questione possano sottendere allo
sviluppo del cancro.70
Si ricorda come le cellule neoplastiche esprimano in superficie numerosi
antigeni tumorali; essi possono essere riconosciuti da anticorpi
monoclonali e da linfociti T.71 A seguire sono riportati alcuni esempî di
antigeni tumore-specifici (ATS) e di antigeni tumore-associati (ATA),
questi ultimi non esclusivi.
p 53 mutata
proteina di fusione abl-bcr
ras mutato
HER-2/neu (human epidermal receptor-2/neurological)
onco-fetali
AFP (alpha-fetoprotein)
CEA (carcinoembryonic Ag)
gp 100
ATA di differenziazione melanocitica
MART-1 (melanoma Ag
recognized by T-cells-1)
MAGE 3 (melanoma Ag 3)
TERT
aumentata espressione protoncogeni EGFR
p 97
Tra i principali, sul piano pratico, risultano i seguenti:
ATS
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CEA
AFP
βHCG
PSA
CA125
espresso nel carcinoma del colon (ma anche in fegato, pancreas e
intestino del feto, fumatori, cirrosi, rettocolite ulcerosa, carcinoma di
mammella, cervice, vescica, pancreas, ovaio).
espressa in epatocarcinoma, carcinoma embrionario di testicolo/ovaio
(ma anche nel fegato del feto).
espressa nelle neoplasie gestazionali trofoblastiche e nel carcinoma
embrionario del testicolo/coriocarcinoma.
espresso nel carcinoma della prostata (ma anche, a concentrazioni
minori, dalla prostata normale e nell’iperplasia prostatica).
espressa nel carcinoma dell’ovaio (ma anche nelle peritoniti).
La risposta dei linfociti T71 (naive/virgin) agli antigeni tumorali è attivata
ad opera delle antigen presenting cells (APCs), rappresentate innanzitutto
dalle cellule dendritiche (DCs), di origine emopoietica, che derivano da
precursori circolanti (monociti, linfociti); tipiche DCs sono le cellule di
Langerhans dell’epidermide e dell’epitelio di rivestimento delle mucose,
elementi mobili.
Le DCs (APCs) immature sono ubiquitarie nei tessuti. Esse, a seguito del
legame con un recettore, fagocitano gli antigeni, rappresentati da cellule
vive (es. opsonizzate), morenti (apoptosiche), necrotiche (infette o
neoplastiche); gli antigeni, frammenti di proteine di cellule neoplastiche,
vengono processati (denaturati, trasportati, legati ad una molecola del
Major Histocompatibility Complex, MHC, specie di classe I, meno
frequentemente di classe II, a costituire un complesso che viene trasportato
alla superficie della cellula per la presentazione: APC).
Le DCs (APCs) migrano dalla periferia alle aree timodipendenti (periferia
dei follicoli linfatici secondarî) degli organi linfoidi periferici (spec.
linfonodi tributarî, milza, tessuto linfoide periferico, es. mucosa
dell’intestino tenue), dove attivano i linfociti T (da naive ad effector) e
muoiono in pochi giorni. Nelle stesse aree si ritrovano anche le DCs
(APCs) di origine plasmocitoide che, tuttavia, non pare agiscano da
sentinelle tissutali periferiche.
I linfociti T sono di origine timica ed attraverso la circolazione
pervengono alle aree timodipendenti dei linfonodi.
Circa la presentazione dell’antigene ai linfociti T, va detto che le molecole
MHC di classe I generalmente presentano antigeni ialoplasmatici (proteine
autologhe, virus, altri microrganismi), mentre le molecole MHC di classe
II presentano antigeni del plasmalemma o fagocitati in vacuoli
dall’ambiente extracellulare.
Le DCs (APCs) mature presentano in superficie l’antigene, per il legame
con il T cell receptor (TCR) ancorato alla molecola CD3 dei linfociti T,
per la risposta immune primaria.
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43
Così, i complessi con le MHC di classe II attivano i linfociti T, effector,
CD4+ “helper”, che si differenziano a Th1 CD4+, a sostegno della
risposta immunitaria cellulare (nonchè a Th2 CD4+, a sostegno di quella
umorale) et le cellule T regolatorie, con fenotipo CD4+ CD25+,
“suppressors” alla base della unresponsiveness agli antigeni, che
inibiscono la risposta antitumorale; inoltre, i complessi con gli MHC di
classe I attivano i linfociti T CD8+ citotossici (CTL).
Le neoplasie elicitano per lo più MHC di classe I e non di classe II;
ciononostante risulta evidente il ruolo dei CD4+ nel meccanismo della
risposta antitumorale.
Il numero di molecole del MHC da occupare da parte del peptide per
l’attivazione del complesso TCR/CD3 varia da 1 a 10; la piena attivazione
necessita di almeno un giorno di triggering. È fondamentale il ruolo della
produzione da parte delle DCs (APCs) di interleuchina (IL-12).
I linfociti T effector, attivati, vanno incontro a proliferazione con
passaggio da G0 a G1.
I CD4+ (helper) svolgono funzione direttiva, sintetizzando e liberando
citochine, polipeptidi immunostimolatori (prodotti anche dai monociti) che
attivano linfociti T, NK, monociti/macrofagi, granulociti neutrofili.
I CD8+ (CTL, citotossici), a seguito del legame coll’antigene liberano nel
microambiente sostanze citotossiche; il meccanismo è duplice ed avviene
presso il sito di legame: 1. azione del TNF, 2. degranulazione di proteine,
(a) perforina, con attività riconducibile a quella della C9 del complemento,
che perfora il plasmalemma della cellula tumorale, (b) molecole ad attività
serina proteasica (granzimi). Il risultato è l’apoptosi, con lisi del
plasmalemma, condensazione cromatinica, frammentazione del DNA,
seguite dalla citolisi. L’azione ha luogo in pochi minuti; quindi, i CTL
reiterano l’attività su altre cellule neoplastiche.
Infatti, i linfociti T effector, proliferando, si portano al sito (specialmente
extravascolare) del tumore (tale sito flogistico richiama la risposta grazie
alle citochine chemiotattiche, chemiochine, adese all’endotelio) per
svolgere le descritte funzioni a contatto colle cellule tumorali (sintesi di
citochine, citotossicità). Dopo un breve periodo esse muoiono.
Negli organi linfoidi periferici rimangono T memory cells (capaci di
generare una risposta immune per un nuovo contatto con l’antigene, che
sarà più precoce, intensa e protratta che nelle naive/virgin.
La più studiata tra le interleuchine è la IL-2, polipeptide di 15 kD prodotta
soprattutto dai Th1 CD4+ attivati; l’IL-2 lega un recettore per l’attivazione
dei precursori dei CD8+ CTL memory cells, NK, stimolandone
moltiplicazioni in cloni. Altre citochine sono l’IFN-γ (Th1 CD4+) e i
TNF- e TNF-β (sintetizzati anche dai macrofagi).
Il microambiente della neoplasia non offre eccezioni al principio generale
del danno tissutale seguito da flogosi, con infiltrazione di leucociti, attirati
01/0
44
dalla presenza in situ delle chemochine verso le quali essi presentano
specifici recettori (chemiotassi).
Un ruolo importante è svolto dai linfociti natural killer (NK), cellule
attivate dalle citochine; i NK presentano in superficie molecole CD16+ per
l’Fc degli anticorpi, nonchè CD56+ (mentre sono assenti i TCR-CD3 che
caratterizzano i linfociti T e le immunoglobuline di superficie che
caratterizzano i linfociti B; i NK sono pertanto una distinta popolazione
linfocitaria). I NK esprimono un meccanismo primitivo aspecifico
(immunità aspecifica) non necessitando del riconoscimento specifico
dell’antigene e non essendo dotati di memoria. Producono citochine ed
hanno meccanismi sovrapponibili a quelli dei CTL (azione del TNF,
perforina, granzimi). In essi il recettore per il frammento cristallizzabile
lega immunoglobuline adese a cellule neoplastiche (antigeni tumore
associati); in alternativa, favoriscono la lisi della cellula neoplastica
attraverso azione enzimatica o di metaboliti dell’ossigeno e dell’azoto.
Granulociti neutrofili e macrofagi tissutali del sistema reticolo
endoteliale/istiocitario (questi derivati dai monociti), attivati da citochine,
ripropongono i meccanismi effettori visti per i NK. Presentano recettori
per C3, Fc degli anticorpi, molecole MHC di classe II. I macrofagi71
agiscono come APCs e costituiscono un legame tra recettore superficiale
ed antigene per la fagocitosi di quest’ultimo e la successiva presentazione
superficiale in complesso con MHC di classe II a linfociti CD4+: il
meccanismo che ne consegue è stato in precedenza descritto.
Anche i linfociti B71 agiscono come APCs; in essi si verifica un legame tra
immunoglobuline di superficie, cui segue la fagocitosi dello stesso e la
successiva presentazione superficiale in complesso con MHC di classe II a
linfociti CD4+; il meccanismo che ne consegue è stato in precedenza
descritto.
Nei confronti delle neoplasie il ruolo dell’immunità umorale è certamente
minore. Esso si svolge attraverso un legame dell’antigene tumore associato
con l’immunoglobulina ed il complemento, l’azione del quale, fino
all’attività fosfolipasica finale, danneggia il plasmalemma; oppure
attraverso un legame dell’antigene tumore associato con
l’immunoglobulina ed il frammento cristallizzabile dell’anticorpo, rispetto
al quale Fc vi sono specifici recettori sui NK, sui neutrofili e sui
macrofagi, l’azione dei quali lisa la cellula neoplastica.
Un interessante, ulteriore aspetto che pare utile richiamare, è quello della
relazione tra l’andamento temporale dell’incidenza del cancro e quella
delle malattie infettive.
Nel periodo 1895-1963, in Italia, il tasso standardizzato di incidenza dei
tumori è aumentato72 dell’1-2% /anno, mentre tra il 1986 ed il 1997
dell’1.1% nei maschi e dell’1.5% nelle femmine; nella prima metà del XX
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45
secolo tale aumento è avvenuto in particolare: (a) dopo 10 anni dalla
riduzione della mortalità per malattie infettive e (b) dopo 40 anni
dall’aumento della produzione di sigarette.
La progressiva diminuzione dell’incidenza delle malattie infettive, con
minore esposizione a batteri ed ai loro prodotti, può avere condotto alla
riduzione dell’attività dei meccanismi sviluppati nel corso dell’evoluzione
ed atti alla distruzione di foci neoplastici.72
In letteratura sono discussi i seguenti aspetti: (a) esiste un antagonismo tra
l’esposizione ad endotossine batteriche per inalazione di polveri vegetali
inquinate e cancro del polmone (ad es. in operai dell’industria tessile
cotoniera ed allevatori di bovine da latte);72 (b) è ipotizzato un
antagonismo tra infezioni batteriche e melanoma;72 (c) è disponibile
l’evidenza clinica e sperimentale che l’endotossina di Salmonella abortus
equi per via endovenosa ed alcuni prodotti micobatterici esplicano
un’attività inibitoria nei confronti di alcuni tumori (colon-retto e
broncogeno non a piccole cellule).72
È stata formulata un’ipotesi circa la fisiopatologia del fenomeno, che
contempla diversi ruoli: (1) un’azione farmacologica, con danno
dell’endotelio, necrosi emorragica, rispetto ai vasi centrali del tumore;72
(2) un’azione immunologica, con richiamo di neutrofili, macrofagi, CTL e
NK nell’area tumorale periferica;72 (3) il ruolo della febbre, visto che in
circa un quarto di oltre 700 casi di regressione spontanea di tumore si è
osservata un’infezione febbrile concomitante.72
Studî ulteriori sono necessarî per chiarire questo fenomeno.
Epidemiologia dei tumori
Le basi di dati a disposizione delle valutazioni epidemiologiche risultano
(1) gli indici di mortalità forniti dall’ISTAT e (2) i registri tumori di
popolazione73 (si ricorda l’Associazione Italiana Registri Tumori, con oltre
venti registri tumori in Italia; per il Piemonte, Torino e Biella).
La raccolta delle informazioni può avvenire a partire dalle seguenti fonti:
1. referti istologici raccolti nei servizi di anatomia patologica, 2.
SDO/cartelle cliniche, 3. schede di morte. Occorre prestare particolare
attenzione nell’acquisizione dei dati; ad esempio, l’incidenza dei
mesoteliomi può essere sottostimata fino al 30%, a causa di omesse
segnalazioni o della mancata effettuazione dell’accertamento istologico in
pazienti molto anziani; possono registrarsi variazioni dell’incidenza a
ragione dell’aumento delle biopsie eseguite in un centro; se poi non è
disponibile un archivio di prevalenza almeno decennale, possono venire
inclusi tra i casi incidenti anche quelli che abbiano avuto inizio in
precedenza (stante la possibilità della reiterazione dei ricoveri e
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46
dell’effettuazione dell’istologia). Va ricordato inoltre che i registri tumori
(dati U.S.A.) riportano i risultati con tre anni di ritardo, a causa dei tempi
di raccolta e di codifica dei dati.10
I registri tumori di popolazione possono assolvere a diverse funzioni di
notevole importanza sul piano conoscitivo; di seguito vengono
schematicamente ricordate le principali.
1. Generazione di ipotesi etiologiche (in un ambito di epidemiologia
descrittiva)73 per variabili legate ai soggetti, al tempo, ed allo spazio. Si
potranno condurre studî di (a) incidenza, (b) sopravvivenza (follow up dei
casi incidenti),73 (c) prevalenza (follow up dei casi incidenti),73 (d)
mortalità (follow up dei casi incidenti).73 Il rapporto di causalità andrà
verificato attraverso studî di epidemiologia analitica.73 Si ricorda come le
neoplasie abbiano, singolarmente, incidenza inferiore rispetto alle malattie
cardiovascolari: in coorti e RCTs preventivi sono necessarie sample sizes74
maggiori, generalmente con decine di migliaia di soggetti, e lunghi follow
up74 (ad es. l’evidenziazione di risk factors cardiovascolari –cessazione del
fumo, controllo dell’ipertensione arteriosa, controllo dei lipidi, controllo
del peso, monitoraggio del diabete- nei 5000 soggetti del Framingham
Study è stata possibile in circa dieci anni di osservazione, mentre in
ambito oncologico è necessario un periodo almeno doppio).74
2. Valutazioni dell’efficacia dei programmi di screening: a tal fine è
necessario attuare un linkage tra il database dello screening ed il registro
tumori (cancer register data).75 In tal modo potranno essere effettuati (a)
un monitoraggio sui cancri intervallo e (b) la valutazione dei cosiddetti
indicatori precoci (es. il confronto delle distribuzioni per stadio tra i tumori
screen detected e quelli symptom detected, nonchè l’analisi della
proporzione dei piccoli tumori invasivi identificati allo screening).
3. Valutazione dell’efficacia dei programmi di prevenzione primaria
attuati sul territorio; tale attività, che risulta fondamentale per operare un
giudizio di reale efficacia delle attività preventive, si attua attraverso la
misurazione delle variazioni dell’incidenza dei tumori rispetto ai quali
sono rivolti i programmi.73
4. Valutazione dell’efficacia (misurata in termini di sopravvivenza) dei
protocolli diagnostici o terapeutici sviluppati nei confronti delle neoplasie.
In tal senso è meglio affidarsi a registri tumori che a RCTs, nei quali i
pazienti assegnati ai due bracci difficilmente risultano perfettamente
rappresentativi di tutti i casi di quel particolare cancro; inoltre, al di là
dell’influenza del protocollo diagnostico o terapeutico, questo tipo di
analisi tiene conto dell’accessibilità concreta ai servizi sul territorio.73
In conclusione si ricorda come siano disponibili anche registri tumori
specializzati (in Piemonte si ricordano ad es. il registro tumori infantili per età tra 0 e 14 anni-, ed il registro mesoteliomi).
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Circa l’epidemiologia descrittiva delle neoplasie, l’International Agency
for Research on Cancer (IARC) aggiorna dati mondiali su incidenza,
mortalità e prevalenza del cancro; utili risultano le Overall Evaluations of
Carcinogenicity to Humans, periodicamente aggiornate dalla IARC.
 Incidenza
L’incidenza dei tumori, ove non disponibile, è stimata estrapolando i dati
di incidenza estratti dal registro tumori in base a quelli di mortalità.76
In Italia ed in Piemonte l’incidenza delle neoplasie è in aumento.6
In Italia l’incidenza annuale6 nei maschi è di 389.8/100000, nelle femmine
di 309.5/100000.
Per le sedi più frequenti (polmone, mammella, colonretto), si ha un
sostanziale allineamento del Paese con il nord Europa ed il nord America.6
L’Italia rappresenta invece l’unico caso, tra i Paesi industrializzati, in cui
si osserva una notevole differenza interna dell’incidenza, che nel Nord è
circa doppia rispetto al Sud.6 Le ragioni di tale situazione possono
risiedere6 nel maggior consumo di tabacco e di alcol nel settentrione, nei
diversi profili riproduttivi (mammella), nelle differenti esposizioni ai
cancerogeni ambientali (negli ambienti di vita e di lavoro), in specificità
nell’alimentazione.
In Piemonte, il dato di incidenza annuale77 è di 488/100000 nei maschi e di
395/100000 nelle femmine. Essa appare superiore nelle aree urbane ed in
quelle nord orientali della regione; nel nord est particolarmente per il
cancro del polmone, mentre i tumori dell’apparato digerente e delle vie
aeree superiori sono maggiormente frequenti nelle zone alpine.77 Tra 0 e
14 anni77 l’incidenza è pari a 16.96/100000 (nel periodo 1967-1998);
questo dato è purtroppo uno dei più alti al mondo, specialmente tra 0 e 4
anni di età e rispetto soprattutto alle leucemie, ma pure alle neoplasie del
sistema nervoso centrale ed ai linfomi non Hodgkin. In infanzia, la
sopravvivenza77 a 15 anni dalla diagnosi è salita dal 27% per le diagnosi
del periodo 1970-1975 al 64% per quelle del periodo 1985-1989.
In Europa l’analisi delle incidenze, per sede di neoplasia è riportata nelle
seguenti tabelle:76
maschi
1°
2°
3°
Settentrionale
prostata
polmone
colon-retto
Occidentale
prostata
polmone
colon-retto
Meridionale
polmone
colon
vescica
Orientale
polmone
stomaco
colon-retto
femmine
1°
2°
3°
Settentrionale
mammella
colon-retto
polmone
Occidentale
mammella
colon-retto
ovaio
Meridionale
mammella
colon-retto
corpo utero
Orientale
mammella
colon-retto
cervice utero
48
È estremamente interessante analizzare la relazione che esiste tra
l’incidenza e l’attesa di vita.
Per sedi come quelle di polmone e prostata l’aumento dell’incidenza del
cancro è stato correlato all’allungamento della vita media.6,75 Per
mammella, colon-retto e melanoma, invece, l’aumento si è verificato
anche in fasce d’età più giovani.6
In generale, l’incidenza del cancro aumenta con l’età, benchè il tasso tra 0
e 4 anni risulti circa doppio di quello tra 5 e 14 anni. Tra 20 e 54 anni i
tassi nelle femmine sono superiori a quelli nei maschi, dopodichè il
rapporto si inverte.10
Pare opportuno ricordare il concetto di transizione demografica ed
epidemiologica;78 con esso si richiama il passaggio da società
caratterizzate da alte natalità e mortalità a società a basse natalità e
mortalità (fenomeno graficamente ben descritto dalla piramide delle età).
Circa la mortalità infantile (1° anno di vita), a Roma78 nell’anno 1870 essa
era pari a 170/1000; nell’anno 2002 si è attestata su 6/1000. In generale, la
mortalità infantile ha visto una diminuzione durante la rivoluzione
industriale e la successiva trasformazione agricola del XIX secolo (con
miglioramenti nell’igiene del parto, nell’alimentazione ed intake calorico,
nella razionalizzazione delle reti idriche e fognarie). Anche la natalità ha
denunciato una diminuzione, accentuatasi negli ultimi lustri.
L’effetto combinato dei trend di mortalità e natalità è stato studiato in
relazione alle dinamiche economiche; le Nazioni Unite hanno individuato
una forte correlazione tra l’attesa di vita ed il reddito: i Paesi con attesa di
vita inferiore a 55 anni hanno un reddito pro capite <2550 dollari U.S.A.78
Le attese di vita, in Italia, in diversi periodi storici, sono riportate in
tabella.78
periodo
impero romano
medioevo
‘700
‘800
inizio ‘900
1946
2002
vita media
in anni (ca.)
22
32
35
41
49
67
76.0 m.; 82.4 f79
Di conseguenza, si è verificato l’aumento della numerosità delle coorti più
anziane, suscettibili di ammalare di patologie ad etiologia multifattoriale
(cd. cronico-degenerative) come le neoplasie. Yet, the inexorable
accumulation of mutations during a lifetime ensures that some forms of
malignant disease will eventually develop in many if not most humans.16
01/0
49
Oltre al carico mutazionale cumulativo sono stati presi in considerazione
la diminuzione dei meccanismi riparativi del DNA, l’aumentato ruolo dei
fattori epigenetici, lo stato ormonale, e le dinamiche dei telomeri
(ripetizioni di TTAGGG legate a specifica proteina, poste alla fine dei
cromosomi).80
La relazione tra età ed incidenza è riportata nel seguente grafico.
Age- and sex-specific incidence and death rates from all cancers combined, United
States, 2000. Incidence rates from Surveillance, Epidemiology, and End Results
(SEER), SEER*Stat Database, 1973–2000. National Cancer Institute, 2003. Death
rates from National Center for Health Statistics, Centers for Disease Control and
Prevention, 2003.
Rappresentando l’età un così importante determinante del rischio, nei
confronti tra tassi risulta fondamentale l’operazione di standardizzazione.10
Molto importante è richiamare la relazione che si verifica tra la misura
dell’incidenza di un tumore e la fase di avvio di uno screening; tale
aspetto, che ha avuto notevole rilevanza ad esempio in alcuni Paesi
europei e negli U.S.A. con lo screening opportunistico mediante il PSA,75
sarà dettagliatamente descritto più avanti.
In definitiva, una diminuzione dell’incidenza di una neoplasia può
dipendere dall’effetto della prevenzione primaria e di quella secondaria,
mentre un suo aumento, oltre a quanto detto circa la transizione
01/0
50
epidemiologica,78 può essere legato alla fase di introduzione dello
screening od all’aumento dell’esposizione ai fattori di rischio.10
 Mortalità
Il cancro costituisce la seconda causa di morte nella popolazione umana,
subito dopo quella cardiovascolare; se tuttavia si considera la popolazione
di età compresa tra 45 e 64 anni, le neoplasie salgono al primo posto quali
causa di morte, rappresentandone il 40-50%.10,76
In Italia ed in Piemonte l’andamento della mortalità per neoplasie è
costante6 od è in flessione.77
Il tasso di mortalità per tumore in Italia nel 1996 si è attestato,6 nei maschi,
su 314/100000 e nelle femmine su 212/100000.
In Piemonte nel 2002 i tassi (standardizzati) sono stati,77 per i maschi,
252/100000 e per le femmine 172/100000.
In Piemonte, tra il 1980 ed il 2000, la mortalità per neoplasia è diminuita,
come si evince dalla seguente analisi.
Tassi standardizzati di mortalità per tumori maligni
nella regione Piemonte: trend 1980-2000
220
TS / 100000
210
200
190
180
170
160
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
1995-1997
1998-2000
periodi
Nello stesso periodo, in provincia di Cuneo, la mortalità per neoplasia ha
manifestato l’andamento riportato nel seguente grafico.
TS / 100000
Tassi standardizzati di mortalità per tumori maligni
nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
210
205
200
195
190
185
180
175
170
165
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
periodi
1995-1997
1998-2000
01/0
51
Se si considerano i tassi di mortalità per fascia d’età, i dati sono riportati
nel seguente istogramma.
Tassi di mortalità per tumori maligni
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per
fascia d'età
TG / 100000
2000
1500
1000
500
95
-9
9
an
ni
ni
ni
an
85
-8
9
ni
75
-
79
an
ni
69
65
-
59
55
-
an
ni
an
ni
an
45
-4
9
35
-3
9
an
ni
ni
an
25
-2
9
15
-
19
an
an
9
5-
0
an
ni
ni
0
fascia d'età
Circa il trend temporale della mortalità per tumore, negli Stati Uniti, nei
maschi è aumentata a partire dal 1930 ed ha cominciato a diminuire negli
anni ’90, per lo più a causa della diminuzione delle neoplasie correlate al
fumo, forse per gli effetti dell’introduzione dello screening con PSA, per
lo screening colorettale e per la costante diminuzione dell’incidenza di
carcinoma gastrico legata, nei Paesi industrializzati, al cambiamento delle
abitudini alimentari, all’igiene di preparazione e conservazione dei cibi ed
alla minore prevalenza delle infezioni da Helicobacter pylori.
Nelle femmine, la mortalità complessiva per neoplasia è leggermente
diminuita tra il 1930 ed i primi anni ’70, quindi è un po’ aumentata, per
stabilizzarsi; le ragioni risiedono nella diminuita mortalità per cancro dello
stomaco (v.), del colonretto e dell’utero, dovute allo screening, quindi
nell’aumento di quella per tumore del polmone. È osservazione recente
l’influsso dello screening sulla diminuzione della mortalità per tumore
della mammella.
Nelle seguenti figure sono riportati gli andamenti dei tassi di mortalità
delle principali neoplasie, nei maschi e nelle femmine, negli U.S.A. tra il
1930 ed il 2000.
01/0
52
01/0
Cancer Death Rates*, for Men, US, 1930-2000
100
Rate Per 100,000
Lung
80
60
Stomach
Prostate
40
Colon & rectum
20
Pancreas
2000
1995
1990
1985
1980
1975
1965
1960
1955
1950
1945
1940
1935
1930
1970
Liver
Leukemia
0
*Age-adjusted to the 2000 US standard population.
Source: US Mortality Public Use Data Tapes 1960-2000, US Mortality Volumes 1930-1959,
National Center for Health Statistics, Centers for Disease Control and Prevention, 2003.
Cancer Death Rates*, for Women, US,
1930-2000
Rate Per 100,000
100
80
60
Lung
40
Uterus
Breast
20
Colon & rectum
Stomach
Ovary
2000
1995
1990
1985
1980
1975
1970
1960
1955
1950
1945
1940
1935
1930
1965
Pancreas
0
*Age-adjusted to the 2000 US standard population.
Source: US Mortality Public Use Data Tapes 1960-2000, US Mortality Volumes 1930-1959,
National Center for Health Statistics, Centers for Disease Control and Prevention, 2003.
In Italia, grazie all’introduzione degli screening ed agli sviluppi della
terapia, nel periodo 1978-2001 si è verificata una riduzione del rischio di
morte per neoplasia pari al 30%.6
Nell’Unione Europea, il tasso di mortalità per tumore, standardizzato per
età, è aumentato fino al 1988; dal 1988 al 1997 è diminuito del 9%.76
Al contrario, esso continua a crescere nei Paesi dell’Europa Orientale.76
53
01/0
Anche in Europa, nelle femmine è aumentata del 15% l’incidenza di
tumore del polmone, in relazione alla crescita dell’abitudine al fumo da
parte delle donne, registrata negli ultimi decennî.
La quota percentuale di diminuzione della mortalità, secondo l’UICC76 è
rappresentata nelle seguenti tabelle:
maschi
polmone
colon-retto
stomaco
vescica
esofago, bocca, faringe
11%
11%
30%
12%
5%
femmine
mammella
colon-retto
cervice uterina
stomaco
7%
21%
26%
31%
Rispetto ai tre ambiti di neoplasia interessati dagli screening più oltre
descritti in questa trattazione, si può aggiungere quanto segue.
Per il carcinoma della mammella, nel mondo sono stimati (anno 2002)
1151298 nuovi casi/anno81 e 410712 morti/anno,81 con una prevalenza di
oltre 4400000 donne.81 In Europa (anno 2004) si osservano 371000 nuovi
casi/anno81 e 129900 morti/anno.81
Circa il carcinoma della cervice uterina, nel mondo si stimano 500000
nuovi casi/anno38,82 e 239000 morti/anno,38 l’80% dei quali è nei Paesi in
via di sviluppo (ove rappresenta la prima causa di morte oncologica nelle
femmine).38
Per il cancro del colonretto, nel mondo vengono stimati (anno 2003)
945000 nuovi casi/anno65 e 492000 morti/anno.65
Evidentemente, anche per la mortalità valgono le considerazioni, riferite
trattando dell’incidenza, sull’influenza dell’attesa di vita; a tal riguardo si
veda il grafico riportato in quella sede. È utile richiamare le ragioni che
giustificano la necessità di standardizzare i tassi.10
In definitiva, una diminuzione della mortalità di una neoplasia può
dipendere dall’effetto della prevenzione primaria, della prevenzione
secondaria e del miglioramento della terapia.
 Rischio
La probabilità di ammalare di cancro nel corso della vita, secondo le stime
italiane6 è, per i maschi 1/3 e per le femmine 1/4.
Un calcolo analogo, che individua anche le probabilità sulle diverse sedi,
prodotto per la popolazione degli U.S.A., è riportato nella seguente tabella.
54
Probabilità di sviluppare cancro, per intervalli d’età e sesso; periodo 1998-2000
sede
sesso
0-39 anni 40–59 anni 60–79 anni vita
(%)
(%)
(%)
(%)
tutte le sedi*
maschi
1/73
1/12
1/3
1/2
femmine
1/52
1/11
1/4
1/3
vescica
maschi
1/4603
1/250
1/42
1/29
femmine
1/9557
1/831
1/157
1/91
mammella
femmine
1/229
1/24
1/13
1/7
colon e retto
maschi
1/1678
1/116
1/25
1/17
femmine
1/1651
1/150
1/33
1/18
leucemia
maschi
1/649
1/495
1/122
1/70
femmine
1/789
1/706
1/219
1/100
polmone e bronchi
maschi
1/3439
1/98
1/17
1/13
femmine
1/3046
1/126
1/25
1/17
melanoma della cute
maschi
1/809
1/205
1/103
1/55
femmine
1/532
1/255
1/197
1/82
linfoma non Hodgkin
maschi
1/739
1/224
1/79
1/48
femmine
1/1258
1/332
1/102
1/57
prostata
maschi
1/12833
1/44
1/7
1/6
cervice uterina
femmine
1/632
1/322
1/368
1/128
corpo uterino
femmine
1/1832
1/144
1/64
1/38
*Esclusi gli epiteliomi basocellulari e squamocellulari cutanei e quelli in situ (a
parte quelli vescicali in situ). From DEVCAN Software, Probability of Developing
or Dying of Cancer; version 5.1. Statistical Research and Application Branch,
National Cancer Institute, 2003.
Si precisa che il rischio è stimato nell’universo costituito dalla popolazione
generale, senza tenere conto di familiarità o di fattori di rischio (es. la
probabilità 1/13 per l’insorgenza del tumore del polmone sottostima il
rischio nei fumatori e sovrastima quello nei non fumatori).
 Anni di vita persi (YPLL)
Le neoplasie rappresentano la prima causa di anni di vita persi;6 nelle
elaborazioni che seguiranno, relative alla provincia di Cuneo, si
considerano gli anni di vita persi rispetto all’età di 75 anni.
Gli anni di vita persi per neoplasia nella provincia di Cuneo, nel periodo
1980-2000 sono riportati nel seguente istogramma.
01/0
55
YPPL a 75 anni per tumori maligni
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione
per fascia d'età
50000
YPPL
40000
30000
20000
10000
i
an
ni
95
-9
9
an
n
an
ni
9
-7
9
-8
85
75
i
an
ni
an
n
9
-6
9
-5
55
65
i
an
ni
an
n
9
-3
-4
9
45
35
i
25
-2
9
an
ni
i
15
-1
9
an
n
an
n
an
0
59
ni
0
fascia d'età
 Frequenze
Annualmente, in Europa76 si hanno 3 milioni di nuovi casi di cancro ed in
Italia6 si osservano 270000 casi incidenti.
Nel nostro Paese,6 al primo posto nei maschi è la sede polmonare, con
29000 casi/anno, nelle femmine la mammella, con 31000 casi/anno; la
mortalità globale corrisponde a 150000 decessi/anno.
Negli Stati Uniti, secondo l’American Cancer Society10 la percentuale,
rispetto alla sede della neoplasia, è riportata nella seguente tabella, che si
riferisce all’anno 2003.
nuovi casi %
sede
maschi femmine
mammella
32
colonretto
11
11
linfomi non Hodgkin
4
4
leucemie
3
polmone e bronco
14
12
melanoma cutaneo
4
3
bocca
3
ovaio
4
pancreas
2
2
prostata
33
tiroide
3
rene
3
vescica
6
2
utero (corpo)
6
excluding basal and squamous cell skin cancers and carcinoma in situ
01/0
56
 Sopravvivenza
La sopravvivenza misura l’efficacia e la diffusione dello screening e del
trattamento.
Negli U.S.A. la prevalenza dei sopravvissuti al cancro tra il 1971 ed il
2004 è triplicata; tale dato aumenta del 2% ogni anno.83 In tale Paese, la
sopravvivenza a cinque anni (esclusi laringe e corpo utero) tra le diagnosi
poste nel 1992 e quelle del 1999 è aumentata del 63% (con un massimo
del 98% per la prostata).10 In parte, tuttavia, concorrono a tale andamento
il lead time bias (v.) e l’evidenziazione allo screening di neoplasie che non
si sarebbero mai manifestate clinicamente.
In Italia si verifica un allineamento con l’UE;6 tuttavia, la sopravvivenza
nel nord è maggiore rispetto a quella nel sud, e ciò riguarda quei tumori
che rispondono alle terapie.6
La sopravvivenza a lungo termine (a 5 e a 10 anni dalla diagnosi), in Italia,
negli ultimi due decennî del XX secolo è passata dal 30-35% al 40-45%.6
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi, a Torino, corrisponde,77 nei
maschi al 39% e nelle femmine al 56%, a causa del peso della migliore
prognosi del cancro della mammella rispetto a quello del polmone.
 Prevalenza
I trend osservati circa l’incidenza (aumento) e la mortalità (diminuzione),
con l’allargamento della “forbice” tra i due indicatori, nonchè l’aumento
della sopravvivenza, fanno sì che aumenti la prevalenza delle neoplasie.
I pazienti/soggetti aventi od aventi avuto una storia di cancro sono, in
Italia,6 1400000; vi sono più casi prevalenti tra le femmine, per le
caratteristiche di sopravvivenza del cancro della mammella e per la
maggiore longevità generale, che tra i maschi.10
I casi prevalenti europei sono circa 6 milioni.76
 Ricoveri
In conclusione, alla luce delle dinamiche epidemiologiche che abbiamo
descritto, vale la pena di ricordare il fatto che i ricoveri per tumore in
Piemonte77 rappresentano il 14% sul totale dei ricoveri, il 16% dei giorni
di degenza totali ed il 17% dei pesi DRG.
Le emigrazioni per cancro dalla regione costituiscono il 7.8% ed
avvengono specialmente verso la Lombardia; al contrario, le immigrazioni
per cancro costituiscono il 6%.77
Il 50% dei ricoveri chirurgici per neoplasia si verifica in 12 dei 110
ospedali della regione.77
 Sistematica della mortalità
Analisi condotta a cura della s.s. Epidemiologia e Unità Valutazione
Organizzazione Screening, Dipartimento Screening Oncologico n. 7;
01/0
57
fonte: BDM Regione Piemonte. Sono riportati i rapporti standardizzati di
mortalità (SMR) ed i relativi limiti di confidenza per una probabilità
fiduciale p=0.05 rispetto ai tassi di mortalità per neoplasia rilevati nella
provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000.
Stomaco. Anche in Piemonte si è osservata la costante diminuzione77
dell’incidenza; è costante la diminuzione77 della mortalità.
Tassi standardizzati di mortalità per tumore
dello stomaco nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
30
TS / 100000
25
20
15
10
5
0
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
1995-1997
1998-2000
periodi
PERIODO
SMR
l.c.l.
u.c.l.
1980-1983
118,41
110,40
126,85
1984-1987
123,66
115,28
132,49
1988-1991
116,31
107,74
125,38
1992-1994
112,81
102,69
123,67
1995-1997
115,89
105,24
127,32
1998-2000
119,48
107,83
132,04
an
ni
15
-1
9
an
ni
25
-2
9
an
ni
35
-3
9
an
ni
45
-4
9
an
ni
55
-5
9
an
ni
65
-6
9
an
ni
75
-7
9
an
ni
85
-8
9
an
ni
95
-9
9
an
ni
59
an
ni
300
250
200
150
100
50
0
0
TG / 100000
Tassi di mortalità per tumore dello stomaco
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione
per fascia d'età
fascia d'età
01/0
58
YPPL a 75 anni per tumore dello stomaco
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per
fascia d'età
YPPL
5000
4000
3000
2000
ni
an
ni
ni
95
-9
9
an
89
85
-
75
-7
9
an
ni
ni
an
69
65
-
9
55
-5
45
-
49
an
an
ni
ni
ni
an
35
-3
29
25
-
9
an
ni
ni
an
an
9
15
-1
9
5-
0
an
ni
1000
0
fascia d'età
Colon-retto. In Piemonte si è osservato un aumento77 dell’incidenza, con
un ruolo delle mutate abitudini alimentari e dello screening ed una
diminuzione77 della mortalità; è in aumento77 la sopravvivenza.
Tassi standardizzati di mortalità per tumori
del colon e del retto/giunzione retto-sigma
nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
20,0
TS / 100000
19,5
19,0
18,5
18,0
17,5
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
1995-1997
1998-2000
periodi
PERIODO
SMR
l.c.l.
u.c.l.
1980-1983
1984-1987
88,60
89,74
81,64
82,93
95,98
96,96
1988-1991
83,50
77,18
90,21
1992-1994
89,20
81,74
97,16
1995-1997
1998-2000
96,03
95,31
88,25
87,65
104,31
103,47
01/0
59
Tassi di mortalità per tumori del colon e del retto/giunzione
retto-sigma nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia di età
TG / 100000
350
300
250
200
150
100
50
0
0
ni
an
9
5-
ni
an
9
-1
15
ni
an
9
-2
25
ni
an
9
-3
35
ni
an
9
-4
45
ni
an
9
-5
55
ni
an
9
-6
65
ni
an
9
-7
75
ni
an
ni
an
9
-8
85
9
-9
95
ni
an
fascia d'età
YPPL
YPPL a 75 anni per tumori del colon e del retto/giunzione
retto-sigma nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
4000
3500
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
0
ni
an
9
5-
ni
an
9
-1
15
ni
an
9
-2
25
ni
an
9
-3
35
ni
an
9
-4
45
ni
an
9
-5
55
ni
an
9
-6
65
ni
an
9
-7
75
ni
an
9
-8
85
ni
an
9
-9
95
ni
an
fascia d'età
Polmone. In Piemonte si è vista una lieve diminuzione77 dell’incidenza ed
una diminuzione77 della mortalità.
Tassi standardizzati di mortalità per tumore
di polmone, trachea, bronchi nella provincia di Cuneo:
trend 1980-2000
40
35
TS / 100000
30
25
20
15
10
5
0
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
periodi
1995-1997
1998-2000
01/0
60
PERIODO
1980-1983
SMR
67,60
l.c.l.
62,96
u.c.l.
72,50
1984-1987
75,32
70,66
80,21
1988-1991
76,43
71,93
81,14
1992-1994
83,15
77,81
88,76
1995-1997
1998-2000
85,54
91,70
80,14
86,07
91,20
97,61
Tassi di mortalità per tumore di polmone, trachea, bronchi
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
TG / 100000
250
200
150
100
50
0
0
an
ni
5-
9
ni
an
15
19
an
ni
9
-2
25
an
ni
35
39
ni
an
45
49
an
ni
9
an
ni
-5
55
65
69
an
ni
75
79
an
ni
9
-8
85
an
ni
95
99
ni
an
fascia d'età
YPPL a 75 anni per tumore di polmone, trachea, bronchi
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
12000
YPPL
10000
8000
6000
4000
2000
0
0
n
an
i
9
5-
ni
an
15
19
an
ni
25
29
an
ni
35
39
an
ni
45
49
an
ni
55
59
an
ni
-6
65
fascia d'età
9
n
an
i
75
79
an
ni
85
89
an
ni
95
99
an
ni
01/0
61
Mammella. In Piemonte si è verificato un aumento77 dell’incidenza, in
parte verosimilmente legato all’avvio dello screening e della
sopravvivenza; è in diminuzione77 la mortalità.
Tassi standardizzati di mortalità per tumore
della mammella (in femmine) nella provincia di Cuneo:
trend 1980-2000
31
TS / 100000
30
29
28
27
26
25
24
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
1995-1997
1998-2000
periodi
PERIODO
SMR
l.c.l.
u.c.l.
1980-1983
1984-1987
85,92
90,10
77,69
82,06
94,79
98,72
1988-1991
91,60
83,61
100,15
1992-1994
97,39
88,07
107,43
1995-1997
88,04
79,27
97,52
1998-2000
94,57
85,18
104,70
fascia d'età
an
ni
95
-9
9
an
ni
an
ni
85
-8
9
75
-7
9
ni
an
ni
an
9
65
-6
9
55
-5
ni
45
-4
9
an
ni
ni
35
-3
9
an
an
ni
an
9
25
-2
an
ni
15
-1
9
59
an
ni
300
250
200
150
100
50
0
0
TG / 100000
Tassi di mortalità per tumore della
mammella(femmine)
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
01/0
62
01/0
95-99 anni
100 anni e più
90-94 anni
85-89 anni
80-84 anni
75-79 anni
70-74 anni
65-69 anni
60-64 anni
55-59 anni
50-54 anni
45-49 anni
40-44 anni
35-39 anni
30-34 anni
25-29 anni
20-24 anni
15-19 anni
5-9 anni
10-14 anni
0 anni
5000
4000
3000
2000
1000
0
1-4 anni
YPPL
YPPL a 75 anni per tumore della mammella (in femmine) nella
provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia
d'età
fascia d'età
Utero. In Piemonte è diminuita77,84 l’incidenza del cancro della cervice, già
a partire dagli anni ’80, probabilmente a causa dello screening
spontaneo;84 costante77 l’incidenza del cancro del corpo; è diminuita77 la
mortalità.
Tassi standardizzati di mortalità per tumore
della cervice uterina nella provincia di Cuneo:
trend 1980-2000
2,5
TS / 100000
2,0
1,5
1,0
0,5
0,0
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
1995-1997
1998-2000
periodi
PERIODO
SMR
l.c.l.
u.c.l.
1980-1983
103,25
68,54
149,33
1984-1987
1988-1991
105,45
94,68
66,76
62,85
158,35
136,94
1992-1994
120,05
76,00
180,27
1995-1997
131,45
86,53
191,39
1998-2000
148,58
99,40
213,53
63
Tassi di mortalità per tumore della cervice uterina
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
TG / 100000
12
10
8
6
4
2
i
an
n
ni
ni
an
an
99
89
79
75
-
95
-
9
65
-6
85
-
i
an
ni
ni
55
-
45
-
59
49
an
an
n
ni
i
39
35
-
29
25
-
an
an
n
ni
i
an
an
n
19
5-
15
-
0
9
an
ni
0
fascia d'età
YPPL
YPPL a 75 anni per tumore della cervice uterina
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
400
350
300
250
200
150
100
50
0
0
an
ni
9
5-
ni
an
9
-1
15
ni
an
9
-2
25
an
ni
9
-3
35
an
ni
4
49
5-
an
ni
9
-5
55
ni
an
9
-6
65
an
ni
9
-7
75
an
ni
85
89
an
ni
9
-9
95
ni
an
fascia d'età
Prostata. Negli ultimi venti anni, in Piemonte si è verificato un aumento77
(circa il raddoppio) dell’incidenza (v. screening opportunistico) e la
diminuzione della mortalità.
Tassi standardizzati di mortalità per tumore della prostata
nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
25
TS / 100000
20
15
10
5
0
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
periodi
1995-1997
1998-2000
01/0
64
PERIODO
SMR
l.c.l.
u.c.l.
1980-1983
1984-1987
96,37
101,91
85,39
91,04
108,37
113,71
1988-1991
100,73
90,10
112,27
1992-1994
93,02
81,89
105,24
1995-1997
1998-2000
80,90
99,70
70,72
87,99
92,13
112,53
Tassi di mortalità per tumore della prostata
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
T G/1 0 0 0 0 0 ---
600,00
500,00
400,00
300,00
200,00
100,00
an
ni
95
-99
an
ni
an
ni
85
-89
an
ni
75
-79
an
ni
65
-69
an
ni
55
-59
an
ni
45
-49
35
-39
an
ni
an
ni
25
-29
an
ni
15
-19
5-9
0a
nn
i
0,00
fascia d'età
YPPL
YPPL a 75 anni per tumore della prostata
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
1600
1400
1200
1000
800
600
400
200
0
0
an
ni
9
5-
an
ni
9
-1
15
an
ni
25
29
an
ni
9
-3
35
an
ni
45
49
an
ni
55
59
an
ni
65
fascia d'età
69
an
ni
75
79
an
ni
85
89
an
ni
95
99
an
ni
01/0
65
Linfoma di Hodgkin. In Piemonte si è verificata una diminuzione77
dell’incidenza; forte aumento77 della sopravvivenza.
Tassi standardizzati di mortalità per linfoma di Hodgkin
nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
1,6
1,4
TS / 100000
1,2
1,0
0,8
0,6
0,4
0,2
0,0
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
1995-1997
1998-2000
periodi
PERIODO
SMR
l.c.l.
u.c.l.
1980-1983
95,00
68,41
128,48
1984-1987
1988-1991
108,29
90,65
75,36
56,04
150,71
138,68
1992-1994
101,13
56,49
166,96
1995-1997
105,48
58,92
174,13
1998-2000
81,28
38,85
149,65
Tassi di mortalità per linfoma di Hodgkin
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
TG / 100000
6
5
4
3
2
1
0
0
ni
an
5-
9
n
an
i
-1
15
9
n
an
i
9
-2
25
ni
an
-3
35
9
n
an
i
-4
45
9
n
an
i
9
-5
55
ni
an
-6
65
fascia d'età
9
n
an
i
-7
75
9
n
an
i
9
-8
85
ni
an
-9
95
9
n
an
i
01/0
66
YPPL
YPPL a 75 anni per linfoma di Hodgkin
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
350
300
250
200
150
100
50
0
0
n
an
i
5-
9
ni
an
-1
15
9
n
an
i
9
-2
25
ni
an
-3
35
9
n
an
i
-4
45
9
n
an
i
-5
55
9
ni
an
-6
65
9
n
an
i
9
-7
75
ni
an
-8
85
9
n
an
i
-9
95
9
n
an
i
fascia d'età
Linfomi non-Hodgkin. In Piemonte sono aumentate77 tanto l’incidenza che
la sopravvivenza. Esiste una consistente misclassificazione, nelle schede di
morte, tra i linfomi Hodgkin e non Hodgkin; ciò determina la presenza di
limiti informativi circa la mortalità.
Tassi standardizzati di mortalità per linfomi non Hodgkin
nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
6
TS / 100000
5
4
3
2
1
0
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
1995-1997
1998-2000
periodi
PERIODO
1980-1983
SMR
86,99
l.c.l.
68,03
u.c.l.
109,60
1984-1987
91,14
74,13
110,90
1988-1991
80,94
67,29
96,53
1992-1994
1995-1997
87,11
81,23
71,89
67,15
104,60
97,39
1998-2000
79,16
66,06
94,09
01/0
67
Tassi di mortalità per linfomi non Hodgkin
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
TG / 100000
35
30
25
20
15
10
5
0
0
n
an
i
5-
9
ni
an
-1
15
9
n
an
i
-2
25
9
n
an
i
-3
35
9
n
an
i
-4
45
9
ni
an
-5
55
9
n
an
i
-6
65
9
ni
an
-7
75
9
n
an
i
-8
85
9
ni
an
-9
95
9
n
an
i
fascia d'età
YPPL
YPPL a 75 anni per linfomi non Hodgkin
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
1000
900
800
700
600
500
400
300
200
100
0
0
an
ni
5-
9
ni
an
15
-1
9
an
ni
25
29
n
an
i
9
-3
35
an
ni
45
49
an
ni
-5
55
9
an
ni
65
-6
9
an
ni
75
79
n
an
i
85
-8
9
an
ni
95
99
an
ni
fascia d'età
Leucemie. Circa la leucemia linfatica acuta, spec. bambini, e la cronica,
adulti, in Piemonte si è avuto un aumento77 dell’incidenza, con una
buona77 sopravvivenza (superiore al 60% a 5 anni); per quella mieloide
l’incidenza è stabile77 e la sopravvivenza è peggiore34 (20% a 5 anni).
Tassi standardizzati di mortalità per leucemie (specificate e
non) nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
7
TS / 100000
6
5
4
3
2
1
0
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
periodi
1995-1997
1998-2000
01/0
68
PERIODO
1980-1983
SMR
85,43
l.c.l.
73,15
u.c.l.
99,18
1984-1987
94,85
81,65
109,58
1988-1991
86,64
74,42
100,29
1992-1994
91,10
77,03
106,99
1995-1997
1998-2000
80,38
97,35
67,36
82,69
95,17
113,86
70,00
60,00
50,00
40,00
30,00
20,00
10,00
0,00
0a
nn
i
5-9
an
ni
15
-19
an
ni
25
-29
an
ni
35
-39
an
ni
45
-49
an
ni
55
-59
an
ni
65
-69
an
ni
75
-79
an
ni
85
-89
an
ni
95
-99
an
ni
TG/100000--
Tassi di mortalità per leucemie (specificate e non)
nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
fascia d'età
YPPL a 75 anni per leucemie (specificate e non)
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
1200
YPPL
1000
800
600
400
200
0
0
ni
an
9
5-
ni
an
9
-1
15
an
ni
9
-2
25
an
ni
9
-3
35
an
ni
-4
45
9
an
ni
9
-5
55
an
ni
-6
65
fascia d'età
9
an
ni
-7
75
9
an
ni
-8
85
9
an
ni
-9
95
9
an
ni
01/0
69
Melanoma. In Piemonte si è osservato un forte aumento77 dell’incidenza;
stabile la mortalità.
Tassi standardizzati di mortalità per melanoma
nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
2,5
TS / 100000
2,0
1,5
1,0
0,5
0,0
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
1995-1997
1998-2000
periodi
PERIODO
SMR
l.c.l.
u.c.l.
1980-1983
75,41
51,86
105,97
1984-1987
1988-1991
87,70
112,72
63,16
87,48
118,62
142,96
1992-1994
84,40
59,06
116,92
1995-1997
104,01
76,09
138,81
1998-2000
93,83
69,13
124,48
TG / 100000
Tassi di mortalità per melanoma
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
16
14
12
10
8
6
4
2
0
0
n
an
i
9
5-
an
ni
1
19
5-
an
ni
2
29
5-
an
ni
3
39
5-
an
ni
4
49
5-
ni
an
5
59
5-
an
ni
6
69
5-
fascia d'età
an
ni
7
79
5-
an
ni
8
89
5-
an
ni
9
99
5-
an
ni
01/0
70
YPPL a 75 anni per melanoma
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
600
YPPL
500
400
300
200
100
0
0
ni
an
5-
9
n
an
i
-1
15
9
n
an
i
9
-2
25
ni
an
-3
35
9
n
an
i
-4
45
9
n
an
i
9
-5
55
ni
an
-6
65
9
n
an
i
-7
75
9
n
an
i
9
-8
85
ni
an
-9
95
9
n
an
i
fascia d'età
Vescica.
Tassi standardizzati di mortalità per tumore della vescica
nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
8
7
TS / 100000
6
5
4
3
2
1
0
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
1995-1997
1998-2000
periodi
PERIODO
1980-1983
SMR
86,76
l.c.l.
75,58
u.c.l.
99,13
1984-1987
84,18
73,74
95,68
1988-1991
85,89
75,43
97,39
1992-1994
89,56
77,61
102,83
1995-1997
1998-2000
105,44
94,62
91,82
81,27
120,51
109,53
01/0
71
Tassi di mortalità per tumore della vescica
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
TG / 100000
120
100
80
60
40
20
0
0
an
ni
9
5-
ni
an
15
-1
9
ni
an
25
-2
9
n
an
i
35
-3
9
ni
an
45
-4
9
n
an
i
55
-5
9
n
an
i
65
-6
9
an
ni
75
-7
9
an
ni
85
-8
9
an
ni
95
-9
9
an
ni
fascia d'età
YPPL
YPPL a 75 anni per tumore della vescica
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
1400
1200
1000
800
600
400
200
0
0
n
an
i
9
5-
an
ni
-1
15
9
an
ni
-2
25
9
n
an
i
3
39
5-
an
ni
-4
45
9
an
ni
5
5
5-
9
an
ni
6
69
5-
an
ni
-7
75
9
n
an
i
8
8
5-
9
an
ni
9
-9
95
an
ni
fascia d'età
Pleura.
Tassi standardizzati di mortalità per tumore della pleura
nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000
2,0
1,8
TS / 100000
1,6
1,4
1,2
1,0
0,8
0,6
0,4
0,2
0,0
1980-1983
1984-1987
1988-1991
1992-1994
periodi
1995-1997
1998-2000
01/0
72
PERIODO
1980-1983
SMR
87,38
l.c.l.
63,44
u.c.l.
117,37
1984-1987
65,11
44,77
91,49
1988-1991
50,48
34,02
72,11
1992-1994
71,34
51,59
96,14
1995-1997
1998-2000
53,39
65,68
35,99
46,44
76,27
90,21
TG / 100000
Tassi di mortalità per tumore della pleura
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
14
12
10
8
6
4
2
0
0
an
ni
9
5-
ni
an
9
-1
15
ni
an
25
29
an
ni
35
39
an
ni
45
49
an
ni
9
-5
55
ni
an
9
-6
65
an
ni
75
79
an
ni
85
89
an
ni
95
99
ni
an
fascia d'età
i
i
an
n
an
n
89
99
95
-
75
-7
9
85
-
i
fascia d'età
an
ni
i
an
n
an
n
59
69
65
-
55
-
i
45
-4
9
an
n
39
35
-
an
ni
i
i
an
n
29
25
-
15
-1
9
an
n
an
n
9
5-
an
n
i
i
450
400
350
300
250
200
150
100
50
0
0
YPPL
YPPL a 75 anni per tumore della pleura
nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000:
distribuzione per fascia d'età
01/0
73
Prevenzione Primaria
Come descritto nella sezione relativa all’etiopatogenesi, il cancro è una
patologia multifattoriale; si stima che tre quarti delle neoplasie dipendano
da influenze ambientali6 e che i determinanti di rischio modificabili siano
alla base del 40% dei tumori.76
La prevenzione primaria consiste nella riduzione dell’esposizione ai risk
factors;85,86,87 la sua importanza è apparentemente minimizzata dalla
difficoltà di quantificarne l’impatto6 a causa del concorrere di
confondimenti, delle tempistiche necessarie e, spesso, della mancanza di
disponibilità degli strumenti che forniscono dati precisi di incidenza dei
tumori (v. basi di dati).
Le priorità evidenziate da parte del Ministero6 attraverso specifiche lineeguida, vengono di seguito elencate:
1.
2.
3.
4.
5.
azioni volte a ridurre l’abitudine al fumo;
interventi sui temi di alimentazione ed alcool; si osserva come
l’incidenza del cancro in popolazioni migrate tra Paesi con
diversi stili alimentari tenda a portarsi sui valori proprî di quelli
di immigrazione.88,89 Esiste un buon livello di evidenza
preventiva per una dieta ricca di frutta e verdura e per un
consumo di alcolici solo in moderata quantità.77 Il livello di
evidenza è discreto rispetto ad una limitazione dei grassi al di
sotto del 30% delle calorie totali (con riferimento ai grassi
animali, forse solo per alcune componenti quali gli ormoni nel
latte; non a quelli vegetali),88,90 una riduzione dei grassi saturi al
di sotto del 10% delle calorie totali, una dieta povera di carne
rossa (vantaggiosa anche sul piano della prevenzione
cardiovascolare; tuttavia il consumo di grasso è anche correlato al
prodotto nazionale lordo, che a sua volta si correla ad importanti
fattori di rischio per diversi cancri, come i profili riproduttivi e
l’obesità; in tal modo si introduce un possibile ruolo del
confondimento),88 un mantenimento del peso forma, una
diminuzione dell’assunzione dei nitriti in carni affumicate, dei
cibi sotto sale, ecc.;77
prevenzione delle malattie infettive (attraverso l’adozione di stili
di vita favorevoli; vaccinazioni, es. contro l’HBV che riduce
l’incidenza del carcinoma epatocellulare; vedasi circa la
vaccinazione contro l’HPV91-93);
intervento sulle esposizioni occupazionali;
programma nazionale Radon;
01/0
74
6.
7.
8.
prevenzione delle radiazioni ionizzanti iatrogene;
prevenzione dall’esposizione all’UV (opportuni stili di vita,
trattamenti estetici, ecc.);
attenzione
all’esposizione
ai
cancerogeni
ambientali
(inquinamento veicolare, ecc.).
Fumo e carcinoma broncogeno
Tobacco use is the leading preventable cause of mortality worldwide.94 Il
fumo di sigaretta è alla base dell’aumento del rischio per almeno otto sedi
di cancro: polmone, laringe, orofaringe, esofago, stomaco, pancreas, rene e
vescica, nonchè causa probabile di leucemie acute, tumori della cervice
uterina, di colonretto, fegato e delle forme più aggressive prostatiche.94
I principali fattori di rischio per il carcinoma broncogeno31,95-7 sono in
primo luogo (è attribuibile ad esso l’80% dei casi)96 il fumo di sigaretta
(Guide to Community Preventive Services: Sistematic Reviews and
Evidence-Based Recommendations),98 l’esposizione professionale ad
asbesto, arsenico, cromati (cromo esavalente), nickel, cadmio, etere
clorometile, formaldeide, terpeni, biossido di silicio, emissioni di forni a
carbone, emissioni diesel, ecc., le radiazioni, l’inquinamento atmosferico
(con ruolo meno chiaro: è stimato che ad esso sia dovuto l’1-2% del totale
dei casi96 a causa della grande preponderanza del ruolo del fumo), il gas
222
radon (vedi rapporto di mortalità proporzionale) e le dinamiche che
conducono all’insorgenza degli scar carcinomas (sarcoidosi, sclerodermia,
fibrosi polmonare interstiziale).
I principali, tra i circa 40 cancerogeni presenti nel fumo di tabacco, sono96
il benzo(a)pirene, il dibenz(a)antracene, alcune nitrosamine specifiche del
tabacco (si noti come il fumo di sigaro presenti in concentrazione
superiore i nitrati precursori), il nickel, il cadmio, il 210Polonio, l’idrazina,
il residuo e la fase gassosa.
Il rischio assoluto (per cancro broncogeno) da fumo, entro 75 anni d’età,95
è di seguito rappresentato:
non fumatori
ex fumatori
fumatori
< 5 sigarette/die
> 25 sigarette/die
stop entro 30 anni
stop entro 60 anni
maschi
0.6%
6.5%
13.8%
1.8%
20.1%
3.4%
10.2%
femmine
0.4%
1.4%
2.6%
0.5%
6.4%
1.1%
1.9%
L’inizio del tabagismo prima dei 15 anni di età raddoppia il rischio.96
01/0
75
01/0
Il fumo passivo (environmental tobacco smoke) aumenta del 20% il
rischio di cancro broncopolmonare rispetto alla condizione di non
fumatore,31 sostenendo il 25% dei cancri broncogeni dei non fumatori.96
A seguire, si riporta la carta del rischio assoluto (per cancro broncogeno)
da fumo, nei 10 anni successivi e nei maschi:95
Età (anni)
40-44
non fumatori
MB
ex
30 aa
MB
fumatori, 40 aa
stop a:
50 aa
60 aa
fumatori
MB
MB (molto basso): <0.5%
L (lieve): 1.5-2.9%
A (alto): 6.0-9.9%
45-49
MB
MB
MB
50-54
MB
MB
B
B
55-59
MB
B
B
L
60-64
MB
B
B
M
L
M
M
B (basso): 0.5-1.4%
M (moderato): 3.0-5.9%
MA (molto alto): >=10.0%
65-69
MB
L
L
M
A
A
70-74
B
M
M
A
MA
MA
Circa le femmine, si veda la seguente tabella:95
Età (anni)
40-44
non fumatrici
MB
ex
30 aa
MB
fumatr., 40 aa
stop a:
50 aa
60 aa
fumatrici
MB
MB (molto basso): <0.4%
L (lieve): 0.7-1.1%
A (alto): 1.4-1.8%
45-49
MB
MB
MB
MB
50-54
MB
MB
MB
55-59
MB
MB
MB
B
60-64
MB
B
B
L
B
B
L
B (basso): 0.4-0.6%
M (moderato): 1.2-1.3%
MA (molto alto): >=1.9%
65-69
MB
L
B
L
A
A
70-74
B
L
L
A
MA
MA
Il rischio relativo (per cancro broncogeno) da fumo è:95
non fumatori
ex fumatori
fumatori
maschi
1
11.2
23.7
femmine
1
2.7
5.1
Il rischio relativo da fumo negli ex fumatori, per età di cessazione, è95
30 anni
40 anni
50 anni
60 anni
maschi
4.9
5.6
8.9
12.7
femmine
1.8
2.1
2.4
2.7
76
L’effetto dell’interruzione del fumo a diverse età sul rischio cumulativo
percentuale di decesso per cancro del polmone è descritto nella seguente
figura.99
EFFECTS OF STOPPING SMOKING AT VARIOUS
AGES ON THE CUMULATIVE RISK (%) OF DEATH
FROM LUNG CANCER UP TO AGE 75
16
CUMULATIVE RISK (%)
14
12
NON-SMOKERS
10
STOPPED AGE 30
STOPPED AGE 40
8
SPOPPED AGE 50
STOPPED AGE 60
6
CONTINUING SMOKERS
4
2
0
45
50
55
60
65
70
75
AGE
Il rischio relativo (per cancro broncogeno) da fumo, per numero di
sigarette fumate/die corrisponde a:95
n.
<5
5-14
15-24
>25
maschi
3.0
13.9
26.8
35.9
femmine
0.7
4.2
5.5
12.0
Secondo i dati del Cancer Prevention Study II trial, il fumo di un pacchetto
di sigarette al dì per 30 anni aumenta la mortalità per cancro broncogeno
di 20-60 volte nei maschi e di 14-20 volte nelle femmine; il rischio
raddoppia per ulteriori dieci anni di esposizione (40 anni).96
In effetti, rispetto al rischio di cancro broncopolmonare riveste un ruolo
maggiore la durata dell’esposizione rispetto all’intensità (numero di
sigarette fumate) della stessa.96 Al triplicarsi del numero di sigarette,
infatti, corrisponde il triplicarsi del rischio, mentre al triplicarsi del tempo
di esposizione fa seguito il centuplicarsi del rischio.96
Circa il fumo di sigaro, il rischio relativo per tumore del polmone è 5.1,
con intervallo di confidenza di 4.0-6.6.94
01/0
77
Prevenzione Secondaria
Screening
The best treatment of cancer is its prevention (F.L. Meyskens Jr).24
The goal of cancer screening is a very practical one –to detect cancer at
an early stage when it is treatable and curable. 98
Gli screening (…) possono individuare e selezionare, tra persone
apparentemente sane, quante hanno probabilmente una malattia, da
quelle che probabilmente non l’hanno.99,100
Lo screening è solo un esame iniziale e i partecipanti, se risultati positivi
al test, necessitano di un secondo esame, diagnostico.99,101
L’obiettivo dello screening è quello di ridurre la mortalità per malattia tra
le persone sottoposte al test attraverso il trattamento precoce dei casi
scoperti.101,104
Dal punto di vista semantico, con il termine screening si fa talvolta
riferimento ad ambiti varî e diversi da quello oggetto della presente
trattazione (estensioni);101 ci si può riferire a test eseguiti su paziente
sintomatico in cui la diagnosi non è ancora stabilita, a test con finalità
tossicologica su una certa molecola, a studî di prevalenza (senza immediati
obiettivi di controllo delle patologie), oppure al lavoro di identificazione di
soggetti esposti ad un rischio di contrarre una patologia (cd. screening per
un risk factor).
Uno screening si basa su alcuni principî.85-87,101,103,105 La patologia cercata
deve rappresentare un importante problema di salute. Ciò non esclude che
la stessa possa presentare bassa prevalenza (es. fenilchetonuria).
Dev’esservi una fase di latenza pre-clinica, asintomatica, della patologia;
essa deve essere diagnosticabile. La prevalenza P di tale fase è P = I . d
della fase di latenza pre-clinica, asintomatica. P è funzione f1 dell’adesione
allo screening e funzione f2 della frequenza dello screening.
Per le patologie in cui è possibile una diagnosi tempestiva ma solo
sintomatica, si parla di “diagnosi tempestiva” (early detection).24
La durata d della fase di latenza pre-clinica, asintomatica, della patologia
dev’essere conosciuta al fine di definire la frequenza dello screening. La
durata relativamente lunga di tale fase è un motivo per cui lo screening si
rivolge quasi esclusivamente alla patologia cronico-degenerativa.
Deve essere disponibile un test (test di screening) valido ed affidabile
(validità ed affidabilità vanno dimostrate su una popolazione
apparentemente sana). Si ricorda come per il test di screening sia
indispensabile soprattutto un’alta specificità;106 per gli approfondimenti
diagnostici, soprattutto un’alta sensibilità.106
Il test dev’essere accettabile per la popolazione (basse invasività e
cruenza, mancanza di effetti collaterali immediati e a distanza).
01/0
78
01/0
Dev’esservi una terapia accettabile per i pazienti cui sia stata posta la
diagnosi precoce.
Devono esistere linee-guida, o protocolli diagnostici e terapeutici per i casi
screen-detected. In particolare, devono essere previste le decisioni sulle
lesioni borderline.
Dev’essere un processo continuo, fondato su un programma che tenga
conto tanto dell’esecuzione dello stesso quanto delle esigenze di
formazione ed aggiornamento del personale dedicato, della disponibilità e
dell’adeguamento delle strutture, del controllo di qualità scientifico ed
organizzativo.
Devono essere valutati i costi rispetto alla spesa sanitaria possibile.
Lead time.101 Anticipazione diagnostica, o intervallo di tempo tra
identificazione della patologia con (screen detected) o senza (symptom
detected) lo screening; è misura della precocità della diagnosi. Non è
misurabile sul paziente ma come confronto delle distribuzioni nel gruppo
di studio e in quello di controllo.
I casi symptom detected, in presenza di un programma di screening,
risulteranno a carico dei soggetti (1) non aderenti, (2) non aderenti al
protocollo dopo lo screening, (3) “casi intervallo”, (4) non ancora invitati
(all’avvio del programma).
Durata d della fase di latenza pre-clinica, asintomatica.101 Più è lunga, più
può essere lungo l’intervallo tra i test successivi (intervallo di rescreening,
che condiziona la frequenza dello screening). Ad es. sulla base dei
risultati di varî programmi di screening (età 20-64 anni) per il carcinoma
della cervice uterina, per il quale la durata della fase preclinica è lunga, si
osserva che con intervallo inferiore a 3 anni non si ha un sostanziale
beneficio:101,105,107
intervallo
(anni)
no screening
5
3
1
tasso forme invasive
età aggregate
25-64 anni/100000
1575
258.6
138.9
105.2
diminuzione %
tasso
forme invasive
n. test di screening
da effettuare
tra 20 e 64 anni
83.6
91.2
93.3
9
15
45
Effetto di screenings periodici sull’incidenza del tumore in una
popolazione.108 Le seguenti figure illustrano il rapporto tra l’attività di
screening e l’incidenza della patologia neoplastica.
79
01/0
i2
i4
incidenza
i6
i1
i3
i5
i7
t1
t2
t3
tempo
Tre screenings, rispettivamente ai tempi t1, t2 e t3.
i1: incidenza pre-screening del tumore nella popolazione.
i2: a t1 l’incidenza aumenta grazie ai casi screen detected.
i3: l’anticipazione diagnostica (lead time) della fase di screening fa sì che
l’incidenza post-screening sia i3<i1. Progressivamente i3 aumenta, in assenza di
screening, tendendo a tornare al valore di pre-screening.
i4: a t2 l’incidenza aumenta grazie ai casi screen detected, ma fino ad un valore di
i4<i2, partendo da un valore inferiore di i3 rispetto a i1.
i5: v. i3.
i6: v. i4.
Effetto di un programma di screening sull’incidenza del tumore in una
popolazione con copertura e adesione totale.
incidenza
i2
i3
i1
i4
tx
tempo
80
i1: incidenza pre-screening del tumore nella popolazione.
i2: a tx, con l’avvio del programma, l’incidenza aumenta grazie ai casi screen
detected.
i3: nel corso degli anni l’incidenza tende a riportarsi sui valori pre-screening i4, ma
vengono identificate lesioni sempre più anticipate (lead time) fino ad un limite dato
dalla sensibilità del test e dalla natura del tumore (durata d della fase di latenza
pre-clinica, asintomatica).
i4: i4= i1.
(s.s. Epidemiologia e Unità Valutazione Organizzazione Screening, Dipartimento Screening
Oncologico n. 7, Piemonte)
Valutazione dell’efficacia dello screening.101,105 Raramente i benefici di
uno screening sono immediatamente evidenti (es. difetti vista e udito in età
pediatrica). La valutazione dell’efficacia è presupposto all’adozione dello
screening nella popolazione.
Gli indicatori fondamentali di effectiveness sono le diminuzioni di
incidenza e mortalità del tumore.75
Secondo il National Cancer Policy Board e l’Institute of Medicine, entro il
2015 la diffusione di modificazioni comportamentali e di tecnologie di
screening condurrà ad una diminuzione del 19% dell’incidenza e del 29%
della mortalità per cancro.100
Livelli di evidenza (levels of evidence). L’entità dell’evidenza diminuisce
in successione, nell’ordine di seguito riportato.18,106
1. Evidence obtained from randomized controlled trials (RCT).
Studî sperimentali, con misura di incidenza/mortalità. Sono
necessarî prima di avviare la routine; i risultati debbono essere
estrapolabili (le condizioni della sperimentazione devono essere
riproducibili nel servizio sanitario).75
2. Evidence obtained from nonrandomized controlled trials.
3. Evidence obtained from cohort or case-controlled studies. Studî
di coorte (longitudinali prospettivi); misura di incidenza/mortalità
in soggetti sottoposti a screening e non (rischio assoluto, rischio
relativo, rischio attribuibile). Studî caso-controllo (longitudinali
retrospettivi); analisi dell’esposizione allo screening in casi e
controlli (stima del rischio relativo od odds ratio).
4. Evidence from ecologic and descriptive studies. Valutazione della
correlazione tra adesione allo screening ed incidenza/mortalità
nella popolazione a tempi diversi o in diverse popolazioni.
5. Opinions of respected authorities based on clinical experience or
reports of expert committees.
Gli studî non sperimentali sono suscettibili di errore sistematico (bias).
Esistono diverse varietà di bias nell’ambito degli screening.
01/0
81

Lead time bias.
I casi screen detected hanno un’anticipazione diagnostica rispetto
a quelli symptom detected. Se l’anticipazione diagnostica non ha
in realtà effetto sulla sopravvivenza / storia naturale della
patologia a causa dell’assenza di terapia efficace,7,106 la
prevalenza dei sopravviventi aumenta artificialmente. In
definitiva, viene a prolungarsi solo il periodo temporale di
consapevolezza della propria condizione da parte dei pazienti.
 Lenght bias.
È possibile che lo screening identifichi maggiormente quei casi
con una fase di latenza pre-clinica asintomatica più lunga; tale
condizione può per sua natura condizionare una fase clinica più
lunga (minore aggressività) e quindi una sopravvivenza maggiore.
Ecco perchè la sopravvivenza non è adatta alla valutazione
dell’efficacia degli screening.
 Healthy-screenee bias.
Bias di selezione, come in qualsiasi studio che usi volontarî, i
quali possono godere di un migliore livello culturale e di
consapevolezza sui temi di salute, che li seleziona, orienta verso
lo screening ed al tempo stesso li rende più disponibili a
modificare l’esposizione ai risk factors, più attenti rispetto ai
sintomi, dotati di una maggiore compliance rispetto alla terapia,
tutti fattori che, indipendentemente dallo screening, aumentano la
sopravvivenza.
Va detto che lo screening può in certi soggetti individuare neoplasie che
comunque non si sarebbero clinicamente evidenziate per tutto il corso
della vita; in tal senso potrebbe leggersi l’aumento della sopravvivenza a
cinque anni per tumore della prostata negli U.S.A., tra gli anni ’70 (67%) e
gli anni ’90 (98%).10
Spesso le valutazioni dell’efficacia degli screening in termini di riduzione
di incidenza e mortalità presuppongono molti anni di studio (fino a 15 o
più).108 Ecco perchè sono stati definiti gli indicatori di processo.101 Gli
indicatori di processo dei programmi di screening si basano sui risultati
intermedî; non forniscono evidenza di efficacia ma indicazione di come il
programma stia funzionando. Indicatori di processo di tipo diretto sono
rappresentati da copertura, validità e predittività del programma (compresi
detection rate e tasso di cancri intervallo), adeguatezza della diagnosi di
secondo livello e della terapia; esistono poi indicatori di processo di tipo
indiretto (es. intervallo test-referto, ecc.). Per ogni indicatore è previsto
uno standard di riferimento; vi sono standard accettabili e desiderabili, il
cui raggiungimento rappresenta la base per operare la valutazione di
processo.
01/0
82
Caratteristiche del test di screening7,100,105 sono la validità, l’affidabilità e
la resa.
La validità (validity) è la capacità del test di classificare correttamente i
sani come sani ed i malati come malati.100,105 I determinanti della validità
sono la sensibilità e la specificità.100,105
risultato del test
di screening
+
-
verità
malato
sano
Veri Positivi
Falsi Positivi
Falsi Negativi
Veri Negativi
totale malati
totale sani

totale +
totale totale soggetti
o test
screening
Sensibilità: capacità del test di screening di identificare i malati
(prima colonna della tabella)
= VP / totale malati (VP+FN) %
Aumenta al tendere a 0 di FN (VP/VP=1, 100%).
 Specificità: capacità del test di screening di identificare i sani
(seconda colonna della tabella)
= VN / totale sani (VN+FP) %
Aumenta al tendere a 0 di FP (VN/VN=1, 100%).
Malati
(VP)
01/0
83
Malati
(VP)
Per uno spostamento del cut-off a destra si avrà aumento della specificità
(diminuiscono i FP) e diminuzione della sensibilità (aumentano i FN).
Malati
(VP)
Per uno spostamento del cut-off a sinistra si avrà aumento della sensibilità
(diminuiscono i FN) e diminuzione della specificità (aumentano i FP, per i
quali ho però disponibile l’approfondimento diagnostico).
Il valore predittivo di un risultato è l’effettiva capacità predittiva del
risultato del test rispetto alla reale condizione di malattia o di salute.
 V. P. Positivo, di un risultato positivo del test (prima riga della
tabella)
= VP / totale + (VP+FP) %
 V. P. Negativo, di un risultato negativo del test (seconda riga
della tabella)
= VN / totale - (VN+FN) %
È importante ricordare come, date sensibilità e specificità, VPP e VPN
dipendono dalla prevalenza P della malattia, come è illustrato nella
seguente figura.
01/0
84
Con un’alta P aumenta VPP e diminuisce VPN; con una bassa P aumenta
VPN e diminuisce VPP. Un accettabile VPP inizia intorno ad una
prevalenza del 15%.
L’accuratezza (accuracy)100 è la misura percentuale dei risultati corretti,
tanto positivi che negativi.
= VP+VN / VP+FP+VN+FN %
L’affidabilità (reliability) consiste nella stabilità, ripetibilità, precisione.
Dipende da variazioni nel metodo, da variazioni intra-osservatore (in
misurazioni ripetute) e da variazioni inter-osservatori.
La resa (yield) è la quantità di malattie asintomatiche identificate dallo
screening e condotte a terapia.
Sempre più frequentemente gli studî epidemiologici includono il number
needed to treat (NNT). Questo, per gli screening dei tumori (NN to screen)
è generalmente piccolo, spesso nel range di 5 o meno soggetti beneficiati
per 5000 screenati.100 Ciò va tuttavia considerato alla luce della
straordinaria importanza che riveste l’obiettivo dello screening, ossia la
diagnosi precoce, con tutte le implicazioni su mortalità e sopravvivenza.
Casi intervallo101,105
Si tratta di casi di cancro che compaiono clinicamente nell’intervallo tra
due tests, (1) perchè al primo test non erano evidenziabili o (2) perchè al
primo test erano falsi negativi (falsi negativi mammografici possono
superare il 15%).18
L’Health Insurance Plan (H.I.P.) of Greater New York study fu
caratterizzato dall’insorgenza di 302 carcinomi della mammella nel
braccio sperimentale; questi si verificarono, 116/302 in non aderenti,
132/302 come screen detected e 54/302 come casi intervallo: allora (anno
1963) la sensibilità della mammografia era tuttavia di qualità scadente
rispetto agli standard odierni.109 Ancora oggi, tuttavia, some tumors are
01/0
85
simply not visibile on mammography.110 Le linee-guida europee
raccomandano (accettabile) che essi risultino inferiori a 6/10000 donne
screenate, entro l’anno successivo al test.109
L’individuazione dei casi intervallo si avvale dell’esistenza di un registro
tumori (v. basi di dati) o di strumenti alternativi, quali l’impiego dei dati
correnti (archivio delle schede di dimissione ospedaliera, SDO, da
incrociare con quello dello screening attraverso un’adeguata chiave di
linkage) o la creazione di un archivio di patologia (attraverso la raccolta
dei referti istologici presso le strutture di anatomia patologica del
territorio).
Detection rate: tasso di identificazione del tumore nella popolazione. È
necessario per calcolare sensibilità, valore predittivo ed anticipazione
diagnostica del programma.
Distribuzione per stadî: indicatore della potenziale riduzione dei tassi di
patologia in stadio avanzato (es., per il carcinoma della mammella,
aumento della percentuale di lesioni di diametro inferiore a 20 mm e senza
coinvolgimento linfonodale).
Secondo l’Advisory Committee on Cancer Prevention (anno 2000), lo
screening dovrebbe essere offerto solo in programmi organizzati con
quality assurance a tutti i livelli;75 lo screening opportunistico non è
accettabile, potendo non ottenere i vantaggi potenziali e causare effetti
negativi.75 Ad esempio, circa lo screening citologico opportunistico in
Italia, surveys di fine anni ‘80 hanno dimostrato come esso riguardasse ca.
1/3 della popolazione6 per lo più con un intervallo di rescreening di 1
anno, per cui il numero di Pap test eseguiti sarebbe stato sufficiente alla
copertura dell’intera popolazione in programmi con intervallo di
rescreening di 3 anni;6,84 inoltre, spesso con l’esecuzione della colposcopia
quale I livello84 e con forti selezioni, specialmente rispetto al livello di
istruzione.84
Effetti negativi potenziali degli screening. Consistono in: (1) trattamenti
non necessarî su falsi positivi; (2) trattamenti non necessarî
(overtreatment) su soggetti che non avrebbero manifestato la fase
sintomatica nel resto della vita, o nei quali la neoplasia sarebbe
spontaneamente regredita (v. LSIL ed alcuni tumori a scarsa evolutività
della mammella, come i carcinomi tubulari);75,107 (3) sovratrattamenti
rispetto al momento precoce; (4) effetti collaterali dei test di screening o
diagnostici; (5) erroneo senso di rassicurazione (rispetto ai cancri
intervallo), per cui bisogna avvisare sempre di ripresentarsi alla comparsa
del minimo sintomo;109 (6) conseguenze psicologiche (una mammografia
01/0
86
“falsa positiva” è stata definita dal 5% delle donne come la peggiore
esperienza della propria vita.109 In uno studio norvegese i richiami per
falsa positività mammografica sono stati il 2.0-3.5% e la frazione di donne
richiamata in dieci rounds il 20.8%; negli U.S.A. il dato è
approssimativamente doppio a parità di sensibilità (alla base possono
sussistere fattori quali una diversa quality assurance, l’esperienza richiesta
ai mammografisti, diversi standard nelle linee guida).111
Adesione. Essa dipende da diversi fattori condizionanti, quali6,107 l’età
(adesione minore in età avanzate), lo stato civile (minore in nubili,
divorziati, ecc.), lo stato socioeconomico (minore in quello basso), la
frequenza di contatto coi servizî sanitarî, timori circa gli effetti delle
radiazioni o della compressione della mammella (screening
mammografico), l’ansia per l’attesa del risultato, la mancanza di fiducia
nello screening, nella terapia, nei servizî sanitarî, limiti organizzativi
(distanza, orari, ecc.), l’immagine prodotta dai mass media.
Documenti di riferimento e normativa essenziale rispetto agli screening
oncologici vengono richiamati nella Bibliografia.6,75,79,112-25
Prevenzione del cancro della cervice uterina
Il canale endocervicale,15,126,127 nel collo dell’utero, è costituito da una
tonaca mucosa il cui epitelio di rivestimento è batiprismatico semplice con
cellule secernenti a muco e (rare) ciliate; la lamina propria è di tessuto
connettivo fibrillare denso ricco di fibroblasti e fibre collagene, nel cui
contesto aumentano, dall’orifizio uterino interno all’esterno, le ghiandole
cervicali (tubulari ramificate di analoghe cellule secernenti a muco).
All’orifizio uterino esterno si ha il brusco passaggio alla tonaca mucosa
dell’esocervice,15,126,127
con epitelio di rivestimento pavimentoso
stratificato non corneificato e lamina propria priva di ghiandole.
Le sedi di sviluppo del tumore sono rappresentate dall’esocervice e dal
canale endocervicale.
Nell’esocervice128,129 la neoplasia insorge specialmente alla giunzione
squamocolonnare (90% dei casi); inoltre, su aree di metaplasia
epidermoidale del canale cervicale (endocervice).
La neoplasia, nel 95% dei casi, è un carcinoma squamoso (epidermoidale)
corneificante (con zaffi di perle cornee), non corneificante (più frequente),
od indifferenziato.128,129 Nel 5% dei casi si tratta di un
adenocarcinoma.128,129
01/0
87
Risulta di fondamentale importanza considerare le lesioni che precedono il
cancro cervicale nella propria evoluzione; le precancerosi128,129 sono
rappresentate dalla leucoplasia (con ipercheratosi, paracheratosi, flogosi
del derma) e dalla displasia dell’epitelio (con ipercellularità e mitosi
specialmente basali, ma con –diversamente dal carcinoma in situconservazione della stratificazione). Questa è rappresentata dai diversi
gradi della Cervical Intraepithelial Neoplasia (C.I.N.), C.I.N. 1, o
displasia epiteliale lieve, C.I.N. 2, o displasia epiteliale media e C.I.N. 3, o
displasia epiteliale grave, che include18 il carcinoma in situ, intraepiteliale
preinvasivo per la conservazione della membrana basale (con aumento
dello spessore dell’epitelio di rivestimento per ipercellularità e mitosi
specialmente basali, perdita della stratificazione e presenza di anaplasia).
Nella CIN 1 le mitosi e le atipie sono presenti nel terzo inferiore
dell’epitelio, nella CIN 2 nel terzo medio, mentre nella CIN 3 le lesioni si
estendono al terzo superiore.130 Da questo origina il carcinoma
microinvasivo dello stroma, in cui l’invasione è entro 5 mm (e l’estensione
lineare entro 7 mm) dall’epitelio di rivestimento,130 senza invasione dei
vasi e con margini negativi alla conizzazione cervicale (risulta necessaria
la biopsia del cono). Esso rappresenta circa il 10% delle forme “in situ”; le
lesioni che si approfondano meno di 3 mm raramente metastatizzano,
mentre quelle tra 3 e 5 mm metastatizzano ai linfonodi pelvici nel 5-10%
dei casi.130
Infine, si verifica l’accesso alla componente vascolare dello stroma; la
cervice uterina, in particolare, ha una ricca disponibilità di vasi linfatici,
organizzati in tre plessi anastomotici nella tonaca mucosa, nella muscolare
e nella sierosa; i plessi si riuniscono in tronchi che fuoriescono soprattutto
lateralmente dall’istmo.130
Il tumore inizia come erosione sanguinante dell’orifizio uterino esterno,
quindi assume aspetto vegetante a cavolfiore in vagina, infiltrante od
ulceroso.
L’invasione avviene per contiguità verso vagina, utero, parametri,
paracolpo, vescica e retto.128,129
Le metastasi avvengono per via linfatica od ematogena.128,129
Quelle linfatiche sono importantissime, in quanto la neoplasia tende a
restare pelvica per molto tempo; la diffusione avviene lungo le vie dei
legamenti parametriali, cardinali e utero-sacrali. Si distinguono il “gruppo
primario” dei linfonodi ipogastrici, iliaci comuni, iliaci esterni e quindi il
“gruppo secondario” dei linfonodi sacrali, inguinali, para-aortici e
mediastinici.
Quelle ematiche sono più tardive e si verificano in un terzo dei casi,
interessando prevalentemente il polmone e le ossa.
01/0
88
È utile ricordare come l’adenocarcinoma in situ sia frequentemente
multifocale, per cui la valutazione dei margini del cono risulta in questi
casi inaffidabile.130
Il 10% delle neoplasie origina nel canale endocervicale. Si tratta di
adenocarcinomi di varietà papillare, ulcerosa o nodulare.
Di seguito sono riportati gli stadî secondo la Federazione Internazionale di
Ginecologia e Ostetricia (F.I.G.O.), e la stadiazione clinica secondo il
sistema TNM.131
stadî F.I.G.O.
TNM77,131
0: in situ, intraepiteliale
Tis
I: confinato all’utero
IA
preclinico solo microscopico
T1a
IA1
preclinico, invasione stroma < 3 mm
T1a1
(profondità) e <= 7 mm (larghezza)
IA2
preclinico, invasione stroma 3-5 mm
T1a2
(profondità) e <= 7 mm (larghezza)
IB
preclinico superiore a IA2
T1b
o clinico confinato a cervice
IB1
clinico <= 4 cm
T1b1
IB2
clinico > 4 cm
T1b2
II: esteso oltre l’utero
N0
M0
(non terzo inferiore vagina, non parete pelvica)
IIA
estensione al terzo superiore vagina,
T2a
senza interessamento parametri
IIB
con interessamento parametri
T2b
III
IIIA
estensione a terzo inferiore vagina
T3a
(non parete pelvica)
IIIB
estensione a parete pelvica e/o idronefrosi
T3b
N1
IV: interessamento mucose vescica, retto e/o
estensione oltre piccola pelvi
IVA
T4
ogni N
IVB
ogni T
ogni N
M1
TX, NX, MX: non definibili.
T0, N0, M0: non segni.
M1 comprende la localizzazione nei linfonodi para-aortici.
In caso di terapia chirurgica della neoplasia è utile eseguire anche la stadiazione
patologica (secondo la nomenclatura pTNM).
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è pari all’80-90% per lo stadio I,
al 50-65% per lo stadio II, al 25-35% per lo stadio III ed allo 0-15% per lo
stadio IV.18
01/0
89
100%
IA1/T1a1N0M0
IVB/M1
Sopravvivenza in base allo stadio a 1 e 5 anni F.I.G.O./TNM132
Il tumore esordisce con metrorragie (inizialmente anche scarse),
leucoxantorrea, intenso dolore. Più tardi compaiono idroureteronefrosi da
compressione, sepsi, emorragia da invasione dei vasi pelvici, ematuria –
stranguria da fistolizzazione vescicale (cistiti, pielonefriti), tenesmo –
proctorragia da fistolizzazione rettale.129
Lo screening citologico si effettua attraverso il Papanicolaou (Pap) test. Il
grado di evidenza dei vantaggi, secondo il National Cancer Institute
(U.S.A., 2005), è buono, riducendo la mortalità da cancro cervicale ed è
vantaggioso allorchè avviato entro tre anni dall’inizio dei rapporti vaginali.
Circa gli svantaggi, la stessa fonte riferisce di un buon grado di evidenza
rispetto a procedure diagnostiche non necessarie, come la colposcopia, e
trattamenti di displasie LSIL con conseguenze incerte a lungo termine su
fertilità e gravidanza,133 specialmente nei riguardi di donne giovani che
hanno una maggiore prevalenza di tali lesioni, le quali spesso regrediscono
spontaneamente.
L’uso del Pap test si è diffuso prima dell’esecuzione di RCT di efficacia
ad hoc, per cui l’evidenza della stessa è stata ottenuta grazie a valutazioni
a posteriori dei trend di incidenza e mortalità; pur con tali limiti
metodologici la mole e la coerenza dei dati sono assolutamente
adeguati.100,107
Nella Regione Piemonte è in atto da alcuni anni un programma di
screening dei tumori della cervice uterina denominato Prevenzione Serena;
l’esecuzione dello screening da parte di tutte le donne eleggibili in
Piemonte consentirebbe di evitare 120 morti all’anno per questo cancro
invasivo. Esso previene il 90% dei cancri invasivi del collo dell’utero.75,134
L’età media delle donne affette da cancro invasivo è 15 anni superiore
rispetto a quella delle donne con CIN, il che depone per una ridotta
velocità di progressione di questo cancro.130
01/0
90
Il rischio assoluto (incidenza) di insorgenza di cancro invasivo in una
femmina con 2 Pap test negativi scende a quello della popolazione mai
screenata dopo 10 anni (con un livello elevato di protezione per 3-5 anni,
anche se la durata di un certo grado di protezione è di 10 anni).107
Il tasso di falsi negativi corrisponde al 20-30% nelle CIN 2-3 ed al 10-15%
nel cancro invasivo.130
Circa l’eleggibilità,115,117 sono invitate allo screening le donne residenti di
età compresa tra 25 e 64 anni,6 con un intervallo di rescreening pari a 3
anni6 (tali età e frequenza sono raccomandate dalla Commissione della
C.E., dall’U.I.C.C., dal C.N.R., dall’A.I.R.C., dalla Commissione
Oncologica Nazionale).75,116,134-6 Inoltre, possono aderirvi donne di età
superiore a 64 anni che dichiarino di non avere mai effettuato un Pap
test116 (anche se sopra ai 60 anni lo screening sortisce un effetto limitato,
specie per donne con pregressi Pap test negativi).75 Le indicazioni
statunitensi, come detto, prevedono un inizio dello screening dopo tre anni
dall’avvio dell’attività sessuale e, comunque, a partire dai 21 anni di età,
con un intervallo di rescreening di 1-3 anni.100 In Danimarca, in
considerazione del rischio di overtreatment, lo screening è avviato dai 30
anni.100
I criterî di esclusione117 sono stabiliti dai singoli progetti;
discrezionalmente, saranno considerati il follow up oncologico, le lesioni
intraepiteliali cervicali, le donne isterectomizzate, i casi di grave handicap,
la malattia terminale e l’imene integro. Secondo l’American Cancer
Society, il Pap test non è necessario nelle donne isterectomizzate, a meno
che l’isterectomia non sia stata dovuta ad un cancro cervicale.
Le richieste di autoesclusione, per qualunque ragione, dovranno venire
espresse in forma scritta.
Il I livello dello screening citologico in Prevenzione Serena prevede
l’invio di una lettera di invito con opuscolo illustrativo e, in caso di
mancata presentazione, di un sollecito.115,117 Non è richiesta l’impegnativa
ed è prevista l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria.116
Non si procede allo screening se la donna ha eseguito un Pap test risultato
negativo negli ultimi 12 mesi, in caso di gravidanza oltre all’VIII mese, in
corso di allattamento o prima di due cicli mestruali dopo il parto e,
ovviamente, in presenza di mestruazioni (nel qual caso si sposta
l’appuntamento). La donna viene avvisata di evitare l’uso di creme,
candelette, ovuli, lavande vaginali nei 5 giorni precedenti al test e rapporti
sessuali senza profilattico nelle 24 ore precedenti allo stesso.
Il Pap test prevede l’impiego di un divaricatore (speculum). Il prelievo
avverrà in esocervice (spatola di Ayre) ed in endocervice (cytobrush);
verrà allestito un vetrino, con lo striscio in due parti distinte; se la donna
risulta isterectomizzata e non esclusa saranno effettuati due vetrini, per la
01/0
91
cupola vaginale ed i fornici; se virgo, eventualmente si utilizzerà un cotton
fioc o la spatola, ma in genere il materiale risulterà di scarsa qualità.
Davanti ad impossibilità tecnica o a grave sospetto di presenza di cancro
invasivo, l’assistita verrà inviata direttamente alla colposcopia.
Il prelievo viene inviato alla lettura, che avverrà in un laboratorio di
citologia stabilito nell’ambito del Programma.
La seguente sinossi illustra i criterî di valutazione dell’adeguatezza del
preparato e le azioni consigliate in caso di un preparato non soddisfacente
o con limitazioni interpretative.117,130
soddisfacente: deve riflettere l’istologia sottostante, contenendo cellule
provenienti dalla zona di trasformazione107
cattiva fissazione
scarsa cellularità
citolisi
assenza (insoddisfacente) o scarsità
insoddisfacente / (limitato da) cellule cilindriche ripetizione Pap test
limitato da
(endocervicali) o metaplastiche (in
(specificare)
premenopausa)
materiale estraneo
sangue oscurante
altro
flogosi oscurante
terapia antiflogistica
e ripetizione test
La flogosi, se presente,117 potrà essere di origine infettiva, ed in tal caso
occorre specificare l’agente, o di origine non specificabile.
Nella seguente sinossi sono riportati risultati:117
modificazioni reattive (specificare)
da flogosi
da distrofia
da IUD
altro
ASCUS
AGCUS
LSIL (subclassificabile in)
HSIL
SIL di grado indeterm.
carcinoma squamoso
adenocarcinoma
CTM non ulteriormente specificabili
coilocitosi*
CIN 1*
CIN 1 + coilocitosi*
CIN 2
CIN 2 + coilocitosi
CIN 3
CIN 3 + coilocitosi
01/0
92
ASCUS: Atypical Squamous Cells of Undetermined Significance
AGCUS: Atypical Glandular Cells of Undetermined Significance
LSIL: Low grade Squamous Intraepithelial Lesion
HSIL: High grade Squamous Intraepithelial Lesion
CIN: Cervical Intraepithelial Neoplasia
Secondo il sistema di classificazione di Bethesda, le LSIL presentano
addensamento nucleare o atipia, senza frequenti mitosi ed anisocariosi, mentre
l’HSIL offre un quadro più avanzato, associato agli HPV ad alto rischio.130
* Secondo alcuni Autori,107 questi casi, se riscontrati in donne di età inferiore a 35
anni, andrebbero seguiti dalla ripetizione della citologia a 6 mesi di distanza; a
fronte di una conferma andrebbe prevista l’esecuzione di una colposcopia, mentre
davanti a 2, 3 negatività in 12, 18 mesi la donna andrebbe rinviata ad un normale
intervallo di rescreening. Altri suggeriscono,137 specie nelle giovani, alla luce della
nota tendenza alla regressione spontanea delle LSIL e del conseguente rischio di
overtreatment, l’esecuzione di una citologia seriale.
Per un approfondimento, di rimanda a quanto precisato più avanti ed alla
letteratura scientifica sull’argomento (si vedano anche le 2001 Consensus
Guidelines for the Management of Women with Cervical Cytological
Abnormalities).138
Come anticipato, un aspetto di cruciale importanza nella genesi di queste
lesioni neoplastiche è rappresentato dalle infezioni da Papillomavirus
Umani (HPV). Sul piano epidemiologico tale osservazione riveste
un’importanza notevole. Il rischio di insorgenza del cancro cervicale è
infatti aumentato nelle prostitute, nelle donne che hanno il primo coito in
giovane età, in quelle con partners multipli, che hanno avuto prole da
giovani, con partners maschi dal comportamento sessuale promiscuo, con
maschi non circoncisi.130 Il rischio è inferiore, al contrario, nei Paesi
islamici, dove il comportamento sessuale delle donne è soggetto a strette
regole religiose.130
Nel Regno Unito, ad esempio, a partire dagli anni sessanta si è verificata
un’importante diffusione delle malattie a trasmissione sessuale, o Sexually
Transmitted Diseases (STD). Se, infatti, i tipi oncogeni di HPV
diventarono diagnosticabili solo alla fine degli anni ottanta, l’incidenza
delle verruche genitali (HPV 6, 11) aumentò di 6 volte tra il 1971 ed il
1994. In definitiva, si osserva un forte aumento della prevalenza dell’HPV
tra gli anni sessanta ed ottanta. A Manchester, uno studio di prevalenza
dell’infezione da HPV, relativo al periodo 2001-2003, ha dimostrato valori
del 33% tra 20 e 29 anni, del 15% tra 30 e 39 anni, del 9% tra 40 e 49 anni
e del 6% tra 50 e 64 anni.
I cambiamenti intervenuti nel comportamento sessuale delle donne inglesi
sono già leggibili nel fatto che la percentuale di esse ad avere il primo
rapporto sessuale prima dei 16 anni è pari all’1% tra le nate nel 1931 ed al
24% tra le nate nel 1974,139 e che la percentuale di donne con una storia
01/0
93
sessuale con cinque o più partners è dell’11% tra le nate nel periodo 19301945 e del 26% tra quelle nate nel periodo 1955-1965.139
Circa la diffusione delle altre STD,139 indicatore indiretto, si ricorda come
nel Regno Unito la gonorrea sia triplicata tra il 1960 ed il 1975, per poi
diminuire a metà anni ottanta, in coincidenza con l’”effetto-AIDS” ed
aumentare nuovamente fino al raddoppio a partire dal 1996; sono stati
osservati contemporanei aumenti delle infezioni da Chlamydia, della
sifilide e delle infezioni eterosessuali da HIV.
Circa la diffusione dell’impiego dei contraccettivi orali rispetto a quelli di
barriera,139 nello stesso Paese si è registrato l’aumento dei primi a partire
dagli anni sessanta; in donne di 33 anni di età a metà anni ’80, la stima di
neoplasie della cervice uterina attribuibile ad essi sarebbe stata del 23%.
L’analisi di coorti di nascita ha dimostrato in tale contesto che lo screening
organizzato in Inghilterra e Galles ha prevenuto e preverrà l’insorgenza di
11000 cancri invasivi e 5500 morti entro l’anno 2030, corrispondenti,
rispettivamente, al 3% ed all’1.5% di tutte le donne di età inferiore a 50
anni nel 2004, entro il raggiungimento da parte delle stesse di 85 anni di
età.139
La ricerca dell’HPV-DNA avviene in cellule cervicali esfoliate. Lo Human
Papillomavirus (HPV) appartiene alla famiglia Pa-po-va-viridae
(comprendente i generi Poliomavirus e Papill-oma-virus, con numerosi tipi
specie-specifici all’interno dei Vertebrati);140 dell’Homo sapiens ne sono
conosciuti oltre 140 tipi38,41,141 con genomi interamente sequenziati.
L’HPV presenta un capside a simmetria icosaedrica, un DNA a doppia
elica con open reading frames (ORF);140 i Late Genes codificano le
proteine capsidiche L1 e L2;82 gli Early Genes codificano oncoproteine82
(da E1 a E7142), che inattivano i geni oncosoppressori per p53 e Rb.82
L’HPV non codifica una DNA polimerasi, per cui risulta dipendente dalla
cellula per la propria duplicazione genomica.41
L’HPV induce tumori epiteliali squamosi e fibroepiteliali, sulla base dello
spiccato tropismo verso i cheratinociti.41 Nella mucosa cervicale esso
tende a localizzarsi nella zona di transizione tra l’epitelio di rivestimento
pavimentoso/squamoso esterno e quello batiprismatico/colonnare del
canale endocervicale; l’insorgenza di aree di metaplasia è evidenziabile
con CH3COOH 3-5% (cd. epitelio “bianco-aceto”),140 come si effettua in
colposcopia al fine di eseguire prelievi bioptici sulle lesioni sospette.
La trasmissione si ha per il passaggio dell’HPV tra gli epitelî sessuali.
L’incubazione varia da 1 a 20 mesi.40 Si hanno tre possibili forme di
infezione,141 come viene sinteticamente schematizzato nella seguente
sinossi.
01/0
94
1.
-
HPV
internalizzato da
recettori cell.
basali;141
HPV-DNA
libero140
2.
low/highrisk HPV
analogam.
3.
high-risk
HPV
analogam., ma
HPV-DNA
integrato nel
genoma cell.
basali141
replica solo
durante
mitosi141
ergo,
basso
numero
copie141
replica
anche fuori
dalle
mitosi141
ergo,
alto
numero
copie141
analogam.
analogam.
normale
maturazione
cell. basali
a intermedie,
a squamose141
esprime proteine
virali: aumento
mitosi cell. basali.
Comparsa CIN 1
(HPV in strati
superficiali)141
inattivazione p53 e
Rb; comparsa
CIN 2,3 e
possibile cancro.141
Riduzione
(downregulation)
dell’espressione
molecole MHC I
(riconoscim.,
presentaz. Ag):
escape da
sorveglianza
cellulo-mediata82
L’integrazione non avviene a livello di siti specifici del cromosoma.39
Durante l’integrazione vengono distrutti i geni virali E1 e E2; quest’ultimo
esercita una repressione sull’espressione di E6 ed E7 che in tal modo
aumentano la sintesi delle rispettive oncoproteine, le quali vanno a legarsi,
rispettivamente, alle proteine p53 e Rb.41,130
Ulteriori considerazioni epidemiologiche sono utili al fine di definire in
modo più compiuto l’entità del rischio di queste lesioni (si rimanda in tal
senso anche alla lettura della parte iniziale, relativa ai risk factors
biologici, in etiologia/fattori di rischio).
Fino al 70% delle donne sessualmente attive si infetterà nel corso della
vita con l’HPV;137,143 quelle mai state sessualmente attive, come
anticipato, sono a basso rischio.107 Si ricorda come Rigoni-Stern, nel 1842,
riportò al IV Congresso degli scienziati italiani la propria osservazione
secondo la quale il cancro cervicale non si verificava nelle suore.141
La prevalenza dell’HPV nella citologia normale è bassa.84
In ragione dell’età, la prevalenza dell’HPV nelle giovani è alta84 (massima
nelle adolescenti e fino a 25 anni d’età38) ed alle età intermedie è bassa.84
L’infezione da HPV regredisce spontaneamente in oltre il 70% dei
casi.38,130,137 La durata media dell’infezione è pari ad 1-2 anni,84,130
01/0
95
specialmente nella terza decade di età.100 La persistenza del virus si ha nel
10-20% dei casi.35
È inoltre di fondamentale rilievo il fatto che il tempo di evoluzione a
cancro delle lesioni precancerose della cervice uterina si attesta sui 20-30
anni.38
Le LSIL vanno incontro a progressione a HSIL nel 20-40% dei casi,137 in
un tempo medio di 85,7 mesi.137 Le LSIL, inoltre, regrediscono
spontaneamente nel 50-60% dei casi, specialmente nelle donne giovani,137
e fino al 90% nella terza decade di età100 (per cui l’individuazione di LSIL
in donne non più giovani potrebbe significare la persistenza della LSIL ed
un maggiore rischio di evoluzione a HSIL);137 trattasi pertanto di
un’espressione benigna dell’infezione da HPV.137
In casi studiati di donne con citologia negativa e istologia pari o superiore
a CIN II, l’80% risultava HPV-DNA positivo 3 anni prima84 e 2/3 HPVDNA positivo 6 anni prima.84 Quindi, la positività per l’HPV-DNA si
associa ad un’alta probabilità di sviluppo di HSIL, mentre una negatività
ad una bassa probabilità di sviluppo di HSIL.84
Il cancro della cervice è, in pratica legato alla positività dell’HPV-DNA;84
in letteratura l’associazione è riportata nell’85% dei casi142 e oltre. Il tipo
16 è il più prevalente nel carcinoma cervicale squamoso, 142 il tipo 18
nell’adenocarcinoma cervicale.142 La sopravvivenza a cinque anni dalla
diagnosi di cancri associati a tali virus142 è dell’84% per il type 16 HPVDNA e del 59% per il type 18 HPV-DNA.
La ricerca dell’HPV-DNA100,144 è ipotizzabile per una selezione secondaria
della citologia borderline (ASCUS) o di basso grado (LSIL) che, talvolta,
ha di fatto istologia di alto grado.6 Infatti, è nota la bassa sensibilità137
della citologia per le lesioni HSIL (spesso risultanti ASCUS o LSIL al Pap
test), per cui la ricerca dell’HPV-DNA risulta parimenti specifica ma più
sensibile per le lesioni istologicamente gravi rispetto alla ripetizione della
citologia;100,144 data la distribuzione di prevalenza delle HSIL, la
misclassificazione è più probabile nelle donne più anziane.137 Mentre lo
status HPV-DNA alla diagnosi di LSIL non è un buon predittore della
regressione, esso lo diviene nel monitoraggio delle stesse LSIL.137,138
La tipizzazione dell’HPV si ottiene mediante Hybrid Capture o PCR.6
L’U.S.-F.D.A. ha approvato l’Hybrid Capture 2 HPV test,141 test HPVDNA per 13 tipi di Papillomavirus che causano carcinoma della cervice
uterina (16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68).145 Esso è stato
approvato145 per (1) il co-screening con la citologia in donne di età
superiore a 30 anni e, (2) il triage della citologia equivoca. Altri cinque tipi
dell’HPV (26, 53, 66, 73, 82), che sono più raramente coinvolti,
potrebbero essere inclusi in test di prossima generazione, a meno che non
si consideri prevalente il rischio di morbosità iatrogena associato (es.
l’HPV 53 ha una prevalenza 1/1918 donne: se fosse aggiunto al test la
01/0
96
specificità dello stesso scenderebbe dell’1.7% e su 700000 test ben 10500
donne andrebbero ad approfondimento diagnostico inutilmente).145
Secondo l’American Society for Colposcopy and Cervical Pathology la
prevalenza delle anomalie citologiche corrisponde al 7%.138 Sulla base di
tale premessa epidemiologica pare opportuno richiamare alcune
indicazioni138 rispetto alla gestione delle anomalie citologiche, alla luce
della stretta relazione che esiste tra prevalenza, sensibilità come
determinante della validità di un test di screening e valore predittivo, che è
stata descritta in precedenza.
Le ASC risultano le più frequenti forme di anormalità del Pap test
consistendo in diverse casistiche U.S.A. nell’1.6-9.0%.130 Circa le ASC
individuate allo screening, la probabilità di risultare CIN 2,3 confermata
istologicamente è del 5-17%; di risultare carcinoma invasivo confermato
istologicamente, dello 0.1-0.2%.138
La citologia ASC-US138 ha pertanto necessità di follow up; risultano
accettabili la ripetizione ad intervalli della citologia, la ricerca dell’HPV e
l’esecuzione della colposcopia.
La ripetizione della citologia ad intervalli, dato che su singolo Pap test di
donne ASC si ha bassa sensibilità –pari al 67-85%- della citologia per CIN
2,3, prevede un follow up ad intervalli di 4-6 mesi fino a due negatività
consecutive (che comportano l’invio al successivo round di screening) od
un ulteriore ASCUS o peggio (che comportano l’invio alla colposcopia).
Gli svantaggi consistono in un possibile ritardo della diagnosi di CIN 2,3 o
cancro invasivo e nella possibile diminuzione dell’adesione.
La ricerca dell’HPV-DNA per gli high-risk types si basa sul fatto che in
donne ASC la sensibilità dell’HPV-DNA per CIN 2,3 corrisponde all’83100%, anche se le donne ASC risultano HPV-DNA positive nel 31-60%
dei casi. In caso di negatività dell’HPV-DNA si può prevedere
l’esecuzione di un Pap test ad 1 anno; in caso di positività, l’avvio alla
colposcopia. Gli svantaggi consistono nel richiamo della donna, ovviabile
con “reflex testing” su originale citologia liquid-based o su un campione
co-collezionato ad hoc.
L’esecuzione della colposcopia si fonda sull’evidenza che nelle donne
ASC la sensibilità della colposcopia per CIN 2,3 corrisponde al 96%, dato
questo però rilevato con colposcopisti esperti e probabilmente inferiore
nella routine. In caso di negatività colposcopica si può prevedere
l’esecuzione di un Pap test ad 1 anno; a fronte di una positività si
considera il trattamento. Lo svantaggio consiste nel rischio potenziale di
overtreatment.
La condizione ASC-H138 ha probabilità di essere CIN 2,3 confermata
istologicamente pari al 24-94%.69 È indicata la colposcopia.
01/0
97
La citologia AGC presenta un rischio maggiore rispetto a ASC e LSIL; la
probabilità di essere CIN confermata istologicamente corrisponde al 954% (la CIN è la più comune neoplasia in AGC), quella di risultare
adenocarcinoma in situ confermato istologicamente, 0-8%; quella di essere
un adenocarcinoma invasivo confermato istologicamente, 1-9%. Circa la
varietà AGC favor neoplastic (Bethesda 2001) la probabilità di risultare
CIN 2,3, adenocarcinoma in situ, adenocarcinoma invasivo confermati
istologicamente corrisponde al 27-96%.
Premesso che il Pap test presenta una sensibilità pari ad appena il 50-72%
per neoplasia ghiandolare,130,138 e che anche la colposcopia non è molto
sensibile in tal senso (canale endocervicale), è indicato un campionamento
endocervicale. In caso di negatività all’approfondimento si rimanda a
trattazioni specifiche.138
Sul piano epidemiologico la prevalenza delle LSIL negli U.S.A.
corrisponde all’1.6%; tale valore sale fino al 7.6% nei gruppi di
popolazione ad alto rischio.138
Circa il valore predittivo riferito alla LSIL pare utile richiamare che il
cytological grade is a relatively poor predictor of the grade of CIN that
will be identified at colposcopy, and approximately 15 to 30% of women
with LSIL on cervical cytology will have CIN 2,3 identified on a
subsequent cervical biopsy.138 L’indicazione è alla colposcopia; in caso di
assenza di lesioni cervicali andrà pensato ad un campionamento
endocervicale. Gli svantaggi sono quelli visti per le ASC-US, ma qui
risultano ovviamente più marcati in ragione della maggior possibilità di
riscontro di anomalie in donne LSIL. Se la biopsia non conferma la CIN si
può ripetere annualmente un Pap test (fino a quanto indicato nella
trattazione delle ASC-US).
Per quanto concerne le HSIL, sul piano epidemiologico la prevalenza di
tali quadri corrisponde, negli U.S.A., allo 0.45%. La probabilità delle
HSIL di essere CIN 2,3 confermata istologicamente è del 70-75%, CIN 1
confermata ma con successiva conferma di una CIN 2,3 del 35%,
carcinoma
invasivo
confermato
istologicamente
dell’1-2%.138
L’indicazione anche in questo caso è alla colposcopia, con campionamento
endocervicale.
Si ricorda infine come il Pap test non abbia ruolo nella diagnosi di
carcinoma dell’endometrio; l’eventuale riconoscimento risulta del tutto
occasionale.146
In caso di negatività del Pap test, all’assistita viene inviata una
comunicazione in tal senso con l’informazione circa un successivo invito
da parte del Programma a distanza di tre anni.
L’approfondimento di II livello117 in Prevenzione Serena prevede l’invio
di una lettera ed eventualmente anche una convocazione telefonica, e di un
01/0
98
sollecito in caso di mancata presentazione all’appuntamento per
l’esecuzione della colposcopia e della biopsia superficiale (istologia
bioptica) in ogni area colposcopicamente sospetta. Contestualmente viene
eseguito un nuovo Pap test.
Sulla base dell’istologia bioptica della colposcopia117 valgono le seguenti
considerazioni.
I dati relativi ai trattamenti emersi nella survey 2003147 del Gruppo Italiano
Screening del Cervicocarcinoma mettono in luce come l’approccio see and
treat, in assenza di diagnosi istologica, sia stato molto contenuto
all’interno dei programmi organizzati. Rispetto alle CIN 1,147 la
maggioranza dei casi è stata correttamente non trattata e seguita in follow
up (73.0% su base nazionale, mentre in Piemonte il dato sale all’83.3%);
le CIN 1 trattate hanno subito prevalentemente l’escissione a RF o la
diatermocoagulazione.
Le CIN 2,3147 sono state trattate nel 65.4% con escissione a RF, nel 12.3%
con conizzazione a lama fredda (soprattutto le CIN 3), nel 6.1% con
conizzazione laser, nel 4.7% con vaporizzazione laser, nel 4% attraverso
l’isterectomia (tra esse 1.7% CIN 2 e 5.4% CIN 3). In altri casi è stata
eseguita la diatermocoagulazione, trattamento non accettabile poiché non
garantisce una distruzione tissutale media adeguata (7 mm), ponendo il
rischio di persistenza della lesione. Il 3.2% dei casi non è stato trattato.
I carcinomi squamosi e gli adenocarcinomi147 sono stati trattati nel 61.8%
attraverso l’isterectomia e nel 27.2% con escissione cervicale
(probabilmente i pT1a1 con margini indenni). Gli adenocarcinomi in situ
hanno subito, come da indicazione, trattamento conservativo nell’85.7%
dei casi.
La conizzazione non va mai eseguita nel caso sia escludibile la presenza di
una lesione endocervicale, anche come estensione di una lesione
visibile.107,117 In presenza di CIN va esclusa l’isterectomia, a meno che
dopo l’escissione o conizzazione i margini o l’apice del pezzo chirurgico
non risultino indenni.117
Si vedano anche le 2001 Consensus Guidelines for the Management of
Women with Cervical Intraepithelial Neoplasia.148
Si offre infine un breve cenno sulle complicazioni107 legate alla terapia
locale ed alla conizzazione che, in una quota variabile tra il 2-5% delle
pazienti possono essere a breve termine (episodî di sanguinamento,
infezioni) od a lungo termine (subfertilità, compresa la tendenza ad
aborto/parto pretermine).
Circa il quality assessment dello screening citologico, per gli indicatori di
processo, si riportano nello schema seguente alcuni indicatori e standard,
con i relativi riferimenti bibliografici (B).
01/0
99
01/0
La teoria relativa all’efficacia dello screening ed agli indicatori di processo
è stata trattata nella parte generale e ad essa si rimanda per una maggiore
comprensione.
INDICATORE
inviti
copertura (% popol. obiettivo con
almeno 1 citologia ultimi 3 anni:
programma e opportunistico*)
adesione
STANDARD
ACCETTAB.
DESIDERAB.
100% (1/3 annuo)
>65%
>80%
>=40%
>=60%
da stabilire
tempo tra Pap test e refertazione
(da data ricezione striscio)
intervallo test-referto
% insoddisfacenti
(esclusi a num. flogosi oscurante)
% citologie inadeguate
distribuzione diagnosi citologiche
% non adesione a indicazione
ripetizione Pap test
VPP citologia
80%
80%
entro 30 gg
entro 21 gg
100%
100%
entro 45 gg
entro 30 gg
>80% entro 4 settimane
100% entro 6 settimane
<6%
<4%
<7%
<5%
profilo standard da stabilire
<5%
profilo standard da stabilire
sulla base della seguente tabella:
B
117
149
117
149
117
149
117
149
117
149
117
149
istologia (colposcopia)
>= CIN 1
>= CIN 2
ASCUS
LSIL
HSIL
tutte
Calcolare un VPP per ogni entrata della tabella secondo il
rapporto VPP = VP (conferme istologiche) / VP+FP (positivi
alla citologia, tra le donne che hanno eseguito la
colposcopia).149
Pap test
(citologia)
* stima campionaria su campione di non compliers
tasso di richiamo colposcopico
compliance colposcopia %
et
tempo tra indicazione e
<=5%
>=80%
et
entro 8 settimane
<=3.5%
>=90%
et
entro 6 settimane
117
117
100
colposcopia
(qualsiasi invio)
compliance colposcopia %
et
tempo tra indicazione e
colposcopia
(HSIL)
detection rate
>= CIN 1 et >= CIN 2
detection rate*
CIN 1 et CIN 2,3 et Ca invas.
compliance al trattamento di
lesioni pre-invasive
% citologia negativa per SIL a
6 mesi da trattamento
% isterectomizzate** CIN 1
% isterectomizzate** CIN 2,3
% isterectomizzate Ca invasivo
I Ca invas. in indicaz. a
colposcopia (consider. anche
non aderenti a indicaz.)***
incidenza cancri intervallo****
>=80%
et
entro 4 mesi
>=90%
et
entro 5 settimane
>=90%
et
entro 4 mesi
01/0
>=90%
et
entro 4 mesi
>=95%
et
entro 3 settimane
>=95%
et
entro 4 mesi
149
117
149
da stabilire
117
da stabilire empiricamente per l’Italia
149
>=90%
149
>=90%
149
nessun caso
149
149
<2%
149
<=3/100000 screenate
da stabilire
0
149
117,
149
149
laboratorio: lettura test/anno
indicazioni >15000 et >25000
149
lettore: lettura test/anno
>7000
149
colposcopista: donne viste/anno
>100 nuovi casi
* in caso di più istologie, utilizzare quella più grave (sempre entro 1 anno da
citologia “indice”)
** indicatore di sovratrattamento
*** evento sentinella
**** vanno inclusi i microinvasivi; posto che lo screening citologico è efficace
soprattutto per l’identificazione dei tumori squamosi, quelli non squamosi
andranno considerati separatamente149
Si richiama qui brevemente il nuovo sistema di terminologia per i risultati
della citologia cervicale, definito 2001 Bethesda System149 che, rispetto al
precedente Bethesda 1991 modifica, eliminandola, la definizione
“soddisfacente ma limitato da...”84 per superare la scarsa riproducibilità
della suddivisione nelle tre categorie “adeguato”, “inadeguato”,
“soddisfacente ma limitato da...” della precedente classificazione, oltre a
tutta una serie di altre innovazioni rispetto alle quali si rimanda alla lettura
della letteratura specifica.150
In sintesi, la nuova classificazione è riportata nella seguente sinossi.
101
SPECIMEN ADEQUACY150
satisfactory for evaluation
unsatisfactory for evaluation
INTERPRETATION/RESULT150

Trichomonas vaginalis

fungal (…) consistent with Candida
organisms
species

shift in flora suggestive of bacterial
vaginosis
Negative for

bacteria (…) consistent with
intra epithelial
Actinomyces species
lesion or

cellular changes consistent with HSV
malignancy

reactive cellular changes associated
other non
with: inflammation / radiation / IUD
neoplastic findings

glandular status posthysterectomy

atrophy

Atypical Squamous Cell of
Undetermined Significance ASC-US

ASC cannot exclude HSIL (ASC-H)
Squamous Cell

Low-grade Squamous Intraepithelial
Lesion (LSIL) encompassing HPV,
mild dysplasia, CIN 1

High-grade Squamous Intraepithelial
Lesion (HSIL) encompassing
Epithelial cell
moderate and severe dysplasia, CIN
abnormalities
2,3, Carcinoma in situ

Atypical Glandular Cell (AGC) –
specify endocervical, endometrial, not
otherwise specifiedGlandular Cell

Atypical Glandular Cell favour
neoplastic –specify endocervical, not
otherwise specified
Endocervical Adenocarcinoma in situ
(AIS)

Adenocarcinoma
Other (endometrial cells in a woman >= 40 years of age
Rispetto alla quality assurance in citologia cervicovaginale, si rimanda alla
lettura dello specifico documento, contenente le raccomandazioni,
prodotto dal GISCi.151 In tale contesto151 vengono approfonditi aspetti
quali la riproducibilità/accuratezza del test, la scelta dei controlli di
qualità, le caratteristiche del laboratorio, le tipologie di controllo di qualità
interno (es. rescreening, set standard di vetrini)6,107 ed esterno (es. scambî
di vetrini, lettura collegiale e peer reviews).6,107
Un argomento di laboratorio assai dibattuto è quello della citologia in fase
liquida (strato sottile).84 In tale metodica, stemperando in liquido ad hoc si
concentrano le cellule in monostrato sul vetrino; riducendo il materiale
01/0
102
01/0
oscurante di fondo, essa si accompagnerebbe ad un aumento della
sensibilità. Tuttavia, una recente revisione sistematica152 non ha
confermato una superiorità della citologia in fase liquida rispetto a quella
tradizionale; per un orientamento conclusivo risulta necessaria
l’esecuzione di idonei RCT.
Gli indicatori di processo relativi ai singoli programmi vengono raccolti
annualmente su base nazionale da parte del Gruppo Italiano Screening del
Cervicocarcinoma (GISCi). La survey GISCi relativa agli anni 2002153 e
2003154 ha fornito, per i programmi italiani, i seguenti risultati:
adesione all’invito
insoddisfacenti
referral rate
adesione a colposcopia per ASCUS+
adesione a colposcopia per HSIL+
VPP citologia ASCUS+ per istologia CIN2+
DR CIN2+
2002
43.6%
3.4%
2.7%
88.0%
93.5%
15.4%
3.0‰
2003
38.7%
3.2%
2.6%
86.0%
91.1%
15.0%
2.7‰
Circa il VPP, ci si riferisce alla diagnosi di CIN2+ in quanto in tali
situazioni le donne vengono trattate; sulla base di quanto riportato si può
affermare che ogni 6.5 colposcopie è individuata una lesione da trattare.
L’attività dell’anno 2004 nel dipartimento di screening oncologico
corrispondente alla provincia di Cuneo, studiata e trasmessa al GISCi da
parte dell’Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening ha
messo in luce inoltre come per 158 delle 19778 donne sottoposte a
screening nel corso dell’anno sia possibile operare un confronto tra
citologia ed istologia; l’analisi è riportata di seguito:
istologia
CIN
1*
CIN 2,3
a. in situ
ASCUS/ASC7
2
citologia
H, AGCUS
LSIL
14
4
HSIL
3
13
Ca sq. invas.
0
0
tot.
24
19
* include la sola coilocitosi ed i condilomi piatti
** include negativi, alterazioni benigne, ecc.
Ca
invas.
inadeg.
altra
istol. **
tot.
0
0
78
87
0
0
0
0
0
0
0
0
37
0
0
115
55
16
0
158
(analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte)
Circa i trattamenti escissionali, sono stati valutati i margini e l’istologia sul
pezzo escisso, con i risultati di seguito riportati:
103
margine distale indenne
si
no
non disp.
7
1
2
escissione a RF
conizz. laser
conizz. lama fredda
isterectomie
altro
0
3
0
0
0
0
0
0
0
2
1
0
01/0
istologia pezzo
5 CIN 2; 3 CIN 3;
1 Ca squamoso invasivo
/
1 CIN 1; 2 CIN 2
/
/
(analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte)
Circa la corrispondenza tra diagnosi istologica pre e post-intervento
(peggiore istologia precedente il trattamento ed istologia sul pezzo
escisso), i risultati sono riportati nella seguente tabella.
peggiore
istologia
precedente
CIN 1
CIN 2,3
Ca sq. invas.
no biopsia
see and treat
CIN 1
1
istologia pezzo
CIN 2,3
Ca sq. invas.
1
10
1
non disponib.
3
1
(analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte)
A conclusione della trattazione relativa alla prevenzione del cancro della
cervice uterina, si richiama brevemente lo stato di avanzamento della
messa a punto del vaccino anti-HPV. Esso è basato sull’autoassemblaggio
di proteine capsidiche L1 con la formazione di virus-like particles (VLP)
che mimano il virus inducendo una risposta anticorpale.155
Sono in fase di conclusione due RCT di fase III (efficacia),38 il primo che
utilizza HPV-16 L1 VLP, 20 µg + HPV-18 L1 VLP, 20 µg39 ed il secondo
con l’aggiunta di HPV-6 e HPV-11 (verruche genitali). La schedula
prevede tre somministrazioni ai tempi 0, 1, 6 mesi (in femmine e maschi);
è allo studio l’eventuale necessità di dosi booster. Si prevede un’efficacia
proteggente pari al 70%.38 La presenza del tipo 18 potrebbe essere utile
per la difficoltà di individuare l’adenocarcinoma cervicale attraverso la
citologia.155
Prevenzione del cancro della mammella
Quella mammaria è una ghiandola esocrina con apertura al capezzolo di
circa 10 dotti galattofori (con epitelio di rivestimento progressivamente da
isoprismatico a pavimentoso stratificato a continuarsi con la cute), per
circa 15-25 lobi156 (ciascuno dei quali è una grossa ghiandola tubuloalveolare composta), distribuiti a raggiera e separati da setti connettivali.128
104
Il lobo è costituito da lobuli (di epitelio ghiandolare isoprismatico
monostratificato su una membrana basale) con duttuli che si continuano
nel dotto terminale intralobulare (avente decorso entro il lobo) e nel dotto
terminale extralobulare, che si porta al dotto galattoforo.15,126,127
Il cancro origina dagli epiteli di duttulo, dotto terminale intralobulare,
raramente dal dotto terminale extralobulare.128
Il carcinoma in situ, un tempo raro, oggi grazie allo screening (negli
U.S.A.) rappresenta oltre il 15% dei casi.18 È frequente causa delle
microcalcificazioni di osservazione mammografica.
Il carcinoma duttale in situ (DCIS)128 è intraduttale, non superando la
membrana basale; si presenta come una dilatazione del dotto da parte di
una masserella friabile. Sue varietà sono le seguenti: (1) papillare, senza
asse stromale fibrovascolare; quindi, per fusione delle papille, (2)
cribriforme; infine, una volta zaffato interamente il dotto, (3) solido; se si
ha intensa necrosi centrale, si origina il comedocarcinoma, da cui è
spremibile materiale. È citologicamente indistinguibile dall’iperplasia
duttale atipica (diametro <2 mm), descritta nel 1992 e regarded as the
missing link between healthy duct hyperplasia and low-grade, ductal
carcinoma in situ.81 Rispetto all’età, esso rappresenta negli U.S.A. il 92%
dei cancri della mammella tra 30 e 39 anni18 ed il 43% tra 40 e 49 anni.18
Origina una massa palpabile. Può evolvere a carcinoma invasivo ma è
completamente rimuovibile chirurgicamente. È stato proposto di
rinominarlo (insieme all’iperplasia duttale atipica) neoplasia
intraepiteliale duttale81 per enfatizzarne la non-life-threatening nature,
presentando una sopravvivenza globale a 10 anni superiore al 98%.81
Il carcinoma lobulare in situ (LCIS)128 è intralobulare, non superando la
membrana basale: si presenta come distensione del lobulo da parte di
epitelio che talvolta si estende al dotto terminale extralobulare. Insorge
specialmente in pre-menopausa. Quasi sempre multicentrico, talvolta è
bilaterale; tende a non dar vita a masse palpabili (è di riscontro
occasionale). È stato proposto di rinominarlo (insieme all’iperplasia
lobulare atipica) neoplasia intraepiteliale lobulare.81 Nel 25-35% dei casi
evolve a carcinoma invasivo, anche dopo una latenza di 40 anni.
Va quindi trattato il carcinoma invasivo della mammella.
Il carcinoma duttale infiltrante126 segue, dopo un variabile intervallo di
tempo, la forma in situ, con presenza di atipie in cellule che invadono uno
stroma fibrovascolare ricchissimo di fibre elastiche (elastosi). Varietà ne
sono la papillare (2%), la solida (principale, fino all’80% dei casi, simplex
o scirroso a seconda della prevalenza della componente proliferativa o
stromale), ed il comedocarcinoma (5%).
Il carcinoma lobulare infiltrante128 (10%) segue dopo un variabile
intervallo di tempo la forma in situ, con presenza di atipie cellulari in
01/0
105
cellule poste “in fila indiana” tra fasci collageni ricchissimi di fibre
elastiche (elastosi).
Si richiamano poi il carcinoma midollare128 (5%), con intensa infiltrazione
linfoide dello stroma e prognosi migliore; il carcinoma mucinoso128 (raro),
ricco di muco, specie in donne anziane, con prognosi migliore; il
carcinoma tubulare128 (raro), ammasso di strutture tubulari, con prognosi
migliore; il carcinoma papillare128 (raro), in cui papille hanno asse
stromale fibrovascolare. Varietà istologiche rarissime128 sono quelle (1) a
cellule chiare (da metaplasia apocrina dell’epitelio duttale o lobulare), (2)
a metaplasia epidermoidale (con presenza di perle cornee), (3) secernente
lipidi, (4) a cellule con anello a castone (ossia di un vacuolo
citoplasmatico che sposta il nucleo).
L’aspetto macroscopico (nelle forme avanzate)157 può essere scirroso (e si
accompagna a diminuzione volumetrica della mammella), midollare (con
aumento volumetrico della mammella per presenza di una massa molle), a
corazza, gelatinoso (mucoide). Il carcinoma infiammatorio si associa ad
eritema ed edema cutaneo (pelle a buccia d’arancia) dovuti ad
embolizzazione dei linfatici del derma sovrastante il nodulo e
linfedema.156
La localizzazione è, nel 70% dei casi, nei quadranti esterni157 e nel 50% in
quelli supero-esterni,156 a causa dell’abbondanza di parenchima in tali sedi.
L’invasione per contiguità si ha nel tessuto adiposo mammario e verso la
cute.128
Le metastasi sono legate, in particolare, al ruolo svolto da due molecole,158
che sono all’attenzione quali possibili mediatori di metastasi e di
organotropismo: (1) il recettore Tyr-chinasi158 simile al recettore 2 dello
human epidermal growth factor (HER-2/neu) -prodotto dall’oncogene cerbB2/HER-2/neu- e sovraespresso nel 20-30% dei carcinomi della
mammella, quelli correlati a prognosi peggiore;158 (2) il recettore per le
chemochine CXCR4 accoppiato alla proteina G.158
Le metastasi possono essere linfatiche;156 in questo caso si individuano i
cosiddetti “primi filtri”.128,157 Essi sono i linfonodi ascellari omolaterali
(più spesso), ca. 20, del pilastro, inferiori, medî e apicali del cavo
ascellare. Vi pervengono attraverso i vasi linfatici dei muscoli grande
pettorale e piccolo pettorale. Inoltre, i linfonodi mammarî interni
(parasternali) omolaterali, intercostali, lungo il margine dello sterno.
Quindi, si hanno gli “ultimi filtri”,128,157 sopraclaveari, nel triangolo della
fossa sopraclavicolare.
Infine,128,157 sono interessati i linfonodi cervicali, quelli mammarî interni
controlaterali e quelli mediastinici, e quindi il sangue venoso.
Le metastasi ematiche156 tendono quindi ad essere più tardive.128,157 Sono
polmonari, molto frequentemente ossee (localizzandosi specie nel midollo
01/0
106
01/0
osseo delle vertebre e del bacino, che lega gli estrogeni), epatiche ed
encefaliche.
Di seguito è riportata la stadiazione con il sistema TNM.156,159 La
stadiazione patologica presuppone l’asportazione della neoplasia primitiva
senza alcuna evidenza macroscopica di tumore sui margini di resezione.156
Se la neoplasia primitiva è invasiva (non microinvasiva) è necessaria la
dissezione dei (>=6) linfonodi ascellari inferiori o la l’adozione della
metodica del linfonodo sentinella per consentire il pN.
stadî
0
I
IIA
IIB
IIIA
IIIB
Tis (DCIS, LCIS, malattia di
Paget)
T1: <=2 cm (<=0.1 cm
T1mic; 0.1-0.5 cm T1a; 0.51 cm T1b; 1-2 cm T1c)
T0: non evidenza
T1
T2: >2-5 cm
T2
T3: >5cm
T0
T1
T2
T3
T4:
T4a estensione a parete
toracica
T4b edema (inclusa buccia
d’arancia) o ulcerazione
della cute
T4c entrambi a e b
T4d carcinoma
infiammatorio
ogni T
TNM
N0: non metastasi
N0
N1: metastasi ai linfonodi
ascellari omolaterali mobili
Identificazione istologica
pN1mi micrometastasi 0.2-2.0mm
pN1a 1-3 ascellari > 2 mm
pN1b mammarî interni > 2 mm
pN1c a+b
N1
N0
N1
N0
pN2a 4-9 ascellari > 2 mm
pN2b identificazione clinica
mammarî interni
N1,N2
ogni N
M0
pN3a >= 10 ascellari o infraclav.
pN3b identificazione clinica
mammarî interni + ascellari
pN3c sopraclaveari
IV
ogni T
ogni N
M1
TX, NX, MX: non definibili (evidenza macroscopica di tumore sui margini di
resezione;156 linfonodi rimossi in precedenza o non asportati).
107
T0, N0, M0: non segni.
M1 comprende la localizzazione nei linfonodi cervicali e mammarî interni
controlaterali.156
Le dimensioni fornite dal patologo riguardano solo la componente invasiva (es., se
intraduttale 4 cm e invasiva 0.3 cm: T1a).156
La classificazione T sarà probabilmente rimpiazzata da una descrizione metrica
continua in cm (es. T0.9, T2.4);81 la classificazione N da un rapporto tra linfonodi
positivi ed esaminati (es. N2/18, N7/22).81
La presenza di cellule isolate o piccoli clusters nei linfonodi tributarî non sono più
interpretate come metastatiche: pN0 (i+),81 al fine di prevenire overstaging ed
overtreatment.
Nel caso di carcinomi bilaterali sincroni, ciascuno va studiato distintamente.156
La sopravvivenza è eccellente se il diametro del tumore è inferiore a 1 cm;
se è superiore a 5 cm vi è necessità di terapia adiuvante sistemica
prechirurgica per diminuirne le dimensioni.18 Rispetto allo stato dei
linfonodi,18 si osservi la seguente tabella di sopravvivenza:
linfonodi
negativi
1-3 positivi
>= 4 positivi
s. libera da
malattia a 10 anni
70%
25%
15%
s.
globale
80%
40%
25%
Se si considerano inoltre le dimensioni della neoplasia, la perecentuale di
sopravvivenza è riportata nel seguente istogramma.
100%
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Nella rappresentazione il diametro della neoplasia primitiva è < 2 cm in 1, 2, 3;
2.0-4.9 cm in 4, 5, 6; >= 5 cm in 7, 8, 9. Il numero di linfonodi positivi è 0 in 1, 4,
7; 1-3 in 2, 5, 8; >= 4 in 3, 6, 9.160
In più dell’80% dei casi il tumore viene riconosciuto dalla paziente stessa
come un nodulo duro, indolente, fisso alla cute che non vi si lascia plicare.
Talvolta si ha dolore, aumento di volume, aumento di consistenza.
È possibile la retrazione/protrusione del capezzolo, mentre più tardive
sono la linfoadenopatia satellite (linfonodi duri, indolenti, talvolta
01/0
108
01/0
linfedema dell’arto), l’ulcerazione della cute –con sangue e pus-, la
comparsa di cute a buccia d’arancia (v. carcinoma infiammatorio), ed il
dolore irradiato a spalla e braccio. Tardivo il dolore osseo alla colonna
vertebrale, dovuto all’azione osteolitica delle metastasi.
Richiamando i concetti espressi in apertura, si ricorda come il rischio
genetico (mutazioni a carico di BRCA1, BRCA2, p53) dia origine ad un
quadro di iperplasia, con sovrastimolazione del ciclo cellulare ed
inibizione dell’apoptosi ad opera degli estrogeni e del progesterone;
mutazioni che interessano il ciclo cellulare (c-erbB2, c-myc) e soprattutto
la comparsa di instabilità cromosomica si associano all’evoluzione a
cancro in situ. Infine, il sopravvenire del danno dei sistemi di riparazione
del DNA e dei fattori di metastasi e di angiogenesi sono alla base
dell’invasione.161
Esiste innanzitutto una distribuzione socioeconomica del rischio: nei Paesi
sviluppati il rischio relativo (RR) è pari a 5.0.79 Circa l’età,18,162 la
probabilità di insorgenza e morte (U.S.A.) è riportata nella seguente
tabella:
età
(anni)
30
40
50
60
70
in 10 anni
insorgenza
morte
0.4%
0.1%
1.6%
0.5%
2.4%
0.7%
3.6%
1.0%
4.1%
1.2%
in 20 anni
insorgenza
morte
2.0%
0.6%
3.9%
1.1%
5.7%
1.6%
7.1%
2.0%
6.5%
1.9%
in 30 anni
insorgenza
morte
4.3%
1.2%
7.1%
2.0%
9.0%
2.6%
9.1%
2.6%
7.1%
2.0%
Il rischio di sviluppare il cancro della mammella (seconda riga), rispetto
all’età (prima riga), è indicato di seguito:163
25
1:
19608
30
1:
2525
35
1:
622
40
1:
217
45
1:
93
50
1:
50
55
1:
33
60
1:
24
65
1:
17
70
1:
14
75
1:
11
80
1:
10
85
1:
9
ever
1:
8
Sono noti gruppi ad alto rischio per familiarità. Il RR=2.0-3.0 se si ha n. 1
parente di primo grado81,109 (madre, sorella, figlia) con carcinoma della
mammella insorto prima dei 50 anni d’età (il RR cresce in base a n.,109
potendo anche superare 6.018). In realtà, 8 donne su 9 con cancro della
mammella non hanno madre, sorella o figlia avente avuto un cancro della
mammella.81 Il rischio relativo è leggermente aumentato se il cancro si è
verificato in parenti più lontane.18 Il 5-10% dei cancri della mammella
avrebbe origine ereditaria.67,161
La prevalenza nella popolazione di BRCA1 è 1/800; in tali casi il rischio
sale all’85%.109 A sua volta, la prevalenza delle portatrici di uno dei due
109
geni mutati del cancro della mammella, BRCA1 o BRCA2, tra i casi di
carcinoma mammario è del 5%.18 BRCA1 risulta particolarmente
frequente nelle donne Ashkenazite, raramente nei casi sporadici;161 la
presenza di una mutazione in BRCA1 o BRCA2 determina una probabilità
di sviluppo del cancro della mammella entro i 70 anni, rispettivamente, del
45-87% e del 26-84% (e di un contestuale aumento di rischio del cancro
dell’ovaio).164 Si tratta pertanto dei più importanti predittori del cancro
della mammella.
Anche i maschi portatori di BRCA2 hanno un rischio aumentato.18
Esistono poi geni autosomici dominanti (con prevalenza 1/300),
responsabili del 5% dei cancri della mammella109 e geni a bassa penetranza
(di difficile identificazione), alla base della maggioranza di tali
neoplasie.109 L’analisi condotta tramite cDNA microarrays ha permesso di
evidenziare un set di circa 70 geni (su 25000) correlati al profilo
prognostico predittivo di insorgenza di metastasi;17,165 un’ipotesi volta a
spiegare le forme ereditarie è quella che prevede la trasmissione di un
allele mutato; nel corso della vita si verificherebbe il danno sul secondo
allele (loss of heterozygosity, LOH) e ciò condurrebbe all’instabilità
genetica ed al cancro.161
L’evidenza mammografica di mammella densa pone un RR superiore a
5.0.81
L’insorgenza nella mammella controlaterale dopo cancro ha RR superiore
a 4.0.81
L’anamnesi di mastopatia fibrocistica, per iperplasia atipica duttale
(benigna con potenziale precanceroso) si associa a RR=4.0-5.0.79
Il menarca precoce, insorto prima di 11 anni, ha RR=3.0;81 la menopausa
tardiva, dopo 54 anni, ha RR=2.081 (la menopausa a 45 anni ha rischio
dimezzato rispetto alla menopausa dopo i 55 anni);164 si osserva come al
momento della menopausa il forte e costante aumento del rischio degli
anni precedenti si riduca a circa 1/6.164 La prima gravidanza dopo i 30 anni
ha rischio 2-5 volte superiore ad una prima gravidanza a 18 anni;164 per il
primo parto dopo i 40 anni il RR=3.0;18 le nullipare hanno RR
corrispondente a quello del primo parto a 30 anni.81 Molti dei fattori di
rischio si associano all’aumentata lunghezza del periodo di esposizione
agli estrogeni, compresa l’esposizione ad alte concentrazioni di questi
ormoni nel periodo intrauterino. Si ricorda come dopo la menopausa gli
androgeni siano aromatizzati ad estrogeni da parte del tessuto adiposo.164
Anche allattamento e parità intervengono sul rischio; il RR diminuisce di
4.3% ogni 12 mesi di allattamento,81 in aggiunta al 7.0% di riduzione per
ogni nascita.81 Nelle donne con una gravidanza il rischio è ridotto del 25%
rispetto alle nullipare.164
Circa i contraccettivi orali (v.), si ha un modesto aumento del rischio
associato (RR=1.2);81,164 in particolare, se assunti prima di 20 anni,18
01/0
110
durante il periodo di assunzione a qualsiasi età per dieci anni, con
diminuzione nei dieci anni successivi alla sospensione.18,81
Anche la terapia estrogenica sostitutiva in post-menopausa (v.) si correla
ad un modesto aumento del rischio (RR=1.7);81,164 esso cresce tanto più è
protratta l’assunzione e scompare dopo cinque anni dalla sospensione.81
Molto studiato il ruolo dell’alcool:78,164 il 7% dei cancri della mammella
nel mondo sono ad esso attribuibili;36 il consumo giornaliero di 10 g di
CH3CH2OH aumenta il rischio del 9%, con 30-60 g aumenta il rischio del
41%.36
Un BMI elevato in postmenopausa si associa ad un RR=2.0 (non in
premenopausa, allorchè sembra addirittura protettivo, in funzione
dell’aumento dei cicli anovulatorî e delle irregolarità mestruali).81 Il
rischio relativo rispetto alle donne con BMI<25 è, rispettivamente, 1.34
(per BMI: 25-29.9), 1.63 (per BMI: 30-34.9), 1.70 (per BMI: 35-39.9) e
2.12 (per BMI >=40).164 Secondo la IARC il 25% dei cancri della
mammella è dovuto al sovrappeso ed alla vita sedentaria;164 il rischio
diminuisce del 30-40% per 3-4 ore di esercizio fisico settimanale.164 La
combinazione BMI + sedentarietà + alcol ha PAF=27%.28
L’esposizione a radiazioni ionizzanti, specialmente in pubertà, aumenta il
rischio; a partire da 10 anni d’età il RR=3.0.81 È stimato che l’1% dei
cancri della mammella sia dovuto alla mammografia diagnostica.166
Circa un ruolo svolto dalla dieta, un tempo assai enfatizzato (grassi), va
detto che recenti metanalisi non hanno evidenziato associazioni.81
Contrariamente a ciò, studî condotti in Europa meridionale hanno messo in
luce come il consumo di acidi grassi monoinsaturi, specialmente presenti
nell’olio d’oliva, riduca il rischio.167
Lo screening mammografico si effettua attraverso la mammografia. Il
grado di evidenza dei vantaggi, secondo il National Cancer Institute
(U.S.A., 2005), è variabile, potendo ridurre la mortalità da cancro della
mammella in funzione dell’incidenza della neoplasia e dell’aspettativa di
vita della donna sottoposta a screening. Circa gli svantaggi, la stessa fonte
riferisce di un elevato grado di evidenza rispetto all’individuazione di
lesioni benigne o in situ che non diverrebbero clinicamente significative e
che espongono la donna a overdiagnosis e overtreatment; inoltre è
richiamata la possibilità di non identificare cancri in mammelle radiodense
e cancri rapidamente evolutivi.
L’evidenza dell’efficacia dello screening mammografico è stata ottenuta
grazie a otto RCT, a partire dal 1963.100
Nella Regione Piemonte è in atto da alcuni anni un programma di
screening dei tumori della mammella denominato Prevenzione Serena;
l’esecuzione dello screening mammografico da parte di tutte le donne
eleggibili in Piemonte consentirebbe di evitare 150 morti all’anno per
01/0
111
cancro della mammella. Esso riduce la mortalità del 30% (tra 50 e 69
anni)6,75 e permette trattamenti conservativi sulla mammella con vantaggi
cosmetici e psicologici.109
Non c’è evidenza scientifica per uno screening esclusivamente basato
sull’esame clinico o sull’autopalpazione della mammella; in studi ad hoc
circa il 40% dei tumori sono stati evidenziati dalla mammografia e non
dall’esame fisico.18,75
La copertura completa italiana consentirebbe di evitare in 30 anni 48000
morti, con un costo dello 0.2% della spesa sanitaria nazionale (30000 –
45000 Euro/vita salvata).6
Circa l’eleggibilità,115,117 sono invitate allo screening le donne residenti di
età compresa tra 50 e 69 anni,6 con un intervallo di rescreening pari a 2
anni6 (tali età e frequenza sono raccomandate dalla Commissione della
C.E., dall’U.I.C.C., dal C.N.R., dall’A.I.R.C., dalla Commissione
Oncologica Nazionale).75,116,136,168 Le donne di 45-49 anni possono
usufruire del programma aderendo spontaneamente; a breve per queste
sarà previsto un intervallo di 1 anno. Circa l’efficacia sotto ai 50 anni di
età, uno studio europeo ha evidenziato come il rischio cumulativo nella
fascia 40-49 anni corrisponda all’1.5% (1/68 donne in fascia d’età), con
una mortalità specifica pari al 20% nella fascia d’età. Ad una bassa
prevalenza della lesione corrisponde, come è stato anticipato, un basso
VPP; alcune linee guida suggeriscono di scoraggiare in quest’ambito lo
screening opportunistico.75 Mentre nella fascia 50-69 anni le metanalisi
degli studî disponibili confermano i beneficî, questi appaiono più modesti
nelle quarantenni:100 tra 40 e 49 anni alcuni RCT hanno dimostrato
l’assenza di un beneficio dello screening per 5-7 anni dopo l’ingresso.169
Se il NNT (qui NN to screen) per prevenire 1 decesso da carcinoma della
mammella dopo 14 anni di osservazione è 1224, nella fascia d’età di 40-49
anni esso sale a 1792.170 Peraltro, nella fascia d’età inferiore, in ragione del
fatto che il lead time è generalmente più breve, le linee guida americane
prevedono un intervallo di rescreening di 1 solo anno.100
I criterî di esclusione117 sono stabiliti dai singoli progetti; oltre alla
bimastectomizzazione, discrezionalmente saranno considerati il follow up
oncologico e la malattia terminale.
Le richieste di autoesclusione, per qualunque ragione, dovranno venire
espresse in forma scritta.
Il I livello dello screening mammografico in Prevenzione Serena prevede
l’invio di una lettera di invito con opuscolo illustrativo e, in caso di
mancata presentazione, di un sollecito.115,117 Non è richiesta l’impegnativa
ed è prevista l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria.116
Il test consiste nell’esecuzione di una mammografia in 2 proiezioni6
(obliqua medio-laterale e cranio-caudale).117,171
01/0
112
La mammografia, nella mammella densa81,110 giovanile171 diminuisce in
accuratezza, per lo scarso contrasto radiologico.81,110,171 Gli elementi
evocativi di malignità saranno la disomogeneità dell’opacità, l’irregolarità
dei contorni, la presenza di microcalcificazioni irregolari ed isolate, anche
in assenza di un nodulo.171
L’esposizione ai raggi X è trascurabile (la dose media assorbita è inferiore
a 5 mGy);109 sono eseguiti controlli periodici di fisica sanitaria (minor
dose ad assistita si può avere grazie ad ottimizzazioni di trattamento della
pellicola e di visualizzazione delle immagini sul diafanoscopio).84,109
La refertazione avviene in doppio cieco, ad opera di due radiologi; nelle
conclusioni del I livello prevarrà l’esito peggiore.
In caso di negatività della mammografia, all’assistita viene inviata una
comunicazione in tal senso con l’informazione circa un successivo invito
da parte del Programma a distanza di due anni.
L’approfondimento di II livello per mammografia positiva o sospetta per
cancro117 in Prevenzione Serena prevede una convocazione telefonica da
parte del centro, di un sollecito in caso di mancata presentazione
all’appuntamento per l’esecuzione dell’esame clinico e, a seconda, di
ingrandimenti (mammografo con microfuoco), ecografia o prelievo (su
guida clinica, ecografica o stereotassica –necessaria la presenza del
citopatologo per una prima lettura immediata-).
L’ultrasonografia (ecografia) è fondamentale in caso di tessuto mammario
denso e per distinguere le lesioni solide da quelle cistiche;81,110 le forme
scirrose, tipicamente irregolari, proiettano un’ombra acustica posteriore
per l’intenso assorbimento del fascio.171 Si ricorda come l’ecografia non
presenti le caratteristiche per rappresentare il test di screening.172
La citologia81 offre una conferma della diagnostica per immagini e si attua
tramite un agoaspirato ecoguidato.
La core biopsy (più utile conferma istologica della diagnostica per
immagini) consisterà in agobiopsia o biopsia a cielo aperto o biopsia
escissionale (se il tumore è piccolo). La biopsia sotto controllo
stereotassico migliora l’accuratezza diagnostica.
Importante l’esame del campione bioptico per la presenza di recettori81 per
gli estrogeni (RE) e per il progesterone (RP), proteine citoplasmatiche
(dosaggio delle proteine leganti gli steroidi o Estrogen Receptor
Immunochemical Assay). Circa 2/3 sono RE+, specialmente in postmenopausa (risultando maggiormente sensibili alla terapia endocrina e con
prognosi migliore). Funzionalmente è analogo il discorso per i RP. Il
campione bioptico è esaminabile per ploidia e frazione cellule in fase S
(aneuploidia ed elevata frazione, sono inversamente legate alla prognosi),
e per espressione del recettore 2 dello human epidermal-growth-factor
(HER-2/neu).81,158
01/0
113
All’ipotesi diagnostica seguirà una raccomandazione,117 che potrà
consistere nel rinvio al successivo round di screening, nella previsione di
una mammografia anticipata (raramente, ed eccezionalmente inferiore a 1
anno di distanza), nella biopsia chirurgica, nell’intervento chirurgico od
altra terapia. Per le ipotesi chirurgiche saranno raccomandati i centri di
riferimento.
La biopsia chirurgica sarà seguita dalla radiografia sul pezzo operatorio, la
cui copia va archiviata nell’archivio dello screening.
Si ricorda come la RMN rappresenti oggi un problem-solving dopo le
procedure convenzionali, e come la PET risulti utile per identificare
metastasi a distanza.81
L’identificazione, grazie allo screening, di tumori primitivi screen detected
sempre più piccoli, ha fatto crescere l’esigenza di un’evoluzione dalla
chirurgia demolitiva a quella conservativa. La dissezione ascellare
completa (ad esempio, col problema del linfedema dell’arto) è evitabile
attraverso la tecnica di biopsia del linfonodo sentinella81 per la valutazione
dell’assenza di metastasi ascellari. Il giorno precedente l’intervento è
prevista l’iniezione ad esempio di tracciante radioattivo nel derma o nel
parenchima paratumorale; a seguito della sua migrazione linfatica, dopo
30’ è evidenziabile in scintigrafia il linfonodo sentinella. All’intervento
chirurgico una sonda radioguidata capta il segnale e lo traduce in segnale
acustico o su display, consentendo l’individuazione della proiezione
cutanea per la sede di incisura; ciò permette la rimozione del linfonodo
sentinella e l’invio ad istologia intraoperatoria (sezioni seriali, es. >60
sezioni ad intervalli di 50 µm);81 la diagnosi è possibile in ca. 40’ ed il
trattamento è conseguente. Anche i linfonodi mammarî interni potranno
essere investigati durante l’intervento chirurgico.81
Circa la terapia, si rimanda a trattazioni specifiche.
Dopo l’intervento chirurgico od una biopsia a cielo aperto è previsto118 un
follow up, con un periodismo a partire da 1 anno di distanza e,
annualmente, per i successivi 5 anni se il tumore era maligno.
Circa il quality assessment dello screening mammografico, per gli indicatori
di processo, si riportano nello schema seguente alcuni indicatori e standard,
con i relativi riferimenti bibliografici (B).
La teoria relativa all’efficacia dello screening ed agli indicatori di processo
è stata trattata nella parte generale e ad essa si rimanda per una maggiore
comprensione.
01/0
114
INDICATORE
STANDARD
ACCETTABILITÀ
DESIDERABILITÀ
per classi età 5-10 anni
(incidenza)
(mortalità)
(stadiazione alla
per classi età
diagnosi)
registrare 1. diametro (mm) 2. differenziazione
(classificazione TNM) (grading);
tanto più spostata vs. stadî avanzati, tanto più
beneficio atteso
(copertura
tasso mammografie spontanee (campione /
mammografia)
indagine radiologie)
% inviti inesitati
inviti
100% (50% annuo)
(partecipazione)
per (variabili) classi età, stato civile, luogo
nascita, ecc.
adesione grezza
= rispondenti / inviti-inesitate %
adesione corretta
= rispondenti / inviti-inesitate-segnalazioni mx
recente %
copertura/eleggibili % =
50%
70%
adesione
>60%
>75%
tempo tra mammograf.
85%
90%
e registraz. ref. negat.
entro 30 gg
entro 21 gg
tempo tra mammograf.
85%
85%
e approfondimento
entro 21 gg
entro 15 gg
richiami per approf. =
<4%
<2%
richiamate/aderenti %
tasso di richiamo
<7%
<5%
citologia “inadeguato”
<25%
<15%
mammografia: specificità = totale negativi screening/rispondenti – cancri
esami non invasivi: specificità (v. sopra)
esami invasivi: specificità (v. sopra)
mammografia: V.P.P. = cancri / positivi screening
esami non invasivi: V.P.P. (v. sopra)
esami invasivi: V.P.P. (v. sopra)
tempo tra indicazione
>=80%
>=80%
a chirurgia e chirurgia
entro 4 settimane
entro 3 settimane
detection rate
3 incidenza attesa
>3 incidenza attesa
detection rate invasivi
>3 incidenza attesa
dr = cancri/aderenti ‰
> 3.5‰ (in situ + invasivi)
invasivi <= 10 mm
25% invasivi
30% invasivi
dr <= 10 mm ‰
1.5‰
biopsie benigne
<5/1000 screenate
<4/1000 screenate
biopsie ben./maligne
<1
<0.5
biopsie chir. benigne /
1/1
0.5/1
biopsie chir. maligne
01/0
B.
173
173
173
173
173
117
173
117
117
117
173
10
10
173
173
173
173
173
173
174
117
117
173
117
173
117
117
173
115
rapporto ben./mal.
<=0.5/1
<=0.2/1
>= stadio II / cancri %
< 30%
n. e % linfonodi
diagnosi preoperatoria
>=70%
C5 o B5 nei cancri*
disponibilità grado
>=95%
disponibilità RE
>=95%
tasso di identificazione
>=90%
linfonodo sentinella
linfon. asportati >=10
>=95%
interv. conservat. pT1
>=85%
cons. CDIS <=20 mm
in fase di valutazione
esecuz. congelatore
<=5%
lesioni diam. <=10mm
RX in 2 proiez. pezzo
>=95%
oper. lesioni non palp.
margini indenni in
>=95%
intervento definitivo
mastectomie in benig.
0%
P (indiv. a passaggio
> 1.5
>2
screening) / I (attesa in
base a pregressa); possib. distors. sovradiag.
cancri intervallo
n. interventi chirurgi>100 (ottimale >300)
ci/anno nella struttura
*cancro invasivo accertato biopticamente (B5) o citologicamente (C5).
01/0
174
173
173
174
174
174
174
174
174
174
174
174
174
174
173
173
174
I programmi organizzati devono monitorare la qualità della chirurgia nei
casi screen detected.83 S.Q.T.M. (Scheda computerizzata sulla Qualità del
Trattamento del carcinoma Mammario) è un software che si propone di
facilitare il monitoraggio della qualità della diagnosi, della terapia e del
follow up del carcinoma mammario / lesioni benigne e di monitorare gli
indicatori di efficacia dello screening. Il Progetto è coordinato dal Centro
di Riferimento Regionale per l’Epidemiologia e la Prevenzione
Oncologica (C.P.O.-Piemonte) ed è attuato dall’Unità di Valutazione ed
Organizzazione dello Screening per il Gruppo Italiano per lo Screening
Mammografico (GISMa).
Gli indicatori di processo relativi ai singoli programmi vengono raccolti
annualmente su base nazionale da parte del GISMa. La survey GISMa
relativa all’anno 2002175 ha fornito, per i programmi italiani, i seguenti
risultati:
116
primi esami
adesione grezza all’invito
adesione corretta all’invito
tasso di richiamo
rapporto B/M
DR totale
DR <=10mm
in situ
7.7%
0.3%
7.2‰
2.0‰
11.9%
01/0
esami successivi
57.0%
60.9%
4.7%
0.3%
5.1‰
1.7‰
15.6%
La survey GISMa relativa all’anno 2003176 ha fornito, per i programmi
italiani, i seguenti risultati:
primi esami
adesione grezza all’invito
adesione corretta all’invito
tasso di richiamo
rapporto B/M
DR totale
DR <=10mm
in situ
7.8%
0.33%
6.5‰
1.5‰
14.5%
esami successivi
59.5%
63.7%
4.5%
0.23%
5.1‰
1.4‰
15.8%
Grazie a S.Q.T.M. sono stati resi disponibili i seguenti indicatori relativi
all’anno 2002177 ed all’anno 2003:178
tasso di identificazione del linfonodo sentinella
linfonodi asportati >=10
non esecuzione congelatore lesioni diam. <= 10 mm
conservativa nei CDIS <=20 mm
conservativa in invasivi <=20 mm
escissione a prima biopsia chirurgica
no dissezione ascellare in CDIS
2002
95.9%
93.9%
61.9%
89.0%
88.8%
98.6%
92.0%
2003
96.0%
92.8%
72.8%
88.5%
91.1%
99.2%
89.6%
L’attività dell’anno 2004 nel dipartimento di screening oncologico
corrispondente alla provincia di Cuneo, studiata e trasmessa al GISMa da
parte dell’U.V.O.S. grazie all’analisi S.Q.T.M., ha messo in luce inoltre
come per i casi screen detected fra le 21979 donne sottoposte a screening
nel corso dell’anno sia possibile operare un’analisi i cui risultati più
salienti vengono di seguito riportati:
n. tumori benigni
cancri maligni + inoperabili
DR totale
30
147
6.7‰
(analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte)
117
ben.
mal.
preop.
citol.
preop.
micro
istol.
P.E.
7
65
20
30
S.
9
54
30
16
A.S.
7
7
8
4
TOT.
23
126
58
50
P.E. primi esami in 50-69 anni
S. esami successivi in 50-69 anni
A.S. adesioni spontanee in 45-49 anni
*inoperabili
preop.
c+mi
*
15
16
3
34
0
0
1
1
01/0
invasivi
con chir.
conservat.
<=20
tutti
mm
37
43
36
33
2
2
75
78
(analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte)
T
pT is
lob.
pT is
dutt.
pT1
mic.
pT1a
pT1b
pT1c
pT2
pT3
pT4
P.E.
S.
A.S.
P.E.
S.
A.S.
P.E.
S.
A.S.
P.E.
S.
A.S.
P.E.
S.
A.S.
P.E.
S.
A.S.
P.E.
S.
A.S.
P.E.
S.
A.S.
P.E.
S.
A.S.
P.E.
solo l.
sent.
0
0
0
4
4
0
1
2
0
2
3
0
5
10
0
17
9
1
1
1
0
0
0
0
0
0
0
0
Ndissez.
ascell.
0
0
0
0
0
0
1
1
0
1
1
0
4
3
0
6
1
1
3
2
1
0
0
1
3
0
0
0
modal.
ignota
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
N+
Nx
M+
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
3
0
3
3
1
2
0
0
0
0
0
1
1
0
0
2
1
0
7
6
2
0
0
0
0
0
0
0
1
0
1
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
TOT
3
23
5
7
27
44
10
1
5
118
pTx
S.
A.S.
P.E.
S.
A.S.
0
0
0
ignoto
0
0
TOT
60
dati analizzati per 125 casi.
0
0
0
0
0
29
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
15
0
0
0
0
0
21
0
0
0
0
0
0
01/0
0
0
125
(analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte)
È interessante osservare come ben 109 dei 125 casi screen detected di
Prevenzione Serena nel corso del 2004 siano risultati pT1 e solo 16 pT2+.
Prevenzione del cancro del colon-retto (grosso intestino)
Grazie al maggior sviluppo della tonaca muscolare, la parete dell’intestino
crasso15,126,127 presenta uno spessore maggiore (1,5-4,0 mm) di quella del
tenue. La tonaca mucosa, priva di villi intestinali, offre rilievi (pieghe
semilunari di mucosa, sottomucosa e strato circolare della muscolare)
dovuti alla brevità della tonaca muscolare rispetto alla lunghezza
dell’organo. L’epitelio di rivestimento risulta batiprismatico, costituito da
enterociti simili al tenue e da cellule caliciformi mucipare, con
invaginazioni ghiandolari (cripte del Lieberkühn). Con la migrazione
cellulare verso la superficie si verifica il completo ricambio dell’epitelio
intestinale nell’arco di 5 o 6 giorni.179 Nella lamina propria sono indovati i
numerosi noduli linfatici solitarî. Oltre i fascetti della muscolaris mucosae
è la tonaca sottomucosa, che accoglie il plesso nervoso sottomucoso di
Meissner e noduli linfatici più voluminosi. La tonaca muscolare (tessuto
muscolare liscio) accoglie il plesso nervoso mioenterico di Auerbach. La
tonaca sierosa è rappresentata dal peritoneo; la parete posteriore del colon
ascendente e di quello discendente, non rivestitene, sono a diretto contatto
col retroperitoneo, mentre il trasverso è collegato tramite il mesocolon al
pancreas e, anteriormente, col legamento gastrocolico, allo stomaco.
L’ampolla rettale15,126,127 ha struttura simile al crasso, ma con muscolare
più spessa e tonaca avventizia (di tessuto connettivo fibrillare denso: fascia
del retto). Nel canale anale15,126,127 l’epitelio di rivestimento è pavimentoso
stratificato e scompaiono le ghiandole intestinali. Il plesso venoso
emorroidario occupa la tonaca sottomucosa. La tonaca muscolare
costituisce lo sfintere liscio dell’ano, che si pone in basso in rapporto con
quello striato. Manca una precisa avventizia, essendo il connettivo
periviscerale attraversato da varî fasci muscolari perineali.
119
01/0
Il cancro del colonretto è, in circa il 95% dei casi, un adenocarcinoma, un
cancro gelatinoso nel 5% delle volte, oppure una forma
indifferenziata.18,128
Circa la sede128,157,180 la localizzazione interessa il cieco-ascendente nel
10%, il discendente nel 10%, il sigma in oltre il 20% ed il retto in più del
40% dei casi. Nell’1-5% delle situazioni si hanno tumori sincroni.171
Approssimativamente nei 2/3 interessa sigma e retto.181
L’aspetto macroscopico nelle forme avanzate157 può essere vegetante, con
protrusione nel lume (può torcersi generando necrosi, ulcerazione)
specialmente a destra (ove le feci sono liquide); colloide (gelatinoso),
caratterizzato dalla forte presenza mucoide; scirroso, con retrazione
fibrocicatriziale sul lume specialmente a sinistra (ove le feci sono solide);
ulcerativo, anch’esso più comune a sinistra.
Procede con infiltrazione per contiguità128,157,180 a strutture adiacenti ed
eventuale fistolizzazione. Interessa il peritoneo (con possibile diffusione
tipo Krukenberg), il tenue, lo stomaco, il fegato, la milza, l’uretere, la
vescica.
Le metastasi ematiche128,157,180 interessano più spesso il fegato, ed il
polmone (per il terzo inferiore del retto, interessato dal plesso
emorroidario medio/inferiore). Per discontinuità è possibile un
interessamento metastatico di un diverso segmento intestinale.182
Quelle linfatiche128,157,180 si portano: a partire da cieco, colon ascendente,
colon trasverso (terzi destro e medio), ai linfonodi ileociecali, colici destri
e colici medi; di qui ai mesenterici superiori. A partire da colon trasverso
(terzo sinistro), colon discendente, colon sigmoideo, ai linfonodi colici
sinistri e sigmoidei; di qui ai mesenterici inferiori. Topograficamente, i
linfonodi interessati saranno quelli epicolici (siti nella parete del colon), i
paracolici (tra il margine del colon e l’arcata arteriosa di Riolano), gli
intermedî (nel mesocolon, lungo le arterie coliche), i principali (presso
l’aorta, all’origine delle arterie ileocolica, coliche destra, media, sinistra,
sigmoidea e lungo le arterie mesenteriche superiore e inferiore).
Dal retto saranno interessati i linfonodi emorroidari superiori e gli
ipogastrici; di qui gli iliaci comuni.
Di seguito è riportata la stadiazione con il sistema TNM, la percentuale di
sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi (%) e la tradizionale classificazione
di Dukes (D), meno precisa nell’identificazione dei sottogruppi
prognostici:65,179,182
stage
0
I
TNM
Tis
T1: invasione a tonaca sottomucosa
attraverso la muscolaris mucosae
T2: invasione a tonaca muscolare
N0
N0
M0
M0
%
80-95
D
/
A
120
IIA
IIB
IIIA
IIIB
IIIC
T3: invasione a subsierosa
o tessuti pericolici o perirettali
non rivestiti da peritoneo
T4: invasione di altri organi /
strutture e/o perforazione
peritoneo viscerale
T1
T2
T3
T4
ogni T
01/0
N0
M0
72-75
N0
M0
65-66
N1
1-3 l.
N1
M0
55-60
M0
35-42
N2
>=4 l.
ogni N
M0
25-27
B
C
IV
ogni T
M1
0-7
/
TX, NX, MX: non definibili.
T0, N0, M0: non segni.
Tis: cancro in situ: intraepiteliale o nella lamina propria, sinonimo di displasia
severa, privo di rischio significativo di sviluppo di metastasi.179,182
Circa N è necessario analizzare da 7 a 14 linfonodi; spesso si ha la sottostadiazione
della malattia per mancato riconoscimento di linfonodi con piccole metastasi;179 il
College of American Pathologists suggerisce un numero di 12-15 linfonodi per
definire N0.183
M1 comprende la localizzazione nei linfonodi iliaci.
Circa l’epidemiologia del rischio65,179 del cancro del colon retto (CCR),
nella popolazione non sottoposta a screening con età pari o superiore a 50
anni, la probabilità di presentare un CCR è 0.5-2.0%, una forma in situ
1.0-1.6%, un adenoma superiore a 10 mm 7-10%, un adenoma di
qualunque diametro 25-40%.179
Il rischio generico di insorgenza di CCR nel corso della vita77 corrisponde
a 3.9% nel maschio e 2.5% nella femmina; la comparsa entro dodici mesi,6
a 1/1800 a 50 anni, a 1/800 a 60 anni nella femmina, a 1/550 a 60 anni nel
maschio. L’incidenza massima (90%) si ha tra 55 e 70 anni.77,181
Rispetto alla genetica molecolare di queste neoplasie si veda quanto
riportato nella parte generale circa le gatekeeper e caretaker pathways.
Di questa neoplasia si conoscono forme sporadiche, forme ereditarie e
forme in malattia infiammatoria cronica intestinale.
Le forme sporadiche rappresentano l’88-94% del totale.65
Si associano a età avanzata, sesso maschile, stile di vita sedentario (il
meccanismo non è chiaro),179 eccesso di alcool (non grande, forse per
interferenza dell’acetaldeide sul metabolismo dei folati),179 fumo,179
obesità (l’aumento del BMI può portare fino al raddoppio del RR),179
diabete mellito, storia di irradiazioni o di cancro di piccolo intestino,
ovaio, endometrio, mammella.65
Risulta incriminata anche la dieta povera65 di fibre –frutta e vegetali
(vitamine antiossidanti C, A, E)-, folati,179 calcio179 e ricca65 di carne e
121
grassi. In effetti, studî recenti hanno posto in discussione il classico
teorema del rapporto tra assunzione di fibra ed insorgenza di
adenomi/CCR.179,184-6 La fibra contiene polisaccaridi e lignina, resistenti
all’idrolisi enzimatica digestiva; può essere solubile in acqua (frutta,
vegetali) o insolubile (buccia di frutta e vegetali, grano intero, cereali) e
viene fermentata dalla flora batterica del colon. Con il proprio effettomassa, essa diminuisce il tempo di transito intestinale; inoltre la fibra può
direttamente legare molecole cancerogene.187 Un’analisi combinata di
tredici studî caso-controllo ha evidenziato la possibilità di stimare che,
nella popolazione U.S.A., il rischio di CCR sarebbe ridotto del 31% grazie
ad un aumento medio dell’assunzione di fibre di circa 13 g/die,
corrispondente ad un incremento del 70%.188 Le fibre diminuiscono il
tempo d’effetto in loco dei cancerogeni assunti con alimenti, ma
specialmente prodotti dalla flora batterica a partire dall’aumentata
escrezione di acidi biliari nelle diete ricche di grassi.189 Sembra maggiore
l’associazione col consumo di carne rossa piuttosto che con i grassi in
quanto tali, con un ruolo possibile legato anche al tipo di cottura; non
aumenterebbe il rischio il consumo di carne bianca. Altre teorie insistono
sul fatto che i grassi sarebbero metabolizzati a cancerogeni da parte dei
batteri intestinali.179 Non sarebbe dimostrata una relazione tra fibre e
insorgenza di adenoma.187
Il cambiamento dello stile di vita (prevenzione primaria) rappresenterebbe
la più importante forma di prevenzione del cancro del grosso intestino.65
Quasi venticinque anni fa venne assunto che il 35% delle morti di cancro
negli U.S.A. sarebbe stato prevenibile attraverso modificazioni della
dieta.29,184,185 Frutta e vegetali hanno un contenuto ricco di molecole
anticancerogene, quali antiossidanti, minerali, fibre, potassio, carotenoidi,
acido ascorbico, folati ed altre vitamine. Nel 1997 il World Cancer
Research Fund e l’American Institute for Cancer Research riportarono in
un documento congiunto che diets high in vegetables and fruits decrease
the risk of many cancers, and perhaps cancer in general; tuttavia, come
anticipato in precedenza, negli ultimi anni, l’essersi resi disponibili molti
studî di coorte ha in parte ridimensionato tale entusiasmo che era
largamente basato su studî caso-controllo i quali, in quest’ambito di
ricerca, possono essere affetti da un bias di informazione (social
desiderability bias) generato dai soggetti che esprimono un overeporting
di consumo di alimenti salutari ed un undereporting di quelli dannosi.184
Particolare attenzione è stata posta sul ruolo dei folati, che sostengono
diverse azioni riparative sul DNA, e sui carotenoidi, ad azione
antiossidante; si ricorda come i primi possano venire largamente
danneggiati dalle fasi di preparazione dei cibi e dalla cottura. La
combinazione BMI + sedentarietà + scarso consumo di frutta e verdura ha
PAF=15%.28
01/0
122
Circa la storia personale di neoplasia intestinale, assumono un ruolo di
rilievo l’anamnesi patologica di adenomi65 e di un CCR (in cinque anni, il
rischio di insorgenza di un secondo CCR è pari all’1.5-3.0%).63 Rispetto
all’anamnesi patologica familiare, essa è positiva per il 20% dei CCR,
dove i criterî classici per le forme ereditarie non sono soddisfatti ma il
rischio relativo assume valori importanti: per un CCR in n. 1 parente di
primo grado, RR=2.3;65 per un CCR in n. 2 o più parenti di primo grado,
RR=4.25;65 per un caso indice di CCR inferiore a 45 anni, RR=3.9;65 per
una storia familiare di adenoma del colonretto, RR=2.0.65 Un ruolo
fondamentale sarebbe svolto dal polimorfismo genetico, specialmente a
carico della glutatione-S-transferasi, dell’etilenetetraidrofolato reduttasi e
delle N-acetiltransferasi.179
Lesioni precancerose sono considerate gli adenomi.128,157,180 Si tratta delle
più frequenti neoplasie di crasso e tenue, specialmente del retto e del
sigma; considerando anche quelli molto piccoli, sono identificabili fino al
50% delle autopsie.18 Presentano morfologia poliposa (“polipi”, termine
clinico senza alcun significato patologico) e sono sessili o peduncolati;
possono originare dalle ghiandole di Lieberkühn e dall’epitelio di
rivestimento intestinale.
Sul piano epidemiologico, gli adenomi intestinali presentano un picco di
prevalenza a livello di retto e sigma all’età di 60 anni; quindi l’incidenza
resta costante.181 Oltre l’80% dei CCR distali deriva da polipi
adenomatosi.181 Per le combinazioni più sfavorevoli delle caratteristiche
isto-morfologiche, il rischio di trasformazione di un adenoma avanzato
può raggiungere il 37% all’anno.181
Si distinguono gli adenomi tubulari, quelli villosi e quelli tubulo-villosi.
Gli adenomi tubulari sono frequenti, solitarî o multipli. Presentano
diametro intorno a 1 cm e superficie liscia/lobulata. Sono asintomatici a
lungo, o provocano genericamente addominalgie; se localizzati in sigmaretto è possibile si verifichi la loro procidenza durante la defecazione e la
successiva riduzione; comuni risultano l’anemia ipocromica sideropenica e
la presenza di sangue/muco; una complicanza possibile è rappresentata
dall’invaginazione colo-colica.
Gli adenomi villosi (“papillomi”) sono rari, solitari, in sede rettosigmoidea
quasi esclusivamente in anziani. Hanno diametro maggiore rispetto ai
precedenti, fino a 10 cm, e superficie villosa. Presentano maggior tendenza
a cancerizzare. Sono a lungo asintomatici, fino (allorché molto grandi) alla
comparsa di mucorrea (scariche specialmente al mattino per accumulo
notturno nell’ampolla rettale, consistenti fino a 2 l/die, con possibile
ipokaliemia, iponatriemia, shock ipovolemico, iperazotemia ed
insufficienza renale acuta su base funzionale), anemizzazione; non si
accompagnano ad addominalgie.
01/0
123
Gli adenomi presentano un quadro di displasia dell’epitelio di rivestimento
di grado lieve, medio o grave (comprendente il carcinoma in situ);
l’invasione dell’asse stromale fibrovascolare si ha per superamento della
membrana basale e della lamina propria con estensione, oltre alla
muscolaris mucosae, alla tonaca sottomucosa.128,182
Le forme ereditarie costituiscono il 5-10% dei casi.65 Di esse si ricordano
la poliposi adenomatosa familiare (FAP), alla base di circa l’1% dei CCR,
a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata dalla comparsa di
centinaia/migliaia di polipi densamente tappezzanti colon e retto, nella
metà dei casi entro i quindici anni d’età, con tendenza alla degenerazione
prossima al 100% entro i 40 anni.65,128,157,180 Nella FAP viene ereditato un
gene APC mutato; nel corso della vita, i soggetti portatori vanno incontro
alla mutazione dell’allele, con la conseguente accelerazione del processo
di cancerizzazione.179
Si ricorda poi la sindrome di Gardner, variante della precedente, associata
ad osteomi del cranio, fibromi della cute, ecc.15,74,75,76 Nella sindrome di
Peutz Jegers, autosomica dominante, i polipi sono più distanziati,
specialmente nel tenue; è associata ad iperpigmentazione cutanea e
mucosa, specie orale, con bassa tendenza alla degenerazione.126,155,178 La
sindrome di Turcot riconosce una modalità di trasmissione autosomica
recessiva, è analoga alla FAP e si associa a neoplasia cerebrale.128,157,180
L’hereditary nonpolyposis colorectal cancer, HNPCC, alla base del 3% dei
CCR, a trasmissione autosomica dominante, presenta un rischio aumentato
di cancro senza poliposi associata; in questa forma il CCR compare in
media all’età di 44 anni.65
Circa la sequenza da adenoma a cancro colorettale si veda, nel paragrafo
sulla genetica molecolare, il modello relativo alle gatekeeper e caretaker
pathways.
Le forme in malattia infiammatoria cronica intestinale sono alla base
dell’1-2% dei CCR.65 Circa la rettocolite ulcerosa, il rapporto di mortalità
proporzionale per CCR è pari a 1/3. Il rischio cresce in funzione della
durata della malattia 65 ed è pari al 2% dopo 10 anni, all’8% dopo 20 anni
ed al 18% dopo 30 anni. A dieci anni dall’esordio il rischio si stabilizza sul
valore di 0.5-1.0%/anno.18 Rispetto al morbo di Crohn, il rischio risulta
simile.65
Il CCR procede con uno sviluppo lento, per cui necessita di molto tempo
prima di produrre la sintomatologia. Questa è assai legata alla sede della
neoplasia. Brevemente, a livello del cieco prevalgono i sintomi di colite e
si ha comparsa di sangue occulto nelle feci, con anemia ipocromica
sideropenica (ed astenia); nel colon destro si ha un quadro di colite, con
sangue occulto fecale, anemia ipocromica sideropenica (ed astenia) e
sangue misto a muco nelle feci (spesso i sintomi sono più subdoli); nel
colon sinistro si osserva colite, anemia ipocromica sideropenica (astenia),
01/0
124
sangue verniciante le feci, con modificazioni dell’alvo per alternanza di
costipazione e diarrea. In genere si ha palpabilità della massa. A livello del
retto il dolore è tardivo ed in sede pelvica per l’invasione perirettale (con
disturbi organo specifici), modificazioni dell’alvo, tenesmo doloroso senza
defecazione, rettorragie e muco anche indipendenti dall’emissione di feci,
sangue verniciante le feci, che tendono ad essere nastriformi. Le
complicanze sono principalmente rappresentate dall’ileo meccanico,
specie nel colon sinistro e nel retto (a destra le feci sono liquide), dalla
sovrapposizione di infezioni, dal formarsi di fistolizzazioni (con la
comparsa, ad esempio, di fecaluria), dalla perforazione e dalla peritonite.
Lo screening colon-rettale si può effettuare attraverso diversi approccî. Il
metodo ideale di screening è ancora controverso.65 La colonscopia totale
(CT) consente la valutazione dell’intero colon, con simultanea possibilità
di biopsia o polipectomia, ma presenta maggiori costi ed inconvenienti per
il paziente; la flessosigmoidoscopia (FS) e la ricerca del sangue occulto
nelle feci (fecal occult blood test, FOBT), sono un po’ meno efficaci ma
anche meno invasivi; esistono ulteriori test, promettenti ma non ancora
sufficientemente standardizzati,65 come la colonscopia virtuale, test
molecolari sulle feci, serum proteomics, biomarkers sierici (insulin growth
factor 2, IGF2, presente 4 e 8 volte di più rispettivamente in adenomi e
CCR; insulin growth factor 1, IGF1).
Per i soggetti con storia personale o familiare di neoplasie del colonretto,
FAP, HNPCC o malattia infiammatoria cronica intestinale, stante il rischio
specifico, esistono linee guida di sorveglianza ad hoc.
Circa il FOBT, il grado di evidenza dei vantaggi, secondo il National
Cancer Institute (U.S.A., 2005), è massimo (basato su tre RCT),100
riducendo esso la mortalità da CCR nei soggetti tra 50 a 80 anni d’età; di
pari importanza il livello di evidenza degli svantaggi, legati alle rare
complicanze di una colonscopia di approfondimento. Anche rispetto alla
flessosigmoidoscopia il grado di evidenza dei vantaggi, è massimo (basato
su due RCT),100 e consiste nella riduzione della mortalità nei soggetti al di
sopra dei 50 anni d’età.
Nella Regione Piemonte è in fase di avvio un programma di screening dei
tumori del colon-retto denominato Prevenzione Serena; in effetti,
l’esecuzione dello screening da parte di tutti i soggetti eleggibili in
Piemonte consentirà nei prossimi dieci anni di evitare 1200 morti e
prevenire ulteriori 1500 nuovi casi di CCR.181
Il I livello dello screening colorettale in Prevenzione Serena prevede
l’invio di una lettera di invito con opuscolo illustrativo e, in caso di
mancata presentazione, di un sollecito. Non è richiesta l’impegnativa ed è
prevista l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria.
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125
Il programma si rivolge ai soggetti di entrambi i sessi con due distinti rami
di screening (I livello) a seconda della coorte d’età, l’uno con l’impiego
della FS, l’altro con il FOBT.
Le esclusioni riguarderanno i casi di CCR attuale o pregresso, di
adenomi/polipi del colon retto, la malattia infiammatoria cronica
intestinale (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa), l’avere eseguito FS, CT
o FOBT nei due anni precedenti, la presenza di una patologia gravemente
invalidante o terminale.
Sulla base delle premesse epidemiologiche relative all’incidenza di questa
neoplasia rispetto all’età, al fine di massimizzare il beneficio derivante
dalla prevenzione di futuri CCR evoluti da adenomi,181 la coorte dei
soggetti di età corrispondente a 58 anni viene invitata a sottoporsi
all’esecuzione della flessosigmoidoscopia una tantum.
Questa viene eseguita previa toelette intestinale, 2 ore in anticipo con
clistere da 133 ml di sodio fosfato 20% ritirato in farmacia, da non
somministrare in caso di addominalgia acuta, nausea o vomito in atto,
stipsi protratta da oltre 6 settimane.
La FS è considerata completa se si ha il superamento della giunzione
sigmoidocolica e la visualizzazione del colon discendente, in condizioni di
adeguata preparazione intestinale.
L’esito della flessosigmoidoscopia potrà essere quello negativo (ed in tal
caso la predittività negativa dovrebbe estendersi per oltre dieci anni).
Oppure, l’esito dello screening potrà consistere nella presenza di un polipo
a basso rischio, con diametro inferiore a 10 mm (ed in tal caso si procede
all’immediata asportazione endoscopica ed all’accertamento istologico;
polipi di dimensioni maggiori saranno invece rimossi in ambito di
approfondimento di II livello), di un adenoma a componente villosa, di un
adenoma con displasia grave, di tre o più adenomi, di un polipo con
diametro pari o superiore a 10 mm, di un CCR. In questi ultimi casi il
paziente è inviato ad un accertamento di II livello; analogamente, sarà
richiamato ad approfondimento di II livello nel caso in cui l’esame
istologico seguito alla polipectomia evidenzi caratteristiche di alto rischio.
In caso di lesioni estese è possibile l’immediato invio ad accertamenti
preparatorî alla chirurgia; la terapia chirurgica è indicata anche nei casi in
cui l’istologia evidenzi un adenoma cancerizzato in cui manchi la
condizione di carcinoma ben differenziato o non vi sia indennità dei
margini di resezione, o vi sia invasione di vasi linfatici o venosi.181
Ai soggetti non rispondenti alla lettera di invito ed a quella di sollecito per
la FS viene proposta, con lettera ed opuscolo informativo, l’esecuzione di
un FOBT ogni 2 anni (per i successivi undici anni); ai non aderenti al
FOBT, dopo un anno è ulteriormente proposta la FS. È evidente come si
venga a creare in tal modo una coorte dinamica di soggetti che
effettueranno la ricerca del sangue occulto nelle feci, che aumenterà
01/0
126
dimensionalmente per una dozzina di anni per poi stabilizzarsi su un
valore che sarà funzione di fattori quali la consistenza anagrafica della
coorte dei cinquantottenni nel tempo e la compliance alla FS ed al FOBT
nei soggetti che rifiutano l’accertamento endoscopico.
Al fine di comprendere nella fase di avvio dello screening colorettale
anche i soggetti a significativo livello di rischio per CCR di età compresa
tra 59 e 69 anni, questa coorte chiusa viene invitata a sottoporsi
all’esecuzione della ricerca del sangue occulto nelle feci con un intervallo
di rescreening di due anni, fino al raggiungimento del limite superiore di
età.
È evidente come tale coorte vada a diventare sempre meno
dimensionalmente consistente, fino ad azzerarsi dopo una dozzina di anni.
Il FOBT è eseguito con il test di agglutinazione su lattice, che non è
influenzato dalla dieta, per cui non sono da prevedere restrizioni
dietetiche.
L’esito della ricerca del sangue occulto nelle feci potrà essere negativo
oppure positivo, nel qual caso il soggetto è convocato al II livello.
L’approfondimento di II livello in Prevenzione Serena, tanto per i soggetti
provenienti dalla FS che per quelli provenienti dal FOBT, prevede
l’esecuzione di una colonscopia totale (ed eventualmente un follow up).
La FS (seguita, come II livello, dalla CT) consente l’identificazione del
70% delle lesioni avanzate prevalenti.98 Sul piano epidemiologico si
osserva come la riduzione della mortalità e dell’incidenza del CCR (studî
caso-controllo) imputabile allo screening con flessosigmoidoscopia
corrisponde al 40-80%;181 come anticipato, l’effetto si mantiene per 10
anni.181 Il recall rate, o tasso di richiamo ad approfondimento di II livello,
della FS è atteso intorno al 7.5% (considerando gli invii direttamente dalla
flessosigmoidoscopia e quelli basati sull’istologia successiva ai prelievi in
FS). Il limite della FS consiste nell’impossibilità di individuare lesioni
ubicate nel colon prossimale (che, tuttavia, rappresentano il solo 25% dei
cancri prossimali comunque individuati in accertamenti colonscopici di
approfondimento della FS);181 va inoltre ricordato come nei soggetti privi
di lesioni distali la prevalenza degli adenomi prossimali sia solo del 2-3%.
Circa il tasso di identificazione della FS rispetto agli adenomi avanzati,
esso è stimato 3 volte maggiore rispetto al FOBT; verso il CCR esso è
stimato intorno al 4‰, leggermente superiore (5-10%) rispetto al
FOBT.181
Per quanto riguarda la ricerca del sangue occulto nelle feci, la riduzione
della mortalità per CCR imputabile allo screening con FOBT corrisponde
al 16-23%.75,181,190 Il tempo di anticipazione diagnostica medio con tale
ricerca è di 2.5-3.2 anni.181 Il recall rate atteso tende ad essere simile, sulla
base delle prime esperienze regionali, a quello della FS, quasi doppio
01/0
127
rispetto alle prime aspettative. Il VPP del FOBT è del 30.4% per adenoma
avanzato e dell’8.7% per il CCR; quello totale corrisponde al 39.1%.
Prevenzione secondaria di altre neoplasie
In conclusione, si riportano alcuni richiami schematici relativi
all’orientamento del National Cancer Institute (U.S.A., 2006) circa la
prevenzione di altre neoplasie. Ritengo opportuno richiamare in questa
sede il ruolo imprescindibile che riveste l’epidemiologia dello screening
per una medicina preventiva basata sull’evidenza di efficacia degli
interventi. Rispetto a questo tema mi sono diffusamente espresso in
precedenza, nella parte in cui ho trattato la prevenzione secondaria; a tale
approfondimento rimando il lettore.
 Lung cancer
Intervention: chest x-ray and/or sputum cytology.
Benefits. Evidence (fair): does not reduces mortality.
Harms. Evidence (solid): …would lead to false-positive tests and
unnecessary invasive diagnostic procedures…
Radiografie multiple del torace, oltre a non ridurre la mortalità della
neoplasia broncogena, potrebbero persino essere dannose.28
Intervention: low-dose helical computed tomography.
Benefits. Evidence: insufficient to determine whether screening reduces
mortality.
Harms. Evidence (solid): …would lead to false-positive tests and
unnecessary invasive diagnostic procedures…
 Prostate cancer
Intervention: digital rectal examination and prostate-specific antigen
(PSA).
Benefits. Evidence (insufficient): …to detect prostate cancer at an early
stage, but it is not clear whether screening reduces mortality…The
observed trends may be due to screening or to other factors such as
improved treatment.
Harms. Evidence (good): …detects some cancers that would never have
caused important clinical problems … some degree of overtreatment …
including radical prostatectomy and radiation therapy. The most common
side effects are erectile dysfunction and urinary incontinence.
PSA isn’t a perfect marker:191 negli U.S.A. la mortalità per carcinoma
della prostata è diminuita del 26% nel periodo 1999-2005, ma non è stato
ancora dimostrato il ruolo in tale trend dello screening con PSA (in tal
senso due RCT saranno conclusi circa nel 2012).
01/0
128
 Bladder and other urothelial cancers
Benefits. Evidence (fair): …little or no impact on mortality.
Harms. Evidence (fair): …would result in unnecessary diagnostic
procedures with attendant morbidity. Rare but serious harms.
 Endometrial cancer
Intervention: ultrasonography (e. g. transvaginal ultrasound) or
endometrial sampling.
Benefits. Evidence: insufficient to determine whether screening reduces
mortality.
Harms. Evidence (solid): …TVU will result in unnecessary examinations
because of its low specificity. Endometrial biopsy may result in bleeding,
infection and rarely uterine perforation... Risks associated with falsepositive … surgery. Symptom-detected endometrial cancers…high
proportion are diagnosed at an early stage and have high rates of survival.
 Esophageal cancer
Intervention: endoscopy.
Benefits. Evidence (fair): no (or minimal) decrease in mortality.
Harms. Evidence (good): …uncommon but serious side effects associated
with endoscopy which may include perforation, cardiopulmonary events /
aspiration pneumonia and bleeding.
 Gastric cancer
Intervention: endoscopy.
Benefits. Evidence (fair): no decrease in mortality.
Harms. Evidence (good): …uncommon but serious side effects associated
with endoscopy which may include perforation, cardiopulmonary events /
aspiration pneumonia and bleeding.
 Hepatocellular cancer
Benefits. Evidence (fair): no decrease in mortality.
Harms. Evidence (good): …rare but serious side effects associated with
aspiration cytology such as needle-track seeding … and hemorrage, bile
peritonitis and pneumothorax. Transjugular liver biopsy … perforation of
the hepatic capsule or cholangitis.
 Neuroblastoma cancer
Intervention: at age 6 months, urine vanillylmandelic acid and
homovanillic acid metabolites of the hormones norepinephrine and
dopamine.
Benefits. Evidence (fair): no decrease in mortality.
Harms. Evidence (good): …overdiagnosis… unnecessary diagnostic
procedures.
 Oral cancer
Intervention: visual examination.
Benefits. Evidence insufficient to determine whether screening reduces
mortality.
01/0
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 Ovarian cancer
Intervention: serum markers as CA125 levels, transvaginal ultrasound,
pelvic examinations.
Benefits. Evidence insufficient to determine whether screening reduces
mortality (levels of evidence 4, 5).
Harms. Evidence (good): …more diagnostic laparoscopies and
laparotomies … unnecessary oophorectomies...
 Skin cancer
Intervention: visual examination.
Benefits. Evidence (poor) reduction in mortality from melanoma.
Harms. Evidence (fair): …extensive surgery.
 Testicular cancer
Intervention: visual examination.
Benefits. Evidence (fair): …no appreciable decrease in mortality, in part
because therapy at each stage is so effective.
Harms. Evidence (fair): …unnecessary diagnostic procedures with
attendant morbidity.
In definitiva, rispetto alla riduzione della mortalità, i progressi nel
trattamento del cancro non sono stati così evidenti come quelli di altre
patologie croniche, ad esempio quelle cardiovascolari; effective screening
methods are available for only a few cancers. Primary prevention through
lifestyle and environmental interventions remains the main way to reduce
the burden of cancers.28 È necessario quindi attivare il massimo impegno
sul versante della prevenzione primaria e su quello degli screening che la
comunità scientifica internazionale riconosce come efficaci.
Desidero richiamare, in chiusura, la rilevanza che offre un programma di
screening oncologico anche sul piano etico. Le considerazioni circa
l’offerta del test a tutta la popolazione forniscono già una risposta rispetto
ai limiti etici gravanti sugli screening opportunistici e riconducibili a
varianti prevalentemente socioeconomiche, ma in una certa misura anche
culturali, che condizionano evidenti distorsioni di accesso alla diagnosi
precoce. “D’altra parte il raggiungimento di una maggiore equità nella
distribuzione delle risorse sanitarie è una delle motivazioni principali
dell’attivazione di un programma di screening: infatti si ritiene che l’invito
attivo a sottoporsi a un esame possa coinvolgere anche quei gruppi
marginali della popolazione che altrimenti potrebbero non trovare alcuna
protezione”.192 A titolo personale, al fine di richiamare la prospettiva etica
del soggetto invitato allo screening, desidero enucleare dai documenti di
approfondimento del Comitato Nazionale di Bioetica una concezione
antropologica fortemente connotata di persona, alla quale possiamo
ricondurci, e cioè quella del personalismo, che riconosce risiedere nel
soggetto umano un fondamento ontologico e metafisico. “Persona viene
01/0
130
intesa, con riferimento al pensiero di Tommaso d’Aquino e di Boezio,
ogni essere umano sussistente fornito per essenza di razionalità e
spiritualità. In tale prospettiva la persona è il so-strato sussistente che non
si esaurisce nella manifestazione fenomenica, bensì trascende la sua stessa
manifestazione nella ricchezza inesauribile del suo essere spirituale”.193 La
dignità riconosciuta alla persona umana ed il rispetto che ne deriva
presuppongono la necessità primariamente etica di operare una medicina
fondata sui criterî di evidenza e su un approccio metodologico
scientificamente rigoroso nell’analisi dei fenomeni naturali.
(…) Il programma scientifico delineato per la prima volta nel Discours de
la méthode (1637) era fondato sulla convinzione che tutte le funzioni vitali
degli organismi, anche le più complesse e indecifrabili, fossero in
definitiva riconducibili a processi e relazioni di tipo fisico-meccanico. (…)
Il principio dell’unità e dell’uniformità della natura, che d’ora in poi
costituirà una delle grandi eredità del meccanicismo, aveva finito per fare
della biologia e della medicina una semplice sezione della fisica, soggetta
agli stessi procedimenti logico-matematici ed alla stessa legalità
scientifica (…).194
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Nazionale della Prevenzione 2005-2007. 2.2. Screening dei tumori. ...
Necessario attivare programmi per seno, cervice uterina e colon retto).
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01/0
143
EDUCAZIONE SANITARIA E PREVENZIONE ONCOLOGICA:
IL RUOLO DEL MEDICO DI MEDICINA GENERALE
Bartolomeo Allasia
Medico di medicina generale, Rappresentante M.M.G. Dipartimento di Screening
Oncologico n.7
La medicina generale ha subito negli ultimi decenni radicali cambiamenti,
necessari per inserire la figura del Medico di Medicina Generale (MMG) in un
contesto, quello della Sanità, in continua evoluzione.
Fino a pochi anni fa il MMG disponeva di una tecnologia vecchia di secoli e
limitata allo sfigmomanometro ed al fonendoscopio. Oggi nell’ambulatorio di
medicina generale stanno entrando ecografi, elettrocardiografi, spirometri e tutta
l’attività viene gestita in modalità informatizzata con la collaborazione di
infermieri e personale di segreteria.
Ultimamente poi il MMG ha imparato a lavorare in gruppo e ciò ha permesso
veramente un salto di qualità con vantaggi soprattutto per gli assistiti che, pur
avendo sempre il proprio medico come riferimento, sanno di poter contare su una
struttura complessa in grado di soddisfare e gestire le loro esigenze.
Tuttavia, pur continuando ad essere un punto di forza nell’attuale Sistema
Sanitario, il MMG ha perso un po’ in termini di relazione col paziente. Questo è un
problema comune a tutto il Sistema Sanitario, forse più accentuato ancora a livello
specialistico ed ospedaliero, ma per il Medico di Famiglia la relazione col paziente
deve rappresentare il fulcro sul quale si muove tutta la sua attività.
Ciò è accaduto per colpa di un sistema sempre più frenetico che ha visto la
domanda di prestazioni raddoppiarsi nel giro di pochi anni, così come l’impegno
burocratico, con conseguente riduzione dei tempi a disposizione.
La medicina di famiglia è il livello di assistenza posto tra il self-care e le cure
ospedaliere e specialistiche, ma l’autocura o automedicazione, auspicabile per
piccoli disturbi o malesseri, si è sempre più ridimensionata riversando negli
ambulatori di medicina generale masse di assistiti con motivazioni veramente
banali che di fatto non diventeranno mai malattia.
Si stima che ogni giorno oltre 2.500.000 di persone in Italia consultino il proprio
MMG.
Contestualmente è aumentato il disagio sociale soprattutto nella popolazione
anziana che, non trovando altre risposte, cerca sostegno nella figura del MMG
esprimendo malesseri che hanno la loro origine nelle carenze socio-assistenziali.
Tutto ciò ha reso sempre più difficile l’approccio all’ambulatorio del MMG,
favorendo l’improprio e diretto accesso alle strutture ospedaliere, in particolare al
pronto soccorso.
Le conseguenze di un sistema insostenibile come questo sono l’impennarsi dei
costi sociali e del disagio per gli utenti, con danno per le professionalità sanitarie,
che si esprime in uno stato di perenne difficoltà.
È tuttavia tendenza comune a tutti i sistemi sanitari europei un graduale
incremento della responsabilità finanziaria e professionale assegnata ai MMG,
proprio perché un sistema sanitario basato su una medicina generale di alta qualità
01/0
144
rappresenta il modello ideale di sistema sanitario capace di condurre ai migliori
risultati in termini di salute ed efficienza economica.
In effetti oggi la medicina generale è definita una disciplina accademica e
scientifica con i suoi propri contenuti educativi, una sua propria ricerca, una sua
propria base di evidenza e di attività clinica ed è una specializzazione clinica
orientata alle cure primarie.
Ma lavorare come MMG significa innanzitutto seguire nel tempo una popolazione
costituita da singoli pazienti e intessere con ognuno di loro una relazione unica ed
irripetibile.
Il MMG solitamente conosce il paziente come persona, ha la sua fiducia e la sua
confidenza, conosce la sua famiglia, l’ambiente in cui vive, i suoi affanni, le
patologie di cui soffre o ha sofferto, presupposti fondamentali perché si realizzi
veramente il rapporto di fiducia.
Il MMG è un osservatore privilegiato della salute della popolazione e il primo e
più efficace “educatore alla salute” con una responsabilità specifica definita
dall’accordo collettivo nazionale.
L’educazione sanitaria è allora un compito prioritario per il MMG e ciò è tanto più
importante se si pensa che, secondo le autorità sanitarie americane, “il 50% delle
malattie è da attribuire ad abitudini di vita scorrette”, ovvero l’incidenza di molte
malattie, i cui fattori di rischio siano noti e modificabili, potrebbe essere ridotta
intervenendo su alimentazione, attività fisica, fumo e così via, rendendo
apparentemente molto semplice la soluzione al problema. Ma non è così!
Oggi viviamo in un mondo di persone spaventate ed ipocondriache: abbiamo paura
di ciò che beviamo, mangiamo, respiriamo, delle persone che tocchiamo, delle
strade che percorriamo, dei farmaci che assumiamo, ma raramente questi timori si
traducono in comportamenti più sani e correttamente orientati alla conservazione
di uno stato di benessere: in automobile abbiamo sempre più fretta, raramente
rinunciamo ai piaceri della tavola o ad una sigaretta dopo un buon caffè, sfidiamo
le insidie del sole pur di farci una abbronzatura invidiabile.
Probabilmente esiste un gap fra la comunicazione del rischio e ciò che ne dovrebbe
conseguire, col pericolo, inoltre, che si mettano in moto consumi ingiustificati di
servizi e di prestazioni sanitarie interpretati dagli assistiti come soluzione ai
problemi in mancanza di una loro disponibilità a modificare il proprio stile di vita:
è più semplice dosare ogni tre mesi il colesterolo piuttosto che rinunciare alla fetta
di salame o di gorgonzola oppure fare la radiografia del torace ogni tanto piuttosto
che smettere di fumare, e via così.
Comunicare il rischio per la salute non è però cosa banale. Rappresenta uno dei
gradini fondamentali della cosiddetta medicina delle prove di efficacia: la grande
sfida del trasferimento delle evidenze scientifiche alla realtà quotidiana. In pochi
minuti si possono dare tutte le informazioni necessarie per una corretta igiene di
vita, ma queste informazioni, apparentemente banali, sono il frutto di ricerca,
lavori clinici, pubblicazioni, che hanno impegnato ricercatori e clinici.
Ma cosa può fare il MMG? Quali sono gli strumenti educativi di cui dispone?
Innanzitutto deve ricevere una formazione specifica, qualificata e continua,
presupposto irrinunciabile per qualsiasi attività, quindi deve organizzare il proprio
lavoro sia in termini di tempo che di personale, mirando gli interventi in base alle
caratteristiche dell’assistito e diversificandoli per gruppi omogenei ed a seconda
delle fasi della vita.
01/0
145
L’approccio all’assistito può avvenire in modo opportunistico o tramite iniziative
specifiche.
La medicina di opportunità è la modalità più naturale per il MMG, ma solo una
parte degli assistiti frequenta abitualmente l’ambulatorio, perlopiù malati ed
anziani che non rappresentano il target ideale per la prevenzione. Tuttavia questo
strumento educativo resta il più utilizzato dal MMG col vantaggio di
personalizzare l’intervento e quindi di produrre i migliori risultati finali.
La medicina di iniziativa non è una modalità di lavoro abituale per il MMG che
può però collaborare ai progetti di screening organizzati a livello istituzionale. Per
il loro successo la figura del MMG è veramente fondamentale, ma la sua efficacia
si realizza soprattutto se esiste un messaggio di ritorno che evidenzi gli assistiti che
non hanno risposto all’invito: sono questi il vero obiettivo del MMG.
Infine, è indispensabile che ogni intervento poggi su un solido rapporto di fiducia,
unico strumento capace di ottenere, per mezzo dell’informazione, l’ammonizione e
la dissuasione, la disponibilità a modificare convinzioni, abitudini di vita, piaceri,
proponendo rinunce e frustrazioni immediate in cambio di benefici solo attesi nel
tempo.
Questo però dovrebbe essere un momento di dialogo, non di semplice
comunicazione, dal momento che chiama in causa i valori e le preferenze della
gente.
Perché una comunicazione sia efficace è necessario maneggiare gli strumenti
culturali della relazione medico-paziente. L’assistito deve vedere nel proprio
medico un alleato, non un despota intollerante; il medico si deve calare nella realtà
della vita del paziente, fatta di tante cose che non si devono trascurare: valori,
credenze radicate nella cultura e nelle tradizioni che non si possono cancellare con
uno sterile “ordine medico” che, al contrario, rischia di aumentare le distanze
anziché colmarle.
Educare significa però anche indirizzare verso un corretto utilizzo delle risorse
evitando lo spreco, tarlo quasi inevitabile di tutto ciò che è “la cosa pubblica” ed
ancora significa dissuadere dal lasciarsi attrarre da informazioni fuorvianti,
imprecise, troppo generiche, se non dannose, che popolano tutti gli strumenti
mediatici e che spesso sono asservite ad interessi economici o pescano nella
medicina alternativa, che non sempre è innocua.
Innumerevoli sono i problemi e le difficoltà che si incontrano!
Lo strumento fondamentale che deve ispirare l’intervento educativo e di
prevenzione è molto semplice, ma poco conosciuto ed utilizzato: il codice europeo
contro il cancro.
Codice europeo contro il cancro.
1. Non fumare; se fumi, smetti. Se non riesci a smettere, non fumare in presenza di
non-fumatori. 2. Evita l’obesità. 3. Fai ogni giorno attività fisica. 4. Mangia ogni
giorno frutta e verdura: almeno cinque porzioni. Limita il consumo di alimenti
contenenti grassi di origine animale. 5. Se bevi alcolici, che siano birra o vino, o
liquori, modera il loro consumo a due bicchieri al giorno se sei uomo, ad uno se
sei donna. 6. Presta attenzione all’eccessiva esposizione al sole. È di importanza
fondamentale proteggere bambini ed adolescenti. Gli individui che hanno la
tendenza di scottarsi al sole debbono proteggersi per tutta la vita dall’eccessiva
esposizione. 7. Osserva scrupolosamente le raccomandazioni per prevenire
l’esposizione occupazionale od ambientale ad agenti cancerogeni noti, incluse le
01/0
146
radiazioni ionizzanti. Se diagnosticati in tempo molti tumori sono curabili.
8.Rivolgiti ad un medico se noti la presenza di: una tumefazione; una ferita che
non guarisce, anche nella bocca; un neo che cambia forma, dimensioni o colore;
ogni sanguinamento anormale; la persistenza di alcuni sintomi quali tosse,
raucedine, acidità di stomaco, difficoltà a deglutire, cambiamenti inspiegabili
come perdita di peso, modifiche delle abitudini intestinali o urinarie. Esistono
programmi di salute pubblica che possono prevenire lo sviluppo di neoplasie od
aumentare la probabilità che una neoplasia possa essere curata. 9. Le donne dai
25 anni in su dovrebbero essere coinvolte in screening per il carcinoma della
cervice uterina con possibilità di sottoporsi periodicamente a strisci cervicali.
Questo deve essere fatto all’interno di programmi organizzati, sottoposti a
controllo di qualità. 10. Le donne sopra i 50 anni dovrebbero essere coinvolte in
screening per il carcinoma mammario con la possibilità di sottoporsi a
mammografia. Questo deve essere fatto all’interno di programmi organizzati,
sottoposti a controllo di qualità. 11. Individui con più di 50 anni dovrebbero
essere coinvolti in screening per il cancro colorettale. Questo deve essere fatto
all’interno di programmi organizzati, sottoposti a controllo di qualità. 12.
Partecipa ai programmi di vaccinazione contro l’epatite B.
È vero che in pratica si tratta di una serie di raccomandazioni che, se rispettate,
possono portare ad una riduzione dell'incidenza ed anche ad una diminuzione della
mortalità da cancro, ma di fatto nella prima parte può trovare un’applicazione più
generale come nella prevenzione cardiovascolare e della sindrome metabolica.
Lo screening rappresenta l’espressione più moderna e civile di un sistema
sanitario efficiente e ci si aspetterebbe, visti gli evidenti ed innumerevoli vantaggi
derivanti dall’esame, che questi da soli bastino a spingere la popolazione target ad
eseguire il test. Eppure non è sempre così. Intervengono infatti alcune variabili
psicologiche che spostano l’ago della bilancia a favore della non adesione, facendo
apparire questo processo decisionale come un processo “non razionale”. Viene
quindi spontaneo chiedersi: “perché no?”, cosa frena le persone nel loro processo
decisionale riguardo all’adesione allo screening?
Zani e Pietrantoni1) hanno sviluppato e testato un interessante modello teorico in
grado di verificare il ruolo che possono avere alcuni fattori di natura psicologica e
sociale nell’influenzare la scelta di accettare o meno l’invito a sottoporsi a
screening oncologico.
Secondo questo modello, l’intenzione di eseguire un test di screening è influenzata
da variabili socio-cognitive, come i benefici derivanti dall’esame, i costi emotivi,
l’influenza sociale, la percezione di vulnerabilità e la percezione comparativa del
rischio, che sono a loro volta influenzate sia da variabili socio-anagrafiche, come
l’età, lo stato relazionale ed il titolo di studio, sia dalle esperienze vissute, come la
sintomatologia passata, le conoscenze sul test da eseguire e la conoscenza diretta di
persone con tumore.
L’intrecciarsi di tutti questi elementi può portare a situazioni innumerevoli e
spesso molto complesse che determinano le resistenze; tuttavia, l’espressione più
comunemente usata per motivare il rifiuto è la semplice “paura” quasi sempre
ingiustificata dal punto di vista cognitivo.
Un aspetto iniziale importante è lo spostamento di prospettiva dalla cura alla
prevenzione che comporta costi significativi per i destinatari: si costringono le
persone a farsi protagoniste della propria salute, talvolta anche della propria
01/0
147
salvezza, ad assumersi tale responsabilità e ad affrontare un’attività di
accertamento in una situazione di completo benessere.
Ciò comporta il rischio di diventare d’improvviso malati di cancro;
nell’immaginario comune il peggiore fra i mali, incurabile, quindi sinonimo di
morte.
Inoltre, non tutte le persone sono convinte che la loro salute dipenda dal tipo di
azioni che sono in grado di compiere. A questo proposito, in letteratura vengono
descritte due differenti tipologie di individui: quelli che credono che gli eventi
siano una conseguenza delle proprie azioni e si sentono personalmente responsabili
di ciò che accade loro, detti “interni”, e quelli che credono che gli eventi dipendano
da fattori al di fuori del proprio controllo, determinate dal caso o da altre persone,
detti “esterni”. E’ ovvio che i primi saranno più attivi ed efficaci nel controllare la
propria salute e saranno anche più disponibili a modificare il proprio stile di vita o
ad affrontare attività di screening. Questo è però un percorso che sarà facilitato se
si possiede la convinzione soggettiva di avere le capacità necessarie a gestire
adeguatamente le situazioni in modo da raggiungere il risultato finale desiderato.
L’autoefficacia non dipende solo dalle proprie personali capacità, ma è largamente
influenzata dal giudizio delle persone che ci circondano e che riteniamo importanti,
come familiari ed amici, che possono approvare ed incoraggiare. La figura del
MMG può essere una di queste.
Alcuni individui poi sono portati a pensare che gli eventi avversi, come il cancro,
colpiscano solo e sempre gli altri: questa irrazionale sensazione di invulnerabilità
non favorisce certo l’adozione di comportamenti di prevenzione delle malattie. La
percezione di appartenere ad un determinato gruppo di rischio e di avere le stesse
probabilità di contrarre una data malattia gioca un ruolo importate.
Infine l’esame diagnostico necessario per sottoporsi ad uno screening è gravato di
alcuni “costi emotivi” come imbarazzo, disagio, paura del dolore fisico ed ansia:
tutto ciò può essere ampiamente determinante nel processo decisionale e proprio
per questo dovrebbe essere ridotto al minimo.
In conclusione, il MMG nel contesto delle campagne di screening non deve
soffermarsi solo sul significato ormai scontato della funzione di prevenzione
secondaria, ma deve porre la massima attenzione a ridurre al minimo i “costi
emotivi” dell’esame da eseguire e rafforzare il concetto di vulnerabilità e di
autoefficacia sfruttando gli strumenti della comunicazione e del colloquio senza
dimenticare di verificare la correttezza delle informazioni recepite ed il
superamento delle “paure”, lasciando un adeguato spazio all’espressione verbale
dell’assistito.
In questo modo il MMG può attivare e contribuire a quel processo sociale,
culturale, psicologico, educativo e politico attraverso il quale i cittadini e i gruppi
sociali diventano capaci di riconoscere i propri bisogni di salute, partecipano ai
processi decisionali e realizzano specifiche azioni per soddisfare tali bisogni.
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eseguire il Pap-test. Psicologia della salute. 2000;1:51-66.
01/0
148
LA PRESENZA DI CANCEROGENI NEGLI ALIMENTI
DI ORIGINE ANIMALE: ASPETTI DI MEDICINA VETERINARIA
Alberto Attucci
Direttore Servizio Veterinario, Area C, A.S.L. 15 - Cuneo
La sicurezza alimentare rappresenta un’esigenza primaria per il consumatore, sia
per il rischio potenziale che gli alimenti trasmettano malattie infettive o infestive,
sia per la possibile presenza, nei cibi, di sostanze dannose.
È inoltre noto che le abitudini alimentari sono responsabili dell’insorgenza di
malattie dismetaboliche e di tumori.
I primi dati sulla possibile relazione tra abitudini alimentari ed eziologia dei tumori
risalgono all’inizio degli anni ’40 e derivano dall’osservazione che topi, alimentati
senza alcuna restrizione, si ammalavano di tumore prima di quelli che venivano
alimentati in regime di restrizione calorica.1
Il ruolo della dieta nell’insorgenza del cancro, sia per gli effetti dei singoli cibi e
nutrienti che la costituiscono, sia per il “rischio chimico” legato alla presenza di
cancerogeni, è confrontabile con quello del fumo: All’inizio degli anni ’80 era
stato stimato, da Doll e Peto, della United States Accademy of Sciences che
l’alimentazione poteva essere responsabile di circa il 30% di tutte le morti per
tumore registrate nei Paesi sviluppati (con un intervallo variabile dal 10% al 70%).
Attualmente la stima non è sostanzialmente cambiata anche se l’intervallo
considerato risulta più ristretto, dal 20% al 50%.1
Il controllo sugli alimenti di origine animale (carne e derivati, pesce e derivati,
latte e derivati, uova, miele, ecc.) spetta al Servizio Veterinario che opera nel
Dipartimento di Prevenzione dell’A.S.L. In tale ambito si svolge, quindi, anche
un’attività di prevenzione oncologica primaria, attraverso la vigilanza e
l’effettuazione di specifici programmi di controllo e di campionamento durante
tutte le fasi del processo produttivo di tali alimenti (filiera): dalla coltivazione in
campo dei foraggi destinati all’uso zootecnico fino alla vendita dell’alimento al
consumatore (from farm to fork.)
L’attività mira pertanto a evitare, o contenere entro i limiti stabiliti, la presenza di
agenti cancerogeni negli alimenti di origine animale.
Per molti dei contaminanti chimici, volontari o involontari (residui di farmaci
consentiti, metalli pesanti, antiparassitari, diossine, PCB, IPA, micotossine, ecc.), e
per i coadiuvanti tecnologici ammessi (conservanti, coloranti ecc.) che possono
trovarsi negli alimenti di origine animale esistono infatti limiti massimi residuali
(L.M.R.) stabiliti per legge, secondo il principio del massimo residuo tollerabile.
Per altre sostanze invece di impiego vietato ( anabolizzanti di sintesi, farmaci non
ammessi nel settore zootecnico come il cloramfenicolo ed i nitrofurani, additivi
alimentari non consentiti, ecc.) vige, ovviamente, il principio dello “zero
analitico”.
La tabella che segue riporta le tipologie di controlli effettuati dai Servizi Veterinari
in riferimento ai principali agenti cancerogeni, raggruppati secondo la
classificazione dello IARC, potenzialmente presenti nei mangimi e negli alimenti
di origine animale, durante le fasi di produzione e di commercializzazione.
01/0
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Classificaz.
IARC
Piano controllo
mangimi
Piano controllo
alimenti
(produzione)
Piano controllo
alimenti
(commercializzaz.)
Gruppo 1
Aflatossine: arachidi,
cotone, soia, mais
Cadmio: mangimi
minerali
Arsenico: mangime
per ovaiole
TCDD: olio di pesce,
farina di pesce, grassi
animali
Cloramfenicolo: tutti
i mangimi
PCB: farina di pesce,
olio di pesce, grassi
animali
Cadmio: carni
TCDD: carni, pesce,
latte, uova, miele
Estrogeni: siero,
urina, muscolo
Cadmio: carni e
frattaglie equine
Aldeide formica:
formaggi e prodotti
ittici
Cloramfenicolo:
carni
PCB: carni, pesce,
latte, uova, miele
Androgeni: siero,
urina
IPA (benzo-apirene): latte,
formaggi, burro
PCB: prodotti ittici
BHA: burro, latte,
creme, gelati
Ocratossine: mais
Insetticidi: tutti i
mangimi
Nitriti: farina di pesce
Aflatossina M1:
latte
Insetticidi: grassi,
latte, miele
Progestinici: siero,
urina
Aflatossina M1:
latte, formaggi
Insetticidi: grassi,
latte
IPA (altri): latte,
formaggi, burro
Nitriti: salumi, carni
macinate
Gruppo 2/a
Gruppo 2/b
Tra le sostanze elencate consideriamo le seguenti:
1) sostanze ad attività ormonale anabolizzante, illecitamente impiegate in
zootecnia per migliorare le rese ponderali;
2) aflatossine.
1) Sostanze ad attività ormonale anabolizzante illecitamente impiegate in
zootecnia per il miglioramento delle rese ponderali.
Gli ormoni sessuali, naturali e sintetici, rientrano tra gli “Endocrine Disrupters
Chemicals” (EDC), sono cioè sostanze che, secondo la definizione più
comunemente accettata, interferiscono con la produzione, il rilascio, il trasporto, il
metabolismo, il legame, l’azione o l’eliminazione degli ormoni naturali
dell’organismo responsabili del mantenimento dell’omeostasi e della regolazione
dei processi di sviluppo.2, 3 In altre parole i distruttori endocrini rappresentano un
gruppo di contaminanti degli alimenti e dell’ambiente in grado di interferire con
l’attività soprattutto degli ormoni sessuali steroidei e degli ormoni tiroidei,
attraverso svariati meccanismi (recettoriali, metabolici, ecc).4 Gli EDC
comprendono anche altri gruppi di composti chimici, quali i pesticidi
(organofosforici, carbammati, ditiocarbammati, piretroidi sintetici, organoclorurati,
erbicidi, ecc.), i plastificanti (in particolare gli ftalati), gli antiossidanti alimentari
01/0
150
(BHA), e alcune sostanze di origine industriale (metalli pesanti: Pb, Cd, Hg,
diossine, PCB, fenoli, ritardanti di fiamma, ecc.).3
Tra le sostanze che sono state e che vengono impiegate, oltre agli ormoni naturali
endogeni, ricordiamo composti di sintesi quali gli estrogeni derivati dello stilbene
(dietilstilbestrolo ed etinilestradiolo) e derivati dalle micotossine (zeranolo), gli
androgeni (nandrolone, trembolone, boldenone, stanozololo, metiltestosterone,
ecc.) e i progestinici (melengestrolo, megestrolo, medrossiprogesterone, ecc.).
Vale inoltre la pena di ricordare che esistono nell’ambiente altre sostanze ad azione
estrogenica, come i fitoestrogeni: isoflavoni, lignani, ecc. di cui è ricca la soia, ed
altri xenoestrogeni come il bisfenolo-A , che può essere rilasciato dal rivestimento
interno delle lattine usate per le conserve, ed il p-nonilfenolo, rilasciato da alcune
plastiche che vengono a contatto con gli alimenti; tutte queste sostanze, a
prescindere dalla loro struttura, sommano i loro effetti a quelli degli estrogeni
naturali.5
In Europa l’impiego degli ormoni anabolizzanti, nel settore zootecnico, quali
promotori di cresciuta, è da tempo vietato, mentre alcuni Paesi, come gli U.S.A.
ed il Canada, consentono l’utilizzo nei bovini di: 17β estradiolo, testosterone,
progesterone, zeranolo, trembolone acetato e melengestrolo.5
Dove consentite, queste sostanze vengono prevalentemente utilizzate sotto forma
di impianti sottocutanei, solitamente come associazioni estro-androgene o estroprogestiniche e posizionate in zone che dovrebbero essere rimosse all’atto della
macellazione (padiglioni auricolari). Dove il loro impiego risulta vietato sono
somministrate prevalentemente per via alimentare. Ne deriva, comunque, che il
consumatore assume con la carni residui di ormoni esogeni o ingerisce quantità di
ormoni naturali superiori a quelle fisiologicamente presenti nell’animale.
L’uso regolamentato di promotori ormonali di crescita non ne esclude, comunque,
un impiego scorretto. Può infatti accadere che gli impianti siano inoculati in sedi
che non verranno rimosse all’atto della macellazione, come nel sottocute del collo,
o che siano utilizzati ripetutamente o simultaneamente o ancora che siano
impiegati su animali sui quali ne è vietato l’utilizzo (giovani vitelli, suini), casi
tutti documentati.5 È stato accertato che il consumo di carne contaminata da
residui di impianti potrebbe comportare un’esposizione a sostanze ormonali fino a
67 volte la Acceptable Daily Intake (A.D.I.) stabilita dall’F.D.A.5
Esposizione nella specie umana agli ormoni sessuali per consumo di carne di
animali sottoposti a trattamento.
È fondamentale considerare la differenza che esiste tra l’uso volontario degli
ormoni sessuali nel paziente, limitato a gruppi di età e basato su prescrizione
individuale e l’assunzione involontaria di residui nelle carni, che avviene in modo
inconsapevole ed indipendente dalle caratteristiche individuali dei consumatori.
Negli USA l’F.D.A. ha stabilito valori accettabili di esposizione agli ormoni
naturali. Le linee guida dell’F.D.A. escludono la comparsa di effetti indesiderati
negli individui che consumino regolarmente tessuti animali che apportino ormoni
endogeni in quantità non superiore all’1% della produzione giornaliera osservata
nella fascia di popolazione a produzione/giorno più bassa (bambini prepuberi per
l’estradiolo ed il progesterone e bambine prepuberi per il testosterone).6 Per gli
ormoni esogeni sono stati stabiliti A.D.I. sulla base di valori “no-effect“.5
01/0
151
Basandosi su tali considerazioni e valutando i livelli ormonali mediamente
rilevabili nelle carni degli animali trattati l’F.D.A. ha sostenuto l’assenza di rischi
legati al consumo di tali carni .
La Commissione Scientifica della Comunità Europea, in un parere del 19995
relativo alle misure veterinarie riguardo alla salute pubblica, ha tuttavia contestato
tali affermazioni ritenendo che gli effetti tossicologici ormonali e non ormonali di
queste sostanze non consentano di stabilirne un valore soglia ed una A.D.I. e che,
pertanto, precauzionalmente, non se ne debba autorizzare l’impiego. Sono state
ritenute, infatti, sovrastimate, nei bambini prepuberi, sia la produzione ormonale
considerata dall’F.D.A. (fino a 100 volte), per l’approssimazione del metodo
(R.I.A.) utilizzato, sia la “clearance” metabolica degli ormoni naturali (fino a 10
volte) essendo stati impiegati i valori che si ottengono negli adulti. A causa di
questi problemi è stato ritenuto potenzialmente errato il margine di sicurezza
adottato dall’F.D.A., supponendo che il valore dell’1% possa venire largamente
superato. Ipotizzando, ad esempio per l’estradiolo, per il quale l’assunzione dovuta
al consumo di carni trattate è stata calcolata fino a 6,8 ng/persona /die, anche solo
un assorbimento del 10% ed una “clearance” metabolica pari alla metà di quella
degli adulti, in un bambino prepubere di 40 Kg di peso corporeo, l’assunzione
giornaliera sarebbe superiore di 85 volte rispetto al valore di sicurezza stabilito,
con un apporto, cioè, che potrebbe arrivare all’85% della produzione endogena.5
Non è inoltre stata presa in considerazione la presenza nelle carni dei metaboliti
degli estrogeni ritenuti DNA reattivi e mutageni, che giocano un ruolo importante
nell’iniziazione di processi tumorali.7-12
Effetti correlati con l’uso degli ormoni sessuali.
A) Effetti sullo sviluppo durante il periodo intrauterino e perinatale.
Gli ormoni sessuali regolano lo sviluppo anatomico e funzionale dell’apparato
riproduttivo. Durante l’organogenesi, nella vita intrauterina, e durante il periodo
perinatale lo sviluppo sessuale normale può essere disturbato da aumenti o
diminuzioni estemporanei dei livelli fisiologici degli ormoni sessuali.
L’esposizione agli steroidi sessuali durante la vita intrauterina è correlabile con
alterazioni anatomofunzionali dell’apparato riproduttore degli adulti.5 Sono stati
effettuati studi riguardo agli effetti della posizione intrauterina di feti di topo
maschio e femmina, posizionandoli tra due feti di sesso opposto.13 Tali analisi
hanno dimostrato come l’esposizione dei feti maschi e femmine a livelli
lievemente più elevati rispettivamente di estrogeni e di androgeni, dovuti alle
anastomosi dei letti capillari tra placente vicine, influenzino lo sviluppo dei
caratteri sessuali secondari ed il comportamento sessuale dei futuri soggetti adulti.
B) Effetti sullo sviluppo durante la pubertà.
L’infanzia è caratterizzata da concentrazioni seriche degli steroidi sessuali
estremamente basse, spesso vicine o sotto il limite di rilevabilità. Esistono studi
che indicano gli estrogeni quali i principali responsabili dello “scatto” di crescita
della pubertà, in entrambi i sessi, per stimolazione del GH e della maturazione
ossea.14
Sono inoltre descritti casi di sviluppo sessuale anomalo conseguenti a
contaminazione da estrogeni. A Puerto Rico esistono più di 10.000 casi
documentati, in 28 anni, di tale sviluppo anomalo (telarca, pubarca, pubertà
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pseudoprecoce, ginecomastia, sindrome da stimolazione ovarica, iperplasia del
seno ed ovaie policistiche). Tali anomalie sono risultate associate a valori serici
elevati di estrogeni nell’85% dei casi e i segni clinici sono regrediti o diminuiti in
un numero significativo di pazienti dopo un controllo della dieta, anche se la natura
della contaminazione estrogenica non è stata identificata.5 In uno studio
prospettico condotto su un’ampia popolazione milanese che alla fine degli anni ’70
venne coinvolta in un episodio epidemico di tumefazione della ghiandola
mammaria, riconducibile ad una probabile ingestione di carne trattata con
estrogeni alla mensa scolastica, dopo 20 anni dall’episodio è stata accertata nelle
femmine una lieve anticipazione dell’età del menarca e nel 20% dei maschi un
ridotto volume testicolare.31 L’esposizione ambientale continua a livelli molto
bassi di estrogeni, o comunque ad altri EDS affini per i recettori estrogenici,
potrebbe rappresentare la causa di un leggero aumento della statura e di
un’anticipazione della pubertà, osservati negli ultimi decenni, tendenza che viene
comunemente attribuita al miglioramento delle condizioni di nutrizione.5
C) Effetti sulla riproduzione.
E’ noto che un deciso incremento dei livelli serici degli ormoni sessuali provoca un
effetto di feed-back negativo, che porta nel maschio ad un’inibizione della
spermatogenesi e all’oligospermia e nella femmina all’interruzione del ciclo
ovarico ed al blocco dell’ovulazione.5 Ovviamente, necessitano dosi più elevate di
quelle che agiscono sullo sviluppo sessuale, sulla crescita e sulla pubertà degli
individui giovani.
D) Effetti sul sistema immunitario.
Il progesterone è chiaramente coinvolto nell’equilibrio immunitario multifattoriale
che avviene nelle prime fasi della gravidanza per proteggere il feto dal rigetto.5
Il rapporto tra gli ormoni sessuali, soprattutto gli estrogeni, e le malattie
autoimmuni risulta abbastanza evidente; infatti la maggior parte di tali patologie si
osserva soprattutto nelle donne ed in quelle colpite da malattie autoimmuni esiste
un rapporto tra la gravidanza, la menopausa, la somministrazione terapeutica di
estrogeni e l’evoluzione della malattia.5 Anche la sperimentazione sui topi orienta
verso tale evidenza.5
E) Effetti sull’insorgenza di tumori.
Lo IARC classifica così gli ormoni sessuali:26
 gruppo 1 (sicuri cancerogeni per l’uomo): DES, terapia estrogenica post
menopausa, estrogeni non steroidei, estrogeni steroidei, contraccettivi orali
combinati, contraccettivi orali sequenziali;
 gruppo 2/a (probabili cancerogeni per l’uomo): steroidi androgeni;
 gruppo 2/b (possibili cancerogeni per l’uomo): progestinici,
medrossiprogesterone acetato, associazioni estroprogestiniche post
menopausa, contraccettivi orali solo progestinici.
L’evidenza che nella specie umana gli estrogeni sono in rapporto con i tumori (il
DES, impiegato in passato anche come promotore di crescita negli animali, è stato
il primo ormone riconosciuto come cancerogeno transplacentare per la specie
umana5,20 dopo che per circa 40 anni è stato impiegato diffusamente nella donna
per la prevenzione dell’aborto abituale;5 l’estradiolo è considerato un fattore di
rischio per l’adenocarcinoma endometriale5,15 e per il tumore mammario5,16,17,21) e
l’evidenza che tale categoria di ormoni è cancerogena negli animali di laboratorio
(nei topi aumenta l’incidenza dei tumori mammari, ipofisari, uterini, della cervice,
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vaginali, testicolari, linfoidi ed ossei)5 ha indotto lo IARC a classificare gli
estrogeni nel gruppo 1. È stato ipotizzato che gli estrogeni siano genotossici,
danneggino cioè il DNA causando mutazioni. Non esisterebbe, pertanto, una dose
soglia per il loro possibile effetto dannoso.5 Queste mutazioni (indotte da
metaboliti degli estrogeni, i catecol-estrogeni che, se ossidati a chinoni, possono
reagire con il DNA formando degli addotti) giocherebbero un ruolo importante
nell’iniziazione di processi tumorali che colpiscono la mammella, l’endometrio,
l’ovaio e la prostata.5,7-12,16,17
Gli androgeni sono invece stati inclusi nel gruppo 2/a; infatti, mentre gli studi sugli
animali dimostrano come il testosterone induca tumori uterini nei topi e prostatici
nei ratti, gli studi epidemiologici riguardanti l’uomo sono limitati.5
Per i progestinici, inseriti nel gruppo 2/b, è stato dimostrato un aumento
dell’incidenza dei tumori mammari, ovarici, uterini e vaginali negli animali da
laboratorio, ma le prove della cancerogenicità nell’uomo sono considerate
inadeguate.5
Non possiamo comunque ignorare che tutte le sostanze che sono risultate
cancerogene per l’uomo risultano anche cancerogene per gli animali e che, per la
maggior parte di queste, la cancerogenicità negli animali è stata dimostrata prima
che la documentazione epidemiologica la dimostrasse per l’uomo. È possibile
infatti che vi siano meccanismi cancerogenetici specie-specifici, ma ciò è
difficilmente dimostrabile.
Esposizione dell’uomo agli estrogeni e legame con il cancro.
La maggior parte delle attuali conoscenze sulla cancerogenicità degli estrogeni
nell’uomo è dovuta al loro impiego in medicina umana come contraccettivi orali,
per la terapia sostitutiva della menopausa e per il trattamento delle complicanze
durante la gravidanza. Queste indicazioni comportano l’esposizione a dosi
abbastanza elevate e per periodi prolungati di tempo.5 Numerosi studi
epidemiologici hanno mostrato un aumento del rischio di comparsa del cancro alla
mammella in relazione all’utilizzo della terapia ormonale sostitutiva (TOS).21 In
uno studio condotto in Francia nel 2004 su 54.548 donne in post-menopausa si è
evidenziato un rischio relativo di 1,1 e di 1,4 nel caso di TOS, della durata media
di 2,8 anni, a base, rispettivamente, di soli estrogeni e di estrogeni associati a
progestinici di sintesi.18 Inoltre maggiore risulta la durata della TOS, maggiore
risulta il rischio.21 L’uso di contraccettivi orali, soprattutto nelle donne con una
storia familiare positiva per cancro alla mammella sembra aumentarne il rischio,
così come lo stesso uso sembra diminuire il rischio di cancro ovarico.21 Anche il
carcinoma endometriale riconosce tra i principali fattori di rischio un’esposizione
cronica agli estrogeni5,15,22 come quella che si realizza nella TOS post menopausa
(senza progesterone), in caso di menarca anticipato, di menopausa ritardata, di
tumori secernenti estrogeni, di obesità (per la facilità con cui gli adipociti
trasformano l’androstenedione in estrone), ecc.22 La causa sarebbe da ricercare in
un’abnorme stimolazione alla proliferazione delle cellule dell’endometrio, non
controbilanciata dagli effetti del progesterone,15,22 con aumento del numero degli
errori nella replicazione del DNA e conseguente comparsa di mutazioni.15
01/0
154
Rapporto tra consumo di carne e cancro.
Il consumo di carne, particolarmente di carne rossa, è verosimilmente associato
con l’aumento del tumore della mammella, come dimostrerebbero gli studi
effettuati sui vegetariani.5 Tuttavia non tutti i lavori pubblicati sull’argomento
concordano nel rilevare tale rischio come statisticamente significativo.5,19 Si è
discusso parecchio, e tuttora permangono dubbi, sul rapporto esistente tra l’apporto
di grasso nella dieta ed il rischio di contrarre il cancro mammario. Oggi l’apporto
di grasso viene considerato poco importante, tenuto conto che non è stata osservata
alcuna associazione tra il tumore del seno ed il consumo di grassi, vegetali.23 Al
contrario, l’assunzione con la dieta di grassi monoinsaturi e di olio d’oliva
sembrano possedere un effetto protettivo. 23
Il rischio legato al consumo di carne pare, pertanto, più facilmente correlabile con
un elevato consumo di grassi animali o, più verosimilmente, con la presenza di
altri fattori, come gli ormoni,23 in particolare gli estrogeni.24
Pare inoltre che riducendo il consumo di grassi si riducano anche i livelli ematici
degli estrogeni che, se elevati, rappresentano un fattore di rischio per il cancro
della mammella.16, 17, 21
Analogamente esiste una modesta evidenza che l’elevato consumo di carne giochi
un ruolo nella genesi del tumore della prostata.5
Nella valutazione dell’importanza che gioca il consumo di carne nel determinismo
di alcuni tumori bisogna tuttavia tenere conto anche dei confondenti; tale consumo
risulta infatti maggiore nei Paesi a elevato reddito, dove prevalgono profili
riproduttivi (assenza di gravidanza, gravidanza tardiva e mancato allattamento)
documentatamente associati ad un aumento del rischio relativo di cancro della
mammella.21
Molti dei fattori di rischio di contrarre tale cancro sono correlati con una maggior
esposizione, nel corso della vita, agli ormoni femminili, compresa l’esposizione, in
utero, ad elevate concentrazioni di estrogeni .21
Non esistono comunque studi specifici che valutino gli effetti degli ormoni usati
come anabolizzanti in zootecnia sull’incidenza dei tumori nell’uomo. Gli
argomenti da considerare nella valutazione di una possibile connessione derivano
da studi di epidemiologia descrittiva.5 In base a tali studi le incidenze maggiori di
cancro del seno, della prostata, del colon ed, in parte, dei testicoli, sono osservate
nel Nord America, dove il consumo di carne trattata con ormoni è il più elevato al
mondo.5 I risultati di queste osservazioni sono rafforzati dagli studi sulle
popolazioni emigrate negli U.S.A., che hanno evidenziato come il livello di rischio
per il cancro della mammella e per i tumori gastrointestinali in tali popolazioni
tenda ad uniformarsi, dopo alcune generazioni, a quello presente nelle popolazioni
ospitanti, suggerendo l’importanza della dieta nella comparsa del tumore.5
Controlli sull’uso illecito degli ormoni anabolizzanti in zootecnia.
In Italia, come negli altri Paesi comunitari, l’impiego in zootecnia degli ormoni,
quali promotori di crescita, è vietato. Per questo si effettuano regolarmente
controlli, mediante prelievo di campioni, sia sugli animali vivi, durante la fase di
ingrasso (che l’attuale orientamento giurisprudenziale equipara agli alimenti), sia
01/0
155
presso gli impianti di macellazione, secondo uno specifico programma (“Piano
Nazionale Residui”) elaborato annualmente dal Ministero della salute.
Negli anni ’80 e ’90 si impiegavano fraudolentemente, a scopo anabolizzante,
pochi principi attivi spesso somministrati a dosi elevate; le positività analitiche
risultavano pertanto numerose. Oggi registriamo la quasi totale assenza di
positività di laboratorio (con l’eccezione di numerose positività al boldenone,
ormone la cui produzione, diversamente da quanto ritenuto in passato, avverrebbe
naturalmente nell’intestino del bovino mentre è di produzione endogena nel
suino).25,26 Tuttavia, se da un lato ciò dipende da un minor utilizzo di tali sostanze,
dall’altro potrebbe basarsi sul ricorso a prodotti studiati per superare i controlli, nei
quali figurano contemporaneamente numerose molecole di natura diversa (quali
steroidi sessuali, beta-agonisti e corticosteroidi) in dosi assai ridotte o a molecole
modificate rispetto a quelle ricercate con metodiche ufficiali (sarebbero diverse
centinaia quelle utilizzate).27 Nel caso degli ormoni sessuali naturali i trattamenti
fraudolenti, eseguiti con prodotti a lento rilascio, possono garantire inoltre livelli
ematici entro la soglia dei valori fisiologici fissati per legge.28
L’attuale strategia di controllo, basata esclusivamente sulle analisi chimiche
qualiquantitative, risulta per questo perdente. A fronte dell’assenza di riscontri
analitici, infatti, indagini condotte presso gli stabilimenti di macellazione della
Regione Piemonte e di altre regioni del Nord Italia, hanno evidenziato
modificazioni anatomo-istopatologiche negli organi bersaglio (testicoli, ghiandole
bulbo-uretrali, prostata e mammella nei maschi; ovaio, utero, ghiandole del
Bartolini e mammella nelle femmine) verosimilmente indotte da trattamenti
pregressi con ormoni anabolizzanti, in circa il 15% dei bovini macellati. Questo
metodo di accertamento indiretto (la cui elevata sensibilità è testimoniata da
numerosi studi) può rappresentare la strategia vincente nella lotta all’illecito
utilizzo di tali promotori di crescita nel settore zootecnico.27 Le mutate strategie di
controllo prevedono anche, per il futuro, il ricorso a nuove discipline, come la
genomica e la proteomica basate sull’individuazione di biomarcatori molecolari
che esprimano le modificazioni indotte nei geni o nelle proteine dell’organismo
dalla somministrazione di sostanze estranee30 (nel bovino si è osservata, ad
esempio, una variazione quantitativa dell’adenosinacinasi, enzima che interviene
nel metabolismo glucidico, nel citosol delle cellule epatiche, dopo trattamento con
cocktails anabolizzanti).
Nei confronti di chi utilizza tali sostanze illecite sono oggi previsti pesanti
provvedimenti sanzionatori, di natura sia penale sia amministrativa, nonché
sanzioni accessorie, quali la sospensione della concessione dei premi comunitari.
2) Aflatossine.
Sono un gruppo di micotossine molto simili tra loro, estremamente tossiche,
mutagene e cancerogene, prodotte da due funghi, l’Aspergillus flavus e l’A
parasiticus. La loro identificazione è recente, risalendo infatti agli anni ‘60.32 Le
aflatossine che si ritrovano nei vegetali sono quattro: B1, B2, G1 e G2; Le
aflatossine B sono prodotte da entrambi i ceppi fungini mentre le G solo dall’A
parasiticus . L’aflatossina B1 (AFB1) è la più diffusa e, a causa della sua elevata
tossicità, è anche la più studiata. L’AFB1, inserita nel gruppo 1 dallo IARC,29 è
l’epatocancerogeno, attivo per ingestione, più potente che si conosca.32
01/0
156
L’inalazione dell’AFB1 (contenuta ad esempio nella polvere del grano) è stata
inoltre associata ad un aumento dell’incidenza del tumore del polmone.34,35
L’esposizione contemporanea all’AFB1, al virus dell’epatite B ed all’alcool
aumenta il rischio di contrarre il tumore epatico.33,36,37 Uno studio condotto in
alcune regioni della Cina ha evidenziato come la contemporanea esposizione
all’AFB1 ed al virus dell’ epatite B aumenti di 60 volte il rischio di contrarre
l’epatocarcinoma.33,40
L’azione cancerogena e citotossica dell’AFB1 non è tuttavia provocata
direttamente da tale sostanza ma origina dai suoi epossiderivati, che si legano al
DNA epatico e polmonare.32,33,35 In Cina un’indagine condotta su oltre 18.000
individui ha evidenziato un incremento del rischio (RR 3,4) di contrarre il cancro
al fegato negli individui nelle cui urine erano presenti complessi aflatossinaDNA.33 L’AFB1 causa, inoltre, mutazioni del gene p53, il più importante gene
soppressore dei tumori.34,37,38 Studi condotti in Cina hanno evidenziato come il
57% dei casi di epatocarcinoma fossero associati alla mutazione del gene p53,41
per la capacità di questa tossina di legarsi, sempre a livello epatico, alla guanina
del DNA del codon 249 di tale gene.33,34,38,40 Questa mutazione è stata considerata
come il “marchio genetico” del tumore al fegato causato dall’AFB137 e si è rilevato
come ciò possa essere utilizzato per l’effettuazione di indagini epidemiologiche
molecolari e per indagare la diffusione dell’ AFB1 in territori dove se ne ignora
l’entità della presenza. 41
L’aflatossina M1 nel latte.
Mentre la quantità di AFB1 che si accumula nelle carni degli animali può
considerarsi trascurabile, altrettanto non si può dire per uno dei suoi metaboliti,
l’aflatossina M1 (AFM1), un idrossiderivato che si forma a livello epatico e che
viene escreto sia con le urine sia con il latte. Anche l’AFM1 ha capacità di formare
legami con il DNA; tuttavia la cancerogenicità epatica (verificata sulla trota iridea
e sul ratto) è considerata inferiore, dal 2% all’8%, rispetto a quella della B1.39 L’
evidenza della cancerogenicità nell’uomo risulta limitata; per questo lo IARC
classifica l’AFM1 nel gruppo 2/b, tra i cancerogeni possibili per l’uomo.29
La quantità del metabolita AFM1 nel latte dipende, dunque, dalla quantità
dell’AFB1 presente nei foraggi ingeriti dagli animali lattiferi. Tra i foraggi
maggiormente contaminati, il mais (la semola e l’insilato), i semi di cotone, le
farine di soia, di girasole e di lino.32
L’esposizione umana all’AFB1 si realizza invece principalmente attraverso il
consumo di mais e arachidi (che sono in alcuni Paesi tropicali beni di primaria
necessità),42 oltre che di pistacchi, mandorle, fichi secchi e alcune spezie
(peperoncino).32
Le aflatossine contaminano i vegetali sia sul campo (sono condizioni climatiche
ottimali allo sviluppo di queste muffe le estati calde e le situazioni di stress delle
piante quali siccità e parassiti), sia durante lo stoccaggio in magazzino (eccessiva
umidità delle materie prime, assenza di ventilazione).32
Sono stati numerosi gli studi che hanno cercato di stabilire il “carry-over”, cioè la
quantità di AFB1 presente nella dieta degli animali lattiferi che passa nel latte
come AFM1; nel caso della vacca da latte questa percentuale è stimata mediamente
intorno all’1-3%,32,43 anche se esiste una notevole variabilità individuale, con
01/0
157
valori fino al 30% osservati nei primi giorni della lattazione.44 Nell’ovino, il
”carry-over” risulta particolarmente ridotto, pari allo 0,1%, suggerendo una
migliore capacità delle pecore di degradare l’AFB1.45
Sulla base delle precedenti considerazioni la Comunità Europea ha stabilito valori
massimi ammissibili di AFB1 nei diversi alimenti destinati agli animali lattiferi (5
ppb nel mangime per vacche da latte)46 ed un limite massimo tollerabile di AFM1
nel latte: 50 ppt.47 Questo limite è tra i più bassi al mondo (negli USA è di 500
ppt) poiché stabilito secondo i criteri ALARA (As Low As Reasonably
Achievable), ovvero secondo il principio di porre il limite massimo sulla base di
livelli minimi di contaminazione ottenibili con l’uso di buone pratiche agricole.48
In condizioni standard, pertanto, il rispetto dei limiti fissati di AFB1 nei mangimi
dovrebbe garantire la presenza nel latte dell’AFM1 entro il tasso di 50 ppt. In
realtà, anche rispettando questi limiti, non vi è la certezza che nel latte l’AFM1
rientri nel valore soglia.32 Il limite di legge oggi previsto nel mangime dovrebbe
pertanto essere rivisto.
Non esistono invece livelli massimi ammissibili di AFM1 nei derivati del latte,
dove la tossina si lega alla frazione proteica ed è presente ad esempio nei formaggi
con livelli di contaminazione 3-4 volte superiori rispetto al latte.32
Alcuni ricercatori hanno anche stabilito le quantità massime di aflatossine
tollerabili giornalmente (tolerable daily intake, TDI) espresse in ng/Kg di peso
corporeo per giorno. Tali valori sono stati stimati attraverso modelli che si sono
basati su dati epidemiologici e sulla sperimentazione effettuata negli animali, con
riferimento ad un rischio di un caso di tumore ogni milione di individui per anno.
Per l’AFB1 è stato calcolato un valore di 0,014, mentre per l’AFM1 il valore è di
0,2.32
Attività di controllo sulla presenza delle aflatossine negli alimenti di origine
animale.
L’andamento climatico di questi ultimi anni, con estati calde e secche che hanno
favorito lo sviluppo sui foraggi dei funghi produttori dell’AFB1, ha determinato un
incremento dell’attività di controllo sulla filiera di produzione del latte e derivati.
Esistono un piano di campionamenti elaborato dal Ministero della salute ed un
programma elaborato dalla Regione Piemonte per monitorare la contaminazione
dei mangimi da AFB1 e la contaminazione del latte da AFM1. Inoltre, tutti i
caseifici effettuano analisi in autocontrollo sul latte acquisito.
Le particolari condizioni climatiche verificatesi nell’anno 2003 hanno creato nella
Pianura Padana condizioni ideali allo sviluppo di muffe del genere Aspergillus. I
risultati degli accertamenti effettuati in Piemonte, nell’anno 2003, dai Servizi
veterinari e dai caseifici in autocontrollo, sono riassunti nella tabella sottostante.48
tipologia campione
n. campioni
% positivi
Mangimi
396
1,5%
Latte presso l’allevamento
238
9%
Latte dell’autocisterna
57
10%
Latte in commercio (fresco)
68
1,5%*
Latte in commercio (UHT)
51
1,5%*
Latte (autocontrollo )
1397
7%
*latte proveniente da altre Regioni
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La bassa percentuale di positività dei campioni effettuati sul latte fresco e UHT in
fase di distribuzione, dato abbastanza rassicurante, ha trovato riscontro anche negli
accertamenti eseguiti nell’anno successivo (da novembre 2003 a dicembre 2004),
climaticamente meno favorevole allo sviluppo delle aflatossine: su 287 campioni
analizzati presso l’Istituto Zooprofilattico di Torino, solo 2 (corrispondenti ad una
percentuale dello 0,7%) sono risultati non conformi alla vigente normativa.49 Le
differenti percentuali di positività evidenziate nella tabella tra il latte controllato in
allevamento e quello campionato nella fase di commercializzazione, deriva
dall’effetto di diluizione che l’alimento con valori più elevati subisce nel
caseificio. Ovviamente, il riscontro di quantitativi superiori ai limiti di legge, sia
nei mangimi, sia nel latte, a seguito di un controllo ufficiale, comporta l’obbligo
della distruzione della partita campionata.
In uno studio condotto in Lombardia ed in Emilia sono state monitorate, per un
anno, 16 aziende zootecniche, 8 tradizionali e 8 aderenti al circuito biologico,
attraverso l’effettuazione di 160 campioni di latte. Il contenuto di AFM1 nel latte
biologico è risultato significativamente maggiore rispetto al latte convenzionale:
29 campioni biologici e 7 tradizionali superavano il limite di legge. Questo si
spiega verosimilmente con una tecnologia inferiore applicata alle metodiche
agronomiche, fatto che ha determinato una maggior contaminazione dei foraggi in
campo e durante lo stoccaggio da parte delle muffe produttrici di aflatossine.
Viceversa, lo studio ha evidenziato nel latte biologico un contenuto in
antiparassitari inferiore, mentre non si sono notate sostanziali differenze nel
contenuto in piombo, cadmio e PCB.50
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162
RAPPORTI EPIDEMIOLOGICI
TRA NUTRIZIONE E NEOPLASIE
Gianluigi Bassetti
Direttore Servizio di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione, A.S.L. 15 - Cuneo
Gli studi sui rapporti tra tumori ed alimentazione si sono intensificati nella seconda
parte del secolo scorso partendo dalla considerazione che dati epidemiologici
osservazionali indicavano una diversa incidenza di tumori in differenti
popolazioni. Ad esempio, si rilevava una maggiore diffusione di cancro allo
stomaco ed esofago in Giappone e, viceversa, una ridotta incidenza di tumore alla
mammella nella stessa etnia.
Tale manifestazione ipoteticamente si poteva ascrivere a differenze genetiche, ma,
considerando che la situazione epidemiologica si era vista modificare in seguito ad
emigrazioni, con allineamento al dato epidemiologico del Paese di immigrazione,
si delineava una possibilità di influenza degli stili di vita. Tra questi, si
cominciavano quindi ad indagare le abitudini alimentari.
È opportuno premettere che i dati sui consumi alimentari nella popolazione non
sono sempre completi ed aggiornati. In genere, ci si basa a) sul Bilancio
Alimentare Nazionale, che non tiene conto del consumo di alimenti di propria
produzione, del consumo da parte di immigrati non residenti, dell’imprecisione
comunque insita nel dato globale nazionale; b) su indagini campionarie
dell’Istituto Nazionale di Ricerca su Alimenti e Nutrizione (INRAN), che
essenzialmente non sono recenti; c) sulle indagini Multiscopo dell’ISTAT,
condotte periodicamente e che, tra gli altri items, rilevano anche le abitudini
alimentari.
Inoltre la ricerca in questo campo sconta la difficoltà ed imprecisione delle raccolte
anamnestiche alimentari; la difficoltà della quantificazione degli apporti
alimentari; la variabilità del rapporto alimenti-nutrienti; ed infine, l’influenza di
fattori confondenti e/o comunque implicati, come il fumo, l’esposizione lavorativa
ed i fattori genetici.
Alcune ipotesi di lavoro necessitano di reale dimostrazione epidemiologica, tanto
più che talvolta ed anche recentemente alcune ricerche tendono a smentire dati che
si ritenevano sufficientemente acquisiti.
In tale ottica, l’alimentazione e gli alimenti possono essere considerati tanto come
fattore di rischio rispetto all’insorgenza di tumori che, all’inverso, come fattori di
prevenzione dalla malattia neoplastica.
Fin dal 1981 i dati forniti da epidemiologi importanti come Doll e Peto, stimavano
un rischio attribuibile all’alimentazione nei confronti del cancro attorno al 30-35%,
che si può considerare il più alto rischio attribuibile rispetto agli altri ipotizzati.1 In
effetti, pur considerando che il range di percentuale rilevato nella ricerca era
troppo ampio per ritenersi sufficientemente preciso, che la stima si basava su una
dieta nordamericana, che in quel lasso di tempo, diversamente da oggi, risultava
lontana dalle abitudini più comuni in Italia, tale assunto non è mai stato smentito
dalla letteratura ed invero recenti dati, più avanti riportati, sembrano avvalorare la
stima indicata.
Rispetto al peso della dieta, si osservi quanto riportato in Tabella 1.
01/0
163
Fattori
Winder-Gori ’77
(*)
M
F
Higginson
- Muir ’79 (*)
M
F
Doll-Peto ’81
(**)
M+F
Dieta-alim.
40
57
25
42
35 (10-70)
Alcool
3 (2-4)
Fumo
28
8
30
7
30 (25-40)
Occupazione
4
2
6
2
4 (2-8)
Tab. 1 - Tentativi di stima casi (*) e morti (**) per cancro a causa di fattori varî
(G. Gilli, 1989, modificato)2
Oltre quanto detto, una stima dell’influenza del cibo su alcuni tumori, seppur
datata, riflette ancora le attuali ipotesi ed affermazioni (Tabella 2)
Polmone
Stomaco
- verdura e frutta
verdura e frutta
uso frigo
+ sale
+ grigliate
Mammella
verdura
+ grassi
+ alcool
+ obesità
Prostata
+ grassi
Colon e
fibre e verdure
retto
attività fisica
+ grassi
+ alcool
Bocca e
verdura e frutta
gola
+ alcool
+ grigliate
Fegato
+ alcool
+ cibi contaminati
Esofago
verdura e frutta
+ alcool
Tab. 2 – Influenza del cibo su alcuni tumori (Food Nutrition and Prevention of
cancer, 1977, modificato)
Alimenti come rischio
Partendo dalla valutazione IARC che, seppur in qualche caso risalga agli anni
Ottanta, rappresenta ancora una base di studio e discussione sul tema, brevemente
si ricorda la classificazione nei gruppi:
gruppo 1
cancerogeno per l’uomo
gruppo 2A
probabilmente cancerogeno per l’uomo
gruppo 2B
possibile cancerogeno per l’uomo
01/0
164
gruppo 3
non classificabile per cancerogenicità nell’uomo
gruppo 4
probabilmente non cancerogeno per l’uomo.
A seguire si riportano alcuni dati di letteratura utili per la lettura della tabella 2.
L’alcool è ricompreso dallo IARC nel gruppo 1.3 Si ritiene che esso agisca come
promotore di tumori, ma anche come solvente di sostanze dannose contenute in
alimenti o tabacco, come pure per azione lesiva diretta o indiretta tramite carenze
nutrizionali indotte. Si osservi la Tabella 3.
Aumento del rischio
Molto alto
Tumori
Bocca e faringe
Laringe
Esofago
Fegato
Probabile
Colon e retto
Mammella
Possibile
Polmone
Tab. 3 – rischio tumori da alcool (American Inst Cancer Research, 1997)
Il rapporto tra l’assunzione di grassi, totali e saturi, ed il rischio di tumori è
riportato nella tabella 4. Studi di popolazione hanno evidenziato, ad esempio, nei
Mormoni, setta religiosa i cui componenti sono prevalentemente vegetariani o
comunque con un basso consumo di carni, una riduzione importante dell’incidenza
di varî tumori rispetto alla popolazione.
All’inverso, i grassi polinsaturi parrebbero esercitare un’azione protettiva ad
esempio sul tumore della mammella, come farebbero pensare rilievi di popolazione
secondo cui le donne spagnole e greche hanno una minore incidenza di tale
malattia, in relazione ad una dieta più tipicamente mediterranea.4
Aumento del rischio
Possibile
Grassi totali
Polmone
Colon e retto
Mammella
Prostata
Grassi saturi
Laringe
Polmone
Colon e retto
Mammella
Endometrio
Prostata
Tab. 4 – rischio tumori da grassi (American Inst. Cancer research, 1997)
Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono sostanze chimiche derivanti dalla
combustione, ubiquitariamente presenti sotto forma di miscele che possono
facilmente contaminare gli alimenti e le acque potabili per polluzione o durante la
cottura o l’essiccamento ed affumicatura.
I diversi idrocarburi sono classificati nei gruppi IARC 2A, 2B o 3 .
Pur nella difficoltà di calcolare puntualmente il rischio o una soglia limite di
assunzione per queste sostanze, considerando una assunzione media giornaliera
con gli alimenti di 50-300 ng/persona, si stima un rischio aggiuntivo causato dagli
IPA di 10-100 casi di tumore per milione di esposti.5 In tabella 5 è riportata
l’assunzione di IPA.
01/0
165
Alimenti
Acqua Aria
Antracene
<30-640
20
Fenantrene
<330-4510
400
Fluorantrene
600-1660
2-20
100
Pirene
600-1090
0.2-20 100
Crisene
200-1530
20
20
Benzantracene
<20-410
0.2-20
20
BaP
50-290
0.2-2
20
Benzoperilene
120-360
0.2-2
20
Tab. 5 - Stima assunzione media giornaliera IPA in adulto non fumatore
(ng/persona) (ISS, 2003, modificata)
Sostanze cancerogene, in particolare per il fegato, oltre che tossiche,
accidentalmente presenti in alimenti, sono le micotossine.
Si tratta di metaboliti secondari prodotti in particolari circostanze da alcuni ceppi
di funghi microscopici; fortunatamente, solo alcune muffe ne producono una
varietà definita aflatossine.
Attualmente le aflatossine sono classificate dallo IARC nel gruppo 1, l’ocratossina
A e le fumonisine nel gruppo 2B.
Le aflatossine si possono ritrovare in cereali, semi oleaginosi, spezie, frutta fresca
e secca, ma anche, attraverso il ciclo alimentare delle mucche, nel latte.
L’ocratossina A si ritrova in cereali, spezie, cacao, caffè, vini, birra, carni suine ed
avicole.
Le fumonisine si rinvengono nel mais e nei suoi derivati.
Una stima di Tolerable Daily Intake (MTDI) come valore massimo è stata fatta per
l’ocratossina A, con valori di 5 ng/Kg/giorno. In Italia si stima un consumo medio
giornaliero nella popolazione di 1,26 µg/Kg, quindi sufficientemente rassicurante,
ma comunque da non sottovalutare in relazione sia all’emergenza di nuovi dati per
altre micotossine comunque ingerite, sia per lo sviluppo del commercio
globalmente diffuso con rischio di aumento di importazione di cibi contaminati.
Per le fumonisine si stima invece un MTDI di 2 µg/Kg/giorno.6
Contrariamente a quanto evidenziato in alcune ricerche secondo cui per il
consumatore i maggiori rischi sono conseguenti alla presenza di fitosanitari ed
additivi, entrambi questi prodotti, in una lista di rischi reali legati
all’alimentazione, sono piazzati agli ultimi posti.
In effetti, il corrispondente rischio di cancerogenicità, tra gli altri, è classificabile al
massimo in gruppo 2A per il Captafol, prodotto non molto usato, ed in gruppo 2B
per il DDT e l’atrazina, entrambi non più commerciabili.
Per gli additivi, la regolamentazione d’uso è prevista solo per prodotti chiaramente
riconosciuti e vagliati in senso tossicologico dalla Commissione Europea, con
periodiche revisioni. Si può quindi ritenere che, al momento attuale, gli additivi
della lista positiva, concessi ed utilizzabili, non rappresentino un rischio di
cancerogenicità.
01/0
166
Alimenti come prevenzione
Per introdurre l’argomento, è utile ricordare che una gran parte di alimenti o
nutrienti che la letteratura riporta come fattori di prevenzione nell’insorgenza della
malattia agiscono molto probabilmente come antiossidanti, quindi come reazione
di difesa nei confronti dei radicali liberi.
I radicali liberi sono specie chimiche che hanno un elettrone spaiato nell’orbitale
più esterno, con una conseguente elevata reattività. Si possono produrre nella
catena respiratoria, o dai fagociti in risposta ad insulti esterni, e causano una serie
di danni a cellule, nuclei, membrane e DNA, da cui la possibilità, tra l’altro, di
favorire l’insorgenza di tumori.
Oltre agli antiossidanti endogeni, primari o secondari, una grossa funzione di
difesa è attribuita a quelli introdotti con alimenti e considerati essenziali.
Tra questi possiamo citare gli indoli presenti nei cavoli, i flavonoidi di uva ed
arance, il carotene di carote ed arance, il licopene dei pomodori, le catechine del tè
verde, il resveratrolo del vino rosso, tutti contenuti in alimenti del regno vegetale.
Un punto di accordo diffusamente condiviso sui rapporti cancro-alimentazione è il
ruolo protettivo di frutta e verdura, come riportato nella tabella 6. Ma ancor più
eclatante è, nella tabella 7, il raffronto tra diversi studi epidemiologici che
indagavano il ruolo protettivo di questi alimenti, con l’evidenza di un elevato
numero di studi che raggiungevano una dimostrazione statisticamente significativa
dell’efficacia di tale ruolo.4,7
Evidenza di protezione
Molto alta
Probabile
Possibile
Frutta e verdura
Bocca e faringe
Esofago
Polmone
Laringe
Pancreas
Mammella
Cervice
Ovaio
Tiroide
Verdura
Colon e retto
Fegato
Prostata
Rene
Tab. 6 - Ruolo protettivo del consumo di frutta e verdura (A.I.C.R., 1997, mod.)
Sede
Stomaco
Colon
Esofago
Bocca e faringe
Polmone
Retto
Mammella
Pancreas
N. totale studi
31
21
18
15
13
13
12
11
N. studi con associazione significativa
28
15
15
13
11
8
8
9
Tab. 7 – Consumo di frutta e verdura e rischio di cancro; studi ca-co (v. sopra)
01/0
167
La plausibilità biologica del ruolo preventivo di frutta e verdura è sostenuta
dall’azione antiossidante acclarata di alcuni micronutrienti, come la vitamina C e
forse anche la A; dall’attività di promozione della differenziazione cellulare, come
la vitamina A, derivata dai carotenoidi; dall’attività di riparazione del DNA, come
per i folati; da varie altre che si caratterizzano sempre più in studi recenti.
A sottolineare il complesso rapporto tra alimento e nutrienti ed il conseguente
metabolismo assimilativo, vi è però la serie di ricerche degli anni Novanta nelle
quali, partendo dai presupposti prima esposti e dall’evidenziazione di minori livelli
di βcarotene nel sangue di portatori di tumori in sedi diverse, si indagava l’utilità di
somministrare supplementi di βcarotene in dosi elevate per la prevenzione di
tumori in fumatori. In realtà, tali studi si erano dovuti interrompre per l’incidenza
di un eccesso di tumori dei polmoni rispetto alla popolazione.
Studio EPIC
Lo studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) è
partito negli anni Novanta allo scopo di indagare sulle ipotesi ancora non
diffusamente dimostrate riguardo ai rapporti tra cancro e alimentazione.
Si tratta di un’indagine multicentrica che verte sulle abitudini alimentari e sugli
stili di vita di circa 500.000 soggetti tra 35 e 64 anni di età di 10 Paesi europei, tra
cui l’Italia, in relazione ai rischi di malattie croniche ed in particolare di tumori. Lo
studio si prefigge di rilevare più compiutamente i rapporti tra l’alimentazione ed i
tumori e, in subordine, anche le relazioni con malattie croniche diffuse, quali
quelle cardiovascolari, il diabete, l’ipertensione.
Un dato importante, confermato da tale ricerca, è l’associazione tra consumo di
carne rossa ed insaccati ed il cancro del colon retto, nonchè una riduzione di
rischio conseguente ad un elevato consumo di pesce.
I risultati di follow up di 5 anni hanno dimostrato che nella popolazione in studio
vi è un aumento di rischio di sviluppare tale patologia tumorale del 35% tra i
consumatori di quantità elevate di carne rossa ed insaccati rispetto a coloro che ne
consumano dosi più basse (più di 160 g/die rispetto a quantità inferiori a 20 g/die).
All’inverso, i consumatori di elevate quantità di pesce hanno un rischio ridotto del
31% rispetto a chi ne mangia poco (più di 80 g/die rispetto a meno di 10 g/die).8
Entrambi i valori percentuali riecheggiano i rischi percentuali attribuibili nella
popolazione indicati da Doll e Peto un quarto di secolo fa.1
Precedenti studi già indicavano che il 70% dei casi di cancro del colon retto può
essere evitato con cambiamenti dello stile di vita nei Paesi dell’Europa
Occidentale, soprattutto in considerazione dei fattori di rischio individuati in
termini sufficientemente condivisi: l’obesità, l’inattività fisica, l’elevato consumo
di bevande alcoliche, l’inizio precoce dell’abitudine al fumo, il consumo elevato di
carne rossa e il basso introito di acido folico.8,9,10
01/0
168
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169
ESPOSIZIONE PROFESSIONALE E MALATTIA ONCOLOGICA
Anna Maria Cacciatore
Direttore Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, A.S.L. 15 Cuneo
Introduzione
Si definiscono professionali i tumori nella cui genesi ha agito, come causa o
concausa, l’attività lavorativa, con esposizione ad agenti cancerogeni.1
L’identificazione di lavori in grado di far aumentare la frequenza di uno o più tipi
di tumore nella popolazione si basa su studi epidemiologici, anche se spesso,
specialmente in passato, i primi sospetti nacquero dall’osservazione di “ un certo
numero” di casi di un particolare tumore in gruppi limitati di lavoratori. Un
esempio storico è rappresentato dalla segnalazione, da parte di Sir Percival Pott, di
un’elevata frequenza di tumori dello scroto in giovani spazzacamini (1775). Il
riconoscere particolari situazioni lavorative a rischio d’esposizione a cancerogeni
non è semplice, ma ancora più difficile è la precisa identificazione dell’agente
chimico o fisico responsabile della cancerogenesi. L’osservazione di Pott sarà,
infatti, convalidata solo 150 anni dopo, con l’identificazione, nella fuliggine, di
vari idrocarburi policiclici aromatici (IPA) a 4-7 anelli benzenici condensati.
Le banche dati
Esistono oggi diverse liste di sostanze cancerogene preparate da varie agenzie
nazionali o internazionali, secondo diversi criteri. Ne ricordo due: -International
Agency for Research on Cancer (IARC) e –Carcinogen Exposure (CAREX).
A partire dagli anni ‘70, la IARC ha preso in considerazione oltre 700 sostanze
chimiche, gruppi e miscele di sostanze, processi industriali, occupazioni, valutando
i dati della letteratura relativi alla loro cancerogenicità. Le revisioni critiche sono
state pubblicate sotto forma di monografie (http://www.iarc.fr).
CAREX è stata sviluppata al fine di stimare i pattern d’esposizione a cancerogeni
relativi ai Paesi UE.2 Un gruppo internazionale di esperti ha stimato il numero di
lavoratori esposti a cancerogeni occupazionali per ogni Paese UE, agente e
processo industriale.3 Per l’Italia, i dati di CAREX sono aggiornati al 2003
(http://www.cpo.it) A tale data, sono stati stimati 4.2 milioni di lavoratori esposti
ad agenti cancerogeni, pari al 24% degli occupati, 2suddivisi secondo la tabella 1.
carcinogeni
Fumo di tabacco (ambientale)
Radiazione solare
Fumi motori Diesel
Polveri di legno
Silice cristallina
Piombo e suoi composti organici
stima degli esposti
secondo CAREX
770.468
562.000
552.495
309.464
269.688
215.325
01/0
170
Benzene
Composti del Cromo VI
Lana di vetro
Idrocarburi policiclici aromatici
(esclusa la prima voce della tabella)
Formaldeide
Tetracloroetilene
Composti del Nichel
Asbesto
Miscele di acidi inorganici forti
contenenti acido solforico
Cloruro di metilene
Cadmio e composti
Stirene
Tricloroetilene
Arsenico e composti
176.543
134.056
148.425
127.315
74.508
102.500
78.575
352.691
48.713
38.581
32.346
30.532
41.919
28.322
Tab.1
Per quanto riguarda l’esposizione ambientale a fumo di tabacco, la legislazione ha
ampliato e rafforzato il divieto di fumare.4
Le classificazioni
Prima di prendere in esame il testo legislativo, è opportuno ricordare le
classificazioni degli agenti cancerogeni e mutageni (tabelle 2, 3 4 e 5).
Gruppo 1
Gruppo 2 A
Gruppo 2 B
Gruppo 3
Gruppo 4
Tab.2
classificazione dei cancerogeni
secondo IARC
Cancerogeno per l’uomo (è stata stabilita una relazione
causale tra esposizione e tumori umani).
Probabilmente cancerogeno per l’uomo.
Possibilmente cancerogeno per l’uomo.
Non classificabile circa la cancerogenicità per l’uomo.
Probabilmente non cancerogeno per l’uomo.
classificazione dei cancerogeni e dei mutageni secondo UE5
Categoria Sostanze di cui si è certi dell’azione cancerogena sull’uomo.
1
Categoria Sostanze che devono essere assimilate alle sostanze
2
cancerogene per l’uomo. Si dispone di sufficienti elementi
per presumere che l’esposizione dell’uomo a dette sostanze
possa provocare un tumore.
Categoria Sostanze pericolose per l’uomo a causa del loro possibile
3
effetto cancerogeno, per le quali, però, le informazioni
disponibili non permettono una valutazione soddisfacente.
Tab.3
01/0
171
definizione di agente cancerogeno secondo la normativa italiana 5
Sostanza
...che risponde ai criteri relativi alla classificazione quali
categorie cancerogene 1 o2 (frasi di rischio: R45 –
R49),stabiliti ai sensi del Dlgs 52/97 e smi.
Preparato
...contenente una o più sostanze di cui al punto precedente,
quando la concentrazione di una o più delle singole
sostanze risponde ai requisiti relativi ai limiti di
concentrazione per la classificazione di un preparato nelle
categorie cancerogene 1 o2, stabiliti ai sensi dei D.Lgs
52/97 e 258/98 (frasi di rischio: R45- R49)(concentrazione
≥0.1%).
Sostanza, Preparato
...di cui all’all.VIII del D.Lgs 626/94, nonché una sostanza
o Processo
od un preparato emessi durante un processo previsto
dall’All.VIII.
Tab.4
definizione di agente mutageno secondo la normativa italiana 5
Sostanza
...che risponde ai criteri relativi alla classificazione quali categorie
mutagene 1 o 2 (frasi di rischio: R46), stabiliti ai sensi del D.Lgs
52/97 e smi.
Preparato
...contenente una o più sostanze di cui al punto precedente, quando la
concentrazione di una o più delle singole sostanze risponde ai
requisiti relativi ai limiti di concentrazione per la classificazione di
un preparato nelle categorie mutagene 1 o 2 ,stabiliti ai sensi dei
D.Lgs 52/97 e 258/98 (concentrazione ≥0.1%).
Tab.5
Poiché la classificazione di queste sostanze non è semplice, diventa importante
controllare la loro etichettatura.
Attenzione, quindi, alle frasi di rischio che devono essere riportate sulle etichette.
Nei casi dubbi, si può fare ricerche nelle banche dati come, ad esempio:
http://www.cpo.it oppure http://www.dors.it.
Correlazioni tra cancerogeni, attività lavorative e organi bersaglio
Vediamo ora alcuni esempi alcuni di correlazione tra esposizioni professionali a
cancerogeni e organo/i bersaglio.1 Le sostanze riportate nella tabella 6 sono
classificate nel gruppo 1 IARC.
cancerogeni
4-aminodifenile
Arsenico e suoi composti
Asbesto
Benzene
organo/i bersaglio
Vescica
Polmone, cute
Polmone, sierose
Leucemie
01/0
172
Benzidina
Berillio e suoi composti
Bisclorometiletere (BCME) e
Clorometiletere (CCME)
Cadmio e suoi composti
Catrame, fuliggine (IPA*)
Pece (IPA*)
Cloruro di vinile monomero (VCM)
Vescica
Polmone
Polmone
Polmone
Cute, polmone
Cute, polmone, vescica
Fegato (angiosarcoma),
polmone?
Cromo VI, composti
Polmone
2-naftilamina
Vescica
Nichel e composti
Cavità nasali, polmone
Olii minerali non trattati o poco trattati
Cute
Ossido di etilene
Organi linfo-emopoiet.
Talco contenente fibre asbestiformi
Polmone
*IPA=idrocarburi policiclici aromatici a 4-7 anelli benzenici condensati
Tab.6
Se non si conosce con esattezza la sostanza alla quale il lavoratore è od è stato
esposto, si può ragionevolmente fare riferimento al processo industriale, come si
evince dalla lettura della tabella 7.
processi industriali/mansioni
Produzione di alluminio
Produzione di coloranti
Produzione e riparazione di scarpe
Produzione di mobili
Esposizione a radon
Fonderie di ferro ed acciaio
Produzione della gomma (alcune mansioni)
Esposizione a vapori
di acidi inorganici contenenti H2SO4
Esposizione a vernici
Uso di pesticidi arsenicali
Asfaltatori (IPA)
Tornitori (olii minerali)
Radiologi, tecnici di radiologia…
(radiazioni ionizzanti)
Tab.7
organo/i bersaglio
Polmone, vescica
Vescica
Cavità nasali, leucemie?
Cavità nasali
Polmone
Polmone
Vescica, leucemie
Laringe, polmone
Polmone, vescica
Cute
Cute
Cute
Cute, leucemie
Bisogna tener presente che queste liste non sono complete, ed inoltre che
l’esposizione a cancerogeni può essere di intensità molto diversa in situazioni
occupazionali diverse e può modificarsi nel tempo. Una scrupolosa raccolta
dell’anamnesi lavorativa è indispensabile per valutare eventuali esposizioni, attuali
e/o pregresse. È importante ricordare che i tempi di latenza tra l’inizio
dell’esposizione al cancerogeno e comparsa del tumore possono essere molto
lunghi (decenni!).
01/0
173
La legislazione italiana in materia di prevenzione primaria da cancerogeni
La legislazione italiana relativa alla protezione dagli agenti cancerogeni e mutageni
professionali è essenzialmente raccolta in due Decreti Legislativi: il D.Lgs 277/91
e smi6-8 -titolo II- e il D.Lgs 626/94 e smi7,8 -titolo VII- .
Il D.Lgs 277/91 e smi si occupa dell’esposizione all’amianto. Il D.Lgs 626/94 e
smi inquadra tutto il tema relativo all’esposizione professionale a cancerogeni:

Obblighi del datore di lavoro

Valutazione del rischio

Misure di prevenzione e protezione

Obblighi del Medico Competente

Sorveglianza sanitaria
Obblighi del datore di lavoro e valutazione del rischio
La valutazione e le corrispondenti misure di protezione devono essere predisposte
preventivamente; è indispensabile sapere preliminarmente se un agente possa
essere cancerogeno e/o mutageno. L’attenzione deve essere rivolta prima di tutto
alle materie prime impiegate, controllando la scheda tecnica di sicurezza: occorre
verificare l’etichettatura del prodotto e le rispettive frasi di rischio. In seguito è
importante valutare se, durante i processi e le reazioni che l’attività prevede vi sia
la possibilità di sviluppo di derivati, sottoprodotti e/o scarti che possono essere
potenzialmente cancerogeni.
Appurata la presenza e l’utilizzo di sostanze cancerogene, il datore di lavoro deve
giudicare se la concentrazione di cancerogeni e/o mutageni nell’ambiente di lavoro
corrisponda al minimo tecnicamente raggiungibile, identificando gli esposti, che
dovranno essere iscritti in un registro apposito (D.L.gs 626/94 art. 70).
La valutazione del rischio per gli agenti cancerogeni e/o mutageni deve essere
intesa come una valutazione del rischio residuo e deve essere eseguita solo dopo
aver applicato le misure più efficaci quali:
-eliminazione o sostituzione dell’agente cancerogeno e/o mutageno,
-lavorazione a sistema chiuso,
-riduzione dell’esposizione al più basso valore possibile.
Misure di prevenzione e protezione
La prima misura da mettere in atto consiste nell’evitare o ridurre l’utilizzazione di
un agente cancerogeno, ad esempio sostituendolo con una sostanza, un preparato o
un procedimento meno nocivo per la salute. Se questo non è possibile, si dovrà
provvedere affinché la produzione e/o l’utilizzo avvengano in un sistema chiuso, e
si dovrà comunque procedere in modo che il livello di esposizione degli addetti sia
ridotto al più basso valore tecnicamente possibile (utilizzando gli appropriati
dispositivi di protezione individuale, DPI, limitando i contatti con l’agente
cancerogeno, controllando l’accesso ai locali in cui avvengono le lavorazioni).
Come prima misura di prevenzione la norma obbliga il datore di lavoro alla
valutazione del rischio da esposizione ad agenti cancerogeni e pertanto occorre
tenere presente:
• le caratteristiche dell’impiego,
• la loro durata e frequenza,
01/0
174
• i quantitativi utilizzati,
• la concentrazione,
• la capacità di penetrazione nell’organismo per le diverse vie di assorbimento,
anche in relazione allo stato di aggregazione dell’agente cancerogeno stesso,
• le attività che comportano l’utilizzo di sostanze o preparati cancerogeni,
• i motivi per i quali questi sono impiegati,
• i quantitativi utilizzati, o presenti come impurità o sottoprodotti,
• il numero e l’esposizione degli addetti,
• le misure preventive e protettive da applicare,
• i DPI utilizzati.
Tenendo presente quanto previsto dalla norma, l’obiettivo principale è quello di
attuare misure di prevenzione che escludano quanto più possibile che ci siano dei
lavoratori esposti e che nel contempo portino la durata e l’intensità
dell’esposizione dei lavoratori ai livelli più bassi possibile.
Per accertare e documentare la situazione di esposizione lavorativa a cancerogeni
e/o mutageni le norme prevedono il ricorso a misurazioni degli agenti mediante
campionamenti ambientali allo scopo di determinare il livello di esposizione per
via inalatoria e studiare l’efficacia delle misure di prevenzione adottate.
Molto spesso per gli agenti cancerogeni e/o mutageni non è possibile evidenziare
una soglia di esposizione sicura, anche se bassa o molto bassa, anche se a livello
comunitario è stato introdotto il valore limite definito come il limite della
concentrazione media, ponderata in funzione del tempo, di un agente cancerogeno
o mutageno nell’aria, rilevabile dentro la zona di respirazione di un lavoratore, in
relazione ad un periodo di riferimento determinato.
Dalla misurazione del valore limite è possibile arrivare alla stima dell’esposizione
dei lavoratori suddividendoli in:
-potenzialmente esposti,
-esposti.
Lavoratori potenzialmente esposti: il valore di esposizione ad agenti cancerogeni
e/o mutageni risulta superiore a quello della popolazione generale, solo per eventi
imprevedibili e non sistematici.
Lavoratori esposti: il valore di esposizione ad agenti cancerogeni e/o mutageni
potrebbe risultare superiore a quello della popolazione generale.
Obblighi del Medico Competente e sorveglianza sanitaria
Gli addetti ad attività con esposizione ad agenti cancerogeni e/o mutageni devono
essere sottoposti a sorveglianza sanitaria.
Il datore di lavoro, sentito il parere del medico competente, deve adottare misure
preventive e protettive, e programmare le visite mediche periodiche. Il medico
fornisce agli addetti adeguate informazioni sulla sorveglianza sanitaria cui sono
sottoposti, con particolare riguardo all’opportunità di sottoporsi ad accertamenti
sanitari anche dopo la cessazione dell’attività lavorativa.
In considerazione della possibilità di effetti a lungo termine, gli esposti ad agenti
cancerogeni e/o mutageni devono essere iscritti in un registro nel quale è riportata
l’attività svolta, l’agente utilizzato e, ove noto, il valore dell’esposizione a tale
agente.
Detto registro è istituito ed aggiornato dal datore di lavoro che ne cura la tenuta
insieme al medico competente.
01/0
175
Copia del registro va consegnata all’ISPESL ed all’organo di vigilanza competente
per territorio (A.S.L.), comunicando, almeno ogni 3 anni, le variazioni intervenute;
a richiesta, va consegnata all’Istituto Superiore di Sanità.
Per ciascuno degli addetti esposti è istituita una cartella sanitaria e di rischio, a
tutela del lavoratore per il controllo dell’esposizione anche dopo la cessazione
dell’attività a rischio.
La cessazione del rapporto di lavoro va comunicata all’ISPESL ed all’organo di
vigilanza competente per territorio (A.S.L.).
All’ISPESL vanno consegnate le relative cartelle sanitarie e di rischio.
La denuncia di malattia professionale
Qualora sia riconosciuto, o anche solo sospettato, un nesso di causalità tra un
tumore ed un’esposizione professionale, il datore di lavoro deve denunciare la
malattia professionale (la denuncia deve essere corredata da certificato medico)
all’INAIL, ai sensi dell’art. 53 del D.P.R. 30.06.1965 n.1124 e smi.
Ai sensi dell’art. 139 dello stesso D.P.R., la denuncia va anche trasmessa
all’A.S.L. competente per territorio.
Nel caso in cui la malattia professionale sia stata causata da terzi (es: il datore di
lavoro, per colpa, omette misure di protezione ed il lavoratore sviluppa un tumore
professionale), si ricade nella fattispecie prevista dall’art. 590 C.P. (lesioni
personali). È quindi obbligatorio il referto.
Le statistiche INAIL sui tumori professionali 9
Nel periodo 1994-2002 l’INAIL ha ricevuto 6202 denunce di tumori professionali,
ripartiti come da tabella 8:
localizzazione
Apparato respiratorio
Vescica
Apparato digerente e peritoneo
Cute
Leucemie mieloidi
Tab.8
%
84.0
note
52% mesoteliomi, 23.3%
tumori polmonari, 7.3% tumori
nasali
8.7
2.3
1.8
0.9
Il Centro di Prevenzione Oncologica di Torino
Altri dati sul tumore del polmone e sul mesotelioma sono reperibili sul sito del
Centro di Prevenzione Oncologica di Torino10 (http://www.cpo.it).
01/0
176
Bibliografia
1. Ambrosi L, Foà V. Trattato di Medicina del Lavoro. UTET ed, 2000.
2. Mirabelli D, Kauppinen T. Occupational Exposure to carcinogens in Italy: an
update of CAREX database. Int. J. Occup. Environ. Health. 2005;11:53-63.
3. Kauppinen T, Toikkanen J, Pedersen D, et Al. Occupational exposure to
carcinogens in the European Union. Occup. Environ. Med. 2000;57:10-8.
4. Circolare 28.03.01 n.4. Ministero della Sanità. Interpretazione ed applicazione
delle leggi vigenti in materia di divieto di fumo. Gazzetta Ufficiale n. 85 del
11.04.2001.
5. Pira E, Detragiache E, Discalzi G, et Al. Linee guida per la sorveglianza
sanitaria degli esposti ad agenti cancerogeni e mutageni in ambiente di lavoro. PIME Ed. srl, vol.2, 2003.
6. Decreto legislativo 15.08.1991, n. 277. S.O.G.U. n. 200 del 27.08.1991.
7. Decreto legislativo 19.09.1994, n. 626. S.O.G.U. n. 265 del 12.11.1994.
8. Collegio Costruttori Edili. Manuale della sicurezza, dell’igiene e dell’ambiente
di lavoro nelle costruzioni edili. SEPIT srl Ed, 2003.
9. INAIL, rapporto annuale 2002 (www.inail.it). Luglio 2003.
10. AA.VV. Mappatura di occupazioni ed attività industriali che comportano
rischio di tumore del polmone. Epidemiol. Prev. 2001;25:215-21(www.cpo.it).
01/0
177
IL SERVIZIO DI ANATOMIA PATOLOGICA E LO SCREENING
CERVICO-VAGINALE: PRESENTE E FUTURO
Giovanni Cera,* Gigliola Serrati
Struttura Complessa Anatomia Patologica, A.S.L.16 – Mondovì, Ceva
*Direttore
Il Servizio di Anatomia Patologica ha un ruolo importante nella prevenzione e
nella diagnosi dei tumori maligni. L’esempio più noto di intervento nella
prevenzione consiste nella valutazione degli strisci cervico-vaginali (comunemente
noti come “Paptest”) per la ricerca di cellule pre-maligne.
Prima dell’era Paptest il carcinoma cervicale era la prima causa di morte per
neoplasia nelle donne. Dal 1947, anno di introduzione del Paptest, la mortalità per
carcinoma squamocellulare della cervice uterina si è ridotta approssimativamente
del 70-80%. Oggi nei Paesi occidentali il carcinoma della cervice è responsabile di
non più del 2% delle morti da tumore nel sesso femminile.1 Questo risultato ha
fatto del Paptest il principe dei programmi di screening.
In un Servizio di Anatomia Patologica il settore di citopatologia si occupa, tra
l’altro, della diagnostica microscopica degli strisci cervico-vaginali, siano essi
provenienti da screening, sia da attività ambulatoriale o di reparto. In tutti i casi la
procedura di laboratorio, diagnostica e di refertazione è la stessa.
Il Paptest è un test di screening molto efficace se praticato ad intervalli regolari. Il
progetto Prevenzione Serena della Regione Piemonte prevede che nella
popolazione femminile di età compresa tra 25 e 64 anni il test venga praticato con
cadenza triennale.
Attualmente nel Dipartimento di Screening Oncologico n. 7, corrispondente
all’ambito della provincia di Cuneo, è in corso il terzo round di chiamate per il
test.
Il Servizio di Anatomia Patologica della A.S.L. 16 è stato individuato quale Centro
di lettura di 1° e 2° livello per la popolazione delle AA.SS.LL. 16 di MondovìCeva e 18 di Alba.
In questo Lavoro riportiamo l’esperienza di 7 anni di attività, con i successi
ottenuti ed i problemi riscontrati, e gettiamo uno sguardo sui possibili scenari
futuri.
Il Servizio di Anatomia Patologica e il Progetto Prevenzione Serena
La giunta regionale del Piemonte nell’anno 19962 ha disposto di realizzare su tutto
il territorio regionale il programma di prevenzione “screening dei tumori del collo
dell’utero e della mammella” (denominato Prevenzione Serena), in conformità
alle direttive del Ministero della sanità, espresse nelle linee guida elaborate dalla
commissione oncologica nazionale.3
Il Servizio di Anatomia Patologica della A.S.L. 16, individuato come Centro di
lettura dei test, è stato strutturato dal punto di visto organizzativo secondo il
modello individuato dalla Regione, che prevede una prima lettura da parte di
personale tecnico formato (citotecnici), a cui segue una seconda lettura da parte di
un revisore.
01/0
178
In base alla popolazione bersaglio e al carico di lavoro stimato, sono stati assunti e
formati, nel tempo, tre citotecnici che, per scelta interna, sono stati adibiti, a
rotazione, sia alla preparazione che alla lettura dei test.
Dopo 7 anni di attività secondo il modello regionale, ci pare utile fare un punto
sulla situazione, anche in prospettiva di una eventuale riorganizzazione a livello
dipartimentale.
Dall’inizio dell’attività del Servizio di Anatomia Patologica (anno 1990), il carico
di lavoro concernente la lettura dei preparati citologici ginecologici ha evidenziato
un netto aumento nel corso dell’anno 1999, a seguito dell’adesione al Programma
regionale di screening. Dal 1999 ad oggi il numero di esami si è relativamente
stabilizzato (Fig. 1).
Fig.1: carico di lavoro Paptest/anno
Anatomia Patologica ASL16
15000
10000
5000
94
19
96
19
98
20
00
20
02
20
04
19
19
90
19
92
0
Abbiamo quindi confrontato il carico di lavoro con i dati regionali e, soprattutto,
con le indicazioni contenute nelle Linee Guida GISCi,4 secondo le quali la maggior
parte dei centri di lettura in ambito regionale si colloca nella fascia dei cosiddetti
laboratori di piccole dimensioni (< 15000 Pap/anno). Le indicazioni GISCi sono
riportate in tabella 1.
<15.000
15.00025.000
Standard accettabile
Monitoraggio
statistico delle risposte
citologiche
Predittività classi
diagnostiche
Revisione falsi
negativi
Standard desiderabile
Lettura set
operativi di vetrini
Carico di
lavoro
Pap/anno
Rescreening 10%
Lettura collegiale
Lettura collegiale
Rilettura rapida o/e rescreening con
>25.000
l’ausilio di sistemi di lettura
automatici
Tab. 1 - Controlli di qualità interni (raccomandazioni GISCi)
01/0
179
01/0
In base alle citate indicazioni GISCi si è quindi valutato quali controlli di qualità
interni si dovevano mettere in atto per poter costantemente monitorare il grado di
qualità del lavoro prodotto nel Servizio.
Come già sopra accennato, il personale addetto alla preparazione e lettura dei test è
composto da 3 citotecnici ed un supervisore. La prima lettura di tutti i Paptest
viene eseguita da un citotecnico; i casi dubbi o positivi sono dati in lettura a tutti
gli altri componenti dello staff che quindi, collegialmente, valuteranno la diagnosi
finale. In caso di diagnosi positiva, se risultano effettuati precedentemente dei
Paptest con esito negativo, questi vengono rivalutati.
Un ulteriore controllo di qualità è eseguito correlando la diagnosi istologica con il
referto citologico di 1° e 2° livello (tabella 2).
anno 2004 I semestre anno 2005
citologico I livello /
0,61
0,94
istologico II livello
citologico I livello /
0,75
0,88
istologico II livello
citologico I livello /
0,94
0,84
citologico II livello
Tab. 2 - Concordanza diagnosi citologica vs. diagnosi istologica (i valori indicano
la media del K).
Alla luce delle indicazioni delle linee guida GISCi, che raccomandano ai servizi
con numero annuale di test inferiore a 15000 di consorziarsi con altri laboratori per
il controllo di qualità, abbiamo valutato questa possibilità, che tuttavia si è
dimostrata al momento impraticabile; pertanto, con l’intento di aumentare la
sensibilità di lettura dei test, si è scelto di effettuare nel nostro centro la revisione
rapida di tutti i preparati.
La registrazione computerizzata dell’attività ci ha permesso inoltre di fare una
valutazione statistica di alcuni parametri e poter confrontare i dati con quelli
nazionali recentemente pubblicati.5 I dati sono riportati in tabella 3.
media nazionale
2003
Mondovì 2003
Insoddisfacente
I° Livello: 0,9%
Desiderabile: <5%
3,2%
Accettabile: <7%
II° Livello: 4,5%
Referral-rate
Desiderabile: <=5%
2,6%
1,0%
Ottimale: <3,5%
VPP di invio in colpo:
----citologia ASCUS+ /
14,9%
istologia CIN2+
DR CIN2+ grezza
2,8%
----Tab. 3 - Valore di alcuni indicatori di processo
Mondovì 2004
I° Livello: 1,6%
II° Livello: 0,8%
1,6%
13,3%
1,0%
180
Dalla tabella 3 si può evincere che il tasso di preparati insoddisfacenti nel nostro
Centro è inferiore alla media nazionale. A questo riguardo si fa notare che i
preparati insoddisfacenti si riferiscono per lo più a motivi tecnici (fissazione
inadeguata, scarsa cellularità, vetrino rotto, assenza di cellule endocervicali in
donna fertile), poiché per questi il software adottato dal Dipartimento gestisce
correttamente una ripetizione immediata del prelievo. Il software non permette
invece di programmare una ripetizione del prelievo dopo terapia o altro; pertanto i
preparati che risultano inadeguati per cause che richiedono, ad esempio, una
ripetizione dopo terapia non possono essere registrati come insoddisfacenti. Ciò
spiega la difformità del dato rispetto a quello regionale e nazionale.
Circa il valore predittivo positivo della citologia (VPP) possiamo solo prendere
atto di un valore non distante da quello nazionale; questo dato è da interpretare con
una certa cautela, poiché quest’indicatore è notoriamente influenzato, a parità di
sensibilità e specificità, dalla prevalenza di lesioni e quest’ultima pare
effettivamente presentare differenze cospicue tra aree geografiche diverse.
Il detection rate (DR) è dato dal numero di casi in cui è stata individuata una
lesione CIN2 o più grave (istologicamente), sul numero totale di donne sottoposte
a screening. Quest’indicatore è correlato strettamente alla quota di donne non
screenate da molto tempo. Un valore basso come quello del nostro Centro può
essere messo in relazione ad una popolazione già sottoposta precedentemente a
controlli citologici cervico-vaginali.
Un altro indicatore del controllo di qualità interno che è stato strettamente
monitorato è il valore di concordanza inter-osservatori. In tabella 4 riportiamo
come esempio i dati completi più recenti, relativi all’anno 2004 ed al 1° semestre
2005. I risultati di concordanza ci confortano e suggeriscono di continuare sulla
linea intrapresa.
I citoscreener
II citoscreener
III citoscreener
supervisore
Anno 2004
0.99
1.00
0.99
0.99
Primo semestre 2005
0.99
1.00
0.99
0.99
Tab. 4 - Concordanza interosservatori (i valori indicano la media del K)
Il futuro
Un problema attuale dello screening nel Dipartimento n. 7 riguarda il software di
gestione adottato che, per alcuni aspetti (per esempio la gestione degli
insoddisfacenti e del 2° livello), non è conforme alle indicazioni regionali.
01/0
181
Questo problema dovrebbe essere risolto con il porting al software del C.S.I., che è
atteso in tempi relativamente brevi.
Altro aspetto da risolvere è l’auspicato aggiornamento del sistema di refertazione
alla classificazione Bethesda 2001.
Un progetto a cui l’A.S.L. 16 sta lavorando con tenacia è quella di istituire un
Centro unico dipartimentale di lettura dei test di 1° e 2° livello (compresi
istologici) presso La S. C. di Anatomia Patologica.
Il razionale del progetto si può così riassumere:
 l’Anatomia Patologica opera nel progetto regionale di screening citologico fin
dalla sua istituzione ed ha in dotazione risorse strumentali e umane dedicate;
 ha la struttura idonea ad affrontare gli impegni derivanti dalla costituzione di un
Centro di lettura unico dipartimentale, conoscendo già profondamente le
problematiche gestionali dello screening;
 ha personale già formato a cui poter affiancare le risorse umane aggiuntive
necessarie;
 fornisce garanzia di una gestione “pubblica” dello screening, come è nello
spirito del progetto regionale “Prevenzione Serena”.
I presupposti per l’attivazione del Centro unico ovviamente stanno nella possibilità
di avere assegnate risorse aggiuntive, umane (tecnici di laboratorio da adibire a
funzioni di preparatore e citoscreener, medico anatomopatologo supervisore,
amministrativo per la gestione delle incombenze burocratiche) e tecnologiche
necessarie per far fronte all’incremento del carico di lavoro.
Nell’ottica di un Centro unico di lettura dipartimentale, che raggiungerebbe un
carico di lavoro di almeno 25000 Paptest/anno, sarà possibile valutare la fattibilità
dell’introduzione della metodica di tipizzazione dell’HPV su prelievo citologico in
determinate classi diagnostiche (ASCUS ed eventualmente LSIL).
Bibliografia
1. www.acs.org
2. D.G.R. n.77-12306 del 02.10.1996.
3. Commissione Oncologica Nazionale: Supplemento ordinario alla Gazzetta
Ufficiale n° 127 del 1 giugno 1996.
4. GISCi – Raccomandazioni per il controllo di qualità in citologia cervicovaginale. In: www.gisci.it.
5. Osservatorio Nazionale Screening, Quarto Rapporto, novembre 2005.
Ringraziamenti
Si ringraziano per la preziosa collaborazione: Mirella Chiecchio, Marzia De
Fano, Celestina Mariano.
01/0
182
IL RUOLO DEL RADIOLOGO
NELLO SCREENING MAMMOGRAFICO
Flavio Cigna
Radiologo libero professionista
La salute è un bene prezioso, che non significa assenza di malattia o di infermità,
ma stato di completo benessere fisico, mentale, sociale.
È un dono: conservarla dipende da noi, soprattutto se siamo o siamo messi in grado
di acquisire quelle conoscenze che ci permettono di cogliere o meglio prevenire
quelle manifestazioni che possono comprometterla.
Quando viene minata e la patologia è un tumore, scoppia la tragedia.
Parlare di cancro è sempre difficile; è necessario affrontare l’argomento con una
certa freddezza, nella consapevolezza che è una malattia grave, ma non più
incurabile.
Il cancro colpisce il genere umano in modo crescente, ma si riduce la mortalità,
aumenta il numero di guariti, grazie all’efficacia della terapia.
Negli ultimi 20 anni sono stati compiuti innegabili e significativi passi avanti, sia
in termini di guaribilità, sia di miglior qualità di vita.
I fattori che hanno contribuito a tale realtà sono: ricerca, informazione,
prevenzione, diagnosi precoce, terapia.
Ricerca: continua a fare passi da gigante basandosi sul principio di “vedere per
curare”. La risonanza magnetica per la mammella, la colonscopia virtuale per il
colon retto, la T.C. spirale per il polmone, la P.E.T. per tutti i tipi di tumore; sono il
futuro, anche se già vengono utilizzate con ottimi risultati.
Informazione: consiste nel fornire quelle indicazioni che consentano alla
popolazione di difendersi dalla malattia. Sapere non è pericoloso, non sapere può
diventarlo.
Prevenzione: insieme di misure igieniche che tendono a difendere l’essere umano
da qualsiasi causa morbigena, diretta o indiretta, capace di menomare lo stato di
salute.
È una scelta personale; il medico e le strutture sono gli strumenti messi a
disposizione di chi vuole praticarla. Può essere un cammino difficile, significa
agire su vari fronti, impone dei sacrifici, il mutamento di alcune abitudini, uno stile
di vita diverso che mette in primo piano la qualità dell’esistenza.
È un impegno di volontà, denaro, personale preparato che rende all’individuo ed
alla società.
La sua pratica da risultati nel tempo, migliora la qualità e quantità di vita, riduce le
spese per questi tipi di patologia.
Perchè il seno?
Dei 4 cosiddetti big killers, mammella, polmone, colon retto, prostata, è quello che
permette di ottenere i migliori risultati con la diagnosi precoce, consentendo
interventi scarsamente demolitivi e la possibile guarigione.
Il seno oltre ad avere una valenza simbolica, essendo identificato con fertilità,
maternità, bellezza e maturità sessuale, è una struttura anatomica complessa e
come tale può ammalarsi.
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La malattia scatena nell’animo di chi ne è affetto una serie di emozioni, dominate
dalla paura, che coinvolgono e sconvolgono la vita di relazione dell’interessato e
dei suoi congiunti.
Il cancro, malgrado i notevoli progressi della Medicina, resta una malattia dalle
origini misteriose, enigmatica.
Il tumore mammario è una malattia sociale, per l’alto numero di donne coinvolte;
si colloca al primo posto in ordine di incidenza e mortalità fra i tumori maligni che
colpiscono la popolazione femminile nei paesi industrializzati.
Non conoscendo le cause della sua insorgenza è impossibile applicare una
prevenzione primaria.
Pur essendo all’oscuro dei meccanismi del suo scatenarsi, sappiamo che nasce
come patologia locale, limitata alla mammella, e con il tempo può diventare
sistemica, diffusa a tutto l’organismo; che il rischio di morte dipende dallo stadio
della malattia al momento della diagnosi, ed è ciò che ci induce a individuarlo
quando è di dimensioni limitate, perché il risultato sarà una miglior qualità di vita,
una maggior quantità e talvolta la vittoria sull’evento indesiderato.
Il miglior modo per combattere il cancro è cercarlo.
Lo strumento oggi più adatto per ottemperare a tale affermazione è lo screening.
Operazione complessa sotto l’aspetto tecnico-scientifico, legislativo ed
organizzativo comporta, oltre che problemi etici, rilevanti problemi economici.
Può essere definito come una serie di prestazioni che la struttura sanitaria offre
attivamente e gratuitamente ad una popolazione, apparentemente sana,
identificando tempestivamente i possibili portatori di una patologia rilevante.
Non e’ un esame diagnostico o conclusivo di per sé.
Il suo obiettivo consiste nel miglioramento dello stato di salute e della qualità di
vita, consentendo parallelamente di conseguire un risparmio economico.
La filosofia dei test di screening, è quella di definire i risultati in cancro sì cancro
no, tralasciando tutti gli altri aspetti della patologia benigna.
Lo scopo è di riconoscere anomalie latenti, lesioni infracliniche, consentendo di
dividere le donne in due gruppi: quelle in cui è improbabile che la malattia sia
presente e quelle in cui la probabilità è sufficientemente elevata da consigliare un
percorso ai fini diagnostici.
La messa a punto del Programma richiede:
…la disponibilità di uno o più test per la popolazione bersaglio individuata,
…sufficienti risorse in termini di strutture, attrezzature, personale (formato ed
aggiornato),
…la prosecuzione dell’attività negli anni successivi al decollo,
…l’adesione a specifici protocolli diagnostici, terapeutici e di controllo,
conseguenti all’esecuzione del test.
I presupposti necessari alla sua attivazione sono:
…la malattia oggetto del Programma deve costituire un problema sanitario serio,
…deve possedere una incidenza elevata e rappresentare una importante causa di
morte o morbilità,
…deve esservi una evidenza di efficacia per la specifica patologia tumorale, in
termini di riduzione della mortalità,
…devono potersi definire chiaramente i soggetti da convocare in funzione di età,
sesso, area geografica di residenza,
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…il test proposto deve essere accettabile (poco invasivo, non traumatizzante),
rapido, riproducibile, attendibile cioè specifico (bassa incidenza di falsi positivi),
sensibile (bassa incidenza di falsi negativi), dal costo contenuto.
Ogni Programma deve essere sottoposto a controlli di qualità in ogni sua
componente, tecnica, scientifica, logistico-organizzativa.
Il test è costituito dalla mammografia. Essa è:
...accettabile, sia per quanto riguarda la durata, sia per il disagio creato,
...innocua, perché allo stato attuale delle conoscenze la dose per paziente è minima
e quindi il rischio di induzione tumorale è trascurabile,
...efficiente, con elevata sensibilità e specificità, se correttamente eseguita e
interpretata,
...facilmente ripetibile,
...di costo relativamente contenuto.
Gli obiettivi del programma sono i seguenti:
1. identificare e invitare le donne eleggibili,
2. garantire che si esegua un esame mammografico della più alta qualità possibile e
che i radiogrammi siano letti da personale dotato di formazione adeguata e di
provata esperienza in materia,
3. fornire servizi adeguati a chi li riceve,
4. seguire tutti i soggetti richiamati per ulteriori esami,
5. minimizzare gli effetti sgradevoli dello screening, l’ansia, l’esposizione alle
radiazioni, le indagini non necessarie,
6. diagnosticare i tumori con la massima accuratezza,
7. fare il miglior uso possibile delle risorse disponibili a vantaggio della
popolazione,
8. consentire alle persone che lavorano nel programma di migliorare le proprie
competenze e capacità professionali,
9. valutare regolarmente il servizio,
10. fornire opportune informazioni di ritorno alla popolazione interessata.
I benefici sono rappresentati da una migliore prognosi, da trattamenti più
conservativi, dalla rassicurazione nei veri casi negativi, dalla riduzione dei costi
per la terapia nelle forme più avanzate.
Gli svantaggi sono costituiti dalla prolungata coscienza di malattia (è direttamente
conseguente alla anticipazione diagnostica; nello screening la diagnosi si anticipa
in media di 3,5 anni).
Inoltre, da sovradiagnosi e sovratrattamento, identificando talvolta:
a) lesioni molto iniziali, con scarsa aggressività biologica, delle quali una certa
parte non sarebbe mai evoluta tanto da poter apparire clinicamente,
b) alcuni ca mammari in fase preclinica con tale anticipazione diagnostica che,
anche se posseggono una certa evolutività, specialmente nelle donne più anziane, a
causa della mortalità competitiva per altre cause, non farebbero in tempo a
comparire clinicamente.
Da falsa rassicurazione, cosa che avviene nei falsi negativi (sappiamo che la
mammografia può essere gravata da una certa possibilità di errore); ove dopo poco
tempo dell’esame compaia un sintomo la donna, essendo rassicurata dall’esito
negativo, potrebbe non dare importanza al nuovo sintomo e quindi
paradossalmente avere un ritardo diagnostico. In realtà l’osservazione all’interno
degli studi controllati che la distribuzione in stadi dei carcinomi intervallo e la
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sopravvivenza sono simili a quelle del gruppo controllo, conferma che questo
rischio è trascurabile; è comunque opportuno informare la donna che, se anche
risultata negativa, deve ripresentarsi alla comparsa del minimo sintomo.
Da induzione di ansia nei falsi positivi: l’eventuale richiamo per approfondimenti
od il consiglio di accertamento bioptico determina nella donna un forte stato
d’ansia (problema contenuto al minimo tramite una adeguata formazione degli
operatori, l’adozione di una tecnica di esame di elevata qualità, selezionando molto
i casi da richiamare, cercando di non abbassare la sensibilità del test).
Infine, dal rischio da radiazioni e dai costi.
Una volta stabilite queste “premesse” e la fattibilità del Programma, si deve
individuare il territorio interessato, lo si deve dividere in Dipartimenti, con sedi di I
livello per l’esecuzione del test di base e di II livello per gli esami più complessi di
approfondimento diagnostico.
Chi viene invitata: in base ad una serie di studi internazionali si è constatato che la
fascia di età che può trarre il maggior beneficio è quella dai 50 a 69 anni, abbassata
alle 45enni da un Decreto Ministeriale, tenendo conto anche di rilevazioni
economiche.
Le convocazioni avvengono in base alle liste anagrafiche fornite dai comuni
interessati, mediante lettera scritta, recante sede, giorno e ora dell’appuntamento,
spedite a domicilio da un Centro di Coordinamento (in caso di impedimento, dietro
comunicazione, anche telefonica, è possibile ottenere uno spostamento).
La non risposta al primo invito genera l’invio di una seconda lettera, di sollecito;
se anche questa viene disattesa, la donna viene considerata “non rispondente”.
Come si svolge il percorso:
il personale deputato all’esecuzione della mammografia è il tecnico sanitario di
radiologia medica (T.S.R.M.), il solo presente durante questa fase, formato ed
addestrato allo scopo, periodicamente invitato a partecipare a corsi di
aggiornamento.
È, di norma, l’unico operatore sanitario a interfacciare la donna che si sottopone a
mammografia; quanto più elevata è la sua professionalità, tanto più efficace
risulterà la campagna di screening; parla con essa; richiede eventuali esami
precedenti; vede la mammella; spiega le manovre necessarie all’esecuzione, in
particolare quella compressiva, avvertendo l’interessata che l’eventuale
dolorabilità provocata durerà un tempo relativamente breve e che tale atto non
provocherà alcuna conseguenza sulla ghiandola; le farà rilevare la necessità di
questa spiacevole fase, che ha lo scopo di ridurre la dose e di consentire
un’indagine di maggior qualità; talvolta durante il posizionamento, percepisce
anomalie dell’organo; compila la scheda clinico anamnestica da dove derivano
informazioni che possono condizionare il richiamo; esegue l’indagine, consistente
in due radiogrammi per parte (obliqua, cranio caudale); controlla la qualità dei
radiogrammi; congeda la donna, spiegando che l’interpretazione delle immagini
avverrà in un secondo tempo grazie all’opera di due specialisti radiologi formati ed
addestrati e che esiste la possibilità di un richiamo, non perché sia stata rilevata
una patologia, ma per meglio valutare dubbi interpretativi che potrebbero
richiedere ulteriori accertamenti.
La mammografia non ammette la mediocrità. Una buona tecnica richiede il
posizionamento corretto, una compressione adeguata, un alto contrasto, un’alta
risoluzione.
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Tutto ciò al fine di consentire allo specialista radiologo di vedere meglio, di più,
prima che la neoplasia diventi invasiva e biologicamente incontenibile.
L’esame mammografico è obiettivamente difficile da eseguire e soprattutto da
valutare.
La sua lettura è disseminata da insidie di ogni genere, legate al tipo ed alla qualità
dell’indagine; all’età della donna; alla densità della sua ghiandola, condizionata dal
contenuto idrico; alla concomitanza di alterazioni benigne.
La sua efficacia può essere limitata dalla tecnica di esame, dalla visibilità
radiografica del tumore, dall’estrema variabilità della crescita neoplastica,
dall’esperienza del radiologo.
Per una valida interpretazione sono necessari ambiente sereno, concentrazione
massima, occhio vigile, specie per minime alterazioni, l’utilizzo di una lente di
ingrandimento (microcalcificazioni).
Questo perché, pur essendo oggi l’indagine radiologica più sensibile e specifica in
senologia, come tutti i test di screening non è esente da errori. Può risultare
negativa in un 5-8% nei casi clinici, in percentuale ancora superiore nello
screening.
Cosa si valuta?
Asimmetrie della densità: aree di maggior opacità non circoscritte, estese, mal
definite.
Distorsioni parenchimali: segno subdolo, di difficile inquadramento, può essere
conseguenza di lesioni benigne, ma anche di forme neoplastiche.
Calcificazioni: precipitazione di sali di calcio per un processo di secrezione o di
necrosi all’interno di dotti, lobuli, strutture anatomiche normali, lesioni benigne o
maligne. La loro sensibilità è elevata, non così la specificità.
Il passo successivo è quello di definire i casi in negativi, dubbi, positivi.
Ciò porta ad esprimere l’orientamento del lettore in una delle seguenti voci:
quadro nei limiti di norma, lesione sicuramente benigna, lesione probabilmente
benigna, lesione sospetta, lesione francamente maligna.
Se compare un “dubbio interpretativo”, è necessario il richiamo al II livello.
Queste donne, contattate dal personale tecnico, che fisserà il nuovo appuntamento
nella sede di II livello, devono effettuare gli approfondimenti necessari (esame
clinico, eventuali radiogrammi integrativi, ecografia, prelievo con ago sottile).
Durante la seduta di approfondimento il medico deve provvedere a comunicare le
conclusioni diagnostiche all’interessata; ad essa sarà consegnata una risposta
scritta, in copia per il medico curante.
Nei casi positivi all’approfondimento ed in cui si consiglia l’intervento chirurgico
è opportuno che la diagnosi sia comunicata con colloquio con la donna e che le
siano consegnate copia della documentazione con i dati relativi alla lesione.
Su una apposita scheda dovranno essere registrati gli approfondimenti effettuati;
l’esito finale potrà essere controllo a 24 mesi, controllo a 12 mesi, revisione
chirurgica.
Pur essendo la mammografia l’esame principe per la diagnosi precoce del tumore
alla mammella, non è esente da errori.
Il falso positivo provoca ansia nella donna, per la necessità di ulteriori indagini,
nonchè costi elevati per lo stesso motivo.
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Ancora più problematici sono i falsi negativi che, generando tranquillità, sono
causa di ritardi diagnostici. Possono essere ascritti a cause di tipo tecnico
metodologico, interpretativo, diagnostico.
Quelle tecnico metodologiche si riducono con il ricorso a programmi di controllo
di qualità e con l’impiego di personale altamente qualificato e motivato.
Quelle interpretative si verificano quando una lesione non presenta franche
caratteristiche neoplastiche, come per addensamenti asimmetrici, distorsioni
strutturali, tenui opacità sfumate, microcalcificazioni aspecifiche.
Quelle diagnostiche sono dovute al non riconoscimento della lesione, perché in
parte mascherata da strutture sovrastanti, oppure molto piccola e sfuggita
all’indagine, evidenziata ma sottostimata.
Possiamo quindi concludere affermando che:
 l’evoluzione tecnologica della mammografia,
 la corretta esecuzione dell’indagine,
 la preparazione specifica del radiologo,
 l’ampia partecipazione della popolazione,
sono i fattori che permettono di considerare il tumore della mammella una malattia
dalla quale si può guarire anche in assenza di una prevenzione primaria e di terapie
farmacologiche risolutive.
Ottenere ciò è possibile a patto che si combatta l’ignoranza, la negligenza, il falso
pudore, lo scetticismo, ma in primo luogo la paura. La donna dev’essere
protagonista, accettando il test; essa sarà testimone della prevenzione, convincendo
le più riluttanti a controllarsi. I controlli periodici debbono essere considerati una
pratica da non dimenticare. Si deve ricordare che la mammografia non fa male: il
danno potrebbe venire dal non farla e la rinuncia o il posticipo di un esame
preventivo non evitano la comparsa del problema.
Si deve essere consapevoli che oggi il cancro può essere sconfitto.
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L’ESPERIENZA DEL GINECOLOGO
NELLO SCREENING CITOLOGICO
Vincenzo Costa
Responsabile Centro di Colposcopia di II livello e Patologia del Tratto Genitale
Inferiore, A.S.L. 17 -Savigliano
Dalla storia all’attualità.
George Nicolas Papanicolaou, medico greco, lavorava negli Stati Uniti alla Cornell
University di New York sul finire della prima guerra mondiale; su incarico del capo
dipartimento di Anatomia, Charles Stockard, studiava le modificazioni cellulari, durante
l’estro, nella vagina del porcellino. Nel corso di tali ricerche, confrontò i cambiamenti
dipendenti dagli ormoni sessuali, con quelli che avvenivano nella donna durante il ciclo
mestruale. Nel gruppo oggetto della ricerca, v’era un caso di cancro della cervice.
L’osservazione al microscopio di questo striscio rivelò l’aspetto mostruoso delle cellule
della cervice rispetto agli altri campioni esaminati. Egli intuì subito, e se ne convinse, di
aver trovato un metodo semplice, precoce, minimamente invasivo per scoprire il cancro
del collo dell’utero.
L’idea di Papanicolaou rimase però inascoltata per quasi venti anni.
Solo negli anni Quaranta il lavoro di Papanicolaou, pubblicato nel 1923, fu ripreso ed in
breve la metodica ebbe grande diffusione tra i ginecologi.
Nel 1984, dopo numerose ricerche, Hacama potè affermare che era possibile attuare un
Programma di screening per il cervico–carcinoma uterino mediante il test di
Papanicolaou, riducendo così l’incidenza della malattia.
Con il Pap test infatti si può ridurre l’incidenza del cervico-carcinoma del 70%.
Questo importante risultato scientifico ha stimolato l’interesse dei Governi Europei e
di quello Nazionale a predisporre ed attuare programmi di screening volti a ridurre la
morbilità e la mortalità non solo per il cancro della cervice uterina ma anche per altri
tumori, quali quello mammario e del colon-retto, che si prestano ad essere diagnosticati
precocemente.
Lo screening quindi rappresenta una delle aree strategiche della prevenzione.
Per una corretta esecuzione dei programmi di screening è necessario che:
.
1) le strutture sanitarie siano sufficientemente organizzate,
2) le pazienti risultate positive siano tempestivamente trattate,
3) la qualità delle procedure di diagnosi e cura sia monitorata.
Il rispetto di tali condizioni permette allo screening di incidere direttamente sulla
mortalità, in quanto esso consente l’evidenziazione del tumore prima della
manifestazione clinica della malattia.
Numerosi studi epidemiologici hanno accertato le condizioni di sicura efficacia dello
screening sia per il cancro della cervice che della mammella.
Le dimensioni del problema.
Il cancro della cervice uterina, nei paesi industrializzati, è la seconda forma neoplastica
più diffusa tra le donne al di sotto dei 50 anni.
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È a tutt’oggi responsabile di circa 500.000 mila morti all’anno nel mondo, di cui 12
mila nella sola Europa.
Nei Paesi in via di sviluppo il cancro della cervice è al primo posto fra i tumori nella
fascia di età compresa tra 35 e 45 anni.
In Italia il cancro della cervice si colloca al quinto posto per incidenza nelle donne,
dopo il tumore della mammella , del colon-retto, del polmone e dell’endometrio.
Ogni anno si registrano approvimativamente 3000 nuovi casi e le morti per cancro della
cervice sono circa 1000.
Negli ultimi anni, il tasso di mortalità tra le donne di età inferiore ai 50 anni è
diminuito di circa il 70% (grazie all’adesione allo screening, alle condizioni igienicosanitarie migliorate).
Il calo risulta inferiore, per contro, tra le donne di età più avanzata (poca adesione allo
screening, scarsa disponibilità ai controlli clinici).
La probabilità di ammalarsi di cancro della cervice nel corso della vita, da 0 a 74 anni,
è dell’1%.
Presupposti normativi della prevenzione.
I controlli cui sottoporsi, per essere sicuri che “va tutto bene” o per avere una diagnosi
precoce di eventuali patologie neoplastiche con maggiori possibilità di guarigione, sono
cambiati nel corso degli anni.
Non ci si rivolge più a generici check-up, ma la comunità scientifica internazionale
promuove programmi di screening mirati per donne e uomini, in ben determinate fasce
di età e per determinate patologie.
Questo metodo è considerato più efficace per poter diagnosticare precocemente e quindi
intervenire sulla patologia nelle prime fasi di sviluppo, con cure appropriate.
Nel nostro Paese, infatti, già dal 2001 la Legge Finanziaria all’art. 85 disponeva
l’esenzione dal pagamento del ticket per l’esame citologico cervico-vaginale, da
effettuarsi quindi gratuitamente ogni tre anni nelle donne di età compresa tra 25 e 64
anni.
Sempre nel 2001 lo screening per il tumore della cervice veniva inserito nei Livelli
Essenziali di Assistenza (LEA). il Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 prevedeva di
dare maggiore impulso alla prevenzione dei tumori destinando più risorse per
l’organizzazione degli screening.
Ancora nel 2003 il Consiglio dell’Unione Europea raccomandava agli stati membri
l’attuazione dei programmi di screening per i tumori del collo dell’utero, della
mammella e del colon-retto.
La Legge 138, approvata dal Parlamento nel maggio 2004, impegna il Paese a colmare
il divario esistente tra la popolazione a rischio e quella che partecipa allo screening
oncologico, destinando 50 milioni di Euro a tale obiettivo.
Il piano privilegia il riequilibrio nel nostro Paese tra aree dove la prevenzione è gia
presente a buon livello ed aree dove essa deve ancora iniziare.
Valori sociali dello screening.
I programmi di screening vanno considerati sotto due aspetti fondamentali come di
seguito richiamato.
1) Azione di sanità pubblica che riguarda una comunità.
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La gratuità e’ quindi il riconoscimento del significato sociale dello screening di massa.
2) Intervento individuale che può identificare problemi per la singola persona.
Infatti il Pap test, oltre che la ricerca di uno stato pre-clinico di malattia, è una utile
conferma delle proprie condizioni di salute.
Il Servizio Sanitario pubblico, che propone alle donne di sottoporsi al test di screening,
si assume precise responsabilità etiche che vanno dall’invito fino al sostegno alla donna
e alla famiglia durante l’eventuale trattamento e il decorso della malattia.
Bisogna considerare anche che lo screening viene offerto ad una popolazione composita
per valori, cultura e religione e di ciò bisogna tenerne conto nel rapporto che si va a
costruire con le interessate.
Sul piano della comunicazione, occorre che vengano assicurate in tutte le fasi
fondamentali:
1) l’informazione;
2) una azione capillare di supporto, con adeguata pubblicità;
3) lo stimolo alla piena consapevolezza del dovere prevenire la malattia, nel rispetto
del proprio corpo, al fine di consentire una partecipazione informata.
Per ottenere ciò non basta la lettera di invito, ma questa deve essere accompagnata da
una adeguata attività relazionale che include momenti di ascolto delle utenti,
predisposizione di materiale di informazione, incontri pubblici sul problema.
L’informazione fornita deve essere veritiera, non frettolosa, basata sui dati scientifici,
chiara per il linguaggio utilizzato, assicurandosi che l’operatore sia stato ben compreso
dalla interlocutrice.
Il messaggio da trasmettere deve sottolineare i benefici che ogni donna può attendersi,
ma anche i possibili problemi e i disagi derivanti dalla comunicazione di un Pap test
anormale e dalla assoluta necessità di sottoporsi ad accertamenti supplementari.
Sede di insorgenza ed etiologia del cancro della cervice.
Il carcinoma della cervice uterina trae origine dall’epitelio di rivestimento della portio.
Infatti, la cervice è ricoperta da epitelio pluristratificato non cheratinizzato che si arresta
all’imbocco del canale cervicale per essere sostituito con epitelio cilindrico. Questa
zona di passaggio è detta “giunzione squamo-colonnare” ed è considerata l’area di
insorgenza più frequente della displasia.
Quale è la condizione necessaria ma non sufficiente per la insorgenza del cancro della
cervice uterina?
L’infezione da HPV (virus del papilloma umano) è considerata un pre-requisito per lo
sviluppo del cancro della cervice e la sua correlazione è molto più significativa, ad
esempio, di quella osservata tra fumo e carcinoma polmonare.
L’infezione da HPV colpisce prevalentemente le classi di età inferiore a 35 anni ed è
per lo più transitoria perchè il DNA virale viene eliminato senza integrarsi nella cellula
ospite.
In casi meno frequenti, (circa il 20%) l’infezione può persistere esprimendosi in diverse
forme: latente, sub-clinica, clinicamente manifesta.
In tutte queste condizioni, dopo il contagio e con l’infezione persistente, il test HPV che
identifica il DNA virale risulta positivo.
Tuttavia, la donna contagiata dal virus, ma che successivamente lo elimina, non va
incontro a particolari lesioni patologiche.
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Il reale precursore della progressione neoplastica della cellula, infatti, non è l’infezione,
ma la sua persistenza.
Pertanto risulta fondamentale ricercare con opportuni test la persistenza tipo - specifica
del virus in modo da identificare quelle donne che realmente hanno un maggiore rischio
di progressione neoplastica.
I geni E6 ed E7, presenti nel DNA del virus, sono fondamentali per esprimere la
progressione e il mantenimento del rischio neoplastico.
La proteina E6 causa la degradazione del fattore oncosoppressore p53 portando ad una
diminuzione della apoptosi.
La proteina E7 agisce alterando la prb (gene oncosoppressore che controlla la crescita
cellulare).
Identificare le donne le cui cellule cervico-vaginali hanno una alta espressione delle
oncoproteine E6 ed E7 significa identificare quelle pazienti le cui cellule della cervice
diventano suscettibili di trasformarsi in cellule cancerogene.
Ciò corrisponde a fare una reale diagnosi precoce.
Attualmente è allo studio un test che riconosce i prodotti trascritti dallo RNA
messaggero virale, noti per essere coinvolti nella oncogenesi cellulare.
Questo test permette di identificare quelle donne realmente a rischio neoplastico, con
una evidente positiva ricaduta sulla precocità della diagnosi e sulla conseguente terapia.
In particolare, il II livello dello screening potrebbe seguire in maniera più stretta questa
fascia di donne a rischio, evitando a chi non lo è un follow-up eccessivamente
impegnativo e costoso.
Il futuro
La prevenzione primaria costituisce il metodo migliore di prevenzione del cancro della
cervice mediante due opzioni principali:
1) la profilassi comportamentale della infezione da HPV;
2) la prevenzione primaria dell’infezione tramite la vaccinazione.
Se la prima opzione è a dir poco utopistica, può essere possibile concentrarsi sulla
seconda. Inizialmente sono stati approntati due tipi di vaccino, il primo a scopo
terapeutico, il secondo a scopo profilattico.
I risultati più promettenti derivano dalla vaccinazione profilattica.
Questa è rivolta a prevenire l’infezione mediante l’induzione di una risposta
immunitaria sistemica.
A tal fine vengono usate particelle virali come antigene (virus like particles, VLP).
Recenti studi, presentati al XX congresso di colposcopia a Napoli (settembre 2005)
propongono la profilassi dell’infezione individuando un vaccino tipo-specifico per
l’HPV 16 e 18, che può diventare una arma decisiva a favore della prevenzione.
I vaccini creati a scopo terapeutico non sono stati promettenti perché dovrebbero essere
somministrati a pazienti con stato iniziale di malattia o meglio con lesioni intraepiteliali.
In conclusione, gli studi in corso sui vaccini stanno aprendo nuove prospettive nel
campo della prevenzione, ma rimangono aperte numerose questioni che dovranno
essere affrontate nel corso dei prossimi anni.
01/0
193
Bibliografia
1. Atti del XX Congresso nazionale della Società italiana di colposcopia e
patologia cervico-vaginale. Napoli, 6-8 ottobre 2005.
2. Boselli F. Testo atlante di colposcopia.
3. Mojana G. Vaccino: stato dell’arte.
4. Miucci D. HPV-DNA test: il ruolo futuro nello screening.
5. Cristoforoni P. Infezione e counseling.
6. Giordano A. Biologia dell’ HPV e cancerogenesi cervicale.
7. Origoni M. Quadri colposcopici.
Riferimenti iconografici
(vedi sezione a fine volume)
01/0
194
L’ACQUA DESTINATA AL CONSUMO UMANO
COME FATTORE DI RISCHIO ONCOLOGICO
Andrea Domestici
Responsabile s.s. Igiene degli Alimenti, S.I.A.N., A.S.L. 15 - Cuneo
1.
Considerazioni generali
“Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo,
sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata
secondo criteri di solidarietà. Qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando
le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio
ambientale. Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle
risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente,
l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri
idrologici. (...) L’uso dell’acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli
altri usi del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo. Gli altri usi sono
ammessi quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano la qualità
dell’acqua per il consumo umano.”1
Le suddette affermazioni non sono semplici principi, ma sono tal quali i commi 1.
2. 3. dell’art. 1 e il comma 1 dell’art. 2 della Legge 5 gennaio 1994 n. 36 –
Disposizioni in materia di risorse idriche: essi sono pertanto principi inderogabili
sanciti dalla Legge su tutto il territorio nazionale, e sono esplicitamente finalizzati,
fra l’altro, alla tutela delle caratteristiche di potabilità dell’acqua destinata al
consumo umano.
Del resto, con le seguenti parole: “Non c’è vita senza acqua. L’acqua è un bene
prezioso, indispensabile a tutte le attività umane. (...) Essa è per l’uomo, per gli
animali e per le piante un elemento di prima necessità. Infatti l’acqua costituisce i
due terzi del peso corporeo dell’uomo. (...) Essa è indispensabile all’uomo come
bevanda e come alimento. (...) Alterare la qualità dell’acqua significa nuocere alla
vita dell’uomo e degli altri esseri viventi che da essa dipendono. (...)” si apre la
Carta Europea dell’Acqua, promulgata a Strasburgo dal Consiglio d’Europa
nell’ormai lontano maggio 1968.
Come risaputo, il problema dell’inquinamento delle risorse idriche non è un
problema insorto recentemente (la cloaca massima fu costruita da Tarquinio Prisco
non tanto, come potrebbe ritenersi, per problemi paesaggistici o urbanistici, bensì
per prevenire la contaminazione delle falde idriche), ma esso ha raggiunto negli
ultimi decenni proporzioni allarmanti (tabella 1).
Contaminazione delle acque superficiali
Contaminazione delle acque sotterranee
DIRETTA
Eliminazione di effluenti, rifiuti e scarichi industriali
INDIRETTA
INDIRETTA
Immissione di contaminanti in soluzione
Percolazione nel terreno fino alle falde per
per dilavamento dovuto a fenomeni
utilizzo normale e dilavamento o per
meteorologici e percolazione nel terreno
pratiche e smaltimenti irregolari
Tab. 1
01/0
195
In questo campo sono stati condotti numerosi studi che hanno preso in
considerazione, di volta in volta, diverse caratteristiche, sia chimiche sia fisiche,
dell’acqua destinata al consumo umano in relazione alla presenza di
contaminanti e alla conseguente possibilità di insorgenza di patologie a lungo
termine nell’uomo.
È stato possibile concludere evidenziando in termini generali la presenza di un
“fattore acqua” in grado di cointervenire nell’induzione di effetti cronici sulla
salute umana.
Questo fattore generico può estrinsecarsi con caratteristiche più o meno
particolari e precise (contaminanti) ogni volta che si prende in considerazione
una diversa patologia cronica.
Il riconoscimento dell’eventualità di una diffusa distribuzione di specifiche
sostanze contaminanti nell’acqua potabile, accertate o sospette cancerogene, in
combinazione con studi epidemiologici che mettono in evidenza associazioni tra
acque inquinate e rischio di sviluppo di patologie tumorali, hanno introdotto e
poi fatto crescere nell’ambito del concetto di “cancerogenesi ambientale” il
fattore relativo alla contaminazione delle acque.
Qualora si intendano studiare gli effetti sulla salute umana di nuove sostanze si
deve infatti far ricorso a valutazioni integrate desunte inizialmente da dati chimico
fisici, completate da dati tossicologici e infine da valutazioni di tipo
epidemiologico: l’identificazione dei contaminanti è il passo fondamentale, al
quale debbono seguire studi di quantificazione e di conferma della tossicità per
giungere, nell’ultima fase, alla definizione del rischio tramite l’uso di indagini
epidemiologiche approfondite (figura 1).
L’ipotesi che l’acqua potabile possa contenere concentrazioni attive di composti
cancerogeni, associabili ad aumentata incidenza di patologie o casi di morte per
cancro, è stata valutata per mezzo di numerosi studi epidemiologici e questi di
massima concordano su una associazione positiva, seppur ridimensionata da
numerosi fattori variabili che possono interferire con i risultati, tra presenza di
microinquinanti ed eccesso di patologie tumorali in toto e per alcuni siti in
particolare.
proprietà
fisiche e
chimiche
dati
tossicologici
chimiche
contaminanti
valutazione dei rischi per la salute pubblica
Fig. 1 (da Gilli G.,2 modificata)
dati
epidemiologici
chimiche
01/0
196
Dallo schema proposto in figura 1 si può peraltro dedurre quanto, allo stato delle
conoscenze, siano relativamente utili le osservazioni disponibili in campo umano
come derivabili da studi descrittivi o analitici, e quanto conseguentemente sia
importante fare ricorso a dati ottenuti sperimentalmente.
Inoltre, nell’impossibilità di assumere informazioni dirette da fenomeni dovuti a
“micro-esposizioni”, si fa abitualmente uso, come vedremo, di modelli matematici
per avere indicazioni quantitative del rischio corrispondente per la popolazione
umana.2
2.
Valutazione del rischio sanitario
Stante, come sopra esposto, il limitato valore degli studi effettuati sulle
popolazioni umane a causa della mancanza di informazioni quantitative sulle
effettive concentrazioni alle quali le popolazioni studiate sono esposte o sulle
esposizioni simultanee ad altri agenti è necessario, fra i tanti, selezionare gli studi
più adeguati (soprattutto in rapporto alla numerosità della popolazione sottoposta
ad esposizione) della sperimentazione animale, sui quali basare l’estrapolazione
dei dati quantitativi per ciascun micro-inquinante.
Ai fini della protezione della salute pubblica, lo scopo è quello di redigere linee
guida per la qualità dell’acqua potabile - emanate dalla World Hearth Organization
(WHO); queste sono concepite con lo scopo di essere utilizzate come base per lo
sviluppo degli standard nazionali di qualità che, se opportunamente seguiti,
assicurano la sicurezza degli approvvigionamenti idropotabili attraverso
l’eliminazione, o la riduzione ad una concentrazione minima accettabile, di quei
costituenti dell’acqua che sono noti per il pericolo (cancerogenicità / mutagenicità /
teratogenicità) che possono porre alla salute.3-6
2.1. Calcolo dei valori di linea guida a partire dalla dose giornaliera tollerabile,
tolerable daily intake (TDI)
Per quasi tutti i tipi di tossicità si ritiene generalmente che esista una dose al di
sotto della quale non si verifica alcun effetto indesiderato; per sostanze che danno
luogo ad effetti tossici la TDI può essere così calcolata:
TDI = NOAEL o LOAEL / FI
Dove, NOAEL = dose alla quale non è stato osservato alcun effetto indesiderato
(no observed adverse effect level);
LOAEL = più bassa dose alla quale è stato osservato un effetto indesiderato
(lowest observed adverse effect level);
FI = fattore di incertezza legato ai seguenti fattori:
a) variabilità tra le specie (trasponibilità dall’animale all’uomo), 1 – 10;
b) variabilità interindividuale (tra individui diversi), 1 – 10;
c) adeguatezza degli studi o della base di dati, 1 – 10;
d) natura e gravità degli effetti, 1 – 10.
Il valore di linea guida (VG) viene calcolato a partire dalla TDI nel seguente modo:
VG = (TDI x p.c. x P) / C
Dove, p.c. = peso corporeo (60 Kg per l’individuo adulto; 10 Kg per il bambino; 5
Kg per il neonato);
P = frazione della TDI assegnata all’acqua;
01/0
197
C = consumo giornaliero di acqua potabile (2 litri per gli adulti; 1 litro per i
bambini; 0,75
litri per i neonati).
L’esempio della figura 2 è riferito all’erbicida atrazina: nell’alimento acqua, che il
legislatore in quel momento ha voluto tutelare con particolare riguardo, il valore
limite di legge è stato fissato in 0.1 g/l, cioè un valore che risulterà ben 15.000
volte inferiore al valore ADI calcolato sperimentalmente (tutti i limiti di legge
dovrebbero pertanto essere oggetto di una continua revisione per essere
periodicamente aggiornati sulla base dell’evolversi e dell’ampliarsi del sapere
scientifico).
Prove di tossicità a lungo termine (somministrazione mediante dieta
protratta per almeno 2 anni)
\/
Valutazione della dose senza effetto (5 mg/kg di peso corporeo/die per
animale)
\/
scelta del coefficiente di sicurezza (F.I. =100)
\/
Calcolo della TDI – Tolerable Daily Intake (0,05 mg/kg di peso
corporeo/die nell’uomo)
ovvero dell’ADI – Admissible Daily Intake per addittivi tecnologici e
pesticidi residui
\/
Scelta del peso corporeo medio (60 Kg)
\/
Estrapolazione all’uomo medio (3 mg/uomo/giorno)
\/
Valutazione del coefficiente attribuito all’alimentazione (es: ortofrutta
0,4 Kg/die – acqua 2 l./die)
\/
Limite massimo di accettabilità (7,5 ppm = mg/kg di alimento – 1,5 ppm
= mg/l di acqua)
Fig. 2 (da Gilli G.,2 modificata)
2.2. Calcolo dei valori di linee guida per sostanze potenzialmente cancerogene
La valutazione della potenziale cancerogenicità delle sostanze chimiche si basa
generalmente su studi sperimentali a lungo termine - modello multistage
linearizzato - condotti su animali; soltanto in alcuni casi sono disponibili i dati di
cancerogenicità nell’uomo, in gran parte relativi ad esposizioni per motivi
occupazionali.
In base all’evidenza disponibile, l’International Agency for Research on Cancer
(IARC) classifica le sostanze chimiche, con riferimento al loro potenziale rischio
cancerogeno nei seguenti quattro gruppi:
- gruppo 1: l’agente e cancerogeno accertato per l’uomo
- gruppo 2A: l’agente è probabilmente cancerogeno per l’uomo
- gruppo 2B: l’agente è possibilmente cancerogeno per l’uomo
01/0
198
- gruppo 3: l’agente non è classificabile come cancerogeno per l’uomo
- gruppo 4: l’agente è probabilmente non cancerogeno per l’uomo.
Per i cancerogeni per i quali esiste evidenza convincente che indica un
meccanismo non genotossico, che agiscono cioè attraverso un meccanismo
indiretto, si ritiene generalmente che esista una dose soglia, per cui le linee guida
sono state calcolate usando il metodo della TDI, come precedentemente descritto.
Per i composti considerati essere cancerogeni genotossici (cioè che provocano
direttamente l’induzione di una mutazione nel DNA delle cellule somatiche),
poichè questo meccanismo è teoricamente senza una dose soglia, le linee guida
sono state determinate con l’ausilio dei citati modelli matematici e sono presentate
come la concentrazione nell’acqua potabile associata ad un rischio di eccesso di
cancro di 10-5 riferito all’intero tempo di vita: un caso addizionale di cancro ogni
100.000 persone, in una popolazione che consuma acqua potabile contenente la
sostanza in questione, al livello di linee guida, per 70 anni.
Nei casi dove la stima della concentrazione associata ad un rischio addizionale di
cancro di 10-5 non sia praticabile a causa dell’inadeguatezza delle metodologie di
studio, è stata fissata una linea guida provvisoria, ad un livello praticabile, per il
quale è stato indicato il rischio cancerogeno associato (vedere quale esempio il
paragrafo 3.1. alla voce arsenico).
Va comunque sottolineato che le linee guida per i composti cancerogeni calcolate
con l’aiuto di modelli matematici dovrebbero essere considerate non più che una
stima approssimativa del rischio di cancro: infatti questi modelli normalmente non
prendono in considerazione diversi importanti fattori biologici come la
farmacocinetica, i meccanismi di riparazione del DNA e quelli di protezione
immunologica.
Ad ogni modo questi modelli sono conservativi e probabilmente portano ad errori
in senso cautelativo.
D’altro canto, le linee guida sono state calcolate separatamente per le singole
sostanze, mentre in genere i contaminanti chimici degli approvvigionamenti
idropotabili sono presenti insieme a numerosi altri costituenti organici ed
inorganici; tuttavia si ritiene che il largo margine di sicurezza incorporato nelle
linee guida tenga sufficiente conto anche delle possibili interazioni tra
contaminanti; se ci fossero indicazioni locali specifiche che un certo numero di
contaminanti sono presenti a livelli vicini ai rispettivi valori guida, in mancanza di
indicazioni che dimostrano il contrario, è comunque appropriato assumere che gli
effetti tossici di questi composti siano di tipo additivo.7
3.
Inquinanti identificati e patologia neoplastica
Si specifica che i componenti chimici che non sono riportati nelle sintesi
monografiche che seguono, o non risultano inseriti dalla IARC come sostanza
cancerogena in alcun Gruppo o sono inseriti nei Gruppi 3 (non classificabile) e 4
(probabilmente non cancerogeno), oppure non sono finora mai stati riscontrati
nelle acque destinate al consumo, ovvero oltre alla occasionalità del rinvenimento
gli studi di tossicità orale disponibili sono ancora palesemente insufficienti per il
calcolo di una TDI.8
È ovvio che valori di linea guida sono comunque esistenti per tutti i componenti
chimici, qui non menzionati, ma per i quali si ha evidenza di un qualsiasi rischio
01/0
199
per la salute umana, per i quali è stato possibile il calcolo o la stima del rischio, sia
in relazione ad altri tipi di tossicità, sia in rapporto a studi e ricerche su altre
matrici alimentari o esposizioni diverse.9
3.1. Costituenti inorganici principali
Antimonio
IARC: gruppo 2B per il triossido (per esposizione per inalazione). Mancanza di
chiare evidenze sperimentali di cancerogenicità per ingestione. Una TDI di 6 g/kg
p.c. (F.I. 1000) con un contributo dieta del 10% per l’acqua potabile porta a valori
di circa 0,02 mg/l (0,005 mg/l. era il valore indicato nelle precedenti linee guida
del 1993).
Arsenico
IARC: gruppo 1. Per alte concentrazioni di arsenico nella dieta risulta un’incidenza
relativamente elevata di cancro della pelle e possibilmente di altre forme tumorali
(vescica, polmoni) che aumentano con la dose e con l’età. Allo scopo di ridurne la
concentrazione nell’acqua potabile è stato stabilito (per un contributo con la dieta
del 20%) un severo valore provvisorio di linea guida di 0,01 mg/l con una stima di
eccesso di rischio di cancro di 10-5 per il tempo di vita associato all’esposizione
(un rischio di 6 x 10-4 fu indicato nel ’9310 per lo stesso valore, mentre
nell’edizione del 1984 il valore di linea guida era stato stabilito in 0,05 mg/litro).
Cadmio
IARC: gruppo 2°. Di certo cancerogeno per via inalatoria, non esistono evidenze di
cancerogenicità e genotossicità per via orale. In relazione ad una assunzione
settimanale tollerabile provvisoria (PTWI) di 7 g/kg p.c. è stato stabilito un
valore di linea guida di 0,003 mg/l sulla base di un contributo dieta del 10%
dovuto all’acqua potabile.
Cromo
IARC: gruppo 1 per l’esavalente (gruppo 3 per il trivalente). Non è disponibile
alcuno studio di tossicità adeguato per fornire una base per una NOAEL per
somministrazione per via orale. In studi epidemiologici è stata osservata una
associazione fra esposizione a cromo esavalente per via inalatoria e cancro
polmonare. Il contributo dieta dovuto all’acqua potabile è percentualmente molto
scarso. Come misura pratica è stato provvisoriamente indicato il valore di linea
guida di 0,05 mg/l.
Nichel
IARC: gruppo 2B. Non sono state raccolte evidenze convincenti sulla sua
cancerogenicità per ingestione; sulla base di una TDI di 5 g/kg p.c è stato stabilito
un valore di linea guida di 0,02 mg/litro.
Piombo
IARC: gruppo 2B per il Pb e i suoi composti inorganici. In animali da esperimento
si ha induzione di tumori renali a dosi più alte rispetto a quelle che inducono effetti
neurotossici, per cui il valore di linea guida stabilito per detto rischio sembrerebbe
protettivo anche per gli effetti cancerogeni: 0,01 mg/l assumendo (nel neonato:
popolazione più sensibile) che il 50% dell’apporto con la dieta derivi dall’acqua
potabile, per un consumo di 0,75 l/giorno.
Amianto.
01/0
200
Certamente cancerogeno per l’uomo per via inalatoria, non sono state raccolte
prove convincenti sulla cancerogenicità dell’amianto per ingestione; per tale
motivo è stato deciso che non è necessario stabilire un valore di linea guida basato
su criteri di protezione della salute.
Berillio
IARC: gruppo 2A (sulla base di esposizioni occupazionali). Non sono disponibili
studi adeguati per valutare la cancerogenicità del berillio per ingestione e quindi
derivare un valore di linea guida nell’acqua potabile.
Nitrati e Nitriti
Non agiscono tal quali come agenti cancerogeni. I nitriti e indirettamente i nitrati
reagiscono a livello gastrico, in ambiente acido, con amine o amidi (gruppi–NH2)
derivanti dagli alimenti e formano nitrosammine e nitrosammidi: questi composti,
sulla scorta di studi sperimentali condotti su animali, si sono dimostrati in buona
parte cancerogeni, o mutageni o teratogeni. Nel complesso, comunque, l’evidenza
epidemiologica di una associazione tra assunzione di nitrati con la dieta e cancro è
insufficiente, per cui il valore di linea guida per i nitrati nell’acqua potabile è stato
stabilito soltanto in funzione della prevenzione della metaemoglobinemia, la quale
dipende dalla conversione dei nitrati a nitriti.
3.2 Costituenti organici principali
Alcani clorurati
Diclorometano: IARC gruppo 2B. Le evidenze scientifiche indicano che
l’esposizione con l’acqua potabile è poco significativa rispetto ad altre fonti e che i
suoi metabiliti genotossici, dopo ingestione, si formano in vivo in scarsa quantità.
Da una TDI di 6 g/kg p.c. (F.I. 1000 in funzione dell’acclarata epatotossicità) è
stato derivato un valore di linea guida di 0,02 mg/litro.
Tetracloruro di carbonio: IARC gruppo 2B. Massima assunzione per via
inalatoria, anche se trattasi di composto presente nelle acque potabili. Dimostrata
in animali da esperimento l’insorgenza di tumori del fegato e di altri organi anche
dopo ingestione. Verosimilmente non genotossico, da un TDI globale di 1,4 g/kg
p.c (F.I. 500) il calcolo per un apporto con l’acqua del 10% rispetto alla dieta porta
alla stima di un valore di linea guida di 0,004 mg/litro (2 g/l nelle linee guida del
’93).
1,2 Dicloroetano: IARC gruppo 2B. Responsabile di diversi tipi di tumore in
animali da esperimento, compreso il raro emangiosarcoma. Potenzialmente
genotossico: calcolato un valore di linea guida di 0,03 mg/l, corrispondente ad un
eccesso di rischio di cancro di 10-5 per l’intero tempo di vita.
Eteni clorurati
Cloruro di vinile: IARC gruppo 1. Mutageno sia in vivo che in vitro, esiste
evidenza che sia cancerogeno, per inalazione in lavoratori esposti ad alte dosi, per
diversi organi: fegato (compreso angiosarcoma), cervello, polmone, tessuti
linfatico ed ematopoietico. In saggi sperimentali è cancerogeno su animali per
mammella, polmone, fegato, pelle ed altri siti. Nell’uomo non si hanno evidenze
sperimentali per ingestione; da studi su animali (multistage) è stato calcolato un
eccesso di rischio di angiosarcoma epatico di 10-5, corrispondente a un valore di
linea guida per l’acqua potabile di 0,0003 mg/litro (il precedente valore stabilito
nell’edizione del ’93 era stato di 5 g/litro).
01/0
201
Tetracloroetilene: IARC gruppo 2B. Evidenza sperimentale di cancerogenesi
epatica e renale (anche leucemie). Non genotossico, il valore di linea guida è stato
calcolato di 0,04 mg/l, per un contributo con l’acqua corrispondente al 10% della
TDI, pari a 14 g/kg p.c.
Idrocarburi aromatici
Benzene: IARC gruppo 1. Certamente cancerogeno per l’uomo e per gli animali.
Sulla base di una stima di rischio, utilizzando i dati sulla leucemia da studi
epidemiologici su popolazioni esposte ad inalazione, è stato calcolato che una
concentrazione nell’acqua potabile di 0,01 mg/litro è associata ad un eccesso di
rischio di cancro di 10-5 sulla base di un’esposizione per l’intera vita.
Stirene: IARC gruppo 2B. Sperimentalmente ha determinato tumori polmonari nei
topi ma non nei ratti. Assegnando il 10% della TDI all’acqua potabile si ha un
valore di linea guida di 0,02 mg/litro.
Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA). Sono numerosi composti e la fonte
principale di esposizione per l’uomo sono gli alimenti, mentre l’acqua potabile
contribuisce solo in misura minore. Alcuni IPA sono risultati cancerogeni per via
orale mentre per altri è stato riscontrato un basso potenziale cancerogeno. Una
stima quantitativa del rischio per il benzoa pirene ha portato a stabilire un valore
guida di 0,7 g/litro, corrispondente ad un eccesso di rischio di cancro di 10-5
associato ad una esposizione per tutta la vita.
Benzeni clorurati
1,4-Diclorobenzene: IARC gruppo 2B. Cancerogenità sperimentale per rene e
fegato su topi e ratti. Valore di linea guida stabilito in 0,3 mg/litro da una TDI di
107 mg/kg p.c (F.I. 1000–10% del totale della dieta attribuito all’acqua).
Componenti organici vari
Di(2-etilesil)ftalato (DEHP): IARC gruppo 2B. Studi di cancerogenesi orale a
lungo termine hanno evidenziato l’insorgenza di carcinomi epatocellulari in ratti e
topi. Non evidenza di genotossicità per cui è stata calcolata una TDI di 25 g/kg
p.c. (F.I. di 100) da cui deriva un valore di linea guida di 8 g/litro allocando l’1%
della TDI all’acqua potabile.
Acrilammide: IARC gruppo 2B. Importante perchè utilizzata anche per
potabilizzazione/coagulanti. Studi di cancerogenesi a lungo termine in ratti: tumori
allo scroto, tiroide, surrene, mammari, uterini. Cancerogeno genotossico, da cui è
stato stimato un valore di linea guida pari a 0,5 g/litro, associato ad un eccesso di
rischio di cancro di 10-5 per il tempo di vita.
Epicloridrina (ECH): IARC gruppo 2A. Importante perchè utilizzata anche per
potabilizzazione/resine. Per ingestione induce sperimentalmente tumori nel tratto
digerente alto. Genotossica, ma l’uso di un modello multistage non è stato
considerato appropriato; la TDI è di 0,14 g/kg p.c. e porta ad un LOAEL di 2
mg/kg p.c. (F.I. 10000) e ad un valore provvisorio di linea guida di 0,4 g/litro per
una quota del 10% assegnata all’acqua (comunque inferiore al valore di
rilevabilità degli strumenti attuali).
3.3 Pesticidi
È ben noto che i prodotti di degradazione dei pesticidi possono essere presenti
nelle acque potabili e rappresentare un importante problema, ma la maggior parte
di essi non è stato inserito nelle attuali linee guida perchè i dati sulla loro identità,
01/0
202
01/0
presenza e attività biologica sono purtroppo ampiamente inadeguati. La successiva
tabella 2 è relativa ai composti principali, per i quali sono stati acquisiti dati certi.
Contaminante
^
Cancerogenicità
sperim.
Genotossicità
TDI o ADI
o stima del
rischio (F.I.)
Valore di linea
guida
Clordano
2B
fegato
NO
0,2 g/litro
sist. linf.
cervello
non
specif.
fegato
sist. linf.
(?)
non
specif.
NO
ADI 0,5
g/kg p.c. (100)
TDI 10
g/kg p.c. (100)
TDI 30
g/kg p.c. (100)
ADI
0,01mg/kg p.c. (100)
studi
insufficienti
inadeguati
studi
insufficienti
inadeguati
10-5
per tempo di vita
0,4 g/litro (°)
ADI 0.1
g/kg p.c. (200)
10-5
per tempo di vita
TDI 5
g/kg p.c. (100)
0,03 g/litro
Ac. 2,4
2B
diclorofenossiacetico
2,4-DB
2B
NO
DDT
e metaboliti
2B
1,2 Dibromoetano
(EDB)
2A
1,2
Dibromo-3cloropropano
1,3 Dicloropropene
2B
non
specif.
dubbia
2B
SI
Eptacloro/Eptacloro
epossido
Esaclorobenzene
(HCB)
Lindano
(gruppo
esaclorocicloesano)
MPCA (*)
2B
app. dig.
fegato
polmone
vescica
fegato
SNC
diversi
organi
fegato
rene
2B
2B
NO
dubbia
dubbia
SI
NO
0,03 mg/litro
0,09 mg/litro
1g/litro
0,001 mg/litro
0,02 mg/litro
1 g/litro
2 g/litro
2B
fegato
NO
TDI 0,5
2 g/litro
rene
g/kg p.c. (300)
Pentaclorofenolo
2B non
dubbia 10-5
0,009 mg/litro
(PCP)
specif.
per tempo di vita
(^) classificazione IARC; (*) Acido 2-metil-4-clorofenossiacetico; (/) uso vietato in Italia;
(°) valore provvisorio
Tab. 2 - pesticidi
Si noti che la tanto discussa atrazina (diserbante), non è presente in tabella 2 in
quanto, con la revisione effettuata dallo IARC nel 1999, è stata declassata nel
gruppo 3 di rischio, rispetto alla precedente valutazione del 1991 ove veniva
classificata nel gruppo 2B.11
3.4 Disinfettanti e sottoprodotti della disinfezione
La disinfezione dell’acqua potabile, qualora necessaria, è senza dubbio una delle
fasi più critiche nella gestione del ciclo di produzione dell’acqua destinata al
consumo umano.
203
La distruzione dei microrganismi patogeni è essenziale e comporta quasi
invariabilmente l’uso di agenti reattivi chimici, come il cloro, che non solo sono
biocidi molto efficaci, ma sono in grado di reagire con altri costituenti presenti
nell’acqua per formare nuovi composti aventi effetti a lungo termine,
potenzialmente pericolosi per la salute.
L’OMS ha comunque stabilito che la qualità microbiologica deve sempre avere la
precedenza e in nessun caso deve essere compromessa l’efficacia della
disinfezione.
L’importanza prevalente della qualità microbiologica richiede pertanto una certa
flessibilità nella derivazione di valori di linea guida per le sostanze in esame:
fortunatamente, ciò è possibile grazie al sostanziale ed ampio margine di sicurezza
contenuto intrinsecamente in questi valori.
In numerosi studi epidemiologici sono state riportate associazioni positive fra
ingestione di acqua clorata e tassi di mortalità per cancro: il grado di evidenza per
tale associazione viene però considerato inadeguato dallo IARC.
I valori di linee guida riportati per i prodotti della disinfezione corrispondono
pertanto ad un rischio cancerogeno in eccesso di 10-5 a seguito di esposizione per
la durata della vita.
Altro dato importante è che la formazione di sottoprodotti della disinfezione è
direttamente proporzionale alla quantità delle sostanze organiche presenti
nell’acqua al momento del trattamento (solitamente abbondanti nelle acque
superficiali e scarse nelle maggior parte delle acque profonde di pozzo o di
sorgente), per cui l’ottimizzazione dei pretrattamenti (sedimentazione, filtrazione)
di per sé riduce già drasticamente il livello dei sottoprodotti della disinfezione che
possono essere presenti nell’acqua erogata all’utenza, anche se proveniente da
derivazioni di acque di superficie o da acque di falda di scarsa qualità.12
Fra i disinfettanti di uso più comune si ricordano le clorammine, il biossido di
cloro e lo iodio, che non risultano classificati dallo IARC in alcun gruppo; gli
ipocloriti, classificati nel gruppo 3 (non classificabili per loro cancerogenità per
l’uomo in quanto l’evidenza della stessa è inadeguata nell’uomo e inadeguata o
limitata negli animali da laboratorio); comunque, il valore di linea guida proposto
è di 5 mg/litro: in Italia il vigente D. Lgs. n. 31 del 2/2/01, come modificato dal D.
Lgs. n. 27 del 2/2/02 – Attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità
delle acque destinate al consumo umano – consiglia alla distribuzione, se
impiegato, un valore di Cloro residuo attivo di 0,2 mg/l,13,14 proprio perché deve
essere prioritariamente e costantemente garantita la qualità microbiologica
dell’acqua ad uso potabile.15
Per i sottoprodotti della disinfezione, si valuti la seguente tabella 3 (composti
come clorati, cloriti, la maggior parte dei clorofenoli, fra i trialometani:
bromoformio e dibromoclorometano o non risultano classificati o sono stati
classificati dallo IARC nel Gruppo 3, cioè non classificabili; tutti gli acidi
cloroacetici – mono / bi / tri e tricloroacetaldeide – e i cloroacetoni risultano non
classificati; analogamente dicasi per gli acetonitrili alogenati).
01/0
204
Contaminante
sottoprodotto
della disinfezione
Bromati
^
Potenz.
GenoTDI o ADI
Valore di
cancerotossio stima del
linea guida
genicità
cità
rischio (F.I.)
2B rene /
SI
10-5 per
10 g/litro (*)
mesotelio
tempo di vita
2,4,6-Triclorofenolo 2B linfomi,
dubbia
10-5 per
20 g/litro
leucemie
tempo di vita
Formaldeide
2A stomaco
NO
TDI 150
0,9 mg/litro
(1 studio)
g/kg p.c. (100)
Bromodiclorometano 2B rene /
SI
10-5 per
0,06 mg/litro
(BDCM)
intestino
tempo di vita
Cloroformio
2B fegato /
dubbia
TDI 13
0,2 mg/litro
rene
g/kg p.c. (1000)
(^) classificazione IARC (*) valore provvisorio; nel 1993 proposto il valore di 0,025 mg/l per
una stima di 7 x 10-5 casi esposizione/vita
Tab. 3
In conclusione, si offre un cenno al livello di linea guida proposto per la
radioattività nell’acqua potabile; i dati disponibili indicano che il contributo
dell’acqua potabile all’esposizione totale è in condizioni naturali molto piccolo
(può aumentare però a seguito di una serie di attività umane), per cui il livello di
riferimento raccomandato di dose efficace impegnata (cioè, una misura della dose
efficace totale alla quale si è esposti per l’intero arco della vita, a seguito
dell’assunzione di un radionuclide) è di 0,1 mSv per 1 anno di consumo di acqua
potabile. Tale valore corrisponde a meno del 5% della dose efficace media
attribuibile annualmente al fondo naturale di radiazioni.
Per scopi pratici, le concentrazioni di attività raccomandate dalle recenti linee
guida sono di 0,1 Bq/litro per l’attività  totale e di 1 Bq/litro per l’attività 
totale; tali valori confermano quelli precedenti.
Inoltre, l’uranio presenta un valore di linea guida di 0,015 mg/litro in rapporto alla
sua intrinseca tossicità chimica nei confronti dell’apparato urinario.
Bibliografia
1. Legge 5 gennaio 1994 n. 36. Disposizioni in materia di risorse idriche.
Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 14 del
19.1.1994.
2. Gilli G, Scursatone E. Problemi igienico sanitari dell’acqua diretta al
consumo umano. In: Gilli G. Igiene dell’ambiente e del territorio. Demografia
Prevenzione Sanità pubblica. C. G. Edizioni Medico Scientifiche,Torino,1989;257310.
3. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality. Vol 1,
Recommendations. 3rd edition. Geneva,2004.
4. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality. Vol 2,
Health criteria and other supporting information. 2nd edition, Geneva,1996.
5. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality. Vol 3,
Surveillance and control of community supplies. 2nd edition, Geneva,1997.
01/0
205
6. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality. Addendum
to Vol 2, Health criteria and other supporting information. 2nd edition,
Geneva,1998.
7. Linee guida per la qualità dell’acqua potabile, Raccomandazioni. 2a edizione.
Ginevra, 1993. Versione italiana a cura di Funari E, Attias L, Bottoni P, et Al.
Pitagora Editrice, Bologna,1996;32-9.
8. International Agency for Research on Cancer. IARC Monographs on the
evaluation of carconogenic risk to humans. Vol. 1-93. Lyon, France:
WHO/IARC,1972ff.
9. WHO (2003) Background documents for preparation of WHO Guidelines for
drinking-water quality. WHO, Geneva,2003.
10. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality. Vol 1,
Recommendations. 2nd edition, Geneva, 1993.
11. International Agency for Research on Cancer. IARC Monographs on the
evaluation of carconogenic risk to humans. Vol. 73 Atrazine. Lyon, France:
WHO/IARC,1999.
12. Funari F, Bastone A, Griffini O, et Al. Composti organo alogenati nelle acque
potabili: aspetti sanitari, normativa e controllo. Parte terza. G. Pitagora Editrice,
Bologna,1996.
13. Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 31. Attuazione della Direttiva
98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano.
Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 52 del
3.3.2001.
14. Decreto Legislativo 2 febbraio 2002, n. 27. Modifiche e integrazioni al
Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n 31, recante attuazione della Direttiva
98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano. Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana n. 58 del 9.3.2002.
15. Regione Piemonte, Direzione Sanità Pubblica. Determinazione n. 75 del 26
Maggio 2005. Linee Guida per la sorveglianza e il controllo delle acque destinate
al consumo umano – D. Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31 e s.m.i.
01/0
206
IL GASTROENTEROLOGO
E LO SCREENING DEL CANCRO DEL COLON-RETTO
Renzo Ferraris
Direttore S.C. di Gastroenterologia, A.S.O. S. Croce e Carle - Cuneo
Nei paesi cosiddetti “sviluppati” il cancro del colon-retto (CCR) è al terzo posto
per incidenza tra le malattie neoplastiche e costituisce la seconda causa di morte
dopo il tumore del polmone.
Malgrado questi dati recenti, stime sembrano indicare che la mortalità per cancro
del colon-retto sia diminuita e ciò è probabilmente legato al miglioramento delle
tecniche diagnostiche ed alla strategia di prevenzione (specie secondaria) che
sempre più diffusamente stanno entrando nella politica sanitaria di svariati Paesi.
Il rischio di sviluppare il CCR è stimato intorno al 2.5-5% nella popolazione
generale ma aumenta in relazione a fattori e condizioni cliniche ben definite: ad
esempio è di 2-3 volte maggiore nei soggetti con un famigliare di 1° grado affetto
da adenomi o CCR.
Eziopatogenesi
È universalmente accettato che la maggior parte dei CCR, se non tutti, originano
da adenomi, ma oggigiorno la nota sequenza “adenoma-carcinoma” è meglio
definita nella sua progressione dalla conoscenza delle principali alterazioni
genetiche che la determinano.
Il processo di carcinogenesi può essere suddiviso in 2 stadi:
1) la formazione dell’adenoma chiamata tumor initiation;
2) la progressione da adenoma a carcinoma chiamata tumor promotion.
Per quanto riguarda gli adenomi sporadici le due fasi sarebbero legate a mutazioni
di geni oncogeni (K-ras) e geni soppressori (APC e p53) e sarebbero conseguenza
di mutazioni acquisite di questi geni.
Il primo passo sarebbe la mutazione APC (considerato il guardiano della
replicazione cellulare) che sarebbe responsabile della perdita di controllo della
replicazione cellulare.
Il secondo passo sarebbe legato alla mutazione del gene K-ras, responsabile del
passaggio da piccolo adenoma a “grande” adenoma displasico.
L’ultimo passo, da adenoma displasico a carcinoma, sarebbe legato a mutazioni del
gene soppressore p53.
Per quanto riguarda invece la FAP (poliposi adenomatosa famigliare) sarebbe
accelerata la fase di tumor initiation e ciò spiegherebbe la presenza di numerosi
polipi, mentre per il cancro colo-rettale ereditario non poliposico (HNPCC)
sarebbe accelerata la fase di tumor promotion e questa sarebbe secondaria a
mutazioni di uno dei geni responsabili del sistema di riparazione del DNA, cioè a
dire del Mismatch Repair System, mutazioni che prendono il nome di
Microsatellite Instability e che sono osservabili nel 85% dei cancri HNPCC
comparati al 15% dei cancri sporadici.1,2
01/0
207
Sino ad oggi con l’endoscopia tradizionale è stato possibile visualizzare solamente
la superficie mucosa del colon, non potendo ottenere informazioni sulle
caratteristiche istologiche dello strato mucoso e della sottomucosa.
Con la recente introduzione di nuove tecnologie che sfruttano l’alta risoluzione, la
magnificazione e l’interazione tra alcune sostanze chimiche ed i tessuti è possibile
non solo effettuare prelievi bioptici più mirati ma addirittura correlare l’aspetto
macroscopico della superficie con l’istologia della lesione.
Usando infatti l’endoscopia ad alta risoluzione e quella a magnificazione dopo aver
colorato la mucosa con indaco-carminio Kudo e Coll. hanno proposto una
classificazione della morfologia della mucosa del colon detta pit pattern che
corrisponderebbe alle caratteristiche istologiche della lesione.
La classificazione prevede 5 modelli di morfologia: ai modelli 1 e 2
corrisponderebbero lesioni iperplastiche o infiammatorie, ai modelli 3, 4 e 5
corrisponderebbero lesioni adenomatose.3
Lo sforzo di individuare fasi sempre più precoci di un processo carcinogenetico è
motivato soprattutto dal fatto che in campo oncologico più un intervento si applica
a fasi realmente iniziali del meccanismo patogenetico, maggiori sono le probabilità
di interrompere la progressione verso fasi avanzate del processo.
Iter diagnostico
La prima indagine da effettuare di fronte ad un paziente che si presenta a noi con
ematochezia, alterazioni recenti dell’alvo, calo ponderale, è l’esame endoscopico.
La colonscopia permette infatti di visualizzare la lesione, di valutare, a meno di
stenosi insuperabili, l’estensione della stessa ed eventuali lesioni associate (polipi,
diverticoli), di escludere tumori sincroni e soprattutto di identificare l’istologia a
mezzo del prelievo bioptico.
Una volta individuata la lesione è utile una corretta stadiazione del CCR al fine di
programmare un corretto approccio terapeutico.
La stadiazione è ottenuta, oltre che con l’esame endoscopico, con l’ecografia
transanale che rappresenta il gold standard nella stadiazione locale dei tumori del
retto: questa permette di visualizzare tutti gli strati della parete intestinale e di
verificarne il livello di infiltrazione da parte della lesione.
Purtroppo per le altre localizzazioni non abbiamo le stesse informazioni che ci
offre l’endosonografia: sia la TC che la RNM hanno dei limiti, anche se la RNM
sembra essere superiore alla TC in quanto consente una miglior rappresentazione
tridimensionale della lesione.
Nei confronti delle metastasi linfonodali l’accuratezza diagnostica è del 50%,
indipendentemente dalla metodica usata; nell’identificare poi eventuali metastasi
epatiche l’ecografia è sufficientemente accurata.
Le classificazioni TNM e quella di Dukes dovrebbero rappresentare una corretta
stadiazione preoperatoria ma, essendo difficilmente realizzabili proprio per i limiti
delle metodiche diagnostiche a nostra disposizione, definiscono piuttosto una
stadiazione post-operatoria.
01/0
208
Terapia
La terapia del CCR è multidisciplinare e necessita pertanto di una stretta
collaborazione tra chirurgo, oncologo e radioterapista.
La chirurgia mantiene comunque un ruolo centrale e viene, a seconda dei casi
associata a terapie complementari (radio e/o chemioterapia) che possono essere
somministrate sia in fase preoperatoria (neoadiuvante) che post-operatoria
(adiuvante).
La selezione dei pazienti da sottoporre ad intervento chirurgico radicale associato
ad evenutali terapie complementari (neoadiuvanti) si basa sulla stadiazione clinica;
per quanto riguarda invece le terapie adiuvanti (post-chirurgiche) queste trovano
posto sia nel paziente sottoposto ad intervento chirurgico radicale, al fine di ridurre
il rischio di recidiva, sia come terapia palliativa nel paziente inoperabile o in quello
con malattia residua dopo l’intervento chirurgico.
In casi selezionati, principalmente nelle localizzazioni rettali, è inoltre possibile
eseguire una terapia neoadiuvante al fine di ridurre le dimensioni della lesione
tumorale.4,5
Ci sono poi terapie in fase di studio, che sicuramente rivoluzioneranno l’approccio
terapeutico: si tratta delle terapie geniche che si fondano su:
1) introduzione di un tumor suppressor gene all’interno delle cellule tumorali per
rallentarne o arrestarne la crescita;
2) introduzione di geni veicolati da virus in grado di trascrivere enzimi capaci di
esercitare un’azione citotossioca mirata e selettiva nei confronti delle cellule
neoplastiche.
Follow-up
Sicuramente necessario; il problema è stabilire quale tipo di follow-up abbia senso:
intensivo o meno? E quali esami sono effettivamente indispensabili?
Purtroppo esistono a tutt’oggi pochi studi randomizzati, prospettici, controllati, che
possano fornire linee-guida universalmente accettate per ciò che concerne il
follow-up dopo resezione curative del cancro del colon.
I tre principali obiettivi della sorveglianza endoscopica sono:
1) l’individuazione di adenomi e cancri sincroni e neoplasie metacrone;
2) l’individuazione di metastasi;6
3) l’individuazione di recidive curabili.
Per quanto riguarda il primo obiettivo tutti sono d’accordo sul fatto che la
sorveglianza colonscopica è necessaria per individuare adenomi, cancri sincroni e
cancri metacroni, in quanto è dimostrato che i pazienti con tumore colo-rettale
presentano un rischio aumentato di sviluppare le suddette lesioni: c’è quindi
unanime consenso nell’effettuare una colonscopia entro sei mesi dopo la resezione
chirurgica, se questa non è stata possibile pre-operatoriamente vuoi per la scarsa
toeletta, vuoi per l’ostruzione del tumore; in caso contrario la colonscopia potrà
essere effettuata dopo un anno e se negativa le successive indagini potranno essere
eseguite ogni 3-5 anni a meno che non si tratti di pazienti affetti da HNPCC, nel
qual caso la colonscopia va eseguita ogni 1-2 anni.
Anche sul secondo obiettivo c’è concordanza: dal momento che le metastasi
epatiche sono percentualmente le più alte e poiché il CEA si è dimostrato molto
01/0
209
sensibile in presenza di metastasi epatiche, è opinione comune che sia utile
monitorare questo antigene con una certa frequenza anche perché, con l’avvento di
tecniche chirurgiche sempre più raffinate, è possibile oggi reintervenire a livello
epatico con qualche probabilità di successo.
Sul terzo obiettivo c’è minor consenso: tutti gli studi, la maggior parte
retrospettivi, concordano sul fatto che le recidive sull’anastomosi sono rare e sul
fatto che le recidive anastomotiche sono più frequenti nei tumori del retto (20%
circa) rispetto ai tumori del colon (6% circa); non c’è accordo invece sul follow-up
intensivo allo scopo di individuare il più precocemente possibile eventuali recidive
per una ipotetica ri-resezione, anche perché solo il 24-25% dei pazienti con
recidiva anastomotica è eleggibile per una resezione.7
Per fare un po’ di chiarezza sulla necessità o meno di un follow-up intensivo
Kraemer e coll. (Department of Colorectal Surgery, Singapore General Hospital)
hanno voluto analizzare tutti i pazienti operati con intento curativo per carcinoma
colorettale, dall’aprile 1989 al marzo 1999, allo scopo di individuare fattori
prognostici avversi tali da poter individualizzare il follow-up invece di
standardizzarlo per tutti i pazienti senza tener conto del costo-beneficio.
Da questo studio emerge che i fattori prognostici più avversi sono:
1) l’invasione dei tessuti circostanti, per qualsiasi localizzazione;
2) la fissazione del tumore ai tessuti circostanti, solo per i tumori del retto;
3) la poca differenziazione.
Al contrario, fattori non significativi sarebbero l’età (ad eccezione dei soggetti al di
sotto dei 40 anni che avrebbero un più alto rischio di coinvolgimento linfonodale)
ed il sesso.8-10
In base quindi al rischio di recidive fondato sui criteri sopraesposti si potrebbe
applicare un follow-up più o meno intensivo.
Per concludere, al di là dei molti punti interrogativi ancora presenti, allo stato
attuale delle conoscenze, le raccomandazioni sulla sorveglianza potrebbero essere
quelle proposte dall’American Society of Clinical Oncology11-13 allo scopo di
determinare una strategia comune di follow-up basata sul costo-beneficio ed
evidence-based:
1) CEA ogni 3 mesi in pazienti stage II e III, sino a due anni;
2) esame fisico ogni 3-6 mesi per i primi tre anni; quindi annualmente;
3) colonscopia dopo un anno, quindi ogni tre anni;
4) TC addome e RX torace non raccomandate a meno che il soggetto non sia
sintomatico oppure ci siano innalzamenti del CEA.
Bibliografia
1. Percesepe A, Borghi F, Menigatti M, et Al. Molecular screening for
hereditary non polyposis colorectal cancer: a prospective population. Based study.
J Clin Oncol 2001;19:3944-50.
2. Ponz de Leon M, Percesepe A. Pathogenesis of colorectal cancer. DIG Liver
Dis 2000;32:807-21.
3. Fleischer DE. Chromoendoscopy and magnification endoscopy in the colon.
Gastrointes Endosc 1999;49:S45-9.
01/0
210
4. Swedish Rectal Cancer Trial. A improved survival with preoperative
radiotherapy in respectable rectal cancer. N Engl J Med 1977;336:980-7.
5. Wils J, O’Dwyer P, Labianca R. Adjuvant treatment of colorectal cancer at
the turn of century. European and US perspectives. Ann Oncol 2001;12(1):13-22.
6. Fong Y, Fortner J, Sun RL, er Al. Clinical score for predicting recurrence
after the epatic resection for metastatic colorectal cancer: analysis of 1001
consecutive cases. Ann Surg 1999;230:309-18.
7. Eu KW, Seow-Choen F, Ho JM, et Al. Local recurrence following rectal
resection for cancer. JR Coll Surg Edimb 1998;43:393-6.
8. Kraemer et Al. Stratifying factors for follow-up: a comparison of recurrent
and non recurrent colorectal cancer. Dis colon rectum 2001;44(6):815-21.
9. Halvorsen TB, Seim E. Tumor site: a prognostic factor in colorectal cancer?
Scand J Gastroenterol 1987;22:124-8.
10. Buie WD, Rothenberger DA. Surveillance after curative resection of a
colorectal cancer: individualizing follow-up. Gastrintestinal Endosc Clin North
Am 1993;3:691-713.
11. Byers T, Levin B, Rothenberger D, et Al. American Cancer Society
guidelines for screening and surveillance for early detection of colorectal polyps
and cancer: update 1997. CA Cancer J Clin 1997;47:154-160.
12. Winawer S, Flecher R, Rex D, et Al. Colorectal cancer screening and
surveillance: clinical guidelines and rationale-update based on new evidence.
Gastroenterology 2003;124:544-60.
13. Clinical practice guidelines for the use of tumor markers in breast and
colorectal cancer. Adopted on May 17,1996 by the American Society of Clinical
Oncology. J Clin Oncol.1996;14:2843-77.
Riferimenti iconografici
(vedi sezione a fine volume)
01/0
211
L’UNITÀ DI VALUTAZIONE E ORGANIZZAZIONE
DELLO SCREENING: ATTIVITÀ
Anna Maria Fossati
Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening, Dipartimento n. 7
Le Unità per la Valutazione e l’Organizzazione dello Screening (U.V.O.S) sono
state istituite dalla D.G.R. 41–22841, Allegato A, paragrafo 9 (All. 4) nell’ambito
del Progetto regionale di prevenzione secondaria dei tumori, denominato
Prevenzione Serena.
Svolgono attività organizzativa e valutativa sui diversi momenti (dépistage,
approfondimento diagnostico e trattamento) dell’attività sul territorio
corrispondente al Dipartimento Oncologico individuato a livello regionale.
Rispetto alla nostra realtà, il Dipartimento di Screening Oncologico n. 7 raccoglie
le Aziende Sanitarie Locali nn. 15 (Cuneo), 16 (Mondovì-Ceva), 17 (SaviglianoFossano-Saluzzo) e 18 (Alba-Bra), nonché l’Azienda Sanitaria Ospedaliera S.
Croce e Carle di Cuneo.
Un primo aspetto dell’attività dell’Unità per la Valutazione e l’Organizzazione
dello Screening consiste nella gestione e nell’aggiornamento continuo della coorte
della popolazione eleggibile allo screening; tecnicamente, ciò avviene attraverso il
ricevimento trimestrale di liste anagrafiche aggiornate da parte dei Centri
Elaborazione Dati (CED) delle Aziende territoriali, l’intervento di individuazione
delle fasce d’età interessate, degli assistiti residenti, dei rispettivi medici di
medicina generale, con la creazione di un data base aggiornato. Per questo lavoro
il Dipartimento n. 7 si avvale della s.s. Flussi Informativi Aziendali dell’A.S.L. 15.
Sul piano organizzativo, l’Unità ha compiti di gestione dei rapporti con i medici di
base per quanto riguarda la loro adesione al programma di screening, di invio
annuale degli elenchi per la selezione delle loro assistite da invitare o da escludere
dal programma, nonché di catch up delle non aderenti, di gestione delle esclusioni
definitive e temporanee, di gestione degli inviti e dei solleciti alle assistite non
presentatesi ai primi livelli dello screening, di gestione delle agende delle unità di
prelievo citologico e delle unità di mammografia, nonché delle agende delle
endoscopie per lo screening dei tumori del grosso intestino e dell’accettazione dei
fecal occult blood test (FOBT) per l’avvio al laboratorio.
Inoltre, garantisce il call center per le richieste di adesioni spontanee, di
spostamento appuntamenti e per l’assistenza continua ai centri periferici.
L’U.V.O.S. si occupa dell’invio dei risultati dei test di primo livello alle assistite e
della gestione dei solleciti alle assistite invitate ad accertamenti di secondo livello e
non presentatesi. Di norma tali solleciti avvengono tramite contatto telefonico e, se
tale contatto non è possibile, attraverso sollecito scritto.
L’Unità di Valutazione e Organizzazione dello Screening ha inoltre compito di
gestione dei follow up dei terzi livelli mammografico e citologico.
Va poi ricordato che essa funge da segreteria del Comitato Tecnico Dipartimentale.
01/0
212
Circa la funzione valutativa, l’Unità opera il monitoraggio degli indicatori di
valutazione quali l’invio dei dati mensili ed annuali di attività, dei dati
sull’andamento di attività e di quelli di avanzamento ed obblighi di attività. I dati
di attività sono trasmessi ai responsabili dei centri ed alle Direzioni Sanitarie.
Contestualmente viene effettuato il monitoraggio dell’intervallo tra data di
esecuzione degli esami e data di refertazione, al fine di garantire le tempistiche
previste nell’ambito dell’assicurazione di qualità.
È fondamentale l’attività dell’U.V.O.S. rispetto alla raccolta dei dati riguardanti la
scheda computerizzata sulla qualità del trattamento del carcinoma mammario
(S.Q.T.M.), la loro elaborazione ed il successivo invio al Centro per la Prevenzione
Oncologica della Regione Piemonte (C.P.O.-Piemonte); essi vengono ottenuti sulla
base dell’acquisizione di copia delle cartelle cliniche delle pazienti screen-detected
e del continuo flusso di informazioni tra l’Unità e le chirurgie di riferimento o
quelle extradipartimentali regionali e nazionali. Per consentire tale lavoro di analisi
scientifica è prevista per D.G.R. l’acquisizione e valutazione dai centri per il
trattamento (Chirurgie, Oncologie, Radioterapie, Anatomie Patologiche) di copia
della cartella clinica e di tutti i referti istologici, entro due mesi dal trattamento o
dalla biopsia.
Analogamente, è prevista l’acquisizione e la valutazione dai centri di secondo
livello colposcopico, delle schede di colposcopia e delle cartelle dell’eventuale
trattamento.
L’U.V.O.S. provvede alla raccolta dei cancri intervallo.
Ai fini della costruzione degli indicatori di qualità del Gruppo Italiano per lo
Screening Mammografico (GISMa), del Gruppo Italiano per lo Screening
Citologico (GISCi) e del Gruppo Italiano per lo Screening Colorettale (GISCoR),
sono previste le seguenti attività:
a. acquisizione e valutazione dai centri di riferimento per il trattamento del
cancro della mammella degli indicatori di qualità del trattamento, per
l’anno precedente (tramite S.Q.T.M.) e di copia dei dati su supporto
magnetico, entro il 28 febbraio,
b. acquisizione e valutazione dai centri di riferimento per il trattamento del
cancro della cervice uterina degli indicatori di qualità del trattamento,
per l’anno precedente e di copia dei dati su supporto magnetico, entro il
28 febbraio,
c. elaborazione ed invio ad aprile e settembre dei dati annuali al GISMa,
d. elaborazione ed invio ad aprile e settembre dei dati annuali al GISCi,
e. analoga attività rispetto al GISCoR.
L’Unità di Valutazione e Organizzazione dello Screening svolge, infine, un
fondamentale ruolo nell’ambito della diffusione dell’immagine e della cultura del
Programma, attraverso l’impiego del materiale ad hoc allestito dalla Regione
Piemonte ed attraverso iniziative, concordate con il Coordinatore del Dipartimento
Oncologico, che possano dare visibilità ai risultati del lavoro prodotto da parte di
tutti gli operatori coinvolti a diverso titolo in Prevenzione Serena.
Bibliografia
01/0
213
1.
2.
3.
D.G.R. n. 41-22841 (27.10.1997). Approvazione dei criteri, delle
procedure di finanziamento, degli standard qualitativi e dei protocolli di
screening diagnostico-terapeutici e dello schema tipo di convenzione
interaziendale per l’attivazione dello screening dei tumori della
mammella e del collo dell’utero.
Determinazione del Commissario n. 664/98 (07.08.1998). Convenzione
interaziendale per lo screening dei tumori della mammella e del collo
dell’utero tra le A.S.L. n. 15,16,17,18 e la A.O. S. Croce e Carle, Cuneo.
Determinazione del Direttore Generale n. 46/06 (16.02.2006).
Convenzione interaziendale per lo screening dei tumori della mammella
e del collo dell’utero tra le aziende sanitarie regionali A.S.L. 15, 16, 17,
18 e l’Azienda Sanitaria Ospedaliera S. Croce e Carle – anno 2006.
01/0
214
IL RUOLO DEL CITOLOGO NELLA PREVENZIONE DEI
TUMORI DELLA CERVICE UTERINA
Rosa Maria Lantermo, Piero Olivieri
S.C. Anatomia Patologica, A.S.O. S. Croce e Carle - Cuneo.
La citologia è lo studio della morfologia e della funzione cellulare; essa non prende
in considerazione l’architettura del tessuto. L’uso sistematico e preventivo della
citologia della cervice uterina (o portio vaginalis dell’utero) mediante raccolta di
materiale esfoliato spontaneamente e prelevato dalla vagina e dal collo dell’utero,
strisciato su vetrini e colorato secondo Papanicolaou, consente di riconoscere,
studiare e seguire le prime fasi di sviluppo e le successive fasi evolutive del
carcinoma della portio. La diagnosi di neoplasia intraepiteliale in genere viene
posta per la prima volta con l’esame citologico.1
La citologia cervico-vaginale è sensibile, specifica e riproducibile.
La sensibilità esprime la capacità del test citologico di diagnosticare i casi positivi
per neoplasia della cervice e matematicamente è data dal rapporto: Veri Positivi
(VP)/[Veri Positivi + Falsi Negativi (FN)]. La specificità definisce la proporzione
fra i casi citologicamente negativi e i pazienti senza tumore della cervice ed è
espressa dal rapporto: Veri Negativi(VN)/[Veri Negativi + Falsi Positivi (FP)]. La
riproducibilità della diagnosi dipende dalla formazione del citologo, dalla sua
esperienza, dalla partecipazione a programmi di controllo di qualità e dalla
terminologia usata, che deve essere il più possibile uniforme.
Il Sistema Bethesda (TBS), nuovo sistema di classificazione per la lettura del Paptest, proposto nel 19883 e perfezionato nel 2001,4 permette di raggiungere questi
obiettivi.
Elenchiamo in seguito i suoi punti salienti:
Valutazione dell’adeguatezza: l’inserimento nella refertazione citologica
dell’adeguatezza del preparato viene da molti considerato uno dei contributi più
importanti della garanzia di qualità del TBS.
Il preparato è adeguato quando presenta i seguenti requisiti: paziente e preparato
identificati, informazioni cliniche pertinenti, numero adeguato di cellule epiteliali
squamose (più del 10% dello striscio), adeguata componente cervicale/zona di
trasformazione in pazienti in età fertile e non isterectomizzate (presenza di almeno
10 cellule cilindriche o metaplastiche).
È soddisfacente per la valutazione ma con limitazioni nei seguenti casi: assenza di
informazioni cliniche, presenza di sangue e/o infiammazione oscurante, effetti di
essiccamento prima della fissazione, aree spesse, materiale estraneo, fissazione
insufficiente nel 50-75% del materiale cellulare, assenza della componente
endocervicale in donne in premenopausa.
È inadeguato quando presenta una delle seguenti caratteristiche: impossibilità di
identificare il paziente, vetrino rotto, materiale scarso, presenza di sangue,
infiammazione, cattiva fissazione, aree spesse in quantità tale da impedire
l’interpretazione nel 75% o più del preparato. Lo striscio inadeguato è da
considerarsi non eseguito e va ripetuto. L’errore di prelievo è la principale causa di
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falsi negativi. Il tasso di Pap-test inadeguati non deve superare il 5% (secondo le
linee guida europee).
Interpretazione del risultato.
“Negativo per lesioni intraepiteliali preneoplastiche e neoplastiche” comprende:
i casi completamente negativi; i casi con modificazioni cellulari benigne (MCR)
che possono riguardare l’epitelio squamoso, metaplastico o cilindrico e
precisamente: infiammazione (incluso il processo riparativo tipico), atrofia,
presenza di IUD, radioterapia, presenza di endometrio tipico in donne di età <= 40
anni; i casi con presenza di infezioni da microrganismi come: Trichomonas
vaginalis, miceti morfologicamente compatibili con Candida, modificazioni della
flora suggestivi di “vaginosi batterica”, batteri morfologicamente compatibili con
Actinomiceti, modificazioni cellulari compatibili con Herpes simplex virus. La
Gardnerella non è più classificata come tale ma rientra nella vaginosi batterica.
Anormalita’ di cellule epiteliali squamose.
ASC (cellule squamose atipiche) definisce anomalie più importanti di quelle di un
processo reattivo ma non sufficienti per una diagnosi definitiva di lesione
squamosa intraepiteliale; possono indicare un processo reattivo ancora benigno o
una lesione potenzialmente più severa, non chiaramente classificabile.
L’interpretazione richiede tre aspetti essenziali: differenziazione squamosa,
aumentato rapporto Nucleo/Citoplasma, minime irregolarità nucleari. Parliamo di
ASC-US nel caso una lesione sia di basso grado che di grado indeterminato, di
ASC-H quando si evidenziano sporadiche cellule con atipie tali da far pensare ad
una lesione di alto grado ma o la scarsità del materiale o le caratteristiche del
prelievo non consentono una chiara definizione.
La percentuale di ASC-US non deve superare il 5% delle diagnosi citologiche del
laboratorio, quella di ASC-H deve rappresentare il 5-15% delle ASC.
La lesione squamosa intraepiteliale comprende lo spettro di lesioni non invasive
dell’epitelio cervicale; quelle di basso grado (LSIL) con modificazioni cellulari
correlate all’effetto citopatico da HPV (coilocitosi) e displasia lieve o neoplasia
cervicale intraepiteliale 1 (CIN 1) presentano modificazioni citologiche in elementi
con citoplasma “maturo” o di tipo superficiale; le cellule sono ampie con
citoplasma abbondante, il rapporto N/C è lievemente aumentato, si osservano
binucleazioni, lieve ipercromasia nucleare; la citologia dell’infezione da HPV è
caratterizzata da cellule epiteliali di tipo superficiale che hanno nucleo singolo o
doppio, ipercromico, circondato da un alone vuoto perinucleare.
Contemporaneamente, sono presenti piccole cellule cheratinizzate con nucleo
ipercromico, dette discheratociti.
La lesione squamosa di alto grado (HSIL) comprende la displasia moderata o
neoplasia cervicale intraepiteliale 2 (CIN II) e la displasia grave/carcinoma in situ
o CIN III/CIS. Le alterazioni citologiche sono a carico di cellule più piccole e
meno “mature” rispetto a quelle della lesione di basso grado, le cellule si
presentano raramente isolate, più spesso riunite in lamine, è presente ipercromasia
nucleare accompagnata a variazioni di dimensioni e forma del nucleo, il rapporto
N/C è molto elevato anche se la dimensione reale dei nuclei può essere inferiore ai
nuclei delle lesioni di basso grado, il contorno nucleare è irregolare.
Carcinoma squamo cellulare: il TBS non suddivide questa neoplasia maligna
invasiva; tuttavia è utile trattare separatamente il Ca squamoso non cheratinizzante
nel quale le cellule si presentano isolate o in aggregati simil-sinciziali, con nuclei
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atipici con cromatina irregolare e macronucleoli ed è frequente l’osservazione di
nuclei nudi per lisi dei citoplasmi; si osservano fenomeni di cannibalismo (cellule
maligne che fagocitano frammenti di cellule maligne degenerate) e mitosi atipiche;
il fondo è rappresentato da detriti necrotici, sangue lisato e fibrina. Nella variante
cheratinizzante le cellule sono prevalentemente isolate e pleomorfiche (a fibra, a
girino, a cometa); numerose le cellule con citoplasma cheratinizzato, intensamente
orangiofilo,; i nucleoli sono meno frequenti ed il fondo a volte è pulito.
Anomalie delle cellule epiteliali ghiandolari.
Vengono definite AGC cellule con differenziazione endocervicale o endometriale o
non chiaramente definite con atipie nucleari più marcate rispetto ad un processo
reattivo o riparativo. La categoria comprende un ampio spettro di alterazioni
morfologiche più marcate di quelle reattive, ma insufficienti per una diagnosi di
adenocarcinoma invasivo. In questa categoria rientrano lesioni che vanno da quelle
benigne (reattive) all’adenocarcinoma in situ (AIS). Le anomalie di tipo reattivo
sono più lievi: lieve la variazione di forma e dimensione nucleare, lieve
l’ipercromasia, spesso sono presenti nucleoli, il citoplasma è abbondante con
membrana cellulare ben visibile. La diagnosi differenziale si pone con
modificazione cellulari da flogosi o da IUD. Le anomalie verosimilmente di tipo
neoplastico sono più marcate: disposizione in lembi, a nastro, a rosetta, a papilla
con sovrapposizione nucleare, aumenta il rapporto N/C , i nuclei sono ingranditi,
pleomorfi, spesso allungati, ipercromici; si osservano micronucleoli, mitosi; il
citoplasma è scarso e la membrana cellulare poco visibile. La diagnosi di AGC non
deve superare lo 0,3/0,5% di tutte le diagnosi del laboratorio.
Va ricordato che la citologia cervicale è un test di screening per le lesioni
squamose e la sensibilità per le lesioni ghiandolari è limitata sia da problemi di
campionamento che d’interpretazione.
Anomalie di incerto significato in cellule endometriali: le cellule si presentano in
piccoli gruppi formati da 5-10 elementi per gruppo, i nuclei sono lievemente
ingranditi rispetto alle cellule endometriali normali, si può osservare ipercromasia,
possono essere presenti piccoli nucleoli, lo scarso citoplasma è talvolta vacuolato, i
bordi cellulari sono maldefiniti. Molto importanti le notizie cliniche: presenza di
polipo endometriale, di endometrite cronica, di IUD.
Bibliografia
1.
2.
3.
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Trattato Italiano di Medicina di Laboratorio. Volume VIII: Citopatologia
diagnostica (capitoli 16/20).
GISCi.
Gruppo Italiano Screening del
Cervicocarcinoma.
Raccomandazioni per il controllo di qualità in citologia cervico-vaginale.
Supplemento a Epid Prev 2004;28(1).
Kurman RJ, Solomon D. Il “Sistema Bethesda” per la refertazione delle
diagnosi citologiche cervico-vaginali. Edizione italiana a cura del Prof.
Ezio Baraggino.
Solomon D, Nayar R. Il Sistema Bethesda per refertare la citologia
cervicale. Seconda edizione. CIC Edizioni Internazionali.
01/0
217
I RISCHI AMBIENTALI PER LA MALATTIA NEOPLASTICA
Angelo Pellegrino,* Ivo Riccardi**
*Direttore Servizio Igiene e Sanità Pubblica, A.S.L. 15 – Cuneo
**Fisico, Azienda Regionale per la Protezione Ambientale, Cuneo
I rischi ambientali sono sempre più consistentemente una minaccia per la salute
dell’uomo. Il progressivo degrado dell’ecosistema sta comportando rischi di danno
per i cittadini in tutto il mondo. Lo stesso progresso, fonte di benessere per le
nuove generazioni, è diventato un fattore condizionante non solo dello sviluppo
sociale ed economico di un territorio, ma anche causa di potenziali malattie nella
popolazione stessa.
Per questa ragione diventa prioritario per gli Operatori di Sanità Pubblica
identificare e controllare i vari rischi d’origine ambientale, in quanto l’ecosistema
si correla strettamente a vari aspetti della salute umana, inclusa la qualità della vita,
come conseguenza dell’interazione con fattori fisici, chimici, biologici, sociali e
psico-sociali.
Obiettivo di questo capitolo non è quello di entrare nel merito delle definizioni di
rischio, esposizione, dose, valutazione dose-risposta, per le quali sarà sufficiente
puntualizzare che la valutazione del rischio rimane il processo fondamentale per la
stima dell’impatto potenziale di un rischio chimico, fisico, microbiologico o psicosociale su una popolazione umana o un sistema ecologico, sotto una serie specifica
di condizioni e per un periodo di tempo determinato. Qualora vengano identificate
significative relazioni dose-risposta con un eccesso di casi di patologia, sarà
necessario procedere alla quantificazione del rischio. Non sempre l’approccio
basato sulle evidenze sarà percorribile in quanto esistono situazioni in cui le
informazioni sono lacunose o contraddittorie. In tali circostanze la Sanità Pubblica
e le Autorità dovrebbero seguire un approccio precauzionale, che riconosca
l’esistenza dell’incertezza o dell’ignoranza; il dubbio non dovrà essere utilizzato
come motivo per rimandare, comunque, l’applicazione di misure preventive.
D’altra parte nell’ambiente generale è presente un gran numero di agenti chimici,
fisici e biologici ad azione patogena. Alcuni di questi agenti hanno una attività
cancerogena, ovvero sono in grado di modificare in modo irreversibile una cellula
“normale”, trasformandola in cellula “tumorale”. E l’azione di queste sostanze
dipende, oltre che dalle loro caratteristiche intrinseche, dal livello di esposizione
alla sostanza dei singoli individui. L’esposizione è difficile da misurare: stabilire
chi è esposto e a quale livello richiede misure individuali e continue che nella
pratica sono difficili da effettuare. Il livello di esposizione è condizionato da tre
fattori principali:
• la vicinanza (ingestione, inalazione, contatto, ecc.) dell’individuo con la fonte di
un agente che provoca la malattia, in modo che avvenga un’effettiva trasmissione
dell’agente o degli effetti negativi da esso prodotti;
• la quantità di un fattore al quale un singolo individuo o un gruppo di persone è
stato esposto;
• la durata dell’esposizione al fattore stesso.
Prima di entrare nel merito di alcuni fattori ambientali che aumentano il
rischio di ammalarsi di tumore - sui quali un Operatore di Salute Pubblica può e
deve intervenire- è opportuno sinteticamente richiamare le quattro regole d’oro
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che il recente volume “Nuove evidenze nell’evoluzione della mortalità per tumori
in Italia”, a cura dell’ISTAT e dell’Istituto Superiore di Sanità, individua come
azioni per prevenire i tumori ancora in crescita:
1. alimentazione basata su prodotti naturali, con largo apporto di vegetali freschi,
frutta, pesce, cereali, legumi e relativamente povera di grassi animali;
2. prevenzione dell’abitudine al fumo, particolarmente per le donna ed i giovani,
ovvero le fasce di popolazione che meno hanno recepito i messaggi di rischio per
la salute che sembrano aver funzionato per gli uomini;
3. induzione di cultura di rapporti sessuali protetti, per la prevenzione di infezioni e
malattie sessuali, epatiti e conseguente aumentato rischio di epatocarcinoma, di
infezioni da HIV, con aumentato rischio di linfomi non Hodgkin;
4. protezione dall’esposizione ai raggi solari e ultravioletti, uso di creme solari con
filtri, cautela dell’esposizione per i bambini atta ad evitare scottature ed ustioni,
come fattori che aumentano il rischio di melanoma della pelle.
L’esposizione ai raggi solari e ultravioletti
L’esposizione prolungata ai raggi ultravioletti, soprattutto per i bambini, ha già da
tempo dimostrato come esista una relazione tra questo agente e i tumori della pelle.
E’ noto che lo spettro solare è costituito dai raggi ultravioletti (3%), dalla luce
visibile (37%) e dai raggi infrarossi (60%); gli ultravioletti (Uv), a seconda della
lunghezza d’onda, si suddividono in Uv-A, Uv-B e Uv-C.
Gli Uv-A vanno in più profondità, penetrano nel derma colpendo e distruggendo il
collagene, l’elastina, i piccoli vasi: sono quindi i principali responsabili
dell’invecchiamento della pelle che infatti è tipico delle persone che si espongono
molto al sole e che abusano delle lampade abbronzanti: marinai, contadini, mode
estetiche. Gli Uv-B, invece, non vanno oltre l’epidermide, lo strato più superficiale
della cute, ma qui entrano nel nucleo delle cellule dove possono provocare
mutazioni del DNA e indurre tumori cutanei. Infine gli Uv-C sono i più energetici
dello spettro, quindi molto pericolosi, tuttavia di regola non raggiungono la Terra
perché trattenuti dalla fascia di ozono.
L’esposizione ai raggi ultravioletti, la pelle chiara e con molti nei, una storia
famigliare di melanoma o di tumori cutanei, ridotte difese immunitarie, forti
scottature solari da giovani sono fattori di rischio accertati per i melanomi della
pelle. In Italia l’incidenza dei melanomi continua crescere, come pure la mortalità
anche se, grazie ai miglioramenti diagnostici e terapeutici, si è osservato di recente
un rallentamento.
Livelli più bassi si osservano, infatti, nelle regioni del sud a causa di una minore
suscettibilità della pelle, sebbene nel Meridione la velocità di crescita sia più alta.
La mortalità per le donne è circa il 20% più bassa che per gli uomini.
Sarà bene tenere conto di alcune semplici nozioni per la prevenzione del rischio:
 i raggi ultravioletti attraversano le nuvole;
 sotto l’ombrellone di riceve più del 50% di tutti i raggi UV;
 il 95% degli UV penetra nell’acqua;
 il 50% degli UV-B arriva sulla terra tra le 11.00 e le 16.00, per cui, evitando
questa fascia oraria si risparmia una buona dose di fotodanneggiamento;
01/0
219
 la radiazione solare raggiunge la retina; quindi, gli occhiali con lenti scure
svolgono un ruolo importante;
 i bambini, soprattutto prima dei tre anni, non andrebbero esposti al sole senza
indumenti, lenti scure e cappellino;
 la variabile fondamentale nello scegliere il giusto atteggiamento nei confronti
del sole è la consapevolezza del proprio fototipo;
 i filtri solari, in quanto molecole capaci di assorbire le radiazioni solari, sono
efficaci. Vanno usati con generosità (25-30 grammi di prodotto, per un adulto),
spalmati accuratamente, riapplicati dopo il bagno e anche dopo una sudata.
L’inquinamento dell’aria
È imputabile principalmente a tre fattori: le emissioni industriali, le emissioni
domestiche (riscaldamento) ed il traffico veicolare. È ormai noto da tempo che
nell’aria sono presenti moltissime sostanze cancerogene, provenienti da fonti
diverse, ed è altresì noto che risiedere in città fa aumentare il rischio di ammalarsi
di tumore al polmone rispetto a chi abita fuori città. In realtà non sempre è corretto
puntare il dito sull’inquinamento atmosferico “esterno” e trascurare
contemporaneamente l’inquinamento “interno”, quello cioè presente negli ambienti
domestici, di lavoro o di svago, dove la concentrazione di sostanze tossiche può a
volte risultare superiore a quella degli inquinanti presenti nell’aria. È necessario
perciò guardare all’aria che si respira. Molte volte infatti diventano di difficile
comprensione i dati relativi all’inquinamento atmosferico perché ci si trova in
presenza di più fattori di rischio. Numerose risultano le difficoltà interpretative, da
quella di misurare l’esposizione, cioè di stabilire esattamente qual è l’impatto di
queste sostanze sul singolo organismo umano, a quella di stabilire il tempo di
latenza tra l’esposizione e l’insorgenza del tumore in funzione del cambiamento
della qualità dell’aria, cioè il tempo che trascorre tra l’inalazione di sostanze
cancerogene e l’effettiva malattia dell’individuo, a quella relativa all’esistenza di
altre esposizioni concomitanti ugualmente dannose come il fumo e l’esposizione
professionale a sostanze pericolose (dai solventi chimici alle sostanze plastiche).
In termini generali, basandoci sugli studi epidemiologici condotti fino ad ora a
livello internazionale, l’inquinamento atmosferico comporta un rischio relativo di
insorgenza di tumori compreso tra valori di 1,2 e 2,0. Se si considera il tumore del
polmone, questo può aumentare dal 4% al 40%, a seconda delle aree indagate.
Per la valutazione degli esiti sanitari da inquinamento atmosferico, a livello
nazionale è stato condotto uno studio specifico denominato MISA-2 e finanziato
dal Ministero della salute e dal Ministero dell’università e della ricerca scientifica e
tecnologica in cui è stata considerata la mortalità per tutte le cause naturali
(362254 decessi), per cause respiratorie (22317) e per cause cardiovascolari
(146830) raccolta tramite i Registri di Mortalità regionali o delle Aziende sanitarie,
ed i ricoveri ospedalieri non programmati per cause respiratorie (278028 ricoveri),
cardiache (455540) e cerebrovascolari (60960) selezionati tramite una procedura
uniforme a partire dagli archivi regionali o delle aziendeospedaliere (le percentuali
di esclusioni oscillano sul totale dei ricoveri dal 45% all’82%). Per ogni città si
hanno in media serie giornaliere di 4.3 anni, con un minimo di tre anni consecutivi.
01/0
220
Il MISA-2 ha rappresentato un ampliamento dello studio MISA-1, pubblicato su
Epidemiologia & Prevenzione nel 2001, che aveva valutato l’impatto
dell’inquinamento atmosferico in 8 città italiane nel corso degli anni Novanta. Il
MISA-2 ha ampliato a 15 il numero delle città e ha analizzato le serie giornaliere
degli anni 1996-2002. Sono stati coperti dall’indagine 9.100.000 abitanti
(censimento 2001), analizzati 362.254 decessi e 794.528 ricoveri non
programmati. Si è osservato che l’aumento di rischio si manifesta entro pochi
giorni dal picco di inquinamento (due giorni per le polvero costituite da particelle
con diametro inferiore a 10 micron -PM10- fino a quattro giorni per NO2 e CO).
L’anticipazione del decesso è stata contenuta e si è verifica entro due settimane.
L’effetto cumulativo a quindici giorni ha mostrato rischi maggiori per le cause
respiratorie (PM10=1.65; IC95% 0.3-.3.0).
I risultati rilevati sottolineano l'importanza di definire politiche a lungo termine in
merito alle principali fonti di emissioni in gioco: traffico veicolare, industrie,
riscaldamento. Tale sforzo potrebbe essere utile per potenziare le attività di
monitoraggio ambientale di alcuni inquinanti (con particolare attenzione alla
composizione chimica e volumetrica delle polveri) al fine di approfondire i nessi
causali fra inquinamento atmosferico e salute, in particolare nei gruppi di
popolazione più suscettibili quali bambini, anziani, ed affetti da patologie croniche.
I dati ottenuti fanno riflettere sul degrado dell'area che respiriamo: il gruppo di
esperti ha infatti stimato che il numero di decessi per cause naturali,
cardiovascolari e respiratorie e di ricoveri ospedalieri, attribuibili all'inquinamento
atmosferico e in particolare al PM10, sono 900 all'anno. E la situazione non
migliora facendo riferimento alle sostanze gassose: stando ai risultati dell'indagine,
sarebbero 2000 i morti causati ogni anno dal biossido d'azoto e 1900 quelli
riconducibili nello stesso periodo al monossido di carbonio.
I rischi da agenti di tipo fisico: campi elettromagnetici – radiazioni ionizzanti
L’interesse per gli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute dell’uomo ha
assunto una rilevanza sempre crescente sia in ambito scientifico che nell’opinione
pubblica, tanto da indurre l’Organizzazione Mondiale della Sanità a considerarli
uno dei principali problemi del futuro.
Ciò ha contribuito a diffondere la percezione del rischio da radiazioni ed indotto a
ridurlo entro limiti accettabili mediante lo sviluppo di un corpo normativo che ha
stabilito limiti da non superare. Pare utile precisare come tali limiti non
rappresentino comunque un confine tra sicurezza e pericolo.
01/0
221
Ogni
apparecchiatura che
utilizzi la corrente
elettrica
genera,
nello
spazio
circostante,
una
realtà fisica detta
campo elettrico. Se
questo campo è
variabile nel tempo,
si
manifesta
attraverso (...)
sorgente
Fig. 1 – Lo spettro elettromagnetico
condizioni
intensita
di
campo elettrico
120–150Vm-1 /
10 kVm-1
1 – 10 kVm-1
densità
di
flusso magnetico
50 microTesla
Campi
statici naturali
Elettrodotti
alta tensione
Bel tempo /
Brutto tempo
400 KV,
a distanza 25 m
Televisioni
e terminali
Telefonini
A distanza 30 cm
1 – 10 V m-1
0.2 microTesla
A distanza
da 2 a 10 cm
A distanza >30 m
90–270 V m-1
0.3 – 1 microTesla
8 – 40 microTesla
-1
Antenne
0.5 – 3 V m
telefonia mobile
Antenne
A distanza
2 – 20 V m-1
telefonia mobile
<30m, >10m
Antenne
A distanza
10 – 40 V m-1
telefonia mobile
<10m, >1m
Tab. 1- Esempi di intensità di campi elettromagnetici
(...) onde elettromagnetiche di diversa lunghezza d’onda in cui sono associati un
campo elettrico ed un campo magnetico, ad esso ortogonale. L’insieme di queste
lunghezze d’onda forma lo spettro elettromagnetico (figura 1) che dalla frequenza
pari a 0 (campi elettrostatici) cresce fino alle frequenze dei raggi X e Y attraverso
la regione della luce visibile. Lo spettro che va dai campi statici fino a 300 GHz
comprende le regioni da 1Hz a 3 KHz, dette frequenze estremamente basse, od
extremely low frequences, ELF (es.: i campi prodotti dagli elettrodotti); da 3 KHz
a 300 MHz, dette radiofrequenze (es.: i sistemi di telecomunicazione); da 300 MHz
a 300 GHz, dette microonde (es.: i forni ed i radar).
01/0
222
Per i campi elettromagnetici ad alta frequenza,
il D.M. n. 381 del
10/09/1998
impone
i
seguenti limiti: in ambienti
dove le persone possono
soggiornare per più di 4
ore, come ad esempio, le
abitazioni, i giardini privati,
le scuole ecc., il campo non
deve superare i 6 Volt al
metro. In altri ambienti
accessibili all’uomo non
deve superare i 20 Volt al
metro.
Tab. 2- Campi magnetici a
bassa frequenza
Campo magnetico
[microTesla]
a 3 cm a
30
cm
Lavatri0.15ce
3.0
Lampa- 40-400 0.5–2.0
da
aspira2-20
polvere
asciuga- 6–2000 0.01capelli
1.0
robot
60–700 0.6da
10.0
cucina
coperta 2–3
0.1–0.2
elettrica
a
100
cm
0.01–
0.15
0.02–
0.25
0.13–2.0
0.02–
0.25
01/0
Campo
magnetico
di un
elettrodotto a 50
m
[micro
Tesla]
0.1-0.4
0.05
I campi elettromagnetici a bassa frequenza, degli elettrodotti, sono regolati dal
D.P.C.M. 08/07/2003. Esso stabilisce per la frequenza di 50 Hz il limite di campo
magnetico a 100 µT ed il limite di campo elettrico a 5000 V/m, imponendo un
limite a 10 µT per ambienti dove persone possono soggiornare per più di 4 ore e
per ambienti scolastici, aree gioco ecc.
Il D. M. 381/98 relativamente ai campi elettromagnetici ad alta frequenza, è stato
stilato sulla base di un
criterio
estremamente
cautelativo, mentre non
possiamo
ritenere
cautelativi i limiti per i
campi elettromagnetici a
bassa frequenza. Pare
utile
confrontare
il
campo prodotto dagli
elettrodotti con qualche
stima
di
campo
elettromagnetico
Fig. 2 - Campo magnetico a 50 Hz di un
asciugacapelli elettrico.
"IRPA": limite di sicurezza da INIRC-IRPA.
"EPID.": soglia di attenzione dagli studi
epidemiologici.
prodotto da apparecchiature di uso comune
(tabella 2). Quindi, come si deduce dalla tabella 2
(e dalla
figura 2), ognuno può limitare
Fig. 3 – Distribuzione del
l’esposizione regolando la propria a molte
campo elettromagnetico
sorgenti di campo magnetico.
Le intensità di campo emesso dalle antenne per telefonia mobile nella direzione di
massima emissione, sono già al di sotto dei limiti di legge a circa 30 m
223
dall’antenna a causa del semplice effetto di propagazione su una superficie sferica:
infatti, al raddoppio del raggio l’area si quadruplica (figura 3).
A causa della bassa frequenza, il campo elettromagnetico generato da un
elettrodotto è, costituito dalle due componenti separate: quella elettrica e quella
magnetica. Entrambe diminuiscono rapidamente con la distanza dai cavi e si
riducono a valori non distinguibili dal livello di fondo per distanze dell’ordine dei
300 m dall’asse della linea; alla distanza di 50 m, il campo magnetico si è ridotto a
valori confrontabili con quelli generati dagli elettrodomestici di uso comune.
Effetti biologici dei campi elettromagnetici
Il campo elettromagnetico cede energia al sistema biologico per mezzo delle
perdite per conduzione e delle perdite dielettriche. I tessuti biologici sono
conduttori tanto migliori quanto minore è la frequenza. La profondità di
penetrazione diminuisce con l'aumentare della frequenza e del contenuto d'acqua
del tessuto biologico. Gran parte dell'energia perduta dal campo elettromagnetico
nel tessuto biologico è convertita in calore. Il tessuto irradiato aumenta temperatura
Meccanismi di interazione del C.E.M. con i tessuti biologici: effetti termici
Presenza di ioni nell’acqua contenuta nei tessuti
Struttura “polare” della molecola d’acqua
Perdite dielettriche tipiche di un isolante imperfetto
Correnti parassite tipiche d’un conduttore con alta resistività
Calore generato a spese dell’energia del C.E.M.
Riscaldamento dei tessuti
Fig. 4
Meccanismi di interazione del C.E.M. con i tessuti biologici: effetti non termici
Presenza di ioni nell’acqua contenuta nei tessuti
Struttura “polare” della molecola d’acqua
Trasporto di ioni che influenzano il metabolismo cellulare
Interferenza con i segnali elettrici del sistema nervoso
Modifica di reazioni biochimiche?
Fig. 5
01/0
224
01/0
e diffonde calore con le zone limitrofe. L'incremento di temperatura oltre i limiti
fisiologici costituisce una delle cause principali degli effetti deleteri dei campi
elettromagnetici. Se l’effetto è dovuto
esclusivamente al calore sviluppato nel
tessuto, inclusi i meccanismi omeostatici,
allora l’effetto è detto termico. Se invece
l’effetto non è mediato dal calore ma è
dovuto all’azione diretta delle microonde
sulle molecole o sulle cellule, allora viene
detto non termico. La reale incidenza
degli effetti non termici è ancora in corso
di studio. Fino ad oggi nessuna prova
sperimentale definitiva è stata raggiunta.
Nella figura 6, è illustrato il concetto che
a basse frequenze il campo elettrico ed il
Fig. 6 – Effetti della componente
campo magnetico operano in modo del
elettrica e magnetica di bassa freq.
tutto diverso fra loro: il campo elettrico
genera correnti di spostamento che
tendono a caricare la superficie del corpo, mentre quello magnetico induce correnti
che circolano all’interno del corpo. I campi elettrici oltre i 12000 V/m (Volt al
metro) generati dalle linee ad alta tensione possono, ad esempio, mettere in
vibrazione peli e capelli, mentre i campi magnetici oltre 200 mT (milli-Tesla)
possono produrre nausea. Anche per i campi elettrici e magnetici a bassa frequenza
Campo
Elettrostatico
Effetto
Grandezza
Carica elettrica sulla Intensità di campo (E)
superficie del corpo
Magnetostatico
Vertigini e nausea
Densità di flusso
magnetico (B)
CEM < 100 KHz
Carica elettrica sulla Intensità di campo (E)
superficie del corpo
Disturbi a nervi e
Densità di corrente
muscoli
indotta
CEM Incremento della
Tasso di assorbimento
100 KHz 110 GHz temperatura del
specifico (SAR)
corpo
CEM Incremento della
Densità di potenza
100 KHz 110 GHz temperatura della
incidente
superficie del corpo
Tab. 3 – Esempi di effetti dei campi elettromagnetici
Valore
25 KVm-1
2T
12 KVm-1
10 mA m-2
0.4 W Kg-1
100 W m-2
sono stati condotti numerosi studi sperimentali per determinare quali possano
essere gli effetti biologici. I risultati di queste indagini risultano contrastanti anche
se sembra apparire una certa correlazione tra esposizione e insorgenza di tumori
infantili, con una stima di rischio individuale dell’ordine di 1 su 106. Questi valori
evidenziano che i soli studi epidemiologici non sono sufficienti a dirimere il
dubbio. Sono necessari ulteriori studi che la comunità scientifica ha in corso.
225
Nell’ambiente naturale sono presenti materiali radioattivi: nell’aria, nel cibo,
nell’acqua, nel suolo e persino fra i costituenti del nostro corpo, ai quali si
aggiunge la radiazione cosmica.
Fu studiando la fluorescenza di sali di Uranio che Bequerel, nel 1896, osservò il
fenomeno della radioattività naturale. Ulteriori studi mostrarono che le radiazioni
sono tipiche dell’elemento che le emette. Si chiarì che gli atomi che emettono
radiazioni decadono con la formazione di nuovi atomi.
Le radiazioni emesse dalle sostanze radioattive sono di tre tipi:  e sono il
prodotto degli omonimi tipi di decadimento radioattivo. La trasformazione
radioattiva di un nucleo atomico è un processo esotermico, spontaneo,
indipendente da qualsiasi condizione fisica o chimica. Si fa uso del concetto di
tempo di dimezzamento T1/2, definito come il tempo necessario a dimezzare il
numero di atomi presenti della sostanza radioattiva. Definiamo come attività di una
sostanza il numero di particelle che essa emette per unità di tempo. L’unità di
misura dell’attività è il Bequerel (Bq), che indica il numero di disintegrazioni al
secondo.
Gli elementi radioattivi naturali presenti con maggior abbondanza nel suolo
terrestre sono 238Uranio, 235Uranio, 232Torio e 40Potassio. Sono i radionuclidi
primordiali, che si formarono all'inizio dell'universo. Quelli a corta vita media sono
già decaduti, per cui solo quelli con vita media maggiore sono ancora presenti; ad
essi si aggiungono quelli che vengono continuamente formati dal loro
decadimento. Altri radionuclidi
sono continuamente formati dalle
interazioni
della
radiazione
cosmica con l'alta atmosfera. Essi
sono
detti
radionuclidi
cosmogenici come il 14Carbonio o
il Trizio.
Molte sostanze radioattive danno
luogo a discendenti, anch’essi
radioattivi, che decadono a loro
volta finché non raggiungono la
configurazione di un isotopo
stabile. Ciò genera una catena di
“generazioni”
di
sostanze
radioattive, indicata come famiglia
Fig 7 – La famiglia radioattiva dell’Uranio 238
radioattiva. Esistono tre famiglie
radioattive naturali: quella dell’Uranio (238U), quella del Torio (232Th) e quella
dell’Attinio (227Ac con capostipite 235U). Nella figura 7 è descritta la famiglia
radioattiva naturale del 238Uranio.
Il processo di ionizzazione porta a delle alterazioni, transitorie o permanenti, degli
atomi e quindi delle molecole che li contengono. Se le molecole interessate sono
situate entro una cellula vivente, essa può risultare a sua volta danneggiata: in
modo diretto se la molecola ha un'importanza critica per la vita della cellula, in
modo indiretto se essa interagisce chimicamente con molecole adiacenti (radicali
liberi). Tra i diversi danni che la radiazione provoca, il danno al DNA può
impedire la sopravvivenza o la riproduzione della cellula. Spesso il danno è
01/0
226
riparato dalla cellula stessa, ma se la riparazione è imperfetta si può generare una
cellula vitale modificata.
Effetti Deterministici. Quando un numero sufficiente di cellule di un organo viene
inattivato o non è più in grado di riprodursi, vi è una perdita di funzione
dell'organo che diviene più grave all'aumentare del numero di cellule inattivate. Un
tale effetto viene detto deterministico. Gli effetti deterministici sono certi dopo il
superamento di una soglia d’irradiazione e si presentano entro poco tempo
dall'irradiazione. Essi sono tipici di irradiazioni forti e di breve durata e mostrano
un aggravamento del sintomo col crescere della dose. I principali esempi di effetti
deterministici dovuti all'irradiazione di singoli organi o apparati corporei sono gli
eritemi alla cute, la caduta dei peli, la leucopenia, la sterilità, la congiuntivite e la
cataratta, che avvengono a dosi superiori a 1 Gy. Se l'irradiazione interessa l'intero
organismo, si hanno effetti che vanno dalla riduzione dei linfociti (già a 0.25 Gy)
fino alla sindrome acuta da radiazioni a 2 Gy.
Effetti Stocastici. Una cellula somatica modificata può conservare ancora la sua
capacità di riprodursi e può dare luogo ad un clone di cellule che potrà evolvere
infine in un tumore. Questi effetti, che possono originarsi da una sola cellula
irradiata vengono detti effetti stocastici perché: a) non hanno una dose soglia; b) la
frequenza della loro comparsa è piccola; c) non esiste gradualità dell'effetto.
Sono stati osservati per irradiazioni dell'ordine di 0.1 Gy ricevuti in alcuni giorni o
settimane. Alcuni effetti possono comparire anche anni dopo l'irradiazione. Le
organizzazioni internazionali (United Nations Scientific Committee on the Effects
of Atomic Radiation-UNSCEAR, ICRP) valutano il coefficiente di probabilità di
morte sull'intera vita per una popolazione di riferimento dei due sessi in età
lavorativa come 410-2 Sv-1.
Effetti ereditari ed effetti dell'esposizione prenatale. Una cellula modificata delle
gonadi di un individuo esposto può trasmettere un'informazione genetica imprecisa
che può essere la causa di gravi danni ad alcuni dei discendenti. A basse dosi ed
intensità di dose il coefficiente di probabilità di effetti ereditari gravi su tutte le
generazioni successive calcolato in relazione alla dose alle gonadi su tutta la
popolazione è di 0.5 10-2 Sv-1.
Gli effetti di un'esposizione sul prodotto del concepimento dipendono dal
momento dell'esposizione in rapporto alla fertilizzazione.
Esposizione a sorgenti naturali.
La dose efficace media annuale da sorgenti naturali, basata sulle stime
dell'UNSCEAR, è valutata in 2.4 mSv. Il rateo medio di dose in aria risulta di circa
44 nGy/h ma in alcune zone della Terra (India, Brasile) vi é un incremento fino a
430 nGy/h.
Il 40K, ritrovato con concentrazioni di qualche decina di Bq/Kg in molti alimenti, e
le serie radioattive del 238Uranio e del 232Torio, se introdotti, si depositano nelle
ossa e sono significativi per l'esposizione interna da ingestione e da inalazione
Particolare rilievo riveste il radon - I radionuclidi 222Rn e 220Rn ed i loro prodotti
di decadimento a breve vita sono le sorgenti principali di esposizione a radiazione
interna per inalazione. Infatti, i prodotti di decadimento del radon sono ioni solidi
01/0
227
che entrano nella costituzione delle particelle di aerosol e delle goccioline di
vapore che, inalate, depongono i nuclidi nel tratto respiratorio dell'uomo.
Il 222Rn ha una vita media sufficiente per rilasciare una proporzione piuttosto alta
dei suoi prodotti di decadimento nell'aria della bassa atmosfera subito dopo essere
fuoriuscito dal suolo. Il 220Rn che raggiunge l'atmosfera é molto inferiore, poiché
la sua vita media é di soli 55 secondi.
La concentrazione di radon e dei suoi prodotti nell'ambiente umano varia
notevolmente con le condizioni locali. La Comunità Europea raccomanda per la
concentrazione di radon nell’aria nelle abitazioni un valore d’attenzione di 200
Bq/m3 e un valore d’intervento di 400 Bq/m3.
La geologia del territorio può favorire, modificare o impedire il flusso di radon dal
sottosuolo verso la superficie. Ciò spiega perché i valori più elevati di emissione di
radon dal sottosuolo sono estremamente localizzati e possono variare anche di un
ordine di grandezza
entro distanze limitate.
La maggior parte delle
manifestazioni uranifere
delle Alpi Cozie e
Marittime è ubicata in
una formazione rocciosa
che attraversa in senso
longitudinale le Alpi
dalla Liguria al Trentino
e che viene detta
“Permocarbonifero
Assiale” (figura 8). Essa
si è formata nell’Era
Terziaria in conseguenza
della fase orogenetica
alpina. Nella nostra
provincia
questa
formazione
affiora
Fig. 8 – Fascia del permocarbonifero
piuttosto estesamente.
assiale in provincia di Cuneo
Da quando, nel 1984, in
una casa della Pennsylvania fu misurata una concentrazione di radon tale da
richiedere la bonifica dell’abitazione, si è imparato a misurare il radon presente
nelle case.
Dal suolo il radon penetra attraverso le fessure dei pavimenti e dei muri, attraverso
i canali di drenaggio dell’acqua, attraverso gli scarichi fognari e, più lentamente,
attraverso la stessa porosità dei muri. Il radon in tal modo accede anche ai piani più
alti delle abitazioni. Non si dimentichi che altre sorgenti di radon sono
rappresentati dai materiali da costruzione e dall’acqua proveniente da pozzi
profondi.
Gli studi sulle modalità di diffusione del radon hanno permesso di mettere a punto
tecniche di intervento sugli edifici che vanno dalla semplice sigillatura, alla
depressurizzazione e ventilazione di cantine, alla creazione di sottopressioni al di
sotto dello edificio ecc. e che riescono a risolvere il problema favorendo l’uscita
del gas dall’interno, e impedendone l’ingresso. La scelta e l’efficacia della
01/0
228
procedura dipende dalle caratteristiche degli edifici, dal livello di radon presente e
da fattori economici. Esistono altresì metodi per misurare le concentrazioni di
radon. La misurazione dura qualche giorno e presenta notevoli difficoltà. Solo un
laboratorio attrezzato, con strumentazione moderna e gestito da professionisti
esperti può garantire la correttezza del risultato.
Bibliografia
1. Istituto Nazionale di Statistica. Indicatori statistici: n. 5–2005. Nuove
evidenze nell'evoluzione della mortalità per tumori in Italia. Anni 1970–1999.
2. Oxford Hanbook of Public Health Practice – Oxford University Press – 2001.
3. Jardine C, Hrudey S, Shortreed J, et Al. Risk management frameworks for
human health and environmental risks. J Toxicol Environ Health B Crit Rev.
2003;6(6):569-720.
4. Meta-analysis of the Italian studies on short-term effects of air pollutionMISA 1996-2002 Epidemiol Prev 2004;28(4-5 Suppl):4-100.
5. Repacholi MH. WHO's health risk assessment of ELF fields. Radiat Prot
Dosimetry 2003;106(4):297-9.
6. Bernstein JA, Alexis N, Barnes C, et Al. Health effects of air pollution. J
Allergy Clin Immunol. 2004;114(5):1116-23.
7. Saul AN, Oberyszyn TM, Daugherty C, et Al. Chronic Stress and
Susceptibility to Skin Cancer. J Natl Cancer Inst. 2005;97(23):1760-67.
8. Trinchero D, Tascone R, Cerato I, et Al. An Interactive procedure for the
characterisation of electric field distribution. 29th European Microwawe
Conference (EUMC 99). Munich, Germany.
9. Trinchero D, Tascone R, Riccardi I, et Al. Results of Electromagnetic
Background Mapping in North Western Italy. Atti del Convegno “Millennium
Conference on Antennas Propagation” – Davos Switzerland 9-14 aprile 2000.
10. Trinchero D, Tascone R, Perrone G, et Al. Exposure to High Frequency EM
Fields in Urban Environments -4th European Symposium on EMC- Brugge,
September 11-15, 2000;51-4.
11. Protection Against 222Radon at Home and at Work - ICRP Pubblication 65.
Pergamon Press, 1990.
12. Sartor W,Gentile L, Riccardi I. Misure di radon indoor in un’area con elevata
presenza di mineralizzazioni uranifere. Atti del Convegno Nazionale “Dal
monitoraggio degli agenti fisici sul territorio alla valutazione dell’esposizione
ambientale”. Torino, 29-31 ottobre 2003
Ringraziamenti
Si ringrazia il Dr Giampiero Busellu per la collaborazione scientifica.
01/0
229
GESTIONE INFORMATICA DEI PROGRAMMI DI SCREENING
Monica Rimondot
Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening, Dipartimento n. 7
Al fine di garantire il corretto ed efficace funzionamento di un programma di
screening oncologico, un ruolo fondamentale è detenuto dall’applicativo
informatico gestionale.
Esso riceve in input un database anagrafico realizzato secondo i requisiti
fondamentali richiesti dallo screening (età, sesso, residenza, ecc.), opportunamente
e costantemente aggiornato, ed ulteriormente selezionato secondo criteri non tanto
anagrafici quanto soggettivi (assistito già sotto controllo oncologico, problemi
psichiatrici, grave handicap, malattia terminale, ecc.), dati reperibili grazie alla
collaborazione dei medici di medicina generale o segnalati da parte dell’utenza
stessa.
L’applicativo gestisce la convocazione dell’utenza secondo precise configurazioni
di sistema (centri di prelievo, definizione delle agende per l’invito, scelta del
comune di residenza e/o dell’anno di nascita, ecc.) e l’eventuale modifica/revoca
dell’appuntamento; raccoglie tutte le informazioni previste al momento
dell’esecuzione (o meno) dell’esame; provvede a generare le corrette procedure di
refertazione, invio esiti, invio ad approfondimento diagnostico di II livello,
gestione degli interventi e dei follow-up, invio dei solleciti dopo mancata adesione,
corretta programmazione logico-temporale dei successivi esami di screening.
Nei programmi di screening in cui sia consentito l’accesso spontaneo degli
assistiti, l’applicativo deve garantire la corretta procedura di inserimento.
La banca dati dell’applicativo deve essere condivisa in rete, in modo da consentire
l’intervento dei diversi operatori coinvolti durante le varie fasi dello screening,
permettendo l’accesso esclusivamente ai dati di competenza.
Circa l’invio delle lettere di invito, sollecito ed esito screening il software
gestionale deve offrire la possibilità di scegliere fra l’invio a cura dell’Unità di
Valutazione ed Organizzazione dello Screening o la generazione di lotti che
vengono trasmessi al gestore della posta, presso il quale sono depositati i vari
modelli cartacei previsti a seconda del caso.
Sotto il profilo della valutazione, dall’applicativo deve essere possibile estrarre
tutti i dati necessari al calcolo dei parametri richiesti dalla Regione per definire i
risultati raggiunti a livello dipartimentale, regionale e nazionale.
Concludendo, si tratta di in meccanismo complesso, che spesso richiede
aggiornamenti e gestioni di nuovi parametri, il tutto al fine di un costante e
crescente miglioramento della qualità del servizio di prevenzione oncologica.
Bibliografia
1.
2.
Eurosoft Informatica Medica. Screening 2000. Citologico. Software di
screening per la prevenzione dei tumori alla cervice uterina. 2004.
Eurosoft Informatica Medica. Screening 2000. Mammografico. Software
di screening per la prevenzione dei tumori alla mammella. 2004.
01/0
230
IL RUOLO DELLA FARMACIA
NELLA PREVENZIONE ONCOLOGICA
Savino Roggia
Associazione Titolari di Farmacia Provincia di Cuneo
La farmacia è da sempre impegnata nella prevenzione della malattia. Da prima con
il farmacista che dialogava con il cittadino: erano quelli i tempi in cui medico e
farmacista esprimevano la Sanità della Polis. Poi, con pubblicazioni orientate a
combattere tubercolosi, rachitismo, condizioni igieniche precarie…
Seguì la stagione del curare, curare e curare… anche la produzione dei medicinali:
la terapia quindi prima della prevenzione della malattia.
Con la stagione della consapevolezza venne il verbo di armonizzare cura e
prevenzione, e le risorse, tutte le risorse umane, professionali, istituzionali si
misero e sono in cammino contro il male anche anticipandolo.
La farmacia, quella cuneese in particolare, non si è mai attardata ad essere in
prima fila.1
Le sue campagne sulla prevenzione del diabete, dell’ipertensione, delle patologie
gastriche, venose e da sigarette, delle piaghe da decubito… hanno fatto storia e
oggi sono un canovaccio replicato in ambito regionale e nazionale di cui il network
piemontese Farmacia Amica2 ne è esempio e brillante erede.
Così pure anticipatrice dei tempi fu la scelta di intervenire sui giornali con rubriche
e puntualizzazioni3 miranti a valorizzare comportamenti virtuosi in campo ludico,
sportivo, alimentare e nell’uso appropriato dei farmaci, principia di ogni seria
prevenzione contro le malattie. I risultati da esibire sarebbero tanti se non fosse che
sono ancora una moltitudine quelli che aspettano di essere raccolti.
La farmacia oggi si appresta a collaborare con l’Unità per la Valutazione e
l’Organizzazione dello Screening (U.V.O.S.) nell’ambito del progetto regionale di
prevenzione secondaria dei tumori, denominato Prevenzione Serena, con cui nei
prossimi dieci anni si mira di evitare 1200 morti e prevenire ulteriori 1500 nuovi
casi di tumore al colon retto.4
E non solo. La farmacia attraverso una rivisitazione del suo sapere e dei suoi gesti
potrebbe trasformare in ulteriori traguardi una realtà altrimenti negletta nella
prevenzione secondaria dei tumori.
Vediamo come…
Prevenzione Serena
Il progetto dell’U.V.O.S. prevede la suddivisione della popolazione su cui
effettuare la ricerca del tumore del colonretto (CCR) in due gruppi. Al primo
gruppo sono assegnati i soggetti sotto i 58 anni ai quali verrà proposta la
flessosigmoidoscopia (FS) mentre ai non aderenti, e come possibilità, la ricerca del
sangue occulto nelle feci (FOBT). Invece a tutti i cittadini tra i 59 e 69 anni verrà
proposto il FOBT.
“Il primo livello dello screening colorettale in Prevenzione Serena prevede l’invio
di una lettera di invito con opuscolo illustrativo e, in caso di mancata
presentazione, di un sollecito. Non è richiesta l’impegnativa ed è prevista
01/0
231
l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria. Il programma si rivolge
quindi ai soggetti di entrambi i sessi con due distinti rami di screening (I livello) a
seconda della coorte d’età, con l’impiego della FS e con il FOBT.
Le esclusioni riguarderanno i casi di CCR attuale o pregresso, adenomi/polipi del
colon retto, la malattia infiammatoria cronica (morbo di Crohn, rettocolite
ulcerosa), l’avere eseguito FS, FOBT o coloscopia totale nei due anni precedenti,
la presenza di una patologia gravemente invalidante o terminale.
Sulla base delle premesse epidemiologiche relative all’incidenza di questa
neoplasia rispetto all’età, al fine di massimizzare il beneficio derivante dalla
prevenzione di futuri CCR evoluti da adenomi, la coorte dei soggetti di età
corrispondente a 58 anni viene invitata a sottoporsi all’esecuzione della
flessosigmoidoscopia una tantum.
Questa viene eseguita previa toelette intestinale, 2 ore avanti con clistere da 133 ml
di sodio fosfato 20% ritirato in farmacia, da non somministrare in caso di dolore
addominale acuto, nausea o vomito in atto, o stipsi protratta da oltre 6 settimane.
La FS è considerata completa se si ha il superamento della giunzione
sigmoidocolica e la visualizzazione del colon discendente, in condizioni di
adeguata preparazione intestinale.
L’esito della flessosigmoidoscopia potrà essere quello negativo (ed in tal caso la
predittività negativa dovrebbe estendersi per oltre dieci anni).
Oppure consistere nella presenza di un polipo a basso rischio, con diametro
inferiore a 10 mm (ed in tal caso si procede all’immediata asportazione
endoscopica ed all’accertamento istologico; polipi di dimensioni maggiori saranno
invece rimossi in ambito di approfondimento di II livello), di un adenoma a
componente villosa, di un adenoma con displasia grave, di tre o più adenomi, di un
polipo con diametro pari o superiore a 10 mm, di un CCR. In questi ultimi casi il
paziente è inviato ad un accertamento di II livello; analogamente, sarà richiamato
ad approfondimento di II livello nel caso in cui l’esame istologico seguito alla
polipectomia evidenzi caratteristiche di alto rischio.
In caso di lesioni estese è possibile l’immediato invio ad accertamenti preparatori
alla chirurgia; la terapia chirurgica è indicata anche nei casi in cui l’istologia
evidenzi un adenoma cancerizzato in cui manchi la condizione di carcinoma ben
differenziato o non vi sia indennità dei margini di resezione, o vi sia invasione di
vasi linfatici o venosi.
Ai soggetti non rispondenti alla lettera di invito ed a quella di sollecito per la FS
viene proposta, con lettera ed opuscolo informativo, l’esecuzione di un FOBT ogni
2 anni (per i successivi undici anni); ai non aderenti al FOBT, dopo un anno è
ulteriormente proposta la FS. È evidente come si venga a creare in tal modo una
coorte dinamica di soggetti che effettueranno la ricerca del sangue occulto nelle
feci, che aumenterà dimensionalmente per una dozzina di anni per poi stabilizzarsi
su un valore che sarà funzione di fattori quali la consistenza della coorte dei
cinquantottenni nel tempo e la compliance al FOBT nei soggetti che rifiutano
l’accertamento endoscopico.
Al fine di comprendere nella fase di avvio dello screening colorettale anche i
soggetti a significativo livello di rischio per CCR di età compresa tra 59 e 69 anni,
questa coorte chiusa viene invitata a sottoporsi all’esecuzione della ricerca del
sangue occulto nelle feci con un intervallo di rescreening di due anni, fino al
raggiungimento del limite superiore di età.
01/0
232
È evidente come tale coorte vada a diventare sempre meno dimensionalmente
consistente, fino ad azzerarsi dopo una dozzina di anni.
Il FOBT è eseguito con il test di agglutinazione su lattice, non influenzato dalla
dieta, per cui non sono da prevedere restrizioni dietetiche.
L’esito della ricerca del sangue occulto nelle feci potrà essere negativo oppure
positivo, nel qual caso il soggetto è convocato al II livello.”5
La farmacia è chiamata a dare il suo contributo al successo della FS e della FOBT.
Funzionerà da eco ulteriore delle informazioni fatte giungere dall’U.V.O.S. al
cittadino sulle finalità, modalità, impegno, metodologia esecutiva, rischi,
precauzioni e vantaggi della ricerca, dispenserà i farmaci per il lavaggio
intestinale, distribuirà e raccoglierà i kit per la raccolta delle feci per la ricerca del
sangue occulto.
Sarà terminale attivo nella diffusione della immagine e della cultura del
Programma, attraverso l’impiego del materiale e iniziative preparate ad hoc, che
possano dare visibilità ai risultati del lavoro prodotto da parte di tutti gli operatori
coinvolti a diverso titolo in Prevenzione Serena.
La farmacia quindi sarà attrezzata per la distribuzione del materiale esplicativo e
per la raccolta dei reperti organici. Al progetto partecipano 208 farmacie della
provincia.
Il farmacista seguirà un corso ECM mirato a formarlo sulla clinica del CCR, sulle
fasi e sui dettagli di cui è costituito il Progetto, sulla tecnica comunicativa con
cui dialogare con i cittadini.
Sarà preparato sui rischi biologici, praticamente nulli, derivanti dal maneggiare
reperti organici.
Il centro di raccolta secondaria sarà un luogo da definire, comunque tra Fossano e
Cuneo, attrezzato con frigorifero idoneo in cui parcheggiare i campioni prima di
essere prelevati e consegnati per l’accettazione all’U.V.O.S. ed ai laboratori,
proveniente dalle farmacie comprese nel territorio delle Aziende Sanitarie Locali
nn. 15 (Cuneo), 16 (Mondovì-Ceva), 17 (Savigliano-Fossano-Saluzzo) e 18 (AlbaBra).
Altri contributi del farmacista nella lotta al tumore colonretto
Alcuni ammalati di tumore possono arrivare all’attenzione del medico con una
malattia in fase iniziale ma già sintomatica, sfuggendo all’indagine di uno
screening ben strutturato come questo. Sono soggetti naturalmente particolari che
davanti a un malessere ormai per cultura antepongono al medico il rimedio
familiare e il farmaco da banco, i sop …
D'altronde in questa galassia di farmaci cosiddetti “minori” tali soggetti trovano
risposte appropriate seppure temporanee per mettere a tacere un bel numero di
sintomi comuni alla patologia tumorale. In riferimento al cancro del colonretto tra i
segni e i sintomi,6 pur nella loro molteplicità a seconda della localizzazione, dopo
la fase asintomatica troviamo: anemia, dolore, sangue occulto nelle fecinell’adenocarcinoma; cambiamento nelle evacuazione dell’alvo con stitichezza o
diarrea, calibro delle feci ridotto, sanguinamento rettale rosso vivo frammisto alle
feci -nell’adenocarcinoma del colon sinistro; sanguinamento rettale rosso vivo,
01/0
233
tenesmo- nell’adenocarcinoma del retto; sanguinamento rettale, dolore addominale
crampiforme -nel carcinoide; defecazione dolorosa, sanguinamento rettale, ragadi
anali -nel carcinoma a cellule squamose.
Sintomatologia questa che risveglia un consumo improvviso e concomitante di
analgesici, ricostituenti, lassativi, antiemorroidari, antispastici addominali,
fermenti lattici di libera vendita … consumo che, se monitorato coscientemente dal
farmacista, può anticipare di almeno sette mesi7 l’intervento del medico e le cure
più appropriate (fase della “diagnosi tempestiva”).
Ulteriore contributo del farmacista alla lotta ai tumori attraverso il
monitoraggio del consumo dei farmaci da banco
I sotto elencati tumori6 sono un esempio di come un’attenzione progettata e diffusa
sull’uso dell’automedicazione possa aiutare a coglierne i sintomi fin dai loro primi
esordi e aiutare il cittadino a recarsi dal medico.
Leucoplachia orale
Un’aumentata richiesta di paste adesive per dentiere e collutori antibatterici e
antinfiammatori possono sottendere una protesi dentaria non adeguata oppure la
presenza di morsi reiterati alla mucosa delle guance che offendendo ripetutamente
i tessuti della bocca la predispongono al tumore.
Linfoma cutaneo a cellule a T
Questi ammalati per combattere il prurito sono consumatori in primis di farmaci
antistaminici da banco.
Tumore del fegato
Nel 80% dei casi esiste un dolore addominale con o senza nausea e vomito che
l’ammalato tenta di curare con antispastici, coleretici, antidispeptici, vitaminici,
acidificanti, lassativi…
Tumore al polmone
Dalla tosse, alla mancanza di fiato, all’eccessiva stanchezza fisica, al dolore
toracico, alla raucedine, alle spalle e braccia doloranti, all’anemia… sono segni e
sintomi che spingono l’ammalato al consumo di sedativi della tosse, mucolitici,
analgesici, rinforzanti, antianemici…
Tumori della tiroide
La disfagia che accompagna questa patologia porta l’ammalato ad abbandonare
cibi solidi per quelli liquidi, quindi a chiedere diete liquide, e a sostituire farmaci
solidi per quelli bevibili; la disfonia invece alimenta la richiesta di farmaci per la
memoria: un tentativo per recuperare la difficoltà a coordinare la disposizione delle
parole nell’ordine giusto.
Tumori ossei primitivi
Sollecitano un uso continuato di Otc analgesici per combattere il dolore sotto
carico, a riposo e durante la notte, e il dolore diffuso.
01/0
234
Tumore vaginale
Può alimentare un consumo eccessivo di gel lubrificante la vagina se il
sanguinamento postcoitale è erroneamente attribuito a una improbabile quanto
repentina secchezza.
Tumori della laringe
La raucedine persistente in un anziano, ancor di più se fumatore, dispnea, otalgia,
disfagia, odinofagia, tosse cronica, perdita di peso, alitosi, dolori localizzati
possono essere alla base di una richiesta repentina di pastiglie e sciroppi balsamici,
gocce otologiche, sedativi della tosse, antidolorifici, ricostituenti e preparati contro
l’alitosi…
Tumore alla mammella
È una patologia critica. I soggetti anziani vivono l’esposizione della ghiandola
mammaria come un tabù da difendere ad oltranza. Si tradiscono quando con
eufemismo chiedendo una pomata per un “un brufolo” al seno!
Tumore della prostata
I disturbi minzionali, le infezioni del tratto urinario, i dolori ossei, l’anemia …
sollecitano richieste di tisane rinfrescanti, farmaci antispastici, disinfettanti,
antinfiammatori, ricostituenti…
Mentre per la ritenzione acuta di urina chiedono “qualcosa che faccia urinare”!
Tumore dell’ovario
Il gonfiore addominale, la dispepsia, il sanguinamento vaginale irregolare, la
dispareunia, la perdita di peso… portano a un consumo di farmaci ad attività
carminativa e antispastica, ad un uso insolito di assorbenti intimi, di gel lubrificanti
la vagina, di ricostituenti…
…e attraverso il consumo dei solari:
Melanoma8
La farmacia è già attiva nella prevenzione primaria. In campagna, ai monti e al
mare il farmacista oltre a consigliare il preparato cosmetico più adeguato alle
condizioni ambientali e stagionali ne spiega l’uso corretto. Le radiazioni solari
ultraviolette UVB, dai 280 a 320 nm (nanometri) e quelle UVA dai 320 e 400 nm,
possono promuovere il tumore attraverso un aumento del livello di eccitazione
molecolare della materia vivente secondo l’International Agency for Research on
Cancer (IARC).9
Nei soggetti cronicamente esposti (contadini, marinai, amanti dei bagni di sole), è
alto il rischio di ammalarsi di melanoma maligno in special modo con ustioni
solari acute ripetute (5 ustioni solari in adolescenza raddoppiano il rischio).10
Così pure nella prevenzione secondaria del tumore cutaneo quando con discrezione
se ne osservano i suoi segni e sintomi. Ogni cambiamento cutaneo, sia ipo che
iperpigmentazione, ogni suo leggero sanguinamento, desquamazione,
cambiamento di dimensione sono motivi per incoraggiare il soggetto a rivolgersi al
medico.
01/0
235
Bibliografia
1. La prime iniziativa risale al 1995-96: in collaborazione con l’Ordine dei Medici
della provincia di Cuneo si organizzò una campagna contro l’ipertensione
arteriosa.
2. Farmacia Amica agisce o ha agito in collaborazione con la Regione Piemonte e
altre istituzioni nel campo della prevenzione primaria e secondaria delle malattie
più diffuse sul territorio delle regioni Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Sardegna.
Si avvale di contributi resi disponibili dalle organizzazioni dei Titolari di farmacia
regionali, dalle Regioni e sponsor.
3. Roggia S. Salute, farmacia e informazione, Gribaudo ed. 2° ed. 1998
4. Vanara F, Senore C, Segnan N. Screening del cancro colorettale. Valutazione dei
costi. Quaderni CPO n. 9. Torino, gennaio 2005.
5. Fossati A.M. Coordinatrice dell’Unità di Valutazione ed Organizzazione dello
Screening, Dipartimento n. 7: comunicazione personale.
6. Griffith JA, Dambro MR. 5 minutes clinical consult. Ed. Italiana, Centro
Scientifico Internazionale, 1997.
7. Orione L. Coordinatore del Dipartimento di Screening Oncologico n. 7
(provincia di Cuneo) e Responsabile dell’Unità di Valutazione ed Organizzazione
dello Screening, Dipartimento n. 7: comunicazione personale.
8. Regione Piemonte, Assessorato alla Sanità – Rete Oncologica Piemontese –
Centro di Riferimento per l’Epidemiologia e la Prevenzione Oncologica in
Piemonte. Relazione Sanitaria sull’Oncologia in Piemonte: aspetti epidemiologici.
2003.
9. http://www.iarc.fr International Agency for Research on Cancer (IARC). Overall
Evaluations of Carcinogenicity to Humans.
10.Ullrich RL. Etiology of Cancer: Physical Factors. In: DeVita V, Hellman S,
Rosenberg SA. Cancer. Principles & Practice of Oncology. 7th Ed. Lippincott
Williams & Wilkins, Philadelphia PA, U.S.A., 2005. 201-15.
01/0
236
LA METODICA DEL LINFONODO SENTINELLA
NELL’APPROCCIO CHIRURGICO
AL CARCINOMA MAMMARIO
Gianpaolo Sacchetto
Responsabile S. O. S. di Senologia, A.S.L. 18 - Alba
La cura chirurgica del tumore della mammella ha conosciuto nella storia della
medicina momenti particolari ed importanti; negli ultimi anni, in particolare,
l’avvento e la conferma della validità della chirurgia conservativa della mammella
proposta dal prof. Umberto Veronesi: la quadrantectomia con asportazione dei
linfonodi ascellari.
Negli anni novanta la chirurgia senologica ha ulteriormente proseguito il suo
cammino, sviluppando il concetto di “conservazione “non solo della mammella
ma anche dei linfonodi ascellari .
Aiutati dalle nuove tecnologie e dalla disponibilità di terapie mediche sempre più
efficaci, si fece strada tra i chirurghi, il concetto di “chirurgia gentile” cioè di una
chirurgia meno aggressiva e mutilante.
I chirurghi senologi cominciarono a chiedersi se l’asportazione dei linfonodi
ascellari fosse davvero sempre necessaria. Con la dissezione dei linfonodi ascellari
si corre il rischio di asportare inutilmente tessuto linfatico che risulta al successivo
esame microscopico frequentemente indenne.
Inoltre, la rimozione dei linfatici ascellari può compromettere la funzionalità
dell’arto e aumentare il rischio di effetti collaterali (linfedema, parestesie, deficit
motori), senza tener conto del fatto che non è logico asportare tessuto
immunocompetente sano che aiuta le difese immunitarie a combattere la malattia.
Poiché non ci sono esami strumentali in grado di rilevare prima dell’intervento un
eventuale interessamento dei linfonodi, senza asportarli, recentemente è stata
messa a punto la cosiddetta tecnica del “linfonodo sentinella“ (LS).
In caso di metastasi, il carcinoma mammario si diffonde attraverso il sistema
linfatico seguendo un percorso ordinato e progressivo, interessando in primo luogo
i linfonodi più esterni o del primo livello linfonodale (Fig. 1).
Il LS è il primo linfonodo (o linfonodi) che riceve la linfa direttamente dal tumore
primitivo mammario; ovvero, LS è ogni linfonodo che riceve direttamente linfa dal
parenchima mammario e quindi dal tumore. I linfonodi ascellari sono raggiunti
dalla linfa attraverso il circolo linfatico superficiale periareolare.
È noto che le cellule tumorali che si staccano dal tumore seguendo le vie linfatiche
migrano all’ascella passando da uno o più linfonodi che sono posti a “sentinella”
del sistema linfatico della regione.
Se questa stazione-sentinella risulta sana è molto probabile che anche tutti gli altri
linfonodi siano indenni ed è pertanto inutile asportarli.
La positività del cosiddetto linfonodo sentinella è dunque il segnale di un
coinvolgimento ascellare, mentre la sua negatività indica l’assenza di malattia nella
regione ascellare.
La biopsia del linfonodo sentinella è in grado di riconoscere un interessamento
metastatico anche minimo (micrometastasi) in pazienti con ascella clinicamente
negativa.
01/0
237
Gli studi sul valore predittivo del LS nei confronti di tutti i linfonodi asportati
chirurgicamente e gli studi randomizzati che hanno confrontato la dissezione
ascellare di routine e la dissezione ascellare sulla base dell’istologia del LS hanno
dimostrato la validità della metodica sia per quanto riguarda il valore predittivo
negativo del LS nei confronti degli altri linfonodi ascellari asportati, sia per quanto
riguarda il valore predittivo positivo.
Indicazioni
La localizzazione del LS deve essere eseguita in donne con carcinoma infiltrante
della mammella accertato biopticamente (B5) o con esame citologico positivo (C5)
o già sottoposte a tumorectomia, ampia resezione o quadrantectomia per carcinoma
infiltrante.
Un esame citoaspirato sospetto (C4) con quadro strumentale suggestivo di
carcinoma invasivo (ETG, Mammografia), può essere indicazione sufficiente per
effettuare la biopsia del LS.
I linfonodi ascellari vengono valutati con indagine ultrasonografica e, se sospetti,
sottoposti ad esame citologico su agoaspirato.
La metodica deve essere effettuata prima dell’intervento sulla mammella e può
essere utilizzata anche in caso di mastectomia .
Controindicazioni assolute


Biopsia linfonodi ascellari positiva (C5/B5)
Carcinoma infiammatorio
Controindicazioni relative o controverse




Chemioterapia primaria preoperatoria per ridurre le dimensioni del tumore.*
Carcinoma in situ.**
Stato di gravidanza e/o allattamento.***
Carcinoma multifocale e multicentrico.****
*La capacità di identificare il LS dopo chemioterapia non subisce flessioni; non è però noto
il significato biologico di una eventuale negativizzazione del LS dopo terapia .In attesa di
ulteriori studi, le linee guida suggeriscono di eseguire la biopsia prima del trattamento
chemioterapico oppure di eseguire la dissezione ascellare.
**Nelle lesioni in situ di grosse dimensioni con grading alto e quadro mammografico ad alto
rischio la metodica è comunque consigliata.
***La metodica non comporta problemi teratogenetici ed il tasso di migrazione non sembra
essere compromesso. In caso di allattamento occorre bloccare la montata lattea prima dell’
intervento.
**** Sono in corso studi che sembrano confermare la validità della metodica legata alla
verosimile esistenza di un unico drenaggio linfatico verso l’ascella.
Indicazioni alla successiva dissezione ascellare


Metastasi al LS.
Micrometastasi al LS (focolai inferiori a 2 mm).
01/0
238

LS non migrato o non identificato chirurgicamente.
Raccomandazioni
La metodica del LS nella pratica clinica deve essere condotta da un chirurgo
esperto dedicato e da uno specialista in medicina nucleare, che dovrebbero avere
seguito un corso specifico in questa tecnica.
Tutte le fasi della procedura devono essere accuratamente documentate e annotate.
La medicina nucleare è responsabile per quanto riguarda la preparazione del
materiale da inoculare e dell’acquisizione e interpretazione delle immagini
linfoscintigrafiche.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze la micrometastasi (inferiore ai 2 mm), al
di fuori di uno studio clinico, indica la necessità di dissezione ascellare completa.
In caso di presenza di cellule tumorali isolate (ITC) la dissezione può essere
evitata.
Metodica di identificazione del LS
Le metodiche sperimentate ed accreditate per identificare il LS prevedono l’uso di
un colorante vitale (Patent Blue-V), di un tracciante radioattivo oppure la
combinazione di entrambi i metodi.
La prima metodica dimostra valori di affidabilità variabili dal 70-90%, sulla base
dell’esperienza dei vari chirurghi; tale valore sale al 95-99% con l’utilizzo del
tracciante radioattivo.
L’impiego del colorante vitale ha rischi e costi trascurabili; il tracciante radioattivo
dà maggiore garanzia di successo della tecnica, che giustifica i costi più elevati e
l’organizzazione, sicuramente più complessa.
Colorante vitale (Patent blue-V)
Si procede all’iniezione subdermica del Patent Blue-V (0,2-0,4 ml), dopo
l’induzione dell’anestesia generale o l’inoculo della anestesia locale nella stessa
sede di inoculo del tracciante; si esegue un delicato massaggio dell’area iniettata
per agevolare la progressione del colorante verso i linfonodi del cavo ascellare.
Volumi di inoculo maggiori sono necessari in caso di iniezione peritumorale o in
mammelle molto grandi, seguita sempre da accurato massaggio; si può iniziare
l’intervento dopo 10-15 minuti.
L’inoculo per via subdermica, e quindi un minor volume iniettato, rende più
agevole l’exeresi e la valutazione patologica del T; dal punto di vista anatomofisiopatologico inoltre, mediante la via subdermica, il colorante vitale viene
iniettato direttamente nel plesso linfatico subdermico che riveste la maggior
importanza per quel che riguarda il drenaggio del tumore verso il cavo ascellare.
Punto di inoculo. Il colorante vitale può essere iniettato per via subdermica,
subareolare o peritumorale. La via subdermica è da preferire per una migrazione
piu rapida del tracciante. la via subareolare offre il vantaggio di non creare rumore
di fondo con la captazione delle lesioni del quadrante supero-esterno.
01/0
239
La sede intratumorale è sconsigliata per la migrazione difficoltosa; essa viene
impiegata come metodica nella localizzazione delle lesioni non palpabili su guida
ultrasonografica o stereotassica.
Tracciante radioattivo
L’inoculo deve essere eseguito da due a ventiquattro ore prima dell’intervento.
Si usano particelle colloidali di albumina umana marcate con 99Tc. Il tracciante
radioattivo viene iniettato in una soluzione di 0,2-0,4 ml, seguito da 0,2 ml di
soluzione fisiologica; seguono alcuni minuti di massaggio delicato onde facilitare
ed accelerare il drenaggio linfatico. La dose viene aumentata a 0,3-0,4 ml nelle
pazienti obese.
Punto di inoculo. L’iniezione viene di solito eseguita per via subdermica in
corrispondenza della lesione mammaria.
Imaging. La linfoscintigrafia mammaria può essere eseguita il giorno precedente
l’intervento chirurgico oppure il giorno stesso, almeno alcune ore prima dell’
intervento (Fig. 2).
La proiezione obliqua anteriore a 45° permette di distinguere meglio il punto di
inoculo dal LS ascellare. La proiezione anteriore è ideale per i linfonodi della
catena mammaria interna. Per individuare la posizione del primo linfonodo
vengono effettuate proiezioni obliquo-anteriori, mantenendo la gamma-camera il
più possibile parallela al cavo ascellare; con l’aiuto di una sorgente puntiforme si
evidenzia la proiezione cutanea dello stesso linfonodo che viene segnato con
marker indelebile sulla cute (Fig. 3).
L’immagine scintigrafica disponibile al momento dell’intervento è di grande utilità
per il chirurgo, poiché consente di rilevare la sede e la presenza di uno o più
linfonodi sentinella.
Impiego della sonda. La sonda per chirurgia radioguidata (RGS) converte la
radioattività rilevata sia in un segnale analogico sia in un segnale acustico di
intensità e frequenza proporzionale all’attività presente nella regione esaminata.
A tal fine la sonda deve essere caratterizzata da elevata sensibilità con elevata
risoluzione spaziale, cioè consentire di discriminare due regioni tessutali captanti e
vicine. Alcune sonde, dotate di collimazione variabile, consentono di variare la
risoluzione spaziale e la sensibilità (Fig. 4).
Per le applicazioni della chirurgia radioguidata della mammella la sensibilità
risulta essere una caratteristica fondamentale. La corretta rilevazione
intraoperatoria del LS dipende anche dal funzionamento e dalla risposta dello
strumento di rilevazione; è pertanto fondamentale il controllo di qualità da
effettuarsi scadenzato e a registro.
Tecnica chirurgica


Prendere visione della linfoscintigrafia per acquisire informazioni: se e
quanti LN sono stati rilevati.
Verificare la attività di fondo della paziente ed effettuare una mappatura
della cute per confrontarla con il repere cutaneo segnalato dal medico
nucleare.
01/0
240
Per individuare il LS si pratica una piccola incisione sulla linea ideale per la
dissezione ascellare; nei casi di tumori del quadrante supero esterno è sicuramente
più conveniente l’accesso al LS attraverso la breccia chirurgica utilizzata per
l’exeresi del tumore.
La ricerca del linfonodo viene eseguita seguendo i vasi linfatici colorati di blu
fino al primo linfonodo drenante, che appare fortemente colorato di blu o/e
mediante la sonda avvolta in una guaina sterile che, delicatamente mossa
all’interno dell’incisione chirurgica, permette di identificare il linfonodo che
emette il segnale più intenso (Fig. 5).
Generalmente, c’è concordanza fra il linfonodo colorato di blu ed il linfonodo
radioattivo (caldo); in caso di reperto non univoco, viene considerato LS il primo
linfonodo caldo ma non colorato di blu.
Altre volte, il primo linfonodo che sembra drenare i linfatici proveninti dal tumore
è blu ma non caldo, quest’ultimo situato più distalmente al tumore; in questo caso,
non potendo definire con esattezza quale sia il LS , si debbono asportate ambedue.
Una volta reperito il/i LS (la scintigrafia può evidenziare più di un linfonodo
captante), se ne procede all’asportazione avendo cura di allacciare i collettori
linfatici afferenti ed efferenti (Fig. 6).
La asportazione di altri linfonodi contigui, non segnalati come sentinella, è
suggerita solo se alla palpazione intraoperatoria risultano sospetti, informando il
medico patologo.
Non è infrequente la presenza di linfonodi captanti in sede mammaria interna
(specie nei tumori dei quadranti interni).
Poiché l’interessamento dei linfonodi della catena mammaria interna modifica, a
volte, la terapia medica e/o la radioterapia, la biopsia mammaria interna (MI) è
consigliabile, eseguendo una piccola incisione nel secondo, terzo spazio
intercostale , asportando per via extrapleurica i linfonodi captanti e preservando i
vasi mammari interni.
Se nessun linfonodo viene evidenziato è necessario procedere alla dissezione
ascellare completa.
Anatomia patologica
Il LS, generalmente ascellare, occasionalmente della catena mammaria interna,
identificato con il colorante vitale e/o con il radioisotopo, deve essere sottoposto
ad un accurato esame istologico, poiché è stato dimostrato che sia la più probabile
e spesso unica sede di metastasi di carcinoma mammario.
Attualmente la biopsia del LS è diventata procedura di routine per tumori
mammari di diametro inferiori a 3 cm.
Ogni singolo LS deve essere posto in contenitore etichettato e deve essere inviato
in tempi brevi al laboratorio di anatomia patologica.
Tutti i linfonodi inviati come “sentinella” devono essere trattati secondo il
protocollo della SIAPEC Piemonte.
Linfonodi >5 mm di diametro massimo devono essere sezionati preferenzialmente
lungo l’asse minore, per una più esaustiva valutazione della capsula e del seno
marginale (sede di ITC) a ad intervalli di circa 2 mm; quelli <5 mm devono essere
tagliati a metà in senso longitudinale e processati interamente.
01/0
241
La diagnosi di micrometastasi (mi) e di cellule tumorali isolate aumenta
all’aumentare del numero delle sezioni esaminate.
Se all’esame istologico delle sezioni colorate con ematossilina eosina non sono
individuate lesioni metastatiche è consigliabile procedere con l’approfondimento
immunoistochimico con citocheratine ad ampio spettro.
Esame intraoperatorio
L’introduzione dell’ecografia del cavo ascellare associata all’agoaspirato con ago
sottile dei linfonodi ascellari sospetti ha notevolmente ridotto la necessità
dell’esame intraoperatorio, diagnosticando anticipatamente i casi con metastasi.
Linee guida internazionali legittimano appieno, sia la possibilità di effettuare
l’esame intraoperatorio sul LS, sia l’alternativa di differire l’esame istologico
definitivo.
L’esame estemporaneo del LS utilizzando sezioni criostatiche o le apposizioni per
esame citologico ha però un rischio di falsi negativi, che varia dal 65% al 100%, a
secondo delle metodiche.
Il trattamento del LS secondo la SIAPEC piemontese prevede di effettuare l’esame
estemporaneo intraoperatorio solo in casi de effettiva necessità clinico-chirurgica
(età, cardiopatie, rischi anestesiologici,...) demandando la diagnosi all’esame
istologico definitivo.
Radioprotezione nella chirurgia radioguidata della mammella
La metodica su descritta non presenta particolari problemi di tipo
radioprotezionistico, dato che le dosi somministrate sono minime e le
caratteristiche del radioisotopo sono ottimali.
Le dosi assorbite dai tessuti sani delle pazienti sono limitate; gli operatori
ricevono dosi molto basse, che non richiedono una sorveglianza fisica della
radioprotezione né una classificazione dei lavoratori nelle categorie a rischio.
Basti ricordare che la dose assorbita dal chirurgo, ogni 100 casi eseguiti, è di 450
SV circa, mentre la dose limite annua per le persone del pubblico è pari a 50.000
SV (ICRP 60, D. Lgs 230/95).
Conclusioni
La scelta di eseguire la dissezione ascellare sulla base dell’esame istologico del
LS è raccomandabile nei casi per i quali esiste indicazione.
La paziente deve essere informata dei benefici e dei rischi della metodica, in
particolare della possibilità ( 3%-4%) che si possa manifestare una ripresa della
linfonodale ascellare che rende necessaria, nel tempo, una dissezione ascellare
completa differita.
È raccomandabile un attento follow-up con cadenza semestrale, che consenta di
rilevare tempestivamente una eventuale ripresa linfonodale.
Si raccomanda, infine, un consenso informato dedicato, sottoscritto dalla paziente
prima dell’intervento.
La validità della biopsia del linfonodo sentinella è oramai riconosciuta a livello
mondiale e rappresenta un importante progresso nella stadiazione e trattamento
01/0
242
del carcinoma mammario, evitando la dissezione del cavo ascellare, responsabile,
a volte , di una nuova malattia nella malattia.
Bibliografia
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axillary dissection in breast cancer with clinically negative lymph-nodes.
Lancet 1997;349:1864-7.
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6. Veronesi U, Galimberti V, Zurrida S, et Al. Sentinel lymphnode biopsy as an
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10. Luini A, Galimberti V, Gatti G, et Al. Development of axillary surgery in
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11. Luman GH, Giuliano AE, Somerfield MR, et Al. American Society of
Clinical Oncology Guideline Recommendations for sentinel lymph node
biopsy in early breast cancer. J Clin Oncol ; 2005:7703-20.
12. Protocollo Linee Guida F.O.N.Ca.M 2005.
Riferimenti iconografici
(vedi sezione a fine volume)
01/0
243
LO PSICOLOGO E LO SCREENING ONCOLOGICO
Francesca Salvatico, Enrica Badino, Luigi Salvatico*
S.C. Psicologia, A.S.L. 15 – Cuneo
*Direttore
L’individuo che affronta uno screening oncologico, preludio di una possibile
diagnosi di cancro, può necessitare di un adeguato supporto per riuscire a
convivere con la propria situazione, organica ed emozionale, di attesa, nell’ottica
di mantenere il miglior livello di qualità di vita per lui possibile.
Questa condizione implica una presa in carico globale della persona e, in alcune
situazioni, dei familiari; a tal proposito nasce la Psiconcologia, una materia
multidisciplinare cui afferiscono primariamente culture di tipo psichiatrico e/o
psicologico clinico, ma anche le importanti esperienze sul campo dell’oncologia
medica, della chirurgia oncologica, della radioterapia e della chemioterapia, della
terapia del dolore e della riabilitazione. Risulta una disciplina di interfaccia tra
medicina e psicologia, che si occupa della prevenzione e del trattamento del
distress psicologico secondario al dubbio diagnostico rispetto alla patologia
oncologica, sia nei pazienti che nei familiari, in tutti gli stadi della malattia.
Tra gli obiettivi di ricerca ed applicazione clinica della Psiconcologia1 vi sono la
prevenzione e la diagnosi precoce, ambito di studi molto vasto all’interno del quale
si collocano l’analisi delle variabili psicologiche e sociali in grado di condizionare,
a diversi livelli, l’esposizione degli individui a fattori di rischio per le neoplasie (ad
es. quali fattori favoriscono l’inizio ed il mantenimento del fumare, dell’assunzione
di alcol, o dell’iperalimentazione…) e delle variabili che interferiscono nella
prevenzione e nella diagnosi precoce di tumori (ad es. quali meccanismi difensivi
individuali possono correlarsi ad un ritardo diagnostico).
Già nell’ambito della prevenzione primaria (interventi finalizzati a ridurre
atteggiamenti nocivi e promuovere comportamenti più salutari, ad esempio corretta
alimentazione, eliminazione di fumo e alcol) lo psicologo collabora attraverso
programmi psicoeducazionali volti a favorire una corretta informazione, una
maggiore sensibilizzazione ed un’adeguata educazione alla salute.
Nella fase di prevenzione secondaria (indagine precoce, interventi tempestivi per
diagnosticare in tempo utile la patologia neoplastica), lo psiconcologo può
intervenire per valutare la condizione emozionale del soggetto e modulare, così, la
comunicazione in base al caso singolo, anche al fine di meglio gestire il delicato
atto del “consenso informato”, inteso quale alleanza terapeutica, più che come
cautela giuridica.
Affiancando fin dall’inizio l’equipe medica, lo psicologo potrebbe essere
riconosciuto come parte integrante del gruppo terapeutico, evitando in tal modo di
favorire una stigmatizzazione del paziente in senso psichiatrico, frequente causa
della difficoltà a richiedere un adeguato supporto psicologico. In caso di diagnosi
di cancro, lo psiconcologo proseguirà nell’assistenza del malato in tutto l’iter
terapeutico, al fine di facilitare una graduale rielaborazione dell’evento, un
miglioramento dell’atteggiamento psichico verso la malattia e, di conseguenza, una
maggior compliance verso il progetto terapeutico.2
01/0
244
La fase di screening/prevenzione secondaria è un momento caratterizzato da dubbi,
incertezza, insicurezza.
Talvolta emerge la tendenza a “lasciare perdere”, in quanto i soggetti asintomatici
possono vivere la prenotazione e la visita come “perdita di tempo”, identificando
l’intervento di prevenzione essenzialmente come un’azione rivolta alla collettività,
cioè di sanità pubblica, ovvero “diretta agli altri”.
Lo psicologo può essere il “contenitore” delle ansie e delle paure, circoscrivendo
uno spazio (emozionale e relazionale) dove poter esprimere le emozioni,
inizialmente caotiche, successivamente riconosciute e nominate.
In molti casi si concede al soggetto di legittimare la propria condizione: spesso, ci
si trova di fronte a persone che non possono, o non vogliono, parlare del rischio di
malattia e dei vissuti di morte ad esso legati, per non ferire i propri familiari. Si
viene ad instaurare un gioco in cui ognuno tenta di preservare l’altro dal dolore: la
presunta patologia diventa tabù.
Pensando ai test genetici, al di là degli indiscussi vantaggi che hanno apportato alla
prevenzione, occorre tener presente cosa significano per coloro che scoprono di
essere predisposti a una malattia così grave e quale possa essere l’impatto a livello
psicoemozionale. “L’anticipo della diagnosi, la riformulazione del concetto di
rischio, il coinvolgimento del soggetto non ancora paziente (ma già diverso da un
non portatore di alterazione genetica) comportano una radicale ridefinizione e
riconcettualizzazione dell’idea stessa di malattia e salute”.3
Da un punto di vista psicologico, l’equilibrio individuale rischia di essere alterato
in quanto la fase prediagnostica incide direttamente sul sentimento di identità, di
appartenenza familiare e sulla tolleranza nei confronti dell’ansia.
L’obiettivo globale del trattamento psicologico in oncologia, anche durante la fase
di prevenzione, risulta essere il miglioramento della qualità di vita: tale meta la si
raggiunge agendo sul disagio manifesto con interventi specialistici, anche al fine di
limitare il rischio di conseguenze psicopatologiche a distanza. È emerso come
l’individuazione precoce ed il trattamento dei disturbi dell’umore diventano
urgenti se si considera che un cattivo adattamento alla diagnosi sia predittivo di
sintomi depressivi anche ad un anno di distanza.1
Una comunicazione di rischio e/o di diagnosi oncologica provocherà
inevitabilmente dei cambiamenti a diversi livelli; tali modificazioni saranno
vincolate al modo con cui la persona reagisce agli eventi in generale e a come
gestisce le reazioni ansiogene e poco controllabili.4
La qualità del cambiamento e la sua efficacia nel far fronte al contenuto
comunicativo possono essere influenzate dai fattori di seguito analizzati.
Innanzitutto, la Struttura di personalità, in particolare l’atteggiamento del soggetto
nei confronti della malattia, ad es. la tendenza ad attribuire a sé la responsabilità di
ciò che accade (locus of control interno), oppure a variabili esterne non
controllabili (locus of control esterno). In generale è stato rilevato un buon livello
di partecipazione a comportamenti preventivi tra coloro che hanno dimostrato una
buona capacità di tollerare l’ansia e l’incertezza in altre situazioni critiche
presentatesi durante la loro vita. Viceversa, alti livelli di suscettibilità percepita,
associati a tratti ansiosi sembrano interferire con l’aderenza ai protocolli di
sorveglianza raccomandati.5
Le esperienze precedenti e gli stili di coping adottati condizionano la stima del
proprio rischio. Molto spesso, chi ha avuto casi di tumore nella propria famiglia
01/0
245
tende a sovrastimare la propria probabilità di ammalarsi. Questo non sempre
corrisponde ad un aumento dell’adesione a programmi di screening, in quanto i
possibili sentimenti di paura ed impotenza conseguenti all’aver assistito un
familiare malato possono generare atteggiamenti di negazione e sfiducia che non
predispongono il soggetto ad un’adeguata prevenzione.
Numerosi studi concordano sul fatto che l’età incida sul rischio di sviluppare
disturbi di ordine psicologico, in particolare della sfera affettiva: i giovani
risulterebbero più vulnerabili e pertanto trarrebbero maggior beneficio da un
adeguato piano di intervento psicologico, che consenta loro di gestire l’ansia, lo
stress e la sensazione di perdita di controllo che la fase prediagnostica può
comportare.6
Nell’ambito dei programmi di screening, un altro aspetto che è stato oggetto di
ricerche riguarda la valutazione degli effetti a lungo termine nel caso in cui la
persona vada incontro ad un falso-positivo. In uno studio di Brett e Coll. (1998)7
sono state seguite, per un periodo di 5 mesi, donne che avevano dovuto seguire
ulteriori indagini diagnostiche dopo una prima mammografia, al termine delle
quali il risultato negativo era certo. Anche a 5 mesi di distanza, queste donne
presentavano conseguenze psicologiche importanti e, in particolare, livelli di ansia
elevati.
In un altro studio, il gruppo di donne che aveva ricevuto un risultato falso-positivo
riportava più frequentemente pensieri intrusivi e maggior ansia e preoccupazione
riguardo il cancro al seno, un incremento del numero di auto-esami tramite
l’autopalpazione, un aumento dei sintomi collegati al tumore al seno, sia nei due
mesi successivi che ad un anno di distanza dallo screening.8
In sintesi, la disponibilità ad effettuare determinati esami clinici ed ad impegnarsi
in misure di prevenzione e controllo sarà sicuramente determinata dalle
caratteristiche di personalità del soggetto e da quelle delle misure preventive
proposte, dalle aspettative, dalle speranze, dalla capacità di tollerare l’ansia e
l’insicurezza. La qualità della relazione terapeutica risulta, tuttavia, essere un
elemento trasversale fondamentale nel riconoscimento e nella gestione delle
problematiche emozionali.
In conclusione, per cercare di ridurre al minimo le conseguenze psicologiche
negative di chi si sottopone ad un esame di screening, l’intervento primario è
quello di informare in modo completo, accurato e comprensibile la popolazione.
Qualora i sintomi psicologici dovessero persistere anche dopo l’esame, sarebbe
opportuno offrire un sollecito intervento psicologico per favorire l’elaborazione
dell’esperienza e ridurre il disagio conseguente.
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Psico-Oncologia. 1999;1:4-9.
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legali e psico-sociali dei test genetici in oncologia. Masson, 1999.
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inherited susceptibility to breast and ovarian cancer. JAMA, 1993;269:1970-4.
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differences in coping and emotional distress. British Cancer Research and
Treatment, 1959;54:195-203.
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breast screening suffer adverse psycological consequences? A multi-center followup study comparing different breast screening result groups five months after their
last breast screening appointment. J Public Health Med 1998;20(4):396-403.
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mammography screening induces short-term distress–breast cancer-specific
concern prevails longer. European Journal of Cancer, 2000;32A(10):1089-97.
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Riferimenti iconografici
Giovanni Cera, Gigliola Serrati
AGCUS - cellule endocervicali atipiche probabilmente neoplastiche
LSIL - coilocitosi
01/0
248
HSIL – CIN 2
HSIL – CIN 3
Flavio Cigna
Mammografia con distribuzione simmetrica dei suoi componenti
Distorsione parenchimale corredata di immagine ultrasonica
01/0
249
Calcificazioni
Noduli, discretamente regolare a destra, irregolare a sinistra
Noduli a margini irregolari
01/0
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I controlli nel 1990 (a sinistra) e nel 1991 (al centro) non erano
sufficientemente evocativi rispetto al dato del 1995 (a destra)
Vincenzo Costa (da: Boselli F. Testo-Atlante di Colposcopia)
Portio
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CIN 1
CIN 3
Ca in situ
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Ca microinvasivo
Ca invasivo
Renzo Ferraris
Polipo maligno
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253
Adenoma tubulare
Adenoma villoso della flessura splenica
Ca in situ
01/0
254
Adenocarcinoma del sigma
Adenocarcinoma del colon discendente
Gianpaolo Sacchetto
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255
01/0
256
Stampato in n. 2000 copie nel mese di agosto 2006
da AGA artigraficheassociate - Cuneo
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epidemiologia e prevenzione delle neoplasie