1 LORENZO ORIONE EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE DELLE NEOPLASIE Prolusione a cura di Ottavio Losano, Ezio Falco e Sergio Giraudo CONTRIBUTI SCIENTIFICI BARTOLOMEO ALLASIA - ALBERTO ATTUCCI ENRICA BADINO - GIANLUIGI BASSETTI ANNA MARIA CACCIATORE - GIOVANNI CERA FLAVIO CIGNA - VINCENZO COSTA ANDREA DOMESTICI - RENZO FERRARIS ANNA MARIA FOSSATI – ROSA MARIA LANTERMO PIERO OLIVIERI - ANGELO PELLEGRINO IVO RICCARDI – MONICA RIMONDOT - SAVINO ROGGIA GIANPAOLO SACCHETTO - FRANCESCA SALVATICO LUIGI SALVATICO - GIGLIOLA SERRATI CUNEO, 2006 01/0 2 01/0 3 01/0 INDICE Prolusione (Ottavio Losano, Ezio Falco, Sergio Giraudo) Introduzione (Lorenzo Orione) Epidemiologia e prevenzione delle neoplasie (Lorenzo Orione) pag. 11 Educazione sanitaria e prevenzione oncologica: il ruolo del medico di medicina generale (Bartolomeo Allasia) pag. 143 La presenza di cancerogeni negli alimenti di origine animale: aspetti di medicina veterinaria (Alberto Attucci) pag. 148 Rapporti epidemiologici tra nutrizione e neoplasie (Gianluigi Bassetti) pag. 162 Esposizione oncologica (Anna Maria Cacciatore) pag. 169 (Giovanni Cera, Gigliola Serrati) pag. 177 Il ruolo del radiologo nello screening mammografico (Flavio Cigna) pag. 182 L’esperienza del ginecologo nello screening citologico (Vincenzo Costa) pag. 189 professionale e malattia Il Servizio di Anatomia Patologica e lo screening cervico–vaginale: presente e futuro 4 01/0 L’acqua destinata al consumo umano come fattore di rischio oncologico (Andrea Domestici) pag. 194 Il gastroenterologo e lo screening del cancro del colon-retto (Renzo Ferraris) pag. 206 L’Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening: attività (Anna Maria Fossati) pag. 211 Il ruolo del citologo nella prevenzione dei tumori della cervice uterina (Rosa Maria Lantermo, Piero Olivieri) pag. 214 I rischi ambientali per la malattia neoplastica (Angelo Pellegrino, Ivo Riccardi) pag. 217 Gestione informatica dei programmi di screening (Monica Rimondot) pag. 229 Il ruolo della Farmacia nella prevenzione oncologica (Savino Roggia) pag. 230 La metodica nell’approccio mammario (Gianpaolo Sacchetto) pag. 236 (Francesca Salvatico, Enrica Badino, Luigi Salvatico) pag. 243 del linfonodo sentinella chirurgico al carcinoma Lo psicologo e lo screening oncologico Riferimenti iconografici pag. 247 5 Prolusione (a cura di Ottavio Losano, Ezio Falco e Sergio Giraudo) Con vero piacere presento questo testo, che è il frutto di un pregevole lavoro di aggiornamento scientifico e promozione della diffusione della cultura della prevenzione dei tumori realizzato dal Dott. Lorenzo Orione, responsabile dell’Unità di Valutazione ed Organizzazione degli Screening e Coordinatore di Prevenzione Serena per la provincia di Cuneo, che si è avvalso dei fondamentali contributi scientifici di numerosi autorevoli professionisti. La presente pubblicazione rappresenta un’importante opera di aggiornamento in tema di fattori di rischio per la popolazione e sulle metodiche di diagnosi precoce del cancro e contiene, tra l’altro, l’analisi del trend di mortalità per i diversi tipi di neoplasia relativamente alla “Provincia Granda”. Il tutto corredato da una pregevole ed aggiornata bibliografia di riferimento. Il testo vuol essere un utile strumento di aggiornamento e stimolo per tutti i professionisti coinvolti nella tutela della salute dei cittadini: in primo luogo per i medici di medicina generale (medici di famiglia) e per i medici ospedalieri, ma anche per altre figure sanitarie (infermieri, etc.) coinvolte nella prevenzione secondaria (diagnosi precoce), per i medici ed i veterinari dei Dipartimenti di Prevenzione coinvolti nella prevenzione primaria ed altresì per le diverse Associazioni (Lega Tumori, etc.). Un ringraziamento particolare va infine alla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, il cui munifico sostegno ha permesso la realizzazione di questo importante volume. Ottavio Losano Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle, Cuneo 01/0 6 Questo volume reca un prezioso contributo scientifico ad una migliore conoscenza del tema della prevenzione delle neoplasie. Si tratta di un tema centrale, in quanto attraverso la prevenzione è ora possibile conseguire risultati un tempo impensabili. Nuovi strumenti di conoscenza consentono di analizzare i contesti ambientali che stanno a monte della patologia, di monitorarne la cause, di impostare programmi di educazione sanitaria che rendano familiare a ciascuno la pratica di regolari controlli e di sane abitudini fisiche ed alimentari. Le neoplasie hanno avuto sinora costi umani ed economici troppo alti. È motivo di conforto che il progresso della tecnologia abbia messo a disposizione apparecchiature scientifiche sempre più efficaci per le terapie, ma è certo che una corretta prevenzione è la leva strategica per conseguire risultati importanti, con riferimento all’intera popolazione. Il ruolo del medico di medicina generale nella prevenzione, la patologia oncologica in rapporto alla nutrizione ed alle caratteristiche del lavoro, gli screening specialistici, i rischi ambientali, i compiti dello psicologo, sono tra i temi specifici trattati nelle pagine che seguono. La Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che considera il settore della sanità tra quelli prioritari nella destinazione dei propri interventi, ha ritenuto importante finanziare questo progetto editoriale e scientifico, che conferma una volta di più come, in questo campo, la nostra comunità disponga di strutture e di operatori di eccellenza. Ezio Falco Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo 01/0 7 Siamo stati tra i promotori e continuiamo ad essere fortemente convinti che, allo stato dell’arte, le armi vincenti contro il cancro sono la prevenzione primaria e l’anticipazione diagnostica. Per quanto si tratti di un concetto semplice, elementare, come la pulizia dei denti che è ormai diventato un comportamento quasi collettivo, la sua concreta realizzazione fatica a farsi strada. Certo, negli ultimi anni l’approccio responsabile alla diagnosi precoce è senza ombra di dubbio, cresciuto e, almeno a livello di comunicazione personale, sono pochissimi quelli che lo contrastano; ben diversa invece è la situazione reale e concreta: oltre il 50% degli italiani non fa nulla per difendersi dal cancro e gli uomini molto meno delle donne. Risulta che oltre il 60% in età a rischio, infatti, non è mai andato dallo specialista per un controllo della prostata, per non parlare dei controlli relativi al cancro colorettale, contro percentuali molto più basse, 32% delle donne, che non hanno mai eseguito un Pap test e/o una mammografia. Sono cifre che parlano da sole, quindi il lavoro è davvero tanto difficile. Nella battaglia contro il cancro non esistono confini. È una guerra, al pari di altri disastri ed altre calamità che affliggono l’umanità, che merita di essere affrontata in maniera globale. E mai, come nel caso della salute e della vita dei cittadini del mondo, possono esistere steccati, confini, dogane o barriere di qualsiasi natura. Non possono esserci sul fronte della prevenzione, non devono esistere nel campo della ricerca, tanto meno possono trovare giustificazione in quello delicatissimo dell’accesso alle cure ed ai farmaci in condizione di salvare o prolungare la vita. Questo è ciò che tutti dovremmo riconoscere come sana e virtuosa applicazione della globalizzazione. Vorremmo anche sottolineare come sia importante dimostrare la certezza diagnostica; determinante è il personale e le attrezzature idonee, che purtroppo sovente creano motivi di dubbi e producono disaffezione nella popolazione. Pertanto la sezione provinciale di Cuneo della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori è felicissima di identificarsi nel trattato “Epidemiologia e Prevenzione delle Neoplasie” che riteniamo importantissimo per dare a tutti motivi ed indirizzi utili a proseguire per raggiungere il sogno di sconfiggere il cancro. Ci complimentiamo con tutti coloro che hanno dato un forte contributo ed in particolare con il dottor Lorenzo Orione che ha seguito ogni passo di questa importante opera e saremo impegnati nella diffusione della stessa. Sergio Giraudo Presidente della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, sezione provinciale di Cuneo 01/0 8 Introduzione L’avvio alla stampa di questo approfondimento scientifico sui temi del rischio oncologico e dello screening dei tumori rappresenta la concreta testimonianza del riconoscimento del ruolo centrale che l’epidemiologia e la prevenzione rivestono nella cultura dell’evidence-based medicine, funzione che è stata colta con spirito lungimirante da parte del Dr Ottavio Losano, Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle e del Dr Ezio Falco, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che con munifico gesto ha reso possibile la realizzazione di questo libro. Contestualmente mi piace richiamare, con la stima di chi ne ha rilevato la grande passione civile, il Prof. Sergio Giraudo, Presidente della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori cuneese, insieme al quale lavoreremo sempre più al fine di sortire un effetto sovradditivo alle nostre azioni, nel convincimento assiomatico circa la dimensione prioritaria che deve rivestire la prevenzione del cancro. Un ringraziamento speciale va al Commissario dell’A.S.L. 15-16-17, Dr Stefano Silvano ed ai Direttori Generali dell’A.S.L. 18, Dr Giovanni Monchiero e dell’A.S.O. S. Croce e Carle, Dr Fulvio Moirano, nonché ai Direttori Sanitari Dr Corrado Bedogni, Dr Francesco Morabito, Dr Ottavio Losano; e Dr Giovanni Siciliano, Dr Corrado Rendo, Dr Flavio Boraso, Dr.ssa Alessandra Gallo, Dr.ssa Maria Cristina Frigeri, per la fiducia accordata al mio lavoro di Coordinatore del Dipartimento Oncologico. Desidero inoltre ricordare i responsabili dei Centri, Dr Mario Abrate, Dr Bartolomeo Allasia, Dr Gianluigi Bruno, Dr Piero Casalis, Dr Flavio Cigna, Dr Giovanni Cera, Dr Alberto Comino, Dr.ssa Patrizia Corradini, Dr Vincenzo Costa, Dr Paolo De Giuli, Dr Michele Lo Bello, Dr Michelangelo Mercuri, Dr Massimiliano Odaglia, Dr.ssa Grazia Ortoleva, Dr.ssa Graziella Romani e Dr Augusto Scarrone. Un pensiero va al personale della s.s. Epidemiologia - Unità Valutazione Organizzazione Screening, di cui sono Medico Responsabile, la Sig.ra Anna Maria Fossati, assistente sanitaria, alla quale peraltro ho affidato l’incombenza di estendere un contributo relativo agli aspetti organizzativi; la Sig.ra Monica Rimondot, perito informatico, alla quale ho lasciato l’incarico di stilare una relazione sulla gestione informatica; le infermiere, Sig.re Gemma Aimar, Mirella Bruna-Rosso e Irina Giuliano e le amministrative, Sig.re Stefania Vesuvio e Manuela Lovera. Desidero ricordare inoltre il Sig. Roberto Risso, che magistralmente gestisce l’anagrafe dello screening, nonché i direttori dei C.E.D. aziendali, Dr Riccardo Ortolano, Ing. Aldo Borgna, Dr Gianfranco Mina, Dr Fabrizio Viglino e Dr.ssa Chiara Farinelli. Richiamo in questa sede con piacere anche la Dr.ssa Maria Grazia Tomaciello, il Dr Giovanni Battista Fiducciosi, la Dr.ssa Francesca 01/0 9 Gota, la Dr.ssa Claudia Cucco, le Sig.re Marina Cavallo, Damiana Beraudo e Vanda Marchiò, per i tanti consigli pratici fornitimi in itinere. È poi gradito, citare i nomi degli operatori del nostro Dipartimento. Si tratta delle ostetriche, Sig.re Marina Battello, Milva Bertorello, Elisa Capra, Rosanna Chiabò, Vilma Chiari, Manuela Comino, Graziella Correnti, Bruna Cucchietti, Barbara Danna, Cinzia Demaria, Laura Falchi, Marisa Forneris, Liana Francione, Laura Gaier, Giuliana Ghigne, Lorena Isaia, Emilia Lazzarone, Rosangela Lo Strappo, Ivana Lugaro, Federica Maccario, Maria Grazia Marengo, Cinzia Marini, Serena Oliva, Lucia Smaldone, Maria Rosa Tecchioni e Luciana Zorzi; degli infermieri, Sigg. Laura Allemandi, Dr Stefano Barbieri, Vilma Botta e Lorella Miretti; dei dirigenti e dei tecnici di anatomia patologica, Sigg. Mirella Chiecchio, Marzia De Fano, Marina Dellaferrera, Dr.ssa Natalia Dogliani, Dr.ssa Luisa Ferrari, Fiorella Fessia, Dr Flavio Fraire, Franco Gomba, Celestina Mariano, Dr.ssa Maria Giovanna Milazzo, Giovanni Negro, Maria Lucente Nuzzo, Wilma Romagnolo, Veronica Rossi, Dr.ssa Maria Cristina Vivaldo, Dr.ssa Carla Zavattero e Dr.ssa Barbara Zingaro; delle tecniche di radiologia, Sig.re Caterina Bergia, Maria Teresa Bruno, Sonia Cerruti, Giovanna Chiappa, Stefania Dongiovanni, Federica Giordano, Valentina Guglielmi, Maria Longobardi, Livia Pomero, Paola Ramellini, Bruna Ravera, Lucia Riba, Daniela Righetto, Lucia Ruggiero e Maria Agnese Saglia; delle amministrative, Sig.re Vincenza Di Cianni e Paola Durando. E, per il prezioso ruolo svolto in tempi diversi, a n. Norma Bordignon, Silvana Barabino, Remo Bullio, Dr.ssa Irene Caterinaki, Zuma Reed, Tanino e Liliana Bruno, Proff. Bruno e Maria Olga Cicchetti, Prof. Sac. Alessandro Gallo, Mauro Traverso, Lucia Zingarello, Nicolaos Melas, Wolfhard Kahsler, Gianni ed Elsa Queirazza, Guido e Liliana Peira, Prof.ssa Lucia Poloniato, Prof. Pietro Crovari. E, nell’occasione, un caro pensiero ai miei Colleghi del Comitato di Etica ospedaliero e di riferimento territoriale provinciale. Ho considerato utile arricchire il mio lavoro con quello di una ventina di Esperti che hanno stilato i proprî pregevolissimi Contributi su specifici temi; è stato per me motivo di soddisfazione il constatarne l’entusiasmo, gradito lievito di una fruttifera dialettica scientifica, rispetto all’idea di condividere questa esperienza che trova forma concreta nella presente pubblicazione a stampa. I loro nomi sono rintracciabili a partire da pag. 143, nella sezione dei Contributi Scientifici. Ante quam omnia c’è, tuttavia, quello degli amici Dr Giovanni Siciliano, Dr Livio Prato e Dr.ssa Anna Maria Cacciatore, veri alfieri della cultura delle sinergie tra prevenzione primaria e prevenzione secondaria. Lorenzo Orione 01/0 10 Alla Famiglia, a mio padre, Comm. Cav. Uff. Marcello Orione e a mia madre Giancarla; a mia moglie, Gabry ed ai nostri adorati figli, Massimiliano e Marco ai quali, come sempre, vada … ma sapienza, amore e virtute Dante, Inf I 104 In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Io 1,1-3 Moderatio autemhuius appetitus pertinet ad virtutem studiositatis. Unde consequens est quod studiositas sit pars potentialis temperantiae. Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, Secunda Secundae, Q. CLXVI 01/0 11 EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE DELLE NEOPLASIE Lorenzo Orione Responsabile Unità Valutazione Organizzazione Screening e s.s. Epidemiologia, Coordinatore Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte Con l’Offitium perquirendi et exequendi expedientia circa conservationem sanitatis civitatis nostre Mediolani, Gian Galeazzo Visconti teneva a battesimo la Sanità Pubblica nella penisola italiana;1,2 le cautele onde tener lontana la peste che, da egli emanate, giungevano a Piacenza il 4 Gennajo 13993 prevedevano, tra l’altro: “Et primo quod nulla persona, sive veniat ad districtum Placentiae, sive proveniat aliunde, ipsam civitatem possit intrare, nisi manifeste cognoscatis talem personam non stetisse in parte morbosa, nec communicasse cum aliquibus personis infectis”.3 A distanza di sei secoli la medicina, che si confronta con le frontiere4 della terapia rigenerativa e dello Human Genome Project e che si proclama come evidence-based, appellandosi ai presupposti metodologici dell’epidemiologia5 afferma la centralità della prevenzione primaria e della diagnosi precoce in ambito oncologico.6 L’applicabilità dei principî della Medicina Preventiva presuppone la conoscenza dei fattori di rischio delle patologie. Questi, a loro volta, necessitano di una propria valutazione qualiquantitativa. Gli strumenti necessarî in tale analisi sono quelli proprî della metodologia epidemiologica.7 Metodologia epidemiologica La misura più utile a descrivere i fenomeni sanitarî è quella rappresentata dai tassi. Un tasso è una proporzione (rapporto comprendente il numeratore nel denominatore) che include la specificazione del tempo. I tassi di morbosità rientrano nei due, basilari, tassi di incidenza e di prevalenza. L’incidenza di una patologia è la proporzione tra i nuovi casi di patologia e la popolazione suscettibile di ammalare di tale patologia (popolazione media p1+p0/2), per una costante k, in un dato intervallo cronologico. Tale definizione, come si vedrà, rimanda agli studî longitudinali prospettivi. L’esclusione dal denominatore dei soggetti non suscettibili (es., nell’ambito delle malattie trasmissibili, degli ammalati, dei portatori, degli 01/0 12 immunizzati naturalmente o vaccinati) è una correzione generalmente omessa nelle grandi popolazioni. Per analisi su coorti dinamiche, che considerano periodi di osservazione disuguali dei soggetti (a causa di nuovi reclutamenti, perdite al follow up per trasferimento, drop out, morte), il denominatore considererà la somma dei singoli reali contributi (misura del tempo-persona di osservazione); per i casi, il computo cesserà al momento dell’insorgenza della patologia. Il numeratore dell’incidenza potrà riferirsi ai soggetti od agli eventi, se la patologia può reiterarsi; ciò va specificato. La prevalenza può essere puntuale o periodale; sensu strictu, non dovrebbe essere considerata un tasso, non rapportandosi ad un intervallo cronologico. La prevalenza puntuale mette infatti a proporzione i casi presenti in un istante e la popolazione totale in quell’istante, per k. La prevalenza periodale, analizzando un periodo, mette a proporzione i casi presenti nel periodo e la popolazione media (p1+p0/2), per k, nell’intervallo cronologico; essa sarà quindi pari alla somma della prevalenza puntuale all’inizio più l’incidenza nel periodo successivo. Tale definizione, come si vedrà, rimanda agli studî trasversali. Il denominatore non esclude i soggetti non suscettibili, in quanto il numeratore comprende tanto i nuovi che i vecchî casi. La prevalenza dipende (1) dall’incidenza in passato, (2) dalla durata della patologia; pertanto, le patologie cronicodegenerative, quali i tumori, tendono ad avere alta prevalenza. P approx. (I) (d) se I e d sono stabili, P = (I) (d) Qualunque tipo di tasso (natalità, mortalità, morbosità) può essere a sua volta grezzo, specifico o standardizzato. I tassi grezzi si riferiscono alla popolazione generale (es. tasso di mortalità = n. morti popolazione / popolazione media, per k, anno); quelli specifici si riferiscono ad un sottoinsieme della stessa (es. fascia d’età, sesso, territorio, patologia, ecc.); quelli standardizzati nascono dalla necessità di eliminare dai tassi grezzi di due popolazioni A e B da confrontare l’eventuale presenza di un effetto derivante da differenze nella composizione delle stesse per età, sesso, abitudini, razza, ecc. Infatti, se l’incidenza di una patologia privilegia una certa età (es. gli anziani), il tasso grezzo della malattia nella popolazione in cui è più rappresentata quell’età (es. quella meno giovane) è maggiore, ma ciò non dipenderà da una diversa esposizione ai fattori di rischio, bensì solo dalla struttura della popolazione. 01/0 13 I tassi standardizzati sono fittizî: servono solo a chiarire le situazioni nei confronti tra tassi grezzi: i tassi reali sono quelli grezzi di partenza. Nel confrontare tassi di incidenza e mortalità è comune metodo, in epidemiologia dei tumori, la standardizzazione.7 Esistono due procedimenti di standardizzazione dei tassi; entrambi presuppongono la disponibilità dei dati di una popolazione terza S, standard, modello (es. europeo) di distribuzione. Nella standardizzazione diretta si applicano i tassi (es. mortalità) specifici (es. per fascia d’età) di A al numero di soggetti delle corrispondenti fasce d’età di S; in tal modo sono ottenuti i numeri di morti attesi per ogni fascia di S che, sommati, forniscono il numero di morti attesi in S se essa avesse in ogni fascia d’età il tasso di mortalità osservato nella corrispondente fascia di A; dividendo per il numero totale dei soggetti di S, si ottiene il tasso standardizzato di A. Procedendo analogamente nei confronti della popolazione B, si ottiene il tasso standardizzato di B. Quindi è possibile confrontare i due tassi standardizzati. Ove non siano disponibili i tassi specifici di A e B o se, ancor disponibili, siano derivati da numerosità piccole e pertanto instabili, si applica il metodo indiretto. Nella standardizzazione indiretta si applicano i tassi (es. mortalità) specifici (es. per fascia d’età) di S al numero di soggetti delle corrispondenti fasce d’età di A; in tal modo sono ottenuti i numeri di morti attesi per ogni fascia di A che, sommati, forniscono il numero di morti attesi in A se essa avesse in ogni fascia d’età il tasso di mortalità osservato nella corrispondente fascia di S; avendo a disposizione il numero di morti osservati in A, si calcola il rapporto standardizzato di mortalità (SMR): SMR = n. morti osservati in A / n. morti attesi in A. Se SMR<1 v’è una sottomortalità rispetto al modello standard (es. SMR = 0.92, esprime una sottomortalità dell’8%); se SMR>1 v’è una sovramortalità rispetto al modello standard (es. SMR = 1.16, esprime una sovramortalità del 16%). L’SMR va moltiplicato per il tasso grezzo della popolazione S al fine di ottenere il tasso standardizzato di A. Procedendo analogamente nei confronti della popolazione B, si ottiene il tasso standardizzato di B. Quindi è possibile confrontare i due tassi standardizzati. Il proportionate mortality ratio (= n. morti per causa / totale morti, per k, anno) non è invece un tasso, derivando il denominatore dai morti e non dalla popolazione. Gli studî epidemiologici possono venire schematicamente classificati secondo sei disegni, connotati da un progressivo aumento della capacità di dimostrare la presenza di associazioni causali. Infatti, un obiettivo primario dell’epidemiologia risiede nella ricerca nelle cause (rerum cognoscere causas) delle malattie, attraverso la ricerca di 01/0 14 inferenze causali basate su osservazioni e su esperimenti.7,8 Hill propose, in tal senso, una lista di nove criterî: forza, consistenza, specificità, temporalità, gradiente, plausibilità, coerenza, evidenza sperimentale, analogia.7 Il modello più semplice è quello degli studî descrittivi (osservazionali), che attuano un monitoraggio di misure di incidenza, prevalenza o mortalità. Questi studiano un fenomeno sulla base della descrizione delle caratteristiche dei soggetti (sesso, età, etnia, istruzione, reddito, residenza, stato civile, professione, ecc.), dello spazio (geografia fisica, geografia politica) e del tempo (trend secolare, modificazioni cicliche, modificazioni a breve termine quali le curve epidemiche per epidemie da sorgente comune o propagate): si tratta, generalmente, di approccî iniziali, che servono a formulare ipotesi di partenza. Si hanno poi gli studî analitici (osservazionali), a loro volta suddivisibili in ecologici, trasversali, longitudinali retrospettivi e longitudinali prospettivi. Nei primi l’unità di analisi è rappresentata da gruppi di soggetti, negli altri tre dai soggetti individuali. Gli studî ecologici usano gruppi di soggetti quali unità di analisi; sono di semplice utilizzo, ma consentono di estrapolare al singolo soggetto i risultati osservati nel gruppo solo se la dispersione delle misure di esposizione nel gruppo stesso è bassa, per cui la misura possa riflettere ragionevolmente l’esposizione individuale. Gli studî trasversali (di prevalenza, surveys), valutando simultaneamente il fattore di rischio e la patologia, non sono in grado di fornire informazioni circa il nesso di causalità. Gli studî longitudinali retrospettivi (caso-controllo) partono dalla disponibilità di casi di malattia (casi); a questi vengono associati dei soggetti sani (controlli). Grazie ad essi si opera una valutazione retrospettiva della frequenza dell’esposizione al fattore di rischio in entrambi i gruppi dei casi e dei controlli. Dall’analisi dell’associazione tra condizione di partenza di malattia o meno ed esposizione al fattore di rischio o meno, emergeranno quattro gruppi di soggetti: malati esposti, malati non esposti, sani esposti, sani non esposti. Mancando il denominatore della reale popolazione esposta da cui derivano i casi disponibili, non si è in grado di fornire altro che una stima del rischio relativo (odds ratio, OR), dove: OR = (casi esposti) (controlli non esposti) / (casi non e.) (controlli e.). Si richiama il fatto che i casi vanno scelti tra quelli incidenti (inclusi i deceduti), non tra quelli prevalenti, che rappresentano una selezione degli incidenti che esclude quelli a breve decorso e quelli morti. I controlli, come i casi, devono essere rappresentativi della popolazione ed avere la stessa opportunità di esposizione al fattore di rischio dei casi (sarà compito 01/0 15 dello studio dimostrare se essa sia stata diversa); saranno stabiliti 1, 2, talvolta 3 controlli per ciascun caso, di stessa area, età, sesso. Variabili di confondimento (es. età) possono associarsi casualmente tanto al fattore di rischio che alla malattia: a ciò si ovvia con il matching, selezionando controlli simili ai rispettivi casi per una data caratteristica (es. età): chiaramente, non sarà più evidenziabile un eventuale nesso causale per tale caratteristica (es. matching per razza nello studio del melanoma maligno). Il matched OR mette a rapporto le coppie discordanti, costituite da casi esposti associati a controlli non esposti, rispetto a casi non esposti associati a controlli esposti. Gli studî caso-controllo sono meno costosi, più rapidi e risultano adatti all’analisi delle patologie rare (disponibilità di pochi casi); di converso, forniscono solo la stima del rischio relativo e possono essere afflitti da una varietà di errore sistematico detta bias di informazione (over-reporting dei casi rispetto ai controlli, under-reporting dei parenti dei deceduti ed in generale in funzione del tempo trascorso dall’esposizione). Gli studî caso-controllo possono essere: (a) “case-based” (ed allora tanto i casi che i controlli sono selezionati ad un dato istante, es. alla fine di un follow up); (b) “entro coorti definite”, a loro volta subdistinguibili in “case-cohort”, in cui i casi sono definiti entro una coorte ben individuata ed i controlli dalla coorte di partenza, oppure “nested”, in cui vige lo stesso criterio per i casi, mentre i controlli sono scelti tra i soggetti a rischio al momento dell’insorgenza dei casi; in questi studî è possibile che un soggetto scelto come controllo diventi poi un caso. La disponibilità di coorti ha reso sempre più frequenti gli studî “entro coorti definite”.9 Gli studî longitudinali prospettivi (di coorte) partono dall’esposizione o meno al fattore di rischio in soggetti sani (suscettibili alla malattia). Grazie ad essi si opera una valutazione prospettiva dell’incidenza della malattia nelle due coorti, degli esposti e dei non esposti. Dall’analisi dell’associazione nel tempo tra l’esposizione al fattore di rischio e l’insorgenza della malattia (incidenza) emergeranno quattro gruppi di soggetti: esposti malati, esposti sani, non esposti malati, non esposti sani. In tal modo viene introdotto il concetto di rischio. Rischio assoluto (RA) è l’incidenza osservata; quindi, RA negli esposti è l’incidenza negli esposti, RA nei non esposti è l’incidenza nei non esposti. Rischio relativo (RR) è il rapporto RA esposti / RA non esposti; è misura del rapporto di grandezza del rischio negli esposti rispetto ai non esposti. Rischio attribuibile (Ra) è la differenza RA esposti - RA non esposti; è misura della parte attribuibile all’esposizione a quel dato fattore di rischio nell’insorgenza della patologia nella coorte degli esposti. Si richiama il fatto che gli esposti devono essere rappresentativi della popolazione degli esposti e che i non esposti devono essere rappresentativi della popolazione dei non esposti. Gli studî di coorte consentono pertanto 01/0 16 la misura diretta del rischio e risultano adatti all’analisi dell’esposizione a fattori di rischio rari; di converso, sono più costosi, presentano la possibilità di perdere dei soggetti al follow up e, per malattie a bassa incidenza, necessitano di coorti numerose; non sono particolarmente adatti per le patologie che si manifestano in tempi molto lunghi dall’esposizione e per tali ragioni i disegni impiegati in epidemiologia dei tumori sono prevalentemente quelli caso-controllo.9 Esiste la possibilità di attuare studî prospettivi “storici”, previa identificazione di coorti storiche sulla base di fonti di dati, per valutarne l’incidenza nel tempo. Gli studî sperimentali possono svolgersi tanto in ambito preventivo che in ambito terapeutico. A partire da un’ipotesi di partenza e dall’estensione di un protocollo di studio è necessario stabilire un dimensionamento del campione (sample size), che tenga conto di noncompliance e di perdita al follow up dei soggetti, per identificare la popolazione sperimentale. Si osservi come la volontarietà implichi una varietà di errore sistematico detta bias di selezione, posto che i non partecipanti (per ragioni legate alla privacy, impegno di tempo, previsione di raccolta di campioni biologici, ecc.), differiscano dai partecipanti per qualche variabile correlata allo studio (classico esempio è l’adesione alla sperimentazione di un vaccino contro una patologia a trasmissione fecorale, che può essere minore in soggetti di per se meno attenti agli stardard igienico sanitarî). Le sperimentazioni potranno essere non controllate, controllate non randomizzate o controllate e randomizzate (randomised controlled trials, RCTs). Nelle sperimentazioni non controllate la terapia sperimentale è proposta a tutti i pazienti; la valutazione dell’efficacia si basa sul confronto con una nozione generale di prognosi, mancando il gruppo di controllo (l’assunzione di un “valore medio” della prognosi determina un’imprecisione; inoltre, l’effetto placebo distorce in senso falsamente positivo). Risultano utili nei seguenti casi: per malattie a decorso invariabilmente fatale, per terapie di ragionevolissima efficacia o presupposti fisiopatologici e farmacologici tali da rendere credibili i risultati favorevoli, per malattie rarissime, che non permettano un RCT neppure multicentrico, in assenza di terapie alternative utilizzabili. Nelle sperimentazioni controllate non randomizzate, l’assegnazione al trattamento sperimentale od a quello standard/placebo avviene alternativamente, oppure in base al criterio di giorno pari/dispari di ricovero, oppure -se si ha tale fiducia da non ritenere etico privare alcuno della terapia sperimentale- si trattano tutti e come controllo si impiegano banche dati storiche con terapia standard (limitazione dovuta alle variazioni nel tempo dei criteri diagnostici / classificativi). La valutazione 01/0 17 dell’efficacia si basa sul confronto, ma l’incerta comparabilità ne rappresenta un limite. Nei trials randomizzati controllati, RCTs, per minimizzare l’errore, le sperimentazioni (essenzialmente di fase 3) sono condotte con protocollo randomizzato controllato: l’evidence-based medicine ammette l’impiego di RCTs o di metanalisi di più RCTs condotti sullo stesso trattamento. Definiti i criterî di inclusione/esclusione, si attua la randomizzazione dei soggetti (per ottenere l’equidistribuzione delle caratteristiche prognostiche) nel braccio sperimentale e nel braccio di controllo: l’unica variabile influente sul risultato resta quindi l’eventuale differenza di efficacia dell’intervento. La cecità, volta a contrastare la possibilità di introdurre un bias di informazione, è necessaria quando si impiegano criterî di valutazione soggettivi (quali intensità del dolore, impotenza funzionale, tono dell’umore): essa potrà essere singola, doppia, tripla. L’utilizzo del placebo è eticamente accettabile se per il braccio di controllo non è disponibile una terapia efficace. In termini generali si ricorda inoltre come qualunque operazione di inferenza statistica dei dati osservati nel campione (“universo in miniatura”) all’universo della popolazione sia afflitta, pur in assenza di errori sistematici (bias), da un errore di campionamento, fisiologicamente dovuto alla variabilità biologica nei campioni. L’entità dell’errore di campionamento è tuttavia esattamente prevedibile in termini probabilistici grazie alla definizione dell’intervallo fiduciale, o di confidenza, ambito di valori che si dilata intorno al valore medio riscontrato nel campione, entro cui verrà a trovarsi con una data probabilità fiduciale il valore vero (valore dell’universo). L’intervallo di confidenza dipende dall’errore standard, a sua volta (errore standard di una media) direttamente proporzionale alla deviazione standard, s, che è misura della dispersione dei valori delle singole osservazioni intorno al valore medio del campione, (s è pari alla radice quadrata della sommatoria dei quadrati degli scarti dei valori osservati nel campione rispetto al valore medio del campione, divisa per i gradi di libertà n-1) ed inversamente proporzionale alla radice quadrata della numerosità campionaria (sample size); l’intervallo di confidenza risulterà inoltre tanto più ampio quanto maggiormente si sia esigenti in termini di probabilità fiduciale. Tali considerazioni sono peraltro molto facili da comprendere anche intuitivamente. La probabilità fiduciale rappresenta il rischio di errore che arbitrariamente viene assunto affermando come significativa una differenza osservata (cd. errore di tipo I, od alfa); ad es. data una probabilità fiduciale p=0.05, il rischio prestabilito di sbagliare nella conclusione circa la significatività della differenza corrisponde a 1 volta ogni 20 (95%). Con p=0.01 ad 1 01/0 18 volta su 100 (99%). I due limiti dell’intervallo di confidenza saranno quello inferiore (lcl) e quello superiore (ucl). Si richiama il fatto che la deviazione standard assume un preciso significato geometrico nell’ambito della distribuzione normale, o gaussiana, delle variabili biologiche; essa corrisponde alla distanza fra il valore della media e l’intersezione sull’asse delle ascisse della retta tangente al punto di flesso della curva gaussiana. Su tali basi è pertanto introducibile il concetto di integrale di probabilità, quale area sottesa alla curva a destra e a sinistra della media rispetto al valore di 1, 2, 3 deviazioni standard, ove si raccoglie rispettivamente il 68.26%, il 95.40% ed il 99.75% delle osservazioni del campione (il 95% si raccoglie tra +/1.96 s). Ipotizzando diverse pendenze della retta tangente, dipendenti da curve gaussiane diversamente appiattite a causa di maggiori dispersioni dei dati osservati, risulta agevolmente intuibile la funzione descrittiva di s rispetto al grado di dispersione dei dati entro il campione. Si richiama inoltre il fatto che la significatività delle differenze osservate nei risultati in due campioni, e cioè l’assenza di una differenza imputabile esclusivamente alla casualità (e pertanto da ricondurre all’errore di campionamento), verrà esplorata con tecniche quali il metodo di Fisher ed il chi-quadro per le frequenze di variabili qualitative ed il t di Student e l’analisi della varianza per le medie di variabili quantitative; per tali aspetti, così come per concetti quali correlazione e regressione, si rimanda a trattazioni specifiche.8 L’interpretazione dei risultati degli studî epidemiologici deve essere sottoposta a tali criterî probabilistici. Il criterio di causalità nell’associazione tra fattore di rischio e patologia (e viceversa) non può limitarsi ad una semplice constatazione di un valore superiore all’unità (es. OR=2,5 o RR=3) ma deve considerare l’intervallo di confidenza per una data probabilità fiduciale (es. p=0.05); solo se 1 non è compreso nel range tra i due limiti fiduciali si potrà sostenere la significatività dell’associazione espressa da quell’OR o da quell’RR.9 Al di là dei descritti errori sistematici (biases) va ricordata la possibile presenza di un confondimento, nelle situazioni in cui l’associazione tra i fattori di rischio e la patologia è influenzata da una terza variabile, che si associa tanto all’esposizione che alla malattia (es. in uno studio casocontrollo sul carcinoma broncogeno, l’OR per l’esposizione ad etanolo è 2,5; ciò starebbe a significare che l’alcol aumenta il rischio di cancro del polmone; se tuttavia si calcolano gli OR in due strati –fumatori e non fumatori- si ottengono due OR=1, il che depone per il fatto che, associandosi indipendentemente tanto all’alcol che al tumore, il fumo agisce da confondente). Nel caso nella presenza di più variabili di confondimento sarà necessario utilizzare modelli statistici multivariati per 01/0 19 le analisi stratificate (caso, ad esempio, delle neoplasie che presentano etiologia multifattoriale). Ad esempio, si consideri come soggetti caratterizzati da elevato consumo di frutta e vegetali siano probabilmente più adusi anche ad altri stili di vita favorevoli in senso preventivo oncologico, quali regolare attività fisica, uso di supplementi multivitaminici, minori abitudini al fumo ed all’alcol, minor consumo di carni rosse. Allorchè, attraverso l’applicazione di uno studio epidemiologico, tenendo conto dell’eventuale influenza di caratteristiche di struttura della popolazione (v. standardizzazione dei tassi) e dei principî della significatività statistica, si sia pervenuti ad evidenziare un’associazione tra un fattore di rischio e l’insorgenza di una patologia, occorre tenere ben presente che essa può risultare di tre tipi: causale, spuria ed indiretta.7 Causale è l’associazione che soddisfa i citati nove criterî di Hill (causa dicesi l’antecedente invariabile di un fenomeno). Un’associazione spuria rimanda ai concetti di errore di campionamento, e quindi alla variabilità biologica ed all’errore di tipo I, nonchè al bias, od errore sistematico, che può essere insito nel disegno dello studio, può essere di selezione oppure di informazione. L’associazione indiretta dipende da una sottostante condizione comune, per cui un certo fattore (in verità non di rischio) ed una patologia sono associati solo in quanto entrambi correlati ad una comune condizione sottostante. In realtà qualsiasi relazione è probabile sia oscurata da un gran numero di variabili di confondimento. Quanto detto a proposito del consumo di frutta e vegetali, con i confondenti possibili, dimostra come possano osservarsi associazioni indirette nello studio del rapporto tra l’alimentazione ed il cancro.11 Patologia generale La caratteristica fondamentale del cancro è la crescita cellulare incontrollata.12 Anche se i geni espressi dall’uomo nel corso della vita sono stimati in 30000-40000, in ogni istante sono ne operanti circa 4000: solo una piccola quota di essi è suscettibile ai fattori cancerogeni e si tratta di quelli le cui proteine entrano nel controllo di proliferazione, differenziazione o apoptosi cellulare.12 Le neoplasie rappresentano una classica varietà di patologico accrescimento,13 così come l’ipertrofia e l’iperplasia. Esse consistono in una neo-formazione di tessuto, con presenza di cellule atipiche ed accrescimento autonomo, afinalistico, progressivo.13 Si tratta quindi di proliferazioni cellulari, in cui la cui tipica perdita dei normali controlli 01/0 20 01/0 biologici porta a crescita sregolata, mancanza di differenziazione, invasione dei tessuti circostanti e metastasi. Un tumore maligno può svilupparsi in ogni tessuto, in ogni organo e a qualunque età. Lo schema di seguito riportato esemplifica i processi che, a partire dalla cellula normale, conducono alla cellula trasformata maligna.13 cellula normale Iperplasia / Rigenerazione Sdifferenziazione a cellula embrionale totipotente cellula sdifferenziata Metaplasia M. epitelio rivestimento batiprismatico a pavimentoso corneificato (cheratinizzazione vie respiratorie irritate) M. epitelio rivestimento pavimentoso a pavimentoso corneificato (cheratinizzazione, leucoplasia os, cervice) Atipie Anaplasia (malignità) Momento fondamentale di tale processo è rappresentato dalla comparsa delle atipie.13 Queste, per semplicità, possono essere considerate a livello morfologico, biochimico e funzionale.13 Le atipie morfologiche potranno a loro volta osservarsi a livello tissutale, cellulare o subcellulare. Quelle tissutali consistono, ad esempio, nella perdita della demarcazione tra parenchima e stroma, nella perforazione della membrana basale e nella conseguente invasione in uno dei due sensi, a seconda della natura carcinomatosa o sarcomatosa della neoplasia. 21 Quelle cellulari sono rappresentate, ad esempio, dal polimorfismo delle cellule tumorali, come si rileva ad esempio nei sarcomi a cellule nane o nelle cellule giganti di Sternberg del linfoma di Hodgkin. Infine, le atipie subcellulari possono riguardare praticamente ogni componente della cellula. Rispetto al nucleo, sono distinguibili anomalie osservabili durante il periodo tra le mitosi ed altre visibili solo nel corso della divisione cellulare. Il nucleo intermitotico, come si vedrà trattando della sintesi proteica, manifesta rilevanti irregolarità quali incisure, talvolta plurilobature, talvolta polinuclearità, aumento del contenuto di DNA e cromatina, aumento del volume e del numero dei nucleoli. Il nucleo in mitosi offre la visione di cromosomi di forma anomala, aneuploidia, diploidia, poliploidia, aumento della frequenza delle mitosi ed anomalie ad esse correlate, quali endomitosi senza lisi del nucleolemma, assenza del fuso mitotico o presenza di fusi mitotici plurimi, mancanza di fasi della normale mitosi, ecc. Le anomalie possono essere numeriche,14 legate a non disgiunzioni, con frequenti monosomie o trisomie, o strutturali dei cromosomi,14 specialmente in siti preferenziali; talvolta traslocazioni portano a prodotti di fusione o variazioni nella regolazione genica che hanno conseguenze dirette sulla proliferazione cellulare, escape dall’arresto nel ciclo cellulare o rispetto all’apoptosi,14 influenzando probabilmente anche regioni cromosomiche vicine.14 Le anomalie strutturali consistono in14 traslocazioni reciproche (con prodotti genici di fusione o attivazione di oncogeni), delezioni (frequenti), inversioni e formazione di isocromosomi; molto importanti le cosiddette amplificazioni geniche, regioni bandeggiate atipicamente, come in certi oncogeni (v. oltre, c-myc, N-myc, HER-2/neu).14 Le alterazioni cromosomiche per delezioni, traslocazioni, conferiscono alla cellula neoplastica un vantaggio proliferativo rispetto alle cellule normali. Alcuni esempî, leucemia mieloide cronica (LMC) leucemia promielocitica acuta LMNH adenocarcinoma colon melanoma maligno t=traslocazione -=delezione inv=inversione p=braccio corto (“petit”) q=braccio lungo t(9;22) t(15;17) t(14;18), t(11;14) 17q-, 18p6q- o inv6 01/0 22 Caratteristico risulta l’aumento delle dimensioni del nucleo e la tendenza all’inversione del rapporto nucleo / citoplasma. Non tutte le variazioni cromosomiche sono patologiche: talvolta si osservano polimorfismi, accumuli di DNA eterocromatico privi di significato patologico.14 Nell’esame di un campione le cellule neoplastiche sono frammiste a quelle normali, la qual cosa può complicare l’analisi. 14 La figura di seguito riportata richiama schematicamente il succedersi delle fasi del ciclo cellulare. S G2 M G1 G1 Interfase: periodo che precede la sintesi del DNA (ha durata non fissa: 25 ore per le cellule labili, come quelle del midollo osseo emopoietico e degli epitelî di rivestimento; molto lunga per le cellule stabili, come gli epatociti che si moltiplicano allorchè lesionati; corrispondente alla vita umana, per cui si parla di fase “G0“, per le cellule perenni, rappresentate ad esempio dai neuroni e dalle fibre muscolari).15 S Interfase: sintesi del DNA (generalmente ha durata di 2-4 ore). G2 Interfase: periodo che segue la sintesi del DNA (generalmente ha durata di 2-4 ore), con DNA tetraploide. M Mitosi (ha durata di 1-2 ore). Durante le fasi silenti G (“gap”) si verifica l’integrazione del gran numero di informazioni esterne ed interne alla cellula per il passaggio alle fasi successive.16 Nelle neoplasie le cellule, rispetto a quelle normali, (1) si trovano in minor percentuale in fase G0 e (2) hanno un tempo di generazione (tempo impiegato dalla cellula per duplicarsi) più breve. Le atipie subcellulari riguardo al citoplasma sono correlate in modo particolare alla sintesi proteica; si osserva l’aumento dei ribosomi/ergastoplasma, l’aumento della basofilia ialoplasmatica (per la ricchezza di RNA), la diminuzione dei mitocondri (con relativo deficit della fosforilazione ossidativa) e dei lisosomi, il possibile aumento dell’apparato di Golgi; l’impoverimento di maculae e zonulae del plasmalemma, dispositivi di adesione intercellulare, con un ipotetico ruolo nel meccanismo delle metastasi.13 Allo stesso modo si ritiene giochino un ruolo molto importante i recettori del plasmalemma implicati nelle interazioni cellulari (integrine, CD44).17 La CD44 è una glicoproteina transmembranaria, alti livelli di espressione 01/0 23 della quale correlano con prognosi peggiore (probabile ruolo in metastasi).17 Queste presentano siti di legame per varie molecole della matrice extracellulare che, attraverso l’attivazione diretta o indiretta, mediata dall’induzione dell’autofosforilazione su Tyr 397 kinasi (FAK), promuovono il legame con alcune (note) proteine cellulari in un complesso che (1) si connette col citoscheletro e (2) attiva una cascata di segnali volti alla costituzione di un fenotipo di invasione; in effetti il legame col citoscheletro determina assemblaggi dello stesso, contrazione dei filamenti di actina, ed esita in una propulsione della cellula neoplastica. Questa avviene con la perforazione della membrana basale e la progressione nel connettivo della matrice interstiziale grazie alla sintesi e liberazione di collagenasi18 ed in genere di proteasi, specialmente metalloproteinasi della matrice.17 Anche gli eventi intracellulari, possono a loro volta modulare l’affinità del legame tra le integrine e le molecole della matrice.17 Circa le atipie di natura biochimica,13 si richiamano l’aumento dell’acqua, la diminuzione del Ca++ extracellulare (con un ipotizzato ruolo nella diminuzione dell’adesività intercellulare), le alterazioni nel contenuto delle diverse classi delle macromolecole organiche, quali i glucidi (es. il glicogeno aumenta nelle leucemie linfatiche e diminuisce nell’epatocarcinoma), i lipidi (es. la lipoperossidazione consuma gli acidi grassi) e le proteine (es. la carenza di alcuni polipeptidi). Si verifica un aumento della glicolisi, anche in condizioni di aerobiosi, con conseguente accumulo di acido lattico; in relazione alle citate anomalie dei mitocondri si ha l’aumento del contenuto di ADP e di fosfati inorganici ialoplasmatici. Potente è l’aumento della proteosintesi (il cancro rappresenta una trappola per l’azoto ematico, con azione spoliatrice sul metabolismo per utilizzo dell’azoto derivato dagli alimenti e dal catabolismo proteico tissutale), con impiego di ATP che fino al 60% deriva dalla glicolisi. Ovvio, l’incremento dell’anabolismo degli acidi nucleici.13 Pare utile richiamare il fatto che il supporto di ossigeno e nutrienti per la neoplasia all’inizio è garantito dalla diffusione diretta dalla circolazione ematica; a partire19 da un diametro di 0.5 mm, invece, dalla sintesi di un fattore angiogenico tumorale che, legandosi a recettori degli endoteliociti ed agendo sul microambiente (compresi periciti e fibrocellule muscolari lisce), promuove la formazione di un supporto vascolare indipendente.18 Il processo inizia con la degradazione della membrana basale pericapillare, seguita dall’invasione dello stroma da parte degli endoteliociti che, moltiplicandosi, si organizzano in una rete vascolare. Contestualmente si ha la proliferazione di cellule endoteliali progenitrici circolanti a partenza dal midollo osseo.19 01/0 24 L’angiogenesi, così come l’invasione e le metastasi, si basa su controlli genetici distinti da quelli che hanno indotto la comparsa del fenotipo canceroso.12 Infine, le atipie funzionali13 richiamano diversi aspetti, come la crescita dimensionale. Le cellule tumorali presentano un vantaggio selettivo rispetto a quelle normali; in quest’ottica, la progressione neoplastica è riconducibile al concetto di selezione darwiniana.17 È stato osservato che le mutazioni necessarie alla formazione del tumore risultano numericamente assai inferiori rispetto a quelle complessivamente documentate nei tumori umani, il che depone per il ruolo di pochi (da 4 a 7) eventi mutazionali stocastici che, insieme ai difetti riparativi, sono alla base del conferimento dell’instabilità genetica (“genetic instability”). Questa si caratterizza per le citate variazioni genetiche, genomiche e cromosomiche, che stanno alla base della progressione e dell’eterogeneità della neoplasia,17 con il conferimento delle autonomie di crescita, elusione dell’apoptosi, angiogenesi, invasione tissutale (acquisizione del fenotipo invasivo) e metastasi (acquisizione della competenza metastatica):17 le metastasi avvengono a partire da una sottopopolazione di cellule altamente aggressive (clone) entro il tumore primario. L’impiego dei cDNA microarrays ha permesso di evidenziare la notevole somiglianza del profilo di espressione genica tra il tumore primitivo e le proprie metastasi, molto superiore a quello riscontrabile tra stesso tipo di tumore in pazienti diversi.20,21 Il distacco di cellule tumorali nel sangue venoso avviene quasi fin dall’inizio, tanto che un tumore dal diametro di 10 mm è in grado di liberare18 oltre 106 cellule/24 h; in generale il numero di cellule metastatiche circolanti è correlato alle dimensioni ed all’età del tumore primitivo. Le cellule metastatiche muoiono quasi sempre a seguito di traumi intravascolari, ma soprattutto in quanto esse rappresentanto una popolazione apoptotica:22 la probabilità di riuscita di una metastasi a distanza18 è inferiore a 1/106 e si verifica solo a seguito della descritta acquisizione genetica di competenza metastatica. In modelli animali, delle cellule fuoriuscite dai vasi solo 1:40 forma micrometastasi e solo 1:100 si espande a macrometastasi.17 La cascata metastatica17 prevede il susseguirsi di fasi che, (1) dalla trasformazione, prevedono (2) l’angiogenesi, (3) la mobilità e l’invasione ai capillari, alle venule ed ai linfatici, (4) la circolazione, (5) l’arresto nei letti capillari, (6) l’aderenza all’endotelio, (7) la migrazione –cell motilitynel parenchima extravascolare, (8) la risposta al nuovo microambiente con la proliferazione cellulare e l’angiogenesi. A loro volta i tumori metastatici possono generare ulteriori metastasi. 01/0 25 01/0 Le metastasi possono13 essere, secondo la via di propagazione: linfatiche (con intensa reazione a partire dai centri germinativi dei linfonodi); ematiche, a loro volta distinguibili in: (1) tipo portale, dal distretto della vena porta al fegato, (2) tipo vene cave, ai polmoni, (3) tipo polmone, a qualsiasi organo; canalicolari (es. lungo dotti escretori ghiandolari, o dai bronchi al polmone); endocavitarie (es. cancro di Krukenberg, metastasi gastriche all’ovaio; o dal polmone alla pleura viscerale, parietale e quindi all’addome). Casi particolari riguardano regioni topograficamente interessate da anastomosi vasali (es. ampolla rettale e canale anale, dove i plessi emorroidarî superiore, medio ed inferiore risultano tributarî, a partire dal medio, dei distretti portale e cavale inferiore). Un ruolo importante è poi svolto da particolari organotropismi (es. metastasi ossee frequenti nei cancri di mammella, prostata, tiroide). È interessante infine ricordare il basso organotropismo alle metastasi del tessuto muscolare, legato alle contrazioni disfacilitantine l’attecchimento, e del sistema reticolo endoteliale (rare le metastasi nella milza).13 Le metastasi dei carcinomi sono frequentemente linfatiche (ricchezza di vasi linfatici nella lamina propria dei tessuti epiteliali), quelle dei sarcomi frequentemente ematiche (ricchezza di vasi ematici nello stroma connettivale). Detto ciò, può risultare utile schematizzare la storia naturale dei tumori;23 una popolazione corrispondente a 1010 cellule equivale a 10 g di tumore (cancro “visibile”); 1012 cellule corrispondono a 1 kg di tumore. death palliation 1012 visible 1010 n. of cancer cells cancer cell resistance / patient intolerance add systemic chemotherapy for occult micrometastases nonvisible local treatment: successful prior to metastatic spread time L’intervento sul tumore può sortire diversi risultati, come rappresentato nella precedente figura. 26 Etiologia, fattori di rischio, patogenesi Il cancro è in origine una malattia del genoma, in cui la progressione dalla cellula normale al tumore invasivo si verifica in un periodo di 5-20 anni.12 La cancerogenesi (multistep carcinogenesis)24 è un processo che si sviluppa attraverso il momento dell’iniziazione (initiation) e quello, successivo, della promozione (promotion). L’iniziazione comporta la comparsa di modificazioni a carico del DNA.14,24 Esse possono essere costituzionali, capaci di indurre il cancro, come la delezione, autosomica dominante, a carico del gene Rb sul cromosoma 13, all’origine del 40% dei retinoblastomi,14,25 oppure acquisite. Queste ultime, molto più importanti, consisteranno in un danno del DNA che potrà dipendere da risk factors ambientali di natura fisica, chimica o biologica. Circa la suscettibilità genetica, geni ad alta penetranza responsabili di cancri familiari rappresentano circa l’1-5% dei casi.26,27 I comuni cancri sporadici sono legati a geni a bassa penetranza, rispetto ai quali giocano un ruolo varianti genetiche (polimorfismo genetico): es. per il tumore del polmone il gene per la glutatione S-transferasi M1 –ruolo sulla detossificazione- rispetto agli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), per i tumori della mammella e del polmone il gene per il citocromo P 450 1A1 (CYP1A1) –ruolo sull’attivazione metabolica- sempre rispetto agli IPA, per quello della mammella il gene CYP17 –ruolo sull’attivazione metabolica- rispetto agli estrogeni, ecc.26 Il polimorfismo genetico risulta alla base del fatto che, ad esempio, non tutti i fumatori svilupperanno un carcinoma broncogeno. A seguire vengono schematicamente trattati i più noti fattori di rischio (risk factors) ambientali, con i rispettivi riferimenti alla considerazione che agli stessi viene riservata dall’International Agency for Research on Cancer (IARC). L’effetto dell’esposizione a nove risk factors, in particolare, è stato recentemente quantificato sul piano epidemiologico28 attraverso l’impiego di dati di revisioni sistematiche / metanalisi delle evidenze, dati di RR, ecc. Si tratta di 1. Body Mass Index (BMI), 2. consumo di frutta e verdura, 3. attività fisica, 4. fumo, 5. alcol, 6. protezione nei rapporti sessuali, 7. inquinamento urbano, 8. uso domestico di combustibili solidi, 9. iniezioni contaminate.28 Per tali cause di cancro è stata calcolata la Frazione Attribuibile di Popolazione (FAP),28 quota percentuale di mortalità abbattibile coll’ipotetico raggiungimento di un’esposizione associata al minimo rischio teorico “controfattuale” (rispettivamente: 1. 21, 2. 600 g/die, 3. >=2.5 h/sett. attività moderata, 4. assenza, 5. assenza, 6. rapporti protetti, 7. 7.5 µg/m3 per PM2.5 e 15 µg/m3 01/0 27 per PM10, 8. no carbone, ecc., 9. iniezioni sterili).28 PAF è un rapporto di funzioni integrali dove a numeratore è la differenza tra integrali definiti, da esposizione controfattuale a fattuale, delle funzioni RR P (distribuzione in popolazione esposta) e RR PI (distribuzione in popolazione controfattuale) e a denominatore la relativa funzione integrale per la popolazione esposta. Tale analisi è stata eseguita per sede di cancro, sia per i singoli nove risk factors che per le loro principali associazioni. Il 35% mondiale dei morti (37% nei Paesi ad alto reddito) è attribuibile all’effetto complessivo di tali nove fattori di rischio potenzialmente modificabili, dato inferiore rispetto alla vecchia analisi di venticinque anni fa29 che, basandosi sull’incidenza e non sul PAF era influenzata anche da fattori di rischio non noti ed inoltre era limitata al dato U.S.A. I rispettivi valori sono, per i Paesi ad alto reddito, 1. 3%, 2. 3%, 3. 2%, 4. 29%, 5. 4%, 6. 1%, 7. 1%, 8. 0%, 9. <0.5%.28 Alcuni valori saranno riportati più avanti, come valore di PAF riferito ai Paesi ad alto reddito. In generale, sedi come polmone, cervice uterina ed esofago hanno valori molto alti di PAF (>60%), mentre grosso intestino e leucemie più bassi, indicando una maggiore eterogeneità etiologica e suscettibilità genetica.28 Risk factors fisici. La probabilità che si verifichi un danno dipende dalla suscettibilità genetica.26 Radiazioni ionizzanti (elettromagnetiche); radiazioni X e γ Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 In generale, le radiazioni ionizzanti agiscono direttamente sul DNA, provocandone la ionizzazione, o indirettamente, attraverso la produzione di radicali liberi dalle molecole di acqua, capaci di danneggiare il DNA.27 Risulta fondamentale la radiazione naturale terrestre, ma anche i raggi X o γ in diagnosi e terapia, bombe atomiche di Hisoshima, Nagasaki (1945) e tests nucleari o rilascî accidentali da reattori nucleari. Circa la dose individuale, si calcola essa sia pari a 0.1 mSv per un volo andata/ritorno Londra-New York, a 3 mSv per una mammografia di screening, a 3 mSv/anno per la radiazione naturale terrestre, a 25 mSv (e a questi livelli si ritiene presente il rischio oncologico) per l’esecuzione di una TC addominale pediatrica, a 170 mSv/anno per la permanenza in una stazione spaziale.27 Esse producono l’insorgenza di neoplasie virtualmente in qualunque organo o tessuto; più frequentemente, leucemia mieloide acuta o cronica, leucemia acuta linfocitica, cancri di tiroide, mammella e polmone. Circa le leucemie, dopo una latenza di 2 anni dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti si ha l’ascesa dell’incidenza fino ad un picco a 01/0 28 4-8 anni e quindi la diminuzione del rischio; per i tumori solidi, dopo una latenza di almeno 5 anni si ha un aumento del rischio, che sembra restare elevato per tutta la vita.27 Radiazioni ionizzanti (corpuscolari); isotopi radioattivi, α and βparticle-emitting -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Particelle α: sono nuclei di He. Particelle β: sono elettroni. Specialmente il 222Radon (gas da decadimento di 238Uranio); ma anche 40Potassio, 232Torio, 210Polonio, (naturali); 99Tecnezio, 32 Fosforo, 131Iodio, 224Radio (uso medico); varî isotopiPlutonio, 137Cesio e 131Iodio; ecc. Penetrano per inalazione, ingestione, migrazione percutanea, iniezione. Gli effetti del gas radon sono stati studiati sui lavoratori delle miniere di uranio, ma anche nel contesto della presenza dell’isotopo in abitazioni costruite su rocce particolarmente ricche di radon (in Italia, la media dell’esposizione annuale della popolazione è 1,5 mSv);31 il rapporto di mortalità proporzionale di cancro broncogeno a causa del 222Rn inalato è stimato pari a 5-15%.6,27 In cinquant’anni dal disastro, in Piemonte sono stimati 360 morti per tumore attribuibili al fall-out radioattivo provenuto nel 1986 da Chernobyl.31 Le emivite degli isotopi rilasciati vanno da 8 giorni a 24400 anni (137Cesio: 30 anni; 131Iodio: 28 anni): un territorio corrispondente alla superficie di metà Italia, in Bielorussia, Ucraina e Russia, sarà contaminato per secoli; dov’è ricaduto il Plutonio, sarà inabitabile praticamente per sempre. Nell’Oblast di Gomel, in Bielorussia, l’incidenza del cancro tiroideo infantile è bicentuplicata. Radiazione solare - Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Si tratta della radiazione ultravioletta (UV, specialmente B, con lunghezza d’onda pari a 280-320 nm, ma anche A, di 320-400 nm). Il meccanismo non è ionizzante, ma di conferimento energetico, con conseguente aumento del livello di eccitazione molecolare. Soprattutto nei soggetti cronicamente esposti (contadini, marinaî), si ha particolare rischio di epiteliomi squamocellulare e basocellulare (cheratosi attinica), per azione diretta dell’UV B sul DNA, formazione di dimeri di ciclobutano e danno specialmente a carico del gene p53.27 Soprattutto a causa di ustioni solari acute (5 ustioni solari in adolescenza raddoppiano il rischio), si ha rischio di melanoma maligno, per azione indiretta dell’UV A, mediata dalla sintesi di specie reattive di ossigeno.27 Si richiama infine il trattamento pUVA, con la comparsa di epiteliomi squamocellulare e basocellulare nella terapia della psoriasi - Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 01/0 29 Traumi meccanici reiterati, come nel caso della mucosa delle guance morsa reiteratamente dai denti e comparsa di leucoplasia. Asbesto (amianto, silicato) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Fibre (per coibentazioni) di: crisotilo (serpentino), amosite (anfibolo), crocidolite (anfibolo). Responsabile di carcinoma broncogeno (si ricorda che asbesto e fumo hanno effetto sovradditivo)27 e di mesotelioma (specialmente per gli anfiboli, che persistono più a lungo nel polmone).27 Il 5080% dei mesoteliomi riconosce cause professionali ed il rischio negli esposti è pari al 2-8% dopo una latenza di 30-40 anni.27 Risk factors chimici. I cancerogeni chimici provocano un danno genotossico a seguito di interazioni (non random) su siti specifici del DNA nucleare e mitocondriale, con formazione di addotti covalenti, consistenti per lo più in trasferimenti sul DNA di gruppi alchilici o arilici (alchili complessi). Ne conseguono, durante la fase di replicazione del DNA, i danni. La probabilità che ciò si verifichi dipende dalla suscettibilità genetica.26 Biossido di silicio SiO2 (in forma di silice cristallina: quarzo, o cristobalite) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Presente nella produzione di cemento, mattoni, materiali abrasivi, ceramiche, sanitarî; nelle demolizioni; nelle miniere. Responsabile di tumore del polmone. Idrocarburi policiclici aromatici, (IPA): benzo(a)pirene, benz(a)antracene, dibenz(a,h)antracene -Group 2A “probably carcinogenic” sec. IARC.30 Provocano, per inalazione: cancro broncogeno; per ingestione (v. “dieta”): cancro dello stomaco; per contatto cutaneo con catrame e olio minerale: epiteliomi squamocellulare e basocellulare. Dal tabagismo dipende oltre il 35% di tutti i tumori; le sedi di sviluppo sono polmone, laringe, orofaringe, esofago, bocca, fegato, midollo osseo, ma anche vescica, rene, cervice uterina, pancreas, stomaco. Il PAF per il fumo28 è, a seconda della sede: 86% (trachea, bronchi, polmoni), 71% (bocca, orofaringe, esofago), 41% (vescica), 30% (pancreas), 29% (fegato), 25% (stomaco). Il PAF del fumo indoor da combustibili solidi (es. carbone) per trachea, bronchi, polmoni è 0% nei Paesi ad alto reddito, 2% in quelli a basso reddito. La combinazione fumo + alcol ha PAF=80% per bocca, orofaringe.28 Arsenico, As (in pesticidi, erbicidi, possibile contaminante dell’acqua): -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Provoca carcinoma broncogeno, epiteliomi squamocellulare e basocellulare. 01/0 30 Nickel, Ni (composti), cadmio Cd e composti -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Presente negli impianti di produzione di batterie al nichel-cadmio. Provoca il carcinoma broncogeno. Cromo (composti del cromo esavalente, VI) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Presente nelle attività di cromature, concia delle pelli. Determina il carcinoma broncogeno. Formaldeide (aldeide formica, formalina, HCHO) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Presente in resine sintetiche, colle, solventi, disinfettanti e deodoranti. Provoca il cancro del rinofaringe. Amine aromatiche: 2-naftilamina, benzidina, 4-aminobifenile Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Presente nelle attività relative a vernici, gomma, pellami. Causa il carcinoma transizionale di vescica, uretere, pelvi renale. 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-para-diossina (C12H4Cl4O2) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 By-product e contaminante nella produzione di erbicidi; liberata nel corso di processi termici (specialmente da parte di inceneritori, lavorazioni del metallo). È considerato un cancerogeno multi-site. Benzene -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 È un solvente industriale. Provoca leucemia mieloide acuta. Cloruro di vinile -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Causa angiosarcoma epatico. Ossido di etilene -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Utilizzato nella sterilizzazione di strumentazioni chirurgiche. Implicato nelle neoplasie del sistema linfatico ed emopoietico. Farmaci antiblastici elencati in -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 a. Agenti alchilanti (alchilano il DNA, bloccando l'apertura della doppia elica): clorambucil, ciclofosfamide, melfalan, mecloretamina (MOPP); leucemia linfatica cronica, linfoma di Hodgkin, linfomi non Hodgkin, cancri di mammella e polmone a piccole cellule. b. Azatioprina; immunosoppressione nel trapianto. c. Busulfano; leucemia mieloide cronica, immunosoppressione nel trapianto. d. Dietilstilbestrolo; sostituito, in tumori metastatici della prostata e della mammella nella postmenopausa. 01/0 31 Possibile insorgenza di “second malignancies” es. leucemia acuta in pazienti trattati con agenti alchilanti.32 Ormoni elencati in -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Estrogeni (steroidei e non steroidei). Estrogenoterapia, postmenopausale (aumento del rischio di cancro di mammella, endometrio).33 Contraccettivi orali (aumento del rischio di cancro di fegato, mammella, cervice uterina; diminuzione del rischio di cancro di ovaio, endometrio).33 Aflatossine B1, B2, G1, G2 -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Micotossine sintetizzate da Aspergillus flavus, A parasiticus, A nomius, A niger, che presentano un optimum di temperatura tra +20 e +30 °C e di water activity >0.95.34 Presenti in cereali (frumento, orzo, mais, riso), arachidi, formaggio ammuffito, ecc. Le aflatossine sono termostabili, per cui vengono solo parzialmente inattivate dalla panificazione, in particolare nella parte interna del pane; il pane ammuffito ne risulta ricco.34 Causano l’epatocarcinoma. In Cina l’associazione tra epatite B ed alimentazione ricca di aflatossine contaminanti aumenta il rischio di insorgenza del cancro epatocellulare di 60 volte.35 Aflatossina M1 -Group 2B “possibly carcinogenic” sec. IARC-.30 Prodotto di idrossilazione metabolica della B1 (escreta col latte da parte delle bovine alimentate con insilati ammuffiti, ecc.).34 Bevande alcoliche (birra, vino, superalcolici) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Implicate nelle neoplasie di cavo orale, orofaringe, laringofaringe, laringe, esofago, fegato, mammella. Il PAF per l’alcol28 è 41% (esofago), 33% (bocca, orofaringe), 32% (fegato). Circa la combinazione fumo + alcol, v. fumo. Di seguito sono riportate le proporzioni di cancri attribuibili all’alcol su scala mondiale, per sede:36 sede bocca e orofaringe esofago fegato mammella maschi 22% 37% 30% - femmine 9% 15% 13% 7% entrambi 19% 29% 25% - Erbe contenenti specie vegetali del genere di Aristolochia, medicina cinese usata come antireumatico, antiedemigeno, diuretico - Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 01/0 32 In generale, gli alimenti che vengono assunti con la dieta contengono una certa quantità di molecole cancerogene. A dispetto della comune opinione, tuttavia, gli studî sull’argomento hanno evidenziato come la grande maggioranza dei cancerogeni riconosca una provenienza naturale (pesticidi naturali, micotossine, sostanze prodotte durante i processi di preparazione dei cibi), mentre i cancerogeni sintetici (attività potenziale di alcuni additivi e pesticidi) accontino per meno dell’1%.35,37 L’impiego di additivi e pesticidi è regolato dalle competenti autorità; essi sono sottoposti a sperimentazioni sul modello animale; di solito, i riscontri sono di valori di legge. I pesticidi naturali sono tossine prodotte dalle piante stesse contro i funghi, gli insetti, ecc. Sono numerosi; ad es. si ricorda l’acido caffeico, polifenolo sintetizzato da moltissimi vegetali e frutti di uso comune35 e la capsaicina, presente nei pepi (studî epidemiologici hanno correlato l’incidenza dei cancri di stomaco e fegato all’alto utilizzo di pepi in certe popolazioni).35 Tra le oltre 300 micotossine identificate, sono state dimostrate cancerogene per l’uomo le aflatossine (v.) e, probabilmente, la fumosina B1 (prodotta da Fusarium moniliforme, proliferatum, ecc.), presente nel grano e ritenuta responsabile, in Cina e Africa, di molti cancri esofagei.35 Nel corso della preparazione degli alimenti vengono prodotti almeno quattro gruppi di sostanze cancerogene. Si tratta degli IPA, delle amine aromatiche eterocicliche, dell’acrilamide e delle nitrosamine. Gli IPA sono stati trattati in generale (v.). Nel contesto degli alimenti essi sono originati nella carne e nel pollo fatti alla brace sul carbone, che producono da 3 a 5 volte più IPA del grill e, naturalmente, nel processo di affumicatura dei cibi; è interessante considerare che le gocce di grasso che precipitano sul carbone determinano una deposizione di IPA sulle carni dopo esservi risalite col fumo e che il più cancerogeno benzo(a)pirene è 5 volte più concentrato nelle bistecche grasse che nei tagli più magri di maiale e pollo. Le amine aromatiche eterocicliche sono sintetizzate durante la friggitura, la grigliatura ed il grill di cibi fortemente proteici (carni molto cotte) e depongono per un aumento del rischio di cancro intestinale. Le quattro molecole incriminate sono la 2 – amino – 3 – methylimidazo (4,5 - f) quinoline (IQ), la 2 – amino - 3,4 – dimethylimidazo (4,5 - f) quinoline (MeIQ), la 2 – amino - 3,8 – dimethylimidazo (4,5 - f) quinoxaline (8 - MeIQx) e la 2 – amino – 1 – methyl – 6 – phenylimidazo (4,5 - b) pyridine) (PhIP). In 01/0 33 virus modelli sperimentali animali si è osservata l’esaltazione della loro cancerogenicità da parte dell’aggiunta di timo, maggiorana e rosmarino. Molto importante risulta il ruolo dei polimorfismi genetici. L’acrilamide è sintetizzata portando ad alta temperatura i cibi ricchi di amido (es. patatine fritte) ed in generale quelli ricchi di carboidrati. Studî hanno stimato che 6 maschi su 10000 si ammaleranno di cancro a causa dell’acrilamide presente nella dieta.35 Circa le nitrosamine, infine, va ricordato che esse (oltre ad essere presenti nel fumo di tabacco) derivano da cibi (affumicati, salati, sottaceto) conservati con nitriti/nitrati,34 che vengono coniugati con amine presenti negli alimenti originando i composti cancerogeni,35 che sono attivati dal citocromo P-45026 e producono addotti del DNA. Sono correlate con tumori a carico di tutti i segmenti del canale gastroenterico, del fegato, del rinofaringe e della vescica urinaria. Risk factors biologici. Human Papillomavirus (HPV), tipi 16, 18 -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Per la descrizione dell’HPV e della sua epidemiologia si veda quanto riportato più oltre, nella trattazione della prevenzione del cancro della cervice uterina. Causa il carcinoma della cervice uterina (in Europa e negli U.S.A., insieme, il 16 ed il 18 sono responsabili del 71.5% dei casi;38 rispettivamente39 circa 60% e 10%). Human Papillomavirus (HPV), tipi 31, 33 -Group 2A “probably carcinogenic” sec. IARC.30 Human Papillomavirus (HPV), altri tipi -Group 2B “possibly carcinogenic” sec. IARC.30 Evidenza di forte cancerogenicità per i cosiddetti “high-risk types”38:16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 66. Studî caso-controllo con ricerca dell’HPV-DNA, hanno dimostrato un OR=158.2 (lcl=113.4, ucl=220.6, p=0.05).18 L’HPV-DNA è stato identificato nel 99.7% dei cancri della cervice uterina;39 a specifici HPV si debbono molti cancri del pene, della vulva e della regione perianale.40,41 Human Herpesvirus 8 (HHV-8). DNA virus con ruolo nel sarcoma di Kaposi nei soggetti affetti da AIDS. 01/0 34 Negli U.S.A. la prevalenza degli anticorpi anti-HHV-8 è pari al 57%, in Italia meridionale, Sicilia e Sardegna è del 20%, nell’Africa subsahariana è del 60-80%.41 Il sarcoma di Kaposi, che presenta sempre l’HHV-8 all’interno delle cellule neoplastiche, può insorgere indipendentemente dall’infezione da HIV; questa, tuttavia, rappresenta un importante fattore di rischio (co-fattore); la trasmissione riconosce una modalità sessuale anche se (es. nei bambini) è possibile grazie agli alti titoli virali presenti nella saliva.41 Epstein-Barr virus (EBV, HHV-4) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 L’EBV è un DNA virus che svolge un ruolo molto importante rispetto ad alcune neoplasie ad esso associate; il DNA virale è rilevabile nel 97% dei linfomi di Burkitt africani,40 nel 30% di quelli delle aree non endemiche degli U.S.A.,40 in oltre 50% dei morbi di Hodgkin,40 nel 30-40% dei linfomi non Hodgkin immunoblastici acuti nell’AIDS,40 nel 100% dei linfomi dell’encefalo nell’AIDS,40 nel 10-15% dei linfomi non Hodgkin non AIDS correlati,40 praticamente sempre nei carcinomi rinofaringei41 e nel 6-10% dei carcinomi delle ghiandole salivari e dello stomaco.40 Hepatitis B virus (HBV, fam. Hepadnaviridae), infezione cronica -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Nel mondo sono stimati 300 milioni di portatori dell’HBV, oltre la metà dei quali vive in Asia. La trasmissione avviene40,42 per via sessuale (con efficacia molto elevata, fino a 1:4 per rapporto;43 il soggetto HbeAg positivo presenta oltre 106 HBV/ml di sangue; negli altri fluidi è 100-1000 volte meno concentrato).42 Inoltre, la trasmissione è riconosciuta attraverso la dialisi, la trasfusione (negli U.S.A. il rischio trasfusionale è 1:63000),1,43 per via verticale da madre HbsAg positiva, per morsi, tatuaggi, utilizzi promiscui di rasoî, per puntura accidentale, per scambio di siringa nei tossicodipendenti per via endovenosa. L’iniezione contaminata in ambito sanitario ha un PAF per cancro epatico (HBV+HCV) del 3% nei Paesi ad alto reddito e del 21% in quelli a basso reddito.28 L’HBV-DNA è circolare, parzialmente a doppia elica con, nella catena lunga, le regioni S (HbsAg), C (HbcAg; quello scisso da proteasi e liberato in circolo: HbeAg), X (HBx, proteina implicata nello stimolo oncogenico).41 Le regioni sono lette come ORFs. Almeno in parte la neoplasia è dovuta indirettamente ai meccanismi di accelerazione del turnover cellulare41 (v. HCV). L’HBV-DNA può essere reperito integrato nel genoma cellulare.44 01/0 35 Il rischio di evoluzione a epatite cronica attiva nei soggetti HBsAg+ è pari al 6% delle infezioni da HBV42 (il rischio è maggiore per le infezioni contratte nei primi anni di vita, allorchè corrisponde al 2530% delle infezioni);42 il rischio di carcinoma è pari allo 0.3% delle infezioni da HBV.42 Il RR del carcinoma corrisponde a 94.45 La quota di cancro attribuibile all’infezione da HBV nel mondo è pari al 52%.6 La coinfezione HBV/HCV aumenta notevolmente il rischio.42 La coinfezione e la sovrainfezione HBV/HDV, pur peggiorando la prognosi della malattia, non aumentano l’incidenza dell’epatocarcinoma rispetto alla sola infezione da HBV. Hepatitis C virus (HCV, fam. Flaviviridae), infezione cronica Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Nel mondo sono stimati 170 milioni di portatori dell’HCV, con una prevalenza del 3%;46 la prevalenza nella popolazione italiana è dello 0.48%.47 Sei diversi genotipi dell’HCV (e varî sottotipi, es. 1b)48 sono stati caratterizzati in soggetti a differente profilo epidemiologico di infezione.49,50 La correlazione tra essi ed il rischio di evoluzione ad epatocarcinoma è oggetto di studio.44,51 La trasmissione avviene40,42,52 attraverso la trasfusione (negli U.S.A. il rischio è 1:103000),1,53 la dialisi, le punture accidentali (negli operatori sanitarî il rischio di sieroconversione per needle-stick è del 3-10%),52 i tatuaggi, l’uso promiscuo di rasoi,54 lo scambio di siringa tra tossicodipendenti per via endovenosa, la via verticale (10% in madri HCV-RNA positive)52 e quella sessuale (rara;52 in partners sessuali di portatori cronici la prevalenza dell’anti-HCV è del 10-19%42).40 Circa il PAF per cancro epatico dell’iniezione contaminata in ambito sanitario, v. HBV.28 L’HCV-RNA presenta un’ORF codificante per le regioni delle proteine strutturali (c, capside; E1, E2, envelope) e non strutturali (NS2, NS3, NS4, NS5, quest’ultima per l’RNA polimerasi RNA dipendente). L’HCV è correlato al rischio di carcinoma epatocellulare attraverso un’azione che prevede un meccanismo indiretto44 legato all’accelerazione del turnover cellulare a causa dell’epatite cronica attiva-cirrosi (lisi e rigenerazione degli epatociti). Il rischio di evoluzione a epatite cronica attiva55,56 nei soggetti antiHCV+ corrisponde al 30-50% delle infezioni;42 il rischio di carcinoma è dell’1.25-2.50% delle infezioni da HCV.42 L’incidenza, nei soggetti anti-HCV+ è quadrupla rispetto a quanto si osserva in quelli HBsAg+.41 La quota di cancro attribuibile all’infezione da HCV nel mondo è pari al 25%.6 La coinfezione HBV/HCV aumenta notevolmente il rischio.42 01/0 36 Human T-cell lymphotropic virus type I (HTLV I, Retroviridae) Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Identificato a partire dal Giappone, dalle isole ed aree continentali dei Caraibi ed in Africa Centrale, con prevalenza mondiale dell’infezione pari a 20 milioni; la trasformazione avviene raramente, nel 3-5%44 e con latenza di 30-50 anni. L’Italia è un paese a bassa endemia, con prevalenza dell’anti-HTLV I pari all’1% nei tossicodipendenti per via endovenosa, che rappresentano il principale gruppo a rischio.57 La trasmissione40,57 avviene attraverso la trasfusione (negli U.S.A. il rischio è 1:641000),1,53 l’allattamento al seno, la via verticale, lo scambio di siringa tra tossicodipendenti per via endovenosa ed i rapporti sessuali (specialmente dal maschio alla femmina, per presenza dei CD4+ infettati nello sperma).57 Il genoma dei Retrovirus si replica attraverso un intermedio di DNA.44 L’RNA a singola catena contiene, a partire dalla regione unica U5’ i geni gag, pol, env e la regione unica U3.44 Nel corso della sintesi del DNA virale, dalle regioni uniche originano le long terminal repeats (LTR) che contengono i promoters e gli enhancers per la trascrizione dei geni adiacenti.44 Tra le LTR si trovano le ORFs per le proteine gag (core), env (glicoproteine dell’envelope) e pol (proteasi, transcriptasi inversa, integrasi).44 La transcriptasi inversa (DNA polimerasi RNA dipendente) catalizza la sintesi di DNA che l’integrasi virale inserisce come provirus nel genoma umano; esso sarà trasmesso alle cellule figlie e trascritto in mRNA; l’inserimento può condurre a mutazione o ad alterazione delle regolazioni.44 L’HTLV I esprime come prodotto ORF le proteine Tax e Rex; la prima regola l’espressione genica nei CD4+ ed inattiva proteine coinvolte nella regolazione del ciclo cellulare e nella riparazione del DNA.58 L’HTLV non è in sè un oncogene; i siti dell’inserzione del provirus nel DNA sono random da soggetto a soggetto.44 Il virus agisce nella genesi dell’adult T-cell leukemia / lymphoma (ATL), dei linfociti T CD4+ (helper): non si ha marcata immunodeficienza fino alla comparsa dell’ATL. Human T-cell lymphotropic virus type II (HTLV II, Retroviridae); scarsa evidenza epidemiologica per una possibile correlazione con la T hairy cells leukemia.44 Human immunodeficiency virus type 1 (HIV 1, fam. Retroviridae, gen. Lentivirus) -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Oltre la metà delle infezioni mondiali è presente nell’Africa subsahariana.40 In Europa occidentale sono stimati da 520000 a 610000 soggetti infetti.59 La trasmissione avviene per via sessuale 01/0 37 (il rischio per singolo rapporto sessuale con soggetto anti-HIV positivo è 1:100-1:500),60,61 attraverso l’uso di aghi (nelle siringhe dei tossicodipendenti residuano in media 34 µl di sangue; in una punta d’ago la centesima parte: ciò spiega il basso rischio di contagio in caso di puntura accidentale),60 attraverso la trasfusione (negli U.S.A. il rischio è 1:493000)1,53 e la trasmissione verticale, il cui rischio odierno è pari al 2.6%.59 Il bersaglio dell’HIV sono i recettori CD4 (di linfociti helper, monociti, macrofagi, ecc.). L’organizzazione del genoma dell’HIV è analoga a quella dell’HTLV I; esso, tuttavia, specifica per le proteine Tat e Rev (analoghe). A differenza, esso replica assai attivamente producendo alti livelli iniziali di viremia e da origine a quasispecie per l’alta variabilità genetica dovuta alla carenza dei meccanismi di controllo di qualità della copiatura della transcriptasi inversa.44 Il 40% dei casi di AIDS sviluppa una neoplasia maligna; a differenza dell’HTLV I il meccanismo alla base dell’insorgenza delle neoplasie è indiretto e l’HIV agisce da co-fattore con l’HHV-8 nell’insorgenza del KS o con altri virus (EBV, HPV),44 con la creazione di un quadro di immunodepressione ed insorgenza di linfomi non-Hodgkin a cellule B, specialmente immunoblastici (con aumento dell’incidenza pari a 60 volte), linfomi primitivi del sistema nervoso centrale (rara sede extralinfonodale), tumori di cervice uterina ed ano. Human Immunodeficiency virus type 2 (HIV 2, fam. Retroviridae, gen. Lentivirus) -Group 2B “possibly carcinogenic” sec. IARC.30 batteri Helicobacter pylori -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC-.30 Implicato nella genesi dell’adenocarcinoma gastrico. Studî casocontrollo hanno evidenziato un OR pari a 1.8-6.0.6 La quota di cancro gastrico attribuibile a questa infezione è del 71%.6 È implicato nel linfoma della mucosa dello stomaco. elminti Schistosoma haematobium -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Responsabile di carcinoma a cellule squamose (!) della vescica in corso di schistosomiasi, per l’azione meccanica irritativa cronica. Opistorchis viverrini -Group 1 “carcinogenic” sec. IARC.30 Responsabile di carcinoma delle vie biliari extraepatiche. n. b. circa il ruolo di BMI e sedentarietà si veda più avanti quanto riferito nella sezione della mammella e del grosso intestino. 01/0 38 In definitiva, attraverso l’estrinsecazione dei meccanismi antevidenziati, si ha la genesi di un’instabilità genetica, con la comparsa delle atipie nucleari, legate all’espressione di geni mutati23 (oncogeni e geni oncosoppressori),12 nonchè di deficit dei normali meccanismi riparativi del DNA (repair genes), che producono l’accumulo dei difetti.12 Oncogeni. L’attivazione degli oncogeni può avvenire mediante12 (a) l’alterazione dell’espressione di protoncogeni, (b) la creazione di oncogeni chimerici. Ad ogni modo, essi possono agire sulla differenziazione cellulare inducendo ad un fenotipo immaturo che si autoreplica, o sull’apoptosi, o morte programmata, determinando una sorta di immortalità cellulare.12 Esempî sono riportati di seguito. Nel 50% dei casi di carcinoma broncogeno sono presenti delezioni di 3p: questa contiene protooncogeni (variabile espressione di oncogeni cellulari); ne consegue un’attivazione di segnali di crescita cellulare. Il gene ras è alterato nel 25% delle neoplasie; normalmente inattivo, esso codifica la proteina Ras, che fornisce il segnale per la divisione cellulare. L’attivazione di c-erbB2/HER-2/neu (17q11.02), con sovraespressione del prodotto, si ha nel 20-30% dei carcinomi della mammella,14 correlati a prognosi peggiore (mediatore di metastasi e forse di organotropismo).62 Il prodotto è un recettore Tyr-chinasi simile al recettore 2 dello human epidermal growth factor (HER2/neu).62 Esso, stimolato dal proprio ligando transforming growth factor- (TGF-), sovraespresso, interagisce con ras (spesso mutata, come visto, nei cancri); questa, controllata da proteine attivanti la guanosina trifosfatasi, attiva raf. L’attivazione di questo percorso finisce con l’aumentare l’espressione delle proteine nucleari jun, fos e myc (es. myc è amplificata nel carcinoma della mammella), a loro volta fattori trascrizionali inducenti l’espressione di ulteriori geni.12 Ogni passaggio di questa cascata rappresenta un potente segnale per l’oncogenesi. Geni codificanti le proteinchinasi, che trasmettono un segnale di avvio per la divisione, dal plasmalemma al nucleo; proteinchinasi a struttura alterata sono iperattive nel carcinoma della mammella, nel carcinoma transizionale della vescica e nella leucemia mieloide cronica. L’attivazione dell’oncogene c-myc (8q24) è dimostrata nel tumore polmonare a piccole cellule.14 L’attivazione dell’oncogene N-myc (2p23-24) è presente nel neuroblastoma e nel tumore polmonare a piccole cellule.14 01/0 39 La traslocazione –t(9;22)- sul cromosoma 22 di un pezzo di cromosoma 9 contenente l’oncogene abl con fusione col gene bcr e sintesi di una proteina chimerica, avviene nell’80-95% delle leucemie mieloidi croniche (presenza del cromosoma Philadelphia, Ph, 22), ma anche nella leucemia mieloide acuta e nella leucemia linfatica acuta.14 Geni oncosoppressori. Un danno ai geni tumor suppressors rappresenta un altro meccanismo alla base della genesi del cancro. Esempî sono riportati di seguito. Rb, gene del retinoblastoma, codifica per la proteina pRb la quale regola il ciclo bloccando il fattore di trascrizione E2F12 e quindi il passaggio da G1 a S in ogni tipo di cellula.25 Mutazioni di Rb si osservano nel 30-40%18 di tutte le neoplasie (osteosarcomi, tumori polmari a piccole cellule, tumori della vescica, della mammella e della prostata). 25 Il gene p53 è definito “guardian of the genome”.12 Nelle cellule in cui si verifica un danno al DNA ad opera di agenti mutageni, p53 intensifica l’espressione di p21/CIP1 soppressore delle kinasi regolatorie (+) del ciclo cellulare (CDKs); il blocco in G1 o G2 (“hibernation”) permette la riparazione evitando che si accumulino mutazioni e favorendo l’evoluzione successiva ad apoptosi.12 Questo è un processo che si verifica fisiologicamente quando il carico mutazionale cellulare supera un dato livello; esso prevede vescicolazione del plasmalemma, contrazione volumetrica cellulare, condensazione del nucleo e scissione endonucleolitica del DNA.63 Un danno della p53 si osserva nel 50% di tutti i tumori, ed in oltre il 60% dei tumori del polmone.64 Il danno al gene p53 causato dall’anti7β,8α diidrossi-9α,10αepossi-7,8,9,10-tetraidro-benzo(a)pirene, metabolita attivo del benzo(a)pirene presente nel fumo, si associa allo sviluppo di addotti del DNA lungo il gene della p53 (genotipo) che hanno stretta correlazione col pattern di mutazioni della p53 (fenotipo) identificato nei tumori broncogeni.64 Si veda più avanti quanto riferito su p53 e Rb nella trattazione degli HPV-Early Genes. Ruolo delle anomalie dei meccanismi riparativi del DNA (repair genes). Ad esempio, la sequenza evolutiva da adenoma a cancro colorettale è legata a due processi, di seguito indicati come gatekeeper e caretaker pathways: (1) La “gatekeeper pathway”12,65 si verifica nell’85% dei cancri sporadici e nella FAP. Il primo momento è rappresentato dalla mutazione 01/0 40 (inattivazione) del tumor suppressor APC (80%), che conduce alla chromosomal instability. Allargandosi il polipo, compaiono le mutazioni (attivazione) dell’oncogene ras (40-50%). Infine, compare il carcinoma, con le mutazioni (inattivazione) dei tumor suppressors p53 e SMAD4 (80%), fenomeni tardivi. Inoltre, fino all’80% di adenomi/CCR presentano sovraespressione di COX-2 (inibitore di apoptosi e promotore di angiogenesi; inibita dai FANS). (2) La “caretaker pathway”65 si verifica nel 15% dei cancri sporadici e nell’HNPCC. In questo caso si verificano mutazioni, specie in hMLH1 e hMSH2, le cui proteine enzimatiche riparano DNA mismatches, cloni di ripetizioni di pochi, per lo più due, nucleotidi (microsatellite instability).12,65,66 In realtà i due processi sono in parte embricati. Ruolo dell’immunocompetenza (vedasi quanto detto circa il sarcoma di Kaposi). Infine, accanto alle modificazioni genetiche è importante ricordare la concorrenza di altri processi, quali quelli epigenetici, ad es. (1) l’ipometilazione in C5 della citosina (5 metilcitosina), laddove seguita dalla guanina, oppure (2) l’alterazione degli enzimi che controllano l’acetilazione degli istoni, ai quali il DNA è legato, con condizionamenti sulla trascrivibilità.12 La promozione consiste nell’espansione in clone della cellula trasformata; avviene nell’arco di decennî, dando origine a subcloni geneticamente differenti, ed è causa dell’eterogeneità tumorale.23 Può essere influenzata dalla dieta, dagli ormoni e dai farmaci. In questa fase si verifica la transizione dal livello molecolare a quello istologico. Con lo sviluppo del tumore si determina la possibilità, in ricerca, di un’analisi molecolare comprensiva. Nel 2001 è stato completato il sequenziamento di oltre il 98% del genoma umano; si tratta di 6.8 miliardi di paia di basi azotate per cellula,14 organizzate in 34 mila geni che esprimono oltre 100 mila proteine strutturali ed enzimatiche.67 I geni sono regolati a diversi livelli (trascrizionale, post trascrizionale, traslazionale, post traslazionale). I progressi dei test genetici sono avvenuti tanto sul versante delle tecniche di amplificazione (PCR, ibridizzazione) che su quello dell’introduzione dei DNA microarrays, con la possibilità di evidenziare le alterazioni dei geni implicati nella cancerogenesi attraverso la realizzazione di “carte del rischio individuale”, scopo della medicina predittiva.68 01/0 41 La tecnica dei microarray è una nanotecnologia di amplificazione dell’RNA, che si esplica attraverso la lettura dell’attività espressiva trascrizionale simultanea di migliaia di geni (analisi molecolare comprensiva).69 La tecnica67 consiste nell’estrazione dell’mRNA dal campione di tumore, nella retrotrascrizione a DNA complementare, con impiego di nucleotidi fluorescenti, nell’ibridizzazione del cDNA in un (noto) spot del microarray, corrispondente al proprio gene e nella misura dell’intensità di espressione, come fluorescenza dello spot. Dal confronto delle espressioni dell’mRNA nelle cellule normali ed in quelle neoplastiche si può risalire ai geni responsabili; analogo l’approccio per identificare e correlare fenotipi invasivi e metastatici alla prognosi.19 La ricerca, oggi, utilizza la tecnica dei microarrays per una valutazione iniziale dell’espressione genica globale, per passare quindi alla PCR per ottenere misure accurate di un numero limitato di geni, con analisi delle mutazioni in oncogeni e geni oncosoppressori (sono necessarî da 5 a 50 geni per una corretta classificazione tumorale). Infine, si fa solo un cenno di richiamo al recente ambito di studio dell’RNA-interference, modello molecolare noto a livello delle piante e da poco riconosciuto nell’uomo, dove tratti di RNA bielicoidale non codificante inibiscono l’espressione genica fino a cento volte maggiormente rispetto all’RNA standard; è stato ipotizzato che difetti enzimatici correlati col meccanismo in questione possano sottendere allo sviluppo del cancro.70 Si ricorda come le cellule neoplastiche esprimano in superficie numerosi antigeni tumorali; essi possono essere riconosciuti da anticorpi monoclonali e da linfociti T.71 A seguire sono riportati alcuni esempî di antigeni tumore-specifici (ATS) e di antigeni tumore-associati (ATA), questi ultimi non esclusivi. p 53 mutata proteina di fusione abl-bcr ras mutato HER-2/neu (human epidermal receptor-2/neurological) onco-fetali AFP (alpha-fetoprotein) CEA (carcinoembryonic Ag) gp 100 ATA di differenziazione melanocitica MART-1 (melanoma Ag recognized by T-cells-1) MAGE 3 (melanoma Ag 3) TERT aumentata espressione protoncogeni EGFR p 97 Tra i principali, sul piano pratico, risultano i seguenti: ATS 01/0 42 CEA AFP βHCG PSA CA125 espresso nel carcinoma del colon (ma anche in fegato, pancreas e intestino del feto, fumatori, cirrosi, rettocolite ulcerosa, carcinoma di mammella, cervice, vescica, pancreas, ovaio). espressa in epatocarcinoma, carcinoma embrionario di testicolo/ovaio (ma anche nel fegato del feto). espressa nelle neoplasie gestazionali trofoblastiche e nel carcinoma embrionario del testicolo/coriocarcinoma. espresso nel carcinoma della prostata (ma anche, a concentrazioni minori, dalla prostata normale e nell’iperplasia prostatica). espressa nel carcinoma dell’ovaio (ma anche nelle peritoniti). La risposta dei linfociti T71 (naive/virgin) agli antigeni tumorali è attivata ad opera delle antigen presenting cells (APCs), rappresentate innanzitutto dalle cellule dendritiche (DCs), di origine emopoietica, che derivano da precursori circolanti (monociti, linfociti); tipiche DCs sono le cellule di Langerhans dell’epidermide e dell’epitelio di rivestimento delle mucose, elementi mobili. Le DCs (APCs) immature sono ubiquitarie nei tessuti. Esse, a seguito del legame con un recettore, fagocitano gli antigeni, rappresentati da cellule vive (es. opsonizzate), morenti (apoptosiche), necrotiche (infette o neoplastiche); gli antigeni, frammenti di proteine di cellule neoplastiche, vengono processati (denaturati, trasportati, legati ad una molecola del Major Histocompatibility Complex, MHC, specie di classe I, meno frequentemente di classe II, a costituire un complesso che viene trasportato alla superficie della cellula per la presentazione: APC). Le DCs (APCs) migrano dalla periferia alle aree timodipendenti (periferia dei follicoli linfatici secondarî) degli organi linfoidi periferici (spec. linfonodi tributarî, milza, tessuto linfoide periferico, es. mucosa dell’intestino tenue), dove attivano i linfociti T (da naive ad effector) e muoiono in pochi giorni. Nelle stesse aree si ritrovano anche le DCs (APCs) di origine plasmocitoide che, tuttavia, non pare agiscano da sentinelle tissutali periferiche. I linfociti T sono di origine timica ed attraverso la circolazione pervengono alle aree timodipendenti dei linfonodi. Circa la presentazione dell’antigene ai linfociti T, va detto che le molecole MHC di classe I generalmente presentano antigeni ialoplasmatici (proteine autologhe, virus, altri microrganismi), mentre le molecole MHC di classe II presentano antigeni del plasmalemma o fagocitati in vacuoli dall’ambiente extracellulare. Le DCs (APCs) mature presentano in superficie l’antigene, per il legame con il T cell receptor (TCR) ancorato alla molecola CD3 dei linfociti T, per la risposta immune primaria. 01/0 43 Così, i complessi con le MHC di classe II attivano i linfociti T, effector, CD4+ “helper”, che si differenziano a Th1 CD4+, a sostegno della risposta immunitaria cellulare (nonchè a Th2 CD4+, a sostegno di quella umorale) et le cellule T regolatorie, con fenotipo CD4+ CD25+, “suppressors” alla base della unresponsiveness agli antigeni, che inibiscono la risposta antitumorale; inoltre, i complessi con gli MHC di classe I attivano i linfociti T CD8+ citotossici (CTL). Le neoplasie elicitano per lo più MHC di classe I e non di classe II; ciononostante risulta evidente il ruolo dei CD4+ nel meccanismo della risposta antitumorale. Il numero di molecole del MHC da occupare da parte del peptide per l’attivazione del complesso TCR/CD3 varia da 1 a 10; la piena attivazione necessita di almeno un giorno di triggering. È fondamentale il ruolo della produzione da parte delle DCs (APCs) di interleuchina (IL-12). I linfociti T effector, attivati, vanno incontro a proliferazione con passaggio da G0 a G1. I CD4+ (helper) svolgono funzione direttiva, sintetizzando e liberando citochine, polipeptidi immunostimolatori (prodotti anche dai monociti) che attivano linfociti T, NK, monociti/macrofagi, granulociti neutrofili. I CD8+ (CTL, citotossici), a seguito del legame coll’antigene liberano nel microambiente sostanze citotossiche; il meccanismo è duplice ed avviene presso il sito di legame: 1. azione del TNF, 2. degranulazione di proteine, (a) perforina, con attività riconducibile a quella della C9 del complemento, che perfora il plasmalemma della cellula tumorale, (b) molecole ad attività serina proteasica (granzimi). Il risultato è l’apoptosi, con lisi del plasmalemma, condensazione cromatinica, frammentazione del DNA, seguite dalla citolisi. L’azione ha luogo in pochi minuti; quindi, i CTL reiterano l’attività su altre cellule neoplastiche. Infatti, i linfociti T effector, proliferando, si portano al sito (specialmente extravascolare) del tumore (tale sito flogistico richiama la risposta grazie alle citochine chemiotattiche, chemiochine, adese all’endotelio) per svolgere le descritte funzioni a contatto colle cellule tumorali (sintesi di citochine, citotossicità). Dopo un breve periodo esse muoiono. Negli organi linfoidi periferici rimangono T memory cells (capaci di generare una risposta immune per un nuovo contatto con l’antigene, che sarà più precoce, intensa e protratta che nelle naive/virgin. La più studiata tra le interleuchine è la IL-2, polipeptide di 15 kD prodotta soprattutto dai Th1 CD4+ attivati; l’IL-2 lega un recettore per l’attivazione dei precursori dei CD8+ CTL memory cells, NK, stimolandone moltiplicazioni in cloni. Altre citochine sono l’IFN-γ (Th1 CD4+) e i TNF- e TNF-β (sintetizzati anche dai macrofagi). Il microambiente della neoplasia non offre eccezioni al principio generale del danno tissutale seguito da flogosi, con infiltrazione di leucociti, attirati 01/0 44 dalla presenza in situ delle chemochine verso le quali essi presentano specifici recettori (chemiotassi). Un ruolo importante è svolto dai linfociti natural killer (NK), cellule attivate dalle citochine; i NK presentano in superficie molecole CD16+ per l’Fc degli anticorpi, nonchè CD56+ (mentre sono assenti i TCR-CD3 che caratterizzano i linfociti T e le immunoglobuline di superficie che caratterizzano i linfociti B; i NK sono pertanto una distinta popolazione linfocitaria). I NK esprimono un meccanismo primitivo aspecifico (immunità aspecifica) non necessitando del riconoscimento specifico dell’antigene e non essendo dotati di memoria. Producono citochine ed hanno meccanismi sovrapponibili a quelli dei CTL (azione del TNF, perforina, granzimi). In essi il recettore per il frammento cristallizzabile lega immunoglobuline adese a cellule neoplastiche (antigeni tumore associati); in alternativa, favoriscono la lisi della cellula neoplastica attraverso azione enzimatica o di metaboliti dell’ossigeno e dell’azoto. Granulociti neutrofili e macrofagi tissutali del sistema reticolo endoteliale/istiocitario (questi derivati dai monociti), attivati da citochine, ripropongono i meccanismi effettori visti per i NK. Presentano recettori per C3, Fc degli anticorpi, molecole MHC di classe II. I macrofagi71 agiscono come APCs e costituiscono un legame tra recettore superficiale ed antigene per la fagocitosi di quest’ultimo e la successiva presentazione superficiale in complesso con MHC di classe II a linfociti CD4+: il meccanismo che ne consegue è stato in precedenza descritto. Anche i linfociti B71 agiscono come APCs; in essi si verifica un legame tra immunoglobuline di superficie, cui segue la fagocitosi dello stesso e la successiva presentazione superficiale in complesso con MHC di classe II a linfociti CD4+; il meccanismo che ne consegue è stato in precedenza descritto. Nei confronti delle neoplasie il ruolo dell’immunità umorale è certamente minore. Esso si svolge attraverso un legame dell’antigene tumore associato con l’immunoglobulina ed il complemento, l’azione del quale, fino all’attività fosfolipasica finale, danneggia il plasmalemma; oppure attraverso un legame dell’antigene tumore associato con l’immunoglobulina ed il frammento cristallizzabile dell’anticorpo, rispetto al quale Fc vi sono specifici recettori sui NK, sui neutrofili e sui macrofagi, l’azione dei quali lisa la cellula neoplastica. Un interessante, ulteriore aspetto che pare utile richiamare, è quello della relazione tra l’andamento temporale dell’incidenza del cancro e quella delle malattie infettive. Nel periodo 1895-1963, in Italia, il tasso standardizzato di incidenza dei tumori è aumentato72 dell’1-2% /anno, mentre tra il 1986 ed il 1997 dell’1.1% nei maschi e dell’1.5% nelle femmine; nella prima metà del XX 01/0 45 secolo tale aumento è avvenuto in particolare: (a) dopo 10 anni dalla riduzione della mortalità per malattie infettive e (b) dopo 40 anni dall’aumento della produzione di sigarette. La progressiva diminuzione dell’incidenza delle malattie infettive, con minore esposizione a batteri ed ai loro prodotti, può avere condotto alla riduzione dell’attività dei meccanismi sviluppati nel corso dell’evoluzione ed atti alla distruzione di foci neoplastici.72 In letteratura sono discussi i seguenti aspetti: (a) esiste un antagonismo tra l’esposizione ad endotossine batteriche per inalazione di polveri vegetali inquinate e cancro del polmone (ad es. in operai dell’industria tessile cotoniera ed allevatori di bovine da latte);72 (b) è ipotizzato un antagonismo tra infezioni batteriche e melanoma;72 (c) è disponibile l’evidenza clinica e sperimentale che l’endotossina di Salmonella abortus equi per via endovenosa ed alcuni prodotti micobatterici esplicano un’attività inibitoria nei confronti di alcuni tumori (colon-retto e broncogeno non a piccole cellule).72 È stata formulata un’ipotesi circa la fisiopatologia del fenomeno, che contempla diversi ruoli: (1) un’azione farmacologica, con danno dell’endotelio, necrosi emorragica, rispetto ai vasi centrali del tumore;72 (2) un’azione immunologica, con richiamo di neutrofili, macrofagi, CTL e NK nell’area tumorale periferica;72 (3) il ruolo della febbre, visto che in circa un quarto di oltre 700 casi di regressione spontanea di tumore si è osservata un’infezione febbrile concomitante.72 Studî ulteriori sono necessarî per chiarire questo fenomeno. Epidemiologia dei tumori Le basi di dati a disposizione delle valutazioni epidemiologiche risultano (1) gli indici di mortalità forniti dall’ISTAT e (2) i registri tumori di popolazione73 (si ricorda l’Associazione Italiana Registri Tumori, con oltre venti registri tumori in Italia; per il Piemonte, Torino e Biella). La raccolta delle informazioni può avvenire a partire dalle seguenti fonti: 1. referti istologici raccolti nei servizi di anatomia patologica, 2. SDO/cartelle cliniche, 3. schede di morte. Occorre prestare particolare attenzione nell’acquisizione dei dati; ad esempio, l’incidenza dei mesoteliomi può essere sottostimata fino al 30%, a causa di omesse segnalazioni o della mancata effettuazione dell’accertamento istologico in pazienti molto anziani; possono registrarsi variazioni dell’incidenza a ragione dell’aumento delle biopsie eseguite in un centro; se poi non è disponibile un archivio di prevalenza almeno decennale, possono venire inclusi tra i casi incidenti anche quelli che abbiano avuto inizio in precedenza (stante la possibilità della reiterazione dei ricoveri e 01/0 46 dell’effettuazione dell’istologia). Va ricordato inoltre che i registri tumori (dati U.S.A.) riportano i risultati con tre anni di ritardo, a causa dei tempi di raccolta e di codifica dei dati.10 I registri tumori di popolazione possono assolvere a diverse funzioni di notevole importanza sul piano conoscitivo; di seguito vengono schematicamente ricordate le principali. 1. Generazione di ipotesi etiologiche (in un ambito di epidemiologia descrittiva)73 per variabili legate ai soggetti, al tempo, ed allo spazio. Si potranno condurre studî di (a) incidenza, (b) sopravvivenza (follow up dei casi incidenti),73 (c) prevalenza (follow up dei casi incidenti),73 (d) mortalità (follow up dei casi incidenti).73 Il rapporto di causalità andrà verificato attraverso studî di epidemiologia analitica.73 Si ricorda come le neoplasie abbiano, singolarmente, incidenza inferiore rispetto alle malattie cardiovascolari: in coorti e RCTs preventivi sono necessarie sample sizes74 maggiori, generalmente con decine di migliaia di soggetti, e lunghi follow up74 (ad es. l’evidenziazione di risk factors cardiovascolari –cessazione del fumo, controllo dell’ipertensione arteriosa, controllo dei lipidi, controllo del peso, monitoraggio del diabete- nei 5000 soggetti del Framingham Study è stata possibile in circa dieci anni di osservazione, mentre in ambito oncologico è necessario un periodo almeno doppio).74 2. Valutazioni dell’efficacia dei programmi di screening: a tal fine è necessario attuare un linkage tra il database dello screening ed il registro tumori (cancer register data).75 In tal modo potranno essere effettuati (a) un monitoraggio sui cancri intervallo e (b) la valutazione dei cosiddetti indicatori precoci (es. il confronto delle distribuzioni per stadio tra i tumori screen detected e quelli symptom detected, nonchè l’analisi della proporzione dei piccoli tumori invasivi identificati allo screening). 3. Valutazione dell’efficacia dei programmi di prevenzione primaria attuati sul territorio; tale attività, che risulta fondamentale per operare un giudizio di reale efficacia delle attività preventive, si attua attraverso la misurazione delle variazioni dell’incidenza dei tumori rispetto ai quali sono rivolti i programmi.73 4. Valutazione dell’efficacia (misurata in termini di sopravvivenza) dei protocolli diagnostici o terapeutici sviluppati nei confronti delle neoplasie. In tal senso è meglio affidarsi a registri tumori che a RCTs, nei quali i pazienti assegnati ai due bracci difficilmente risultano perfettamente rappresentativi di tutti i casi di quel particolare cancro; inoltre, al di là dell’influenza del protocollo diagnostico o terapeutico, questo tipo di analisi tiene conto dell’accessibilità concreta ai servizi sul territorio.73 In conclusione si ricorda come siano disponibili anche registri tumori specializzati (in Piemonte si ricordano ad es. il registro tumori infantili per età tra 0 e 14 anni-, ed il registro mesoteliomi). 01/0 47 01/0 Circa l’epidemiologia descrittiva delle neoplasie, l’International Agency for Research on Cancer (IARC) aggiorna dati mondiali su incidenza, mortalità e prevalenza del cancro; utili risultano le Overall Evaluations of Carcinogenicity to Humans, periodicamente aggiornate dalla IARC. Incidenza L’incidenza dei tumori, ove non disponibile, è stimata estrapolando i dati di incidenza estratti dal registro tumori in base a quelli di mortalità.76 In Italia ed in Piemonte l’incidenza delle neoplasie è in aumento.6 In Italia l’incidenza annuale6 nei maschi è di 389.8/100000, nelle femmine di 309.5/100000. Per le sedi più frequenti (polmone, mammella, colonretto), si ha un sostanziale allineamento del Paese con il nord Europa ed il nord America.6 L’Italia rappresenta invece l’unico caso, tra i Paesi industrializzati, in cui si osserva una notevole differenza interna dell’incidenza, che nel Nord è circa doppia rispetto al Sud.6 Le ragioni di tale situazione possono risiedere6 nel maggior consumo di tabacco e di alcol nel settentrione, nei diversi profili riproduttivi (mammella), nelle differenti esposizioni ai cancerogeni ambientali (negli ambienti di vita e di lavoro), in specificità nell’alimentazione. In Piemonte, il dato di incidenza annuale77 è di 488/100000 nei maschi e di 395/100000 nelle femmine. Essa appare superiore nelle aree urbane ed in quelle nord orientali della regione; nel nord est particolarmente per il cancro del polmone, mentre i tumori dell’apparato digerente e delle vie aeree superiori sono maggiormente frequenti nelle zone alpine.77 Tra 0 e 14 anni77 l’incidenza è pari a 16.96/100000 (nel periodo 1967-1998); questo dato è purtroppo uno dei più alti al mondo, specialmente tra 0 e 4 anni di età e rispetto soprattutto alle leucemie, ma pure alle neoplasie del sistema nervoso centrale ed ai linfomi non Hodgkin. In infanzia, la sopravvivenza77 a 15 anni dalla diagnosi è salita dal 27% per le diagnosi del periodo 1970-1975 al 64% per quelle del periodo 1985-1989. In Europa l’analisi delle incidenze, per sede di neoplasia è riportata nelle seguenti tabelle:76 maschi 1° 2° 3° Settentrionale prostata polmone colon-retto Occidentale prostata polmone colon-retto Meridionale polmone colon vescica Orientale polmone stomaco colon-retto femmine 1° 2° 3° Settentrionale mammella colon-retto polmone Occidentale mammella colon-retto ovaio Meridionale mammella colon-retto corpo utero Orientale mammella colon-retto cervice utero 48 È estremamente interessante analizzare la relazione che esiste tra l’incidenza e l’attesa di vita. Per sedi come quelle di polmone e prostata l’aumento dell’incidenza del cancro è stato correlato all’allungamento della vita media.6,75 Per mammella, colon-retto e melanoma, invece, l’aumento si è verificato anche in fasce d’età più giovani.6 In generale, l’incidenza del cancro aumenta con l’età, benchè il tasso tra 0 e 4 anni risulti circa doppio di quello tra 5 e 14 anni. Tra 20 e 54 anni i tassi nelle femmine sono superiori a quelli nei maschi, dopodichè il rapporto si inverte.10 Pare opportuno ricordare il concetto di transizione demografica ed epidemiologica;78 con esso si richiama il passaggio da società caratterizzate da alte natalità e mortalità a società a basse natalità e mortalità (fenomeno graficamente ben descritto dalla piramide delle età). Circa la mortalità infantile (1° anno di vita), a Roma78 nell’anno 1870 essa era pari a 170/1000; nell’anno 2002 si è attestata su 6/1000. In generale, la mortalità infantile ha visto una diminuzione durante la rivoluzione industriale e la successiva trasformazione agricola del XIX secolo (con miglioramenti nell’igiene del parto, nell’alimentazione ed intake calorico, nella razionalizzazione delle reti idriche e fognarie). Anche la natalità ha denunciato una diminuzione, accentuatasi negli ultimi lustri. L’effetto combinato dei trend di mortalità e natalità è stato studiato in relazione alle dinamiche economiche; le Nazioni Unite hanno individuato una forte correlazione tra l’attesa di vita ed il reddito: i Paesi con attesa di vita inferiore a 55 anni hanno un reddito pro capite <2550 dollari U.S.A.78 Le attese di vita, in Italia, in diversi periodi storici, sono riportate in tabella.78 periodo impero romano medioevo ‘700 ‘800 inizio ‘900 1946 2002 vita media in anni (ca.) 22 32 35 41 49 67 76.0 m.; 82.4 f79 Di conseguenza, si è verificato l’aumento della numerosità delle coorti più anziane, suscettibili di ammalare di patologie ad etiologia multifattoriale (cd. cronico-degenerative) come le neoplasie. Yet, the inexorable accumulation of mutations during a lifetime ensures that some forms of malignant disease will eventually develop in many if not most humans.16 01/0 49 Oltre al carico mutazionale cumulativo sono stati presi in considerazione la diminuzione dei meccanismi riparativi del DNA, l’aumentato ruolo dei fattori epigenetici, lo stato ormonale, e le dinamiche dei telomeri (ripetizioni di TTAGGG legate a specifica proteina, poste alla fine dei cromosomi).80 La relazione tra età ed incidenza è riportata nel seguente grafico. Age- and sex-specific incidence and death rates from all cancers combined, United States, 2000. Incidence rates from Surveillance, Epidemiology, and End Results (SEER), SEER*Stat Database, 1973–2000. National Cancer Institute, 2003. Death rates from National Center for Health Statistics, Centers for Disease Control and Prevention, 2003. Rappresentando l’età un così importante determinante del rischio, nei confronti tra tassi risulta fondamentale l’operazione di standardizzazione.10 Molto importante è richiamare la relazione che si verifica tra la misura dell’incidenza di un tumore e la fase di avvio di uno screening; tale aspetto, che ha avuto notevole rilevanza ad esempio in alcuni Paesi europei e negli U.S.A. con lo screening opportunistico mediante il PSA,75 sarà dettagliatamente descritto più avanti. In definitiva, una diminuzione dell’incidenza di una neoplasia può dipendere dall’effetto della prevenzione primaria e di quella secondaria, mentre un suo aumento, oltre a quanto detto circa la transizione 01/0 50 epidemiologica,78 può essere legato alla fase di introduzione dello screening od all’aumento dell’esposizione ai fattori di rischio.10 Mortalità Il cancro costituisce la seconda causa di morte nella popolazione umana, subito dopo quella cardiovascolare; se tuttavia si considera la popolazione di età compresa tra 45 e 64 anni, le neoplasie salgono al primo posto quali causa di morte, rappresentandone il 40-50%.10,76 In Italia ed in Piemonte l’andamento della mortalità per neoplasie è costante6 od è in flessione.77 Il tasso di mortalità per tumore in Italia nel 1996 si è attestato,6 nei maschi, su 314/100000 e nelle femmine su 212/100000. In Piemonte nel 2002 i tassi (standardizzati) sono stati,77 per i maschi, 252/100000 e per le femmine 172/100000. In Piemonte, tra il 1980 ed il 2000, la mortalità per neoplasia è diminuita, come si evince dalla seguente analisi. Tassi standardizzati di mortalità per tumori maligni nella regione Piemonte: trend 1980-2000 220 TS / 100000 210 200 190 180 170 160 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 1995-1997 1998-2000 periodi Nello stesso periodo, in provincia di Cuneo, la mortalità per neoplasia ha manifestato l’andamento riportato nel seguente grafico. TS / 100000 Tassi standardizzati di mortalità per tumori maligni nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 210 205 200 195 190 185 180 175 170 165 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 periodi 1995-1997 1998-2000 01/0 51 Se si considerano i tassi di mortalità per fascia d’età, i dati sono riportati nel seguente istogramma. Tassi di mortalità per tumori maligni nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età TG / 100000 2000 1500 1000 500 95 -9 9 an ni ni ni an 85 -8 9 ni 75 - 79 an ni 69 65 - 59 55 - an ni an ni an 45 -4 9 35 -3 9 an ni ni an 25 -2 9 15 - 19 an an 9 5- 0 an ni ni 0 fascia d'età Circa il trend temporale della mortalità per tumore, negli Stati Uniti, nei maschi è aumentata a partire dal 1930 ed ha cominciato a diminuire negli anni ’90, per lo più a causa della diminuzione delle neoplasie correlate al fumo, forse per gli effetti dell’introduzione dello screening con PSA, per lo screening colorettale e per la costante diminuzione dell’incidenza di carcinoma gastrico legata, nei Paesi industrializzati, al cambiamento delle abitudini alimentari, all’igiene di preparazione e conservazione dei cibi ed alla minore prevalenza delle infezioni da Helicobacter pylori. Nelle femmine, la mortalità complessiva per neoplasia è leggermente diminuita tra il 1930 ed i primi anni ’70, quindi è un po’ aumentata, per stabilizzarsi; le ragioni risiedono nella diminuita mortalità per cancro dello stomaco (v.), del colonretto e dell’utero, dovute allo screening, quindi nell’aumento di quella per tumore del polmone. È osservazione recente l’influsso dello screening sulla diminuzione della mortalità per tumore della mammella. Nelle seguenti figure sono riportati gli andamenti dei tassi di mortalità delle principali neoplasie, nei maschi e nelle femmine, negli U.S.A. tra il 1930 ed il 2000. 01/0 52 01/0 Cancer Death Rates*, for Men, US, 1930-2000 100 Rate Per 100,000 Lung 80 60 Stomach Prostate 40 Colon & rectum 20 Pancreas 2000 1995 1990 1985 1980 1975 1965 1960 1955 1950 1945 1940 1935 1930 1970 Liver Leukemia 0 *Age-adjusted to the 2000 US standard population. Source: US Mortality Public Use Data Tapes 1960-2000, US Mortality Volumes 1930-1959, National Center for Health Statistics, Centers for Disease Control and Prevention, 2003. Cancer Death Rates*, for Women, US, 1930-2000 Rate Per 100,000 100 80 60 Lung 40 Uterus Breast 20 Colon & rectum Stomach Ovary 2000 1995 1990 1985 1980 1975 1970 1960 1955 1950 1945 1940 1935 1930 1965 Pancreas 0 *Age-adjusted to the 2000 US standard population. Source: US Mortality Public Use Data Tapes 1960-2000, US Mortality Volumes 1930-1959, National Center for Health Statistics, Centers for Disease Control and Prevention, 2003. In Italia, grazie all’introduzione degli screening ed agli sviluppi della terapia, nel periodo 1978-2001 si è verificata una riduzione del rischio di morte per neoplasia pari al 30%.6 Nell’Unione Europea, il tasso di mortalità per tumore, standardizzato per età, è aumentato fino al 1988; dal 1988 al 1997 è diminuito del 9%.76 Al contrario, esso continua a crescere nei Paesi dell’Europa Orientale.76 53 01/0 Anche in Europa, nelle femmine è aumentata del 15% l’incidenza di tumore del polmone, in relazione alla crescita dell’abitudine al fumo da parte delle donne, registrata negli ultimi decennî. La quota percentuale di diminuzione della mortalità, secondo l’UICC76 è rappresentata nelle seguenti tabelle: maschi polmone colon-retto stomaco vescica esofago, bocca, faringe 11% 11% 30% 12% 5% femmine mammella colon-retto cervice uterina stomaco 7% 21% 26% 31% Rispetto ai tre ambiti di neoplasia interessati dagli screening più oltre descritti in questa trattazione, si può aggiungere quanto segue. Per il carcinoma della mammella, nel mondo sono stimati (anno 2002) 1151298 nuovi casi/anno81 e 410712 morti/anno,81 con una prevalenza di oltre 4400000 donne.81 In Europa (anno 2004) si osservano 371000 nuovi casi/anno81 e 129900 morti/anno.81 Circa il carcinoma della cervice uterina, nel mondo si stimano 500000 nuovi casi/anno38,82 e 239000 morti/anno,38 l’80% dei quali è nei Paesi in via di sviluppo (ove rappresenta la prima causa di morte oncologica nelle femmine).38 Per il cancro del colonretto, nel mondo vengono stimati (anno 2003) 945000 nuovi casi/anno65 e 492000 morti/anno.65 Evidentemente, anche per la mortalità valgono le considerazioni, riferite trattando dell’incidenza, sull’influenza dell’attesa di vita; a tal riguardo si veda il grafico riportato in quella sede. È utile richiamare le ragioni che giustificano la necessità di standardizzare i tassi.10 In definitiva, una diminuzione della mortalità di una neoplasia può dipendere dall’effetto della prevenzione primaria, della prevenzione secondaria e del miglioramento della terapia. Rischio La probabilità di ammalare di cancro nel corso della vita, secondo le stime italiane6 è, per i maschi 1/3 e per le femmine 1/4. Un calcolo analogo, che individua anche le probabilità sulle diverse sedi, prodotto per la popolazione degli U.S.A., è riportato nella seguente tabella. 54 Probabilità di sviluppare cancro, per intervalli d’età e sesso; periodo 1998-2000 sede sesso 0-39 anni 40–59 anni 60–79 anni vita (%) (%) (%) (%) tutte le sedi* maschi 1/73 1/12 1/3 1/2 femmine 1/52 1/11 1/4 1/3 vescica maschi 1/4603 1/250 1/42 1/29 femmine 1/9557 1/831 1/157 1/91 mammella femmine 1/229 1/24 1/13 1/7 colon e retto maschi 1/1678 1/116 1/25 1/17 femmine 1/1651 1/150 1/33 1/18 leucemia maschi 1/649 1/495 1/122 1/70 femmine 1/789 1/706 1/219 1/100 polmone e bronchi maschi 1/3439 1/98 1/17 1/13 femmine 1/3046 1/126 1/25 1/17 melanoma della cute maschi 1/809 1/205 1/103 1/55 femmine 1/532 1/255 1/197 1/82 linfoma non Hodgkin maschi 1/739 1/224 1/79 1/48 femmine 1/1258 1/332 1/102 1/57 prostata maschi 1/12833 1/44 1/7 1/6 cervice uterina femmine 1/632 1/322 1/368 1/128 corpo uterino femmine 1/1832 1/144 1/64 1/38 *Esclusi gli epiteliomi basocellulari e squamocellulari cutanei e quelli in situ (a parte quelli vescicali in situ). From DEVCAN Software, Probability of Developing or Dying of Cancer; version 5.1. Statistical Research and Application Branch, National Cancer Institute, 2003. Si precisa che il rischio è stimato nell’universo costituito dalla popolazione generale, senza tenere conto di familiarità o di fattori di rischio (es. la probabilità 1/13 per l’insorgenza del tumore del polmone sottostima il rischio nei fumatori e sovrastima quello nei non fumatori). Anni di vita persi (YPLL) Le neoplasie rappresentano la prima causa di anni di vita persi;6 nelle elaborazioni che seguiranno, relative alla provincia di Cuneo, si considerano gli anni di vita persi rispetto all’età di 75 anni. Gli anni di vita persi per neoplasia nella provincia di Cuneo, nel periodo 1980-2000 sono riportati nel seguente istogramma. 01/0 55 YPPL a 75 anni per tumori maligni nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 50000 YPPL 40000 30000 20000 10000 i an ni 95 -9 9 an n an ni 9 -7 9 -8 85 75 i an ni an n 9 -6 9 -5 55 65 i an ni an n 9 -3 -4 9 45 35 i 25 -2 9 an ni i 15 -1 9 an n an n an 0 59 ni 0 fascia d'età Frequenze Annualmente, in Europa76 si hanno 3 milioni di nuovi casi di cancro ed in Italia6 si osservano 270000 casi incidenti. Nel nostro Paese,6 al primo posto nei maschi è la sede polmonare, con 29000 casi/anno, nelle femmine la mammella, con 31000 casi/anno; la mortalità globale corrisponde a 150000 decessi/anno. Negli Stati Uniti, secondo l’American Cancer Society10 la percentuale, rispetto alla sede della neoplasia, è riportata nella seguente tabella, che si riferisce all’anno 2003. nuovi casi % sede maschi femmine mammella 32 colonretto 11 11 linfomi non Hodgkin 4 4 leucemie 3 polmone e bronco 14 12 melanoma cutaneo 4 3 bocca 3 ovaio 4 pancreas 2 2 prostata 33 tiroide 3 rene 3 vescica 6 2 utero (corpo) 6 excluding basal and squamous cell skin cancers and carcinoma in situ 01/0 56 Sopravvivenza La sopravvivenza misura l’efficacia e la diffusione dello screening e del trattamento. Negli U.S.A. la prevalenza dei sopravvissuti al cancro tra il 1971 ed il 2004 è triplicata; tale dato aumenta del 2% ogni anno.83 In tale Paese, la sopravvivenza a cinque anni (esclusi laringe e corpo utero) tra le diagnosi poste nel 1992 e quelle del 1999 è aumentata del 63% (con un massimo del 98% per la prostata).10 In parte, tuttavia, concorrono a tale andamento il lead time bias (v.) e l’evidenziazione allo screening di neoplasie che non si sarebbero mai manifestate clinicamente. In Italia si verifica un allineamento con l’UE;6 tuttavia, la sopravvivenza nel nord è maggiore rispetto a quella nel sud, e ciò riguarda quei tumori che rispondono alle terapie.6 La sopravvivenza a lungo termine (a 5 e a 10 anni dalla diagnosi), in Italia, negli ultimi due decennî del XX secolo è passata dal 30-35% al 40-45%.6 La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi, a Torino, corrisponde,77 nei maschi al 39% e nelle femmine al 56%, a causa del peso della migliore prognosi del cancro della mammella rispetto a quello del polmone. Prevalenza I trend osservati circa l’incidenza (aumento) e la mortalità (diminuzione), con l’allargamento della “forbice” tra i due indicatori, nonchè l’aumento della sopravvivenza, fanno sì che aumenti la prevalenza delle neoplasie. I pazienti/soggetti aventi od aventi avuto una storia di cancro sono, in Italia,6 1400000; vi sono più casi prevalenti tra le femmine, per le caratteristiche di sopravvivenza del cancro della mammella e per la maggiore longevità generale, che tra i maschi.10 I casi prevalenti europei sono circa 6 milioni.76 Ricoveri In conclusione, alla luce delle dinamiche epidemiologiche che abbiamo descritto, vale la pena di ricordare il fatto che i ricoveri per tumore in Piemonte77 rappresentano il 14% sul totale dei ricoveri, il 16% dei giorni di degenza totali ed il 17% dei pesi DRG. Le emigrazioni per cancro dalla regione costituiscono il 7.8% ed avvengono specialmente verso la Lombardia; al contrario, le immigrazioni per cancro costituiscono il 6%.77 Il 50% dei ricoveri chirurgici per neoplasia si verifica in 12 dei 110 ospedali della regione.77 Sistematica della mortalità Analisi condotta a cura della s.s. Epidemiologia e Unità Valutazione Organizzazione Screening, Dipartimento Screening Oncologico n. 7; 01/0 57 fonte: BDM Regione Piemonte. Sono riportati i rapporti standardizzati di mortalità (SMR) ed i relativi limiti di confidenza per una probabilità fiduciale p=0.05 rispetto ai tassi di mortalità per neoplasia rilevati nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000. Stomaco. Anche in Piemonte si è osservata la costante diminuzione77 dell’incidenza; è costante la diminuzione77 della mortalità. Tassi standardizzati di mortalità per tumore dello stomaco nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 30 TS / 100000 25 20 15 10 5 0 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 1995-1997 1998-2000 periodi PERIODO SMR l.c.l. u.c.l. 1980-1983 118,41 110,40 126,85 1984-1987 123,66 115,28 132,49 1988-1991 116,31 107,74 125,38 1992-1994 112,81 102,69 123,67 1995-1997 115,89 105,24 127,32 1998-2000 119,48 107,83 132,04 an ni 15 -1 9 an ni 25 -2 9 an ni 35 -3 9 an ni 45 -4 9 an ni 55 -5 9 an ni 65 -6 9 an ni 75 -7 9 an ni 85 -8 9 an ni 95 -9 9 an ni 59 an ni 300 250 200 150 100 50 0 0 TG / 100000 Tassi di mortalità per tumore dello stomaco nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età fascia d'età 01/0 58 YPPL a 75 anni per tumore dello stomaco nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età YPPL 5000 4000 3000 2000 ni an ni ni 95 -9 9 an 89 85 - 75 -7 9 an ni ni an 69 65 - 9 55 -5 45 - 49 an an ni ni ni an 35 -3 29 25 - 9 an ni ni an an 9 15 -1 9 5- 0 an ni 1000 0 fascia d'età Colon-retto. In Piemonte si è osservato un aumento77 dell’incidenza, con un ruolo delle mutate abitudini alimentari e dello screening ed una diminuzione77 della mortalità; è in aumento77 la sopravvivenza. Tassi standardizzati di mortalità per tumori del colon e del retto/giunzione retto-sigma nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 20,0 TS / 100000 19,5 19,0 18,5 18,0 17,5 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 1995-1997 1998-2000 periodi PERIODO SMR l.c.l. u.c.l. 1980-1983 1984-1987 88,60 89,74 81,64 82,93 95,98 96,96 1988-1991 83,50 77,18 90,21 1992-1994 89,20 81,74 97,16 1995-1997 1998-2000 96,03 95,31 88,25 87,65 104,31 103,47 01/0 59 Tassi di mortalità per tumori del colon e del retto/giunzione retto-sigma nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia di età TG / 100000 350 300 250 200 150 100 50 0 0 ni an 9 5- ni an 9 -1 15 ni an 9 -2 25 ni an 9 -3 35 ni an 9 -4 45 ni an 9 -5 55 ni an 9 -6 65 ni an 9 -7 75 ni an ni an 9 -8 85 9 -9 95 ni an fascia d'età YPPL YPPL a 75 anni per tumori del colon e del retto/giunzione retto-sigma nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 0 0 ni an 9 5- ni an 9 -1 15 ni an 9 -2 25 ni an 9 -3 35 ni an 9 -4 45 ni an 9 -5 55 ni an 9 -6 65 ni an 9 -7 75 ni an 9 -8 85 ni an 9 -9 95 ni an fascia d'età Polmone. In Piemonte si è vista una lieve diminuzione77 dell’incidenza ed una diminuzione77 della mortalità. Tassi standardizzati di mortalità per tumore di polmone, trachea, bronchi nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 40 35 TS / 100000 30 25 20 15 10 5 0 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 periodi 1995-1997 1998-2000 01/0 60 PERIODO 1980-1983 SMR 67,60 l.c.l. 62,96 u.c.l. 72,50 1984-1987 75,32 70,66 80,21 1988-1991 76,43 71,93 81,14 1992-1994 83,15 77,81 88,76 1995-1997 1998-2000 85,54 91,70 80,14 86,07 91,20 97,61 Tassi di mortalità per tumore di polmone, trachea, bronchi nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età TG / 100000 250 200 150 100 50 0 0 an ni 5- 9 ni an 15 19 an ni 9 -2 25 an ni 35 39 ni an 45 49 an ni 9 an ni -5 55 65 69 an ni 75 79 an ni 9 -8 85 an ni 95 99 ni an fascia d'età YPPL a 75 anni per tumore di polmone, trachea, bronchi nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 12000 YPPL 10000 8000 6000 4000 2000 0 0 n an i 9 5- ni an 15 19 an ni 25 29 an ni 35 39 an ni 45 49 an ni 55 59 an ni -6 65 fascia d'età 9 n an i 75 79 an ni 85 89 an ni 95 99 an ni 01/0 61 Mammella. In Piemonte si è verificato un aumento77 dell’incidenza, in parte verosimilmente legato all’avvio dello screening e della sopravvivenza; è in diminuzione77 la mortalità. Tassi standardizzati di mortalità per tumore della mammella (in femmine) nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 31 TS / 100000 30 29 28 27 26 25 24 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 1995-1997 1998-2000 periodi PERIODO SMR l.c.l. u.c.l. 1980-1983 1984-1987 85,92 90,10 77,69 82,06 94,79 98,72 1988-1991 91,60 83,61 100,15 1992-1994 97,39 88,07 107,43 1995-1997 88,04 79,27 97,52 1998-2000 94,57 85,18 104,70 fascia d'età an ni 95 -9 9 an ni an ni 85 -8 9 75 -7 9 ni an ni an 9 65 -6 9 55 -5 ni 45 -4 9 an ni ni 35 -3 9 an an ni an 9 25 -2 an ni 15 -1 9 59 an ni 300 250 200 150 100 50 0 0 TG / 100000 Tassi di mortalità per tumore della mammella(femmine) nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 01/0 62 01/0 95-99 anni 100 anni e più 90-94 anni 85-89 anni 80-84 anni 75-79 anni 70-74 anni 65-69 anni 60-64 anni 55-59 anni 50-54 anni 45-49 anni 40-44 anni 35-39 anni 30-34 anni 25-29 anni 20-24 anni 15-19 anni 5-9 anni 10-14 anni 0 anni 5000 4000 3000 2000 1000 0 1-4 anni YPPL YPPL a 75 anni per tumore della mammella (in femmine) nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età fascia d'età Utero. In Piemonte è diminuita77,84 l’incidenza del cancro della cervice, già a partire dagli anni ’80, probabilmente a causa dello screening spontaneo;84 costante77 l’incidenza del cancro del corpo; è diminuita77 la mortalità. Tassi standardizzati di mortalità per tumore della cervice uterina nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 2,5 TS / 100000 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 1995-1997 1998-2000 periodi PERIODO SMR l.c.l. u.c.l. 1980-1983 103,25 68,54 149,33 1984-1987 1988-1991 105,45 94,68 66,76 62,85 158,35 136,94 1992-1994 120,05 76,00 180,27 1995-1997 131,45 86,53 191,39 1998-2000 148,58 99,40 213,53 63 Tassi di mortalità per tumore della cervice uterina nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età TG / 100000 12 10 8 6 4 2 i an n ni ni an an 99 89 79 75 - 95 - 9 65 -6 85 - i an ni ni 55 - 45 - 59 49 an an n ni i 39 35 - 29 25 - an an n ni i an an n 19 5- 15 - 0 9 an ni 0 fascia d'età YPPL YPPL a 75 anni per tumore della cervice uterina nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 400 350 300 250 200 150 100 50 0 0 an ni 9 5- ni an 9 -1 15 ni an 9 -2 25 an ni 9 -3 35 an ni 4 49 5- an ni 9 -5 55 ni an 9 -6 65 an ni 9 -7 75 an ni 85 89 an ni 9 -9 95 ni an fascia d'età Prostata. Negli ultimi venti anni, in Piemonte si è verificato un aumento77 (circa il raddoppio) dell’incidenza (v. screening opportunistico) e la diminuzione della mortalità. Tassi standardizzati di mortalità per tumore della prostata nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 25 TS / 100000 20 15 10 5 0 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 periodi 1995-1997 1998-2000 01/0 64 PERIODO SMR l.c.l. u.c.l. 1980-1983 1984-1987 96,37 101,91 85,39 91,04 108,37 113,71 1988-1991 100,73 90,10 112,27 1992-1994 93,02 81,89 105,24 1995-1997 1998-2000 80,90 99,70 70,72 87,99 92,13 112,53 Tassi di mortalità per tumore della prostata nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età T G/1 0 0 0 0 0 --- 600,00 500,00 400,00 300,00 200,00 100,00 an ni 95 -99 an ni an ni 85 -89 an ni 75 -79 an ni 65 -69 an ni 55 -59 an ni 45 -49 35 -39 an ni an ni 25 -29 an ni 15 -19 5-9 0a nn i 0,00 fascia d'età YPPL YPPL a 75 anni per tumore della prostata nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 1600 1400 1200 1000 800 600 400 200 0 0 an ni 9 5- an ni 9 -1 15 an ni 25 29 an ni 9 -3 35 an ni 45 49 an ni 55 59 an ni 65 fascia d'età 69 an ni 75 79 an ni 85 89 an ni 95 99 an ni 01/0 65 Linfoma di Hodgkin. In Piemonte si è verificata una diminuzione77 dell’incidenza; forte aumento77 della sopravvivenza. Tassi standardizzati di mortalità per linfoma di Hodgkin nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 1,6 1,4 TS / 100000 1,2 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 1995-1997 1998-2000 periodi PERIODO SMR l.c.l. u.c.l. 1980-1983 95,00 68,41 128,48 1984-1987 1988-1991 108,29 90,65 75,36 56,04 150,71 138,68 1992-1994 101,13 56,49 166,96 1995-1997 105,48 58,92 174,13 1998-2000 81,28 38,85 149,65 Tassi di mortalità per linfoma di Hodgkin nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età TG / 100000 6 5 4 3 2 1 0 0 ni an 5- 9 n an i -1 15 9 n an i 9 -2 25 ni an -3 35 9 n an i -4 45 9 n an i 9 -5 55 ni an -6 65 fascia d'età 9 n an i -7 75 9 n an i 9 -8 85 ni an -9 95 9 n an i 01/0 66 YPPL YPPL a 75 anni per linfoma di Hodgkin nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 350 300 250 200 150 100 50 0 0 n an i 5- 9 ni an -1 15 9 n an i 9 -2 25 ni an -3 35 9 n an i -4 45 9 n an i -5 55 9 ni an -6 65 9 n an i 9 -7 75 ni an -8 85 9 n an i -9 95 9 n an i fascia d'età Linfomi non-Hodgkin. In Piemonte sono aumentate77 tanto l’incidenza che la sopravvivenza. Esiste una consistente misclassificazione, nelle schede di morte, tra i linfomi Hodgkin e non Hodgkin; ciò determina la presenza di limiti informativi circa la mortalità. Tassi standardizzati di mortalità per linfomi non Hodgkin nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 6 TS / 100000 5 4 3 2 1 0 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 1995-1997 1998-2000 periodi PERIODO 1980-1983 SMR 86,99 l.c.l. 68,03 u.c.l. 109,60 1984-1987 91,14 74,13 110,90 1988-1991 80,94 67,29 96,53 1992-1994 1995-1997 87,11 81,23 71,89 67,15 104,60 97,39 1998-2000 79,16 66,06 94,09 01/0 67 Tassi di mortalità per linfomi non Hodgkin nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età TG / 100000 35 30 25 20 15 10 5 0 0 n an i 5- 9 ni an -1 15 9 n an i -2 25 9 n an i -3 35 9 n an i -4 45 9 ni an -5 55 9 n an i -6 65 9 ni an -7 75 9 n an i -8 85 9 ni an -9 95 9 n an i fascia d'età YPPL YPPL a 75 anni per linfomi non Hodgkin nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 1000 900 800 700 600 500 400 300 200 100 0 0 an ni 5- 9 ni an 15 -1 9 an ni 25 29 n an i 9 -3 35 an ni 45 49 an ni -5 55 9 an ni 65 -6 9 an ni 75 79 n an i 85 -8 9 an ni 95 99 an ni fascia d'età Leucemie. Circa la leucemia linfatica acuta, spec. bambini, e la cronica, adulti, in Piemonte si è avuto un aumento77 dell’incidenza, con una buona77 sopravvivenza (superiore al 60% a 5 anni); per quella mieloide l’incidenza è stabile77 e la sopravvivenza è peggiore34 (20% a 5 anni). Tassi standardizzati di mortalità per leucemie (specificate e non) nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 7 TS / 100000 6 5 4 3 2 1 0 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 periodi 1995-1997 1998-2000 01/0 68 PERIODO 1980-1983 SMR 85,43 l.c.l. 73,15 u.c.l. 99,18 1984-1987 94,85 81,65 109,58 1988-1991 86,64 74,42 100,29 1992-1994 91,10 77,03 106,99 1995-1997 1998-2000 80,38 97,35 67,36 82,69 95,17 113,86 70,00 60,00 50,00 40,00 30,00 20,00 10,00 0,00 0a nn i 5-9 an ni 15 -19 an ni 25 -29 an ni 35 -39 an ni 45 -49 an ni 55 -59 an ni 65 -69 an ni 75 -79 an ni 85 -89 an ni 95 -99 an ni TG/100000-- Tassi di mortalità per leucemie (specificate e non) nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 fascia d'età YPPL a 75 anni per leucemie (specificate e non) nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 1200 YPPL 1000 800 600 400 200 0 0 ni an 9 5- ni an 9 -1 15 an ni 9 -2 25 an ni 9 -3 35 an ni -4 45 9 an ni 9 -5 55 an ni -6 65 fascia d'età 9 an ni -7 75 9 an ni -8 85 9 an ni -9 95 9 an ni 01/0 69 Melanoma. In Piemonte si è osservato un forte aumento77 dell’incidenza; stabile la mortalità. Tassi standardizzati di mortalità per melanoma nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 2,5 TS / 100000 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 1995-1997 1998-2000 periodi PERIODO SMR l.c.l. u.c.l. 1980-1983 75,41 51,86 105,97 1984-1987 1988-1991 87,70 112,72 63,16 87,48 118,62 142,96 1992-1994 84,40 59,06 116,92 1995-1997 104,01 76,09 138,81 1998-2000 93,83 69,13 124,48 TG / 100000 Tassi di mortalità per melanoma nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 16 14 12 10 8 6 4 2 0 0 n an i 9 5- an ni 1 19 5- an ni 2 29 5- an ni 3 39 5- an ni 4 49 5- ni an 5 59 5- an ni 6 69 5- fascia d'età an ni 7 79 5- an ni 8 89 5- an ni 9 99 5- an ni 01/0 70 YPPL a 75 anni per melanoma nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 600 YPPL 500 400 300 200 100 0 0 ni an 5- 9 n an i -1 15 9 n an i 9 -2 25 ni an -3 35 9 n an i -4 45 9 n an i 9 -5 55 ni an -6 65 9 n an i -7 75 9 n an i 9 -8 85 ni an -9 95 9 n an i fascia d'età Vescica. Tassi standardizzati di mortalità per tumore della vescica nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 8 7 TS / 100000 6 5 4 3 2 1 0 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 1995-1997 1998-2000 periodi PERIODO 1980-1983 SMR 86,76 l.c.l. 75,58 u.c.l. 99,13 1984-1987 84,18 73,74 95,68 1988-1991 85,89 75,43 97,39 1992-1994 89,56 77,61 102,83 1995-1997 1998-2000 105,44 94,62 91,82 81,27 120,51 109,53 01/0 71 Tassi di mortalità per tumore della vescica nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età TG / 100000 120 100 80 60 40 20 0 0 an ni 9 5- ni an 15 -1 9 ni an 25 -2 9 n an i 35 -3 9 ni an 45 -4 9 n an i 55 -5 9 n an i 65 -6 9 an ni 75 -7 9 an ni 85 -8 9 an ni 95 -9 9 an ni fascia d'età YPPL YPPL a 75 anni per tumore della vescica nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 1400 1200 1000 800 600 400 200 0 0 n an i 9 5- an ni -1 15 9 an ni -2 25 9 n an i 3 39 5- an ni -4 45 9 an ni 5 5 5- 9 an ni 6 69 5- an ni -7 75 9 n an i 8 8 5- 9 an ni 9 -9 95 an ni fascia d'età Pleura. Tassi standardizzati di mortalità per tumore della pleura nella provincia di Cuneo: trend 1980-2000 2,0 1,8 TS / 100000 1,6 1,4 1,2 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 1980-1983 1984-1987 1988-1991 1992-1994 periodi 1995-1997 1998-2000 01/0 72 PERIODO 1980-1983 SMR 87,38 l.c.l. 63,44 u.c.l. 117,37 1984-1987 65,11 44,77 91,49 1988-1991 50,48 34,02 72,11 1992-1994 71,34 51,59 96,14 1995-1997 1998-2000 53,39 65,68 35,99 46,44 76,27 90,21 TG / 100000 Tassi di mortalità per tumore della pleura nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 14 12 10 8 6 4 2 0 0 an ni 9 5- ni an 9 -1 15 ni an 25 29 an ni 35 39 an ni 45 49 an ni 9 -5 55 ni an 9 -6 65 an ni 75 79 an ni 85 89 an ni 95 99 ni an fascia d'età i i an n an n 89 99 95 - 75 -7 9 85 - i fascia d'età an ni i an n an n 59 69 65 - 55 - i 45 -4 9 an n 39 35 - an ni i i an n 29 25 - 15 -1 9 an n an n 9 5- an n i i 450 400 350 300 250 200 150 100 50 0 0 YPPL YPPL a 75 anni per tumore della pleura nella provincia di Cuneo nel periodo 1980-2000: distribuzione per fascia d'età 01/0 73 Prevenzione Primaria Come descritto nella sezione relativa all’etiopatogenesi, il cancro è una patologia multifattoriale; si stima che tre quarti delle neoplasie dipendano da influenze ambientali6 e che i determinanti di rischio modificabili siano alla base del 40% dei tumori.76 La prevenzione primaria consiste nella riduzione dell’esposizione ai risk factors;85,86,87 la sua importanza è apparentemente minimizzata dalla difficoltà di quantificarne l’impatto6 a causa del concorrere di confondimenti, delle tempistiche necessarie e, spesso, della mancanza di disponibilità degli strumenti che forniscono dati precisi di incidenza dei tumori (v. basi di dati). Le priorità evidenziate da parte del Ministero6 attraverso specifiche lineeguida, vengono di seguito elencate: 1. 2. 3. 4. 5. azioni volte a ridurre l’abitudine al fumo; interventi sui temi di alimentazione ed alcool; si osserva come l’incidenza del cancro in popolazioni migrate tra Paesi con diversi stili alimentari tenda a portarsi sui valori proprî di quelli di immigrazione.88,89 Esiste un buon livello di evidenza preventiva per una dieta ricca di frutta e verdura e per un consumo di alcolici solo in moderata quantità.77 Il livello di evidenza è discreto rispetto ad una limitazione dei grassi al di sotto del 30% delle calorie totali (con riferimento ai grassi animali, forse solo per alcune componenti quali gli ormoni nel latte; non a quelli vegetali),88,90 una riduzione dei grassi saturi al di sotto del 10% delle calorie totali, una dieta povera di carne rossa (vantaggiosa anche sul piano della prevenzione cardiovascolare; tuttavia il consumo di grasso è anche correlato al prodotto nazionale lordo, che a sua volta si correla ad importanti fattori di rischio per diversi cancri, come i profili riproduttivi e l’obesità; in tal modo si introduce un possibile ruolo del confondimento),88 un mantenimento del peso forma, una diminuzione dell’assunzione dei nitriti in carni affumicate, dei cibi sotto sale, ecc.;77 prevenzione delle malattie infettive (attraverso l’adozione di stili di vita favorevoli; vaccinazioni, es. contro l’HBV che riduce l’incidenza del carcinoma epatocellulare; vedasi circa la vaccinazione contro l’HPV91-93); intervento sulle esposizioni occupazionali; programma nazionale Radon; 01/0 74 6. 7. 8. prevenzione delle radiazioni ionizzanti iatrogene; prevenzione dall’esposizione all’UV (opportuni stili di vita, trattamenti estetici, ecc.); attenzione all’esposizione ai cancerogeni ambientali (inquinamento veicolare, ecc.). Fumo e carcinoma broncogeno Tobacco use is the leading preventable cause of mortality worldwide.94 Il fumo di sigaretta è alla base dell’aumento del rischio per almeno otto sedi di cancro: polmone, laringe, orofaringe, esofago, stomaco, pancreas, rene e vescica, nonchè causa probabile di leucemie acute, tumori della cervice uterina, di colonretto, fegato e delle forme più aggressive prostatiche.94 I principali fattori di rischio per il carcinoma broncogeno31,95-7 sono in primo luogo (è attribuibile ad esso l’80% dei casi)96 il fumo di sigaretta (Guide to Community Preventive Services: Sistematic Reviews and Evidence-Based Recommendations),98 l’esposizione professionale ad asbesto, arsenico, cromati (cromo esavalente), nickel, cadmio, etere clorometile, formaldeide, terpeni, biossido di silicio, emissioni di forni a carbone, emissioni diesel, ecc., le radiazioni, l’inquinamento atmosferico (con ruolo meno chiaro: è stimato che ad esso sia dovuto l’1-2% del totale dei casi96 a causa della grande preponderanza del ruolo del fumo), il gas 222 radon (vedi rapporto di mortalità proporzionale) e le dinamiche che conducono all’insorgenza degli scar carcinomas (sarcoidosi, sclerodermia, fibrosi polmonare interstiziale). I principali, tra i circa 40 cancerogeni presenti nel fumo di tabacco, sono96 il benzo(a)pirene, il dibenz(a)antracene, alcune nitrosamine specifiche del tabacco (si noti come il fumo di sigaro presenti in concentrazione superiore i nitrati precursori), il nickel, il cadmio, il 210Polonio, l’idrazina, il residuo e la fase gassosa. Il rischio assoluto (per cancro broncogeno) da fumo, entro 75 anni d’età,95 è di seguito rappresentato: non fumatori ex fumatori fumatori < 5 sigarette/die > 25 sigarette/die stop entro 30 anni stop entro 60 anni maschi 0.6% 6.5% 13.8% 1.8% 20.1% 3.4% 10.2% femmine 0.4% 1.4% 2.6% 0.5% 6.4% 1.1% 1.9% L’inizio del tabagismo prima dei 15 anni di età raddoppia il rischio.96 01/0 75 01/0 Il fumo passivo (environmental tobacco smoke) aumenta del 20% il rischio di cancro broncopolmonare rispetto alla condizione di non fumatore,31 sostenendo il 25% dei cancri broncogeni dei non fumatori.96 A seguire, si riporta la carta del rischio assoluto (per cancro broncogeno) da fumo, nei 10 anni successivi e nei maschi:95 Età (anni) 40-44 non fumatori MB ex 30 aa MB fumatori, 40 aa stop a: 50 aa 60 aa fumatori MB MB (molto basso): <0.5% L (lieve): 1.5-2.9% A (alto): 6.0-9.9% 45-49 MB MB MB 50-54 MB MB B B 55-59 MB B B L 60-64 MB B B M L M M B (basso): 0.5-1.4% M (moderato): 3.0-5.9% MA (molto alto): >=10.0% 65-69 MB L L M A A 70-74 B M M A MA MA Circa le femmine, si veda la seguente tabella:95 Età (anni) 40-44 non fumatrici MB ex 30 aa MB fumatr., 40 aa stop a: 50 aa 60 aa fumatrici MB MB (molto basso): <0.4% L (lieve): 0.7-1.1% A (alto): 1.4-1.8% 45-49 MB MB MB MB 50-54 MB MB MB 55-59 MB MB MB B 60-64 MB B B L B B L B (basso): 0.4-0.6% M (moderato): 1.2-1.3% MA (molto alto): >=1.9% 65-69 MB L B L A A 70-74 B L L A MA MA Il rischio relativo (per cancro broncogeno) da fumo è:95 non fumatori ex fumatori fumatori maschi 1 11.2 23.7 femmine 1 2.7 5.1 Il rischio relativo da fumo negli ex fumatori, per età di cessazione, è95 30 anni 40 anni 50 anni 60 anni maschi 4.9 5.6 8.9 12.7 femmine 1.8 2.1 2.4 2.7 76 L’effetto dell’interruzione del fumo a diverse età sul rischio cumulativo percentuale di decesso per cancro del polmone è descritto nella seguente figura.99 EFFECTS OF STOPPING SMOKING AT VARIOUS AGES ON THE CUMULATIVE RISK (%) OF DEATH FROM LUNG CANCER UP TO AGE 75 16 CUMULATIVE RISK (%) 14 12 NON-SMOKERS 10 STOPPED AGE 30 STOPPED AGE 40 8 SPOPPED AGE 50 STOPPED AGE 60 6 CONTINUING SMOKERS 4 2 0 45 50 55 60 65 70 75 AGE Il rischio relativo (per cancro broncogeno) da fumo, per numero di sigarette fumate/die corrisponde a:95 n. <5 5-14 15-24 >25 maschi 3.0 13.9 26.8 35.9 femmine 0.7 4.2 5.5 12.0 Secondo i dati del Cancer Prevention Study II trial, il fumo di un pacchetto di sigarette al dì per 30 anni aumenta la mortalità per cancro broncogeno di 20-60 volte nei maschi e di 14-20 volte nelle femmine; il rischio raddoppia per ulteriori dieci anni di esposizione (40 anni).96 In effetti, rispetto al rischio di cancro broncopolmonare riveste un ruolo maggiore la durata dell’esposizione rispetto all’intensità (numero di sigarette fumate) della stessa.96 Al triplicarsi del numero di sigarette, infatti, corrisponde il triplicarsi del rischio, mentre al triplicarsi del tempo di esposizione fa seguito il centuplicarsi del rischio.96 Circa il fumo di sigaro, il rischio relativo per tumore del polmone è 5.1, con intervallo di confidenza di 4.0-6.6.94 01/0 77 Prevenzione Secondaria Screening The best treatment of cancer is its prevention (F.L. Meyskens Jr).24 The goal of cancer screening is a very practical one –to detect cancer at an early stage when it is treatable and curable. 98 Gli screening (…) possono individuare e selezionare, tra persone apparentemente sane, quante hanno probabilmente una malattia, da quelle che probabilmente non l’hanno.99,100 Lo screening è solo un esame iniziale e i partecipanti, se risultati positivi al test, necessitano di un secondo esame, diagnostico.99,101 L’obiettivo dello screening è quello di ridurre la mortalità per malattia tra le persone sottoposte al test attraverso il trattamento precoce dei casi scoperti.101,104 Dal punto di vista semantico, con il termine screening si fa talvolta riferimento ad ambiti varî e diversi da quello oggetto della presente trattazione (estensioni);101 ci si può riferire a test eseguiti su paziente sintomatico in cui la diagnosi non è ancora stabilita, a test con finalità tossicologica su una certa molecola, a studî di prevalenza (senza immediati obiettivi di controllo delle patologie), oppure al lavoro di identificazione di soggetti esposti ad un rischio di contrarre una patologia (cd. screening per un risk factor). Uno screening si basa su alcuni principî.85-87,101,103,105 La patologia cercata deve rappresentare un importante problema di salute. Ciò non esclude che la stessa possa presentare bassa prevalenza (es. fenilchetonuria). Dev’esservi una fase di latenza pre-clinica, asintomatica, della patologia; essa deve essere diagnosticabile. La prevalenza P di tale fase è P = I . d della fase di latenza pre-clinica, asintomatica. P è funzione f1 dell’adesione allo screening e funzione f2 della frequenza dello screening. Per le patologie in cui è possibile una diagnosi tempestiva ma solo sintomatica, si parla di “diagnosi tempestiva” (early detection).24 La durata d della fase di latenza pre-clinica, asintomatica, della patologia dev’essere conosciuta al fine di definire la frequenza dello screening. La durata relativamente lunga di tale fase è un motivo per cui lo screening si rivolge quasi esclusivamente alla patologia cronico-degenerativa. Deve essere disponibile un test (test di screening) valido ed affidabile (validità ed affidabilità vanno dimostrate su una popolazione apparentemente sana). Si ricorda come per il test di screening sia indispensabile soprattutto un’alta specificità;106 per gli approfondimenti diagnostici, soprattutto un’alta sensibilità.106 Il test dev’essere accettabile per la popolazione (basse invasività e cruenza, mancanza di effetti collaterali immediati e a distanza). 01/0 78 01/0 Dev’esservi una terapia accettabile per i pazienti cui sia stata posta la diagnosi precoce. Devono esistere linee-guida, o protocolli diagnostici e terapeutici per i casi screen-detected. In particolare, devono essere previste le decisioni sulle lesioni borderline. Dev’essere un processo continuo, fondato su un programma che tenga conto tanto dell’esecuzione dello stesso quanto delle esigenze di formazione ed aggiornamento del personale dedicato, della disponibilità e dell’adeguamento delle strutture, del controllo di qualità scientifico ed organizzativo. Devono essere valutati i costi rispetto alla spesa sanitaria possibile. Lead time.101 Anticipazione diagnostica, o intervallo di tempo tra identificazione della patologia con (screen detected) o senza (symptom detected) lo screening; è misura della precocità della diagnosi. Non è misurabile sul paziente ma come confronto delle distribuzioni nel gruppo di studio e in quello di controllo. I casi symptom detected, in presenza di un programma di screening, risulteranno a carico dei soggetti (1) non aderenti, (2) non aderenti al protocollo dopo lo screening, (3) “casi intervallo”, (4) non ancora invitati (all’avvio del programma). Durata d della fase di latenza pre-clinica, asintomatica.101 Più è lunga, più può essere lungo l’intervallo tra i test successivi (intervallo di rescreening, che condiziona la frequenza dello screening). Ad es. sulla base dei risultati di varî programmi di screening (età 20-64 anni) per il carcinoma della cervice uterina, per il quale la durata della fase preclinica è lunga, si osserva che con intervallo inferiore a 3 anni non si ha un sostanziale beneficio:101,105,107 intervallo (anni) no screening 5 3 1 tasso forme invasive età aggregate 25-64 anni/100000 1575 258.6 138.9 105.2 diminuzione % tasso forme invasive n. test di screening da effettuare tra 20 e 64 anni 83.6 91.2 93.3 9 15 45 Effetto di screenings periodici sull’incidenza del tumore in una popolazione.108 Le seguenti figure illustrano il rapporto tra l’attività di screening e l’incidenza della patologia neoplastica. 79 01/0 i2 i4 incidenza i6 i1 i3 i5 i7 t1 t2 t3 tempo Tre screenings, rispettivamente ai tempi t1, t2 e t3. i1: incidenza pre-screening del tumore nella popolazione. i2: a t1 l’incidenza aumenta grazie ai casi screen detected. i3: l’anticipazione diagnostica (lead time) della fase di screening fa sì che l’incidenza post-screening sia i3<i1. Progressivamente i3 aumenta, in assenza di screening, tendendo a tornare al valore di pre-screening. i4: a t2 l’incidenza aumenta grazie ai casi screen detected, ma fino ad un valore di i4<i2, partendo da un valore inferiore di i3 rispetto a i1. i5: v. i3. i6: v. i4. Effetto di un programma di screening sull’incidenza del tumore in una popolazione con copertura e adesione totale. incidenza i2 i3 i1 i4 tx tempo 80 i1: incidenza pre-screening del tumore nella popolazione. i2: a tx, con l’avvio del programma, l’incidenza aumenta grazie ai casi screen detected. i3: nel corso degli anni l’incidenza tende a riportarsi sui valori pre-screening i4, ma vengono identificate lesioni sempre più anticipate (lead time) fino ad un limite dato dalla sensibilità del test e dalla natura del tumore (durata d della fase di latenza pre-clinica, asintomatica). i4: i4= i1. (s.s. Epidemiologia e Unità Valutazione Organizzazione Screening, Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte) Valutazione dell’efficacia dello screening.101,105 Raramente i benefici di uno screening sono immediatamente evidenti (es. difetti vista e udito in età pediatrica). La valutazione dell’efficacia è presupposto all’adozione dello screening nella popolazione. Gli indicatori fondamentali di effectiveness sono le diminuzioni di incidenza e mortalità del tumore.75 Secondo il National Cancer Policy Board e l’Institute of Medicine, entro il 2015 la diffusione di modificazioni comportamentali e di tecnologie di screening condurrà ad una diminuzione del 19% dell’incidenza e del 29% della mortalità per cancro.100 Livelli di evidenza (levels of evidence). L’entità dell’evidenza diminuisce in successione, nell’ordine di seguito riportato.18,106 1. Evidence obtained from randomized controlled trials (RCT). Studî sperimentali, con misura di incidenza/mortalità. Sono necessarî prima di avviare la routine; i risultati debbono essere estrapolabili (le condizioni della sperimentazione devono essere riproducibili nel servizio sanitario).75 2. Evidence obtained from nonrandomized controlled trials. 3. Evidence obtained from cohort or case-controlled studies. Studî di coorte (longitudinali prospettivi); misura di incidenza/mortalità in soggetti sottoposti a screening e non (rischio assoluto, rischio relativo, rischio attribuibile). Studî caso-controllo (longitudinali retrospettivi); analisi dell’esposizione allo screening in casi e controlli (stima del rischio relativo od odds ratio). 4. Evidence from ecologic and descriptive studies. Valutazione della correlazione tra adesione allo screening ed incidenza/mortalità nella popolazione a tempi diversi o in diverse popolazioni. 5. Opinions of respected authorities based on clinical experience or reports of expert committees. Gli studî non sperimentali sono suscettibili di errore sistematico (bias). Esistono diverse varietà di bias nell’ambito degli screening. 01/0 81 Lead time bias. I casi screen detected hanno un’anticipazione diagnostica rispetto a quelli symptom detected. Se l’anticipazione diagnostica non ha in realtà effetto sulla sopravvivenza / storia naturale della patologia a causa dell’assenza di terapia efficace,7,106 la prevalenza dei sopravviventi aumenta artificialmente. In definitiva, viene a prolungarsi solo il periodo temporale di consapevolezza della propria condizione da parte dei pazienti. Lenght bias. È possibile che lo screening identifichi maggiormente quei casi con una fase di latenza pre-clinica asintomatica più lunga; tale condizione può per sua natura condizionare una fase clinica più lunga (minore aggressività) e quindi una sopravvivenza maggiore. Ecco perchè la sopravvivenza non è adatta alla valutazione dell’efficacia degli screening. Healthy-screenee bias. Bias di selezione, come in qualsiasi studio che usi volontarî, i quali possono godere di un migliore livello culturale e di consapevolezza sui temi di salute, che li seleziona, orienta verso lo screening ed al tempo stesso li rende più disponibili a modificare l’esposizione ai risk factors, più attenti rispetto ai sintomi, dotati di una maggiore compliance rispetto alla terapia, tutti fattori che, indipendentemente dallo screening, aumentano la sopravvivenza. Va detto che lo screening può in certi soggetti individuare neoplasie che comunque non si sarebbero clinicamente evidenziate per tutto il corso della vita; in tal senso potrebbe leggersi l’aumento della sopravvivenza a cinque anni per tumore della prostata negli U.S.A., tra gli anni ’70 (67%) e gli anni ’90 (98%).10 Spesso le valutazioni dell’efficacia degli screening in termini di riduzione di incidenza e mortalità presuppongono molti anni di studio (fino a 15 o più).108 Ecco perchè sono stati definiti gli indicatori di processo.101 Gli indicatori di processo dei programmi di screening si basano sui risultati intermedî; non forniscono evidenza di efficacia ma indicazione di come il programma stia funzionando. Indicatori di processo di tipo diretto sono rappresentati da copertura, validità e predittività del programma (compresi detection rate e tasso di cancri intervallo), adeguatezza della diagnosi di secondo livello e della terapia; esistono poi indicatori di processo di tipo indiretto (es. intervallo test-referto, ecc.). Per ogni indicatore è previsto uno standard di riferimento; vi sono standard accettabili e desiderabili, il cui raggiungimento rappresenta la base per operare la valutazione di processo. 01/0 82 Caratteristiche del test di screening7,100,105 sono la validità, l’affidabilità e la resa. La validità (validity) è la capacità del test di classificare correttamente i sani come sani ed i malati come malati.100,105 I determinanti della validità sono la sensibilità e la specificità.100,105 risultato del test di screening + - verità malato sano Veri Positivi Falsi Positivi Falsi Negativi Veri Negativi totale malati totale sani totale + totale totale soggetti o test screening Sensibilità: capacità del test di screening di identificare i malati (prima colonna della tabella) = VP / totale malati (VP+FN) % Aumenta al tendere a 0 di FN (VP/VP=1, 100%). Specificità: capacità del test di screening di identificare i sani (seconda colonna della tabella) = VN / totale sani (VN+FP) % Aumenta al tendere a 0 di FP (VN/VN=1, 100%). Malati (VP) 01/0 83 Malati (VP) Per uno spostamento del cut-off a destra si avrà aumento della specificità (diminuiscono i FP) e diminuzione della sensibilità (aumentano i FN). Malati (VP) Per uno spostamento del cut-off a sinistra si avrà aumento della sensibilità (diminuiscono i FN) e diminuzione della specificità (aumentano i FP, per i quali ho però disponibile l’approfondimento diagnostico). Il valore predittivo di un risultato è l’effettiva capacità predittiva del risultato del test rispetto alla reale condizione di malattia o di salute. V. P. Positivo, di un risultato positivo del test (prima riga della tabella) = VP / totale + (VP+FP) % V. P. Negativo, di un risultato negativo del test (seconda riga della tabella) = VN / totale - (VN+FN) % È importante ricordare come, date sensibilità e specificità, VPP e VPN dipendono dalla prevalenza P della malattia, come è illustrato nella seguente figura. 01/0 84 Con un’alta P aumenta VPP e diminuisce VPN; con una bassa P aumenta VPN e diminuisce VPP. Un accettabile VPP inizia intorno ad una prevalenza del 15%. L’accuratezza (accuracy)100 è la misura percentuale dei risultati corretti, tanto positivi che negativi. = VP+VN / VP+FP+VN+FN % L’affidabilità (reliability) consiste nella stabilità, ripetibilità, precisione. Dipende da variazioni nel metodo, da variazioni intra-osservatore (in misurazioni ripetute) e da variazioni inter-osservatori. La resa (yield) è la quantità di malattie asintomatiche identificate dallo screening e condotte a terapia. Sempre più frequentemente gli studî epidemiologici includono il number needed to treat (NNT). Questo, per gli screening dei tumori (NN to screen) è generalmente piccolo, spesso nel range di 5 o meno soggetti beneficiati per 5000 screenati.100 Ciò va tuttavia considerato alla luce della straordinaria importanza che riveste l’obiettivo dello screening, ossia la diagnosi precoce, con tutte le implicazioni su mortalità e sopravvivenza. Casi intervallo101,105 Si tratta di casi di cancro che compaiono clinicamente nell’intervallo tra due tests, (1) perchè al primo test non erano evidenziabili o (2) perchè al primo test erano falsi negativi (falsi negativi mammografici possono superare il 15%).18 L’Health Insurance Plan (H.I.P.) of Greater New York study fu caratterizzato dall’insorgenza di 302 carcinomi della mammella nel braccio sperimentale; questi si verificarono, 116/302 in non aderenti, 132/302 come screen detected e 54/302 come casi intervallo: allora (anno 1963) la sensibilità della mammografia era tuttavia di qualità scadente rispetto agli standard odierni.109 Ancora oggi, tuttavia, some tumors are 01/0 85 simply not visibile on mammography.110 Le linee-guida europee raccomandano (accettabile) che essi risultino inferiori a 6/10000 donne screenate, entro l’anno successivo al test.109 L’individuazione dei casi intervallo si avvale dell’esistenza di un registro tumori (v. basi di dati) o di strumenti alternativi, quali l’impiego dei dati correnti (archivio delle schede di dimissione ospedaliera, SDO, da incrociare con quello dello screening attraverso un’adeguata chiave di linkage) o la creazione di un archivio di patologia (attraverso la raccolta dei referti istologici presso le strutture di anatomia patologica del territorio). Detection rate: tasso di identificazione del tumore nella popolazione. È necessario per calcolare sensibilità, valore predittivo ed anticipazione diagnostica del programma. Distribuzione per stadî: indicatore della potenziale riduzione dei tassi di patologia in stadio avanzato (es., per il carcinoma della mammella, aumento della percentuale di lesioni di diametro inferiore a 20 mm e senza coinvolgimento linfonodale). Secondo l’Advisory Committee on Cancer Prevention (anno 2000), lo screening dovrebbe essere offerto solo in programmi organizzati con quality assurance a tutti i livelli;75 lo screening opportunistico non è accettabile, potendo non ottenere i vantaggi potenziali e causare effetti negativi.75 Ad esempio, circa lo screening citologico opportunistico in Italia, surveys di fine anni ‘80 hanno dimostrato come esso riguardasse ca. 1/3 della popolazione6 per lo più con un intervallo di rescreening di 1 anno, per cui il numero di Pap test eseguiti sarebbe stato sufficiente alla copertura dell’intera popolazione in programmi con intervallo di rescreening di 3 anni;6,84 inoltre, spesso con l’esecuzione della colposcopia quale I livello84 e con forti selezioni, specialmente rispetto al livello di istruzione.84 Effetti negativi potenziali degli screening. Consistono in: (1) trattamenti non necessarî su falsi positivi; (2) trattamenti non necessarî (overtreatment) su soggetti che non avrebbero manifestato la fase sintomatica nel resto della vita, o nei quali la neoplasia sarebbe spontaneamente regredita (v. LSIL ed alcuni tumori a scarsa evolutività della mammella, come i carcinomi tubulari);75,107 (3) sovratrattamenti rispetto al momento precoce; (4) effetti collaterali dei test di screening o diagnostici; (5) erroneo senso di rassicurazione (rispetto ai cancri intervallo), per cui bisogna avvisare sempre di ripresentarsi alla comparsa del minimo sintomo;109 (6) conseguenze psicologiche (una mammografia 01/0 86 “falsa positiva” è stata definita dal 5% delle donne come la peggiore esperienza della propria vita.109 In uno studio norvegese i richiami per falsa positività mammografica sono stati il 2.0-3.5% e la frazione di donne richiamata in dieci rounds il 20.8%; negli U.S.A. il dato è approssimativamente doppio a parità di sensibilità (alla base possono sussistere fattori quali una diversa quality assurance, l’esperienza richiesta ai mammografisti, diversi standard nelle linee guida).111 Adesione. Essa dipende da diversi fattori condizionanti, quali6,107 l’età (adesione minore in età avanzate), lo stato civile (minore in nubili, divorziati, ecc.), lo stato socioeconomico (minore in quello basso), la frequenza di contatto coi servizî sanitarî, timori circa gli effetti delle radiazioni o della compressione della mammella (screening mammografico), l’ansia per l’attesa del risultato, la mancanza di fiducia nello screening, nella terapia, nei servizî sanitarî, limiti organizzativi (distanza, orari, ecc.), l’immagine prodotta dai mass media. Documenti di riferimento e normativa essenziale rispetto agli screening oncologici vengono richiamati nella Bibliografia.6,75,79,112-25 Prevenzione del cancro della cervice uterina Il canale endocervicale,15,126,127 nel collo dell’utero, è costituito da una tonaca mucosa il cui epitelio di rivestimento è batiprismatico semplice con cellule secernenti a muco e (rare) ciliate; la lamina propria è di tessuto connettivo fibrillare denso ricco di fibroblasti e fibre collagene, nel cui contesto aumentano, dall’orifizio uterino interno all’esterno, le ghiandole cervicali (tubulari ramificate di analoghe cellule secernenti a muco). All’orifizio uterino esterno si ha il brusco passaggio alla tonaca mucosa dell’esocervice,15,126,127 con epitelio di rivestimento pavimentoso stratificato non corneificato e lamina propria priva di ghiandole. Le sedi di sviluppo del tumore sono rappresentate dall’esocervice e dal canale endocervicale. Nell’esocervice128,129 la neoplasia insorge specialmente alla giunzione squamocolonnare (90% dei casi); inoltre, su aree di metaplasia epidermoidale del canale cervicale (endocervice). La neoplasia, nel 95% dei casi, è un carcinoma squamoso (epidermoidale) corneificante (con zaffi di perle cornee), non corneificante (più frequente), od indifferenziato.128,129 Nel 5% dei casi si tratta di un adenocarcinoma.128,129 01/0 87 Risulta di fondamentale importanza considerare le lesioni che precedono il cancro cervicale nella propria evoluzione; le precancerosi128,129 sono rappresentate dalla leucoplasia (con ipercheratosi, paracheratosi, flogosi del derma) e dalla displasia dell’epitelio (con ipercellularità e mitosi specialmente basali, ma con –diversamente dal carcinoma in situconservazione della stratificazione). Questa è rappresentata dai diversi gradi della Cervical Intraepithelial Neoplasia (C.I.N.), C.I.N. 1, o displasia epiteliale lieve, C.I.N. 2, o displasia epiteliale media e C.I.N. 3, o displasia epiteliale grave, che include18 il carcinoma in situ, intraepiteliale preinvasivo per la conservazione della membrana basale (con aumento dello spessore dell’epitelio di rivestimento per ipercellularità e mitosi specialmente basali, perdita della stratificazione e presenza di anaplasia). Nella CIN 1 le mitosi e le atipie sono presenti nel terzo inferiore dell’epitelio, nella CIN 2 nel terzo medio, mentre nella CIN 3 le lesioni si estendono al terzo superiore.130 Da questo origina il carcinoma microinvasivo dello stroma, in cui l’invasione è entro 5 mm (e l’estensione lineare entro 7 mm) dall’epitelio di rivestimento,130 senza invasione dei vasi e con margini negativi alla conizzazione cervicale (risulta necessaria la biopsia del cono). Esso rappresenta circa il 10% delle forme “in situ”; le lesioni che si approfondano meno di 3 mm raramente metastatizzano, mentre quelle tra 3 e 5 mm metastatizzano ai linfonodi pelvici nel 5-10% dei casi.130 Infine, si verifica l’accesso alla componente vascolare dello stroma; la cervice uterina, in particolare, ha una ricca disponibilità di vasi linfatici, organizzati in tre plessi anastomotici nella tonaca mucosa, nella muscolare e nella sierosa; i plessi si riuniscono in tronchi che fuoriescono soprattutto lateralmente dall’istmo.130 Il tumore inizia come erosione sanguinante dell’orifizio uterino esterno, quindi assume aspetto vegetante a cavolfiore in vagina, infiltrante od ulceroso. L’invasione avviene per contiguità verso vagina, utero, parametri, paracolpo, vescica e retto.128,129 Le metastasi avvengono per via linfatica od ematogena.128,129 Quelle linfatiche sono importantissime, in quanto la neoplasia tende a restare pelvica per molto tempo; la diffusione avviene lungo le vie dei legamenti parametriali, cardinali e utero-sacrali. Si distinguono il “gruppo primario” dei linfonodi ipogastrici, iliaci comuni, iliaci esterni e quindi il “gruppo secondario” dei linfonodi sacrali, inguinali, para-aortici e mediastinici. Quelle ematiche sono più tardive e si verificano in un terzo dei casi, interessando prevalentemente il polmone e le ossa. 01/0 88 È utile ricordare come l’adenocarcinoma in situ sia frequentemente multifocale, per cui la valutazione dei margini del cono risulta in questi casi inaffidabile.130 Il 10% delle neoplasie origina nel canale endocervicale. Si tratta di adenocarcinomi di varietà papillare, ulcerosa o nodulare. Di seguito sono riportati gli stadî secondo la Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (F.I.G.O.), e la stadiazione clinica secondo il sistema TNM.131 stadî F.I.G.O. TNM77,131 0: in situ, intraepiteliale Tis I: confinato all’utero IA preclinico solo microscopico T1a IA1 preclinico, invasione stroma < 3 mm T1a1 (profondità) e <= 7 mm (larghezza) IA2 preclinico, invasione stroma 3-5 mm T1a2 (profondità) e <= 7 mm (larghezza) IB preclinico superiore a IA2 T1b o clinico confinato a cervice IB1 clinico <= 4 cm T1b1 IB2 clinico > 4 cm T1b2 II: esteso oltre l’utero N0 M0 (non terzo inferiore vagina, non parete pelvica) IIA estensione al terzo superiore vagina, T2a senza interessamento parametri IIB con interessamento parametri T2b III IIIA estensione a terzo inferiore vagina T3a (non parete pelvica) IIIB estensione a parete pelvica e/o idronefrosi T3b N1 IV: interessamento mucose vescica, retto e/o estensione oltre piccola pelvi IVA T4 ogni N IVB ogni T ogni N M1 TX, NX, MX: non definibili. T0, N0, M0: non segni. M1 comprende la localizzazione nei linfonodi para-aortici. In caso di terapia chirurgica della neoplasia è utile eseguire anche la stadiazione patologica (secondo la nomenclatura pTNM). La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è pari all’80-90% per lo stadio I, al 50-65% per lo stadio II, al 25-35% per lo stadio III ed allo 0-15% per lo stadio IV.18 01/0 89 100% IA1/T1a1N0M0 IVB/M1 Sopravvivenza in base allo stadio a 1 e 5 anni F.I.G.O./TNM132 Il tumore esordisce con metrorragie (inizialmente anche scarse), leucoxantorrea, intenso dolore. Più tardi compaiono idroureteronefrosi da compressione, sepsi, emorragia da invasione dei vasi pelvici, ematuria – stranguria da fistolizzazione vescicale (cistiti, pielonefriti), tenesmo – proctorragia da fistolizzazione rettale.129 Lo screening citologico si effettua attraverso il Papanicolaou (Pap) test. Il grado di evidenza dei vantaggi, secondo il National Cancer Institute (U.S.A., 2005), è buono, riducendo la mortalità da cancro cervicale ed è vantaggioso allorchè avviato entro tre anni dall’inizio dei rapporti vaginali. Circa gli svantaggi, la stessa fonte riferisce di un buon grado di evidenza rispetto a procedure diagnostiche non necessarie, come la colposcopia, e trattamenti di displasie LSIL con conseguenze incerte a lungo termine su fertilità e gravidanza,133 specialmente nei riguardi di donne giovani che hanno una maggiore prevalenza di tali lesioni, le quali spesso regrediscono spontaneamente. L’uso del Pap test si è diffuso prima dell’esecuzione di RCT di efficacia ad hoc, per cui l’evidenza della stessa è stata ottenuta grazie a valutazioni a posteriori dei trend di incidenza e mortalità; pur con tali limiti metodologici la mole e la coerenza dei dati sono assolutamente adeguati.100,107 Nella Regione Piemonte è in atto da alcuni anni un programma di screening dei tumori della cervice uterina denominato Prevenzione Serena; l’esecuzione dello screening da parte di tutte le donne eleggibili in Piemonte consentirebbe di evitare 120 morti all’anno per questo cancro invasivo. Esso previene il 90% dei cancri invasivi del collo dell’utero.75,134 L’età media delle donne affette da cancro invasivo è 15 anni superiore rispetto a quella delle donne con CIN, il che depone per una ridotta velocità di progressione di questo cancro.130 01/0 90 Il rischio assoluto (incidenza) di insorgenza di cancro invasivo in una femmina con 2 Pap test negativi scende a quello della popolazione mai screenata dopo 10 anni (con un livello elevato di protezione per 3-5 anni, anche se la durata di un certo grado di protezione è di 10 anni).107 Il tasso di falsi negativi corrisponde al 20-30% nelle CIN 2-3 ed al 10-15% nel cancro invasivo.130 Circa l’eleggibilità,115,117 sono invitate allo screening le donne residenti di età compresa tra 25 e 64 anni,6 con un intervallo di rescreening pari a 3 anni6 (tali età e frequenza sono raccomandate dalla Commissione della C.E., dall’U.I.C.C., dal C.N.R., dall’A.I.R.C., dalla Commissione Oncologica Nazionale).75,116,134-6 Inoltre, possono aderirvi donne di età superiore a 64 anni che dichiarino di non avere mai effettuato un Pap test116 (anche se sopra ai 60 anni lo screening sortisce un effetto limitato, specie per donne con pregressi Pap test negativi).75 Le indicazioni statunitensi, come detto, prevedono un inizio dello screening dopo tre anni dall’avvio dell’attività sessuale e, comunque, a partire dai 21 anni di età, con un intervallo di rescreening di 1-3 anni.100 In Danimarca, in considerazione del rischio di overtreatment, lo screening è avviato dai 30 anni.100 I criterî di esclusione117 sono stabiliti dai singoli progetti; discrezionalmente, saranno considerati il follow up oncologico, le lesioni intraepiteliali cervicali, le donne isterectomizzate, i casi di grave handicap, la malattia terminale e l’imene integro. Secondo l’American Cancer Society, il Pap test non è necessario nelle donne isterectomizzate, a meno che l’isterectomia non sia stata dovuta ad un cancro cervicale. Le richieste di autoesclusione, per qualunque ragione, dovranno venire espresse in forma scritta. Il I livello dello screening citologico in Prevenzione Serena prevede l’invio di una lettera di invito con opuscolo illustrativo e, in caso di mancata presentazione, di un sollecito.115,117 Non è richiesta l’impegnativa ed è prevista l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria.116 Non si procede allo screening se la donna ha eseguito un Pap test risultato negativo negli ultimi 12 mesi, in caso di gravidanza oltre all’VIII mese, in corso di allattamento o prima di due cicli mestruali dopo il parto e, ovviamente, in presenza di mestruazioni (nel qual caso si sposta l’appuntamento). La donna viene avvisata di evitare l’uso di creme, candelette, ovuli, lavande vaginali nei 5 giorni precedenti al test e rapporti sessuali senza profilattico nelle 24 ore precedenti allo stesso. Il Pap test prevede l’impiego di un divaricatore (speculum). Il prelievo avverrà in esocervice (spatola di Ayre) ed in endocervice (cytobrush); verrà allestito un vetrino, con lo striscio in due parti distinte; se la donna risulta isterectomizzata e non esclusa saranno effettuati due vetrini, per la 01/0 91 cupola vaginale ed i fornici; se virgo, eventualmente si utilizzerà un cotton fioc o la spatola, ma in genere il materiale risulterà di scarsa qualità. Davanti ad impossibilità tecnica o a grave sospetto di presenza di cancro invasivo, l’assistita verrà inviata direttamente alla colposcopia. Il prelievo viene inviato alla lettura, che avverrà in un laboratorio di citologia stabilito nell’ambito del Programma. La seguente sinossi illustra i criterî di valutazione dell’adeguatezza del preparato e le azioni consigliate in caso di un preparato non soddisfacente o con limitazioni interpretative.117,130 soddisfacente: deve riflettere l’istologia sottostante, contenendo cellule provenienti dalla zona di trasformazione107 cattiva fissazione scarsa cellularità citolisi assenza (insoddisfacente) o scarsità insoddisfacente / (limitato da) cellule cilindriche ripetizione Pap test limitato da (endocervicali) o metaplastiche (in (specificare) premenopausa) materiale estraneo sangue oscurante altro flogosi oscurante terapia antiflogistica e ripetizione test La flogosi, se presente,117 potrà essere di origine infettiva, ed in tal caso occorre specificare l’agente, o di origine non specificabile. Nella seguente sinossi sono riportati risultati:117 modificazioni reattive (specificare) da flogosi da distrofia da IUD altro ASCUS AGCUS LSIL (subclassificabile in) HSIL SIL di grado indeterm. carcinoma squamoso adenocarcinoma CTM non ulteriormente specificabili coilocitosi* CIN 1* CIN 1 + coilocitosi* CIN 2 CIN 2 + coilocitosi CIN 3 CIN 3 + coilocitosi 01/0 92 ASCUS: Atypical Squamous Cells of Undetermined Significance AGCUS: Atypical Glandular Cells of Undetermined Significance LSIL: Low grade Squamous Intraepithelial Lesion HSIL: High grade Squamous Intraepithelial Lesion CIN: Cervical Intraepithelial Neoplasia Secondo il sistema di classificazione di Bethesda, le LSIL presentano addensamento nucleare o atipia, senza frequenti mitosi ed anisocariosi, mentre l’HSIL offre un quadro più avanzato, associato agli HPV ad alto rischio.130 * Secondo alcuni Autori,107 questi casi, se riscontrati in donne di età inferiore a 35 anni, andrebbero seguiti dalla ripetizione della citologia a 6 mesi di distanza; a fronte di una conferma andrebbe prevista l’esecuzione di una colposcopia, mentre davanti a 2, 3 negatività in 12, 18 mesi la donna andrebbe rinviata ad un normale intervallo di rescreening. Altri suggeriscono,137 specie nelle giovani, alla luce della nota tendenza alla regressione spontanea delle LSIL e del conseguente rischio di overtreatment, l’esecuzione di una citologia seriale. Per un approfondimento, di rimanda a quanto precisato più avanti ed alla letteratura scientifica sull’argomento (si vedano anche le 2001 Consensus Guidelines for the Management of Women with Cervical Cytological Abnormalities).138 Come anticipato, un aspetto di cruciale importanza nella genesi di queste lesioni neoplastiche è rappresentato dalle infezioni da Papillomavirus Umani (HPV). Sul piano epidemiologico tale osservazione riveste un’importanza notevole. Il rischio di insorgenza del cancro cervicale è infatti aumentato nelle prostitute, nelle donne che hanno il primo coito in giovane età, in quelle con partners multipli, che hanno avuto prole da giovani, con partners maschi dal comportamento sessuale promiscuo, con maschi non circoncisi.130 Il rischio è inferiore, al contrario, nei Paesi islamici, dove il comportamento sessuale delle donne è soggetto a strette regole religiose.130 Nel Regno Unito, ad esempio, a partire dagli anni sessanta si è verificata un’importante diffusione delle malattie a trasmissione sessuale, o Sexually Transmitted Diseases (STD). Se, infatti, i tipi oncogeni di HPV diventarono diagnosticabili solo alla fine degli anni ottanta, l’incidenza delle verruche genitali (HPV 6, 11) aumentò di 6 volte tra il 1971 ed il 1994. In definitiva, si osserva un forte aumento della prevalenza dell’HPV tra gli anni sessanta ed ottanta. A Manchester, uno studio di prevalenza dell’infezione da HPV, relativo al periodo 2001-2003, ha dimostrato valori del 33% tra 20 e 29 anni, del 15% tra 30 e 39 anni, del 9% tra 40 e 49 anni e del 6% tra 50 e 64 anni. I cambiamenti intervenuti nel comportamento sessuale delle donne inglesi sono già leggibili nel fatto che la percentuale di esse ad avere il primo rapporto sessuale prima dei 16 anni è pari all’1% tra le nate nel 1931 ed al 24% tra le nate nel 1974,139 e che la percentuale di donne con una storia 01/0 93 sessuale con cinque o più partners è dell’11% tra le nate nel periodo 19301945 e del 26% tra quelle nate nel periodo 1955-1965.139 Circa la diffusione delle altre STD,139 indicatore indiretto, si ricorda come nel Regno Unito la gonorrea sia triplicata tra il 1960 ed il 1975, per poi diminuire a metà anni ottanta, in coincidenza con l’”effetto-AIDS” ed aumentare nuovamente fino al raddoppio a partire dal 1996; sono stati osservati contemporanei aumenti delle infezioni da Chlamydia, della sifilide e delle infezioni eterosessuali da HIV. Circa la diffusione dell’impiego dei contraccettivi orali rispetto a quelli di barriera,139 nello stesso Paese si è registrato l’aumento dei primi a partire dagli anni sessanta; in donne di 33 anni di età a metà anni ’80, la stima di neoplasie della cervice uterina attribuibile ad essi sarebbe stata del 23%. L’analisi di coorti di nascita ha dimostrato in tale contesto che lo screening organizzato in Inghilterra e Galles ha prevenuto e preverrà l’insorgenza di 11000 cancri invasivi e 5500 morti entro l’anno 2030, corrispondenti, rispettivamente, al 3% ed all’1.5% di tutte le donne di età inferiore a 50 anni nel 2004, entro il raggiungimento da parte delle stesse di 85 anni di età.139 La ricerca dell’HPV-DNA avviene in cellule cervicali esfoliate. Lo Human Papillomavirus (HPV) appartiene alla famiglia Pa-po-va-viridae (comprendente i generi Poliomavirus e Papill-oma-virus, con numerosi tipi specie-specifici all’interno dei Vertebrati);140 dell’Homo sapiens ne sono conosciuti oltre 140 tipi38,41,141 con genomi interamente sequenziati. L’HPV presenta un capside a simmetria icosaedrica, un DNA a doppia elica con open reading frames (ORF);140 i Late Genes codificano le proteine capsidiche L1 e L2;82 gli Early Genes codificano oncoproteine82 (da E1 a E7142), che inattivano i geni oncosoppressori per p53 e Rb.82 L’HPV non codifica una DNA polimerasi, per cui risulta dipendente dalla cellula per la propria duplicazione genomica.41 L’HPV induce tumori epiteliali squamosi e fibroepiteliali, sulla base dello spiccato tropismo verso i cheratinociti.41 Nella mucosa cervicale esso tende a localizzarsi nella zona di transizione tra l’epitelio di rivestimento pavimentoso/squamoso esterno e quello batiprismatico/colonnare del canale endocervicale; l’insorgenza di aree di metaplasia è evidenziabile con CH3COOH 3-5% (cd. epitelio “bianco-aceto”),140 come si effettua in colposcopia al fine di eseguire prelievi bioptici sulle lesioni sospette. La trasmissione si ha per il passaggio dell’HPV tra gli epitelî sessuali. L’incubazione varia da 1 a 20 mesi.40 Si hanno tre possibili forme di infezione,141 come viene sinteticamente schematizzato nella seguente sinossi. 01/0 94 1. - HPV internalizzato da recettori cell. basali;141 HPV-DNA libero140 2. low/highrisk HPV analogam. 3. high-risk HPV analogam., ma HPV-DNA integrato nel genoma cell. basali141 replica solo durante mitosi141 ergo, basso numero copie141 replica anche fuori dalle mitosi141 ergo, alto numero copie141 analogam. analogam. normale maturazione cell. basali a intermedie, a squamose141 esprime proteine virali: aumento mitosi cell. basali. Comparsa CIN 1 (HPV in strati superficiali)141 inattivazione p53 e Rb; comparsa CIN 2,3 e possibile cancro.141 Riduzione (downregulation) dell’espressione molecole MHC I (riconoscim., presentaz. Ag): escape da sorveglianza cellulo-mediata82 L’integrazione non avviene a livello di siti specifici del cromosoma.39 Durante l’integrazione vengono distrutti i geni virali E1 e E2; quest’ultimo esercita una repressione sull’espressione di E6 ed E7 che in tal modo aumentano la sintesi delle rispettive oncoproteine, le quali vanno a legarsi, rispettivamente, alle proteine p53 e Rb.41,130 Ulteriori considerazioni epidemiologiche sono utili al fine di definire in modo più compiuto l’entità del rischio di queste lesioni (si rimanda in tal senso anche alla lettura della parte iniziale, relativa ai risk factors biologici, in etiologia/fattori di rischio). Fino al 70% delle donne sessualmente attive si infetterà nel corso della vita con l’HPV;137,143 quelle mai state sessualmente attive, come anticipato, sono a basso rischio.107 Si ricorda come Rigoni-Stern, nel 1842, riportò al IV Congresso degli scienziati italiani la propria osservazione secondo la quale il cancro cervicale non si verificava nelle suore.141 La prevalenza dell’HPV nella citologia normale è bassa.84 In ragione dell’età, la prevalenza dell’HPV nelle giovani è alta84 (massima nelle adolescenti e fino a 25 anni d’età38) ed alle età intermedie è bassa.84 L’infezione da HPV regredisce spontaneamente in oltre il 70% dei casi.38,130,137 La durata media dell’infezione è pari ad 1-2 anni,84,130 01/0 95 specialmente nella terza decade di età.100 La persistenza del virus si ha nel 10-20% dei casi.35 È inoltre di fondamentale rilievo il fatto che il tempo di evoluzione a cancro delle lesioni precancerose della cervice uterina si attesta sui 20-30 anni.38 Le LSIL vanno incontro a progressione a HSIL nel 20-40% dei casi,137 in un tempo medio di 85,7 mesi.137 Le LSIL, inoltre, regrediscono spontaneamente nel 50-60% dei casi, specialmente nelle donne giovani,137 e fino al 90% nella terza decade di età100 (per cui l’individuazione di LSIL in donne non più giovani potrebbe significare la persistenza della LSIL ed un maggiore rischio di evoluzione a HSIL);137 trattasi pertanto di un’espressione benigna dell’infezione da HPV.137 In casi studiati di donne con citologia negativa e istologia pari o superiore a CIN II, l’80% risultava HPV-DNA positivo 3 anni prima84 e 2/3 HPVDNA positivo 6 anni prima.84 Quindi, la positività per l’HPV-DNA si associa ad un’alta probabilità di sviluppo di HSIL, mentre una negatività ad una bassa probabilità di sviluppo di HSIL.84 Il cancro della cervice è, in pratica legato alla positività dell’HPV-DNA;84 in letteratura l’associazione è riportata nell’85% dei casi142 e oltre. Il tipo 16 è il più prevalente nel carcinoma cervicale squamoso, 142 il tipo 18 nell’adenocarcinoma cervicale.142 La sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi di cancri associati a tali virus142 è dell’84% per il type 16 HPVDNA e del 59% per il type 18 HPV-DNA. La ricerca dell’HPV-DNA100,144 è ipotizzabile per una selezione secondaria della citologia borderline (ASCUS) o di basso grado (LSIL) che, talvolta, ha di fatto istologia di alto grado.6 Infatti, è nota la bassa sensibilità137 della citologia per le lesioni HSIL (spesso risultanti ASCUS o LSIL al Pap test), per cui la ricerca dell’HPV-DNA risulta parimenti specifica ma più sensibile per le lesioni istologicamente gravi rispetto alla ripetizione della citologia;100,144 data la distribuzione di prevalenza delle HSIL, la misclassificazione è più probabile nelle donne più anziane.137 Mentre lo status HPV-DNA alla diagnosi di LSIL non è un buon predittore della regressione, esso lo diviene nel monitoraggio delle stesse LSIL.137,138 La tipizzazione dell’HPV si ottiene mediante Hybrid Capture o PCR.6 L’U.S.-F.D.A. ha approvato l’Hybrid Capture 2 HPV test,141 test HPVDNA per 13 tipi di Papillomavirus che causano carcinoma della cervice uterina (16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68).145 Esso è stato approvato145 per (1) il co-screening con la citologia in donne di età superiore a 30 anni e, (2) il triage della citologia equivoca. Altri cinque tipi dell’HPV (26, 53, 66, 73, 82), che sono più raramente coinvolti, potrebbero essere inclusi in test di prossima generazione, a meno che non si consideri prevalente il rischio di morbosità iatrogena associato (es. l’HPV 53 ha una prevalenza 1/1918 donne: se fosse aggiunto al test la 01/0 96 specificità dello stesso scenderebbe dell’1.7% e su 700000 test ben 10500 donne andrebbero ad approfondimento diagnostico inutilmente).145 Secondo l’American Society for Colposcopy and Cervical Pathology la prevalenza delle anomalie citologiche corrisponde al 7%.138 Sulla base di tale premessa epidemiologica pare opportuno richiamare alcune indicazioni138 rispetto alla gestione delle anomalie citologiche, alla luce della stretta relazione che esiste tra prevalenza, sensibilità come determinante della validità di un test di screening e valore predittivo, che è stata descritta in precedenza. Le ASC risultano le più frequenti forme di anormalità del Pap test consistendo in diverse casistiche U.S.A. nell’1.6-9.0%.130 Circa le ASC individuate allo screening, la probabilità di risultare CIN 2,3 confermata istologicamente è del 5-17%; di risultare carcinoma invasivo confermato istologicamente, dello 0.1-0.2%.138 La citologia ASC-US138 ha pertanto necessità di follow up; risultano accettabili la ripetizione ad intervalli della citologia, la ricerca dell’HPV e l’esecuzione della colposcopia. La ripetizione della citologia ad intervalli, dato che su singolo Pap test di donne ASC si ha bassa sensibilità –pari al 67-85%- della citologia per CIN 2,3, prevede un follow up ad intervalli di 4-6 mesi fino a due negatività consecutive (che comportano l’invio al successivo round di screening) od un ulteriore ASCUS o peggio (che comportano l’invio alla colposcopia). Gli svantaggi consistono in un possibile ritardo della diagnosi di CIN 2,3 o cancro invasivo e nella possibile diminuzione dell’adesione. La ricerca dell’HPV-DNA per gli high-risk types si basa sul fatto che in donne ASC la sensibilità dell’HPV-DNA per CIN 2,3 corrisponde all’83100%, anche se le donne ASC risultano HPV-DNA positive nel 31-60% dei casi. In caso di negatività dell’HPV-DNA si può prevedere l’esecuzione di un Pap test ad 1 anno; in caso di positività, l’avvio alla colposcopia. Gli svantaggi consistono nel richiamo della donna, ovviabile con “reflex testing” su originale citologia liquid-based o su un campione co-collezionato ad hoc. L’esecuzione della colposcopia si fonda sull’evidenza che nelle donne ASC la sensibilità della colposcopia per CIN 2,3 corrisponde al 96%, dato questo però rilevato con colposcopisti esperti e probabilmente inferiore nella routine. In caso di negatività colposcopica si può prevedere l’esecuzione di un Pap test ad 1 anno; a fronte di una positività si considera il trattamento. Lo svantaggio consiste nel rischio potenziale di overtreatment. La condizione ASC-H138 ha probabilità di essere CIN 2,3 confermata istologicamente pari al 24-94%.69 È indicata la colposcopia. 01/0 97 La citologia AGC presenta un rischio maggiore rispetto a ASC e LSIL; la probabilità di essere CIN confermata istologicamente corrisponde al 954% (la CIN è la più comune neoplasia in AGC), quella di risultare adenocarcinoma in situ confermato istologicamente, 0-8%; quella di essere un adenocarcinoma invasivo confermato istologicamente, 1-9%. Circa la varietà AGC favor neoplastic (Bethesda 2001) la probabilità di risultare CIN 2,3, adenocarcinoma in situ, adenocarcinoma invasivo confermati istologicamente corrisponde al 27-96%. Premesso che il Pap test presenta una sensibilità pari ad appena il 50-72% per neoplasia ghiandolare,130,138 e che anche la colposcopia non è molto sensibile in tal senso (canale endocervicale), è indicato un campionamento endocervicale. In caso di negatività all’approfondimento si rimanda a trattazioni specifiche.138 Sul piano epidemiologico la prevalenza delle LSIL negli U.S.A. corrisponde all’1.6%; tale valore sale fino al 7.6% nei gruppi di popolazione ad alto rischio.138 Circa il valore predittivo riferito alla LSIL pare utile richiamare che il cytological grade is a relatively poor predictor of the grade of CIN that will be identified at colposcopy, and approximately 15 to 30% of women with LSIL on cervical cytology will have CIN 2,3 identified on a subsequent cervical biopsy.138 L’indicazione è alla colposcopia; in caso di assenza di lesioni cervicali andrà pensato ad un campionamento endocervicale. Gli svantaggi sono quelli visti per le ASC-US, ma qui risultano ovviamente più marcati in ragione della maggior possibilità di riscontro di anomalie in donne LSIL. Se la biopsia non conferma la CIN si può ripetere annualmente un Pap test (fino a quanto indicato nella trattazione delle ASC-US). Per quanto concerne le HSIL, sul piano epidemiologico la prevalenza di tali quadri corrisponde, negli U.S.A., allo 0.45%. La probabilità delle HSIL di essere CIN 2,3 confermata istologicamente è del 70-75%, CIN 1 confermata ma con successiva conferma di una CIN 2,3 del 35%, carcinoma invasivo confermato istologicamente dell’1-2%.138 L’indicazione anche in questo caso è alla colposcopia, con campionamento endocervicale. Si ricorda infine come il Pap test non abbia ruolo nella diagnosi di carcinoma dell’endometrio; l’eventuale riconoscimento risulta del tutto occasionale.146 In caso di negatività del Pap test, all’assistita viene inviata una comunicazione in tal senso con l’informazione circa un successivo invito da parte del Programma a distanza di tre anni. L’approfondimento di II livello117 in Prevenzione Serena prevede l’invio di una lettera ed eventualmente anche una convocazione telefonica, e di un 01/0 98 sollecito in caso di mancata presentazione all’appuntamento per l’esecuzione della colposcopia e della biopsia superficiale (istologia bioptica) in ogni area colposcopicamente sospetta. Contestualmente viene eseguito un nuovo Pap test. Sulla base dell’istologia bioptica della colposcopia117 valgono le seguenti considerazioni. I dati relativi ai trattamenti emersi nella survey 2003147 del Gruppo Italiano Screening del Cervicocarcinoma mettono in luce come l’approccio see and treat, in assenza di diagnosi istologica, sia stato molto contenuto all’interno dei programmi organizzati. Rispetto alle CIN 1,147 la maggioranza dei casi è stata correttamente non trattata e seguita in follow up (73.0% su base nazionale, mentre in Piemonte il dato sale all’83.3%); le CIN 1 trattate hanno subito prevalentemente l’escissione a RF o la diatermocoagulazione. Le CIN 2,3147 sono state trattate nel 65.4% con escissione a RF, nel 12.3% con conizzazione a lama fredda (soprattutto le CIN 3), nel 6.1% con conizzazione laser, nel 4.7% con vaporizzazione laser, nel 4% attraverso l’isterectomia (tra esse 1.7% CIN 2 e 5.4% CIN 3). In altri casi è stata eseguita la diatermocoagulazione, trattamento non accettabile poiché non garantisce una distruzione tissutale media adeguata (7 mm), ponendo il rischio di persistenza della lesione. Il 3.2% dei casi non è stato trattato. I carcinomi squamosi e gli adenocarcinomi147 sono stati trattati nel 61.8% attraverso l’isterectomia e nel 27.2% con escissione cervicale (probabilmente i pT1a1 con margini indenni). Gli adenocarcinomi in situ hanno subito, come da indicazione, trattamento conservativo nell’85.7% dei casi. La conizzazione non va mai eseguita nel caso sia escludibile la presenza di una lesione endocervicale, anche come estensione di una lesione visibile.107,117 In presenza di CIN va esclusa l’isterectomia, a meno che dopo l’escissione o conizzazione i margini o l’apice del pezzo chirurgico non risultino indenni.117 Si vedano anche le 2001 Consensus Guidelines for the Management of Women with Cervical Intraepithelial Neoplasia.148 Si offre infine un breve cenno sulle complicazioni107 legate alla terapia locale ed alla conizzazione che, in una quota variabile tra il 2-5% delle pazienti possono essere a breve termine (episodî di sanguinamento, infezioni) od a lungo termine (subfertilità, compresa la tendenza ad aborto/parto pretermine). Circa il quality assessment dello screening citologico, per gli indicatori di processo, si riportano nello schema seguente alcuni indicatori e standard, con i relativi riferimenti bibliografici (B). 01/0 99 01/0 La teoria relativa all’efficacia dello screening ed agli indicatori di processo è stata trattata nella parte generale e ad essa si rimanda per una maggiore comprensione. INDICATORE inviti copertura (% popol. obiettivo con almeno 1 citologia ultimi 3 anni: programma e opportunistico*) adesione STANDARD ACCETTAB. DESIDERAB. 100% (1/3 annuo) >65% >80% >=40% >=60% da stabilire tempo tra Pap test e refertazione (da data ricezione striscio) intervallo test-referto % insoddisfacenti (esclusi a num. flogosi oscurante) % citologie inadeguate distribuzione diagnosi citologiche % non adesione a indicazione ripetizione Pap test VPP citologia 80% 80% entro 30 gg entro 21 gg 100% 100% entro 45 gg entro 30 gg >80% entro 4 settimane 100% entro 6 settimane <6% <4% <7% <5% profilo standard da stabilire <5% profilo standard da stabilire sulla base della seguente tabella: B 117 149 117 149 117 149 117 149 117 149 117 149 istologia (colposcopia) >= CIN 1 >= CIN 2 ASCUS LSIL HSIL tutte Calcolare un VPP per ogni entrata della tabella secondo il rapporto VPP = VP (conferme istologiche) / VP+FP (positivi alla citologia, tra le donne che hanno eseguito la colposcopia).149 Pap test (citologia) * stima campionaria su campione di non compliers tasso di richiamo colposcopico compliance colposcopia % et tempo tra indicazione e <=5% >=80% et entro 8 settimane <=3.5% >=90% et entro 6 settimane 117 117 100 colposcopia (qualsiasi invio) compliance colposcopia % et tempo tra indicazione e colposcopia (HSIL) detection rate >= CIN 1 et >= CIN 2 detection rate* CIN 1 et CIN 2,3 et Ca invas. compliance al trattamento di lesioni pre-invasive % citologia negativa per SIL a 6 mesi da trattamento % isterectomizzate** CIN 1 % isterectomizzate** CIN 2,3 % isterectomizzate Ca invasivo I Ca invas. in indicaz. a colposcopia (consider. anche non aderenti a indicaz.)*** incidenza cancri intervallo**** >=80% et entro 4 mesi >=90% et entro 5 settimane >=90% et entro 4 mesi 01/0 >=90% et entro 4 mesi >=95% et entro 3 settimane >=95% et entro 4 mesi 149 117 149 da stabilire 117 da stabilire empiricamente per l’Italia 149 >=90% 149 >=90% 149 nessun caso 149 149 <2% 149 <=3/100000 screenate da stabilire 0 149 117, 149 149 laboratorio: lettura test/anno indicazioni >15000 et >25000 149 lettore: lettura test/anno >7000 149 colposcopista: donne viste/anno >100 nuovi casi * in caso di più istologie, utilizzare quella più grave (sempre entro 1 anno da citologia “indice”) ** indicatore di sovratrattamento *** evento sentinella **** vanno inclusi i microinvasivi; posto che lo screening citologico è efficace soprattutto per l’identificazione dei tumori squamosi, quelli non squamosi andranno considerati separatamente149 Si richiama qui brevemente il nuovo sistema di terminologia per i risultati della citologia cervicale, definito 2001 Bethesda System149 che, rispetto al precedente Bethesda 1991 modifica, eliminandola, la definizione “soddisfacente ma limitato da...”84 per superare la scarsa riproducibilità della suddivisione nelle tre categorie “adeguato”, “inadeguato”, “soddisfacente ma limitato da...” della precedente classificazione, oltre a tutta una serie di altre innovazioni rispetto alle quali si rimanda alla lettura della letteratura specifica.150 In sintesi, la nuova classificazione è riportata nella seguente sinossi. 101 SPECIMEN ADEQUACY150 satisfactory for evaluation unsatisfactory for evaluation INTERPRETATION/RESULT150 Trichomonas vaginalis fungal (…) consistent with Candida organisms species shift in flora suggestive of bacterial vaginosis Negative for bacteria (…) consistent with intra epithelial Actinomyces species lesion or cellular changes consistent with HSV malignancy reactive cellular changes associated other non with: inflammation / radiation / IUD neoplastic findings glandular status posthysterectomy atrophy Atypical Squamous Cell of Undetermined Significance ASC-US ASC cannot exclude HSIL (ASC-H) Squamous Cell Low-grade Squamous Intraepithelial Lesion (LSIL) encompassing HPV, mild dysplasia, CIN 1 High-grade Squamous Intraepithelial Lesion (HSIL) encompassing Epithelial cell moderate and severe dysplasia, CIN abnormalities 2,3, Carcinoma in situ Atypical Glandular Cell (AGC) – specify endocervical, endometrial, not otherwise specifiedGlandular Cell Atypical Glandular Cell favour neoplastic –specify endocervical, not otherwise specified Endocervical Adenocarcinoma in situ (AIS) Adenocarcinoma Other (endometrial cells in a woman >= 40 years of age Rispetto alla quality assurance in citologia cervicovaginale, si rimanda alla lettura dello specifico documento, contenente le raccomandazioni, prodotto dal GISCi.151 In tale contesto151 vengono approfonditi aspetti quali la riproducibilità/accuratezza del test, la scelta dei controlli di qualità, le caratteristiche del laboratorio, le tipologie di controllo di qualità interno (es. rescreening, set standard di vetrini)6,107 ed esterno (es. scambî di vetrini, lettura collegiale e peer reviews).6,107 Un argomento di laboratorio assai dibattuto è quello della citologia in fase liquida (strato sottile).84 In tale metodica, stemperando in liquido ad hoc si concentrano le cellule in monostrato sul vetrino; riducendo il materiale 01/0 102 01/0 oscurante di fondo, essa si accompagnerebbe ad un aumento della sensibilità. Tuttavia, una recente revisione sistematica152 non ha confermato una superiorità della citologia in fase liquida rispetto a quella tradizionale; per un orientamento conclusivo risulta necessaria l’esecuzione di idonei RCT. Gli indicatori di processo relativi ai singoli programmi vengono raccolti annualmente su base nazionale da parte del Gruppo Italiano Screening del Cervicocarcinoma (GISCi). La survey GISCi relativa agli anni 2002153 e 2003154 ha fornito, per i programmi italiani, i seguenti risultati: adesione all’invito insoddisfacenti referral rate adesione a colposcopia per ASCUS+ adesione a colposcopia per HSIL+ VPP citologia ASCUS+ per istologia CIN2+ DR CIN2+ 2002 43.6% 3.4% 2.7% 88.0% 93.5% 15.4% 3.0‰ 2003 38.7% 3.2% 2.6% 86.0% 91.1% 15.0% 2.7‰ Circa il VPP, ci si riferisce alla diagnosi di CIN2+ in quanto in tali situazioni le donne vengono trattate; sulla base di quanto riportato si può affermare che ogni 6.5 colposcopie è individuata una lesione da trattare. L’attività dell’anno 2004 nel dipartimento di screening oncologico corrispondente alla provincia di Cuneo, studiata e trasmessa al GISCi da parte dell’Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening ha messo in luce inoltre come per 158 delle 19778 donne sottoposte a screening nel corso dell’anno sia possibile operare un confronto tra citologia ed istologia; l’analisi è riportata di seguito: istologia CIN 1* CIN 2,3 a. in situ ASCUS/ASC7 2 citologia H, AGCUS LSIL 14 4 HSIL 3 13 Ca sq. invas. 0 0 tot. 24 19 * include la sola coilocitosi ed i condilomi piatti ** include negativi, alterazioni benigne, ecc. Ca invas. inadeg. altra istol. ** tot. 0 0 78 87 0 0 0 0 0 0 0 0 37 0 0 115 55 16 0 158 (analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte) Circa i trattamenti escissionali, sono stati valutati i margini e l’istologia sul pezzo escisso, con i risultati di seguito riportati: 103 margine distale indenne si no non disp. 7 1 2 escissione a RF conizz. laser conizz. lama fredda isterectomie altro 0 3 0 0 0 0 0 0 0 2 1 0 01/0 istologia pezzo 5 CIN 2; 3 CIN 3; 1 Ca squamoso invasivo / 1 CIN 1; 2 CIN 2 / / (analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte) Circa la corrispondenza tra diagnosi istologica pre e post-intervento (peggiore istologia precedente il trattamento ed istologia sul pezzo escisso), i risultati sono riportati nella seguente tabella. peggiore istologia precedente CIN 1 CIN 2,3 Ca sq. invas. no biopsia see and treat CIN 1 1 istologia pezzo CIN 2,3 Ca sq. invas. 1 10 1 non disponib. 3 1 (analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte) A conclusione della trattazione relativa alla prevenzione del cancro della cervice uterina, si richiama brevemente lo stato di avanzamento della messa a punto del vaccino anti-HPV. Esso è basato sull’autoassemblaggio di proteine capsidiche L1 con la formazione di virus-like particles (VLP) che mimano il virus inducendo una risposta anticorpale.155 Sono in fase di conclusione due RCT di fase III (efficacia),38 il primo che utilizza HPV-16 L1 VLP, 20 µg + HPV-18 L1 VLP, 20 µg39 ed il secondo con l’aggiunta di HPV-6 e HPV-11 (verruche genitali). La schedula prevede tre somministrazioni ai tempi 0, 1, 6 mesi (in femmine e maschi); è allo studio l’eventuale necessità di dosi booster. Si prevede un’efficacia proteggente pari al 70%.38 La presenza del tipo 18 potrebbe essere utile per la difficoltà di individuare l’adenocarcinoma cervicale attraverso la citologia.155 Prevenzione del cancro della mammella Quella mammaria è una ghiandola esocrina con apertura al capezzolo di circa 10 dotti galattofori (con epitelio di rivestimento progressivamente da isoprismatico a pavimentoso stratificato a continuarsi con la cute), per circa 15-25 lobi156 (ciascuno dei quali è una grossa ghiandola tubuloalveolare composta), distribuiti a raggiera e separati da setti connettivali.128 104 Il lobo è costituito da lobuli (di epitelio ghiandolare isoprismatico monostratificato su una membrana basale) con duttuli che si continuano nel dotto terminale intralobulare (avente decorso entro il lobo) e nel dotto terminale extralobulare, che si porta al dotto galattoforo.15,126,127 Il cancro origina dagli epiteli di duttulo, dotto terminale intralobulare, raramente dal dotto terminale extralobulare.128 Il carcinoma in situ, un tempo raro, oggi grazie allo screening (negli U.S.A.) rappresenta oltre il 15% dei casi.18 È frequente causa delle microcalcificazioni di osservazione mammografica. Il carcinoma duttale in situ (DCIS)128 è intraduttale, non superando la membrana basale; si presenta come una dilatazione del dotto da parte di una masserella friabile. Sue varietà sono le seguenti: (1) papillare, senza asse stromale fibrovascolare; quindi, per fusione delle papille, (2) cribriforme; infine, una volta zaffato interamente il dotto, (3) solido; se si ha intensa necrosi centrale, si origina il comedocarcinoma, da cui è spremibile materiale. È citologicamente indistinguibile dall’iperplasia duttale atipica (diametro <2 mm), descritta nel 1992 e regarded as the missing link between healthy duct hyperplasia and low-grade, ductal carcinoma in situ.81 Rispetto all’età, esso rappresenta negli U.S.A. il 92% dei cancri della mammella tra 30 e 39 anni18 ed il 43% tra 40 e 49 anni.18 Origina una massa palpabile. Può evolvere a carcinoma invasivo ma è completamente rimuovibile chirurgicamente. È stato proposto di rinominarlo (insieme all’iperplasia duttale atipica) neoplasia intraepiteliale duttale81 per enfatizzarne la non-life-threatening nature, presentando una sopravvivenza globale a 10 anni superiore al 98%.81 Il carcinoma lobulare in situ (LCIS)128 è intralobulare, non superando la membrana basale: si presenta come distensione del lobulo da parte di epitelio che talvolta si estende al dotto terminale extralobulare. Insorge specialmente in pre-menopausa. Quasi sempre multicentrico, talvolta è bilaterale; tende a non dar vita a masse palpabili (è di riscontro occasionale). È stato proposto di rinominarlo (insieme all’iperplasia lobulare atipica) neoplasia intraepiteliale lobulare.81 Nel 25-35% dei casi evolve a carcinoma invasivo, anche dopo una latenza di 40 anni. Va quindi trattato il carcinoma invasivo della mammella. Il carcinoma duttale infiltrante126 segue, dopo un variabile intervallo di tempo, la forma in situ, con presenza di atipie in cellule che invadono uno stroma fibrovascolare ricchissimo di fibre elastiche (elastosi). Varietà ne sono la papillare (2%), la solida (principale, fino all’80% dei casi, simplex o scirroso a seconda della prevalenza della componente proliferativa o stromale), ed il comedocarcinoma (5%). Il carcinoma lobulare infiltrante128 (10%) segue dopo un variabile intervallo di tempo la forma in situ, con presenza di atipie cellulari in 01/0 105 cellule poste “in fila indiana” tra fasci collageni ricchissimi di fibre elastiche (elastosi). Si richiamano poi il carcinoma midollare128 (5%), con intensa infiltrazione linfoide dello stroma e prognosi migliore; il carcinoma mucinoso128 (raro), ricco di muco, specie in donne anziane, con prognosi migliore; il carcinoma tubulare128 (raro), ammasso di strutture tubulari, con prognosi migliore; il carcinoma papillare128 (raro), in cui papille hanno asse stromale fibrovascolare. Varietà istologiche rarissime128 sono quelle (1) a cellule chiare (da metaplasia apocrina dell’epitelio duttale o lobulare), (2) a metaplasia epidermoidale (con presenza di perle cornee), (3) secernente lipidi, (4) a cellule con anello a castone (ossia di un vacuolo citoplasmatico che sposta il nucleo). L’aspetto macroscopico (nelle forme avanzate)157 può essere scirroso (e si accompagna a diminuzione volumetrica della mammella), midollare (con aumento volumetrico della mammella per presenza di una massa molle), a corazza, gelatinoso (mucoide). Il carcinoma infiammatorio si associa ad eritema ed edema cutaneo (pelle a buccia d’arancia) dovuti ad embolizzazione dei linfatici del derma sovrastante il nodulo e linfedema.156 La localizzazione è, nel 70% dei casi, nei quadranti esterni157 e nel 50% in quelli supero-esterni,156 a causa dell’abbondanza di parenchima in tali sedi. L’invasione per contiguità si ha nel tessuto adiposo mammario e verso la cute.128 Le metastasi sono legate, in particolare, al ruolo svolto da due molecole,158 che sono all’attenzione quali possibili mediatori di metastasi e di organotropismo: (1) il recettore Tyr-chinasi158 simile al recettore 2 dello human epidermal growth factor (HER-2/neu) -prodotto dall’oncogene cerbB2/HER-2/neu- e sovraespresso nel 20-30% dei carcinomi della mammella, quelli correlati a prognosi peggiore;158 (2) il recettore per le chemochine CXCR4 accoppiato alla proteina G.158 Le metastasi possono essere linfatiche;156 in questo caso si individuano i cosiddetti “primi filtri”.128,157 Essi sono i linfonodi ascellari omolaterali (più spesso), ca. 20, del pilastro, inferiori, medî e apicali del cavo ascellare. Vi pervengono attraverso i vasi linfatici dei muscoli grande pettorale e piccolo pettorale. Inoltre, i linfonodi mammarî interni (parasternali) omolaterali, intercostali, lungo il margine dello sterno. Quindi, si hanno gli “ultimi filtri”,128,157 sopraclaveari, nel triangolo della fossa sopraclavicolare. Infine,128,157 sono interessati i linfonodi cervicali, quelli mammarî interni controlaterali e quelli mediastinici, e quindi il sangue venoso. Le metastasi ematiche156 tendono quindi ad essere più tardive.128,157 Sono polmonari, molto frequentemente ossee (localizzandosi specie nel midollo 01/0 106 01/0 osseo delle vertebre e del bacino, che lega gli estrogeni), epatiche ed encefaliche. Di seguito è riportata la stadiazione con il sistema TNM.156,159 La stadiazione patologica presuppone l’asportazione della neoplasia primitiva senza alcuna evidenza macroscopica di tumore sui margini di resezione.156 Se la neoplasia primitiva è invasiva (non microinvasiva) è necessaria la dissezione dei (>=6) linfonodi ascellari inferiori o la l’adozione della metodica del linfonodo sentinella per consentire il pN. stadî 0 I IIA IIB IIIA IIIB Tis (DCIS, LCIS, malattia di Paget) T1: <=2 cm (<=0.1 cm T1mic; 0.1-0.5 cm T1a; 0.51 cm T1b; 1-2 cm T1c) T0: non evidenza T1 T2: >2-5 cm T2 T3: >5cm T0 T1 T2 T3 T4: T4a estensione a parete toracica T4b edema (inclusa buccia d’arancia) o ulcerazione della cute T4c entrambi a e b T4d carcinoma infiammatorio ogni T TNM N0: non metastasi N0 N1: metastasi ai linfonodi ascellari omolaterali mobili Identificazione istologica pN1mi micrometastasi 0.2-2.0mm pN1a 1-3 ascellari > 2 mm pN1b mammarî interni > 2 mm pN1c a+b N1 N0 N1 N0 pN2a 4-9 ascellari > 2 mm pN2b identificazione clinica mammarî interni N1,N2 ogni N M0 pN3a >= 10 ascellari o infraclav. pN3b identificazione clinica mammarî interni + ascellari pN3c sopraclaveari IV ogni T ogni N M1 TX, NX, MX: non definibili (evidenza macroscopica di tumore sui margini di resezione;156 linfonodi rimossi in precedenza o non asportati). 107 T0, N0, M0: non segni. M1 comprende la localizzazione nei linfonodi cervicali e mammarî interni controlaterali.156 Le dimensioni fornite dal patologo riguardano solo la componente invasiva (es., se intraduttale 4 cm e invasiva 0.3 cm: T1a).156 La classificazione T sarà probabilmente rimpiazzata da una descrizione metrica continua in cm (es. T0.9, T2.4);81 la classificazione N da un rapporto tra linfonodi positivi ed esaminati (es. N2/18, N7/22).81 La presenza di cellule isolate o piccoli clusters nei linfonodi tributarî non sono più interpretate come metastatiche: pN0 (i+),81 al fine di prevenire overstaging ed overtreatment. Nel caso di carcinomi bilaterali sincroni, ciascuno va studiato distintamente.156 La sopravvivenza è eccellente se il diametro del tumore è inferiore a 1 cm; se è superiore a 5 cm vi è necessità di terapia adiuvante sistemica prechirurgica per diminuirne le dimensioni.18 Rispetto allo stato dei linfonodi,18 si osservi la seguente tabella di sopravvivenza: linfonodi negativi 1-3 positivi >= 4 positivi s. libera da malattia a 10 anni 70% 25% 15% s. globale 80% 40% 25% Se si considerano inoltre le dimensioni della neoplasia, la perecentuale di sopravvivenza è riportata nel seguente istogramma. 100% 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Nella rappresentazione il diametro della neoplasia primitiva è < 2 cm in 1, 2, 3; 2.0-4.9 cm in 4, 5, 6; >= 5 cm in 7, 8, 9. Il numero di linfonodi positivi è 0 in 1, 4, 7; 1-3 in 2, 5, 8; >= 4 in 3, 6, 9.160 In più dell’80% dei casi il tumore viene riconosciuto dalla paziente stessa come un nodulo duro, indolente, fisso alla cute che non vi si lascia plicare. Talvolta si ha dolore, aumento di volume, aumento di consistenza. È possibile la retrazione/protrusione del capezzolo, mentre più tardive sono la linfoadenopatia satellite (linfonodi duri, indolenti, talvolta 01/0 108 01/0 linfedema dell’arto), l’ulcerazione della cute –con sangue e pus-, la comparsa di cute a buccia d’arancia (v. carcinoma infiammatorio), ed il dolore irradiato a spalla e braccio. Tardivo il dolore osseo alla colonna vertebrale, dovuto all’azione osteolitica delle metastasi. Richiamando i concetti espressi in apertura, si ricorda come il rischio genetico (mutazioni a carico di BRCA1, BRCA2, p53) dia origine ad un quadro di iperplasia, con sovrastimolazione del ciclo cellulare ed inibizione dell’apoptosi ad opera degli estrogeni e del progesterone; mutazioni che interessano il ciclo cellulare (c-erbB2, c-myc) e soprattutto la comparsa di instabilità cromosomica si associano all’evoluzione a cancro in situ. Infine, il sopravvenire del danno dei sistemi di riparazione del DNA e dei fattori di metastasi e di angiogenesi sono alla base dell’invasione.161 Esiste innanzitutto una distribuzione socioeconomica del rischio: nei Paesi sviluppati il rischio relativo (RR) è pari a 5.0.79 Circa l’età,18,162 la probabilità di insorgenza e morte (U.S.A.) è riportata nella seguente tabella: età (anni) 30 40 50 60 70 in 10 anni insorgenza morte 0.4% 0.1% 1.6% 0.5% 2.4% 0.7% 3.6% 1.0% 4.1% 1.2% in 20 anni insorgenza morte 2.0% 0.6% 3.9% 1.1% 5.7% 1.6% 7.1% 2.0% 6.5% 1.9% in 30 anni insorgenza morte 4.3% 1.2% 7.1% 2.0% 9.0% 2.6% 9.1% 2.6% 7.1% 2.0% Il rischio di sviluppare il cancro della mammella (seconda riga), rispetto all’età (prima riga), è indicato di seguito:163 25 1: 19608 30 1: 2525 35 1: 622 40 1: 217 45 1: 93 50 1: 50 55 1: 33 60 1: 24 65 1: 17 70 1: 14 75 1: 11 80 1: 10 85 1: 9 ever 1: 8 Sono noti gruppi ad alto rischio per familiarità. Il RR=2.0-3.0 se si ha n. 1 parente di primo grado81,109 (madre, sorella, figlia) con carcinoma della mammella insorto prima dei 50 anni d’età (il RR cresce in base a n.,109 potendo anche superare 6.018). In realtà, 8 donne su 9 con cancro della mammella non hanno madre, sorella o figlia avente avuto un cancro della mammella.81 Il rischio relativo è leggermente aumentato se il cancro si è verificato in parenti più lontane.18 Il 5-10% dei cancri della mammella avrebbe origine ereditaria.67,161 La prevalenza nella popolazione di BRCA1 è 1/800; in tali casi il rischio sale all’85%.109 A sua volta, la prevalenza delle portatrici di uno dei due 109 geni mutati del cancro della mammella, BRCA1 o BRCA2, tra i casi di carcinoma mammario è del 5%.18 BRCA1 risulta particolarmente frequente nelle donne Ashkenazite, raramente nei casi sporadici;161 la presenza di una mutazione in BRCA1 o BRCA2 determina una probabilità di sviluppo del cancro della mammella entro i 70 anni, rispettivamente, del 45-87% e del 26-84% (e di un contestuale aumento di rischio del cancro dell’ovaio).164 Si tratta pertanto dei più importanti predittori del cancro della mammella. Anche i maschi portatori di BRCA2 hanno un rischio aumentato.18 Esistono poi geni autosomici dominanti (con prevalenza 1/300), responsabili del 5% dei cancri della mammella109 e geni a bassa penetranza (di difficile identificazione), alla base della maggioranza di tali neoplasie.109 L’analisi condotta tramite cDNA microarrays ha permesso di evidenziare un set di circa 70 geni (su 25000) correlati al profilo prognostico predittivo di insorgenza di metastasi;17,165 un’ipotesi volta a spiegare le forme ereditarie è quella che prevede la trasmissione di un allele mutato; nel corso della vita si verificherebbe il danno sul secondo allele (loss of heterozygosity, LOH) e ciò condurrebbe all’instabilità genetica ed al cancro.161 L’evidenza mammografica di mammella densa pone un RR superiore a 5.0.81 L’insorgenza nella mammella controlaterale dopo cancro ha RR superiore a 4.0.81 L’anamnesi di mastopatia fibrocistica, per iperplasia atipica duttale (benigna con potenziale precanceroso) si associa a RR=4.0-5.0.79 Il menarca precoce, insorto prima di 11 anni, ha RR=3.0;81 la menopausa tardiva, dopo 54 anni, ha RR=2.081 (la menopausa a 45 anni ha rischio dimezzato rispetto alla menopausa dopo i 55 anni);164 si osserva come al momento della menopausa il forte e costante aumento del rischio degli anni precedenti si riduca a circa 1/6.164 La prima gravidanza dopo i 30 anni ha rischio 2-5 volte superiore ad una prima gravidanza a 18 anni;164 per il primo parto dopo i 40 anni il RR=3.0;18 le nullipare hanno RR corrispondente a quello del primo parto a 30 anni.81 Molti dei fattori di rischio si associano all’aumentata lunghezza del periodo di esposizione agli estrogeni, compresa l’esposizione ad alte concentrazioni di questi ormoni nel periodo intrauterino. Si ricorda come dopo la menopausa gli androgeni siano aromatizzati ad estrogeni da parte del tessuto adiposo.164 Anche allattamento e parità intervengono sul rischio; il RR diminuisce di 4.3% ogni 12 mesi di allattamento,81 in aggiunta al 7.0% di riduzione per ogni nascita.81 Nelle donne con una gravidanza il rischio è ridotto del 25% rispetto alle nullipare.164 Circa i contraccettivi orali (v.), si ha un modesto aumento del rischio associato (RR=1.2);81,164 in particolare, se assunti prima di 20 anni,18 01/0 110 durante il periodo di assunzione a qualsiasi età per dieci anni, con diminuzione nei dieci anni successivi alla sospensione.18,81 Anche la terapia estrogenica sostitutiva in post-menopausa (v.) si correla ad un modesto aumento del rischio (RR=1.7);81,164 esso cresce tanto più è protratta l’assunzione e scompare dopo cinque anni dalla sospensione.81 Molto studiato il ruolo dell’alcool:78,164 il 7% dei cancri della mammella nel mondo sono ad esso attribuibili;36 il consumo giornaliero di 10 g di CH3CH2OH aumenta il rischio del 9%, con 30-60 g aumenta il rischio del 41%.36 Un BMI elevato in postmenopausa si associa ad un RR=2.0 (non in premenopausa, allorchè sembra addirittura protettivo, in funzione dell’aumento dei cicli anovulatorî e delle irregolarità mestruali).81 Il rischio relativo rispetto alle donne con BMI<25 è, rispettivamente, 1.34 (per BMI: 25-29.9), 1.63 (per BMI: 30-34.9), 1.70 (per BMI: 35-39.9) e 2.12 (per BMI >=40).164 Secondo la IARC il 25% dei cancri della mammella è dovuto al sovrappeso ed alla vita sedentaria;164 il rischio diminuisce del 30-40% per 3-4 ore di esercizio fisico settimanale.164 La combinazione BMI + sedentarietà + alcol ha PAF=27%.28 L’esposizione a radiazioni ionizzanti, specialmente in pubertà, aumenta il rischio; a partire da 10 anni d’età il RR=3.0.81 È stimato che l’1% dei cancri della mammella sia dovuto alla mammografia diagnostica.166 Circa un ruolo svolto dalla dieta, un tempo assai enfatizzato (grassi), va detto che recenti metanalisi non hanno evidenziato associazioni.81 Contrariamente a ciò, studî condotti in Europa meridionale hanno messo in luce come il consumo di acidi grassi monoinsaturi, specialmente presenti nell’olio d’oliva, riduca il rischio.167 Lo screening mammografico si effettua attraverso la mammografia. Il grado di evidenza dei vantaggi, secondo il National Cancer Institute (U.S.A., 2005), è variabile, potendo ridurre la mortalità da cancro della mammella in funzione dell’incidenza della neoplasia e dell’aspettativa di vita della donna sottoposta a screening. Circa gli svantaggi, la stessa fonte riferisce di un elevato grado di evidenza rispetto all’individuazione di lesioni benigne o in situ che non diverrebbero clinicamente significative e che espongono la donna a overdiagnosis e overtreatment; inoltre è richiamata la possibilità di non identificare cancri in mammelle radiodense e cancri rapidamente evolutivi. L’evidenza dell’efficacia dello screening mammografico è stata ottenuta grazie a otto RCT, a partire dal 1963.100 Nella Regione Piemonte è in atto da alcuni anni un programma di screening dei tumori della mammella denominato Prevenzione Serena; l’esecuzione dello screening mammografico da parte di tutte le donne eleggibili in Piemonte consentirebbe di evitare 150 morti all’anno per 01/0 111 cancro della mammella. Esso riduce la mortalità del 30% (tra 50 e 69 anni)6,75 e permette trattamenti conservativi sulla mammella con vantaggi cosmetici e psicologici.109 Non c’è evidenza scientifica per uno screening esclusivamente basato sull’esame clinico o sull’autopalpazione della mammella; in studi ad hoc circa il 40% dei tumori sono stati evidenziati dalla mammografia e non dall’esame fisico.18,75 La copertura completa italiana consentirebbe di evitare in 30 anni 48000 morti, con un costo dello 0.2% della spesa sanitaria nazionale (30000 – 45000 Euro/vita salvata).6 Circa l’eleggibilità,115,117 sono invitate allo screening le donne residenti di età compresa tra 50 e 69 anni,6 con un intervallo di rescreening pari a 2 anni6 (tali età e frequenza sono raccomandate dalla Commissione della C.E., dall’U.I.C.C., dal C.N.R., dall’A.I.R.C., dalla Commissione Oncologica Nazionale).75,116,136,168 Le donne di 45-49 anni possono usufruire del programma aderendo spontaneamente; a breve per queste sarà previsto un intervallo di 1 anno. Circa l’efficacia sotto ai 50 anni di età, uno studio europeo ha evidenziato come il rischio cumulativo nella fascia 40-49 anni corrisponda all’1.5% (1/68 donne in fascia d’età), con una mortalità specifica pari al 20% nella fascia d’età. Ad una bassa prevalenza della lesione corrisponde, come è stato anticipato, un basso VPP; alcune linee guida suggeriscono di scoraggiare in quest’ambito lo screening opportunistico.75 Mentre nella fascia 50-69 anni le metanalisi degli studî disponibili confermano i beneficî, questi appaiono più modesti nelle quarantenni:100 tra 40 e 49 anni alcuni RCT hanno dimostrato l’assenza di un beneficio dello screening per 5-7 anni dopo l’ingresso.169 Se il NNT (qui NN to screen) per prevenire 1 decesso da carcinoma della mammella dopo 14 anni di osservazione è 1224, nella fascia d’età di 40-49 anni esso sale a 1792.170 Peraltro, nella fascia d’età inferiore, in ragione del fatto che il lead time è generalmente più breve, le linee guida americane prevedono un intervallo di rescreening di 1 solo anno.100 I criterî di esclusione117 sono stabiliti dai singoli progetti; oltre alla bimastectomizzazione, discrezionalmente saranno considerati il follow up oncologico e la malattia terminale. Le richieste di autoesclusione, per qualunque ragione, dovranno venire espresse in forma scritta. Il I livello dello screening mammografico in Prevenzione Serena prevede l’invio di una lettera di invito con opuscolo illustrativo e, in caso di mancata presentazione, di un sollecito.115,117 Non è richiesta l’impegnativa ed è prevista l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria.116 Il test consiste nell’esecuzione di una mammografia in 2 proiezioni6 (obliqua medio-laterale e cranio-caudale).117,171 01/0 112 La mammografia, nella mammella densa81,110 giovanile171 diminuisce in accuratezza, per lo scarso contrasto radiologico.81,110,171 Gli elementi evocativi di malignità saranno la disomogeneità dell’opacità, l’irregolarità dei contorni, la presenza di microcalcificazioni irregolari ed isolate, anche in assenza di un nodulo.171 L’esposizione ai raggi X è trascurabile (la dose media assorbita è inferiore a 5 mGy);109 sono eseguiti controlli periodici di fisica sanitaria (minor dose ad assistita si può avere grazie ad ottimizzazioni di trattamento della pellicola e di visualizzazione delle immagini sul diafanoscopio).84,109 La refertazione avviene in doppio cieco, ad opera di due radiologi; nelle conclusioni del I livello prevarrà l’esito peggiore. In caso di negatività della mammografia, all’assistita viene inviata una comunicazione in tal senso con l’informazione circa un successivo invito da parte del Programma a distanza di due anni. L’approfondimento di II livello per mammografia positiva o sospetta per cancro117 in Prevenzione Serena prevede una convocazione telefonica da parte del centro, di un sollecito in caso di mancata presentazione all’appuntamento per l’esecuzione dell’esame clinico e, a seconda, di ingrandimenti (mammografo con microfuoco), ecografia o prelievo (su guida clinica, ecografica o stereotassica –necessaria la presenza del citopatologo per una prima lettura immediata-). L’ultrasonografia (ecografia) è fondamentale in caso di tessuto mammario denso e per distinguere le lesioni solide da quelle cistiche;81,110 le forme scirrose, tipicamente irregolari, proiettano un’ombra acustica posteriore per l’intenso assorbimento del fascio.171 Si ricorda come l’ecografia non presenti le caratteristiche per rappresentare il test di screening.172 La citologia81 offre una conferma della diagnostica per immagini e si attua tramite un agoaspirato ecoguidato. La core biopsy (più utile conferma istologica della diagnostica per immagini) consisterà in agobiopsia o biopsia a cielo aperto o biopsia escissionale (se il tumore è piccolo). La biopsia sotto controllo stereotassico migliora l’accuratezza diagnostica. Importante l’esame del campione bioptico per la presenza di recettori81 per gli estrogeni (RE) e per il progesterone (RP), proteine citoplasmatiche (dosaggio delle proteine leganti gli steroidi o Estrogen Receptor Immunochemical Assay). Circa 2/3 sono RE+, specialmente in postmenopausa (risultando maggiormente sensibili alla terapia endocrina e con prognosi migliore). Funzionalmente è analogo il discorso per i RP. Il campione bioptico è esaminabile per ploidia e frazione cellule in fase S (aneuploidia ed elevata frazione, sono inversamente legate alla prognosi), e per espressione del recettore 2 dello human epidermal-growth-factor (HER-2/neu).81,158 01/0 113 All’ipotesi diagnostica seguirà una raccomandazione,117 che potrà consistere nel rinvio al successivo round di screening, nella previsione di una mammografia anticipata (raramente, ed eccezionalmente inferiore a 1 anno di distanza), nella biopsia chirurgica, nell’intervento chirurgico od altra terapia. Per le ipotesi chirurgiche saranno raccomandati i centri di riferimento. La biopsia chirurgica sarà seguita dalla radiografia sul pezzo operatorio, la cui copia va archiviata nell’archivio dello screening. Si ricorda come la RMN rappresenti oggi un problem-solving dopo le procedure convenzionali, e come la PET risulti utile per identificare metastasi a distanza.81 L’identificazione, grazie allo screening, di tumori primitivi screen detected sempre più piccoli, ha fatto crescere l’esigenza di un’evoluzione dalla chirurgia demolitiva a quella conservativa. La dissezione ascellare completa (ad esempio, col problema del linfedema dell’arto) è evitabile attraverso la tecnica di biopsia del linfonodo sentinella81 per la valutazione dell’assenza di metastasi ascellari. Il giorno precedente l’intervento è prevista l’iniezione ad esempio di tracciante radioattivo nel derma o nel parenchima paratumorale; a seguito della sua migrazione linfatica, dopo 30’ è evidenziabile in scintigrafia il linfonodo sentinella. All’intervento chirurgico una sonda radioguidata capta il segnale e lo traduce in segnale acustico o su display, consentendo l’individuazione della proiezione cutanea per la sede di incisura; ciò permette la rimozione del linfonodo sentinella e l’invio ad istologia intraoperatoria (sezioni seriali, es. >60 sezioni ad intervalli di 50 µm);81 la diagnosi è possibile in ca. 40’ ed il trattamento è conseguente. Anche i linfonodi mammarî interni potranno essere investigati durante l’intervento chirurgico.81 Circa la terapia, si rimanda a trattazioni specifiche. Dopo l’intervento chirurgico od una biopsia a cielo aperto è previsto118 un follow up, con un periodismo a partire da 1 anno di distanza e, annualmente, per i successivi 5 anni se il tumore era maligno. Circa il quality assessment dello screening mammografico, per gli indicatori di processo, si riportano nello schema seguente alcuni indicatori e standard, con i relativi riferimenti bibliografici (B). La teoria relativa all’efficacia dello screening ed agli indicatori di processo è stata trattata nella parte generale e ad essa si rimanda per una maggiore comprensione. 01/0 114 INDICATORE STANDARD ACCETTABILITÀ DESIDERABILITÀ per classi età 5-10 anni (incidenza) (mortalità) (stadiazione alla per classi età diagnosi) registrare 1. diametro (mm) 2. differenziazione (classificazione TNM) (grading); tanto più spostata vs. stadî avanzati, tanto più beneficio atteso (copertura tasso mammografie spontanee (campione / mammografia) indagine radiologie) % inviti inesitati inviti 100% (50% annuo) (partecipazione) per (variabili) classi età, stato civile, luogo nascita, ecc. adesione grezza = rispondenti / inviti-inesitate % adesione corretta = rispondenti / inviti-inesitate-segnalazioni mx recente % copertura/eleggibili % = 50% 70% adesione >60% >75% tempo tra mammograf. 85% 90% e registraz. ref. negat. entro 30 gg entro 21 gg tempo tra mammograf. 85% 85% e approfondimento entro 21 gg entro 15 gg richiami per approf. = <4% <2% richiamate/aderenti % tasso di richiamo <7% <5% citologia “inadeguato” <25% <15% mammografia: specificità = totale negativi screening/rispondenti – cancri esami non invasivi: specificità (v. sopra) esami invasivi: specificità (v. sopra) mammografia: V.P.P. = cancri / positivi screening esami non invasivi: V.P.P. (v. sopra) esami invasivi: V.P.P. (v. sopra) tempo tra indicazione >=80% >=80% a chirurgia e chirurgia entro 4 settimane entro 3 settimane detection rate 3 incidenza attesa >3 incidenza attesa detection rate invasivi >3 incidenza attesa dr = cancri/aderenti ‰ > 3.5‰ (in situ + invasivi) invasivi <= 10 mm 25% invasivi 30% invasivi dr <= 10 mm ‰ 1.5‰ biopsie benigne <5/1000 screenate <4/1000 screenate biopsie ben./maligne <1 <0.5 biopsie chir. benigne / 1/1 0.5/1 biopsie chir. maligne 01/0 B. 173 173 173 173 173 117 173 117 117 117 173 10 10 173 173 173 173 173 173 174 117 117 173 117 173 117 117 173 115 rapporto ben./mal. <=0.5/1 <=0.2/1 >= stadio II / cancri % < 30% n. e % linfonodi diagnosi preoperatoria >=70% C5 o B5 nei cancri* disponibilità grado >=95% disponibilità RE >=95% tasso di identificazione >=90% linfonodo sentinella linfon. asportati >=10 >=95% interv. conservat. pT1 >=85% cons. CDIS <=20 mm in fase di valutazione esecuz. congelatore <=5% lesioni diam. <=10mm RX in 2 proiez. pezzo >=95% oper. lesioni non palp. margini indenni in >=95% intervento definitivo mastectomie in benig. 0% P (indiv. a passaggio > 1.5 >2 screening) / I (attesa in base a pregressa); possib. distors. sovradiag. cancri intervallo n. interventi chirurgi>100 (ottimale >300) ci/anno nella struttura *cancro invasivo accertato biopticamente (B5) o citologicamente (C5). 01/0 174 173 173 174 174 174 174 174 174 174 174 174 174 174 173 173 174 I programmi organizzati devono monitorare la qualità della chirurgia nei casi screen detected.83 S.Q.T.M. (Scheda computerizzata sulla Qualità del Trattamento del carcinoma Mammario) è un software che si propone di facilitare il monitoraggio della qualità della diagnosi, della terapia e del follow up del carcinoma mammario / lesioni benigne e di monitorare gli indicatori di efficacia dello screening. Il Progetto è coordinato dal Centro di Riferimento Regionale per l’Epidemiologia e la Prevenzione Oncologica (C.P.O.-Piemonte) ed è attuato dall’Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening per il Gruppo Italiano per lo Screening Mammografico (GISMa). Gli indicatori di processo relativi ai singoli programmi vengono raccolti annualmente su base nazionale da parte del GISMa. La survey GISMa relativa all’anno 2002175 ha fornito, per i programmi italiani, i seguenti risultati: 116 primi esami adesione grezza all’invito adesione corretta all’invito tasso di richiamo rapporto B/M DR totale DR <=10mm in situ 7.7% 0.3% 7.2‰ 2.0‰ 11.9% 01/0 esami successivi 57.0% 60.9% 4.7% 0.3% 5.1‰ 1.7‰ 15.6% La survey GISMa relativa all’anno 2003176 ha fornito, per i programmi italiani, i seguenti risultati: primi esami adesione grezza all’invito adesione corretta all’invito tasso di richiamo rapporto B/M DR totale DR <=10mm in situ 7.8% 0.33% 6.5‰ 1.5‰ 14.5% esami successivi 59.5% 63.7% 4.5% 0.23% 5.1‰ 1.4‰ 15.8% Grazie a S.Q.T.M. sono stati resi disponibili i seguenti indicatori relativi all’anno 2002177 ed all’anno 2003:178 tasso di identificazione del linfonodo sentinella linfonodi asportati >=10 non esecuzione congelatore lesioni diam. <= 10 mm conservativa nei CDIS <=20 mm conservativa in invasivi <=20 mm escissione a prima biopsia chirurgica no dissezione ascellare in CDIS 2002 95.9% 93.9% 61.9% 89.0% 88.8% 98.6% 92.0% 2003 96.0% 92.8% 72.8% 88.5% 91.1% 99.2% 89.6% L’attività dell’anno 2004 nel dipartimento di screening oncologico corrispondente alla provincia di Cuneo, studiata e trasmessa al GISMa da parte dell’U.V.O.S. grazie all’analisi S.Q.T.M., ha messo in luce inoltre come per i casi screen detected fra le 21979 donne sottoposte a screening nel corso dell’anno sia possibile operare un’analisi i cui risultati più salienti vengono di seguito riportati: n. tumori benigni cancri maligni + inoperabili DR totale 30 147 6.7‰ (analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte) 117 ben. mal. preop. citol. preop. micro istol. P.E. 7 65 20 30 S. 9 54 30 16 A.S. 7 7 8 4 TOT. 23 126 58 50 P.E. primi esami in 50-69 anni S. esami successivi in 50-69 anni A.S. adesioni spontanee in 45-49 anni *inoperabili preop. c+mi * 15 16 3 34 0 0 1 1 01/0 invasivi con chir. conservat. <=20 tutti mm 37 43 36 33 2 2 75 78 (analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte) T pT is lob. pT is dutt. pT1 mic. pT1a pT1b pT1c pT2 pT3 pT4 P.E. S. A.S. P.E. S. A.S. P.E. S. A.S. P.E. S. A.S. P.E. S. A.S. P.E. S. A.S. P.E. S. A.S. P.E. S. A.S. P.E. S. A.S. P.E. solo l. sent. 0 0 0 4 4 0 1 2 0 2 3 0 5 10 0 17 9 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 Ndissez. ascell. 0 0 0 0 0 0 1 1 0 1 1 0 4 3 0 6 1 1 3 2 1 0 0 1 3 0 0 0 modal. ignota 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 N+ Nx M+ 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 3 0 3 3 1 2 0 0 0 0 0 1 1 0 0 2 1 0 7 6 2 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 TOT 3 23 5 7 27 44 10 1 5 118 pTx S. A.S. P.E. S. A.S. 0 0 0 ignoto 0 0 TOT 60 dati analizzati per 125 casi. 0 0 0 0 0 29 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 15 0 0 0 0 0 21 0 0 0 0 0 0 01/0 0 0 125 (analisi: s.s. Epidemiologia e U.V.O.S., Dipartimento Screening Oncologico n. 7, Piemonte) È interessante osservare come ben 109 dei 125 casi screen detected di Prevenzione Serena nel corso del 2004 siano risultati pT1 e solo 16 pT2+. Prevenzione del cancro del colon-retto (grosso intestino) Grazie al maggior sviluppo della tonaca muscolare, la parete dell’intestino crasso15,126,127 presenta uno spessore maggiore (1,5-4,0 mm) di quella del tenue. La tonaca mucosa, priva di villi intestinali, offre rilievi (pieghe semilunari di mucosa, sottomucosa e strato circolare della muscolare) dovuti alla brevità della tonaca muscolare rispetto alla lunghezza dell’organo. L’epitelio di rivestimento risulta batiprismatico, costituito da enterociti simili al tenue e da cellule caliciformi mucipare, con invaginazioni ghiandolari (cripte del Lieberkühn). Con la migrazione cellulare verso la superficie si verifica il completo ricambio dell’epitelio intestinale nell’arco di 5 o 6 giorni.179 Nella lamina propria sono indovati i numerosi noduli linfatici solitarî. Oltre i fascetti della muscolaris mucosae è la tonaca sottomucosa, che accoglie il plesso nervoso sottomucoso di Meissner e noduli linfatici più voluminosi. La tonaca muscolare (tessuto muscolare liscio) accoglie il plesso nervoso mioenterico di Auerbach. La tonaca sierosa è rappresentata dal peritoneo; la parete posteriore del colon ascendente e di quello discendente, non rivestitene, sono a diretto contatto col retroperitoneo, mentre il trasverso è collegato tramite il mesocolon al pancreas e, anteriormente, col legamento gastrocolico, allo stomaco. L’ampolla rettale15,126,127 ha struttura simile al crasso, ma con muscolare più spessa e tonaca avventizia (di tessuto connettivo fibrillare denso: fascia del retto). Nel canale anale15,126,127 l’epitelio di rivestimento è pavimentoso stratificato e scompaiono le ghiandole intestinali. Il plesso venoso emorroidario occupa la tonaca sottomucosa. La tonaca muscolare costituisce lo sfintere liscio dell’ano, che si pone in basso in rapporto con quello striato. Manca una precisa avventizia, essendo il connettivo periviscerale attraversato da varî fasci muscolari perineali. 119 01/0 Il cancro del colonretto è, in circa il 95% dei casi, un adenocarcinoma, un cancro gelatinoso nel 5% delle volte, oppure una forma indifferenziata.18,128 Circa la sede128,157,180 la localizzazione interessa il cieco-ascendente nel 10%, il discendente nel 10%, il sigma in oltre il 20% ed il retto in più del 40% dei casi. Nell’1-5% delle situazioni si hanno tumori sincroni.171 Approssimativamente nei 2/3 interessa sigma e retto.181 L’aspetto macroscopico nelle forme avanzate157 può essere vegetante, con protrusione nel lume (può torcersi generando necrosi, ulcerazione) specialmente a destra (ove le feci sono liquide); colloide (gelatinoso), caratterizzato dalla forte presenza mucoide; scirroso, con retrazione fibrocicatriziale sul lume specialmente a sinistra (ove le feci sono solide); ulcerativo, anch’esso più comune a sinistra. Procede con infiltrazione per contiguità128,157,180 a strutture adiacenti ed eventuale fistolizzazione. Interessa il peritoneo (con possibile diffusione tipo Krukenberg), il tenue, lo stomaco, il fegato, la milza, l’uretere, la vescica. Le metastasi ematiche128,157,180 interessano più spesso il fegato, ed il polmone (per il terzo inferiore del retto, interessato dal plesso emorroidario medio/inferiore). Per discontinuità è possibile un interessamento metastatico di un diverso segmento intestinale.182 Quelle linfatiche128,157,180 si portano: a partire da cieco, colon ascendente, colon trasverso (terzi destro e medio), ai linfonodi ileociecali, colici destri e colici medi; di qui ai mesenterici superiori. A partire da colon trasverso (terzo sinistro), colon discendente, colon sigmoideo, ai linfonodi colici sinistri e sigmoidei; di qui ai mesenterici inferiori. Topograficamente, i linfonodi interessati saranno quelli epicolici (siti nella parete del colon), i paracolici (tra il margine del colon e l’arcata arteriosa di Riolano), gli intermedî (nel mesocolon, lungo le arterie coliche), i principali (presso l’aorta, all’origine delle arterie ileocolica, coliche destra, media, sinistra, sigmoidea e lungo le arterie mesenteriche superiore e inferiore). Dal retto saranno interessati i linfonodi emorroidari superiori e gli ipogastrici; di qui gli iliaci comuni. Di seguito è riportata la stadiazione con il sistema TNM, la percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi (%) e la tradizionale classificazione di Dukes (D), meno precisa nell’identificazione dei sottogruppi prognostici:65,179,182 stage 0 I TNM Tis T1: invasione a tonaca sottomucosa attraverso la muscolaris mucosae T2: invasione a tonaca muscolare N0 N0 M0 M0 % 80-95 D / A 120 IIA IIB IIIA IIIB IIIC T3: invasione a subsierosa o tessuti pericolici o perirettali non rivestiti da peritoneo T4: invasione di altri organi / strutture e/o perforazione peritoneo viscerale T1 T2 T3 T4 ogni T 01/0 N0 M0 72-75 N0 M0 65-66 N1 1-3 l. N1 M0 55-60 M0 35-42 N2 >=4 l. ogni N M0 25-27 B C IV ogni T M1 0-7 / TX, NX, MX: non definibili. T0, N0, M0: non segni. Tis: cancro in situ: intraepiteliale o nella lamina propria, sinonimo di displasia severa, privo di rischio significativo di sviluppo di metastasi.179,182 Circa N è necessario analizzare da 7 a 14 linfonodi; spesso si ha la sottostadiazione della malattia per mancato riconoscimento di linfonodi con piccole metastasi;179 il College of American Pathologists suggerisce un numero di 12-15 linfonodi per definire N0.183 M1 comprende la localizzazione nei linfonodi iliaci. Circa l’epidemiologia del rischio65,179 del cancro del colon retto (CCR), nella popolazione non sottoposta a screening con età pari o superiore a 50 anni, la probabilità di presentare un CCR è 0.5-2.0%, una forma in situ 1.0-1.6%, un adenoma superiore a 10 mm 7-10%, un adenoma di qualunque diametro 25-40%.179 Il rischio generico di insorgenza di CCR nel corso della vita77 corrisponde a 3.9% nel maschio e 2.5% nella femmina; la comparsa entro dodici mesi,6 a 1/1800 a 50 anni, a 1/800 a 60 anni nella femmina, a 1/550 a 60 anni nel maschio. L’incidenza massima (90%) si ha tra 55 e 70 anni.77,181 Rispetto alla genetica molecolare di queste neoplasie si veda quanto riportato nella parte generale circa le gatekeeper e caretaker pathways. Di questa neoplasia si conoscono forme sporadiche, forme ereditarie e forme in malattia infiammatoria cronica intestinale. Le forme sporadiche rappresentano l’88-94% del totale.65 Si associano a età avanzata, sesso maschile, stile di vita sedentario (il meccanismo non è chiaro),179 eccesso di alcool (non grande, forse per interferenza dell’acetaldeide sul metabolismo dei folati),179 fumo,179 obesità (l’aumento del BMI può portare fino al raddoppio del RR),179 diabete mellito, storia di irradiazioni o di cancro di piccolo intestino, ovaio, endometrio, mammella.65 Risulta incriminata anche la dieta povera65 di fibre –frutta e vegetali (vitamine antiossidanti C, A, E)-, folati,179 calcio179 e ricca65 di carne e 121 grassi. In effetti, studî recenti hanno posto in discussione il classico teorema del rapporto tra assunzione di fibra ed insorgenza di adenomi/CCR.179,184-6 La fibra contiene polisaccaridi e lignina, resistenti all’idrolisi enzimatica digestiva; può essere solubile in acqua (frutta, vegetali) o insolubile (buccia di frutta e vegetali, grano intero, cereali) e viene fermentata dalla flora batterica del colon. Con il proprio effettomassa, essa diminuisce il tempo di transito intestinale; inoltre la fibra può direttamente legare molecole cancerogene.187 Un’analisi combinata di tredici studî caso-controllo ha evidenziato la possibilità di stimare che, nella popolazione U.S.A., il rischio di CCR sarebbe ridotto del 31% grazie ad un aumento medio dell’assunzione di fibre di circa 13 g/die, corrispondente ad un incremento del 70%.188 Le fibre diminuiscono il tempo d’effetto in loco dei cancerogeni assunti con alimenti, ma specialmente prodotti dalla flora batterica a partire dall’aumentata escrezione di acidi biliari nelle diete ricche di grassi.189 Sembra maggiore l’associazione col consumo di carne rossa piuttosto che con i grassi in quanto tali, con un ruolo possibile legato anche al tipo di cottura; non aumenterebbe il rischio il consumo di carne bianca. Altre teorie insistono sul fatto che i grassi sarebbero metabolizzati a cancerogeni da parte dei batteri intestinali.179 Non sarebbe dimostrata una relazione tra fibre e insorgenza di adenoma.187 Il cambiamento dello stile di vita (prevenzione primaria) rappresenterebbe la più importante forma di prevenzione del cancro del grosso intestino.65 Quasi venticinque anni fa venne assunto che il 35% delle morti di cancro negli U.S.A. sarebbe stato prevenibile attraverso modificazioni della dieta.29,184,185 Frutta e vegetali hanno un contenuto ricco di molecole anticancerogene, quali antiossidanti, minerali, fibre, potassio, carotenoidi, acido ascorbico, folati ed altre vitamine. Nel 1997 il World Cancer Research Fund e l’American Institute for Cancer Research riportarono in un documento congiunto che diets high in vegetables and fruits decrease the risk of many cancers, and perhaps cancer in general; tuttavia, come anticipato in precedenza, negli ultimi anni, l’essersi resi disponibili molti studî di coorte ha in parte ridimensionato tale entusiasmo che era largamente basato su studî caso-controllo i quali, in quest’ambito di ricerca, possono essere affetti da un bias di informazione (social desiderability bias) generato dai soggetti che esprimono un overeporting di consumo di alimenti salutari ed un undereporting di quelli dannosi.184 Particolare attenzione è stata posta sul ruolo dei folati, che sostengono diverse azioni riparative sul DNA, e sui carotenoidi, ad azione antiossidante; si ricorda come i primi possano venire largamente danneggiati dalle fasi di preparazione dei cibi e dalla cottura. La combinazione BMI + sedentarietà + scarso consumo di frutta e verdura ha PAF=15%.28 01/0 122 Circa la storia personale di neoplasia intestinale, assumono un ruolo di rilievo l’anamnesi patologica di adenomi65 e di un CCR (in cinque anni, il rischio di insorgenza di un secondo CCR è pari all’1.5-3.0%).63 Rispetto all’anamnesi patologica familiare, essa è positiva per il 20% dei CCR, dove i criterî classici per le forme ereditarie non sono soddisfatti ma il rischio relativo assume valori importanti: per un CCR in n. 1 parente di primo grado, RR=2.3;65 per un CCR in n. 2 o più parenti di primo grado, RR=4.25;65 per un caso indice di CCR inferiore a 45 anni, RR=3.9;65 per una storia familiare di adenoma del colonretto, RR=2.0.65 Un ruolo fondamentale sarebbe svolto dal polimorfismo genetico, specialmente a carico della glutatione-S-transferasi, dell’etilenetetraidrofolato reduttasi e delle N-acetiltransferasi.179 Lesioni precancerose sono considerate gli adenomi.128,157,180 Si tratta delle più frequenti neoplasie di crasso e tenue, specialmente del retto e del sigma; considerando anche quelli molto piccoli, sono identificabili fino al 50% delle autopsie.18 Presentano morfologia poliposa (“polipi”, termine clinico senza alcun significato patologico) e sono sessili o peduncolati; possono originare dalle ghiandole di Lieberkühn e dall’epitelio di rivestimento intestinale. Sul piano epidemiologico, gli adenomi intestinali presentano un picco di prevalenza a livello di retto e sigma all’età di 60 anni; quindi l’incidenza resta costante.181 Oltre l’80% dei CCR distali deriva da polipi adenomatosi.181 Per le combinazioni più sfavorevoli delle caratteristiche isto-morfologiche, il rischio di trasformazione di un adenoma avanzato può raggiungere il 37% all’anno.181 Si distinguono gli adenomi tubulari, quelli villosi e quelli tubulo-villosi. Gli adenomi tubulari sono frequenti, solitarî o multipli. Presentano diametro intorno a 1 cm e superficie liscia/lobulata. Sono asintomatici a lungo, o provocano genericamente addominalgie; se localizzati in sigmaretto è possibile si verifichi la loro procidenza durante la defecazione e la successiva riduzione; comuni risultano l’anemia ipocromica sideropenica e la presenza di sangue/muco; una complicanza possibile è rappresentata dall’invaginazione colo-colica. Gli adenomi villosi (“papillomi”) sono rari, solitari, in sede rettosigmoidea quasi esclusivamente in anziani. Hanno diametro maggiore rispetto ai precedenti, fino a 10 cm, e superficie villosa. Presentano maggior tendenza a cancerizzare. Sono a lungo asintomatici, fino (allorché molto grandi) alla comparsa di mucorrea (scariche specialmente al mattino per accumulo notturno nell’ampolla rettale, consistenti fino a 2 l/die, con possibile ipokaliemia, iponatriemia, shock ipovolemico, iperazotemia ed insufficienza renale acuta su base funzionale), anemizzazione; non si accompagnano ad addominalgie. 01/0 123 Gli adenomi presentano un quadro di displasia dell’epitelio di rivestimento di grado lieve, medio o grave (comprendente il carcinoma in situ); l’invasione dell’asse stromale fibrovascolare si ha per superamento della membrana basale e della lamina propria con estensione, oltre alla muscolaris mucosae, alla tonaca sottomucosa.128,182 Le forme ereditarie costituiscono il 5-10% dei casi.65 Di esse si ricordano la poliposi adenomatosa familiare (FAP), alla base di circa l’1% dei CCR, a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata dalla comparsa di centinaia/migliaia di polipi densamente tappezzanti colon e retto, nella metà dei casi entro i quindici anni d’età, con tendenza alla degenerazione prossima al 100% entro i 40 anni.65,128,157,180 Nella FAP viene ereditato un gene APC mutato; nel corso della vita, i soggetti portatori vanno incontro alla mutazione dell’allele, con la conseguente accelerazione del processo di cancerizzazione.179 Si ricorda poi la sindrome di Gardner, variante della precedente, associata ad osteomi del cranio, fibromi della cute, ecc.15,74,75,76 Nella sindrome di Peutz Jegers, autosomica dominante, i polipi sono più distanziati, specialmente nel tenue; è associata ad iperpigmentazione cutanea e mucosa, specie orale, con bassa tendenza alla degenerazione.126,155,178 La sindrome di Turcot riconosce una modalità di trasmissione autosomica recessiva, è analoga alla FAP e si associa a neoplasia cerebrale.128,157,180 L’hereditary nonpolyposis colorectal cancer, HNPCC, alla base del 3% dei CCR, a trasmissione autosomica dominante, presenta un rischio aumentato di cancro senza poliposi associata; in questa forma il CCR compare in media all’età di 44 anni.65 Circa la sequenza da adenoma a cancro colorettale si veda, nel paragrafo sulla genetica molecolare, il modello relativo alle gatekeeper e caretaker pathways. Le forme in malattia infiammatoria cronica intestinale sono alla base dell’1-2% dei CCR.65 Circa la rettocolite ulcerosa, il rapporto di mortalità proporzionale per CCR è pari a 1/3. Il rischio cresce in funzione della durata della malattia 65 ed è pari al 2% dopo 10 anni, all’8% dopo 20 anni ed al 18% dopo 30 anni. A dieci anni dall’esordio il rischio si stabilizza sul valore di 0.5-1.0%/anno.18 Rispetto al morbo di Crohn, il rischio risulta simile.65 Il CCR procede con uno sviluppo lento, per cui necessita di molto tempo prima di produrre la sintomatologia. Questa è assai legata alla sede della neoplasia. Brevemente, a livello del cieco prevalgono i sintomi di colite e si ha comparsa di sangue occulto nelle feci, con anemia ipocromica sideropenica (ed astenia); nel colon destro si ha un quadro di colite, con sangue occulto fecale, anemia ipocromica sideropenica (ed astenia) e sangue misto a muco nelle feci (spesso i sintomi sono più subdoli); nel colon sinistro si osserva colite, anemia ipocromica sideropenica (astenia), 01/0 124 sangue verniciante le feci, con modificazioni dell’alvo per alternanza di costipazione e diarrea. In genere si ha palpabilità della massa. A livello del retto il dolore è tardivo ed in sede pelvica per l’invasione perirettale (con disturbi organo specifici), modificazioni dell’alvo, tenesmo doloroso senza defecazione, rettorragie e muco anche indipendenti dall’emissione di feci, sangue verniciante le feci, che tendono ad essere nastriformi. Le complicanze sono principalmente rappresentate dall’ileo meccanico, specie nel colon sinistro e nel retto (a destra le feci sono liquide), dalla sovrapposizione di infezioni, dal formarsi di fistolizzazioni (con la comparsa, ad esempio, di fecaluria), dalla perforazione e dalla peritonite. Lo screening colon-rettale si può effettuare attraverso diversi approccî. Il metodo ideale di screening è ancora controverso.65 La colonscopia totale (CT) consente la valutazione dell’intero colon, con simultanea possibilità di biopsia o polipectomia, ma presenta maggiori costi ed inconvenienti per il paziente; la flessosigmoidoscopia (FS) e la ricerca del sangue occulto nelle feci (fecal occult blood test, FOBT), sono un po’ meno efficaci ma anche meno invasivi; esistono ulteriori test, promettenti ma non ancora sufficientemente standardizzati,65 come la colonscopia virtuale, test molecolari sulle feci, serum proteomics, biomarkers sierici (insulin growth factor 2, IGF2, presente 4 e 8 volte di più rispettivamente in adenomi e CCR; insulin growth factor 1, IGF1). Per i soggetti con storia personale o familiare di neoplasie del colonretto, FAP, HNPCC o malattia infiammatoria cronica intestinale, stante il rischio specifico, esistono linee guida di sorveglianza ad hoc. Circa il FOBT, il grado di evidenza dei vantaggi, secondo il National Cancer Institute (U.S.A., 2005), è massimo (basato su tre RCT),100 riducendo esso la mortalità da CCR nei soggetti tra 50 a 80 anni d’età; di pari importanza il livello di evidenza degli svantaggi, legati alle rare complicanze di una colonscopia di approfondimento. Anche rispetto alla flessosigmoidoscopia il grado di evidenza dei vantaggi, è massimo (basato su due RCT),100 e consiste nella riduzione della mortalità nei soggetti al di sopra dei 50 anni d’età. Nella Regione Piemonte è in fase di avvio un programma di screening dei tumori del colon-retto denominato Prevenzione Serena; in effetti, l’esecuzione dello screening da parte di tutti i soggetti eleggibili in Piemonte consentirà nei prossimi dieci anni di evitare 1200 morti e prevenire ulteriori 1500 nuovi casi di CCR.181 Il I livello dello screening colorettale in Prevenzione Serena prevede l’invio di una lettera di invito con opuscolo illustrativo e, in caso di mancata presentazione, di un sollecito. Non è richiesta l’impegnativa ed è prevista l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria. 01/0 125 Il programma si rivolge ai soggetti di entrambi i sessi con due distinti rami di screening (I livello) a seconda della coorte d’età, l’uno con l’impiego della FS, l’altro con il FOBT. Le esclusioni riguarderanno i casi di CCR attuale o pregresso, di adenomi/polipi del colon retto, la malattia infiammatoria cronica intestinale (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa), l’avere eseguito FS, CT o FOBT nei due anni precedenti, la presenza di una patologia gravemente invalidante o terminale. Sulla base delle premesse epidemiologiche relative all’incidenza di questa neoplasia rispetto all’età, al fine di massimizzare il beneficio derivante dalla prevenzione di futuri CCR evoluti da adenomi,181 la coorte dei soggetti di età corrispondente a 58 anni viene invitata a sottoporsi all’esecuzione della flessosigmoidoscopia una tantum. Questa viene eseguita previa toelette intestinale, 2 ore in anticipo con clistere da 133 ml di sodio fosfato 20% ritirato in farmacia, da non somministrare in caso di addominalgia acuta, nausea o vomito in atto, stipsi protratta da oltre 6 settimane. La FS è considerata completa se si ha il superamento della giunzione sigmoidocolica e la visualizzazione del colon discendente, in condizioni di adeguata preparazione intestinale. L’esito della flessosigmoidoscopia potrà essere quello negativo (ed in tal caso la predittività negativa dovrebbe estendersi per oltre dieci anni). Oppure, l’esito dello screening potrà consistere nella presenza di un polipo a basso rischio, con diametro inferiore a 10 mm (ed in tal caso si procede all’immediata asportazione endoscopica ed all’accertamento istologico; polipi di dimensioni maggiori saranno invece rimossi in ambito di approfondimento di II livello), di un adenoma a componente villosa, di un adenoma con displasia grave, di tre o più adenomi, di un polipo con diametro pari o superiore a 10 mm, di un CCR. In questi ultimi casi il paziente è inviato ad un accertamento di II livello; analogamente, sarà richiamato ad approfondimento di II livello nel caso in cui l’esame istologico seguito alla polipectomia evidenzi caratteristiche di alto rischio. In caso di lesioni estese è possibile l’immediato invio ad accertamenti preparatorî alla chirurgia; la terapia chirurgica è indicata anche nei casi in cui l’istologia evidenzi un adenoma cancerizzato in cui manchi la condizione di carcinoma ben differenziato o non vi sia indennità dei margini di resezione, o vi sia invasione di vasi linfatici o venosi.181 Ai soggetti non rispondenti alla lettera di invito ed a quella di sollecito per la FS viene proposta, con lettera ed opuscolo informativo, l’esecuzione di un FOBT ogni 2 anni (per i successivi undici anni); ai non aderenti al FOBT, dopo un anno è ulteriormente proposta la FS. È evidente come si venga a creare in tal modo una coorte dinamica di soggetti che effettueranno la ricerca del sangue occulto nelle feci, che aumenterà 01/0 126 dimensionalmente per una dozzina di anni per poi stabilizzarsi su un valore che sarà funzione di fattori quali la consistenza anagrafica della coorte dei cinquantottenni nel tempo e la compliance alla FS ed al FOBT nei soggetti che rifiutano l’accertamento endoscopico. Al fine di comprendere nella fase di avvio dello screening colorettale anche i soggetti a significativo livello di rischio per CCR di età compresa tra 59 e 69 anni, questa coorte chiusa viene invitata a sottoporsi all’esecuzione della ricerca del sangue occulto nelle feci con un intervallo di rescreening di due anni, fino al raggiungimento del limite superiore di età. È evidente come tale coorte vada a diventare sempre meno dimensionalmente consistente, fino ad azzerarsi dopo una dozzina di anni. Il FOBT è eseguito con il test di agglutinazione su lattice, che non è influenzato dalla dieta, per cui non sono da prevedere restrizioni dietetiche. L’esito della ricerca del sangue occulto nelle feci potrà essere negativo oppure positivo, nel qual caso il soggetto è convocato al II livello. L’approfondimento di II livello in Prevenzione Serena, tanto per i soggetti provenienti dalla FS che per quelli provenienti dal FOBT, prevede l’esecuzione di una colonscopia totale (ed eventualmente un follow up). La FS (seguita, come II livello, dalla CT) consente l’identificazione del 70% delle lesioni avanzate prevalenti.98 Sul piano epidemiologico si osserva come la riduzione della mortalità e dell’incidenza del CCR (studî caso-controllo) imputabile allo screening con flessosigmoidoscopia corrisponde al 40-80%;181 come anticipato, l’effetto si mantiene per 10 anni.181 Il recall rate, o tasso di richiamo ad approfondimento di II livello, della FS è atteso intorno al 7.5% (considerando gli invii direttamente dalla flessosigmoidoscopia e quelli basati sull’istologia successiva ai prelievi in FS). Il limite della FS consiste nell’impossibilità di individuare lesioni ubicate nel colon prossimale (che, tuttavia, rappresentano il solo 25% dei cancri prossimali comunque individuati in accertamenti colonscopici di approfondimento della FS);181 va inoltre ricordato come nei soggetti privi di lesioni distali la prevalenza degli adenomi prossimali sia solo del 2-3%. Circa il tasso di identificazione della FS rispetto agli adenomi avanzati, esso è stimato 3 volte maggiore rispetto al FOBT; verso il CCR esso è stimato intorno al 4‰, leggermente superiore (5-10%) rispetto al FOBT.181 Per quanto riguarda la ricerca del sangue occulto nelle feci, la riduzione della mortalità per CCR imputabile allo screening con FOBT corrisponde al 16-23%.75,181,190 Il tempo di anticipazione diagnostica medio con tale ricerca è di 2.5-3.2 anni.181 Il recall rate atteso tende ad essere simile, sulla base delle prime esperienze regionali, a quello della FS, quasi doppio 01/0 127 rispetto alle prime aspettative. Il VPP del FOBT è del 30.4% per adenoma avanzato e dell’8.7% per il CCR; quello totale corrisponde al 39.1%. Prevenzione secondaria di altre neoplasie In conclusione, si riportano alcuni richiami schematici relativi all’orientamento del National Cancer Institute (U.S.A., 2006) circa la prevenzione di altre neoplasie. Ritengo opportuno richiamare in questa sede il ruolo imprescindibile che riveste l’epidemiologia dello screening per una medicina preventiva basata sull’evidenza di efficacia degli interventi. Rispetto a questo tema mi sono diffusamente espresso in precedenza, nella parte in cui ho trattato la prevenzione secondaria; a tale approfondimento rimando il lettore. Lung cancer Intervention: chest x-ray and/or sputum cytology. Benefits. Evidence (fair): does not reduces mortality. Harms. Evidence (solid): …would lead to false-positive tests and unnecessary invasive diagnostic procedures… Radiografie multiple del torace, oltre a non ridurre la mortalità della neoplasia broncogena, potrebbero persino essere dannose.28 Intervention: low-dose helical computed tomography. Benefits. Evidence: insufficient to determine whether screening reduces mortality. Harms. Evidence (solid): …would lead to false-positive tests and unnecessary invasive diagnostic procedures… Prostate cancer Intervention: digital rectal examination and prostate-specific antigen (PSA). Benefits. Evidence (insufficient): …to detect prostate cancer at an early stage, but it is not clear whether screening reduces mortality…The observed trends may be due to screening or to other factors such as improved treatment. Harms. Evidence (good): …detects some cancers that would never have caused important clinical problems … some degree of overtreatment … including radical prostatectomy and radiation therapy. The most common side effects are erectile dysfunction and urinary incontinence. PSA isn’t a perfect marker:191 negli U.S.A. la mortalità per carcinoma della prostata è diminuita del 26% nel periodo 1999-2005, ma non è stato ancora dimostrato il ruolo in tale trend dello screening con PSA (in tal senso due RCT saranno conclusi circa nel 2012). 01/0 128 Bladder and other urothelial cancers Benefits. Evidence (fair): …little or no impact on mortality. Harms. Evidence (fair): …would result in unnecessary diagnostic procedures with attendant morbidity. Rare but serious harms. Endometrial cancer Intervention: ultrasonography (e. g. transvaginal ultrasound) or endometrial sampling. Benefits. Evidence: insufficient to determine whether screening reduces mortality. Harms. Evidence (solid): …TVU will result in unnecessary examinations because of its low specificity. Endometrial biopsy may result in bleeding, infection and rarely uterine perforation... Risks associated with falsepositive … surgery. Symptom-detected endometrial cancers…high proportion are diagnosed at an early stage and have high rates of survival. Esophageal cancer Intervention: endoscopy. Benefits. Evidence (fair): no (or minimal) decrease in mortality. Harms. Evidence (good): …uncommon but serious side effects associated with endoscopy which may include perforation, cardiopulmonary events / aspiration pneumonia and bleeding. Gastric cancer Intervention: endoscopy. Benefits. Evidence (fair): no decrease in mortality. Harms. Evidence (good): …uncommon but serious side effects associated with endoscopy which may include perforation, cardiopulmonary events / aspiration pneumonia and bleeding. Hepatocellular cancer Benefits. Evidence (fair): no decrease in mortality. Harms. Evidence (good): …rare but serious side effects associated with aspiration cytology such as needle-track seeding … and hemorrage, bile peritonitis and pneumothorax. Transjugular liver biopsy … perforation of the hepatic capsule or cholangitis. Neuroblastoma cancer Intervention: at age 6 months, urine vanillylmandelic acid and homovanillic acid metabolites of the hormones norepinephrine and dopamine. Benefits. Evidence (fair): no decrease in mortality. Harms. Evidence (good): …overdiagnosis… unnecessary diagnostic procedures. Oral cancer Intervention: visual examination. Benefits. Evidence insufficient to determine whether screening reduces mortality. 01/0 129 Ovarian cancer Intervention: serum markers as CA125 levels, transvaginal ultrasound, pelvic examinations. Benefits. Evidence insufficient to determine whether screening reduces mortality (levels of evidence 4, 5). Harms. Evidence (good): …more diagnostic laparoscopies and laparotomies … unnecessary oophorectomies... Skin cancer Intervention: visual examination. Benefits. Evidence (poor) reduction in mortality from melanoma. Harms. Evidence (fair): …extensive surgery. Testicular cancer Intervention: visual examination. Benefits. Evidence (fair): …no appreciable decrease in mortality, in part because therapy at each stage is so effective. Harms. Evidence (fair): …unnecessary diagnostic procedures with attendant morbidity. In definitiva, rispetto alla riduzione della mortalità, i progressi nel trattamento del cancro non sono stati così evidenti come quelli di altre patologie croniche, ad esempio quelle cardiovascolari; effective screening methods are available for only a few cancers. Primary prevention through lifestyle and environmental interventions remains the main way to reduce the burden of cancers.28 È necessario quindi attivare il massimo impegno sul versante della prevenzione primaria e su quello degli screening che la comunità scientifica internazionale riconosce come efficaci. Desidero richiamare, in chiusura, la rilevanza che offre un programma di screening oncologico anche sul piano etico. Le considerazioni circa l’offerta del test a tutta la popolazione forniscono già una risposta rispetto ai limiti etici gravanti sugli screening opportunistici e riconducibili a varianti prevalentemente socioeconomiche, ma in una certa misura anche culturali, che condizionano evidenti distorsioni di accesso alla diagnosi precoce. “D’altra parte il raggiungimento di una maggiore equità nella distribuzione delle risorse sanitarie è una delle motivazioni principali dell’attivazione di un programma di screening: infatti si ritiene che l’invito attivo a sottoporsi a un esame possa coinvolgere anche quei gruppi marginali della popolazione che altrimenti potrebbero non trovare alcuna protezione”.192 A titolo personale, al fine di richiamare la prospettiva etica del soggetto invitato allo screening, desidero enucleare dai documenti di approfondimento del Comitato Nazionale di Bioetica una concezione antropologica fortemente connotata di persona, alla quale possiamo ricondurci, e cioè quella del personalismo, che riconosce risiedere nel soggetto umano un fondamento ontologico e metafisico. “Persona viene 01/0 130 intesa, con riferimento al pensiero di Tommaso d’Aquino e di Boezio, ogni essere umano sussistente fornito per essenza di razionalità e spiritualità. In tale prospettiva la persona è il so-strato sussistente che non si esaurisce nella manifestazione fenomenica, bensì trascende la sua stessa manifestazione nella ricchezza inesauribile del suo essere spirituale”.193 La dignità riconosciuta alla persona umana ed il rispetto che ne deriva presuppongono la necessità primariamente etica di operare una medicina fondata sui criterî di evidenza e su un approccio metodologico scientificamente rigoroso nell’analisi dei fenomeni naturali. (…) Il programma scientifico delineato per la prima volta nel Discours de la méthode (1637) era fondato sulla convinzione che tutte le funzioni vitali degli organismi, anche le più complesse e indecifrabili, fossero in definitiva riconducibili a processi e relazioni di tipo fisico-meccanico. (…) Il principio dell’unità e dell’uniformità della natura, che d’ora in poi costituirà una delle grandi eredità del meccanicismo, aveva finito per fare della biologia e della medicina una semplice sezione della fisica, soggetta agli stessi procedimenti logico-matematici ed alla stessa legalità scientifica (…).194 Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Crovari P, Icardi G, Orione L. The role of socio-environmental conditions on the emergence and resurgence of epidemics. J Prev Med Hyg 1998;39:1-10. Cosmacini G. Storia della medicina e della sanità in Italia. Gius. Laterza & Figli. Bari. 1987. Corradi A. Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850. Presentati alla Società Medico-Chirurgica di Bologna nella sessione 24 Agosto 1863, p. 538. Cavallo G. Prospettive della Medicina negli anni 2000. Professione. Sanità Pubblica e Medicina Pratica. 2001;1:5-8. Task Force on Community Preventive Services. 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Oggi nell’ambulatorio di medicina generale stanno entrando ecografi, elettrocardiografi, spirometri e tutta l’attività viene gestita in modalità informatizzata con la collaborazione di infermieri e personale di segreteria. Ultimamente poi il MMG ha imparato a lavorare in gruppo e ciò ha permesso veramente un salto di qualità con vantaggi soprattutto per gli assistiti che, pur avendo sempre il proprio medico come riferimento, sanno di poter contare su una struttura complessa in grado di soddisfare e gestire le loro esigenze. Tuttavia, pur continuando ad essere un punto di forza nell’attuale Sistema Sanitario, il MMG ha perso un po’ in termini di relazione col paziente. Questo è un problema comune a tutto il Sistema Sanitario, forse più accentuato ancora a livello specialistico ed ospedaliero, ma per il Medico di Famiglia la relazione col paziente deve rappresentare il fulcro sul quale si muove tutta la sua attività. Ciò è accaduto per colpa di un sistema sempre più frenetico che ha visto la domanda di prestazioni raddoppiarsi nel giro di pochi anni, così come l’impegno burocratico, con conseguente riduzione dei tempi a disposizione. La medicina di famiglia è il livello di assistenza posto tra il self-care e le cure ospedaliere e specialistiche, ma l’autocura o automedicazione, auspicabile per piccoli disturbi o malesseri, si è sempre più ridimensionata riversando negli ambulatori di medicina generale masse di assistiti con motivazioni veramente banali che di fatto non diventeranno mai malattia. Si stima che ogni giorno oltre 2.500.000 di persone in Italia consultino il proprio MMG. Contestualmente è aumentato il disagio sociale soprattutto nella popolazione anziana che, non trovando altre risposte, cerca sostegno nella figura del MMG esprimendo malesseri che hanno la loro origine nelle carenze socio-assistenziali. Tutto ciò ha reso sempre più difficile l’approccio all’ambulatorio del MMG, favorendo l’improprio e diretto accesso alle strutture ospedaliere, in particolare al pronto soccorso. Le conseguenze di un sistema insostenibile come questo sono l’impennarsi dei costi sociali e del disagio per gli utenti, con danno per le professionalità sanitarie, che si esprime in uno stato di perenne difficoltà. È tuttavia tendenza comune a tutti i sistemi sanitari europei un graduale incremento della responsabilità finanziaria e professionale assegnata ai MMG, proprio perché un sistema sanitario basato su una medicina generale di alta qualità 01/0 144 rappresenta il modello ideale di sistema sanitario capace di condurre ai migliori risultati in termini di salute ed efficienza economica. In effetti oggi la medicina generale è definita una disciplina accademica e scientifica con i suoi propri contenuti educativi, una sua propria ricerca, una sua propria base di evidenza e di attività clinica ed è una specializzazione clinica orientata alle cure primarie. Ma lavorare come MMG significa innanzitutto seguire nel tempo una popolazione costituita da singoli pazienti e intessere con ognuno di loro una relazione unica ed irripetibile. Il MMG solitamente conosce il paziente come persona, ha la sua fiducia e la sua confidenza, conosce la sua famiglia, l’ambiente in cui vive, i suoi affanni, le patologie di cui soffre o ha sofferto, presupposti fondamentali perché si realizzi veramente il rapporto di fiducia. Il MMG è un osservatore privilegiato della salute della popolazione e il primo e più efficace “educatore alla salute” con una responsabilità specifica definita dall’accordo collettivo nazionale. L’educazione sanitaria è allora un compito prioritario per il MMG e ciò è tanto più importante se si pensa che, secondo le autorità sanitarie americane, “il 50% delle malattie è da attribuire ad abitudini di vita scorrette”, ovvero l’incidenza di molte malattie, i cui fattori di rischio siano noti e modificabili, potrebbe essere ridotta intervenendo su alimentazione, attività fisica, fumo e così via, rendendo apparentemente molto semplice la soluzione al problema. Ma non è così! Oggi viviamo in un mondo di persone spaventate ed ipocondriache: abbiamo paura di ciò che beviamo, mangiamo, respiriamo, delle persone che tocchiamo, delle strade che percorriamo, dei farmaci che assumiamo, ma raramente questi timori si traducono in comportamenti più sani e correttamente orientati alla conservazione di uno stato di benessere: in automobile abbiamo sempre più fretta, raramente rinunciamo ai piaceri della tavola o ad una sigaretta dopo un buon caffè, sfidiamo le insidie del sole pur di farci una abbronzatura invidiabile. Probabilmente esiste un gap fra la comunicazione del rischio e ciò che ne dovrebbe conseguire, col pericolo, inoltre, che si mettano in moto consumi ingiustificati di servizi e di prestazioni sanitarie interpretati dagli assistiti come soluzione ai problemi in mancanza di una loro disponibilità a modificare il proprio stile di vita: è più semplice dosare ogni tre mesi il colesterolo piuttosto che rinunciare alla fetta di salame o di gorgonzola oppure fare la radiografia del torace ogni tanto piuttosto che smettere di fumare, e via così. Comunicare il rischio per la salute non è però cosa banale. Rappresenta uno dei gradini fondamentali della cosiddetta medicina delle prove di efficacia: la grande sfida del trasferimento delle evidenze scientifiche alla realtà quotidiana. In pochi minuti si possono dare tutte le informazioni necessarie per una corretta igiene di vita, ma queste informazioni, apparentemente banali, sono il frutto di ricerca, lavori clinici, pubblicazioni, che hanno impegnato ricercatori e clinici. Ma cosa può fare il MMG? Quali sono gli strumenti educativi di cui dispone? Innanzitutto deve ricevere una formazione specifica, qualificata e continua, presupposto irrinunciabile per qualsiasi attività, quindi deve organizzare il proprio lavoro sia in termini di tempo che di personale, mirando gli interventi in base alle caratteristiche dell’assistito e diversificandoli per gruppi omogenei ed a seconda delle fasi della vita. 01/0 145 L’approccio all’assistito può avvenire in modo opportunistico o tramite iniziative specifiche. La medicina di opportunità è la modalità più naturale per il MMG, ma solo una parte degli assistiti frequenta abitualmente l’ambulatorio, perlopiù malati ed anziani che non rappresentano il target ideale per la prevenzione. Tuttavia questo strumento educativo resta il più utilizzato dal MMG col vantaggio di personalizzare l’intervento e quindi di produrre i migliori risultati finali. La medicina di iniziativa non è una modalità di lavoro abituale per il MMG che può però collaborare ai progetti di screening organizzati a livello istituzionale. Per il loro successo la figura del MMG è veramente fondamentale, ma la sua efficacia si realizza soprattutto se esiste un messaggio di ritorno che evidenzi gli assistiti che non hanno risposto all’invito: sono questi il vero obiettivo del MMG. Infine, è indispensabile che ogni intervento poggi su un solido rapporto di fiducia, unico strumento capace di ottenere, per mezzo dell’informazione, l’ammonizione e la dissuasione, la disponibilità a modificare convinzioni, abitudini di vita, piaceri, proponendo rinunce e frustrazioni immediate in cambio di benefici solo attesi nel tempo. Questo però dovrebbe essere un momento di dialogo, non di semplice comunicazione, dal momento che chiama in causa i valori e le preferenze della gente. Perché una comunicazione sia efficace è necessario maneggiare gli strumenti culturali della relazione medico-paziente. L’assistito deve vedere nel proprio medico un alleato, non un despota intollerante; il medico si deve calare nella realtà della vita del paziente, fatta di tante cose che non si devono trascurare: valori, credenze radicate nella cultura e nelle tradizioni che non si possono cancellare con uno sterile “ordine medico” che, al contrario, rischia di aumentare le distanze anziché colmarle. Educare significa però anche indirizzare verso un corretto utilizzo delle risorse evitando lo spreco, tarlo quasi inevitabile di tutto ciò che è “la cosa pubblica” ed ancora significa dissuadere dal lasciarsi attrarre da informazioni fuorvianti, imprecise, troppo generiche, se non dannose, che popolano tutti gli strumenti mediatici e che spesso sono asservite ad interessi economici o pescano nella medicina alternativa, che non sempre è innocua. Innumerevoli sono i problemi e le difficoltà che si incontrano! Lo strumento fondamentale che deve ispirare l’intervento educativo e di prevenzione è molto semplice, ma poco conosciuto ed utilizzato: il codice europeo contro il cancro. Codice europeo contro il cancro. 1. Non fumare; se fumi, smetti. Se non riesci a smettere, non fumare in presenza di non-fumatori. 2. Evita l’obesità. 3. Fai ogni giorno attività fisica. 4. Mangia ogni giorno frutta e verdura: almeno cinque porzioni. Limita il consumo di alimenti contenenti grassi di origine animale. 5. Se bevi alcolici, che siano birra o vino, o liquori, modera il loro consumo a due bicchieri al giorno se sei uomo, ad uno se sei donna. 6. Presta attenzione all’eccessiva esposizione al sole. È di importanza fondamentale proteggere bambini ed adolescenti. Gli individui che hanno la tendenza di scottarsi al sole debbono proteggersi per tutta la vita dall’eccessiva esposizione. 7. Osserva scrupolosamente le raccomandazioni per prevenire l’esposizione occupazionale od ambientale ad agenti cancerogeni noti, incluse le 01/0 146 radiazioni ionizzanti. Se diagnosticati in tempo molti tumori sono curabili. 8.Rivolgiti ad un medico se noti la presenza di: una tumefazione; una ferita che non guarisce, anche nella bocca; un neo che cambia forma, dimensioni o colore; ogni sanguinamento anormale; la persistenza di alcuni sintomi quali tosse, raucedine, acidità di stomaco, difficoltà a deglutire, cambiamenti inspiegabili come perdita di peso, modifiche delle abitudini intestinali o urinarie. Esistono programmi di salute pubblica che possono prevenire lo sviluppo di neoplasie od aumentare la probabilità che una neoplasia possa essere curata. 9. Le donne dai 25 anni in su dovrebbero essere coinvolte in screening per il carcinoma della cervice uterina con possibilità di sottoporsi periodicamente a strisci cervicali. Questo deve essere fatto all’interno di programmi organizzati, sottoposti a controllo di qualità. 10. Le donne sopra i 50 anni dovrebbero essere coinvolte in screening per il carcinoma mammario con la possibilità di sottoporsi a mammografia. Questo deve essere fatto all’interno di programmi organizzati, sottoposti a controllo di qualità. 11. Individui con più di 50 anni dovrebbero essere coinvolti in screening per il cancro colorettale. Questo deve essere fatto all’interno di programmi organizzati, sottoposti a controllo di qualità. 12. Partecipa ai programmi di vaccinazione contro l’epatite B. È vero che in pratica si tratta di una serie di raccomandazioni che, se rispettate, possono portare ad una riduzione dell'incidenza ed anche ad una diminuzione della mortalità da cancro, ma di fatto nella prima parte può trovare un’applicazione più generale come nella prevenzione cardiovascolare e della sindrome metabolica. Lo screening rappresenta l’espressione più moderna e civile di un sistema sanitario efficiente e ci si aspetterebbe, visti gli evidenti ed innumerevoli vantaggi derivanti dall’esame, che questi da soli bastino a spingere la popolazione target ad eseguire il test. Eppure non è sempre così. Intervengono infatti alcune variabili psicologiche che spostano l’ago della bilancia a favore della non adesione, facendo apparire questo processo decisionale come un processo “non razionale”. Viene quindi spontaneo chiedersi: “perché no?”, cosa frena le persone nel loro processo decisionale riguardo all’adesione allo screening? Zani e Pietrantoni1) hanno sviluppato e testato un interessante modello teorico in grado di verificare il ruolo che possono avere alcuni fattori di natura psicologica e sociale nell’influenzare la scelta di accettare o meno l’invito a sottoporsi a screening oncologico. Secondo questo modello, l’intenzione di eseguire un test di screening è influenzata da variabili socio-cognitive, come i benefici derivanti dall’esame, i costi emotivi, l’influenza sociale, la percezione di vulnerabilità e la percezione comparativa del rischio, che sono a loro volta influenzate sia da variabili socio-anagrafiche, come l’età, lo stato relazionale ed il titolo di studio, sia dalle esperienze vissute, come la sintomatologia passata, le conoscenze sul test da eseguire e la conoscenza diretta di persone con tumore. L’intrecciarsi di tutti questi elementi può portare a situazioni innumerevoli e spesso molto complesse che determinano le resistenze; tuttavia, l’espressione più comunemente usata per motivare il rifiuto è la semplice “paura” quasi sempre ingiustificata dal punto di vista cognitivo. Un aspetto iniziale importante è lo spostamento di prospettiva dalla cura alla prevenzione che comporta costi significativi per i destinatari: si costringono le persone a farsi protagoniste della propria salute, talvolta anche della propria 01/0 147 salvezza, ad assumersi tale responsabilità e ad affrontare un’attività di accertamento in una situazione di completo benessere. Ciò comporta il rischio di diventare d’improvviso malati di cancro; nell’immaginario comune il peggiore fra i mali, incurabile, quindi sinonimo di morte. Inoltre, non tutte le persone sono convinte che la loro salute dipenda dal tipo di azioni che sono in grado di compiere. A questo proposito, in letteratura vengono descritte due differenti tipologie di individui: quelli che credono che gli eventi siano una conseguenza delle proprie azioni e si sentono personalmente responsabili di ciò che accade loro, detti “interni”, e quelli che credono che gli eventi dipendano da fattori al di fuori del proprio controllo, determinate dal caso o da altre persone, detti “esterni”. E’ ovvio che i primi saranno più attivi ed efficaci nel controllare la propria salute e saranno anche più disponibili a modificare il proprio stile di vita o ad affrontare attività di screening. Questo è però un percorso che sarà facilitato se si possiede la convinzione soggettiva di avere le capacità necessarie a gestire adeguatamente le situazioni in modo da raggiungere il risultato finale desiderato. L’autoefficacia non dipende solo dalle proprie personali capacità, ma è largamente influenzata dal giudizio delle persone che ci circondano e che riteniamo importanti, come familiari ed amici, che possono approvare ed incoraggiare. La figura del MMG può essere una di queste. Alcuni individui poi sono portati a pensare che gli eventi avversi, come il cancro, colpiscano solo e sempre gli altri: questa irrazionale sensazione di invulnerabilità non favorisce certo l’adozione di comportamenti di prevenzione delle malattie. La percezione di appartenere ad un determinato gruppo di rischio e di avere le stesse probabilità di contrarre una data malattia gioca un ruolo importate. Infine l’esame diagnostico necessario per sottoporsi ad uno screening è gravato di alcuni “costi emotivi” come imbarazzo, disagio, paura del dolore fisico ed ansia: tutto ciò può essere ampiamente determinante nel processo decisionale e proprio per questo dovrebbe essere ridotto al minimo. In conclusione, il MMG nel contesto delle campagne di screening non deve soffermarsi solo sul significato ormai scontato della funzione di prevenzione secondaria, ma deve porre la massima attenzione a ridurre al minimo i “costi emotivi” dell’esame da eseguire e rafforzare il concetto di vulnerabilità e di autoefficacia sfruttando gli strumenti della comunicazione e del colloquio senza dimenticare di verificare la correttezza delle informazioni recepite ed il superamento delle “paure”, lasciando un adeguato spazio all’espressione verbale dell’assistito. In questo modo il MMG può attivare e contribuire a quel processo sociale, culturale, psicologico, educativo e politico attraverso il quale i cittadini e i gruppi sociali diventano capaci di riconoscere i propri bisogni di salute, partecipano ai processi decisionali e realizzano specifiche azioni per soddisfare tali bisogni. Bibliografia 1. Zani B, Pietrantoni L. Donne e salute: un modello per predire l’intenzione ad eseguire il Pap-test. Psicologia della salute. 2000;1:51-66. 01/0 148 LA PRESENZA DI CANCEROGENI NEGLI ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE: ASPETTI DI MEDICINA VETERINARIA Alberto Attucci Direttore Servizio Veterinario, Area C, A.S.L. 15 - Cuneo La sicurezza alimentare rappresenta un’esigenza primaria per il consumatore, sia per il rischio potenziale che gli alimenti trasmettano malattie infettive o infestive, sia per la possibile presenza, nei cibi, di sostanze dannose. È inoltre noto che le abitudini alimentari sono responsabili dell’insorgenza di malattie dismetaboliche e di tumori. I primi dati sulla possibile relazione tra abitudini alimentari ed eziologia dei tumori risalgono all’inizio degli anni ’40 e derivano dall’osservazione che topi, alimentati senza alcuna restrizione, si ammalavano di tumore prima di quelli che venivano alimentati in regime di restrizione calorica.1 Il ruolo della dieta nell’insorgenza del cancro, sia per gli effetti dei singoli cibi e nutrienti che la costituiscono, sia per il “rischio chimico” legato alla presenza di cancerogeni, è confrontabile con quello del fumo: All’inizio degli anni ’80 era stato stimato, da Doll e Peto, della United States Accademy of Sciences che l’alimentazione poteva essere responsabile di circa il 30% di tutte le morti per tumore registrate nei Paesi sviluppati (con un intervallo variabile dal 10% al 70%). Attualmente la stima non è sostanzialmente cambiata anche se l’intervallo considerato risulta più ristretto, dal 20% al 50%.1 Il controllo sugli alimenti di origine animale (carne e derivati, pesce e derivati, latte e derivati, uova, miele, ecc.) spetta al Servizio Veterinario che opera nel Dipartimento di Prevenzione dell’A.S.L. In tale ambito si svolge, quindi, anche un’attività di prevenzione oncologica primaria, attraverso la vigilanza e l’effettuazione di specifici programmi di controllo e di campionamento durante tutte le fasi del processo produttivo di tali alimenti (filiera): dalla coltivazione in campo dei foraggi destinati all’uso zootecnico fino alla vendita dell’alimento al consumatore (from farm to fork.) L’attività mira pertanto a evitare, o contenere entro i limiti stabiliti, la presenza di agenti cancerogeni negli alimenti di origine animale. Per molti dei contaminanti chimici, volontari o involontari (residui di farmaci consentiti, metalli pesanti, antiparassitari, diossine, PCB, IPA, micotossine, ecc.), e per i coadiuvanti tecnologici ammessi (conservanti, coloranti ecc.) che possono trovarsi negli alimenti di origine animale esistono infatti limiti massimi residuali (L.M.R.) stabiliti per legge, secondo il principio del massimo residuo tollerabile. Per altre sostanze invece di impiego vietato ( anabolizzanti di sintesi, farmaci non ammessi nel settore zootecnico come il cloramfenicolo ed i nitrofurani, additivi alimentari non consentiti, ecc.) vige, ovviamente, il principio dello “zero analitico”. La tabella che segue riporta le tipologie di controlli effettuati dai Servizi Veterinari in riferimento ai principali agenti cancerogeni, raggruppati secondo la classificazione dello IARC, potenzialmente presenti nei mangimi e negli alimenti di origine animale, durante le fasi di produzione e di commercializzazione. 01/0 149 Classificaz. IARC Piano controllo mangimi Piano controllo alimenti (produzione) Piano controllo alimenti (commercializzaz.) Gruppo 1 Aflatossine: arachidi, cotone, soia, mais Cadmio: mangimi minerali Arsenico: mangime per ovaiole TCDD: olio di pesce, farina di pesce, grassi animali Cloramfenicolo: tutti i mangimi PCB: farina di pesce, olio di pesce, grassi animali Cadmio: carni TCDD: carni, pesce, latte, uova, miele Estrogeni: siero, urina, muscolo Cadmio: carni e frattaglie equine Aldeide formica: formaggi e prodotti ittici Cloramfenicolo: carni PCB: carni, pesce, latte, uova, miele Androgeni: siero, urina IPA (benzo-apirene): latte, formaggi, burro PCB: prodotti ittici BHA: burro, latte, creme, gelati Ocratossine: mais Insetticidi: tutti i mangimi Nitriti: farina di pesce Aflatossina M1: latte Insetticidi: grassi, latte, miele Progestinici: siero, urina Aflatossina M1: latte, formaggi Insetticidi: grassi, latte IPA (altri): latte, formaggi, burro Nitriti: salumi, carni macinate Gruppo 2/a Gruppo 2/b Tra le sostanze elencate consideriamo le seguenti: 1) sostanze ad attività ormonale anabolizzante, illecitamente impiegate in zootecnia per migliorare le rese ponderali; 2) aflatossine. 1) Sostanze ad attività ormonale anabolizzante illecitamente impiegate in zootecnia per il miglioramento delle rese ponderali. Gli ormoni sessuali, naturali e sintetici, rientrano tra gli “Endocrine Disrupters Chemicals” (EDC), sono cioè sostanze che, secondo la definizione più comunemente accettata, interferiscono con la produzione, il rilascio, il trasporto, il metabolismo, il legame, l’azione o l’eliminazione degli ormoni naturali dell’organismo responsabili del mantenimento dell’omeostasi e della regolazione dei processi di sviluppo.2, 3 In altre parole i distruttori endocrini rappresentano un gruppo di contaminanti degli alimenti e dell’ambiente in grado di interferire con l’attività soprattutto degli ormoni sessuali steroidei e degli ormoni tiroidei, attraverso svariati meccanismi (recettoriali, metabolici, ecc).4 Gli EDC comprendono anche altri gruppi di composti chimici, quali i pesticidi (organofosforici, carbammati, ditiocarbammati, piretroidi sintetici, organoclorurati, erbicidi, ecc.), i plastificanti (in particolare gli ftalati), gli antiossidanti alimentari 01/0 150 (BHA), e alcune sostanze di origine industriale (metalli pesanti: Pb, Cd, Hg, diossine, PCB, fenoli, ritardanti di fiamma, ecc.).3 Tra le sostanze che sono state e che vengono impiegate, oltre agli ormoni naturali endogeni, ricordiamo composti di sintesi quali gli estrogeni derivati dello stilbene (dietilstilbestrolo ed etinilestradiolo) e derivati dalle micotossine (zeranolo), gli androgeni (nandrolone, trembolone, boldenone, stanozololo, metiltestosterone, ecc.) e i progestinici (melengestrolo, megestrolo, medrossiprogesterone, ecc.). Vale inoltre la pena di ricordare che esistono nell’ambiente altre sostanze ad azione estrogenica, come i fitoestrogeni: isoflavoni, lignani, ecc. di cui è ricca la soia, ed altri xenoestrogeni come il bisfenolo-A , che può essere rilasciato dal rivestimento interno delle lattine usate per le conserve, ed il p-nonilfenolo, rilasciato da alcune plastiche che vengono a contatto con gli alimenti; tutte queste sostanze, a prescindere dalla loro struttura, sommano i loro effetti a quelli degli estrogeni naturali.5 In Europa l’impiego degli ormoni anabolizzanti, nel settore zootecnico, quali promotori di cresciuta, è da tempo vietato, mentre alcuni Paesi, come gli U.S.A. ed il Canada, consentono l’utilizzo nei bovini di: 17β estradiolo, testosterone, progesterone, zeranolo, trembolone acetato e melengestrolo.5 Dove consentite, queste sostanze vengono prevalentemente utilizzate sotto forma di impianti sottocutanei, solitamente come associazioni estro-androgene o estroprogestiniche e posizionate in zone che dovrebbero essere rimosse all’atto della macellazione (padiglioni auricolari). Dove il loro impiego risulta vietato sono somministrate prevalentemente per via alimentare. Ne deriva, comunque, che il consumatore assume con la carni residui di ormoni esogeni o ingerisce quantità di ormoni naturali superiori a quelle fisiologicamente presenti nell’animale. L’uso regolamentato di promotori ormonali di crescita non ne esclude, comunque, un impiego scorretto. Può infatti accadere che gli impianti siano inoculati in sedi che non verranno rimosse all’atto della macellazione, come nel sottocute del collo, o che siano utilizzati ripetutamente o simultaneamente o ancora che siano impiegati su animali sui quali ne è vietato l’utilizzo (giovani vitelli, suini), casi tutti documentati.5 È stato accertato che il consumo di carne contaminata da residui di impianti potrebbe comportare un’esposizione a sostanze ormonali fino a 67 volte la Acceptable Daily Intake (A.D.I.) stabilita dall’F.D.A.5 Esposizione nella specie umana agli ormoni sessuali per consumo di carne di animali sottoposti a trattamento. È fondamentale considerare la differenza che esiste tra l’uso volontario degli ormoni sessuali nel paziente, limitato a gruppi di età e basato su prescrizione individuale e l’assunzione involontaria di residui nelle carni, che avviene in modo inconsapevole ed indipendente dalle caratteristiche individuali dei consumatori. Negli USA l’F.D.A. ha stabilito valori accettabili di esposizione agli ormoni naturali. Le linee guida dell’F.D.A. escludono la comparsa di effetti indesiderati negli individui che consumino regolarmente tessuti animali che apportino ormoni endogeni in quantità non superiore all’1% della produzione giornaliera osservata nella fascia di popolazione a produzione/giorno più bassa (bambini prepuberi per l’estradiolo ed il progesterone e bambine prepuberi per il testosterone).6 Per gli ormoni esogeni sono stati stabiliti A.D.I. sulla base di valori “no-effect“.5 01/0 151 Basandosi su tali considerazioni e valutando i livelli ormonali mediamente rilevabili nelle carni degli animali trattati l’F.D.A. ha sostenuto l’assenza di rischi legati al consumo di tali carni . La Commissione Scientifica della Comunità Europea, in un parere del 19995 relativo alle misure veterinarie riguardo alla salute pubblica, ha tuttavia contestato tali affermazioni ritenendo che gli effetti tossicologici ormonali e non ormonali di queste sostanze non consentano di stabilirne un valore soglia ed una A.D.I. e che, pertanto, precauzionalmente, non se ne debba autorizzare l’impiego. Sono state ritenute, infatti, sovrastimate, nei bambini prepuberi, sia la produzione ormonale considerata dall’F.D.A. (fino a 100 volte), per l’approssimazione del metodo (R.I.A.) utilizzato, sia la “clearance” metabolica degli ormoni naturali (fino a 10 volte) essendo stati impiegati i valori che si ottengono negli adulti. A causa di questi problemi è stato ritenuto potenzialmente errato il margine di sicurezza adottato dall’F.D.A., supponendo che il valore dell’1% possa venire largamente superato. Ipotizzando, ad esempio per l’estradiolo, per il quale l’assunzione dovuta al consumo di carni trattate è stata calcolata fino a 6,8 ng/persona /die, anche solo un assorbimento del 10% ed una “clearance” metabolica pari alla metà di quella degli adulti, in un bambino prepubere di 40 Kg di peso corporeo, l’assunzione giornaliera sarebbe superiore di 85 volte rispetto al valore di sicurezza stabilito, con un apporto, cioè, che potrebbe arrivare all’85% della produzione endogena.5 Non è inoltre stata presa in considerazione la presenza nelle carni dei metaboliti degli estrogeni ritenuti DNA reattivi e mutageni, che giocano un ruolo importante nell’iniziazione di processi tumorali.7-12 Effetti correlati con l’uso degli ormoni sessuali. A) Effetti sullo sviluppo durante il periodo intrauterino e perinatale. Gli ormoni sessuali regolano lo sviluppo anatomico e funzionale dell’apparato riproduttivo. Durante l’organogenesi, nella vita intrauterina, e durante il periodo perinatale lo sviluppo sessuale normale può essere disturbato da aumenti o diminuzioni estemporanei dei livelli fisiologici degli ormoni sessuali. L’esposizione agli steroidi sessuali durante la vita intrauterina è correlabile con alterazioni anatomofunzionali dell’apparato riproduttore degli adulti.5 Sono stati effettuati studi riguardo agli effetti della posizione intrauterina di feti di topo maschio e femmina, posizionandoli tra due feti di sesso opposto.13 Tali analisi hanno dimostrato come l’esposizione dei feti maschi e femmine a livelli lievemente più elevati rispettivamente di estrogeni e di androgeni, dovuti alle anastomosi dei letti capillari tra placente vicine, influenzino lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari ed il comportamento sessuale dei futuri soggetti adulti. B) Effetti sullo sviluppo durante la pubertà. L’infanzia è caratterizzata da concentrazioni seriche degli steroidi sessuali estremamente basse, spesso vicine o sotto il limite di rilevabilità. Esistono studi che indicano gli estrogeni quali i principali responsabili dello “scatto” di crescita della pubertà, in entrambi i sessi, per stimolazione del GH e della maturazione ossea.14 Sono inoltre descritti casi di sviluppo sessuale anomalo conseguenti a contaminazione da estrogeni. A Puerto Rico esistono più di 10.000 casi documentati, in 28 anni, di tale sviluppo anomalo (telarca, pubarca, pubertà 01/0 152 pseudoprecoce, ginecomastia, sindrome da stimolazione ovarica, iperplasia del seno ed ovaie policistiche). Tali anomalie sono risultate associate a valori serici elevati di estrogeni nell’85% dei casi e i segni clinici sono regrediti o diminuiti in un numero significativo di pazienti dopo un controllo della dieta, anche se la natura della contaminazione estrogenica non è stata identificata.5 In uno studio prospettico condotto su un’ampia popolazione milanese che alla fine degli anni ’70 venne coinvolta in un episodio epidemico di tumefazione della ghiandola mammaria, riconducibile ad una probabile ingestione di carne trattata con estrogeni alla mensa scolastica, dopo 20 anni dall’episodio è stata accertata nelle femmine una lieve anticipazione dell’età del menarca e nel 20% dei maschi un ridotto volume testicolare.31 L’esposizione ambientale continua a livelli molto bassi di estrogeni, o comunque ad altri EDS affini per i recettori estrogenici, potrebbe rappresentare la causa di un leggero aumento della statura e di un’anticipazione della pubertà, osservati negli ultimi decenni, tendenza che viene comunemente attribuita al miglioramento delle condizioni di nutrizione.5 C) Effetti sulla riproduzione. E’ noto che un deciso incremento dei livelli serici degli ormoni sessuali provoca un effetto di feed-back negativo, che porta nel maschio ad un’inibizione della spermatogenesi e all’oligospermia e nella femmina all’interruzione del ciclo ovarico ed al blocco dell’ovulazione.5 Ovviamente, necessitano dosi più elevate di quelle che agiscono sullo sviluppo sessuale, sulla crescita e sulla pubertà degli individui giovani. D) Effetti sul sistema immunitario. Il progesterone è chiaramente coinvolto nell’equilibrio immunitario multifattoriale che avviene nelle prime fasi della gravidanza per proteggere il feto dal rigetto.5 Il rapporto tra gli ormoni sessuali, soprattutto gli estrogeni, e le malattie autoimmuni risulta abbastanza evidente; infatti la maggior parte di tali patologie si osserva soprattutto nelle donne ed in quelle colpite da malattie autoimmuni esiste un rapporto tra la gravidanza, la menopausa, la somministrazione terapeutica di estrogeni e l’evoluzione della malattia.5 Anche la sperimentazione sui topi orienta verso tale evidenza.5 E) Effetti sull’insorgenza di tumori. Lo IARC classifica così gli ormoni sessuali:26 gruppo 1 (sicuri cancerogeni per l’uomo): DES, terapia estrogenica post menopausa, estrogeni non steroidei, estrogeni steroidei, contraccettivi orali combinati, contraccettivi orali sequenziali; gruppo 2/a (probabili cancerogeni per l’uomo): steroidi androgeni; gruppo 2/b (possibili cancerogeni per l’uomo): progestinici, medrossiprogesterone acetato, associazioni estroprogestiniche post menopausa, contraccettivi orali solo progestinici. L’evidenza che nella specie umana gli estrogeni sono in rapporto con i tumori (il DES, impiegato in passato anche come promotore di crescita negli animali, è stato il primo ormone riconosciuto come cancerogeno transplacentare per la specie umana5,20 dopo che per circa 40 anni è stato impiegato diffusamente nella donna per la prevenzione dell’aborto abituale;5 l’estradiolo è considerato un fattore di rischio per l’adenocarcinoma endometriale5,15 e per il tumore mammario5,16,17,21) e l’evidenza che tale categoria di ormoni è cancerogena negli animali di laboratorio (nei topi aumenta l’incidenza dei tumori mammari, ipofisari, uterini, della cervice, 01/0 153 vaginali, testicolari, linfoidi ed ossei)5 ha indotto lo IARC a classificare gli estrogeni nel gruppo 1. È stato ipotizzato che gli estrogeni siano genotossici, danneggino cioè il DNA causando mutazioni. Non esisterebbe, pertanto, una dose soglia per il loro possibile effetto dannoso.5 Queste mutazioni (indotte da metaboliti degli estrogeni, i catecol-estrogeni che, se ossidati a chinoni, possono reagire con il DNA formando degli addotti) giocherebbero un ruolo importante nell’iniziazione di processi tumorali che colpiscono la mammella, l’endometrio, l’ovaio e la prostata.5,7-12,16,17 Gli androgeni sono invece stati inclusi nel gruppo 2/a; infatti, mentre gli studi sugli animali dimostrano come il testosterone induca tumori uterini nei topi e prostatici nei ratti, gli studi epidemiologici riguardanti l’uomo sono limitati.5 Per i progestinici, inseriti nel gruppo 2/b, è stato dimostrato un aumento dell’incidenza dei tumori mammari, ovarici, uterini e vaginali negli animali da laboratorio, ma le prove della cancerogenicità nell’uomo sono considerate inadeguate.5 Non possiamo comunque ignorare che tutte le sostanze che sono risultate cancerogene per l’uomo risultano anche cancerogene per gli animali e che, per la maggior parte di queste, la cancerogenicità negli animali è stata dimostrata prima che la documentazione epidemiologica la dimostrasse per l’uomo. È possibile infatti che vi siano meccanismi cancerogenetici specie-specifici, ma ciò è difficilmente dimostrabile. Esposizione dell’uomo agli estrogeni e legame con il cancro. La maggior parte delle attuali conoscenze sulla cancerogenicità degli estrogeni nell’uomo è dovuta al loro impiego in medicina umana come contraccettivi orali, per la terapia sostitutiva della menopausa e per il trattamento delle complicanze durante la gravidanza. Queste indicazioni comportano l’esposizione a dosi abbastanza elevate e per periodi prolungati di tempo.5 Numerosi studi epidemiologici hanno mostrato un aumento del rischio di comparsa del cancro alla mammella in relazione all’utilizzo della terapia ormonale sostitutiva (TOS).21 In uno studio condotto in Francia nel 2004 su 54.548 donne in post-menopausa si è evidenziato un rischio relativo di 1,1 e di 1,4 nel caso di TOS, della durata media di 2,8 anni, a base, rispettivamente, di soli estrogeni e di estrogeni associati a progestinici di sintesi.18 Inoltre maggiore risulta la durata della TOS, maggiore risulta il rischio.21 L’uso di contraccettivi orali, soprattutto nelle donne con una storia familiare positiva per cancro alla mammella sembra aumentarne il rischio, così come lo stesso uso sembra diminuire il rischio di cancro ovarico.21 Anche il carcinoma endometriale riconosce tra i principali fattori di rischio un’esposizione cronica agli estrogeni5,15,22 come quella che si realizza nella TOS post menopausa (senza progesterone), in caso di menarca anticipato, di menopausa ritardata, di tumori secernenti estrogeni, di obesità (per la facilità con cui gli adipociti trasformano l’androstenedione in estrone), ecc.22 La causa sarebbe da ricercare in un’abnorme stimolazione alla proliferazione delle cellule dell’endometrio, non controbilanciata dagli effetti del progesterone,15,22 con aumento del numero degli errori nella replicazione del DNA e conseguente comparsa di mutazioni.15 01/0 154 Rapporto tra consumo di carne e cancro. Il consumo di carne, particolarmente di carne rossa, è verosimilmente associato con l’aumento del tumore della mammella, come dimostrerebbero gli studi effettuati sui vegetariani.5 Tuttavia non tutti i lavori pubblicati sull’argomento concordano nel rilevare tale rischio come statisticamente significativo.5,19 Si è discusso parecchio, e tuttora permangono dubbi, sul rapporto esistente tra l’apporto di grasso nella dieta ed il rischio di contrarre il cancro mammario. Oggi l’apporto di grasso viene considerato poco importante, tenuto conto che non è stata osservata alcuna associazione tra il tumore del seno ed il consumo di grassi, vegetali.23 Al contrario, l’assunzione con la dieta di grassi monoinsaturi e di olio d’oliva sembrano possedere un effetto protettivo. 23 Il rischio legato al consumo di carne pare, pertanto, più facilmente correlabile con un elevato consumo di grassi animali o, più verosimilmente, con la presenza di altri fattori, come gli ormoni,23 in particolare gli estrogeni.24 Pare inoltre che riducendo il consumo di grassi si riducano anche i livelli ematici degli estrogeni che, se elevati, rappresentano un fattore di rischio per il cancro della mammella.16, 17, 21 Analogamente esiste una modesta evidenza che l’elevato consumo di carne giochi un ruolo nella genesi del tumore della prostata.5 Nella valutazione dell’importanza che gioca il consumo di carne nel determinismo di alcuni tumori bisogna tuttavia tenere conto anche dei confondenti; tale consumo risulta infatti maggiore nei Paesi a elevato reddito, dove prevalgono profili riproduttivi (assenza di gravidanza, gravidanza tardiva e mancato allattamento) documentatamente associati ad un aumento del rischio relativo di cancro della mammella.21 Molti dei fattori di rischio di contrarre tale cancro sono correlati con una maggior esposizione, nel corso della vita, agli ormoni femminili, compresa l’esposizione, in utero, ad elevate concentrazioni di estrogeni .21 Non esistono comunque studi specifici che valutino gli effetti degli ormoni usati come anabolizzanti in zootecnia sull’incidenza dei tumori nell’uomo. Gli argomenti da considerare nella valutazione di una possibile connessione derivano da studi di epidemiologia descrittiva.5 In base a tali studi le incidenze maggiori di cancro del seno, della prostata, del colon ed, in parte, dei testicoli, sono osservate nel Nord America, dove il consumo di carne trattata con ormoni è il più elevato al mondo.5 I risultati di queste osservazioni sono rafforzati dagli studi sulle popolazioni emigrate negli U.S.A., che hanno evidenziato come il livello di rischio per il cancro della mammella e per i tumori gastrointestinali in tali popolazioni tenda ad uniformarsi, dopo alcune generazioni, a quello presente nelle popolazioni ospitanti, suggerendo l’importanza della dieta nella comparsa del tumore.5 Controlli sull’uso illecito degli ormoni anabolizzanti in zootecnia. In Italia, come negli altri Paesi comunitari, l’impiego in zootecnia degli ormoni, quali promotori di crescita, è vietato. Per questo si effettuano regolarmente controlli, mediante prelievo di campioni, sia sugli animali vivi, durante la fase di ingrasso (che l’attuale orientamento giurisprudenziale equipara agli alimenti), sia 01/0 155 presso gli impianti di macellazione, secondo uno specifico programma (“Piano Nazionale Residui”) elaborato annualmente dal Ministero della salute. Negli anni ’80 e ’90 si impiegavano fraudolentemente, a scopo anabolizzante, pochi principi attivi spesso somministrati a dosi elevate; le positività analitiche risultavano pertanto numerose. Oggi registriamo la quasi totale assenza di positività di laboratorio (con l’eccezione di numerose positività al boldenone, ormone la cui produzione, diversamente da quanto ritenuto in passato, avverrebbe naturalmente nell’intestino del bovino mentre è di produzione endogena nel suino).25,26 Tuttavia, se da un lato ciò dipende da un minor utilizzo di tali sostanze, dall’altro potrebbe basarsi sul ricorso a prodotti studiati per superare i controlli, nei quali figurano contemporaneamente numerose molecole di natura diversa (quali steroidi sessuali, beta-agonisti e corticosteroidi) in dosi assai ridotte o a molecole modificate rispetto a quelle ricercate con metodiche ufficiali (sarebbero diverse centinaia quelle utilizzate).27 Nel caso degli ormoni sessuali naturali i trattamenti fraudolenti, eseguiti con prodotti a lento rilascio, possono garantire inoltre livelli ematici entro la soglia dei valori fisiologici fissati per legge.28 L’attuale strategia di controllo, basata esclusivamente sulle analisi chimiche qualiquantitative, risulta per questo perdente. A fronte dell’assenza di riscontri analitici, infatti, indagini condotte presso gli stabilimenti di macellazione della Regione Piemonte e di altre regioni del Nord Italia, hanno evidenziato modificazioni anatomo-istopatologiche negli organi bersaglio (testicoli, ghiandole bulbo-uretrali, prostata e mammella nei maschi; ovaio, utero, ghiandole del Bartolini e mammella nelle femmine) verosimilmente indotte da trattamenti pregressi con ormoni anabolizzanti, in circa il 15% dei bovini macellati. Questo metodo di accertamento indiretto (la cui elevata sensibilità è testimoniata da numerosi studi) può rappresentare la strategia vincente nella lotta all’illecito utilizzo di tali promotori di crescita nel settore zootecnico.27 Le mutate strategie di controllo prevedono anche, per il futuro, il ricorso a nuove discipline, come la genomica e la proteomica basate sull’individuazione di biomarcatori molecolari che esprimano le modificazioni indotte nei geni o nelle proteine dell’organismo dalla somministrazione di sostanze estranee30 (nel bovino si è osservata, ad esempio, una variazione quantitativa dell’adenosinacinasi, enzima che interviene nel metabolismo glucidico, nel citosol delle cellule epatiche, dopo trattamento con cocktails anabolizzanti). Nei confronti di chi utilizza tali sostanze illecite sono oggi previsti pesanti provvedimenti sanzionatori, di natura sia penale sia amministrativa, nonché sanzioni accessorie, quali la sospensione della concessione dei premi comunitari. 2) Aflatossine. Sono un gruppo di micotossine molto simili tra loro, estremamente tossiche, mutagene e cancerogene, prodotte da due funghi, l’Aspergillus flavus e l’A parasiticus. La loro identificazione è recente, risalendo infatti agli anni ‘60.32 Le aflatossine che si ritrovano nei vegetali sono quattro: B1, B2, G1 e G2; Le aflatossine B sono prodotte da entrambi i ceppi fungini mentre le G solo dall’A parasiticus . L’aflatossina B1 (AFB1) è la più diffusa e, a causa della sua elevata tossicità, è anche la più studiata. L’AFB1, inserita nel gruppo 1 dallo IARC,29 è l’epatocancerogeno, attivo per ingestione, più potente che si conosca.32 01/0 156 L’inalazione dell’AFB1 (contenuta ad esempio nella polvere del grano) è stata inoltre associata ad un aumento dell’incidenza del tumore del polmone.34,35 L’esposizione contemporanea all’AFB1, al virus dell’epatite B ed all’alcool aumenta il rischio di contrarre il tumore epatico.33,36,37 Uno studio condotto in alcune regioni della Cina ha evidenziato come la contemporanea esposizione all’AFB1 ed al virus dell’ epatite B aumenti di 60 volte il rischio di contrarre l’epatocarcinoma.33,40 L’azione cancerogena e citotossica dell’AFB1 non è tuttavia provocata direttamente da tale sostanza ma origina dai suoi epossiderivati, che si legano al DNA epatico e polmonare.32,33,35 In Cina un’indagine condotta su oltre 18.000 individui ha evidenziato un incremento del rischio (RR 3,4) di contrarre il cancro al fegato negli individui nelle cui urine erano presenti complessi aflatossinaDNA.33 L’AFB1 causa, inoltre, mutazioni del gene p53, il più importante gene soppressore dei tumori.34,37,38 Studi condotti in Cina hanno evidenziato come il 57% dei casi di epatocarcinoma fossero associati alla mutazione del gene p53,41 per la capacità di questa tossina di legarsi, sempre a livello epatico, alla guanina del DNA del codon 249 di tale gene.33,34,38,40 Questa mutazione è stata considerata come il “marchio genetico” del tumore al fegato causato dall’AFB137 e si è rilevato come ciò possa essere utilizzato per l’effettuazione di indagini epidemiologiche molecolari e per indagare la diffusione dell’ AFB1 in territori dove se ne ignora l’entità della presenza. 41 L’aflatossina M1 nel latte. Mentre la quantità di AFB1 che si accumula nelle carni degli animali può considerarsi trascurabile, altrettanto non si può dire per uno dei suoi metaboliti, l’aflatossina M1 (AFM1), un idrossiderivato che si forma a livello epatico e che viene escreto sia con le urine sia con il latte. Anche l’AFM1 ha capacità di formare legami con il DNA; tuttavia la cancerogenicità epatica (verificata sulla trota iridea e sul ratto) è considerata inferiore, dal 2% all’8%, rispetto a quella della B1.39 L’ evidenza della cancerogenicità nell’uomo risulta limitata; per questo lo IARC classifica l’AFM1 nel gruppo 2/b, tra i cancerogeni possibili per l’uomo.29 La quantità del metabolita AFM1 nel latte dipende, dunque, dalla quantità dell’AFB1 presente nei foraggi ingeriti dagli animali lattiferi. Tra i foraggi maggiormente contaminati, il mais (la semola e l’insilato), i semi di cotone, le farine di soia, di girasole e di lino.32 L’esposizione umana all’AFB1 si realizza invece principalmente attraverso il consumo di mais e arachidi (che sono in alcuni Paesi tropicali beni di primaria necessità),42 oltre che di pistacchi, mandorle, fichi secchi e alcune spezie (peperoncino).32 Le aflatossine contaminano i vegetali sia sul campo (sono condizioni climatiche ottimali allo sviluppo di queste muffe le estati calde e le situazioni di stress delle piante quali siccità e parassiti), sia durante lo stoccaggio in magazzino (eccessiva umidità delle materie prime, assenza di ventilazione).32 Sono stati numerosi gli studi che hanno cercato di stabilire il “carry-over”, cioè la quantità di AFB1 presente nella dieta degli animali lattiferi che passa nel latte come AFM1; nel caso della vacca da latte questa percentuale è stimata mediamente intorno all’1-3%,32,43 anche se esiste una notevole variabilità individuale, con 01/0 157 valori fino al 30% osservati nei primi giorni della lattazione.44 Nell’ovino, il ”carry-over” risulta particolarmente ridotto, pari allo 0,1%, suggerendo una migliore capacità delle pecore di degradare l’AFB1.45 Sulla base delle precedenti considerazioni la Comunità Europea ha stabilito valori massimi ammissibili di AFB1 nei diversi alimenti destinati agli animali lattiferi (5 ppb nel mangime per vacche da latte)46 ed un limite massimo tollerabile di AFM1 nel latte: 50 ppt.47 Questo limite è tra i più bassi al mondo (negli USA è di 500 ppt) poiché stabilito secondo i criteri ALARA (As Low As Reasonably Achievable), ovvero secondo il principio di porre il limite massimo sulla base di livelli minimi di contaminazione ottenibili con l’uso di buone pratiche agricole.48 In condizioni standard, pertanto, il rispetto dei limiti fissati di AFB1 nei mangimi dovrebbe garantire la presenza nel latte dell’AFM1 entro il tasso di 50 ppt. In realtà, anche rispettando questi limiti, non vi è la certezza che nel latte l’AFM1 rientri nel valore soglia.32 Il limite di legge oggi previsto nel mangime dovrebbe pertanto essere rivisto. Non esistono invece livelli massimi ammissibili di AFM1 nei derivati del latte, dove la tossina si lega alla frazione proteica ed è presente ad esempio nei formaggi con livelli di contaminazione 3-4 volte superiori rispetto al latte.32 Alcuni ricercatori hanno anche stabilito le quantità massime di aflatossine tollerabili giornalmente (tolerable daily intake, TDI) espresse in ng/Kg di peso corporeo per giorno. Tali valori sono stati stimati attraverso modelli che si sono basati su dati epidemiologici e sulla sperimentazione effettuata negli animali, con riferimento ad un rischio di un caso di tumore ogni milione di individui per anno. Per l’AFB1 è stato calcolato un valore di 0,014, mentre per l’AFM1 il valore è di 0,2.32 Attività di controllo sulla presenza delle aflatossine negli alimenti di origine animale. L’andamento climatico di questi ultimi anni, con estati calde e secche che hanno favorito lo sviluppo sui foraggi dei funghi produttori dell’AFB1, ha determinato un incremento dell’attività di controllo sulla filiera di produzione del latte e derivati. Esistono un piano di campionamenti elaborato dal Ministero della salute ed un programma elaborato dalla Regione Piemonte per monitorare la contaminazione dei mangimi da AFB1 e la contaminazione del latte da AFM1. Inoltre, tutti i caseifici effettuano analisi in autocontrollo sul latte acquisito. Le particolari condizioni climatiche verificatesi nell’anno 2003 hanno creato nella Pianura Padana condizioni ideali allo sviluppo di muffe del genere Aspergillus. I risultati degli accertamenti effettuati in Piemonte, nell’anno 2003, dai Servizi veterinari e dai caseifici in autocontrollo, sono riassunti nella tabella sottostante.48 tipologia campione n. campioni % positivi Mangimi 396 1,5% Latte presso l’allevamento 238 9% Latte dell’autocisterna 57 10% Latte in commercio (fresco) 68 1,5%* Latte in commercio (UHT) 51 1,5%* Latte (autocontrollo ) 1397 7% *latte proveniente da altre Regioni 01/0 158 La bassa percentuale di positività dei campioni effettuati sul latte fresco e UHT in fase di distribuzione, dato abbastanza rassicurante, ha trovato riscontro anche negli accertamenti eseguiti nell’anno successivo (da novembre 2003 a dicembre 2004), climaticamente meno favorevole allo sviluppo delle aflatossine: su 287 campioni analizzati presso l’Istituto Zooprofilattico di Torino, solo 2 (corrispondenti ad una percentuale dello 0,7%) sono risultati non conformi alla vigente normativa.49 Le differenti percentuali di positività evidenziate nella tabella tra il latte controllato in allevamento e quello campionato nella fase di commercializzazione, deriva dall’effetto di diluizione che l’alimento con valori più elevati subisce nel caseificio. Ovviamente, il riscontro di quantitativi superiori ai limiti di legge, sia nei mangimi, sia nel latte, a seguito di un controllo ufficiale, comporta l’obbligo della distruzione della partita campionata. In uno studio condotto in Lombardia ed in Emilia sono state monitorate, per un anno, 16 aziende zootecniche, 8 tradizionali e 8 aderenti al circuito biologico, attraverso l’effettuazione di 160 campioni di latte. Il contenuto di AFM1 nel latte biologico è risultato significativamente maggiore rispetto al latte convenzionale: 29 campioni biologici e 7 tradizionali superavano il limite di legge. Questo si spiega verosimilmente con una tecnologia inferiore applicata alle metodiche agronomiche, fatto che ha determinato una maggior contaminazione dei foraggi in campo e durante lo stoccaggio da parte delle muffe produttrici di aflatossine. Viceversa, lo studio ha evidenziato nel latte biologico un contenuto in antiparassitari inferiore, mentre non si sono notate sostanziali differenze nel contenuto in piombo, cadmio e PCB.50 Bibliografia 1. Parpinel M. Prevenzione a tavola: raccomandazioni dietetiche per la prevenzione dei tumori. Scheda della biblioteca digitale del Centro di riferimento oncologico IRCCS- Aviano (PN) (www.e-oncology.it) 2002. 2. Maranghi F, Mantovani A. I contaminanti ambientali con effetti endocrini: problemi e prospettive. Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità 2003;16(5). 3. Colacci A. EDE Network, una rete europea di ricerca sugli interferenti endocrini ambientali. ARPA Rivista 2004;5. 4. Waring RH, Harris RM. Endocrine disrupters: a human risk? Mol. Cell. Endocrinol. 2005;244:2–9. 5. European Commission. Health and consumer protection Directorate-General. Parere della commissione scientifica relativo alle misure veterinarie riguardo la salute pubblica. Valutazione del rischio per la salute pubblica derivato dalla presenza di residui di origine ormonale nella carne bovina e nei prodotti a base di carne. 30 aprile1999. 6. Andersson AM, Skakkeback NE. Exposure to exogenous estrogens in food: possible impact on human development and health. Eur J. Endocrinol. 1999;140:477-85. 7. Jan ST, Devanesan PD, Stack DE, et Al. Metabolic activation and formation of DNA adducts of hexestrol, a synthetic nonsteroidal carcinogenic estrogen. Chem Res. Toxicol. 1998;11:412-9. 01/0 159 8. Cavalieri E, Frenkel K, Liehr JG, et Al. Estrogen as endogenous genotoxicDNA adducts and mutations. J Natl Cancer Ist Monogr. 2000;27:75–93. 9. Devanesan P, Todorovic R, Zhao J, et Al. Catechol estrogen coniugates and DNA adducts in the kidney of male Syrian golden hamsters treated with 4hydroxyestradiol: potential biomarkers for estrogen-initiated cancer. Carcinogenesis. 2001;22:489-97. 10. Devanesan P, Santen RJ, Bocchinfuso WP, et Al. 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Atti Workshop: Residui negli alimenti di origine animale: analisi del rischio, prevenzione e sorveglianza. Roma, Istituto Superiore Sanità, 19 – 20 dicembre 2005,17. 31. Guarneri MP. L’esposizione alimentare a endocrine disrupters: il rischio in età pediatrica. Atti del Convegno: la sicurezza alimentare, un problema medico sociale. La carne dalla fattoria alla forchetta. Milano A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda. 24 maggio 2003. 32. Regione Lombardia–A.R.A.L. Progetto di ricerca: Ricerca dei determinanti la qualità del latte per l’applicazione del Reg. CEE 1525, del 16 luglio 1998; 2001. 33. Greenwald P. Cancer Principles & Practice of Oncology, 7th Edition. Editors Vincent T DeVita, Jr, Samuel Hellman, Steven A Rosemberg. Chapter 20: Cancer prevention: Diet and Chemipreventive Agents: Section 5: Dietary Carcinogens. 34. Van Vleet TR, Watterson TL, Klein PJ, et Al. Aflatoxin B1 Alters the Espression of p53 in Cytochrome P450 – expressing Human Lung Cells. Toxicol Sci. 2005;9. 35. 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Gazzetta Ufficiale Comunità Europea L77, del 16.03.2001,1-10. 48. Regione Piemonte. Relazione attività dei Servizi Veterinari–2003; 225. 49. Nachtmann C, Gallina S, Gramaglia M, et Al. Med Vet. Prev. 2005; 27:21– 22. 50. Ghidini S, Zanardi E, Battagli A, et Al. Indagine sulla presenza di contaminanti chimici in latte e carne di produzione tradizionale e biologica. Ann Fac Med Vet Parma. 2002; Vol XXII:87–97. 01/0 162 RAPPORTI EPIDEMIOLOGICI TRA NUTRIZIONE E NEOPLASIE Gianluigi Bassetti Direttore Servizio di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione, A.S.L. 15 - Cuneo Gli studi sui rapporti tra tumori ed alimentazione si sono intensificati nella seconda parte del secolo scorso partendo dalla considerazione che dati epidemiologici osservazionali indicavano una diversa incidenza di tumori in differenti popolazioni. Ad esempio, si rilevava una maggiore diffusione di cancro allo stomaco ed esofago in Giappone e, viceversa, una ridotta incidenza di tumore alla mammella nella stessa etnia. Tale manifestazione ipoteticamente si poteva ascrivere a differenze genetiche, ma, considerando che la situazione epidemiologica si era vista modificare in seguito ad emigrazioni, con allineamento al dato epidemiologico del Paese di immigrazione, si delineava una possibilità di influenza degli stili di vita. Tra questi, si cominciavano quindi ad indagare le abitudini alimentari. È opportuno premettere che i dati sui consumi alimentari nella popolazione non sono sempre completi ed aggiornati. In genere, ci si basa a) sul Bilancio Alimentare Nazionale, che non tiene conto del consumo di alimenti di propria produzione, del consumo da parte di immigrati non residenti, dell’imprecisione comunque insita nel dato globale nazionale; b) su indagini campionarie dell’Istituto Nazionale di Ricerca su Alimenti e Nutrizione (INRAN), che essenzialmente non sono recenti; c) sulle indagini Multiscopo dell’ISTAT, condotte periodicamente e che, tra gli altri items, rilevano anche le abitudini alimentari. Inoltre la ricerca in questo campo sconta la difficoltà ed imprecisione delle raccolte anamnestiche alimentari; la difficoltà della quantificazione degli apporti alimentari; la variabilità del rapporto alimenti-nutrienti; ed infine, l’influenza di fattori confondenti e/o comunque implicati, come il fumo, l’esposizione lavorativa ed i fattori genetici. Alcune ipotesi di lavoro necessitano di reale dimostrazione epidemiologica, tanto più che talvolta ed anche recentemente alcune ricerche tendono a smentire dati che si ritenevano sufficientemente acquisiti. In tale ottica, l’alimentazione e gli alimenti possono essere considerati tanto come fattore di rischio rispetto all’insorgenza di tumori che, all’inverso, come fattori di prevenzione dalla malattia neoplastica. Fin dal 1981 i dati forniti da epidemiologi importanti come Doll e Peto, stimavano un rischio attribuibile all’alimentazione nei confronti del cancro attorno al 30-35%, che si può considerare il più alto rischio attribuibile rispetto agli altri ipotizzati.1 In effetti, pur considerando che il range di percentuale rilevato nella ricerca era troppo ampio per ritenersi sufficientemente preciso, che la stima si basava su una dieta nordamericana, che in quel lasso di tempo, diversamente da oggi, risultava lontana dalle abitudini più comuni in Italia, tale assunto non è mai stato smentito dalla letteratura ed invero recenti dati, più avanti riportati, sembrano avvalorare la stima indicata. Rispetto al peso della dieta, si osservi quanto riportato in Tabella 1. 01/0 163 Fattori Winder-Gori ’77 (*) M F Higginson - Muir ’79 (*) M F Doll-Peto ’81 (**) M+F Dieta-alim. 40 57 25 42 35 (10-70) Alcool 3 (2-4) Fumo 28 8 30 7 30 (25-40) Occupazione 4 2 6 2 4 (2-8) Tab. 1 - Tentativi di stima casi (*) e morti (**) per cancro a causa di fattori varî (G. Gilli, 1989, modificato)2 Oltre quanto detto, una stima dell’influenza del cibo su alcuni tumori, seppur datata, riflette ancora le attuali ipotesi ed affermazioni (Tabella 2) Polmone Stomaco - verdura e frutta verdura e frutta uso frigo + sale + grigliate Mammella verdura + grassi + alcool + obesità Prostata + grassi Colon e fibre e verdure retto attività fisica + grassi + alcool Bocca e verdura e frutta gola + alcool + grigliate Fegato + alcool + cibi contaminati Esofago verdura e frutta + alcool Tab. 2 – Influenza del cibo su alcuni tumori (Food Nutrition and Prevention of cancer, 1977, modificato) Alimenti come rischio Partendo dalla valutazione IARC che, seppur in qualche caso risalga agli anni Ottanta, rappresenta ancora una base di studio e discussione sul tema, brevemente si ricorda la classificazione nei gruppi: gruppo 1 cancerogeno per l’uomo gruppo 2A probabilmente cancerogeno per l’uomo gruppo 2B possibile cancerogeno per l’uomo 01/0 164 gruppo 3 non classificabile per cancerogenicità nell’uomo gruppo 4 probabilmente non cancerogeno per l’uomo. A seguire si riportano alcuni dati di letteratura utili per la lettura della tabella 2. L’alcool è ricompreso dallo IARC nel gruppo 1.3 Si ritiene che esso agisca come promotore di tumori, ma anche come solvente di sostanze dannose contenute in alimenti o tabacco, come pure per azione lesiva diretta o indiretta tramite carenze nutrizionali indotte. Si osservi la Tabella 3. Aumento del rischio Molto alto Tumori Bocca e faringe Laringe Esofago Fegato Probabile Colon e retto Mammella Possibile Polmone Tab. 3 – rischio tumori da alcool (American Inst Cancer Research, 1997) Il rapporto tra l’assunzione di grassi, totali e saturi, ed il rischio di tumori è riportato nella tabella 4. Studi di popolazione hanno evidenziato, ad esempio, nei Mormoni, setta religiosa i cui componenti sono prevalentemente vegetariani o comunque con un basso consumo di carni, una riduzione importante dell’incidenza di varî tumori rispetto alla popolazione. All’inverso, i grassi polinsaturi parrebbero esercitare un’azione protettiva ad esempio sul tumore della mammella, come farebbero pensare rilievi di popolazione secondo cui le donne spagnole e greche hanno una minore incidenza di tale malattia, in relazione ad una dieta più tipicamente mediterranea.4 Aumento del rischio Possibile Grassi totali Polmone Colon e retto Mammella Prostata Grassi saturi Laringe Polmone Colon e retto Mammella Endometrio Prostata Tab. 4 – rischio tumori da grassi (American Inst. Cancer research, 1997) Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono sostanze chimiche derivanti dalla combustione, ubiquitariamente presenti sotto forma di miscele che possono facilmente contaminare gli alimenti e le acque potabili per polluzione o durante la cottura o l’essiccamento ed affumicatura. I diversi idrocarburi sono classificati nei gruppi IARC 2A, 2B o 3 . Pur nella difficoltà di calcolare puntualmente il rischio o una soglia limite di assunzione per queste sostanze, considerando una assunzione media giornaliera con gli alimenti di 50-300 ng/persona, si stima un rischio aggiuntivo causato dagli IPA di 10-100 casi di tumore per milione di esposti.5 In tabella 5 è riportata l’assunzione di IPA. 01/0 165 Alimenti Acqua Aria Antracene <30-640 20 Fenantrene <330-4510 400 Fluorantrene 600-1660 2-20 100 Pirene 600-1090 0.2-20 100 Crisene 200-1530 20 20 Benzantracene <20-410 0.2-20 20 BaP 50-290 0.2-2 20 Benzoperilene 120-360 0.2-2 20 Tab. 5 - Stima assunzione media giornaliera IPA in adulto non fumatore (ng/persona) (ISS, 2003, modificata) Sostanze cancerogene, in particolare per il fegato, oltre che tossiche, accidentalmente presenti in alimenti, sono le micotossine. Si tratta di metaboliti secondari prodotti in particolari circostanze da alcuni ceppi di funghi microscopici; fortunatamente, solo alcune muffe ne producono una varietà definita aflatossine. Attualmente le aflatossine sono classificate dallo IARC nel gruppo 1, l’ocratossina A e le fumonisine nel gruppo 2B. Le aflatossine si possono ritrovare in cereali, semi oleaginosi, spezie, frutta fresca e secca, ma anche, attraverso il ciclo alimentare delle mucche, nel latte. L’ocratossina A si ritrova in cereali, spezie, cacao, caffè, vini, birra, carni suine ed avicole. Le fumonisine si rinvengono nel mais e nei suoi derivati. Una stima di Tolerable Daily Intake (MTDI) come valore massimo è stata fatta per l’ocratossina A, con valori di 5 ng/Kg/giorno. In Italia si stima un consumo medio giornaliero nella popolazione di 1,26 µg/Kg, quindi sufficientemente rassicurante, ma comunque da non sottovalutare in relazione sia all’emergenza di nuovi dati per altre micotossine comunque ingerite, sia per lo sviluppo del commercio globalmente diffuso con rischio di aumento di importazione di cibi contaminati. Per le fumonisine si stima invece un MTDI di 2 µg/Kg/giorno.6 Contrariamente a quanto evidenziato in alcune ricerche secondo cui per il consumatore i maggiori rischi sono conseguenti alla presenza di fitosanitari ed additivi, entrambi questi prodotti, in una lista di rischi reali legati all’alimentazione, sono piazzati agli ultimi posti. In effetti, il corrispondente rischio di cancerogenicità, tra gli altri, è classificabile al massimo in gruppo 2A per il Captafol, prodotto non molto usato, ed in gruppo 2B per il DDT e l’atrazina, entrambi non più commerciabili. Per gli additivi, la regolamentazione d’uso è prevista solo per prodotti chiaramente riconosciuti e vagliati in senso tossicologico dalla Commissione Europea, con periodiche revisioni. Si può quindi ritenere che, al momento attuale, gli additivi della lista positiva, concessi ed utilizzabili, non rappresentino un rischio di cancerogenicità. 01/0 166 Alimenti come prevenzione Per introdurre l’argomento, è utile ricordare che una gran parte di alimenti o nutrienti che la letteratura riporta come fattori di prevenzione nell’insorgenza della malattia agiscono molto probabilmente come antiossidanti, quindi come reazione di difesa nei confronti dei radicali liberi. I radicali liberi sono specie chimiche che hanno un elettrone spaiato nell’orbitale più esterno, con una conseguente elevata reattività. Si possono produrre nella catena respiratoria, o dai fagociti in risposta ad insulti esterni, e causano una serie di danni a cellule, nuclei, membrane e DNA, da cui la possibilità, tra l’altro, di favorire l’insorgenza di tumori. Oltre agli antiossidanti endogeni, primari o secondari, una grossa funzione di difesa è attribuita a quelli introdotti con alimenti e considerati essenziali. Tra questi possiamo citare gli indoli presenti nei cavoli, i flavonoidi di uva ed arance, il carotene di carote ed arance, il licopene dei pomodori, le catechine del tè verde, il resveratrolo del vino rosso, tutti contenuti in alimenti del regno vegetale. Un punto di accordo diffusamente condiviso sui rapporti cancro-alimentazione è il ruolo protettivo di frutta e verdura, come riportato nella tabella 6. Ma ancor più eclatante è, nella tabella 7, il raffronto tra diversi studi epidemiologici che indagavano il ruolo protettivo di questi alimenti, con l’evidenza di un elevato numero di studi che raggiungevano una dimostrazione statisticamente significativa dell’efficacia di tale ruolo.4,7 Evidenza di protezione Molto alta Probabile Possibile Frutta e verdura Bocca e faringe Esofago Polmone Laringe Pancreas Mammella Cervice Ovaio Tiroide Verdura Colon e retto Fegato Prostata Rene Tab. 6 - Ruolo protettivo del consumo di frutta e verdura (A.I.C.R., 1997, mod.) Sede Stomaco Colon Esofago Bocca e faringe Polmone Retto Mammella Pancreas N. totale studi 31 21 18 15 13 13 12 11 N. studi con associazione significativa 28 15 15 13 11 8 8 9 Tab. 7 – Consumo di frutta e verdura e rischio di cancro; studi ca-co (v. sopra) 01/0 167 La plausibilità biologica del ruolo preventivo di frutta e verdura è sostenuta dall’azione antiossidante acclarata di alcuni micronutrienti, come la vitamina C e forse anche la A; dall’attività di promozione della differenziazione cellulare, come la vitamina A, derivata dai carotenoidi; dall’attività di riparazione del DNA, come per i folati; da varie altre che si caratterizzano sempre più in studi recenti. A sottolineare il complesso rapporto tra alimento e nutrienti ed il conseguente metabolismo assimilativo, vi è però la serie di ricerche degli anni Novanta nelle quali, partendo dai presupposti prima esposti e dall’evidenziazione di minori livelli di βcarotene nel sangue di portatori di tumori in sedi diverse, si indagava l’utilità di somministrare supplementi di βcarotene in dosi elevate per la prevenzione di tumori in fumatori. In realtà, tali studi si erano dovuti interrompre per l’incidenza di un eccesso di tumori dei polmoni rispetto alla popolazione. Studio EPIC Lo studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) è partito negli anni Novanta allo scopo di indagare sulle ipotesi ancora non diffusamente dimostrate riguardo ai rapporti tra cancro e alimentazione. Si tratta di un’indagine multicentrica che verte sulle abitudini alimentari e sugli stili di vita di circa 500.000 soggetti tra 35 e 64 anni di età di 10 Paesi europei, tra cui l’Italia, in relazione ai rischi di malattie croniche ed in particolare di tumori. Lo studio si prefigge di rilevare più compiutamente i rapporti tra l’alimentazione ed i tumori e, in subordine, anche le relazioni con malattie croniche diffuse, quali quelle cardiovascolari, il diabete, l’ipertensione. Un dato importante, confermato da tale ricerca, è l’associazione tra consumo di carne rossa ed insaccati ed il cancro del colon retto, nonchè una riduzione di rischio conseguente ad un elevato consumo di pesce. I risultati di follow up di 5 anni hanno dimostrato che nella popolazione in studio vi è un aumento di rischio di sviluppare tale patologia tumorale del 35% tra i consumatori di quantità elevate di carne rossa ed insaccati rispetto a coloro che ne consumano dosi più basse (più di 160 g/die rispetto a quantità inferiori a 20 g/die). All’inverso, i consumatori di elevate quantità di pesce hanno un rischio ridotto del 31% rispetto a chi ne mangia poco (più di 80 g/die rispetto a meno di 10 g/die).8 Entrambi i valori percentuali riecheggiano i rischi percentuali attribuibili nella popolazione indicati da Doll e Peto un quarto di secolo fa.1 Precedenti studi già indicavano che il 70% dei casi di cancro del colon retto può essere evitato con cambiamenti dello stile di vita nei Paesi dell’Europa Occidentale, soprattutto in considerazione dei fattori di rischio individuati in termini sufficientemente condivisi: l’obesità, l’inattività fisica, l’elevato consumo di bevande alcoliche, l’inizio precoce dell’abitudine al fumo, il consumo elevato di carne rossa e il basso introito di acido folico.8,9,10 01/0 168 Bibliografia 1. Doll R, Peto R. The causes of cancer: quantitative estimates of avoidable risks of cancer in the United States today. J Natl Cancer Inst 1981;66:1191-308. 2. Gilli G. 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Un esempio storico è rappresentato dalla segnalazione, da parte di Sir Percival Pott, di un’elevata frequenza di tumori dello scroto in giovani spazzacamini (1775). Il riconoscere particolari situazioni lavorative a rischio d’esposizione a cancerogeni non è semplice, ma ancora più difficile è la precisa identificazione dell’agente chimico o fisico responsabile della cancerogenesi. L’osservazione di Pott sarà, infatti, convalidata solo 150 anni dopo, con l’identificazione, nella fuliggine, di vari idrocarburi policiclici aromatici (IPA) a 4-7 anelli benzenici condensati. Le banche dati Esistono oggi diverse liste di sostanze cancerogene preparate da varie agenzie nazionali o internazionali, secondo diversi criteri. Ne ricordo due: -International Agency for Research on Cancer (IARC) e –Carcinogen Exposure (CAREX). A partire dagli anni ‘70, la IARC ha preso in considerazione oltre 700 sostanze chimiche, gruppi e miscele di sostanze, processi industriali, occupazioni, valutando i dati della letteratura relativi alla loro cancerogenicità. Le revisioni critiche sono state pubblicate sotto forma di monografie (http://www.iarc.fr). CAREX è stata sviluppata al fine di stimare i pattern d’esposizione a cancerogeni relativi ai Paesi UE.2 Un gruppo internazionale di esperti ha stimato il numero di lavoratori esposti a cancerogeni occupazionali per ogni Paese UE, agente e processo industriale.3 Per l’Italia, i dati di CAREX sono aggiornati al 2003 (http://www.cpo.it) A tale data, sono stati stimati 4.2 milioni di lavoratori esposti ad agenti cancerogeni, pari al 24% degli occupati, 2suddivisi secondo la tabella 1. carcinogeni Fumo di tabacco (ambientale) Radiazione solare Fumi motori Diesel Polveri di legno Silice cristallina Piombo e suoi composti organici stima degli esposti secondo CAREX 770.468 562.000 552.495 309.464 269.688 215.325 01/0 170 Benzene Composti del Cromo VI Lana di vetro Idrocarburi policiclici aromatici (esclusa la prima voce della tabella) Formaldeide Tetracloroetilene Composti del Nichel Asbesto Miscele di acidi inorganici forti contenenti acido solforico Cloruro di metilene Cadmio e composti Stirene Tricloroetilene Arsenico e composti 176.543 134.056 148.425 127.315 74.508 102.500 78.575 352.691 48.713 38.581 32.346 30.532 41.919 28.322 Tab.1 Per quanto riguarda l’esposizione ambientale a fumo di tabacco, la legislazione ha ampliato e rafforzato il divieto di fumare.4 Le classificazioni Prima di prendere in esame il testo legislativo, è opportuno ricordare le classificazioni degli agenti cancerogeni e mutageni (tabelle 2, 3 4 e 5). Gruppo 1 Gruppo 2 A Gruppo 2 B Gruppo 3 Gruppo 4 Tab.2 classificazione dei cancerogeni secondo IARC Cancerogeno per l’uomo (è stata stabilita una relazione causale tra esposizione e tumori umani). Probabilmente cancerogeno per l’uomo. Possibilmente cancerogeno per l’uomo. Non classificabile circa la cancerogenicità per l’uomo. Probabilmente non cancerogeno per l’uomo. classificazione dei cancerogeni e dei mutageni secondo UE5 Categoria Sostanze di cui si è certi dell’azione cancerogena sull’uomo. 1 Categoria Sostanze che devono essere assimilate alle sostanze 2 cancerogene per l’uomo. Si dispone di sufficienti elementi per presumere che l’esposizione dell’uomo a dette sostanze possa provocare un tumore. Categoria Sostanze pericolose per l’uomo a causa del loro possibile 3 effetto cancerogeno, per le quali, però, le informazioni disponibili non permettono una valutazione soddisfacente. Tab.3 01/0 171 definizione di agente cancerogeno secondo la normativa italiana 5 Sostanza ...che risponde ai criteri relativi alla classificazione quali categorie cancerogene 1 o2 (frasi di rischio: R45 – R49),stabiliti ai sensi del Dlgs 52/97 e smi. Preparato ...contenente una o più sostanze di cui al punto precedente, quando la concentrazione di una o più delle singole sostanze risponde ai requisiti relativi ai limiti di concentrazione per la classificazione di un preparato nelle categorie cancerogene 1 o2, stabiliti ai sensi dei D.Lgs 52/97 e 258/98 (frasi di rischio: R45- R49)(concentrazione ≥0.1%). Sostanza, Preparato ...di cui all’all.VIII del D.Lgs 626/94, nonché una sostanza o Processo od un preparato emessi durante un processo previsto dall’All.VIII. Tab.4 definizione di agente mutageno secondo la normativa italiana 5 Sostanza ...che risponde ai criteri relativi alla classificazione quali categorie mutagene 1 o 2 (frasi di rischio: R46), stabiliti ai sensi del D.Lgs 52/97 e smi. Preparato ...contenente una o più sostanze di cui al punto precedente, quando la concentrazione di una o più delle singole sostanze risponde ai requisiti relativi ai limiti di concentrazione per la classificazione di un preparato nelle categorie mutagene 1 o 2 ,stabiliti ai sensi dei D.Lgs 52/97 e 258/98 (concentrazione ≥0.1%). Tab.5 Poiché la classificazione di queste sostanze non è semplice, diventa importante controllare la loro etichettatura. Attenzione, quindi, alle frasi di rischio che devono essere riportate sulle etichette. Nei casi dubbi, si può fare ricerche nelle banche dati come, ad esempio: http://www.cpo.it oppure http://www.dors.it. Correlazioni tra cancerogeni, attività lavorative e organi bersaglio Vediamo ora alcuni esempi alcuni di correlazione tra esposizioni professionali a cancerogeni e organo/i bersaglio.1 Le sostanze riportate nella tabella 6 sono classificate nel gruppo 1 IARC. cancerogeni 4-aminodifenile Arsenico e suoi composti Asbesto Benzene organo/i bersaglio Vescica Polmone, cute Polmone, sierose Leucemie 01/0 172 Benzidina Berillio e suoi composti Bisclorometiletere (BCME) e Clorometiletere (CCME) Cadmio e suoi composti Catrame, fuliggine (IPA*) Pece (IPA*) Cloruro di vinile monomero (VCM) Vescica Polmone Polmone Polmone Cute, polmone Cute, polmone, vescica Fegato (angiosarcoma), polmone? Cromo VI, composti Polmone 2-naftilamina Vescica Nichel e composti Cavità nasali, polmone Olii minerali non trattati o poco trattati Cute Ossido di etilene Organi linfo-emopoiet. Talco contenente fibre asbestiformi Polmone *IPA=idrocarburi policiclici aromatici a 4-7 anelli benzenici condensati Tab.6 Se non si conosce con esattezza la sostanza alla quale il lavoratore è od è stato esposto, si può ragionevolmente fare riferimento al processo industriale, come si evince dalla lettura della tabella 7. processi industriali/mansioni Produzione di alluminio Produzione di coloranti Produzione e riparazione di scarpe Produzione di mobili Esposizione a radon Fonderie di ferro ed acciaio Produzione della gomma (alcune mansioni) Esposizione a vapori di acidi inorganici contenenti H2SO4 Esposizione a vernici Uso di pesticidi arsenicali Asfaltatori (IPA) Tornitori (olii minerali) Radiologi, tecnici di radiologia… (radiazioni ionizzanti) Tab.7 organo/i bersaglio Polmone, vescica Vescica Cavità nasali, leucemie? Cavità nasali Polmone Polmone Vescica, leucemie Laringe, polmone Polmone, vescica Cute Cute Cute Cute, leucemie Bisogna tener presente che queste liste non sono complete, ed inoltre che l’esposizione a cancerogeni può essere di intensità molto diversa in situazioni occupazionali diverse e può modificarsi nel tempo. Una scrupolosa raccolta dell’anamnesi lavorativa è indispensabile per valutare eventuali esposizioni, attuali e/o pregresse. È importante ricordare che i tempi di latenza tra l’inizio dell’esposizione al cancerogeno e comparsa del tumore possono essere molto lunghi (decenni!). 01/0 173 La legislazione italiana in materia di prevenzione primaria da cancerogeni La legislazione italiana relativa alla protezione dagli agenti cancerogeni e mutageni professionali è essenzialmente raccolta in due Decreti Legislativi: il D.Lgs 277/91 e smi6-8 -titolo II- e il D.Lgs 626/94 e smi7,8 -titolo VII- . Il D.Lgs 277/91 e smi si occupa dell’esposizione all’amianto. Il D.Lgs 626/94 e smi inquadra tutto il tema relativo all’esposizione professionale a cancerogeni: Obblighi del datore di lavoro Valutazione del rischio Misure di prevenzione e protezione Obblighi del Medico Competente Sorveglianza sanitaria Obblighi del datore di lavoro e valutazione del rischio La valutazione e le corrispondenti misure di protezione devono essere predisposte preventivamente; è indispensabile sapere preliminarmente se un agente possa essere cancerogeno e/o mutageno. L’attenzione deve essere rivolta prima di tutto alle materie prime impiegate, controllando la scheda tecnica di sicurezza: occorre verificare l’etichettatura del prodotto e le rispettive frasi di rischio. In seguito è importante valutare se, durante i processi e le reazioni che l’attività prevede vi sia la possibilità di sviluppo di derivati, sottoprodotti e/o scarti che possono essere potenzialmente cancerogeni. Appurata la presenza e l’utilizzo di sostanze cancerogene, il datore di lavoro deve giudicare se la concentrazione di cancerogeni e/o mutageni nell’ambiente di lavoro corrisponda al minimo tecnicamente raggiungibile, identificando gli esposti, che dovranno essere iscritti in un registro apposito (D.L.gs 626/94 art. 70). La valutazione del rischio per gli agenti cancerogeni e/o mutageni deve essere intesa come una valutazione del rischio residuo e deve essere eseguita solo dopo aver applicato le misure più efficaci quali: -eliminazione o sostituzione dell’agente cancerogeno e/o mutageno, -lavorazione a sistema chiuso, -riduzione dell’esposizione al più basso valore possibile. Misure di prevenzione e protezione La prima misura da mettere in atto consiste nell’evitare o ridurre l’utilizzazione di un agente cancerogeno, ad esempio sostituendolo con una sostanza, un preparato o un procedimento meno nocivo per la salute. Se questo non è possibile, si dovrà provvedere affinché la produzione e/o l’utilizzo avvengano in un sistema chiuso, e si dovrà comunque procedere in modo che il livello di esposizione degli addetti sia ridotto al più basso valore tecnicamente possibile (utilizzando gli appropriati dispositivi di protezione individuale, DPI, limitando i contatti con l’agente cancerogeno, controllando l’accesso ai locali in cui avvengono le lavorazioni). Come prima misura di prevenzione la norma obbliga il datore di lavoro alla valutazione del rischio da esposizione ad agenti cancerogeni e pertanto occorre tenere presente: • le caratteristiche dell’impiego, • la loro durata e frequenza, 01/0 174 • i quantitativi utilizzati, • la concentrazione, • la capacità di penetrazione nell’organismo per le diverse vie di assorbimento, anche in relazione allo stato di aggregazione dell’agente cancerogeno stesso, • le attività che comportano l’utilizzo di sostanze o preparati cancerogeni, • i motivi per i quali questi sono impiegati, • i quantitativi utilizzati, o presenti come impurità o sottoprodotti, • il numero e l’esposizione degli addetti, • le misure preventive e protettive da applicare, • i DPI utilizzati. Tenendo presente quanto previsto dalla norma, l’obiettivo principale è quello di attuare misure di prevenzione che escludano quanto più possibile che ci siano dei lavoratori esposti e che nel contempo portino la durata e l’intensità dell’esposizione dei lavoratori ai livelli più bassi possibile. Per accertare e documentare la situazione di esposizione lavorativa a cancerogeni e/o mutageni le norme prevedono il ricorso a misurazioni degli agenti mediante campionamenti ambientali allo scopo di determinare il livello di esposizione per via inalatoria e studiare l’efficacia delle misure di prevenzione adottate. Molto spesso per gli agenti cancerogeni e/o mutageni non è possibile evidenziare una soglia di esposizione sicura, anche se bassa o molto bassa, anche se a livello comunitario è stato introdotto il valore limite definito come il limite della concentrazione media, ponderata in funzione del tempo, di un agente cancerogeno o mutageno nell’aria, rilevabile dentro la zona di respirazione di un lavoratore, in relazione ad un periodo di riferimento determinato. Dalla misurazione del valore limite è possibile arrivare alla stima dell’esposizione dei lavoratori suddividendoli in: -potenzialmente esposti, -esposti. Lavoratori potenzialmente esposti: il valore di esposizione ad agenti cancerogeni e/o mutageni risulta superiore a quello della popolazione generale, solo per eventi imprevedibili e non sistematici. Lavoratori esposti: il valore di esposizione ad agenti cancerogeni e/o mutageni potrebbe risultare superiore a quello della popolazione generale. Obblighi del Medico Competente e sorveglianza sanitaria Gli addetti ad attività con esposizione ad agenti cancerogeni e/o mutageni devono essere sottoposti a sorveglianza sanitaria. Il datore di lavoro, sentito il parere del medico competente, deve adottare misure preventive e protettive, e programmare le visite mediche periodiche. Il medico fornisce agli addetti adeguate informazioni sulla sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti, con particolare riguardo all’opportunità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività lavorativa. In considerazione della possibilità di effetti a lungo termine, gli esposti ad agenti cancerogeni e/o mutageni devono essere iscritti in un registro nel quale è riportata l’attività svolta, l’agente utilizzato e, ove noto, il valore dell’esposizione a tale agente. Detto registro è istituito ed aggiornato dal datore di lavoro che ne cura la tenuta insieme al medico competente. 01/0 175 Copia del registro va consegnata all’ISPESL ed all’organo di vigilanza competente per territorio (A.S.L.), comunicando, almeno ogni 3 anni, le variazioni intervenute; a richiesta, va consegnata all’Istituto Superiore di Sanità. Per ciascuno degli addetti esposti è istituita una cartella sanitaria e di rischio, a tutela del lavoratore per il controllo dell’esposizione anche dopo la cessazione dell’attività a rischio. La cessazione del rapporto di lavoro va comunicata all’ISPESL ed all’organo di vigilanza competente per territorio (A.S.L.). All’ISPESL vanno consegnate le relative cartelle sanitarie e di rischio. La denuncia di malattia professionale Qualora sia riconosciuto, o anche solo sospettato, un nesso di causalità tra un tumore ed un’esposizione professionale, il datore di lavoro deve denunciare la malattia professionale (la denuncia deve essere corredata da certificato medico) all’INAIL, ai sensi dell’art. 53 del D.P.R. 30.06.1965 n.1124 e smi. Ai sensi dell’art. 139 dello stesso D.P.R., la denuncia va anche trasmessa all’A.S.L. competente per territorio. Nel caso in cui la malattia professionale sia stata causata da terzi (es: il datore di lavoro, per colpa, omette misure di protezione ed il lavoratore sviluppa un tumore professionale), si ricade nella fattispecie prevista dall’art. 590 C.P. (lesioni personali). È quindi obbligatorio il referto. Le statistiche INAIL sui tumori professionali 9 Nel periodo 1994-2002 l’INAIL ha ricevuto 6202 denunce di tumori professionali, ripartiti come da tabella 8: localizzazione Apparato respiratorio Vescica Apparato digerente e peritoneo Cute Leucemie mieloidi Tab.8 % 84.0 note 52% mesoteliomi, 23.3% tumori polmonari, 7.3% tumori nasali 8.7 2.3 1.8 0.9 Il Centro di Prevenzione Oncologica di Torino Altri dati sul tumore del polmone e sul mesotelioma sono reperibili sul sito del Centro di Prevenzione Oncologica di Torino10 (http://www.cpo.it). 01/0 176 Bibliografia 1. Ambrosi L, Foà V. Trattato di Medicina del Lavoro. UTET ed, 2000. 2. Mirabelli D, Kauppinen T. Occupational Exposure to carcinogens in Italy: an update of CAREX database. Int. J. Occup. Environ. Health. 2005;11:53-63. 3. Kauppinen T, Toikkanen J, Pedersen D, et Al. Occupational exposure to carcinogens in the European Union. Occup. Environ. Med. 2000;57:10-8. 4. Circolare 28.03.01 n.4. Ministero della Sanità. Interpretazione ed applicazione delle leggi vigenti in materia di divieto di fumo. Gazzetta Ufficiale n. 85 del 11.04.2001. 5. Pira E, Detragiache E, Discalzi G, et Al. Linee guida per la sorveglianza sanitaria degli esposti ad agenti cancerogeni e mutageni in ambiente di lavoro. PIME Ed. srl, vol.2, 2003. 6. Decreto legislativo 15.08.1991, n. 277. S.O.G.U. n. 200 del 27.08.1991. 7. Decreto legislativo 19.09.1994, n. 626. S.O.G.U. n. 265 del 12.11.1994. 8. Collegio Costruttori Edili. Manuale della sicurezza, dell’igiene e dell’ambiente di lavoro nelle costruzioni edili. SEPIT srl Ed, 2003. 9. INAIL, rapporto annuale 2002 (www.inail.it). Luglio 2003. 10. AA.VV. Mappatura di occupazioni ed attività industriali che comportano rischio di tumore del polmone. Epidemiol. Prev. 2001;25:215-21(www.cpo.it). 01/0 177 IL SERVIZIO DI ANATOMIA PATOLOGICA E LO SCREENING CERVICO-VAGINALE: PRESENTE E FUTURO Giovanni Cera,* Gigliola Serrati Struttura Complessa Anatomia Patologica, A.S.L.16 – Mondovì, Ceva *Direttore Il Servizio di Anatomia Patologica ha un ruolo importante nella prevenzione e nella diagnosi dei tumori maligni. L’esempio più noto di intervento nella prevenzione consiste nella valutazione degli strisci cervico-vaginali (comunemente noti come “Paptest”) per la ricerca di cellule pre-maligne. Prima dell’era Paptest il carcinoma cervicale era la prima causa di morte per neoplasia nelle donne. Dal 1947, anno di introduzione del Paptest, la mortalità per carcinoma squamocellulare della cervice uterina si è ridotta approssimativamente del 70-80%. Oggi nei Paesi occidentali il carcinoma della cervice è responsabile di non più del 2% delle morti da tumore nel sesso femminile.1 Questo risultato ha fatto del Paptest il principe dei programmi di screening. In un Servizio di Anatomia Patologica il settore di citopatologia si occupa, tra l’altro, della diagnostica microscopica degli strisci cervico-vaginali, siano essi provenienti da screening, sia da attività ambulatoriale o di reparto. In tutti i casi la procedura di laboratorio, diagnostica e di refertazione è la stessa. Il Paptest è un test di screening molto efficace se praticato ad intervalli regolari. Il progetto Prevenzione Serena della Regione Piemonte prevede che nella popolazione femminile di età compresa tra 25 e 64 anni il test venga praticato con cadenza triennale. Attualmente nel Dipartimento di Screening Oncologico n. 7, corrispondente all’ambito della provincia di Cuneo, è in corso il terzo round di chiamate per il test. Il Servizio di Anatomia Patologica della A.S.L. 16 è stato individuato quale Centro di lettura di 1° e 2° livello per la popolazione delle AA.SS.LL. 16 di MondovìCeva e 18 di Alba. In questo Lavoro riportiamo l’esperienza di 7 anni di attività, con i successi ottenuti ed i problemi riscontrati, e gettiamo uno sguardo sui possibili scenari futuri. Il Servizio di Anatomia Patologica e il Progetto Prevenzione Serena La giunta regionale del Piemonte nell’anno 19962 ha disposto di realizzare su tutto il territorio regionale il programma di prevenzione “screening dei tumori del collo dell’utero e della mammella” (denominato Prevenzione Serena), in conformità alle direttive del Ministero della sanità, espresse nelle linee guida elaborate dalla commissione oncologica nazionale.3 Il Servizio di Anatomia Patologica della A.S.L. 16, individuato come Centro di lettura dei test, è stato strutturato dal punto di visto organizzativo secondo il modello individuato dalla Regione, che prevede una prima lettura da parte di personale tecnico formato (citotecnici), a cui segue una seconda lettura da parte di un revisore. 01/0 178 In base alla popolazione bersaglio e al carico di lavoro stimato, sono stati assunti e formati, nel tempo, tre citotecnici che, per scelta interna, sono stati adibiti, a rotazione, sia alla preparazione che alla lettura dei test. Dopo 7 anni di attività secondo il modello regionale, ci pare utile fare un punto sulla situazione, anche in prospettiva di una eventuale riorganizzazione a livello dipartimentale. Dall’inizio dell’attività del Servizio di Anatomia Patologica (anno 1990), il carico di lavoro concernente la lettura dei preparati citologici ginecologici ha evidenziato un netto aumento nel corso dell’anno 1999, a seguito dell’adesione al Programma regionale di screening. Dal 1999 ad oggi il numero di esami si è relativamente stabilizzato (Fig. 1). Fig.1: carico di lavoro Paptest/anno Anatomia Patologica ASL16 15000 10000 5000 94 19 96 19 98 20 00 20 02 20 04 19 19 90 19 92 0 Abbiamo quindi confrontato il carico di lavoro con i dati regionali e, soprattutto, con le indicazioni contenute nelle Linee Guida GISCi,4 secondo le quali la maggior parte dei centri di lettura in ambito regionale si colloca nella fascia dei cosiddetti laboratori di piccole dimensioni (< 15000 Pap/anno). Le indicazioni GISCi sono riportate in tabella 1. <15.000 15.00025.000 Standard accettabile Monitoraggio statistico delle risposte citologiche Predittività classi diagnostiche Revisione falsi negativi Standard desiderabile Lettura set operativi di vetrini Carico di lavoro Pap/anno Rescreening 10% Lettura collegiale Lettura collegiale Rilettura rapida o/e rescreening con >25.000 l’ausilio di sistemi di lettura automatici Tab. 1 - Controlli di qualità interni (raccomandazioni GISCi) 01/0 179 01/0 In base alle citate indicazioni GISCi si è quindi valutato quali controlli di qualità interni si dovevano mettere in atto per poter costantemente monitorare il grado di qualità del lavoro prodotto nel Servizio. Come già sopra accennato, il personale addetto alla preparazione e lettura dei test è composto da 3 citotecnici ed un supervisore. La prima lettura di tutti i Paptest viene eseguita da un citotecnico; i casi dubbi o positivi sono dati in lettura a tutti gli altri componenti dello staff che quindi, collegialmente, valuteranno la diagnosi finale. In caso di diagnosi positiva, se risultano effettuati precedentemente dei Paptest con esito negativo, questi vengono rivalutati. Un ulteriore controllo di qualità è eseguito correlando la diagnosi istologica con il referto citologico di 1° e 2° livello (tabella 2). anno 2004 I semestre anno 2005 citologico I livello / 0,61 0,94 istologico II livello citologico I livello / 0,75 0,88 istologico II livello citologico I livello / 0,94 0,84 citologico II livello Tab. 2 - Concordanza diagnosi citologica vs. diagnosi istologica (i valori indicano la media del K). Alla luce delle indicazioni delle linee guida GISCi, che raccomandano ai servizi con numero annuale di test inferiore a 15000 di consorziarsi con altri laboratori per il controllo di qualità, abbiamo valutato questa possibilità, che tuttavia si è dimostrata al momento impraticabile; pertanto, con l’intento di aumentare la sensibilità di lettura dei test, si è scelto di effettuare nel nostro centro la revisione rapida di tutti i preparati. La registrazione computerizzata dell’attività ci ha permesso inoltre di fare una valutazione statistica di alcuni parametri e poter confrontare i dati con quelli nazionali recentemente pubblicati.5 I dati sono riportati in tabella 3. media nazionale 2003 Mondovì 2003 Insoddisfacente I° Livello: 0,9% Desiderabile: <5% 3,2% Accettabile: <7% II° Livello: 4,5% Referral-rate Desiderabile: <=5% 2,6% 1,0% Ottimale: <3,5% VPP di invio in colpo: ----citologia ASCUS+ / 14,9% istologia CIN2+ DR CIN2+ grezza 2,8% ----Tab. 3 - Valore di alcuni indicatori di processo Mondovì 2004 I° Livello: 1,6% II° Livello: 0,8% 1,6% 13,3% 1,0% 180 Dalla tabella 3 si può evincere che il tasso di preparati insoddisfacenti nel nostro Centro è inferiore alla media nazionale. A questo riguardo si fa notare che i preparati insoddisfacenti si riferiscono per lo più a motivi tecnici (fissazione inadeguata, scarsa cellularità, vetrino rotto, assenza di cellule endocervicali in donna fertile), poiché per questi il software adottato dal Dipartimento gestisce correttamente una ripetizione immediata del prelievo. Il software non permette invece di programmare una ripetizione del prelievo dopo terapia o altro; pertanto i preparati che risultano inadeguati per cause che richiedono, ad esempio, una ripetizione dopo terapia non possono essere registrati come insoddisfacenti. Ciò spiega la difformità del dato rispetto a quello regionale e nazionale. Circa il valore predittivo positivo della citologia (VPP) possiamo solo prendere atto di un valore non distante da quello nazionale; questo dato è da interpretare con una certa cautela, poiché quest’indicatore è notoriamente influenzato, a parità di sensibilità e specificità, dalla prevalenza di lesioni e quest’ultima pare effettivamente presentare differenze cospicue tra aree geografiche diverse. Il detection rate (DR) è dato dal numero di casi in cui è stata individuata una lesione CIN2 o più grave (istologicamente), sul numero totale di donne sottoposte a screening. Quest’indicatore è correlato strettamente alla quota di donne non screenate da molto tempo. Un valore basso come quello del nostro Centro può essere messo in relazione ad una popolazione già sottoposta precedentemente a controlli citologici cervico-vaginali. Un altro indicatore del controllo di qualità interno che è stato strettamente monitorato è il valore di concordanza inter-osservatori. In tabella 4 riportiamo come esempio i dati completi più recenti, relativi all’anno 2004 ed al 1° semestre 2005. I risultati di concordanza ci confortano e suggeriscono di continuare sulla linea intrapresa. I citoscreener II citoscreener III citoscreener supervisore Anno 2004 0.99 1.00 0.99 0.99 Primo semestre 2005 0.99 1.00 0.99 0.99 Tab. 4 - Concordanza interosservatori (i valori indicano la media del K) Il futuro Un problema attuale dello screening nel Dipartimento n. 7 riguarda il software di gestione adottato che, per alcuni aspetti (per esempio la gestione degli insoddisfacenti e del 2° livello), non è conforme alle indicazioni regionali. 01/0 181 Questo problema dovrebbe essere risolto con il porting al software del C.S.I., che è atteso in tempi relativamente brevi. Altro aspetto da risolvere è l’auspicato aggiornamento del sistema di refertazione alla classificazione Bethesda 2001. Un progetto a cui l’A.S.L. 16 sta lavorando con tenacia è quella di istituire un Centro unico dipartimentale di lettura dei test di 1° e 2° livello (compresi istologici) presso La S. C. di Anatomia Patologica. Il razionale del progetto si può così riassumere: l’Anatomia Patologica opera nel progetto regionale di screening citologico fin dalla sua istituzione ed ha in dotazione risorse strumentali e umane dedicate; ha la struttura idonea ad affrontare gli impegni derivanti dalla costituzione di un Centro di lettura unico dipartimentale, conoscendo già profondamente le problematiche gestionali dello screening; ha personale già formato a cui poter affiancare le risorse umane aggiuntive necessarie; fornisce garanzia di una gestione “pubblica” dello screening, come è nello spirito del progetto regionale “Prevenzione Serena”. I presupposti per l’attivazione del Centro unico ovviamente stanno nella possibilità di avere assegnate risorse aggiuntive, umane (tecnici di laboratorio da adibire a funzioni di preparatore e citoscreener, medico anatomopatologo supervisore, amministrativo per la gestione delle incombenze burocratiche) e tecnologiche necessarie per far fronte all’incremento del carico di lavoro. Nell’ottica di un Centro unico di lettura dipartimentale, che raggiungerebbe un carico di lavoro di almeno 25000 Paptest/anno, sarà possibile valutare la fattibilità dell’introduzione della metodica di tipizzazione dell’HPV su prelievo citologico in determinate classi diagnostiche (ASCUS ed eventualmente LSIL). Bibliografia 1. www.acs.org 2. D.G.R. n.77-12306 del 02.10.1996. 3. Commissione Oncologica Nazionale: Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n° 127 del 1 giugno 1996. 4. GISCi – Raccomandazioni per il controllo di qualità in citologia cervicovaginale. In: www.gisci.it. 5. Osservatorio Nazionale Screening, Quarto Rapporto, novembre 2005. Ringraziamenti Si ringraziano per la preziosa collaborazione: Mirella Chiecchio, Marzia De Fano, Celestina Mariano. 01/0 182 IL RUOLO DEL RADIOLOGO NELLO SCREENING MAMMOGRAFICO Flavio Cigna Radiologo libero professionista La salute è un bene prezioso, che non significa assenza di malattia o di infermità, ma stato di completo benessere fisico, mentale, sociale. È un dono: conservarla dipende da noi, soprattutto se siamo o siamo messi in grado di acquisire quelle conoscenze che ci permettono di cogliere o meglio prevenire quelle manifestazioni che possono comprometterla. Quando viene minata e la patologia è un tumore, scoppia la tragedia. Parlare di cancro è sempre difficile; è necessario affrontare l’argomento con una certa freddezza, nella consapevolezza che è una malattia grave, ma non più incurabile. Il cancro colpisce il genere umano in modo crescente, ma si riduce la mortalità, aumenta il numero di guariti, grazie all’efficacia della terapia. Negli ultimi 20 anni sono stati compiuti innegabili e significativi passi avanti, sia in termini di guaribilità, sia di miglior qualità di vita. I fattori che hanno contribuito a tale realtà sono: ricerca, informazione, prevenzione, diagnosi precoce, terapia. Ricerca: continua a fare passi da gigante basandosi sul principio di “vedere per curare”. La risonanza magnetica per la mammella, la colonscopia virtuale per il colon retto, la T.C. spirale per il polmone, la P.E.T. per tutti i tipi di tumore; sono il futuro, anche se già vengono utilizzate con ottimi risultati. Informazione: consiste nel fornire quelle indicazioni che consentano alla popolazione di difendersi dalla malattia. Sapere non è pericoloso, non sapere può diventarlo. Prevenzione: insieme di misure igieniche che tendono a difendere l’essere umano da qualsiasi causa morbigena, diretta o indiretta, capace di menomare lo stato di salute. È una scelta personale; il medico e le strutture sono gli strumenti messi a disposizione di chi vuole praticarla. Può essere un cammino difficile, significa agire su vari fronti, impone dei sacrifici, il mutamento di alcune abitudini, uno stile di vita diverso che mette in primo piano la qualità dell’esistenza. È un impegno di volontà, denaro, personale preparato che rende all’individuo ed alla società. La sua pratica da risultati nel tempo, migliora la qualità e quantità di vita, riduce le spese per questi tipi di patologia. Perchè il seno? Dei 4 cosiddetti big killers, mammella, polmone, colon retto, prostata, è quello che permette di ottenere i migliori risultati con la diagnosi precoce, consentendo interventi scarsamente demolitivi e la possibile guarigione. Il seno oltre ad avere una valenza simbolica, essendo identificato con fertilità, maternità, bellezza e maturità sessuale, è una struttura anatomica complessa e come tale può ammalarsi. 01/0 183 La malattia scatena nell’animo di chi ne è affetto una serie di emozioni, dominate dalla paura, che coinvolgono e sconvolgono la vita di relazione dell’interessato e dei suoi congiunti. Il cancro, malgrado i notevoli progressi della Medicina, resta una malattia dalle origini misteriose, enigmatica. Il tumore mammario è una malattia sociale, per l’alto numero di donne coinvolte; si colloca al primo posto in ordine di incidenza e mortalità fra i tumori maligni che colpiscono la popolazione femminile nei paesi industrializzati. Non conoscendo le cause della sua insorgenza è impossibile applicare una prevenzione primaria. Pur essendo all’oscuro dei meccanismi del suo scatenarsi, sappiamo che nasce come patologia locale, limitata alla mammella, e con il tempo può diventare sistemica, diffusa a tutto l’organismo; che il rischio di morte dipende dallo stadio della malattia al momento della diagnosi, ed è ciò che ci induce a individuarlo quando è di dimensioni limitate, perché il risultato sarà una miglior qualità di vita, una maggior quantità e talvolta la vittoria sull’evento indesiderato. Il miglior modo per combattere il cancro è cercarlo. Lo strumento oggi più adatto per ottemperare a tale affermazione è lo screening. Operazione complessa sotto l’aspetto tecnico-scientifico, legislativo ed organizzativo comporta, oltre che problemi etici, rilevanti problemi economici. Può essere definito come una serie di prestazioni che la struttura sanitaria offre attivamente e gratuitamente ad una popolazione, apparentemente sana, identificando tempestivamente i possibili portatori di una patologia rilevante. Non e’ un esame diagnostico o conclusivo di per sé. Il suo obiettivo consiste nel miglioramento dello stato di salute e della qualità di vita, consentendo parallelamente di conseguire un risparmio economico. La filosofia dei test di screening, è quella di definire i risultati in cancro sì cancro no, tralasciando tutti gli altri aspetti della patologia benigna. Lo scopo è di riconoscere anomalie latenti, lesioni infracliniche, consentendo di dividere le donne in due gruppi: quelle in cui è improbabile che la malattia sia presente e quelle in cui la probabilità è sufficientemente elevata da consigliare un percorso ai fini diagnostici. La messa a punto del Programma richiede: …la disponibilità di uno o più test per la popolazione bersaglio individuata, …sufficienti risorse in termini di strutture, attrezzature, personale (formato ed aggiornato), …la prosecuzione dell’attività negli anni successivi al decollo, …l’adesione a specifici protocolli diagnostici, terapeutici e di controllo, conseguenti all’esecuzione del test. I presupposti necessari alla sua attivazione sono: …la malattia oggetto del Programma deve costituire un problema sanitario serio, …deve possedere una incidenza elevata e rappresentare una importante causa di morte o morbilità, …deve esservi una evidenza di efficacia per la specifica patologia tumorale, in termini di riduzione della mortalità, …devono potersi definire chiaramente i soggetti da convocare in funzione di età, sesso, area geografica di residenza, 01/0 184 …il test proposto deve essere accettabile (poco invasivo, non traumatizzante), rapido, riproducibile, attendibile cioè specifico (bassa incidenza di falsi positivi), sensibile (bassa incidenza di falsi negativi), dal costo contenuto. Ogni Programma deve essere sottoposto a controlli di qualità in ogni sua componente, tecnica, scientifica, logistico-organizzativa. Il test è costituito dalla mammografia. Essa è: ...accettabile, sia per quanto riguarda la durata, sia per il disagio creato, ...innocua, perché allo stato attuale delle conoscenze la dose per paziente è minima e quindi il rischio di induzione tumorale è trascurabile, ...efficiente, con elevata sensibilità e specificità, se correttamente eseguita e interpretata, ...facilmente ripetibile, ...di costo relativamente contenuto. Gli obiettivi del programma sono i seguenti: 1. identificare e invitare le donne eleggibili, 2. garantire che si esegua un esame mammografico della più alta qualità possibile e che i radiogrammi siano letti da personale dotato di formazione adeguata e di provata esperienza in materia, 3. fornire servizi adeguati a chi li riceve, 4. seguire tutti i soggetti richiamati per ulteriori esami, 5. minimizzare gli effetti sgradevoli dello screening, l’ansia, l’esposizione alle radiazioni, le indagini non necessarie, 6. diagnosticare i tumori con la massima accuratezza, 7. fare il miglior uso possibile delle risorse disponibili a vantaggio della popolazione, 8. consentire alle persone che lavorano nel programma di migliorare le proprie competenze e capacità professionali, 9. valutare regolarmente il servizio, 10. fornire opportune informazioni di ritorno alla popolazione interessata. I benefici sono rappresentati da una migliore prognosi, da trattamenti più conservativi, dalla rassicurazione nei veri casi negativi, dalla riduzione dei costi per la terapia nelle forme più avanzate. Gli svantaggi sono costituiti dalla prolungata coscienza di malattia (è direttamente conseguente alla anticipazione diagnostica; nello screening la diagnosi si anticipa in media di 3,5 anni). Inoltre, da sovradiagnosi e sovratrattamento, identificando talvolta: a) lesioni molto iniziali, con scarsa aggressività biologica, delle quali una certa parte non sarebbe mai evoluta tanto da poter apparire clinicamente, b) alcuni ca mammari in fase preclinica con tale anticipazione diagnostica che, anche se posseggono una certa evolutività, specialmente nelle donne più anziane, a causa della mortalità competitiva per altre cause, non farebbero in tempo a comparire clinicamente. Da falsa rassicurazione, cosa che avviene nei falsi negativi (sappiamo che la mammografia può essere gravata da una certa possibilità di errore); ove dopo poco tempo dell’esame compaia un sintomo la donna, essendo rassicurata dall’esito negativo, potrebbe non dare importanza al nuovo sintomo e quindi paradossalmente avere un ritardo diagnostico. In realtà l’osservazione all’interno degli studi controllati che la distribuzione in stadi dei carcinomi intervallo e la 01/0 185 sopravvivenza sono simili a quelle del gruppo controllo, conferma che questo rischio è trascurabile; è comunque opportuno informare la donna che, se anche risultata negativa, deve ripresentarsi alla comparsa del minimo sintomo. Da induzione di ansia nei falsi positivi: l’eventuale richiamo per approfondimenti od il consiglio di accertamento bioptico determina nella donna un forte stato d’ansia (problema contenuto al minimo tramite una adeguata formazione degli operatori, l’adozione di una tecnica di esame di elevata qualità, selezionando molto i casi da richiamare, cercando di non abbassare la sensibilità del test). Infine, dal rischio da radiazioni e dai costi. Una volta stabilite queste “premesse” e la fattibilità del Programma, si deve individuare il territorio interessato, lo si deve dividere in Dipartimenti, con sedi di I livello per l’esecuzione del test di base e di II livello per gli esami più complessi di approfondimento diagnostico. Chi viene invitata: in base ad una serie di studi internazionali si è constatato che la fascia di età che può trarre il maggior beneficio è quella dai 50 a 69 anni, abbassata alle 45enni da un Decreto Ministeriale, tenendo conto anche di rilevazioni economiche. Le convocazioni avvengono in base alle liste anagrafiche fornite dai comuni interessati, mediante lettera scritta, recante sede, giorno e ora dell’appuntamento, spedite a domicilio da un Centro di Coordinamento (in caso di impedimento, dietro comunicazione, anche telefonica, è possibile ottenere uno spostamento). La non risposta al primo invito genera l’invio di una seconda lettera, di sollecito; se anche questa viene disattesa, la donna viene considerata “non rispondente”. Come si svolge il percorso: il personale deputato all’esecuzione della mammografia è il tecnico sanitario di radiologia medica (T.S.R.M.), il solo presente durante questa fase, formato ed addestrato allo scopo, periodicamente invitato a partecipare a corsi di aggiornamento. È, di norma, l’unico operatore sanitario a interfacciare la donna che si sottopone a mammografia; quanto più elevata è la sua professionalità, tanto più efficace risulterà la campagna di screening; parla con essa; richiede eventuali esami precedenti; vede la mammella; spiega le manovre necessarie all’esecuzione, in particolare quella compressiva, avvertendo l’interessata che l’eventuale dolorabilità provocata durerà un tempo relativamente breve e che tale atto non provocherà alcuna conseguenza sulla ghiandola; le farà rilevare la necessità di questa spiacevole fase, che ha lo scopo di ridurre la dose e di consentire un’indagine di maggior qualità; talvolta durante il posizionamento, percepisce anomalie dell’organo; compila la scheda clinico anamnestica da dove derivano informazioni che possono condizionare il richiamo; esegue l’indagine, consistente in due radiogrammi per parte (obliqua, cranio caudale); controlla la qualità dei radiogrammi; congeda la donna, spiegando che l’interpretazione delle immagini avverrà in un secondo tempo grazie all’opera di due specialisti radiologi formati ed addestrati e che esiste la possibilità di un richiamo, non perché sia stata rilevata una patologia, ma per meglio valutare dubbi interpretativi che potrebbero richiedere ulteriori accertamenti. La mammografia non ammette la mediocrità. Una buona tecnica richiede il posizionamento corretto, una compressione adeguata, un alto contrasto, un’alta risoluzione. 01/0 186 Tutto ciò al fine di consentire allo specialista radiologo di vedere meglio, di più, prima che la neoplasia diventi invasiva e biologicamente incontenibile. L’esame mammografico è obiettivamente difficile da eseguire e soprattutto da valutare. La sua lettura è disseminata da insidie di ogni genere, legate al tipo ed alla qualità dell’indagine; all’età della donna; alla densità della sua ghiandola, condizionata dal contenuto idrico; alla concomitanza di alterazioni benigne. La sua efficacia può essere limitata dalla tecnica di esame, dalla visibilità radiografica del tumore, dall’estrema variabilità della crescita neoplastica, dall’esperienza del radiologo. Per una valida interpretazione sono necessari ambiente sereno, concentrazione massima, occhio vigile, specie per minime alterazioni, l’utilizzo di una lente di ingrandimento (microcalcificazioni). Questo perché, pur essendo oggi l’indagine radiologica più sensibile e specifica in senologia, come tutti i test di screening non è esente da errori. Può risultare negativa in un 5-8% nei casi clinici, in percentuale ancora superiore nello screening. Cosa si valuta? Asimmetrie della densità: aree di maggior opacità non circoscritte, estese, mal definite. Distorsioni parenchimali: segno subdolo, di difficile inquadramento, può essere conseguenza di lesioni benigne, ma anche di forme neoplastiche. Calcificazioni: precipitazione di sali di calcio per un processo di secrezione o di necrosi all’interno di dotti, lobuli, strutture anatomiche normali, lesioni benigne o maligne. La loro sensibilità è elevata, non così la specificità. Il passo successivo è quello di definire i casi in negativi, dubbi, positivi. Ciò porta ad esprimere l’orientamento del lettore in una delle seguenti voci: quadro nei limiti di norma, lesione sicuramente benigna, lesione probabilmente benigna, lesione sospetta, lesione francamente maligna. Se compare un “dubbio interpretativo”, è necessario il richiamo al II livello. Queste donne, contattate dal personale tecnico, che fisserà il nuovo appuntamento nella sede di II livello, devono effettuare gli approfondimenti necessari (esame clinico, eventuali radiogrammi integrativi, ecografia, prelievo con ago sottile). Durante la seduta di approfondimento il medico deve provvedere a comunicare le conclusioni diagnostiche all’interessata; ad essa sarà consegnata una risposta scritta, in copia per il medico curante. Nei casi positivi all’approfondimento ed in cui si consiglia l’intervento chirurgico è opportuno che la diagnosi sia comunicata con colloquio con la donna e che le siano consegnate copia della documentazione con i dati relativi alla lesione. Su una apposita scheda dovranno essere registrati gli approfondimenti effettuati; l’esito finale potrà essere controllo a 24 mesi, controllo a 12 mesi, revisione chirurgica. Pur essendo la mammografia l’esame principe per la diagnosi precoce del tumore alla mammella, non è esente da errori. Il falso positivo provoca ansia nella donna, per la necessità di ulteriori indagini, nonchè costi elevati per lo stesso motivo. 01/0 187 Ancora più problematici sono i falsi negativi che, generando tranquillità, sono causa di ritardi diagnostici. Possono essere ascritti a cause di tipo tecnico metodologico, interpretativo, diagnostico. Quelle tecnico metodologiche si riducono con il ricorso a programmi di controllo di qualità e con l’impiego di personale altamente qualificato e motivato. Quelle interpretative si verificano quando una lesione non presenta franche caratteristiche neoplastiche, come per addensamenti asimmetrici, distorsioni strutturali, tenui opacità sfumate, microcalcificazioni aspecifiche. Quelle diagnostiche sono dovute al non riconoscimento della lesione, perché in parte mascherata da strutture sovrastanti, oppure molto piccola e sfuggita all’indagine, evidenziata ma sottostimata. Possiamo quindi concludere affermando che: l’evoluzione tecnologica della mammografia, la corretta esecuzione dell’indagine, la preparazione specifica del radiologo, l’ampia partecipazione della popolazione, sono i fattori che permettono di considerare il tumore della mammella una malattia dalla quale si può guarire anche in assenza di una prevenzione primaria e di terapie farmacologiche risolutive. Ottenere ciò è possibile a patto che si combatta l’ignoranza, la negligenza, il falso pudore, lo scetticismo, ma in primo luogo la paura. La donna dev’essere protagonista, accettando il test; essa sarà testimone della prevenzione, convincendo le più riluttanti a controllarsi. I controlli periodici debbono essere considerati una pratica da non dimenticare. Si deve ricordare che la mammografia non fa male: il danno potrebbe venire dal non farla e la rinuncia o il posticipo di un esame preventivo non evitano la comparsa del problema. Si deve essere consapevoli che oggi il cancro può essere sconfitto. Bibliografia 1. Cigna F. L’importanza della prevenzione. Di tumore al seno si guarisce. L’Artistica Savigliano, 2004. 2. Abrahams G, Peregrini C. Ammalarsi fa bene. Feltrinelli, 1989. 3. Azzopardi JG. Problems in Breast. Pathology. Philadelphia, 1979. 4. Basset LW, Gold RH. I tumori della mammella: mammografia, termografia ed ultrasuoni nella diagnosi della mammella. Ambrosiana, 149, 1978. 5. Bottaccioli F. Vincere il cancro. Como, Red, 1998. 6. Cartier JM, Bourgiat P. Imaging del seno. Roma, Verducci, 2000. 7. Catania S, Nobili A. Il carcinoma mammario da parte della paziente. Sorbona, 1989. 8. Charta Senologica. Il Radiologo. 1982;21:44-8. 9. David E. Le sein. Parigi, TFI, 1993. 10. Di Maggio C. Esiste un danno mammografico? Imaging senologico. Cortina, Verona, 1986;149-58. 11. Fantò A. Prevenire e vincere. Milano, Mondadori, 1990. 01/0 188 12. Fantò A. Vitamine e prevenzione. Milano, Mondadori, 1996. 13. Frouge C. Stratégie diagnostique en sénologie. Parigi, Masson, 1995. 14. Galante EL. La salute del seno. Roma, Pensiero Scientifico, 2000. 15. Gomez De La Serna. Sein. André Dimanche, 1992. 16. Gros Ch. Les maladies du sein. Parigi, Masson, 1993. 17. Ingleby H, Gershon-Cohen J. Comparative anatomy, pathology and roentgenology on the breast. Philadelphia, 1960. 18. Kushner R. Why me? Kensington Press, 1982. 19. Laplantine F. 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New York, Knopf, 1997. 01/0 189 L’ESPERIENZA DEL GINECOLOGO NELLO SCREENING CITOLOGICO Vincenzo Costa Responsabile Centro di Colposcopia di II livello e Patologia del Tratto Genitale Inferiore, A.S.L. 17 -Savigliano Dalla storia all’attualità. George Nicolas Papanicolaou, medico greco, lavorava negli Stati Uniti alla Cornell University di New York sul finire della prima guerra mondiale; su incarico del capo dipartimento di Anatomia, Charles Stockard, studiava le modificazioni cellulari, durante l’estro, nella vagina del porcellino. Nel corso di tali ricerche, confrontò i cambiamenti dipendenti dagli ormoni sessuali, con quelli che avvenivano nella donna durante il ciclo mestruale. Nel gruppo oggetto della ricerca, v’era un caso di cancro della cervice. L’osservazione al microscopio di questo striscio rivelò l’aspetto mostruoso delle cellule della cervice rispetto agli altri campioni esaminati. Egli intuì subito, e se ne convinse, di aver trovato un metodo semplice, precoce, minimamente invasivo per scoprire il cancro del collo dell’utero. L’idea di Papanicolaou rimase però inascoltata per quasi venti anni. Solo negli anni Quaranta il lavoro di Papanicolaou, pubblicato nel 1923, fu ripreso ed in breve la metodica ebbe grande diffusione tra i ginecologi. Nel 1984, dopo numerose ricerche, Hacama potè affermare che era possibile attuare un Programma di screening per il cervico–carcinoma uterino mediante il test di Papanicolaou, riducendo così l’incidenza della malattia. Con il Pap test infatti si può ridurre l’incidenza del cervico-carcinoma del 70%. Questo importante risultato scientifico ha stimolato l’interesse dei Governi Europei e di quello Nazionale a predisporre ed attuare programmi di screening volti a ridurre la morbilità e la mortalità non solo per il cancro della cervice uterina ma anche per altri tumori, quali quello mammario e del colon-retto, che si prestano ad essere diagnosticati precocemente. Lo screening quindi rappresenta una delle aree strategiche della prevenzione. Per una corretta esecuzione dei programmi di screening è necessario che: . 1) le strutture sanitarie siano sufficientemente organizzate, 2) le pazienti risultate positive siano tempestivamente trattate, 3) la qualità delle procedure di diagnosi e cura sia monitorata. Il rispetto di tali condizioni permette allo screening di incidere direttamente sulla mortalità, in quanto esso consente l’evidenziazione del tumore prima della manifestazione clinica della malattia. Numerosi studi epidemiologici hanno accertato le condizioni di sicura efficacia dello screening sia per il cancro della cervice che della mammella. Le dimensioni del problema. Il cancro della cervice uterina, nei paesi industrializzati, è la seconda forma neoplastica più diffusa tra le donne al di sotto dei 50 anni. 01/0 190 È a tutt’oggi responsabile di circa 500.000 mila morti all’anno nel mondo, di cui 12 mila nella sola Europa. Nei Paesi in via di sviluppo il cancro della cervice è al primo posto fra i tumori nella fascia di età compresa tra 35 e 45 anni. In Italia il cancro della cervice si colloca al quinto posto per incidenza nelle donne, dopo il tumore della mammella , del colon-retto, del polmone e dell’endometrio. Ogni anno si registrano approvimativamente 3000 nuovi casi e le morti per cancro della cervice sono circa 1000. Negli ultimi anni, il tasso di mortalità tra le donne di età inferiore ai 50 anni è diminuito di circa il 70% (grazie all’adesione allo screening, alle condizioni igienicosanitarie migliorate). Il calo risulta inferiore, per contro, tra le donne di età più avanzata (poca adesione allo screening, scarsa disponibilità ai controlli clinici). La probabilità di ammalarsi di cancro della cervice nel corso della vita, da 0 a 74 anni, è dell’1%. Presupposti normativi della prevenzione. I controlli cui sottoporsi, per essere sicuri che “va tutto bene” o per avere una diagnosi precoce di eventuali patologie neoplastiche con maggiori possibilità di guarigione, sono cambiati nel corso degli anni. Non ci si rivolge più a generici check-up, ma la comunità scientifica internazionale promuove programmi di screening mirati per donne e uomini, in ben determinate fasce di età e per determinate patologie. Questo metodo è considerato più efficace per poter diagnosticare precocemente e quindi intervenire sulla patologia nelle prime fasi di sviluppo, con cure appropriate. Nel nostro Paese, infatti, già dal 2001 la Legge Finanziaria all’art. 85 disponeva l’esenzione dal pagamento del ticket per l’esame citologico cervico-vaginale, da effettuarsi quindi gratuitamente ogni tre anni nelle donne di età compresa tra 25 e 64 anni. Sempre nel 2001 lo screening per il tumore della cervice veniva inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). il Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 prevedeva di dare maggiore impulso alla prevenzione dei tumori destinando più risorse per l’organizzazione degli screening. Ancora nel 2003 il Consiglio dell’Unione Europea raccomandava agli stati membri l’attuazione dei programmi di screening per i tumori del collo dell’utero, della mammella e del colon-retto. La Legge 138, approvata dal Parlamento nel maggio 2004, impegna il Paese a colmare il divario esistente tra la popolazione a rischio e quella che partecipa allo screening oncologico, destinando 50 milioni di Euro a tale obiettivo. Il piano privilegia il riequilibrio nel nostro Paese tra aree dove la prevenzione è gia presente a buon livello ed aree dove essa deve ancora iniziare. Valori sociali dello screening. I programmi di screening vanno considerati sotto due aspetti fondamentali come di seguito richiamato. 1) Azione di sanità pubblica che riguarda una comunità. 01/0 191 La gratuità e’ quindi il riconoscimento del significato sociale dello screening di massa. 2) Intervento individuale che può identificare problemi per la singola persona. Infatti il Pap test, oltre che la ricerca di uno stato pre-clinico di malattia, è una utile conferma delle proprie condizioni di salute. Il Servizio Sanitario pubblico, che propone alle donne di sottoporsi al test di screening, si assume precise responsabilità etiche che vanno dall’invito fino al sostegno alla donna e alla famiglia durante l’eventuale trattamento e il decorso della malattia. Bisogna considerare anche che lo screening viene offerto ad una popolazione composita per valori, cultura e religione e di ciò bisogna tenerne conto nel rapporto che si va a costruire con le interessate. Sul piano della comunicazione, occorre che vengano assicurate in tutte le fasi fondamentali: 1) l’informazione; 2) una azione capillare di supporto, con adeguata pubblicità; 3) lo stimolo alla piena consapevolezza del dovere prevenire la malattia, nel rispetto del proprio corpo, al fine di consentire una partecipazione informata. Per ottenere ciò non basta la lettera di invito, ma questa deve essere accompagnata da una adeguata attività relazionale che include momenti di ascolto delle utenti, predisposizione di materiale di informazione, incontri pubblici sul problema. L’informazione fornita deve essere veritiera, non frettolosa, basata sui dati scientifici, chiara per il linguaggio utilizzato, assicurandosi che l’operatore sia stato ben compreso dalla interlocutrice. Il messaggio da trasmettere deve sottolineare i benefici che ogni donna può attendersi, ma anche i possibili problemi e i disagi derivanti dalla comunicazione di un Pap test anormale e dalla assoluta necessità di sottoporsi ad accertamenti supplementari. Sede di insorgenza ed etiologia del cancro della cervice. Il carcinoma della cervice uterina trae origine dall’epitelio di rivestimento della portio. Infatti, la cervice è ricoperta da epitelio pluristratificato non cheratinizzato che si arresta all’imbocco del canale cervicale per essere sostituito con epitelio cilindrico. Questa zona di passaggio è detta “giunzione squamo-colonnare” ed è considerata l’area di insorgenza più frequente della displasia. Quale è la condizione necessaria ma non sufficiente per la insorgenza del cancro della cervice uterina? L’infezione da HPV (virus del papilloma umano) è considerata un pre-requisito per lo sviluppo del cancro della cervice e la sua correlazione è molto più significativa, ad esempio, di quella osservata tra fumo e carcinoma polmonare. L’infezione da HPV colpisce prevalentemente le classi di età inferiore a 35 anni ed è per lo più transitoria perchè il DNA virale viene eliminato senza integrarsi nella cellula ospite. In casi meno frequenti, (circa il 20%) l’infezione può persistere esprimendosi in diverse forme: latente, sub-clinica, clinicamente manifesta. In tutte queste condizioni, dopo il contagio e con l’infezione persistente, il test HPV che identifica il DNA virale risulta positivo. Tuttavia, la donna contagiata dal virus, ma che successivamente lo elimina, non va incontro a particolari lesioni patologiche. 01/0 192 Il reale precursore della progressione neoplastica della cellula, infatti, non è l’infezione, ma la sua persistenza. Pertanto risulta fondamentale ricercare con opportuni test la persistenza tipo - specifica del virus in modo da identificare quelle donne che realmente hanno un maggiore rischio di progressione neoplastica. I geni E6 ed E7, presenti nel DNA del virus, sono fondamentali per esprimere la progressione e il mantenimento del rischio neoplastico. La proteina E6 causa la degradazione del fattore oncosoppressore p53 portando ad una diminuzione della apoptosi. La proteina E7 agisce alterando la prb (gene oncosoppressore che controlla la crescita cellulare). Identificare le donne le cui cellule cervico-vaginali hanno una alta espressione delle oncoproteine E6 ed E7 significa identificare quelle pazienti le cui cellule della cervice diventano suscettibili di trasformarsi in cellule cancerogene. Ciò corrisponde a fare una reale diagnosi precoce. Attualmente è allo studio un test che riconosce i prodotti trascritti dallo RNA messaggero virale, noti per essere coinvolti nella oncogenesi cellulare. Questo test permette di identificare quelle donne realmente a rischio neoplastico, con una evidente positiva ricaduta sulla precocità della diagnosi e sulla conseguente terapia. In particolare, il II livello dello screening potrebbe seguire in maniera più stretta questa fascia di donne a rischio, evitando a chi non lo è un follow-up eccessivamente impegnativo e costoso. Il futuro La prevenzione primaria costituisce il metodo migliore di prevenzione del cancro della cervice mediante due opzioni principali: 1) la profilassi comportamentale della infezione da HPV; 2) la prevenzione primaria dell’infezione tramite la vaccinazione. Se la prima opzione è a dir poco utopistica, può essere possibile concentrarsi sulla seconda. Inizialmente sono stati approntati due tipi di vaccino, il primo a scopo terapeutico, il secondo a scopo profilattico. I risultati più promettenti derivano dalla vaccinazione profilattica. Questa è rivolta a prevenire l’infezione mediante l’induzione di una risposta immunitaria sistemica. A tal fine vengono usate particelle virali come antigene (virus like particles, VLP). Recenti studi, presentati al XX congresso di colposcopia a Napoli (settembre 2005) propongono la profilassi dell’infezione individuando un vaccino tipo-specifico per l’HPV 16 e 18, che può diventare una arma decisiva a favore della prevenzione. I vaccini creati a scopo terapeutico non sono stati promettenti perché dovrebbero essere somministrati a pazienti con stato iniziale di malattia o meglio con lesioni intraepiteliali. In conclusione, gli studi in corso sui vaccini stanno aprendo nuove prospettive nel campo della prevenzione, ma rimangono aperte numerose questioni che dovranno essere affrontate nel corso dei prossimi anni. 01/0 193 Bibliografia 1. Atti del XX Congresso nazionale della Società italiana di colposcopia e patologia cervico-vaginale. Napoli, 6-8 ottobre 2005. 2. Boselli F. Testo atlante di colposcopia. 3. Mojana G. Vaccino: stato dell’arte. 4. Miucci D. HPV-DNA test: il ruolo futuro nello screening. 5. Cristoforoni P. Infezione e counseling. 6. Giordano A. Biologia dell’ HPV e cancerogenesi cervicale. 7. Origoni M. Quadri colposcopici. Riferimenti iconografici (vedi sezione a fine volume) 01/0 194 L’ACQUA DESTINATA AL CONSUMO UMANO COME FATTORE DI RISCHIO ONCOLOGICO Andrea Domestici Responsabile s.s. Igiene degli Alimenti, S.I.A.N., A.S.L. 15 - Cuneo 1. Considerazioni generali “Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà. Qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici. (...) L’uso dell’acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo. Gli altri usi sono ammessi quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano la qualità dell’acqua per il consumo umano.”1 Le suddette affermazioni non sono semplici principi, ma sono tal quali i commi 1. 2. 3. dell’art. 1 e il comma 1 dell’art. 2 della Legge 5 gennaio 1994 n. 36 – Disposizioni in materia di risorse idriche: essi sono pertanto principi inderogabili sanciti dalla Legge su tutto il territorio nazionale, e sono esplicitamente finalizzati, fra l’altro, alla tutela delle caratteristiche di potabilità dell’acqua destinata al consumo umano. Del resto, con le seguenti parole: “Non c’è vita senza acqua. L’acqua è un bene prezioso, indispensabile a tutte le attività umane. (...) Essa è per l’uomo, per gli animali e per le piante un elemento di prima necessità. Infatti l’acqua costituisce i due terzi del peso corporeo dell’uomo. (...) Essa è indispensabile all’uomo come bevanda e come alimento. (...) Alterare la qualità dell’acqua significa nuocere alla vita dell’uomo e degli altri esseri viventi che da essa dipendono. (...)” si apre la Carta Europea dell’Acqua, promulgata a Strasburgo dal Consiglio d’Europa nell’ormai lontano maggio 1968. Come risaputo, il problema dell’inquinamento delle risorse idriche non è un problema insorto recentemente (la cloaca massima fu costruita da Tarquinio Prisco non tanto, come potrebbe ritenersi, per problemi paesaggistici o urbanistici, bensì per prevenire la contaminazione delle falde idriche), ma esso ha raggiunto negli ultimi decenni proporzioni allarmanti (tabella 1). Contaminazione delle acque superficiali Contaminazione delle acque sotterranee DIRETTA Eliminazione di effluenti, rifiuti e scarichi industriali INDIRETTA INDIRETTA Immissione di contaminanti in soluzione Percolazione nel terreno fino alle falde per per dilavamento dovuto a fenomeni utilizzo normale e dilavamento o per meteorologici e percolazione nel terreno pratiche e smaltimenti irregolari Tab. 1 01/0 195 In questo campo sono stati condotti numerosi studi che hanno preso in considerazione, di volta in volta, diverse caratteristiche, sia chimiche sia fisiche, dell’acqua destinata al consumo umano in relazione alla presenza di contaminanti e alla conseguente possibilità di insorgenza di patologie a lungo termine nell’uomo. È stato possibile concludere evidenziando in termini generali la presenza di un “fattore acqua” in grado di cointervenire nell’induzione di effetti cronici sulla salute umana. Questo fattore generico può estrinsecarsi con caratteristiche più o meno particolari e precise (contaminanti) ogni volta che si prende in considerazione una diversa patologia cronica. Il riconoscimento dell’eventualità di una diffusa distribuzione di specifiche sostanze contaminanti nell’acqua potabile, accertate o sospette cancerogene, in combinazione con studi epidemiologici che mettono in evidenza associazioni tra acque inquinate e rischio di sviluppo di patologie tumorali, hanno introdotto e poi fatto crescere nell’ambito del concetto di “cancerogenesi ambientale” il fattore relativo alla contaminazione delle acque. Qualora si intendano studiare gli effetti sulla salute umana di nuove sostanze si deve infatti far ricorso a valutazioni integrate desunte inizialmente da dati chimico fisici, completate da dati tossicologici e infine da valutazioni di tipo epidemiologico: l’identificazione dei contaminanti è il passo fondamentale, al quale debbono seguire studi di quantificazione e di conferma della tossicità per giungere, nell’ultima fase, alla definizione del rischio tramite l’uso di indagini epidemiologiche approfondite (figura 1). L’ipotesi che l’acqua potabile possa contenere concentrazioni attive di composti cancerogeni, associabili ad aumentata incidenza di patologie o casi di morte per cancro, è stata valutata per mezzo di numerosi studi epidemiologici e questi di massima concordano su una associazione positiva, seppur ridimensionata da numerosi fattori variabili che possono interferire con i risultati, tra presenza di microinquinanti ed eccesso di patologie tumorali in toto e per alcuni siti in particolare. proprietà fisiche e chimiche dati tossicologici chimiche contaminanti valutazione dei rischi per la salute pubblica Fig. 1 (da Gilli G.,2 modificata) dati epidemiologici chimiche 01/0 196 Dallo schema proposto in figura 1 si può peraltro dedurre quanto, allo stato delle conoscenze, siano relativamente utili le osservazioni disponibili in campo umano come derivabili da studi descrittivi o analitici, e quanto conseguentemente sia importante fare ricorso a dati ottenuti sperimentalmente. Inoltre, nell’impossibilità di assumere informazioni dirette da fenomeni dovuti a “micro-esposizioni”, si fa abitualmente uso, come vedremo, di modelli matematici per avere indicazioni quantitative del rischio corrispondente per la popolazione umana.2 2. Valutazione del rischio sanitario Stante, come sopra esposto, il limitato valore degli studi effettuati sulle popolazioni umane a causa della mancanza di informazioni quantitative sulle effettive concentrazioni alle quali le popolazioni studiate sono esposte o sulle esposizioni simultanee ad altri agenti è necessario, fra i tanti, selezionare gli studi più adeguati (soprattutto in rapporto alla numerosità della popolazione sottoposta ad esposizione) della sperimentazione animale, sui quali basare l’estrapolazione dei dati quantitativi per ciascun micro-inquinante. Ai fini della protezione della salute pubblica, lo scopo è quello di redigere linee guida per la qualità dell’acqua potabile - emanate dalla World Hearth Organization (WHO); queste sono concepite con lo scopo di essere utilizzate come base per lo sviluppo degli standard nazionali di qualità che, se opportunamente seguiti, assicurano la sicurezza degli approvvigionamenti idropotabili attraverso l’eliminazione, o la riduzione ad una concentrazione minima accettabile, di quei costituenti dell’acqua che sono noti per il pericolo (cancerogenicità / mutagenicità / teratogenicità) che possono porre alla salute.3-6 2.1. Calcolo dei valori di linea guida a partire dalla dose giornaliera tollerabile, tolerable daily intake (TDI) Per quasi tutti i tipi di tossicità si ritiene generalmente che esista una dose al di sotto della quale non si verifica alcun effetto indesiderato; per sostanze che danno luogo ad effetti tossici la TDI può essere così calcolata: TDI = NOAEL o LOAEL / FI Dove, NOAEL = dose alla quale non è stato osservato alcun effetto indesiderato (no observed adverse effect level); LOAEL = più bassa dose alla quale è stato osservato un effetto indesiderato (lowest observed adverse effect level); FI = fattore di incertezza legato ai seguenti fattori: a) variabilità tra le specie (trasponibilità dall’animale all’uomo), 1 – 10; b) variabilità interindividuale (tra individui diversi), 1 – 10; c) adeguatezza degli studi o della base di dati, 1 – 10; d) natura e gravità degli effetti, 1 – 10. Il valore di linea guida (VG) viene calcolato a partire dalla TDI nel seguente modo: VG = (TDI x p.c. x P) / C Dove, p.c. = peso corporeo (60 Kg per l’individuo adulto; 10 Kg per il bambino; 5 Kg per il neonato); P = frazione della TDI assegnata all’acqua; 01/0 197 C = consumo giornaliero di acqua potabile (2 litri per gli adulti; 1 litro per i bambini; 0,75 litri per i neonati). L’esempio della figura 2 è riferito all’erbicida atrazina: nell’alimento acqua, che il legislatore in quel momento ha voluto tutelare con particolare riguardo, il valore limite di legge è stato fissato in 0.1 g/l, cioè un valore che risulterà ben 15.000 volte inferiore al valore ADI calcolato sperimentalmente (tutti i limiti di legge dovrebbero pertanto essere oggetto di una continua revisione per essere periodicamente aggiornati sulla base dell’evolversi e dell’ampliarsi del sapere scientifico). Prove di tossicità a lungo termine (somministrazione mediante dieta protratta per almeno 2 anni) \/ Valutazione della dose senza effetto (5 mg/kg di peso corporeo/die per animale) \/ scelta del coefficiente di sicurezza (F.I. =100) \/ Calcolo della TDI – Tolerable Daily Intake (0,05 mg/kg di peso corporeo/die nell’uomo) ovvero dell’ADI – Admissible Daily Intake per addittivi tecnologici e pesticidi residui \/ Scelta del peso corporeo medio (60 Kg) \/ Estrapolazione all’uomo medio (3 mg/uomo/giorno) \/ Valutazione del coefficiente attribuito all’alimentazione (es: ortofrutta 0,4 Kg/die – acqua 2 l./die) \/ Limite massimo di accettabilità (7,5 ppm = mg/kg di alimento – 1,5 ppm = mg/l di acqua) Fig. 2 (da Gilli G.,2 modificata) 2.2. Calcolo dei valori di linee guida per sostanze potenzialmente cancerogene La valutazione della potenziale cancerogenicità delle sostanze chimiche si basa generalmente su studi sperimentali a lungo termine - modello multistage linearizzato - condotti su animali; soltanto in alcuni casi sono disponibili i dati di cancerogenicità nell’uomo, in gran parte relativi ad esposizioni per motivi occupazionali. In base all’evidenza disponibile, l’International Agency for Research on Cancer (IARC) classifica le sostanze chimiche, con riferimento al loro potenziale rischio cancerogeno nei seguenti quattro gruppi: - gruppo 1: l’agente e cancerogeno accertato per l’uomo - gruppo 2A: l’agente è probabilmente cancerogeno per l’uomo - gruppo 2B: l’agente è possibilmente cancerogeno per l’uomo 01/0 198 - gruppo 3: l’agente non è classificabile come cancerogeno per l’uomo - gruppo 4: l’agente è probabilmente non cancerogeno per l’uomo. Per i cancerogeni per i quali esiste evidenza convincente che indica un meccanismo non genotossico, che agiscono cioè attraverso un meccanismo indiretto, si ritiene generalmente che esista una dose soglia, per cui le linee guida sono state calcolate usando il metodo della TDI, come precedentemente descritto. Per i composti considerati essere cancerogeni genotossici (cioè che provocano direttamente l’induzione di una mutazione nel DNA delle cellule somatiche), poichè questo meccanismo è teoricamente senza una dose soglia, le linee guida sono state determinate con l’ausilio dei citati modelli matematici e sono presentate come la concentrazione nell’acqua potabile associata ad un rischio di eccesso di cancro di 10-5 riferito all’intero tempo di vita: un caso addizionale di cancro ogni 100.000 persone, in una popolazione che consuma acqua potabile contenente la sostanza in questione, al livello di linee guida, per 70 anni. Nei casi dove la stima della concentrazione associata ad un rischio addizionale di cancro di 10-5 non sia praticabile a causa dell’inadeguatezza delle metodologie di studio, è stata fissata una linea guida provvisoria, ad un livello praticabile, per il quale è stato indicato il rischio cancerogeno associato (vedere quale esempio il paragrafo 3.1. alla voce arsenico). Va comunque sottolineato che le linee guida per i composti cancerogeni calcolate con l’aiuto di modelli matematici dovrebbero essere considerate non più che una stima approssimativa del rischio di cancro: infatti questi modelli normalmente non prendono in considerazione diversi importanti fattori biologici come la farmacocinetica, i meccanismi di riparazione del DNA e quelli di protezione immunologica. Ad ogni modo questi modelli sono conservativi e probabilmente portano ad errori in senso cautelativo. D’altro canto, le linee guida sono state calcolate separatamente per le singole sostanze, mentre in genere i contaminanti chimici degli approvvigionamenti idropotabili sono presenti insieme a numerosi altri costituenti organici ed inorganici; tuttavia si ritiene che il largo margine di sicurezza incorporato nelle linee guida tenga sufficiente conto anche delle possibili interazioni tra contaminanti; se ci fossero indicazioni locali specifiche che un certo numero di contaminanti sono presenti a livelli vicini ai rispettivi valori guida, in mancanza di indicazioni che dimostrano il contrario, è comunque appropriato assumere che gli effetti tossici di questi composti siano di tipo additivo.7 3. Inquinanti identificati e patologia neoplastica Si specifica che i componenti chimici che non sono riportati nelle sintesi monografiche che seguono, o non risultano inseriti dalla IARC come sostanza cancerogena in alcun Gruppo o sono inseriti nei Gruppi 3 (non classificabile) e 4 (probabilmente non cancerogeno), oppure non sono finora mai stati riscontrati nelle acque destinate al consumo, ovvero oltre alla occasionalità del rinvenimento gli studi di tossicità orale disponibili sono ancora palesemente insufficienti per il calcolo di una TDI.8 È ovvio che valori di linea guida sono comunque esistenti per tutti i componenti chimici, qui non menzionati, ma per i quali si ha evidenza di un qualsiasi rischio 01/0 199 per la salute umana, per i quali è stato possibile il calcolo o la stima del rischio, sia in relazione ad altri tipi di tossicità, sia in rapporto a studi e ricerche su altre matrici alimentari o esposizioni diverse.9 3.1. Costituenti inorganici principali Antimonio IARC: gruppo 2B per il triossido (per esposizione per inalazione). Mancanza di chiare evidenze sperimentali di cancerogenicità per ingestione. Una TDI di 6 g/kg p.c. (F.I. 1000) con un contributo dieta del 10% per l’acqua potabile porta a valori di circa 0,02 mg/l (0,005 mg/l. era il valore indicato nelle precedenti linee guida del 1993). Arsenico IARC: gruppo 1. Per alte concentrazioni di arsenico nella dieta risulta un’incidenza relativamente elevata di cancro della pelle e possibilmente di altre forme tumorali (vescica, polmoni) che aumentano con la dose e con l’età. Allo scopo di ridurne la concentrazione nell’acqua potabile è stato stabilito (per un contributo con la dieta del 20%) un severo valore provvisorio di linea guida di 0,01 mg/l con una stima di eccesso di rischio di cancro di 10-5 per il tempo di vita associato all’esposizione (un rischio di 6 x 10-4 fu indicato nel ’9310 per lo stesso valore, mentre nell’edizione del 1984 il valore di linea guida era stato stabilito in 0,05 mg/litro). Cadmio IARC: gruppo 2°. Di certo cancerogeno per via inalatoria, non esistono evidenze di cancerogenicità e genotossicità per via orale. In relazione ad una assunzione settimanale tollerabile provvisoria (PTWI) di 7 g/kg p.c. è stato stabilito un valore di linea guida di 0,003 mg/l sulla base di un contributo dieta del 10% dovuto all’acqua potabile. Cromo IARC: gruppo 1 per l’esavalente (gruppo 3 per il trivalente). Non è disponibile alcuno studio di tossicità adeguato per fornire una base per una NOAEL per somministrazione per via orale. In studi epidemiologici è stata osservata una associazione fra esposizione a cromo esavalente per via inalatoria e cancro polmonare. Il contributo dieta dovuto all’acqua potabile è percentualmente molto scarso. Come misura pratica è stato provvisoriamente indicato il valore di linea guida di 0,05 mg/l. Nichel IARC: gruppo 2B. Non sono state raccolte evidenze convincenti sulla sua cancerogenicità per ingestione; sulla base di una TDI di 5 g/kg p.c è stato stabilito un valore di linea guida di 0,02 mg/litro. Piombo IARC: gruppo 2B per il Pb e i suoi composti inorganici. In animali da esperimento si ha induzione di tumori renali a dosi più alte rispetto a quelle che inducono effetti neurotossici, per cui il valore di linea guida stabilito per detto rischio sembrerebbe protettivo anche per gli effetti cancerogeni: 0,01 mg/l assumendo (nel neonato: popolazione più sensibile) che il 50% dell’apporto con la dieta derivi dall’acqua potabile, per un consumo di 0,75 l/giorno. Amianto. 01/0 200 Certamente cancerogeno per l’uomo per via inalatoria, non sono state raccolte prove convincenti sulla cancerogenicità dell’amianto per ingestione; per tale motivo è stato deciso che non è necessario stabilire un valore di linea guida basato su criteri di protezione della salute. Berillio IARC: gruppo 2A (sulla base di esposizioni occupazionali). Non sono disponibili studi adeguati per valutare la cancerogenicità del berillio per ingestione e quindi derivare un valore di linea guida nell’acqua potabile. Nitrati e Nitriti Non agiscono tal quali come agenti cancerogeni. I nitriti e indirettamente i nitrati reagiscono a livello gastrico, in ambiente acido, con amine o amidi (gruppi–NH2) derivanti dagli alimenti e formano nitrosammine e nitrosammidi: questi composti, sulla scorta di studi sperimentali condotti su animali, si sono dimostrati in buona parte cancerogeni, o mutageni o teratogeni. Nel complesso, comunque, l’evidenza epidemiologica di una associazione tra assunzione di nitrati con la dieta e cancro è insufficiente, per cui il valore di linea guida per i nitrati nell’acqua potabile è stato stabilito soltanto in funzione della prevenzione della metaemoglobinemia, la quale dipende dalla conversione dei nitrati a nitriti. 3.2 Costituenti organici principali Alcani clorurati Diclorometano: IARC gruppo 2B. Le evidenze scientifiche indicano che l’esposizione con l’acqua potabile è poco significativa rispetto ad altre fonti e che i suoi metabiliti genotossici, dopo ingestione, si formano in vivo in scarsa quantità. Da una TDI di 6 g/kg p.c. (F.I. 1000 in funzione dell’acclarata epatotossicità) è stato derivato un valore di linea guida di 0,02 mg/litro. Tetracloruro di carbonio: IARC gruppo 2B. Massima assunzione per via inalatoria, anche se trattasi di composto presente nelle acque potabili. Dimostrata in animali da esperimento l’insorgenza di tumori del fegato e di altri organi anche dopo ingestione. Verosimilmente non genotossico, da un TDI globale di 1,4 g/kg p.c (F.I. 500) il calcolo per un apporto con l’acqua del 10% rispetto alla dieta porta alla stima di un valore di linea guida di 0,004 mg/litro (2 g/l nelle linee guida del ’93). 1,2 Dicloroetano: IARC gruppo 2B. Responsabile di diversi tipi di tumore in animali da esperimento, compreso il raro emangiosarcoma. Potenzialmente genotossico: calcolato un valore di linea guida di 0,03 mg/l, corrispondente ad un eccesso di rischio di cancro di 10-5 per l’intero tempo di vita. Eteni clorurati Cloruro di vinile: IARC gruppo 1. Mutageno sia in vivo che in vitro, esiste evidenza che sia cancerogeno, per inalazione in lavoratori esposti ad alte dosi, per diversi organi: fegato (compreso angiosarcoma), cervello, polmone, tessuti linfatico ed ematopoietico. In saggi sperimentali è cancerogeno su animali per mammella, polmone, fegato, pelle ed altri siti. Nell’uomo non si hanno evidenze sperimentali per ingestione; da studi su animali (multistage) è stato calcolato un eccesso di rischio di angiosarcoma epatico di 10-5, corrispondente a un valore di linea guida per l’acqua potabile di 0,0003 mg/litro (il precedente valore stabilito nell’edizione del ’93 era stato di 5 g/litro). 01/0 201 Tetracloroetilene: IARC gruppo 2B. Evidenza sperimentale di cancerogenesi epatica e renale (anche leucemie). Non genotossico, il valore di linea guida è stato calcolato di 0,04 mg/l, per un contributo con l’acqua corrispondente al 10% della TDI, pari a 14 g/kg p.c. Idrocarburi aromatici Benzene: IARC gruppo 1. Certamente cancerogeno per l’uomo e per gli animali. Sulla base di una stima di rischio, utilizzando i dati sulla leucemia da studi epidemiologici su popolazioni esposte ad inalazione, è stato calcolato che una concentrazione nell’acqua potabile di 0,01 mg/litro è associata ad un eccesso di rischio di cancro di 10-5 sulla base di un’esposizione per l’intera vita. Stirene: IARC gruppo 2B. Sperimentalmente ha determinato tumori polmonari nei topi ma non nei ratti. Assegnando il 10% della TDI all’acqua potabile si ha un valore di linea guida di 0,02 mg/litro. Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA). Sono numerosi composti e la fonte principale di esposizione per l’uomo sono gli alimenti, mentre l’acqua potabile contribuisce solo in misura minore. Alcuni IPA sono risultati cancerogeni per via orale mentre per altri è stato riscontrato un basso potenziale cancerogeno. Una stima quantitativa del rischio per il benzoa pirene ha portato a stabilire un valore guida di 0,7 g/litro, corrispondente ad un eccesso di rischio di cancro di 10-5 associato ad una esposizione per tutta la vita. Benzeni clorurati 1,4-Diclorobenzene: IARC gruppo 2B. Cancerogenità sperimentale per rene e fegato su topi e ratti. Valore di linea guida stabilito in 0,3 mg/litro da una TDI di 107 mg/kg p.c (F.I. 1000–10% del totale della dieta attribuito all’acqua). Componenti organici vari Di(2-etilesil)ftalato (DEHP): IARC gruppo 2B. Studi di cancerogenesi orale a lungo termine hanno evidenziato l’insorgenza di carcinomi epatocellulari in ratti e topi. Non evidenza di genotossicità per cui è stata calcolata una TDI di 25 g/kg p.c. (F.I. di 100) da cui deriva un valore di linea guida di 8 g/litro allocando l’1% della TDI all’acqua potabile. Acrilammide: IARC gruppo 2B. Importante perchè utilizzata anche per potabilizzazione/coagulanti. Studi di cancerogenesi a lungo termine in ratti: tumori allo scroto, tiroide, surrene, mammari, uterini. Cancerogeno genotossico, da cui è stato stimato un valore di linea guida pari a 0,5 g/litro, associato ad un eccesso di rischio di cancro di 10-5 per il tempo di vita. Epicloridrina (ECH): IARC gruppo 2A. Importante perchè utilizzata anche per potabilizzazione/resine. Per ingestione induce sperimentalmente tumori nel tratto digerente alto. Genotossica, ma l’uso di un modello multistage non è stato considerato appropriato; la TDI è di 0,14 g/kg p.c. e porta ad un LOAEL di 2 mg/kg p.c. (F.I. 10000) e ad un valore provvisorio di linea guida di 0,4 g/litro per una quota del 10% assegnata all’acqua (comunque inferiore al valore di rilevabilità degli strumenti attuali). 3.3 Pesticidi È ben noto che i prodotti di degradazione dei pesticidi possono essere presenti nelle acque potabili e rappresentare un importante problema, ma la maggior parte di essi non è stato inserito nelle attuali linee guida perchè i dati sulla loro identità, 01/0 202 01/0 presenza e attività biologica sono purtroppo ampiamente inadeguati. La successiva tabella 2 è relativa ai composti principali, per i quali sono stati acquisiti dati certi. Contaminante ^ Cancerogenicità sperim. Genotossicità TDI o ADI o stima del rischio (F.I.) Valore di linea guida Clordano 2B fegato NO 0,2 g/litro sist. linf. cervello non specif. fegato sist. linf. (?) non specif. NO ADI 0,5 g/kg p.c. (100) TDI 10 g/kg p.c. (100) TDI 30 g/kg p.c. (100) ADI 0,01mg/kg p.c. (100) studi insufficienti inadeguati studi insufficienti inadeguati 10-5 per tempo di vita 0,4 g/litro (°) ADI 0.1 g/kg p.c. (200) 10-5 per tempo di vita TDI 5 g/kg p.c. (100) 0,03 g/litro Ac. 2,4 2B diclorofenossiacetico 2,4-DB 2B NO DDT e metaboliti 2B 1,2 Dibromoetano (EDB) 2A 1,2 Dibromo-3cloropropano 1,3 Dicloropropene 2B non specif. dubbia 2B SI Eptacloro/Eptacloro epossido Esaclorobenzene (HCB) Lindano (gruppo esaclorocicloesano) MPCA (*) 2B app. dig. fegato polmone vescica fegato SNC diversi organi fegato rene 2B 2B NO dubbia dubbia SI NO 0,03 mg/litro 0,09 mg/litro 1g/litro 0,001 mg/litro 0,02 mg/litro 1 g/litro 2 g/litro 2B fegato NO TDI 0,5 2 g/litro rene g/kg p.c. (300) Pentaclorofenolo 2B non dubbia 10-5 0,009 mg/litro (PCP) specif. per tempo di vita (^) classificazione IARC; (*) Acido 2-metil-4-clorofenossiacetico; (/) uso vietato in Italia; (°) valore provvisorio Tab. 2 - pesticidi Si noti che la tanto discussa atrazina (diserbante), non è presente in tabella 2 in quanto, con la revisione effettuata dallo IARC nel 1999, è stata declassata nel gruppo 3 di rischio, rispetto alla precedente valutazione del 1991 ove veniva classificata nel gruppo 2B.11 3.4 Disinfettanti e sottoprodotti della disinfezione La disinfezione dell’acqua potabile, qualora necessaria, è senza dubbio una delle fasi più critiche nella gestione del ciclo di produzione dell’acqua destinata al consumo umano. 203 La distruzione dei microrganismi patogeni è essenziale e comporta quasi invariabilmente l’uso di agenti reattivi chimici, come il cloro, che non solo sono biocidi molto efficaci, ma sono in grado di reagire con altri costituenti presenti nell’acqua per formare nuovi composti aventi effetti a lungo termine, potenzialmente pericolosi per la salute. L’OMS ha comunque stabilito che la qualità microbiologica deve sempre avere la precedenza e in nessun caso deve essere compromessa l’efficacia della disinfezione. L’importanza prevalente della qualità microbiologica richiede pertanto una certa flessibilità nella derivazione di valori di linea guida per le sostanze in esame: fortunatamente, ciò è possibile grazie al sostanziale ed ampio margine di sicurezza contenuto intrinsecamente in questi valori. In numerosi studi epidemiologici sono state riportate associazioni positive fra ingestione di acqua clorata e tassi di mortalità per cancro: il grado di evidenza per tale associazione viene però considerato inadeguato dallo IARC. I valori di linee guida riportati per i prodotti della disinfezione corrispondono pertanto ad un rischio cancerogeno in eccesso di 10-5 a seguito di esposizione per la durata della vita. Altro dato importante è che la formazione di sottoprodotti della disinfezione è direttamente proporzionale alla quantità delle sostanze organiche presenti nell’acqua al momento del trattamento (solitamente abbondanti nelle acque superficiali e scarse nelle maggior parte delle acque profonde di pozzo o di sorgente), per cui l’ottimizzazione dei pretrattamenti (sedimentazione, filtrazione) di per sé riduce già drasticamente il livello dei sottoprodotti della disinfezione che possono essere presenti nell’acqua erogata all’utenza, anche se proveniente da derivazioni di acque di superficie o da acque di falda di scarsa qualità.12 Fra i disinfettanti di uso più comune si ricordano le clorammine, il biossido di cloro e lo iodio, che non risultano classificati dallo IARC in alcun gruppo; gli ipocloriti, classificati nel gruppo 3 (non classificabili per loro cancerogenità per l’uomo in quanto l’evidenza della stessa è inadeguata nell’uomo e inadeguata o limitata negli animali da laboratorio); comunque, il valore di linea guida proposto è di 5 mg/litro: in Italia il vigente D. Lgs. n. 31 del 2/2/01, come modificato dal D. Lgs. n. 27 del 2/2/02 – Attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano – consiglia alla distribuzione, se impiegato, un valore di Cloro residuo attivo di 0,2 mg/l,13,14 proprio perché deve essere prioritariamente e costantemente garantita la qualità microbiologica dell’acqua ad uso potabile.15 Per i sottoprodotti della disinfezione, si valuti la seguente tabella 3 (composti come clorati, cloriti, la maggior parte dei clorofenoli, fra i trialometani: bromoformio e dibromoclorometano o non risultano classificati o sono stati classificati dallo IARC nel Gruppo 3, cioè non classificabili; tutti gli acidi cloroacetici – mono / bi / tri e tricloroacetaldeide – e i cloroacetoni risultano non classificati; analogamente dicasi per gli acetonitrili alogenati). 01/0 204 Contaminante sottoprodotto della disinfezione Bromati ^ Potenz. GenoTDI o ADI Valore di cancerotossio stima del linea guida genicità cità rischio (F.I.) 2B rene / SI 10-5 per 10 g/litro (*) mesotelio tempo di vita 2,4,6-Triclorofenolo 2B linfomi, dubbia 10-5 per 20 g/litro leucemie tempo di vita Formaldeide 2A stomaco NO TDI 150 0,9 mg/litro (1 studio) g/kg p.c. (100) Bromodiclorometano 2B rene / SI 10-5 per 0,06 mg/litro (BDCM) intestino tempo di vita Cloroformio 2B fegato / dubbia TDI 13 0,2 mg/litro rene g/kg p.c. (1000) (^) classificazione IARC (*) valore provvisorio; nel 1993 proposto il valore di 0,025 mg/l per una stima di 7 x 10-5 casi esposizione/vita Tab. 3 In conclusione, si offre un cenno al livello di linea guida proposto per la radioattività nell’acqua potabile; i dati disponibili indicano che il contributo dell’acqua potabile all’esposizione totale è in condizioni naturali molto piccolo (può aumentare però a seguito di una serie di attività umane), per cui il livello di riferimento raccomandato di dose efficace impegnata (cioè, una misura della dose efficace totale alla quale si è esposti per l’intero arco della vita, a seguito dell’assunzione di un radionuclide) è di 0,1 mSv per 1 anno di consumo di acqua potabile. Tale valore corrisponde a meno del 5% della dose efficace media attribuibile annualmente al fondo naturale di radiazioni. Per scopi pratici, le concentrazioni di attività raccomandate dalle recenti linee guida sono di 0,1 Bq/litro per l’attività totale e di 1 Bq/litro per l’attività totale; tali valori confermano quelli precedenti. Inoltre, l’uranio presenta un valore di linea guida di 0,015 mg/litro in rapporto alla sua intrinseca tossicità chimica nei confronti dell’apparato urinario. Bibliografia 1. Legge 5 gennaio 1994 n. 36. Disposizioni in materia di risorse idriche. Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 14 del 19.1.1994. 2. Gilli G, Scursatone E. Problemi igienico sanitari dell’acqua diretta al consumo umano. In: Gilli G. Igiene dell’ambiente e del territorio. Demografia Prevenzione Sanità pubblica. C. G. Edizioni Medico Scientifiche,Torino,1989;257310. 3. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality. Vol 1, Recommendations. 3rd edition. Geneva,2004. 4. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality. Vol 2, Health criteria and other supporting information. 2nd edition, Geneva,1996. 5. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality. Vol 3, Surveillance and control of community supplies. 2nd edition, Geneva,1997. 01/0 205 6. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality. Addendum to Vol 2, Health criteria and other supporting information. 2nd edition, Geneva,1998. 7. Linee guida per la qualità dell’acqua potabile, Raccomandazioni. 2a edizione. Ginevra, 1993. Versione italiana a cura di Funari E, Attias L, Bottoni P, et Al. Pitagora Editrice, Bologna,1996;32-9. 8. International Agency for Research on Cancer. IARC Monographs on the evaluation of carconogenic risk to humans. Vol. 1-93. Lyon, France: WHO/IARC,1972ff. 9. WHO (2003) Background documents for preparation of WHO Guidelines for drinking-water quality. WHO, Geneva,2003. 10. World Health Organization. Guidelines for drinking-water quality. Vol 1, Recommendations. 2nd edition, Geneva, 1993. 11. International Agency for Research on Cancer. IARC Monographs on the evaluation of carconogenic risk to humans. Vol. 73 Atrazine. Lyon, France: WHO/IARC,1999. 12. Funari F, Bastone A, Griffini O, et Al. Composti organo alogenati nelle acque potabili: aspetti sanitari, normativa e controllo. Parte terza. G. Pitagora Editrice, Bologna,1996. 13. Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 31. Attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano. Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 52 del 3.3.2001. 14. Decreto Legislativo 2 febbraio 2002, n. 27. Modifiche e integrazioni al Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n 31, recante attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 58 del 9.3.2002. 15. Regione Piemonte, Direzione Sanità Pubblica. Determinazione n. 75 del 26 Maggio 2005. Linee Guida per la sorveglianza e il controllo delle acque destinate al consumo umano – D. Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31 e s.m.i. 01/0 206 IL GASTROENTEROLOGO E LO SCREENING DEL CANCRO DEL COLON-RETTO Renzo Ferraris Direttore S.C. di Gastroenterologia, A.S.O. S. Croce e Carle - Cuneo Nei paesi cosiddetti “sviluppati” il cancro del colon-retto (CCR) è al terzo posto per incidenza tra le malattie neoplastiche e costituisce la seconda causa di morte dopo il tumore del polmone. Malgrado questi dati recenti, stime sembrano indicare che la mortalità per cancro del colon-retto sia diminuita e ciò è probabilmente legato al miglioramento delle tecniche diagnostiche ed alla strategia di prevenzione (specie secondaria) che sempre più diffusamente stanno entrando nella politica sanitaria di svariati Paesi. Il rischio di sviluppare il CCR è stimato intorno al 2.5-5% nella popolazione generale ma aumenta in relazione a fattori e condizioni cliniche ben definite: ad esempio è di 2-3 volte maggiore nei soggetti con un famigliare di 1° grado affetto da adenomi o CCR. Eziopatogenesi È universalmente accettato che la maggior parte dei CCR, se non tutti, originano da adenomi, ma oggigiorno la nota sequenza “adenoma-carcinoma” è meglio definita nella sua progressione dalla conoscenza delle principali alterazioni genetiche che la determinano. Il processo di carcinogenesi può essere suddiviso in 2 stadi: 1) la formazione dell’adenoma chiamata tumor initiation; 2) la progressione da adenoma a carcinoma chiamata tumor promotion. Per quanto riguarda gli adenomi sporadici le due fasi sarebbero legate a mutazioni di geni oncogeni (K-ras) e geni soppressori (APC e p53) e sarebbero conseguenza di mutazioni acquisite di questi geni. Il primo passo sarebbe la mutazione APC (considerato il guardiano della replicazione cellulare) che sarebbe responsabile della perdita di controllo della replicazione cellulare. Il secondo passo sarebbe legato alla mutazione del gene K-ras, responsabile del passaggio da piccolo adenoma a “grande” adenoma displasico. L’ultimo passo, da adenoma displasico a carcinoma, sarebbe legato a mutazioni del gene soppressore p53. Per quanto riguarda invece la FAP (poliposi adenomatosa famigliare) sarebbe accelerata la fase di tumor initiation e ciò spiegherebbe la presenza di numerosi polipi, mentre per il cancro colo-rettale ereditario non poliposico (HNPCC) sarebbe accelerata la fase di tumor promotion e questa sarebbe secondaria a mutazioni di uno dei geni responsabili del sistema di riparazione del DNA, cioè a dire del Mismatch Repair System, mutazioni che prendono il nome di Microsatellite Instability e che sono osservabili nel 85% dei cancri HNPCC comparati al 15% dei cancri sporadici.1,2 01/0 207 Sino ad oggi con l’endoscopia tradizionale è stato possibile visualizzare solamente la superficie mucosa del colon, non potendo ottenere informazioni sulle caratteristiche istologiche dello strato mucoso e della sottomucosa. Con la recente introduzione di nuove tecnologie che sfruttano l’alta risoluzione, la magnificazione e l’interazione tra alcune sostanze chimiche ed i tessuti è possibile non solo effettuare prelievi bioptici più mirati ma addirittura correlare l’aspetto macroscopico della superficie con l’istologia della lesione. Usando infatti l’endoscopia ad alta risoluzione e quella a magnificazione dopo aver colorato la mucosa con indaco-carminio Kudo e Coll. hanno proposto una classificazione della morfologia della mucosa del colon detta pit pattern che corrisponderebbe alle caratteristiche istologiche della lesione. La classificazione prevede 5 modelli di morfologia: ai modelli 1 e 2 corrisponderebbero lesioni iperplastiche o infiammatorie, ai modelli 3, 4 e 5 corrisponderebbero lesioni adenomatose.3 Lo sforzo di individuare fasi sempre più precoci di un processo carcinogenetico è motivato soprattutto dal fatto che in campo oncologico più un intervento si applica a fasi realmente iniziali del meccanismo patogenetico, maggiori sono le probabilità di interrompere la progressione verso fasi avanzate del processo. Iter diagnostico La prima indagine da effettuare di fronte ad un paziente che si presenta a noi con ematochezia, alterazioni recenti dell’alvo, calo ponderale, è l’esame endoscopico. La colonscopia permette infatti di visualizzare la lesione, di valutare, a meno di stenosi insuperabili, l’estensione della stessa ed eventuali lesioni associate (polipi, diverticoli), di escludere tumori sincroni e soprattutto di identificare l’istologia a mezzo del prelievo bioptico. Una volta individuata la lesione è utile una corretta stadiazione del CCR al fine di programmare un corretto approccio terapeutico. La stadiazione è ottenuta, oltre che con l’esame endoscopico, con l’ecografia transanale che rappresenta il gold standard nella stadiazione locale dei tumori del retto: questa permette di visualizzare tutti gli strati della parete intestinale e di verificarne il livello di infiltrazione da parte della lesione. Purtroppo per le altre localizzazioni non abbiamo le stesse informazioni che ci offre l’endosonografia: sia la TC che la RNM hanno dei limiti, anche se la RNM sembra essere superiore alla TC in quanto consente una miglior rappresentazione tridimensionale della lesione. Nei confronti delle metastasi linfonodali l’accuratezza diagnostica è del 50%, indipendentemente dalla metodica usata; nell’identificare poi eventuali metastasi epatiche l’ecografia è sufficientemente accurata. Le classificazioni TNM e quella di Dukes dovrebbero rappresentare una corretta stadiazione preoperatoria ma, essendo difficilmente realizzabili proprio per i limiti delle metodiche diagnostiche a nostra disposizione, definiscono piuttosto una stadiazione post-operatoria. 01/0 208 Terapia La terapia del CCR è multidisciplinare e necessita pertanto di una stretta collaborazione tra chirurgo, oncologo e radioterapista. La chirurgia mantiene comunque un ruolo centrale e viene, a seconda dei casi associata a terapie complementari (radio e/o chemioterapia) che possono essere somministrate sia in fase preoperatoria (neoadiuvante) che post-operatoria (adiuvante). La selezione dei pazienti da sottoporre ad intervento chirurgico radicale associato ad evenutali terapie complementari (neoadiuvanti) si basa sulla stadiazione clinica; per quanto riguarda invece le terapie adiuvanti (post-chirurgiche) queste trovano posto sia nel paziente sottoposto ad intervento chirurgico radicale, al fine di ridurre il rischio di recidiva, sia come terapia palliativa nel paziente inoperabile o in quello con malattia residua dopo l’intervento chirurgico. In casi selezionati, principalmente nelle localizzazioni rettali, è inoltre possibile eseguire una terapia neoadiuvante al fine di ridurre le dimensioni della lesione tumorale.4,5 Ci sono poi terapie in fase di studio, che sicuramente rivoluzioneranno l’approccio terapeutico: si tratta delle terapie geniche che si fondano su: 1) introduzione di un tumor suppressor gene all’interno delle cellule tumorali per rallentarne o arrestarne la crescita; 2) introduzione di geni veicolati da virus in grado di trascrivere enzimi capaci di esercitare un’azione citotossioca mirata e selettiva nei confronti delle cellule neoplastiche. Follow-up Sicuramente necessario; il problema è stabilire quale tipo di follow-up abbia senso: intensivo o meno? E quali esami sono effettivamente indispensabili? Purtroppo esistono a tutt’oggi pochi studi randomizzati, prospettici, controllati, che possano fornire linee-guida universalmente accettate per ciò che concerne il follow-up dopo resezione curative del cancro del colon. I tre principali obiettivi della sorveglianza endoscopica sono: 1) l’individuazione di adenomi e cancri sincroni e neoplasie metacrone; 2) l’individuazione di metastasi;6 3) l’individuazione di recidive curabili. Per quanto riguarda il primo obiettivo tutti sono d’accordo sul fatto che la sorveglianza colonscopica è necessaria per individuare adenomi, cancri sincroni e cancri metacroni, in quanto è dimostrato che i pazienti con tumore colo-rettale presentano un rischio aumentato di sviluppare le suddette lesioni: c’è quindi unanime consenso nell’effettuare una colonscopia entro sei mesi dopo la resezione chirurgica, se questa non è stata possibile pre-operatoriamente vuoi per la scarsa toeletta, vuoi per l’ostruzione del tumore; in caso contrario la colonscopia potrà essere effettuata dopo un anno e se negativa le successive indagini potranno essere eseguite ogni 3-5 anni a meno che non si tratti di pazienti affetti da HNPCC, nel qual caso la colonscopia va eseguita ogni 1-2 anni. Anche sul secondo obiettivo c’è concordanza: dal momento che le metastasi epatiche sono percentualmente le più alte e poiché il CEA si è dimostrato molto 01/0 209 sensibile in presenza di metastasi epatiche, è opinione comune che sia utile monitorare questo antigene con una certa frequenza anche perché, con l’avvento di tecniche chirurgiche sempre più raffinate, è possibile oggi reintervenire a livello epatico con qualche probabilità di successo. Sul terzo obiettivo c’è minor consenso: tutti gli studi, la maggior parte retrospettivi, concordano sul fatto che le recidive sull’anastomosi sono rare e sul fatto che le recidive anastomotiche sono più frequenti nei tumori del retto (20% circa) rispetto ai tumori del colon (6% circa); non c’è accordo invece sul follow-up intensivo allo scopo di individuare il più precocemente possibile eventuali recidive per una ipotetica ri-resezione, anche perché solo il 24-25% dei pazienti con recidiva anastomotica è eleggibile per una resezione.7 Per fare un po’ di chiarezza sulla necessità o meno di un follow-up intensivo Kraemer e coll. (Department of Colorectal Surgery, Singapore General Hospital) hanno voluto analizzare tutti i pazienti operati con intento curativo per carcinoma colorettale, dall’aprile 1989 al marzo 1999, allo scopo di individuare fattori prognostici avversi tali da poter individualizzare il follow-up invece di standardizzarlo per tutti i pazienti senza tener conto del costo-beneficio. Da questo studio emerge che i fattori prognostici più avversi sono: 1) l’invasione dei tessuti circostanti, per qualsiasi localizzazione; 2) la fissazione del tumore ai tessuti circostanti, solo per i tumori del retto; 3) la poca differenziazione. Al contrario, fattori non significativi sarebbero l’età (ad eccezione dei soggetti al di sotto dei 40 anni che avrebbero un più alto rischio di coinvolgimento linfonodale) ed il sesso.8-10 In base quindi al rischio di recidive fondato sui criteri sopraesposti si potrebbe applicare un follow-up più o meno intensivo. Per concludere, al di là dei molti punti interrogativi ancora presenti, allo stato attuale delle conoscenze, le raccomandazioni sulla sorveglianza potrebbero essere quelle proposte dall’American Society of Clinical Oncology11-13 allo scopo di determinare una strategia comune di follow-up basata sul costo-beneficio ed evidence-based: 1) CEA ogni 3 mesi in pazienti stage II e III, sino a due anni; 2) esame fisico ogni 3-6 mesi per i primi tre anni; quindi annualmente; 3) colonscopia dopo un anno, quindi ogni tre anni; 4) TC addome e RX torace non raccomandate a meno che il soggetto non sia sintomatico oppure ci siano innalzamenti del CEA. Bibliografia 1. Percesepe A, Borghi F, Menigatti M, et Al. Molecular screening for hereditary non polyposis colorectal cancer: a prospective population. Based study. J Clin Oncol 2001;19:3944-50. 2. Ponz de Leon M, Percesepe A. Pathogenesis of colorectal cancer. DIG Liver Dis 2000;32:807-21. 3. Fleischer DE. Chromoendoscopy and magnification endoscopy in the colon. Gastrointes Endosc 1999;49:S45-9. 01/0 210 4. Swedish Rectal Cancer Trial. A improved survival with preoperative radiotherapy in respectable rectal cancer. N Engl J Med 1977;336:980-7. 5. Wils J, O’Dwyer P, Labianca R. Adjuvant treatment of colorectal cancer at the turn of century. European and US perspectives. Ann Oncol 2001;12(1):13-22. 6. Fong Y, Fortner J, Sun RL, er Al. Clinical score for predicting recurrence after the epatic resection for metastatic colorectal cancer: analysis of 1001 consecutive cases. Ann Surg 1999;230:309-18. 7. Eu KW, Seow-Choen F, Ho JM, et Al. Local recurrence following rectal resection for cancer. JR Coll Surg Edimb 1998;43:393-6. 8. Kraemer et Al. Stratifying factors for follow-up: a comparison of recurrent and non recurrent colorectal cancer. Dis colon rectum 2001;44(6):815-21. 9. Halvorsen TB, Seim E. Tumor site: a prognostic factor in colorectal cancer? Scand J Gastroenterol 1987;22:124-8. 10. Buie WD, Rothenberger DA. Surveillance after curative resection of a colorectal cancer: individualizing follow-up. Gastrintestinal Endosc Clin North Am 1993;3:691-713. 11. Byers T, Levin B, Rothenberger D, et Al. American Cancer Society guidelines for screening and surveillance for early detection of colorectal polyps and cancer: update 1997. CA Cancer J Clin 1997;47:154-160. 12. Winawer S, Flecher R, Rex D, et Al. Colorectal cancer screening and surveillance: clinical guidelines and rationale-update based on new evidence. Gastroenterology 2003;124:544-60. 13. Clinical practice guidelines for the use of tumor markers in breast and colorectal cancer. Adopted on May 17,1996 by the American Society of Clinical Oncology. J Clin Oncol.1996;14:2843-77. Riferimenti iconografici (vedi sezione a fine volume) 01/0 211 L’UNITÀ DI VALUTAZIONE E ORGANIZZAZIONE DELLO SCREENING: ATTIVITÀ Anna Maria Fossati Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening, Dipartimento n. 7 Le Unità per la Valutazione e l’Organizzazione dello Screening (U.V.O.S) sono state istituite dalla D.G.R. 41–22841, Allegato A, paragrafo 9 (All. 4) nell’ambito del Progetto regionale di prevenzione secondaria dei tumori, denominato Prevenzione Serena. Svolgono attività organizzativa e valutativa sui diversi momenti (dépistage, approfondimento diagnostico e trattamento) dell’attività sul territorio corrispondente al Dipartimento Oncologico individuato a livello regionale. Rispetto alla nostra realtà, il Dipartimento di Screening Oncologico n. 7 raccoglie le Aziende Sanitarie Locali nn. 15 (Cuneo), 16 (Mondovì-Ceva), 17 (SaviglianoFossano-Saluzzo) e 18 (Alba-Bra), nonché l’Azienda Sanitaria Ospedaliera S. Croce e Carle di Cuneo. Un primo aspetto dell’attività dell’Unità per la Valutazione e l’Organizzazione dello Screening consiste nella gestione e nell’aggiornamento continuo della coorte della popolazione eleggibile allo screening; tecnicamente, ciò avviene attraverso il ricevimento trimestrale di liste anagrafiche aggiornate da parte dei Centri Elaborazione Dati (CED) delle Aziende territoriali, l’intervento di individuazione delle fasce d’età interessate, degli assistiti residenti, dei rispettivi medici di medicina generale, con la creazione di un data base aggiornato. Per questo lavoro il Dipartimento n. 7 si avvale della s.s. Flussi Informativi Aziendali dell’A.S.L. 15. Sul piano organizzativo, l’Unità ha compiti di gestione dei rapporti con i medici di base per quanto riguarda la loro adesione al programma di screening, di invio annuale degli elenchi per la selezione delle loro assistite da invitare o da escludere dal programma, nonché di catch up delle non aderenti, di gestione delle esclusioni definitive e temporanee, di gestione degli inviti e dei solleciti alle assistite non presentatesi ai primi livelli dello screening, di gestione delle agende delle unità di prelievo citologico e delle unità di mammografia, nonché delle agende delle endoscopie per lo screening dei tumori del grosso intestino e dell’accettazione dei fecal occult blood test (FOBT) per l’avvio al laboratorio. Inoltre, garantisce il call center per le richieste di adesioni spontanee, di spostamento appuntamenti e per l’assistenza continua ai centri periferici. L’U.V.O.S. si occupa dell’invio dei risultati dei test di primo livello alle assistite e della gestione dei solleciti alle assistite invitate ad accertamenti di secondo livello e non presentatesi. Di norma tali solleciti avvengono tramite contatto telefonico e, se tale contatto non è possibile, attraverso sollecito scritto. L’Unità di Valutazione e Organizzazione dello Screening ha inoltre compito di gestione dei follow up dei terzi livelli mammografico e citologico. Va poi ricordato che essa funge da segreteria del Comitato Tecnico Dipartimentale. 01/0 212 Circa la funzione valutativa, l’Unità opera il monitoraggio degli indicatori di valutazione quali l’invio dei dati mensili ed annuali di attività, dei dati sull’andamento di attività e di quelli di avanzamento ed obblighi di attività. I dati di attività sono trasmessi ai responsabili dei centri ed alle Direzioni Sanitarie. Contestualmente viene effettuato il monitoraggio dell’intervallo tra data di esecuzione degli esami e data di refertazione, al fine di garantire le tempistiche previste nell’ambito dell’assicurazione di qualità. È fondamentale l’attività dell’U.V.O.S. rispetto alla raccolta dei dati riguardanti la scheda computerizzata sulla qualità del trattamento del carcinoma mammario (S.Q.T.M.), la loro elaborazione ed il successivo invio al Centro per la Prevenzione Oncologica della Regione Piemonte (C.P.O.-Piemonte); essi vengono ottenuti sulla base dell’acquisizione di copia delle cartelle cliniche delle pazienti screen-detected e del continuo flusso di informazioni tra l’Unità e le chirurgie di riferimento o quelle extradipartimentali regionali e nazionali. Per consentire tale lavoro di analisi scientifica è prevista per D.G.R. l’acquisizione e valutazione dai centri per il trattamento (Chirurgie, Oncologie, Radioterapie, Anatomie Patologiche) di copia della cartella clinica e di tutti i referti istologici, entro due mesi dal trattamento o dalla biopsia. Analogamente, è prevista l’acquisizione e la valutazione dai centri di secondo livello colposcopico, delle schede di colposcopia e delle cartelle dell’eventuale trattamento. L’U.V.O.S. provvede alla raccolta dei cancri intervallo. Ai fini della costruzione degli indicatori di qualità del Gruppo Italiano per lo Screening Mammografico (GISMa), del Gruppo Italiano per lo Screening Citologico (GISCi) e del Gruppo Italiano per lo Screening Colorettale (GISCoR), sono previste le seguenti attività: a. acquisizione e valutazione dai centri di riferimento per il trattamento del cancro della mammella degli indicatori di qualità del trattamento, per l’anno precedente (tramite S.Q.T.M.) e di copia dei dati su supporto magnetico, entro il 28 febbraio, b. acquisizione e valutazione dai centri di riferimento per il trattamento del cancro della cervice uterina degli indicatori di qualità del trattamento, per l’anno precedente e di copia dei dati su supporto magnetico, entro il 28 febbraio, c. elaborazione ed invio ad aprile e settembre dei dati annuali al GISMa, d. elaborazione ed invio ad aprile e settembre dei dati annuali al GISCi, e. analoga attività rispetto al GISCoR. L’Unità di Valutazione e Organizzazione dello Screening svolge, infine, un fondamentale ruolo nell’ambito della diffusione dell’immagine e della cultura del Programma, attraverso l’impiego del materiale ad hoc allestito dalla Regione Piemonte ed attraverso iniziative, concordate con il Coordinatore del Dipartimento Oncologico, che possano dare visibilità ai risultati del lavoro prodotto da parte di tutti gli operatori coinvolti a diverso titolo in Prevenzione Serena. Bibliografia 01/0 213 1. 2. 3. D.G.R. n. 41-22841 (27.10.1997). Approvazione dei criteri, delle procedure di finanziamento, degli standard qualitativi e dei protocolli di screening diagnostico-terapeutici e dello schema tipo di convenzione interaziendale per l’attivazione dello screening dei tumori della mammella e del collo dell’utero. Determinazione del Commissario n. 664/98 (07.08.1998). Convenzione interaziendale per lo screening dei tumori della mammella e del collo dell’utero tra le A.S.L. n. 15,16,17,18 e la A.O. S. Croce e Carle, Cuneo. Determinazione del Direttore Generale n. 46/06 (16.02.2006). Convenzione interaziendale per lo screening dei tumori della mammella e del collo dell’utero tra le aziende sanitarie regionali A.S.L. 15, 16, 17, 18 e l’Azienda Sanitaria Ospedaliera S. Croce e Carle – anno 2006. 01/0 214 IL RUOLO DEL CITOLOGO NELLA PREVENZIONE DEI TUMORI DELLA CERVICE UTERINA Rosa Maria Lantermo, Piero Olivieri S.C. Anatomia Patologica, A.S.O. S. Croce e Carle - Cuneo. La citologia è lo studio della morfologia e della funzione cellulare; essa non prende in considerazione l’architettura del tessuto. L’uso sistematico e preventivo della citologia della cervice uterina (o portio vaginalis dell’utero) mediante raccolta di materiale esfoliato spontaneamente e prelevato dalla vagina e dal collo dell’utero, strisciato su vetrini e colorato secondo Papanicolaou, consente di riconoscere, studiare e seguire le prime fasi di sviluppo e le successive fasi evolutive del carcinoma della portio. La diagnosi di neoplasia intraepiteliale in genere viene posta per la prima volta con l’esame citologico.1 La citologia cervico-vaginale è sensibile, specifica e riproducibile. La sensibilità esprime la capacità del test citologico di diagnosticare i casi positivi per neoplasia della cervice e matematicamente è data dal rapporto: Veri Positivi (VP)/[Veri Positivi + Falsi Negativi (FN)]. La specificità definisce la proporzione fra i casi citologicamente negativi e i pazienti senza tumore della cervice ed è espressa dal rapporto: Veri Negativi(VN)/[Veri Negativi + Falsi Positivi (FP)]. La riproducibilità della diagnosi dipende dalla formazione del citologo, dalla sua esperienza, dalla partecipazione a programmi di controllo di qualità e dalla terminologia usata, che deve essere il più possibile uniforme. Il Sistema Bethesda (TBS), nuovo sistema di classificazione per la lettura del Paptest, proposto nel 19883 e perfezionato nel 2001,4 permette di raggiungere questi obiettivi. Elenchiamo in seguito i suoi punti salienti: Valutazione dell’adeguatezza: l’inserimento nella refertazione citologica dell’adeguatezza del preparato viene da molti considerato uno dei contributi più importanti della garanzia di qualità del TBS. Il preparato è adeguato quando presenta i seguenti requisiti: paziente e preparato identificati, informazioni cliniche pertinenti, numero adeguato di cellule epiteliali squamose (più del 10% dello striscio), adeguata componente cervicale/zona di trasformazione in pazienti in età fertile e non isterectomizzate (presenza di almeno 10 cellule cilindriche o metaplastiche). È soddisfacente per la valutazione ma con limitazioni nei seguenti casi: assenza di informazioni cliniche, presenza di sangue e/o infiammazione oscurante, effetti di essiccamento prima della fissazione, aree spesse, materiale estraneo, fissazione insufficiente nel 50-75% del materiale cellulare, assenza della componente endocervicale in donne in premenopausa. È inadeguato quando presenta una delle seguenti caratteristiche: impossibilità di identificare il paziente, vetrino rotto, materiale scarso, presenza di sangue, infiammazione, cattiva fissazione, aree spesse in quantità tale da impedire l’interpretazione nel 75% o più del preparato. Lo striscio inadeguato è da considerarsi non eseguito e va ripetuto. L’errore di prelievo è la principale causa di 01/0 215 falsi negativi. Il tasso di Pap-test inadeguati non deve superare il 5% (secondo le linee guida europee). Interpretazione del risultato. “Negativo per lesioni intraepiteliali preneoplastiche e neoplastiche” comprende: i casi completamente negativi; i casi con modificazioni cellulari benigne (MCR) che possono riguardare l’epitelio squamoso, metaplastico o cilindrico e precisamente: infiammazione (incluso il processo riparativo tipico), atrofia, presenza di IUD, radioterapia, presenza di endometrio tipico in donne di età <= 40 anni; i casi con presenza di infezioni da microrganismi come: Trichomonas vaginalis, miceti morfologicamente compatibili con Candida, modificazioni della flora suggestivi di “vaginosi batterica”, batteri morfologicamente compatibili con Actinomiceti, modificazioni cellulari compatibili con Herpes simplex virus. La Gardnerella non è più classificata come tale ma rientra nella vaginosi batterica. Anormalita’ di cellule epiteliali squamose. ASC (cellule squamose atipiche) definisce anomalie più importanti di quelle di un processo reattivo ma non sufficienti per una diagnosi definitiva di lesione squamosa intraepiteliale; possono indicare un processo reattivo ancora benigno o una lesione potenzialmente più severa, non chiaramente classificabile. L’interpretazione richiede tre aspetti essenziali: differenziazione squamosa, aumentato rapporto Nucleo/Citoplasma, minime irregolarità nucleari. Parliamo di ASC-US nel caso una lesione sia di basso grado che di grado indeterminato, di ASC-H quando si evidenziano sporadiche cellule con atipie tali da far pensare ad una lesione di alto grado ma o la scarsità del materiale o le caratteristiche del prelievo non consentono una chiara definizione. La percentuale di ASC-US non deve superare il 5% delle diagnosi citologiche del laboratorio, quella di ASC-H deve rappresentare il 5-15% delle ASC. La lesione squamosa intraepiteliale comprende lo spettro di lesioni non invasive dell’epitelio cervicale; quelle di basso grado (LSIL) con modificazioni cellulari correlate all’effetto citopatico da HPV (coilocitosi) e displasia lieve o neoplasia cervicale intraepiteliale 1 (CIN 1) presentano modificazioni citologiche in elementi con citoplasma “maturo” o di tipo superficiale; le cellule sono ampie con citoplasma abbondante, il rapporto N/C è lievemente aumentato, si osservano binucleazioni, lieve ipercromasia nucleare; la citologia dell’infezione da HPV è caratterizzata da cellule epiteliali di tipo superficiale che hanno nucleo singolo o doppio, ipercromico, circondato da un alone vuoto perinucleare. Contemporaneamente, sono presenti piccole cellule cheratinizzate con nucleo ipercromico, dette discheratociti. La lesione squamosa di alto grado (HSIL) comprende la displasia moderata o neoplasia cervicale intraepiteliale 2 (CIN II) e la displasia grave/carcinoma in situ o CIN III/CIS. Le alterazioni citologiche sono a carico di cellule più piccole e meno “mature” rispetto a quelle della lesione di basso grado, le cellule si presentano raramente isolate, più spesso riunite in lamine, è presente ipercromasia nucleare accompagnata a variazioni di dimensioni e forma del nucleo, il rapporto N/C è molto elevato anche se la dimensione reale dei nuclei può essere inferiore ai nuclei delle lesioni di basso grado, il contorno nucleare è irregolare. Carcinoma squamo cellulare: il TBS non suddivide questa neoplasia maligna invasiva; tuttavia è utile trattare separatamente il Ca squamoso non cheratinizzante nel quale le cellule si presentano isolate o in aggregati simil-sinciziali, con nuclei 01/0 216 atipici con cromatina irregolare e macronucleoli ed è frequente l’osservazione di nuclei nudi per lisi dei citoplasmi; si osservano fenomeni di cannibalismo (cellule maligne che fagocitano frammenti di cellule maligne degenerate) e mitosi atipiche; il fondo è rappresentato da detriti necrotici, sangue lisato e fibrina. Nella variante cheratinizzante le cellule sono prevalentemente isolate e pleomorfiche (a fibra, a girino, a cometa); numerose le cellule con citoplasma cheratinizzato, intensamente orangiofilo,; i nucleoli sono meno frequenti ed il fondo a volte è pulito. Anomalie delle cellule epiteliali ghiandolari. Vengono definite AGC cellule con differenziazione endocervicale o endometriale o non chiaramente definite con atipie nucleari più marcate rispetto ad un processo reattivo o riparativo. La categoria comprende un ampio spettro di alterazioni morfologiche più marcate di quelle reattive, ma insufficienti per una diagnosi di adenocarcinoma invasivo. In questa categoria rientrano lesioni che vanno da quelle benigne (reattive) all’adenocarcinoma in situ (AIS). Le anomalie di tipo reattivo sono più lievi: lieve la variazione di forma e dimensione nucleare, lieve l’ipercromasia, spesso sono presenti nucleoli, il citoplasma è abbondante con membrana cellulare ben visibile. La diagnosi differenziale si pone con modificazione cellulari da flogosi o da IUD. Le anomalie verosimilmente di tipo neoplastico sono più marcate: disposizione in lembi, a nastro, a rosetta, a papilla con sovrapposizione nucleare, aumenta il rapporto N/C , i nuclei sono ingranditi, pleomorfi, spesso allungati, ipercromici; si osservano micronucleoli, mitosi; il citoplasma è scarso e la membrana cellulare poco visibile. La diagnosi di AGC non deve superare lo 0,3/0,5% di tutte le diagnosi del laboratorio. Va ricordato che la citologia cervicale è un test di screening per le lesioni squamose e la sensibilità per le lesioni ghiandolari è limitata sia da problemi di campionamento che d’interpretazione. Anomalie di incerto significato in cellule endometriali: le cellule si presentano in piccoli gruppi formati da 5-10 elementi per gruppo, i nuclei sono lievemente ingranditi rispetto alle cellule endometriali normali, si può osservare ipercromasia, possono essere presenti piccoli nucleoli, lo scarso citoplasma è talvolta vacuolato, i bordi cellulari sono maldefiniti. Molto importanti le notizie cliniche: presenza di polipo endometriale, di endometrite cronica, di IUD. Bibliografia 1. 2. 3. 4. Trattato Italiano di Medicina di Laboratorio. Volume VIII: Citopatologia diagnostica (capitoli 16/20). GISCi. Gruppo Italiano Screening del Cervicocarcinoma. Raccomandazioni per il controllo di qualità in citologia cervico-vaginale. Supplemento a Epid Prev 2004;28(1). Kurman RJ, Solomon D. Il “Sistema Bethesda” per la refertazione delle diagnosi citologiche cervico-vaginali. Edizione italiana a cura del Prof. Ezio Baraggino. Solomon D, Nayar R. Il Sistema Bethesda per refertare la citologia cervicale. Seconda edizione. CIC Edizioni Internazionali. 01/0 217 I RISCHI AMBIENTALI PER LA MALATTIA NEOPLASTICA Angelo Pellegrino,* Ivo Riccardi** *Direttore Servizio Igiene e Sanità Pubblica, A.S.L. 15 – Cuneo **Fisico, Azienda Regionale per la Protezione Ambientale, Cuneo I rischi ambientali sono sempre più consistentemente una minaccia per la salute dell’uomo. Il progressivo degrado dell’ecosistema sta comportando rischi di danno per i cittadini in tutto il mondo. Lo stesso progresso, fonte di benessere per le nuove generazioni, è diventato un fattore condizionante non solo dello sviluppo sociale ed economico di un territorio, ma anche causa di potenziali malattie nella popolazione stessa. Per questa ragione diventa prioritario per gli Operatori di Sanità Pubblica identificare e controllare i vari rischi d’origine ambientale, in quanto l’ecosistema si correla strettamente a vari aspetti della salute umana, inclusa la qualità della vita, come conseguenza dell’interazione con fattori fisici, chimici, biologici, sociali e psico-sociali. Obiettivo di questo capitolo non è quello di entrare nel merito delle definizioni di rischio, esposizione, dose, valutazione dose-risposta, per le quali sarà sufficiente puntualizzare che la valutazione del rischio rimane il processo fondamentale per la stima dell’impatto potenziale di un rischio chimico, fisico, microbiologico o psicosociale su una popolazione umana o un sistema ecologico, sotto una serie specifica di condizioni e per un periodo di tempo determinato. Qualora vengano identificate significative relazioni dose-risposta con un eccesso di casi di patologia, sarà necessario procedere alla quantificazione del rischio. Non sempre l’approccio basato sulle evidenze sarà percorribile in quanto esistono situazioni in cui le informazioni sono lacunose o contraddittorie. In tali circostanze la Sanità Pubblica e le Autorità dovrebbero seguire un approccio precauzionale, che riconosca l’esistenza dell’incertezza o dell’ignoranza; il dubbio non dovrà essere utilizzato come motivo per rimandare, comunque, l’applicazione di misure preventive. D’altra parte nell’ambiente generale è presente un gran numero di agenti chimici, fisici e biologici ad azione patogena. Alcuni di questi agenti hanno una attività cancerogena, ovvero sono in grado di modificare in modo irreversibile una cellula “normale”, trasformandola in cellula “tumorale”. E l’azione di queste sostanze dipende, oltre che dalle loro caratteristiche intrinseche, dal livello di esposizione alla sostanza dei singoli individui. L’esposizione è difficile da misurare: stabilire chi è esposto e a quale livello richiede misure individuali e continue che nella pratica sono difficili da effettuare. Il livello di esposizione è condizionato da tre fattori principali: • la vicinanza (ingestione, inalazione, contatto, ecc.) dell’individuo con la fonte di un agente che provoca la malattia, in modo che avvenga un’effettiva trasmissione dell’agente o degli effetti negativi da esso prodotti; • la quantità di un fattore al quale un singolo individuo o un gruppo di persone è stato esposto; • la durata dell’esposizione al fattore stesso. Prima di entrare nel merito di alcuni fattori ambientali che aumentano il rischio di ammalarsi di tumore - sui quali un Operatore di Salute Pubblica può e deve intervenire- è opportuno sinteticamente richiamare le quattro regole d’oro 01/0 218 che il recente volume “Nuove evidenze nell’evoluzione della mortalità per tumori in Italia”, a cura dell’ISTAT e dell’Istituto Superiore di Sanità, individua come azioni per prevenire i tumori ancora in crescita: 1. alimentazione basata su prodotti naturali, con largo apporto di vegetali freschi, frutta, pesce, cereali, legumi e relativamente povera di grassi animali; 2. prevenzione dell’abitudine al fumo, particolarmente per le donna ed i giovani, ovvero le fasce di popolazione che meno hanno recepito i messaggi di rischio per la salute che sembrano aver funzionato per gli uomini; 3. induzione di cultura di rapporti sessuali protetti, per la prevenzione di infezioni e malattie sessuali, epatiti e conseguente aumentato rischio di epatocarcinoma, di infezioni da HIV, con aumentato rischio di linfomi non Hodgkin; 4. protezione dall’esposizione ai raggi solari e ultravioletti, uso di creme solari con filtri, cautela dell’esposizione per i bambini atta ad evitare scottature ed ustioni, come fattori che aumentano il rischio di melanoma della pelle. L’esposizione ai raggi solari e ultravioletti L’esposizione prolungata ai raggi ultravioletti, soprattutto per i bambini, ha già da tempo dimostrato come esista una relazione tra questo agente e i tumori della pelle. E’ noto che lo spettro solare è costituito dai raggi ultravioletti (3%), dalla luce visibile (37%) e dai raggi infrarossi (60%); gli ultravioletti (Uv), a seconda della lunghezza d’onda, si suddividono in Uv-A, Uv-B e Uv-C. Gli Uv-A vanno in più profondità, penetrano nel derma colpendo e distruggendo il collagene, l’elastina, i piccoli vasi: sono quindi i principali responsabili dell’invecchiamento della pelle che infatti è tipico delle persone che si espongono molto al sole e che abusano delle lampade abbronzanti: marinai, contadini, mode estetiche. Gli Uv-B, invece, non vanno oltre l’epidermide, lo strato più superficiale della cute, ma qui entrano nel nucleo delle cellule dove possono provocare mutazioni del DNA e indurre tumori cutanei. Infine gli Uv-C sono i più energetici dello spettro, quindi molto pericolosi, tuttavia di regola non raggiungono la Terra perché trattenuti dalla fascia di ozono. L’esposizione ai raggi ultravioletti, la pelle chiara e con molti nei, una storia famigliare di melanoma o di tumori cutanei, ridotte difese immunitarie, forti scottature solari da giovani sono fattori di rischio accertati per i melanomi della pelle. In Italia l’incidenza dei melanomi continua crescere, come pure la mortalità anche se, grazie ai miglioramenti diagnostici e terapeutici, si è osservato di recente un rallentamento. Livelli più bassi si osservano, infatti, nelle regioni del sud a causa di una minore suscettibilità della pelle, sebbene nel Meridione la velocità di crescita sia più alta. La mortalità per le donne è circa il 20% più bassa che per gli uomini. Sarà bene tenere conto di alcune semplici nozioni per la prevenzione del rischio: i raggi ultravioletti attraversano le nuvole; sotto l’ombrellone di riceve più del 50% di tutti i raggi UV; il 95% degli UV penetra nell’acqua; il 50% degli UV-B arriva sulla terra tra le 11.00 e le 16.00, per cui, evitando questa fascia oraria si risparmia una buona dose di fotodanneggiamento; 01/0 219 la radiazione solare raggiunge la retina; quindi, gli occhiali con lenti scure svolgono un ruolo importante; i bambini, soprattutto prima dei tre anni, non andrebbero esposti al sole senza indumenti, lenti scure e cappellino; la variabile fondamentale nello scegliere il giusto atteggiamento nei confronti del sole è la consapevolezza del proprio fototipo; i filtri solari, in quanto molecole capaci di assorbire le radiazioni solari, sono efficaci. Vanno usati con generosità (25-30 grammi di prodotto, per un adulto), spalmati accuratamente, riapplicati dopo il bagno e anche dopo una sudata. L’inquinamento dell’aria È imputabile principalmente a tre fattori: le emissioni industriali, le emissioni domestiche (riscaldamento) ed il traffico veicolare. È ormai noto da tempo che nell’aria sono presenti moltissime sostanze cancerogene, provenienti da fonti diverse, ed è altresì noto che risiedere in città fa aumentare il rischio di ammalarsi di tumore al polmone rispetto a chi abita fuori città. In realtà non sempre è corretto puntare il dito sull’inquinamento atmosferico “esterno” e trascurare contemporaneamente l’inquinamento “interno”, quello cioè presente negli ambienti domestici, di lavoro o di svago, dove la concentrazione di sostanze tossiche può a volte risultare superiore a quella degli inquinanti presenti nell’aria. È necessario perciò guardare all’aria che si respira. Molte volte infatti diventano di difficile comprensione i dati relativi all’inquinamento atmosferico perché ci si trova in presenza di più fattori di rischio. Numerose risultano le difficoltà interpretative, da quella di misurare l’esposizione, cioè di stabilire esattamente qual è l’impatto di queste sostanze sul singolo organismo umano, a quella di stabilire il tempo di latenza tra l’esposizione e l’insorgenza del tumore in funzione del cambiamento della qualità dell’aria, cioè il tempo che trascorre tra l’inalazione di sostanze cancerogene e l’effettiva malattia dell’individuo, a quella relativa all’esistenza di altre esposizioni concomitanti ugualmente dannose come il fumo e l’esposizione professionale a sostanze pericolose (dai solventi chimici alle sostanze plastiche). In termini generali, basandoci sugli studi epidemiologici condotti fino ad ora a livello internazionale, l’inquinamento atmosferico comporta un rischio relativo di insorgenza di tumori compreso tra valori di 1,2 e 2,0. Se si considera il tumore del polmone, questo può aumentare dal 4% al 40%, a seconda delle aree indagate. Per la valutazione degli esiti sanitari da inquinamento atmosferico, a livello nazionale è stato condotto uno studio specifico denominato MISA-2 e finanziato dal Ministero della salute e dal Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica in cui è stata considerata la mortalità per tutte le cause naturali (362254 decessi), per cause respiratorie (22317) e per cause cardiovascolari (146830) raccolta tramite i Registri di Mortalità regionali o delle Aziende sanitarie, ed i ricoveri ospedalieri non programmati per cause respiratorie (278028 ricoveri), cardiache (455540) e cerebrovascolari (60960) selezionati tramite una procedura uniforme a partire dagli archivi regionali o delle aziendeospedaliere (le percentuali di esclusioni oscillano sul totale dei ricoveri dal 45% all’82%). Per ogni città si hanno in media serie giornaliere di 4.3 anni, con un minimo di tre anni consecutivi. 01/0 220 Il MISA-2 ha rappresentato un ampliamento dello studio MISA-1, pubblicato su Epidemiologia & Prevenzione nel 2001, che aveva valutato l’impatto dell’inquinamento atmosferico in 8 città italiane nel corso degli anni Novanta. Il MISA-2 ha ampliato a 15 il numero delle città e ha analizzato le serie giornaliere degli anni 1996-2002. Sono stati coperti dall’indagine 9.100.000 abitanti (censimento 2001), analizzati 362.254 decessi e 794.528 ricoveri non programmati. Si è osservato che l’aumento di rischio si manifesta entro pochi giorni dal picco di inquinamento (due giorni per le polvero costituite da particelle con diametro inferiore a 10 micron -PM10- fino a quattro giorni per NO2 e CO). L’anticipazione del decesso è stata contenuta e si è verifica entro due settimane. L’effetto cumulativo a quindici giorni ha mostrato rischi maggiori per le cause respiratorie (PM10=1.65; IC95% 0.3-.3.0). I risultati rilevati sottolineano l'importanza di definire politiche a lungo termine in merito alle principali fonti di emissioni in gioco: traffico veicolare, industrie, riscaldamento. Tale sforzo potrebbe essere utile per potenziare le attività di monitoraggio ambientale di alcuni inquinanti (con particolare attenzione alla composizione chimica e volumetrica delle polveri) al fine di approfondire i nessi causali fra inquinamento atmosferico e salute, in particolare nei gruppi di popolazione più suscettibili quali bambini, anziani, ed affetti da patologie croniche. I dati ottenuti fanno riflettere sul degrado dell'area che respiriamo: il gruppo di esperti ha infatti stimato che il numero di decessi per cause naturali, cardiovascolari e respiratorie e di ricoveri ospedalieri, attribuibili all'inquinamento atmosferico e in particolare al PM10, sono 900 all'anno. E la situazione non migliora facendo riferimento alle sostanze gassose: stando ai risultati dell'indagine, sarebbero 2000 i morti causati ogni anno dal biossido d'azoto e 1900 quelli riconducibili nello stesso periodo al monossido di carbonio. I rischi da agenti di tipo fisico: campi elettromagnetici – radiazioni ionizzanti L’interesse per gli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute dell’uomo ha assunto una rilevanza sempre crescente sia in ambito scientifico che nell’opinione pubblica, tanto da indurre l’Organizzazione Mondiale della Sanità a considerarli uno dei principali problemi del futuro. Ciò ha contribuito a diffondere la percezione del rischio da radiazioni ed indotto a ridurlo entro limiti accettabili mediante lo sviluppo di un corpo normativo che ha stabilito limiti da non superare. Pare utile precisare come tali limiti non rappresentino comunque un confine tra sicurezza e pericolo. 01/0 221 Ogni apparecchiatura che utilizzi la corrente elettrica genera, nello spazio circostante, una realtà fisica detta campo elettrico. Se questo campo è variabile nel tempo, si manifesta attraverso (...) sorgente Fig. 1 – Lo spettro elettromagnetico condizioni intensita di campo elettrico 120–150Vm-1 / 10 kVm-1 1 – 10 kVm-1 densità di flusso magnetico 50 microTesla Campi statici naturali Elettrodotti alta tensione Bel tempo / Brutto tempo 400 KV, a distanza 25 m Televisioni e terminali Telefonini A distanza 30 cm 1 – 10 V m-1 0.2 microTesla A distanza da 2 a 10 cm A distanza >30 m 90–270 V m-1 0.3 – 1 microTesla 8 – 40 microTesla -1 Antenne 0.5 – 3 V m telefonia mobile Antenne A distanza 2 – 20 V m-1 telefonia mobile <30m, >10m Antenne A distanza 10 – 40 V m-1 telefonia mobile <10m, >1m Tab. 1- Esempi di intensità di campi elettromagnetici (...) onde elettromagnetiche di diversa lunghezza d’onda in cui sono associati un campo elettrico ed un campo magnetico, ad esso ortogonale. L’insieme di queste lunghezze d’onda forma lo spettro elettromagnetico (figura 1) che dalla frequenza pari a 0 (campi elettrostatici) cresce fino alle frequenze dei raggi X e Y attraverso la regione della luce visibile. Lo spettro che va dai campi statici fino a 300 GHz comprende le regioni da 1Hz a 3 KHz, dette frequenze estremamente basse, od extremely low frequences, ELF (es.: i campi prodotti dagli elettrodotti); da 3 KHz a 300 MHz, dette radiofrequenze (es.: i sistemi di telecomunicazione); da 300 MHz a 300 GHz, dette microonde (es.: i forni ed i radar). 01/0 222 Per i campi elettromagnetici ad alta frequenza, il D.M. n. 381 del 10/09/1998 impone i seguenti limiti: in ambienti dove le persone possono soggiornare per più di 4 ore, come ad esempio, le abitazioni, i giardini privati, le scuole ecc., il campo non deve superare i 6 Volt al metro. In altri ambienti accessibili all’uomo non deve superare i 20 Volt al metro. Tab. 2- Campi magnetici a bassa frequenza Campo magnetico [microTesla] a 3 cm a 30 cm Lavatri0.15ce 3.0 Lampa- 40-400 0.5–2.0 da aspira2-20 polvere asciuga- 6–2000 0.01capelli 1.0 robot 60–700 0.6da 10.0 cucina coperta 2–3 0.1–0.2 elettrica a 100 cm 0.01– 0.15 0.02– 0.25 0.13–2.0 0.02– 0.25 01/0 Campo magnetico di un elettrodotto a 50 m [micro Tesla] 0.1-0.4 0.05 I campi elettromagnetici a bassa frequenza, degli elettrodotti, sono regolati dal D.P.C.M. 08/07/2003. Esso stabilisce per la frequenza di 50 Hz il limite di campo magnetico a 100 µT ed il limite di campo elettrico a 5000 V/m, imponendo un limite a 10 µT per ambienti dove persone possono soggiornare per più di 4 ore e per ambienti scolastici, aree gioco ecc. Il D. M. 381/98 relativamente ai campi elettromagnetici ad alta frequenza, è stato stilato sulla base di un criterio estremamente cautelativo, mentre non possiamo ritenere cautelativi i limiti per i campi elettromagnetici a bassa frequenza. Pare utile confrontare il campo prodotto dagli elettrodotti con qualche stima di campo elettromagnetico Fig. 2 - Campo magnetico a 50 Hz di un asciugacapelli elettrico. "IRPA": limite di sicurezza da INIRC-IRPA. "EPID.": soglia di attenzione dagli studi epidemiologici. prodotto da apparecchiature di uso comune (tabella 2). Quindi, come si deduce dalla tabella 2 (e dalla figura 2), ognuno può limitare Fig. 3 – Distribuzione del l’esposizione regolando la propria a molte campo elettromagnetico sorgenti di campo magnetico. Le intensità di campo emesso dalle antenne per telefonia mobile nella direzione di massima emissione, sono già al di sotto dei limiti di legge a circa 30 m 223 dall’antenna a causa del semplice effetto di propagazione su una superficie sferica: infatti, al raddoppio del raggio l’area si quadruplica (figura 3). A causa della bassa frequenza, il campo elettromagnetico generato da un elettrodotto è, costituito dalle due componenti separate: quella elettrica e quella magnetica. Entrambe diminuiscono rapidamente con la distanza dai cavi e si riducono a valori non distinguibili dal livello di fondo per distanze dell’ordine dei 300 m dall’asse della linea; alla distanza di 50 m, il campo magnetico si è ridotto a valori confrontabili con quelli generati dagli elettrodomestici di uso comune. Effetti biologici dei campi elettromagnetici Il campo elettromagnetico cede energia al sistema biologico per mezzo delle perdite per conduzione e delle perdite dielettriche. I tessuti biologici sono conduttori tanto migliori quanto minore è la frequenza. La profondità di penetrazione diminuisce con l'aumentare della frequenza e del contenuto d'acqua del tessuto biologico. Gran parte dell'energia perduta dal campo elettromagnetico nel tessuto biologico è convertita in calore. Il tessuto irradiato aumenta temperatura Meccanismi di interazione del C.E.M. con i tessuti biologici: effetti termici Presenza di ioni nell’acqua contenuta nei tessuti Struttura “polare” della molecola d’acqua Perdite dielettriche tipiche di un isolante imperfetto Correnti parassite tipiche d’un conduttore con alta resistività Calore generato a spese dell’energia del C.E.M. Riscaldamento dei tessuti Fig. 4 Meccanismi di interazione del C.E.M. con i tessuti biologici: effetti non termici Presenza di ioni nell’acqua contenuta nei tessuti Struttura “polare” della molecola d’acqua Trasporto di ioni che influenzano il metabolismo cellulare Interferenza con i segnali elettrici del sistema nervoso Modifica di reazioni biochimiche? Fig. 5 01/0 224 01/0 e diffonde calore con le zone limitrofe. L'incremento di temperatura oltre i limiti fisiologici costituisce una delle cause principali degli effetti deleteri dei campi elettromagnetici. Se l’effetto è dovuto esclusivamente al calore sviluppato nel tessuto, inclusi i meccanismi omeostatici, allora l’effetto è detto termico. Se invece l’effetto non è mediato dal calore ma è dovuto all’azione diretta delle microonde sulle molecole o sulle cellule, allora viene detto non termico. La reale incidenza degli effetti non termici è ancora in corso di studio. Fino ad oggi nessuna prova sperimentale definitiva è stata raggiunta. Nella figura 6, è illustrato il concetto che a basse frequenze il campo elettrico ed il Fig. 6 – Effetti della componente campo magnetico operano in modo del elettrica e magnetica di bassa freq. tutto diverso fra loro: il campo elettrico genera correnti di spostamento che tendono a caricare la superficie del corpo, mentre quello magnetico induce correnti che circolano all’interno del corpo. I campi elettrici oltre i 12000 V/m (Volt al metro) generati dalle linee ad alta tensione possono, ad esempio, mettere in vibrazione peli e capelli, mentre i campi magnetici oltre 200 mT (milli-Tesla) possono produrre nausea. Anche per i campi elettrici e magnetici a bassa frequenza Campo Elettrostatico Effetto Grandezza Carica elettrica sulla Intensità di campo (E) superficie del corpo Magnetostatico Vertigini e nausea Densità di flusso magnetico (B) CEM < 100 KHz Carica elettrica sulla Intensità di campo (E) superficie del corpo Disturbi a nervi e Densità di corrente muscoli indotta CEM Incremento della Tasso di assorbimento 100 KHz 110 GHz temperatura del specifico (SAR) corpo CEM Incremento della Densità di potenza 100 KHz 110 GHz temperatura della incidente superficie del corpo Tab. 3 – Esempi di effetti dei campi elettromagnetici Valore 25 KVm-1 2T 12 KVm-1 10 mA m-2 0.4 W Kg-1 100 W m-2 sono stati condotti numerosi studi sperimentali per determinare quali possano essere gli effetti biologici. I risultati di queste indagini risultano contrastanti anche se sembra apparire una certa correlazione tra esposizione e insorgenza di tumori infantili, con una stima di rischio individuale dell’ordine di 1 su 106. Questi valori evidenziano che i soli studi epidemiologici non sono sufficienti a dirimere il dubbio. Sono necessari ulteriori studi che la comunità scientifica ha in corso. 225 Nell’ambiente naturale sono presenti materiali radioattivi: nell’aria, nel cibo, nell’acqua, nel suolo e persino fra i costituenti del nostro corpo, ai quali si aggiunge la radiazione cosmica. Fu studiando la fluorescenza di sali di Uranio che Bequerel, nel 1896, osservò il fenomeno della radioattività naturale. Ulteriori studi mostrarono che le radiazioni sono tipiche dell’elemento che le emette. Si chiarì che gli atomi che emettono radiazioni decadono con la formazione di nuovi atomi. Le radiazioni emesse dalle sostanze radioattive sono di tre tipi: e sono il prodotto degli omonimi tipi di decadimento radioattivo. La trasformazione radioattiva di un nucleo atomico è un processo esotermico, spontaneo, indipendente da qualsiasi condizione fisica o chimica. Si fa uso del concetto di tempo di dimezzamento T1/2, definito come il tempo necessario a dimezzare il numero di atomi presenti della sostanza radioattiva. Definiamo come attività di una sostanza il numero di particelle che essa emette per unità di tempo. L’unità di misura dell’attività è il Bequerel (Bq), che indica il numero di disintegrazioni al secondo. Gli elementi radioattivi naturali presenti con maggior abbondanza nel suolo terrestre sono 238Uranio, 235Uranio, 232Torio e 40Potassio. Sono i radionuclidi primordiali, che si formarono all'inizio dell'universo. Quelli a corta vita media sono già decaduti, per cui solo quelli con vita media maggiore sono ancora presenti; ad essi si aggiungono quelli che vengono continuamente formati dal loro decadimento. Altri radionuclidi sono continuamente formati dalle interazioni della radiazione cosmica con l'alta atmosfera. Essi sono detti radionuclidi cosmogenici come il 14Carbonio o il Trizio. Molte sostanze radioattive danno luogo a discendenti, anch’essi radioattivi, che decadono a loro volta finché non raggiungono la configurazione di un isotopo stabile. Ciò genera una catena di “generazioni” di sostanze radioattive, indicata come famiglia Fig 7 – La famiglia radioattiva dell’Uranio 238 radioattiva. Esistono tre famiglie radioattive naturali: quella dell’Uranio (238U), quella del Torio (232Th) e quella dell’Attinio (227Ac con capostipite 235U). Nella figura 7 è descritta la famiglia radioattiva naturale del 238Uranio. Il processo di ionizzazione porta a delle alterazioni, transitorie o permanenti, degli atomi e quindi delle molecole che li contengono. Se le molecole interessate sono situate entro una cellula vivente, essa può risultare a sua volta danneggiata: in modo diretto se la molecola ha un'importanza critica per la vita della cellula, in modo indiretto se essa interagisce chimicamente con molecole adiacenti (radicali liberi). Tra i diversi danni che la radiazione provoca, il danno al DNA può impedire la sopravvivenza o la riproduzione della cellula. Spesso il danno è 01/0 226 riparato dalla cellula stessa, ma se la riparazione è imperfetta si può generare una cellula vitale modificata. Effetti Deterministici. Quando un numero sufficiente di cellule di un organo viene inattivato o non è più in grado di riprodursi, vi è una perdita di funzione dell'organo che diviene più grave all'aumentare del numero di cellule inattivate. Un tale effetto viene detto deterministico. Gli effetti deterministici sono certi dopo il superamento di una soglia d’irradiazione e si presentano entro poco tempo dall'irradiazione. Essi sono tipici di irradiazioni forti e di breve durata e mostrano un aggravamento del sintomo col crescere della dose. I principali esempi di effetti deterministici dovuti all'irradiazione di singoli organi o apparati corporei sono gli eritemi alla cute, la caduta dei peli, la leucopenia, la sterilità, la congiuntivite e la cataratta, che avvengono a dosi superiori a 1 Gy. Se l'irradiazione interessa l'intero organismo, si hanno effetti che vanno dalla riduzione dei linfociti (già a 0.25 Gy) fino alla sindrome acuta da radiazioni a 2 Gy. Effetti Stocastici. Una cellula somatica modificata può conservare ancora la sua capacità di riprodursi e può dare luogo ad un clone di cellule che potrà evolvere infine in un tumore. Questi effetti, che possono originarsi da una sola cellula irradiata vengono detti effetti stocastici perché: a) non hanno una dose soglia; b) la frequenza della loro comparsa è piccola; c) non esiste gradualità dell'effetto. Sono stati osservati per irradiazioni dell'ordine di 0.1 Gy ricevuti in alcuni giorni o settimane. Alcuni effetti possono comparire anche anni dopo l'irradiazione. Le organizzazioni internazionali (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation-UNSCEAR, ICRP) valutano il coefficiente di probabilità di morte sull'intera vita per una popolazione di riferimento dei due sessi in età lavorativa come 410-2 Sv-1. Effetti ereditari ed effetti dell'esposizione prenatale. Una cellula modificata delle gonadi di un individuo esposto può trasmettere un'informazione genetica imprecisa che può essere la causa di gravi danni ad alcuni dei discendenti. A basse dosi ed intensità di dose il coefficiente di probabilità di effetti ereditari gravi su tutte le generazioni successive calcolato in relazione alla dose alle gonadi su tutta la popolazione è di 0.5 10-2 Sv-1. Gli effetti di un'esposizione sul prodotto del concepimento dipendono dal momento dell'esposizione in rapporto alla fertilizzazione. Esposizione a sorgenti naturali. La dose efficace media annuale da sorgenti naturali, basata sulle stime dell'UNSCEAR, è valutata in 2.4 mSv. Il rateo medio di dose in aria risulta di circa 44 nGy/h ma in alcune zone della Terra (India, Brasile) vi é un incremento fino a 430 nGy/h. Il 40K, ritrovato con concentrazioni di qualche decina di Bq/Kg in molti alimenti, e le serie radioattive del 238Uranio e del 232Torio, se introdotti, si depositano nelle ossa e sono significativi per l'esposizione interna da ingestione e da inalazione Particolare rilievo riveste il radon - I radionuclidi 222Rn e 220Rn ed i loro prodotti di decadimento a breve vita sono le sorgenti principali di esposizione a radiazione interna per inalazione. Infatti, i prodotti di decadimento del radon sono ioni solidi 01/0 227 che entrano nella costituzione delle particelle di aerosol e delle goccioline di vapore che, inalate, depongono i nuclidi nel tratto respiratorio dell'uomo. Il 222Rn ha una vita media sufficiente per rilasciare una proporzione piuttosto alta dei suoi prodotti di decadimento nell'aria della bassa atmosfera subito dopo essere fuoriuscito dal suolo. Il 220Rn che raggiunge l'atmosfera é molto inferiore, poiché la sua vita media é di soli 55 secondi. La concentrazione di radon e dei suoi prodotti nell'ambiente umano varia notevolmente con le condizioni locali. La Comunità Europea raccomanda per la concentrazione di radon nell’aria nelle abitazioni un valore d’attenzione di 200 Bq/m3 e un valore d’intervento di 400 Bq/m3. La geologia del territorio può favorire, modificare o impedire il flusso di radon dal sottosuolo verso la superficie. Ciò spiega perché i valori più elevati di emissione di radon dal sottosuolo sono estremamente localizzati e possono variare anche di un ordine di grandezza entro distanze limitate. La maggior parte delle manifestazioni uranifere delle Alpi Cozie e Marittime è ubicata in una formazione rocciosa che attraversa in senso longitudinale le Alpi dalla Liguria al Trentino e che viene detta “Permocarbonifero Assiale” (figura 8). Essa si è formata nell’Era Terziaria in conseguenza della fase orogenetica alpina. Nella nostra provincia questa formazione affiora Fig. 8 – Fascia del permocarbonifero piuttosto estesamente. assiale in provincia di Cuneo Da quando, nel 1984, in una casa della Pennsylvania fu misurata una concentrazione di radon tale da richiedere la bonifica dell’abitazione, si è imparato a misurare il radon presente nelle case. Dal suolo il radon penetra attraverso le fessure dei pavimenti e dei muri, attraverso i canali di drenaggio dell’acqua, attraverso gli scarichi fognari e, più lentamente, attraverso la stessa porosità dei muri. Il radon in tal modo accede anche ai piani più alti delle abitazioni. Non si dimentichi che altre sorgenti di radon sono rappresentati dai materiali da costruzione e dall’acqua proveniente da pozzi profondi. Gli studi sulle modalità di diffusione del radon hanno permesso di mettere a punto tecniche di intervento sugli edifici che vanno dalla semplice sigillatura, alla depressurizzazione e ventilazione di cantine, alla creazione di sottopressioni al di sotto dello edificio ecc. e che riescono a risolvere il problema favorendo l’uscita del gas dall’interno, e impedendone l’ingresso. La scelta e l’efficacia della 01/0 228 procedura dipende dalle caratteristiche degli edifici, dal livello di radon presente e da fattori economici. Esistono altresì metodi per misurare le concentrazioni di radon. La misurazione dura qualche giorno e presenta notevoli difficoltà. Solo un laboratorio attrezzato, con strumentazione moderna e gestito da professionisti esperti può garantire la correttezza del risultato. Bibliografia 1. Istituto Nazionale di Statistica. Indicatori statistici: n. 5–2005. Nuove evidenze nell'evoluzione della mortalità per tumori in Italia. Anni 1970–1999. 2. Oxford Hanbook of Public Health Practice – Oxford University Press – 2001. 3. Jardine C, Hrudey S, Shortreed J, et Al. Risk management frameworks for human health and environmental risks. J Toxicol Environ Health B Crit Rev. 2003;6(6):569-720. 4. Meta-analysis of the Italian studies on short-term effects of air pollutionMISA 1996-2002 Epidemiol Prev 2004;28(4-5 Suppl):4-100. 5. Repacholi MH. WHO's health risk assessment of ELF fields. Radiat Prot Dosimetry 2003;106(4):297-9. 6. Bernstein JA, Alexis N, Barnes C, et Al. Health effects of air pollution. J Allergy Clin Immunol. 2004;114(5):1116-23. 7. Saul AN, Oberyszyn TM, Daugherty C, et Al. Chronic Stress and Susceptibility to Skin Cancer. J Natl Cancer Inst. 2005;97(23):1760-67. 8. Trinchero D, Tascone R, Cerato I, et Al. An Interactive procedure for the characterisation of electric field distribution. 29th European Microwawe Conference (EUMC 99). Munich, Germany. 9. Trinchero D, Tascone R, Riccardi I, et Al. Results of Electromagnetic Background Mapping in North Western Italy. Atti del Convegno “Millennium Conference on Antennas Propagation” – Davos Switzerland 9-14 aprile 2000. 10. Trinchero D, Tascone R, Perrone G, et Al. Exposure to High Frequency EM Fields in Urban Environments -4th European Symposium on EMC- Brugge, September 11-15, 2000;51-4. 11. Protection Against 222Radon at Home and at Work - ICRP Pubblication 65. Pergamon Press, 1990. 12. Sartor W,Gentile L, Riccardi I. Misure di radon indoor in un’area con elevata presenza di mineralizzazioni uranifere. Atti del Convegno Nazionale “Dal monitoraggio degli agenti fisici sul territorio alla valutazione dell’esposizione ambientale”. Torino, 29-31 ottobre 2003 Ringraziamenti Si ringrazia il Dr Giampiero Busellu per la collaborazione scientifica. 01/0 229 GESTIONE INFORMATICA DEI PROGRAMMI DI SCREENING Monica Rimondot Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening, Dipartimento n. 7 Al fine di garantire il corretto ed efficace funzionamento di un programma di screening oncologico, un ruolo fondamentale è detenuto dall’applicativo informatico gestionale. Esso riceve in input un database anagrafico realizzato secondo i requisiti fondamentali richiesti dallo screening (età, sesso, residenza, ecc.), opportunamente e costantemente aggiornato, ed ulteriormente selezionato secondo criteri non tanto anagrafici quanto soggettivi (assistito già sotto controllo oncologico, problemi psichiatrici, grave handicap, malattia terminale, ecc.), dati reperibili grazie alla collaborazione dei medici di medicina generale o segnalati da parte dell’utenza stessa. L’applicativo gestisce la convocazione dell’utenza secondo precise configurazioni di sistema (centri di prelievo, definizione delle agende per l’invito, scelta del comune di residenza e/o dell’anno di nascita, ecc.) e l’eventuale modifica/revoca dell’appuntamento; raccoglie tutte le informazioni previste al momento dell’esecuzione (o meno) dell’esame; provvede a generare le corrette procedure di refertazione, invio esiti, invio ad approfondimento diagnostico di II livello, gestione degli interventi e dei follow-up, invio dei solleciti dopo mancata adesione, corretta programmazione logico-temporale dei successivi esami di screening. Nei programmi di screening in cui sia consentito l’accesso spontaneo degli assistiti, l’applicativo deve garantire la corretta procedura di inserimento. La banca dati dell’applicativo deve essere condivisa in rete, in modo da consentire l’intervento dei diversi operatori coinvolti durante le varie fasi dello screening, permettendo l’accesso esclusivamente ai dati di competenza. Circa l’invio delle lettere di invito, sollecito ed esito screening il software gestionale deve offrire la possibilità di scegliere fra l’invio a cura dell’Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening o la generazione di lotti che vengono trasmessi al gestore della posta, presso il quale sono depositati i vari modelli cartacei previsti a seconda del caso. Sotto il profilo della valutazione, dall’applicativo deve essere possibile estrarre tutti i dati necessari al calcolo dei parametri richiesti dalla Regione per definire i risultati raggiunti a livello dipartimentale, regionale e nazionale. Concludendo, si tratta di in meccanismo complesso, che spesso richiede aggiornamenti e gestioni di nuovi parametri, il tutto al fine di un costante e crescente miglioramento della qualità del servizio di prevenzione oncologica. Bibliografia 1. 2. Eurosoft Informatica Medica. Screening 2000. Citologico. Software di screening per la prevenzione dei tumori alla cervice uterina. 2004. Eurosoft Informatica Medica. Screening 2000. Mammografico. Software di screening per la prevenzione dei tumori alla mammella. 2004. 01/0 230 IL RUOLO DELLA FARMACIA NELLA PREVENZIONE ONCOLOGICA Savino Roggia Associazione Titolari di Farmacia Provincia di Cuneo La farmacia è da sempre impegnata nella prevenzione della malattia. Da prima con il farmacista che dialogava con il cittadino: erano quelli i tempi in cui medico e farmacista esprimevano la Sanità della Polis. Poi, con pubblicazioni orientate a combattere tubercolosi, rachitismo, condizioni igieniche precarie… Seguì la stagione del curare, curare e curare… anche la produzione dei medicinali: la terapia quindi prima della prevenzione della malattia. Con la stagione della consapevolezza venne il verbo di armonizzare cura e prevenzione, e le risorse, tutte le risorse umane, professionali, istituzionali si misero e sono in cammino contro il male anche anticipandolo. La farmacia, quella cuneese in particolare, non si è mai attardata ad essere in prima fila.1 Le sue campagne sulla prevenzione del diabete, dell’ipertensione, delle patologie gastriche, venose e da sigarette, delle piaghe da decubito… hanno fatto storia e oggi sono un canovaccio replicato in ambito regionale e nazionale di cui il network piemontese Farmacia Amica2 ne è esempio e brillante erede. Così pure anticipatrice dei tempi fu la scelta di intervenire sui giornali con rubriche e puntualizzazioni3 miranti a valorizzare comportamenti virtuosi in campo ludico, sportivo, alimentare e nell’uso appropriato dei farmaci, principia di ogni seria prevenzione contro le malattie. I risultati da esibire sarebbero tanti se non fosse che sono ancora una moltitudine quelli che aspettano di essere raccolti. La farmacia oggi si appresta a collaborare con l’Unità per la Valutazione e l’Organizzazione dello Screening (U.V.O.S.) nell’ambito del progetto regionale di prevenzione secondaria dei tumori, denominato Prevenzione Serena, con cui nei prossimi dieci anni si mira di evitare 1200 morti e prevenire ulteriori 1500 nuovi casi di tumore al colon retto.4 E non solo. La farmacia attraverso una rivisitazione del suo sapere e dei suoi gesti potrebbe trasformare in ulteriori traguardi una realtà altrimenti negletta nella prevenzione secondaria dei tumori. Vediamo come… Prevenzione Serena Il progetto dell’U.V.O.S. prevede la suddivisione della popolazione su cui effettuare la ricerca del tumore del colonretto (CCR) in due gruppi. Al primo gruppo sono assegnati i soggetti sotto i 58 anni ai quali verrà proposta la flessosigmoidoscopia (FS) mentre ai non aderenti, e come possibilità, la ricerca del sangue occulto nelle feci (FOBT). Invece a tutti i cittadini tra i 59 e 69 anni verrà proposto il FOBT. “Il primo livello dello screening colorettale in Prevenzione Serena prevede l’invio di una lettera di invito con opuscolo illustrativo e, in caso di mancata presentazione, di un sollecito. Non è richiesta l’impegnativa ed è prevista 01/0 231 l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria. Il programma si rivolge quindi ai soggetti di entrambi i sessi con due distinti rami di screening (I livello) a seconda della coorte d’età, con l’impiego della FS e con il FOBT. Le esclusioni riguarderanno i casi di CCR attuale o pregresso, adenomi/polipi del colon retto, la malattia infiammatoria cronica (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa), l’avere eseguito FS, FOBT o coloscopia totale nei due anni precedenti, la presenza di una patologia gravemente invalidante o terminale. Sulla base delle premesse epidemiologiche relative all’incidenza di questa neoplasia rispetto all’età, al fine di massimizzare il beneficio derivante dalla prevenzione di futuri CCR evoluti da adenomi, la coorte dei soggetti di età corrispondente a 58 anni viene invitata a sottoporsi all’esecuzione della flessosigmoidoscopia una tantum. Questa viene eseguita previa toelette intestinale, 2 ore avanti con clistere da 133 ml di sodio fosfato 20% ritirato in farmacia, da non somministrare in caso di dolore addominale acuto, nausea o vomito in atto, o stipsi protratta da oltre 6 settimane. La FS è considerata completa se si ha il superamento della giunzione sigmoidocolica e la visualizzazione del colon discendente, in condizioni di adeguata preparazione intestinale. L’esito della flessosigmoidoscopia potrà essere quello negativo (ed in tal caso la predittività negativa dovrebbe estendersi per oltre dieci anni). Oppure consistere nella presenza di un polipo a basso rischio, con diametro inferiore a 10 mm (ed in tal caso si procede all’immediata asportazione endoscopica ed all’accertamento istologico; polipi di dimensioni maggiori saranno invece rimossi in ambito di approfondimento di II livello), di un adenoma a componente villosa, di un adenoma con displasia grave, di tre o più adenomi, di un polipo con diametro pari o superiore a 10 mm, di un CCR. In questi ultimi casi il paziente è inviato ad un accertamento di II livello; analogamente, sarà richiamato ad approfondimento di II livello nel caso in cui l’esame istologico seguito alla polipectomia evidenzi caratteristiche di alto rischio. In caso di lesioni estese è possibile l’immediato invio ad accertamenti preparatori alla chirurgia; la terapia chirurgica è indicata anche nei casi in cui l’istologia evidenzi un adenoma cancerizzato in cui manchi la condizione di carcinoma ben differenziato o non vi sia indennità dei margini di resezione, o vi sia invasione di vasi linfatici o venosi. Ai soggetti non rispondenti alla lettera di invito ed a quella di sollecito per la FS viene proposta, con lettera ed opuscolo informativo, l’esecuzione di un FOBT ogni 2 anni (per i successivi undici anni); ai non aderenti al FOBT, dopo un anno è ulteriormente proposta la FS. È evidente come si venga a creare in tal modo una coorte dinamica di soggetti che effettueranno la ricerca del sangue occulto nelle feci, che aumenterà dimensionalmente per una dozzina di anni per poi stabilizzarsi su un valore che sarà funzione di fattori quali la consistenza della coorte dei cinquantottenni nel tempo e la compliance al FOBT nei soggetti che rifiutano l’accertamento endoscopico. Al fine di comprendere nella fase di avvio dello screening colorettale anche i soggetti a significativo livello di rischio per CCR di età compresa tra 59 e 69 anni, questa coorte chiusa viene invitata a sottoporsi all’esecuzione della ricerca del sangue occulto nelle feci con un intervallo di rescreening di due anni, fino al raggiungimento del limite superiore di età. 01/0 232 È evidente come tale coorte vada a diventare sempre meno dimensionalmente consistente, fino ad azzerarsi dopo una dozzina di anni. Il FOBT è eseguito con il test di agglutinazione su lattice, non influenzato dalla dieta, per cui non sono da prevedere restrizioni dietetiche. L’esito della ricerca del sangue occulto nelle feci potrà essere negativo oppure positivo, nel qual caso il soggetto è convocato al II livello.”5 La farmacia è chiamata a dare il suo contributo al successo della FS e della FOBT. Funzionerà da eco ulteriore delle informazioni fatte giungere dall’U.V.O.S. al cittadino sulle finalità, modalità, impegno, metodologia esecutiva, rischi, precauzioni e vantaggi della ricerca, dispenserà i farmaci per il lavaggio intestinale, distribuirà e raccoglierà i kit per la raccolta delle feci per la ricerca del sangue occulto. Sarà terminale attivo nella diffusione della immagine e della cultura del Programma, attraverso l’impiego del materiale e iniziative preparate ad hoc, che possano dare visibilità ai risultati del lavoro prodotto da parte di tutti gli operatori coinvolti a diverso titolo in Prevenzione Serena. La farmacia quindi sarà attrezzata per la distribuzione del materiale esplicativo e per la raccolta dei reperti organici. Al progetto partecipano 208 farmacie della provincia. Il farmacista seguirà un corso ECM mirato a formarlo sulla clinica del CCR, sulle fasi e sui dettagli di cui è costituito il Progetto, sulla tecnica comunicativa con cui dialogare con i cittadini. Sarà preparato sui rischi biologici, praticamente nulli, derivanti dal maneggiare reperti organici. Il centro di raccolta secondaria sarà un luogo da definire, comunque tra Fossano e Cuneo, attrezzato con frigorifero idoneo in cui parcheggiare i campioni prima di essere prelevati e consegnati per l’accettazione all’U.V.O.S. ed ai laboratori, proveniente dalle farmacie comprese nel territorio delle Aziende Sanitarie Locali nn. 15 (Cuneo), 16 (Mondovì-Ceva), 17 (Savigliano-Fossano-Saluzzo) e 18 (AlbaBra). Altri contributi del farmacista nella lotta al tumore colonretto Alcuni ammalati di tumore possono arrivare all’attenzione del medico con una malattia in fase iniziale ma già sintomatica, sfuggendo all’indagine di uno screening ben strutturato come questo. Sono soggetti naturalmente particolari che davanti a un malessere ormai per cultura antepongono al medico il rimedio familiare e il farmaco da banco, i sop … D'altronde in questa galassia di farmaci cosiddetti “minori” tali soggetti trovano risposte appropriate seppure temporanee per mettere a tacere un bel numero di sintomi comuni alla patologia tumorale. In riferimento al cancro del colonretto tra i segni e i sintomi,6 pur nella loro molteplicità a seconda della localizzazione, dopo la fase asintomatica troviamo: anemia, dolore, sangue occulto nelle fecinell’adenocarcinoma; cambiamento nelle evacuazione dell’alvo con stitichezza o diarrea, calibro delle feci ridotto, sanguinamento rettale rosso vivo frammisto alle feci -nell’adenocarcinoma del colon sinistro; sanguinamento rettale rosso vivo, 01/0 233 tenesmo- nell’adenocarcinoma del retto; sanguinamento rettale, dolore addominale crampiforme -nel carcinoide; defecazione dolorosa, sanguinamento rettale, ragadi anali -nel carcinoma a cellule squamose. Sintomatologia questa che risveglia un consumo improvviso e concomitante di analgesici, ricostituenti, lassativi, antiemorroidari, antispastici addominali, fermenti lattici di libera vendita … consumo che, se monitorato coscientemente dal farmacista, può anticipare di almeno sette mesi7 l’intervento del medico e le cure più appropriate (fase della “diagnosi tempestiva”). Ulteriore contributo del farmacista alla lotta ai tumori attraverso il monitoraggio del consumo dei farmaci da banco I sotto elencati tumori6 sono un esempio di come un’attenzione progettata e diffusa sull’uso dell’automedicazione possa aiutare a coglierne i sintomi fin dai loro primi esordi e aiutare il cittadino a recarsi dal medico. Leucoplachia orale Un’aumentata richiesta di paste adesive per dentiere e collutori antibatterici e antinfiammatori possono sottendere una protesi dentaria non adeguata oppure la presenza di morsi reiterati alla mucosa delle guance che offendendo ripetutamente i tessuti della bocca la predispongono al tumore. Linfoma cutaneo a cellule a T Questi ammalati per combattere il prurito sono consumatori in primis di farmaci antistaminici da banco. Tumore del fegato Nel 80% dei casi esiste un dolore addominale con o senza nausea e vomito che l’ammalato tenta di curare con antispastici, coleretici, antidispeptici, vitaminici, acidificanti, lassativi… Tumore al polmone Dalla tosse, alla mancanza di fiato, all’eccessiva stanchezza fisica, al dolore toracico, alla raucedine, alle spalle e braccia doloranti, all’anemia… sono segni e sintomi che spingono l’ammalato al consumo di sedativi della tosse, mucolitici, analgesici, rinforzanti, antianemici… Tumori della tiroide La disfagia che accompagna questa patologia porta l’ammalato ad abbandonare cibi solidi per quelli liquidi, quindi a chiedere diete liquide, e a sostituire farmaci solidi per quelli bevibili; la disfonia invece alimenta la richiesta di farmaci per la memoria: un tentativo per recuperare la difficoltà a coordinare la disposizione delle parole nell’ordine giusto. Tumori ossei primitivi Sollecitano un uso continuato di Otc analgesici per combattere il dolore sotto carico, a riposo e durante la notte, e il dolore diffuso. 01/0 234 Tumore vaginale Può alimentare un consumo eccessivo di gel lubrificante la vagina se il sanguinamento postcoitale è erroneamente attribuito a una improbabile quanto repentina secchezza. Tumori della laringe La raucedine persistente in un anziano, ancor di più se fumatore, dispnea, otalgia, disfagia, odinofagia, tosse cronica, perdita di peso, alitosi, dolori localizzati possono essere alla base di una richiesta repentina di pastiglie e sciroppi balsamici, gocce otologiche, sedativi della tosse, antidolorifici, ricostituenti e preparati contro l’alitosi… Tumore alla mammella È una patologia critica. I soggetti anziani vivono l’esposizione della ghiandola mammaria come un tabù da difendere ad oltranza. Si tradiscono quando con eufemismo chiedendo una pomata per un “un brufolo” al seno! Tumore della prostata I disturbi minzionali, le infezioni del tratto urinario, i dolori ossei, l’anemia … sollecitano richieste di tisane rinfrescanti, farmaci antispastici, disinfettanti, antinfiammatori, ricostituenti… Mentre per la ritenzione acuta di urina chiedono “qualcosa che faccia urinare”! Tumore dell’ovario Il gonfiore addominale, la dispepsia, il sanguinamento vaginale irregolare, la dispareunia, la perdita di peso… portano a un consumo di farmaci ad attività carminativa e antispastica, ad un uso insolito di assorbenti intimi, di gel lubrificanti la vagina, di ricostituenti… …e attraverso il consumo dei solari: Melanoma8 La farmacia è già attiva nella prevenzione primaria. In campagna, ai monti e al mare il farmacista oltre a consigliare il preparato cosmetico più adeguato alle condizioni ambientali e stagionali ne spiega l’uso corretto. Le radiazioni solari ultraviolette UVB, dai 280 a 320 nm (nanometri) e quelle UVA dai 320 e 400 nm, possono promuovere il tumore attraverso un aumento del livello di eccitazione molecolare della materia vivente secondo l’International Agency for Research on Cancer (IARC).9 Nei soggetti cronicamente esposti (contadini, marinai, amanti dei bagni di sole), è alto il rischio di ammalarsi di melanoma maligno in special modo con ustioni solari acute ripetute (5 ustioni solari in adolescenza raddoppiano il rischio).10 Così pure nella prevenzione secondaria del tumore cutaneo quando con discrezione se ne osservano i suoi segni e sintomi. Ogni cambiamento cutaneo, sia ipo che iperpigmentazione, ogni suo leggero sanguinamento, desquamazione, cambiamento di dimensione sono motivi per incoraggiare il soggetto a rivolgersi al medico. 01/0 235 Bibliografia 1. La prime iniziativa risale al 1995-96: in collaborazione con l’Ordine dei Medici della provincia di Cuneo si organizzò una campagna contro l’ipertensione arteriosa. 2. Farmacia Amica agisce o ha agito in collaborazione con la Regione Piemonte e altre istituzioni nel campo della prevenzione primaria e secondaria delle malattie più diffuse sul territorio delle regioni Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Sardegna. Si avvale di contributi resi disponibili dalle organizzazioni dei Titolari di farmacia regionali, dalle Regioni e sponsor. 3. Roggia S. Salute, farmacia e informazione, Gribaudo ed. 2° ed. 1998 4. Vanara F, Senore C, Segnan N. Screening del cancro colorettale. Valutazione dei costi. Quaderni CPO n. 9. Torino, gennaio 2005. 5. Fossati A.M. Coordinatrice dell’Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening, Dipartimento n. 7: comunicazione personale. 6. Griffith JA, Dambro MR. 5 minutes clinical consult. Ed. Italiana, Centro Scientifico Internazionale, 1997. 7. Orione L. Coordinatore del Dipartimento di Screening Oncologico n. 7 (provincia di Cuneo) e Responsabile dell’Unità di Valutazione ed Organizzazione dello Screening, Dipartimento n. 7: comunicazione personale. 8. Regione Piemonte, Assessorato alla Sanità – Rete Oncologica Piemontese – Centro di Riferimento per l’Epidemiologia e la Prevenzione Oncologica in Piemonte. Relazione Sanitaria sull’Oncologia in Piemonte: aspetti epidemiologici. 2003. 9. http://www.iarc.fr International Agency for Research on Cancer (IARC). Overall Evaluations of Carcinogenicity to Humans. 10.Ullrich RL. Etiology of Cancer: Physical Factors. In: DeVita V, Hellman S, Rosenberg SA. Cancer. Principles & Practice of Oncology. 7th Ed. Lippincott Williams & Wilkins, Philadelphia PA, U.S.A., 2005. 201-15. 01/0 236 LA METODICA DEL LINFONODO SENTINELLA NELL’APPROCCIO CHIRURGICO AL CARCINOMA MAMMARIO Gianpaolo Sacchetto Responsabile S. O. S. di Senologia, A.S.L. 18 - Alba La cura chirurgica del tumore della mammella ha conosciuto nella storia della medicina momenti particolari ed importanti; negli ultimi anni, in particolare, l’avvento e la conferma della validità della chirurgia conservativa della mammella proposta dal prof. Umberto Veronesi: la quadrantectomia con asportazione dei linfonodi ascellari. Negli anni novanta la chirurgia senologica ha ulteriormente proseguito il suo cammino, sviluppando il concetto di “conservazione “non solo della mammella ma anche dei linfonodi ascellari . Aiutati dalle nuove tecnologie e dalla disponibilità di terapie mediche sempre più efficaci, si fece strada tra i chirurghi, il concetto di “chirurgia gentile” cioè di una chirurgia meno aggressiva e mutilante. I chirurghi senologi cominciarono a chiedersi se l’asportazione dei linfonodi ascellari fosse davvero sempre necessaria. Con la dissezione dei linfonodi ascellari si corre il rischio di asportare inutilmente tessuto linfatico che risulta al successivo esame microscopico frequentemente indenne. Inoltre, la rimozione dei linfatici ascellari può compromettere la funzionalità dell’arto e aumentare il rischio di effetti collaterali (linfedema, parestesie, deficit motori), senza tener conto del fatto che non è logico asportare tessuto immunocompetente sano che aiuta le difese immunitarie a combattere la malattia. Poiché non ci sono esami strumentali in grado di rilevare prima dell’intervento un eventuale interessamento dei linfonodi, senza asportarli, recentemente è stata messa a punto la cosiddetta tecnica del “linfonodo sentinella“ (LS). In caso di metastasi, il carcinoma mammario si diffonde attraverso il sistema linfatico seguendo un percorso ordinato e progressivo, interessando in primo luogo i linfonodi più esterni o del primo livello linfonodale (Fig. 1). Il LS è il primo linfonodo (o linfonodi) che riceve la linfa direttamente dal tumore primitivo mammario; ovvero, LS è ogni linfonodo che riceve direttamente linfa dal parenchima mammario e quindi dal tumore. I linfonodi ascellari sono raggiunti dalla linfa attraverso il circolo linfatico superficiale periareolare. È noto che le cellule tumorali che si staccano dal tumore seguendo le vie linfatiche migrano all’ascella passando da uno o più linfonodi che sono posti a “sentinella” del sistema linfatico della regione. Se questa stazione-sentinella risulta sana è molto probabile che anche tutti gli altri linfonodi siano indenni ed è pertanto inutile asportarli. La positività del cosiddetto linfonodo sentinella è dunque il segnale di un coinvolgimento ascellare, mentre la sua negatività indica l’assenza di malattia nella regione ascellare. La biopsia del linfonodo sentinella è in grado di riconoscere un interessamento metastatico anche minimo (micrometastasi) in pazienti con ascella clinicamente negativa. 01/0 237 Gli studi sul valore predittivo del LS nei confronti di tutti i linfonodi asportati chirurgicamente e gli studi randomizzati che hanno confrontato la dissezione ascellare di routine e la dissezione ascellare sulla base dell’istologia del LS hanno dimostrato la validità della metodica sia per quanto riguarda il valore predittivo negativo del LS nei confronti degli altri linfonodi ascellari asportati, sia per quanto riguarda il valore predittivo positivo. Indicazioni La localizzazione del LS deve essere eseguita in donne con carcinoma infiltrante della mammella accertato biopticamente (B5) o con esame citologico positivo (C5) o già sottoposte a tumorectomia, ampia resezione o quadrantectomia per carcinoma infiltrante. Un esame citoaspirato sospetto (C4) con quadro strumentale suggestivo di carcinoma invasivo (ETG, Mammografia), può essere indicazione sufficiente per effettuare la biopsia del LS. I linfonodi ascellari vengono valutati con indagine ultrasonografica e, se sospetti, sottoposti ad esame citologico su agoaspirato. La metodica deve essere effettuata prima dell’intervento sulla mammella e può essere utilizzata anche in caso di mastectomia . Controindicazioni assolute Biopsia linfonodi ascellari positiva (C5/B5) Carcinoma infiammatorio Controindicazioni relative o controverse Chemioterapia primaria preoperatoria per ridurre le dimensioni del tumore.* Carcinoma in situ.** Stato di gravidanza e/o allattamento.*** Carcinoma multifocale e multicentrico.**** *La capacità di identificare il LS dopo chemioterapia non subisce flessioni; non è però noto il significato biologico di una eventuale negativizzazione del LS dopo terapia .In attesa di ulteriori studi, le linee guida suggeriscono di eseguire la biopsia prima del trattamento chemioterapico oppure di eseguire la dissezione ascellare. **Nelle lesioni in situ di grosse dimensioni con grading alto e quadro mammografico ad alto rischio la metodica è comunque consigliata. ***La metodica non comporta problemi teratogenetici ed il tasso di migrazione non sembra essere compromesso. In caso di allattamento occorre bloccare la montata lattea prima dell’ intervento. **** Sono in corso studi che sembrano confermare la validità della metodica legata alla verosimile esistenza di un unico drenaggio linfatico verso l’ascella. Indicazioni alla successiva dissezione ascellare Metastasi al LS. Micrometastasi al LS (focolai inferiori a 2 mm). 01/0 238 LS non migrato o non identificato chirurgicamente. Raccomandazioni La metodica del LS nella pratica clinica deve essere condotta da un chirurgo esperto dedicato e da uno specialista in medicina nucleare, che dovrebbero avere seguito un corso specifico in questa tecnica. Tutte le fasi della procedura devono essere accuratamente documentate e annotate. La medicina nucleare è responsabile per quanto riguarda la preparazione del materiale da inoculare e dell’acquisizione e interpretazione delle immagini linfoscintigrafiche. Allo stato attuale delle nostre conoscenze la micrometastasi (inferiore ai 2 mm), al di fuori di uno studio clinico, indica la necessità di dissezione ascellare completa. In caso di presenza di cellule tumorali isolate (ITC) la dissezione può essere evitata. Metodica di identificazione del LS Le metodiche sperimentate ed accreditate per identificare il LS prevedono l’uso di un colorante vitale (Patent Blue-V), di un tracciante radioattivo oppure la combinazione di entrambi i metodi. La prima metodica dimostra valori di affidabilità variabili dal 70-90%, sulla base dell’esperienza dei vari chirurghi; tale valore sale al 95-99% con l’utilizzo del tracciante radioattivo. L’impiego del colorante vitale ha rischi e costi trascurabili; il tracciante radioattivo dà maggiore garanzia di successo della tecnica, che giustifica i costi più elevati e l’organizzazione, sicuramente più complessa. Colorante vitale (Patent blue-V) Si procede all’iniezione subdermica del Patent Blue-V (0,2-0,4 ml), dopo l’induzione dell’anestesia generale o l’inoculo della anestesia locale nella stessa sede di inoculo del tracciante; si esegue un delicato massaggio dell’area iniettata per agevolare la progressione del colorante verso i linfonodi del cavo ascellare. Volumi di inoculo maggiori sono necessari in caso di iniezione peritumorale o in mammelle molto grandi, seguita sempre da accurato massaggio; si può iniziare l’intervento dopo 10-15 minuti. L’inoculo per via subdermica, e quindi un minor volume iniettato, rende più agevole l’exeresi e la valutazione patologica del T; dal punto di vista anatomofisiopatologico inoltre, mediante la via subdermica, il colorante vitale viene iniettato direttamente nel plesso linfatico subdermico che riveste la maggior importanza per quel che riguarda il drenaggio del tumore verso il cavo ascellare. Punto di inoculo. Il colorante vitale può essere iniettato per via subdermica, subareolare o peritumorale. La via subdermica è da preferire per una migrazione piu rapida del tracciante. la via subareolare offre il vantaggio di non creare rumore di fondo con la captazione delle lesioni del quadrante supero-esterno. 01/0 239 La sede intratumorale è sconsigliata per la migrazione difficoltosa; essa viene impiegata come metodica nella localizzazione delle lesioni non palpabili su guida ultrasonografica o stereotassica. Tracciante radioattivo L’inoculo deve essere eseguito da due a ventiquattro ore prima dell’intervento. Si usano particelle colloidali di albumina umana marcate con 99Tc. Il tracciante radioattivo viene iniettato in una soluzione di 0,2-0,4 ml, seguito da 0,2 ml di soluzione fisiologica; seguono alcuni minuti di massaggio delicato onde facilitare ed accelerare il drenaggio linfatico. La dose viene aumentata a 0,3-0,4 ml nelle pazienti obese. Punto di inoculo. L’iniezione viene di solito eseguita per via subdermica in corrispondenza della lesione mammaria. Imaging. La linfoscintigrafia mammaria può essere eseguita il giorno precedente l’intervento chirurgico oppure il giorno stesso, almeno alcune ore prima dell’ intervento (Fig. 2). La proiezione obliqua anteriore a 45° permette di distinguere meglio il punto di inoculo dal LS ascellare. La proiezione anteriore è ideale per i linfonodi della catena mammaria interna. Per individuare la posizione del primo linfonodo vengono effettuate proiezioni obliquo-anteriori, mantenendo la gamma-camera il più possibile parallela al cavo ascellare; con l’aiuto di una sorgente puntiforme si evidenzia la proiezione cutanea dello stesso linfonodo che viene segnato con marker indelebile sulla cute (Fig. 3). L’immagine scintigrafica disponibile al momento dell’intervento è di grande utilità per il chirurgo, poiché consente di rilevare la sede e la presenza di uno o più linfonodi sentinella. Impiego della sonda. La sonda per chirurgia radioguidata (RGS) converte la radioattività rilevata sia in un segnale analogico sia in un segnale acustico di intensità e frequenza proporzionale all’attività presente nella regione esaminata. A tal fine la sonda deve essere caratterizzata da elevata sensibilità con elevata risoluzione spaziale, cioè consentire di discriminare due regioni tessutali captanti e vicine. Alcune sonde, dotate di collimazione variabile, consentono di variare la risoluzione spaziale e la sensibilità (Fig. 4). Per le applicazioni della chirurgia radioguidata della mammella la sensibilità risulta essere una caratteristica fondamentale. La corretta rilevazione intraoperatoria del LS dipende anche dal funzionamento e dalla risposta dello strumento di rilevazione; è pertanto fondamentale il controllo di qualità da effettuarsi scadenzato e a registro. Tecnica chirurgica Prendere visione della linfoscintigrafia per acquisire informazioni: se e quanti LN sono stati rilevati. Verificare la attività di fondo della paziente ed effettuare una mappatura della cute per confrontarla con il repere cutaneo segnalato dal medico nucleare. 01/0 240 Per individuare il LS si pratica una piccola incisione sulla linea ideale per la dissezione ascellare; nei casi di tumori del quadrante supero esterno è sicuramente più conveniente l’accesso al LS attraverso la breccia chirurgica utilizzata per l’exeresi del tumore. La ricerca del linfonodo viene eseguita seguendo i vasi linfatici colorati di blu fino al primo linfonodo drenante, che appare fortemente colorato di blu o/e mediante la sonda avvolta in una guaina sterile che, delicatamente mossa all’interno dell’incisione chirurgica, permette di identificare il linfonodo che emette il segnale più intenso (Fig. 5). Generalmente, c’è concordanza fra il linfonodo colorato di blu ed il linfonodo radioattivo (caldo); in caso di reperto non univoco, viene considerato LS il primo linfonodo caldo ma non colorato di blu. Altre volte, il primo linfonodo che sembra drenare i linfatici proveninti dal tumore è blu ma non caldo, quest’ultimo situato più distalmente al tumore; in questo caso, non potendo definire con esattezza quale sia il LS , si debbono asportate ambedue. Una volta reperito il/i LS (la scintigrafia può evidenziare più di un linfonodo captante), se ne procede all’asportazione avendo cura di allacciare i collettori linfatici afferenti ed efferenti (Fig. 6). La asportazione di altri linfonodi contigui, non segnalati come sentinella, è suggerita solo se alla palpazione intraoperatoria risultano sospetti, informando il medico patologo. Non è infrequente la presenza di linfonodi captanti in sede mammaria interna (specie nei tumori dei quadranti interni). Poiché l’interessamento dei linfonodi della catena mammaria interna modifica, a volte, la terapia medica e/o la radioterapia, la biopsia mammaria interna (MI) è consigliabile, eseguendo una piccola incisione nel secondo, terzo spazio intercostale , asportando per via extrapleurica i linfonodi captanti e preservando i vasi mammari interni. Se nessun linfonodo viene evidenziato è necessario procedere alla dissezione ascellare completa. Anatomia patologica Il LS, generalmente ascellare, occasionalmente della catena mammaria interna, identificato con il colorante vitale e/o con il radioisotopo, deve essere sottoposto ad un accurato esame istologico, poiché è stato dimostrato che sia la più probabile e spesso unica sede di metastasi di carcinoma mammario. Attualmente la biopsia del LS è diventata procedura di routine per tumori mammari di diametro inferiori a 3 cm. Ogni singolo LS deve essere posto in contenitore etichettato e deve essere inviato in tempi brevi al laboratorio di anatomia patologica. Tutti i linfonodi inviati come “sentinella” devono essere trattati secondo il protocollo della SIAPEC Piemonte. Linfonodi >5 mm di diametro massimo devono essere sezionati preferenzialmente lungo l’asse minore, per una più esaustiva valutazione della capsula e del seno marginale (sede di ITC) a ad intervalli di circa 2 mm; quelli <5 mm devono essere tagliati a metà in senso longitudinale e processati interamente. 01/0 241 La diagnosi di micrometastasi (mi) e di cellule tumorali isolate aumenta all’aumentare del numero delle sezioni esaminate. Se all’esame istologico delle sezioni colorate con ematossilina eosina non sono individuate lesioni metastatiche è consigliabile procedere con l’approfondimento immunoistochimico con citocheratine ad ampio spettro. Esame intraoperatorio L’introduzione dell’ecografia del cavo ascellare associata all’agoaspirato con ago sottile dei linfonodi ascellari sospetti ha notevolmente ridotto la necessità dell’esame intraoperatorio, diagnosticando anticipatamente i casi con metastasi. Linee guida internazionali legittimano appieno, sia la possibilità di effettuare l’esame intraoperatorio sul LS, sia l’alternativa di differire l’esame istologico definitivo. L’esame estemporaneo del LS utilizzando sezioni criostatiche o le apposizioni per esame citologico ha però un rischio di falsi negativi, che varia dal 65% al 100%, a secondo delle metodiche. Il trattamento del LS secondo la SIAPEC piemontese prevede di effettuare l’esame estemporaneo intraoperatorio solo in casi de effettiva necessità clinico-chirurgica (età, cardiopatie, rischi anestesiologici,...) demandando la diagnosi all’esame istologico definitivo. Radioprotezione nella chirurgia radioguidata della mammella La metodica su descritta non presenta particolari problemi di tipo radioprotezionistico, dato che le dosi somministrate sono minime e le caratteristiche del radioisotopo sono ottimali. Le dosi assorbite dai tessuti sani delle pazienti sono limitate; gli operatori ricevono dosi molto basse, che non richiedono una sorveglianza fisica della radioprotezione né una classificazione dei lavoratori nelle categorie a rischio. Basti ricordare che la dose assorbita dal chirurgo, ogni 100 casi eseguiti, è di 450 SV circa, mentre la dose limite annua per le persone del pubblico è pari a 50.000 SV (ICRP 60, D. Lgs 230/95). Conclusioni La scelta di eseguire la dissezione ascellare sulla base dell’esame istologico del LS è raccomandabile nei casi per i quali esiste indicazione. La paziente deve essere informata dei benefici e dei rischi della metodica, in particolare della possibilità ( 3%-4%) che si possa manifestare una ripresa della linfonodale ascellare che rende necessaria, nel tempo, una dissezione ascellare completa differita. È raccomandabile un attento follow-up con cadenza semestrale, che consenta di rilevare tempestivamente una eventuale ripresa linfonodale. Si raccomanda, infine, un consenso informato dedicato, sottoscritto dalla paziente prima dell’intervento. La validità della biopsia del linfonodo sentinella è oramai riconosciuta a livello mondiale e rappresenta un importante progresso nella stadiazione e trattamento 01/0 242 del carcinoma mammario, evitando la dissezione del cavo ascellare, responsabile, a volte , di una nuova malattia nella malattia. Bibliografia 1. Veronesi U, Cascinelli N, Galimberti V, et Al. Sentinel biopsy to avoid axillary dissection in breast cancer with clinically negative lymph-nodes. Lancet 1997;349:1864-7. 2. Giuliano AE, Jones RC, Brennen M, et Al. Sentinel lymphadenectomy in breast cancer. J Clin Oncol 1997;15:2345-50. 3. De Cicco C, Cremonesi M, Luini A, et Al. Lymphoscintigraphy and radioguided biopsy of the sentinel axillary node in breast cancer. J Nucl Med 1998;39:2880-4. 4. Linehan DC, Hill AD, Akhurst T, et Al. Intradermal radiocolloid and intraparenchymal blue dye injection optimise sentinel identification in breast cancer patients. Ann Surg Oncol 1999,6:450-4. 5. Pendas S, Dauway E, Giuliano R, et Al. Sentinel node biopsy in ductal carcinoma in situ patients. Ann Surg Oncol 2000;7:15-20. 6. Veronesi U, Galimberti V, Zurrida S, et Al. Sentinel lymphnode biopsy as an indicator for axillary dissection in early breast cancer. Eur J Cancer 2001;233:51-9. 7. Scharwtz GF, Giuliano AE, Veronesi U. Consensus Conference Committee. Proceedings of the Consensus Conference on the role of sentinel node biopsy in carcinoma of the breast, April 19-22, 2001, Philadelphia. Cancer 2002;94:2542-51. 8. Veronesi U, Paganelli G, Luini A, et Al. A randomized comparison of sentinel-node biopsy with routine axillary dissection in breast cancer. N Engl J Med 2003;349:546-53. 9. Noguchi N. Current controversies concerning sentinel lymph node biopsy for breast cancer. Breast Cancer Res Treat 2004,84:261-71. 10. Luini A, Galimberti V, Gatti G, et Al. Development of axillary surgery in breast cancer. Ann Oncol 2005;16:259. 11. Luman GH, Giuliano AE, Somerfield MR, et Al. American Society of Clinical Oncology Guideline Recommendations for sentinel lymph node biopsy in early breast cancer. J Clin Oncol ; 2005:7703-20. 12. Protocollo Linee Guida F.O.N.Ca.M 2005. Riferimenti iconografici (vedi sezione a fine volume) 01/0 243 LO PSICOLOGO E LO SCREENING ONCOLOGICO Francesca Salvatico, Enrica Badino, Luigi Salvatico* S.C. Psicologia, A.S.L. 15 – Cuneo *Direttore L’individuo che affronta uno screening oncologico, preludio di una possibile diagnosi di cancro, può necessitare di un adeguato supporto per riuscire a convivere con la propria situazione, organica ed emozionale, di attesa, nell’ottica di mantenere il miglior livello di qualità di vita per lui possibile. Questa condizione implica una presa in carico globale della persona e, in alcune situazioni, dei familiari; a tal proposito nasce la Psiconcologia, una materia multidisciplinare cui afferiscono primariamente culture di tipo psichiatrico e/o psicologico clinico, ma anche le importanti esperienze sul campo dell’oncologia medica, della chirurgia oncologica, della radioterapia e della chemioterapia, della terapia del dolore e della riabilitazione. Risulta una disciplina di interfaccia tra medicina e psicologia, che si occupa della prevenzione e del trattamento del distress psicologico secondario al dubbio diagnostico rispetto alla patologia oncologica, sia nei pazienti che nei familiari, in tutti gli stadi della malattia. Tra gli obiettivi di ricerca ed applicazione clinica della Psiconcologia1 vi sono la prevenzione e la diagnosi precoce, ambito di studi molto vasto all’interno del quale si collocano l’analisi delle variabili psicologiche e sociali in grado di condizionare, a diversi livelli, l’esposizione degli individui a fattori di rischio per le neoplasie (ad es. quali fattori favoriscono l’inizio ed il mantenimento del fumare, dell’assunzione di alcol, o dell’iperalimentazione…) e delle variabili che interferiscono nella prevenzione e nella diagnosi precoce di tumori (ad es. quali meccanismi difensivi individuali possono correlarsi ad un ritardo diagnostico). Già nell’ambito della prevenzione primaria (interventi finalizzati a ridurre atteggiamenti nocivi e promuovere comportamenti più salutari, ad esempio corretta alimentazione, eliminazione di fumo e alcol) lo psicologo collabora attraverso programmi psicoeducazionali volti a favorire una corretta informazione, una maggiore sensibilizzazione ed un’adeguata educazione alla salute. Nella fase di prevenzione secondaria (indagine precoce, interventi tempestivi per diagnosticare in tempo utile la patologia neoplastica), lo psiconcologo può intervenire per valutare la condizione emozionale del soggetto e modulare, così, la comunicazione in base al caso singolo, anche al fine di meglio gestire il delicato atto del “consenso informato”, inteso quale alleanza terapeutica, più che come cautela giuridica. Affiancando fin dall’inizio l’equipe medica, lo psicologo potrebbe essere riconosciuto come parte integrante del gruppo terapeutico, evitando in tal modo di favorire una stigmatizzazione del paziente in senso psichiatrico, frequente causa della difficoltà a richiedere un adeguato supporto psicologico. In caso di diagnosi di cancro, lo psiconcologo proseguirà nell’assistenza del malato in tutto l’iter terapeutico, al fine di facilitare una graduale rielaborazione dell’evento, un miglioramento dell’atteggiamento psichico verso la malattia e, di conseguenza, una maggior compliance verso il progetto terapeutico.2 01/0 244 La fase di screening/prevenzione secondaria è un momento caratterizzato da dubbi, incertezza, insicurezza. Talvolta emerge la tendenza a “lasciare perdere”, in quanto i soggetti asintomatici possono vivere la prenotazione e la visita come “perdita di tempo”, identificando l’intervento di prevenzione essenzialmente come un’azione rivolta alla collettività, cioè di sanità pubblica, ovvero “diretta agli altri”. Lo psicologo può essere il “contenitore” delle ansie e delle paure, circoscrivendo uno spazio (emozionale e relazionale) dove poter esprimere le emozioni, inizialmente caotiche, successivamente riconosciute e nominate. In molti casi si concede al soggetto di legittimare la propria condizione: spesso, ci si trova di fronte a persone che non possono, o non vogliono, parlare del rischio di malattia e dei vissuti di morte ad esso legati, per non ferire i propri familiari. Si viene ad instaurare un gioco in cui ognuno tenta di preservare l’altro dal dolore: la presunta patologia diventa tabù. Pensando ai test genetici, al di là degli indiscussi vantaggi che hanno apportato alla prevenzione, occorre tener presente cosa significano per coloro che scoprono di essere predisposti a una malattia così grave e quale possa essere l’impatto a livello psicoemozionale. “L’anticipo della diagnosi, la riformulazione del concetto di rischio, il coinvolgimento del soggetto non ancora paziente (ma già diverso da un non portatore di alterazione genetica) comportano una radicale ridefinizione e riconcettualizzazione dell’idea stessa di malattia e salute”.3 Da un punto di vista psicologico, l’equilibrio individuale rischia di essere alterato in quanto la fase prediagnostica incide direttamente sul sentimento di identità, di appartenenza familiare e sulla tolleranza nei confronti dell’ansia. L’obiettivo globale del trattamento psicologico in oncologia, anche durante la fase di prevenzione, risulta essere il miglioramento della qualità di vita: tale meta la si raggiunge agendo sul disagio manifesto con interventi specialistici, anche al fine di limitare il rischio di conseguenze psicopatologiche a distanza. È emerso come l’individuazione precoce ed il trattamento dei disturbi dell’umore diventano urgenti se si considera che un cattivo adattamento alla diagnosi sia predittivo di sintomi depressivi anche ad un anno di distanza.1 Una comunicazione di rischio e/o di diagnosi oncologica provocherà inevitabilmente dei cambiamenti a diversi livelli; tali modificazioni saranno vincolate al modo con cui la persona reagisce agli eventi in generale e a come gestisce le reazioni ansiogene e poco controllabili.4 La qualità del cambiamento e la sua efficacia nel far fronte al contenuto comunicativo possono essere influenzate dai fattori di seguito analizzati. Innanzitutto, la Struttura di personalità, in particolare l’atteggiamento del soggetto nei confronti della malattia, ad es. la tendenza ad attribuire a sé la responsabilità di ciò che accade (locus of control interno), oppure a variabili esterne non controllabili (locus of control esterno). In generale è stato rilevato un buon livello di partecipazione a comportamenti preventivi tra coloro che hanno dimostrato una buona capacità di tollerare l’ansia e l’incertezza in altre situazioni critiche presentatesi durante la loro vita. Viceversa, alti livelli di suscettibilità percepita, associati a tratti ansiosi sembrano interferire con l’aderenza ai protocolli di sorveglianza raccomandati.5 Le esperienze precedenti e gli stili di coping adottati condizionano la stima del proprio rischio. Molto spesso, chi ha avuto casi di tumore nella propria famiglia 01/0 245 tende a sovrastimare la propria probabilità di ammalarsi. Questo non sempre corrisponde ad un aumento dell’adesione a programmi di screening, in quanto i possibili sentimenti di paura ed impotenza conseguenti all’aver assistito un familiare malato possono generare atteggiamenti di negazione e sfiducia che non predispongono il soggetto ad un’adeguata prevenzione. Numerosi studi concordano sul fatto che l’età incida sul rischio di sviluppare disturbi di ordine psicologico, in particolare della sfera affettiva: i giovani risulterebbero più vulnerabili e pertanto trarrebbero maggior beneficio da un adeguato piano di intervento psicologico, che consenta loro di gestire l’ansia, lo stress e la sensazione di perdita di controllo che la fase prediagnostica può comportare.6 Nell’ambito dei programmi di screening, un altro aspetto che è stato oggetto di ricerche riguarda la valutazione degli effetti a lungo termine nel caso in cui la persona vada incontro ad un falso-positivo. In uno studio di Brett e Coll. (1998)7 sono state seguite, per un periodo di 5 mesi, donne che avevano dovuto seguire ulteriori indagini diagnostiche dopo una prima mammografia, al termine delle quali il risultato negativo era certo. Anche a 5 mesi di distanza, queste donne presentavano conseguenze psicologiche importanti e, in particolare, livelli di ansia elevati. In un altro studio, il gruppo di donne che aveva ricevuto un risultato falso-positivo riportava più frequentemente pensieri intrusivi e maggior ansia e preoccupazione riguardo il cancro al seno, un incremento del numero di auto-esami tramite l’autopalpazione, un aumento dei sintomi collegati al tumore al seno, sia nei due mesi successivi che ad un anno di distanza dallo screening.8 In sintesi, la disponibilità ad effettuare determinati esami clinici ed ad impegnarsi in misure di prevenzione e controllo sarà sicuramente determinata dalle caratteristiche di personalità del soggetto e da quelle delle misure preventive proposte, dalle aspettative, dalle speranze, dalla capacità di tollerare l’ansia e l’insicurezza. La qualità della relazione terapeutica risulta, tuttavia, essere un elemento trasversale fondamentale nel riconoscimento e nella gestione delle problematiche emozionali. In conclusione, per cercare di ridurre al minimo le conseguenze psicologiche negative di chi si sottopone ad un esame di screening, l’intervento primario è quello di informare in modo completo, accurato e comprensibile la popolazione. Qualora i sintomi psicologici dovessero persistere anche dopo l’esame, sarebbe opportuno offrire un sollecito intervento psicologico per favorire l’elaborazione dell’esperienza e ridurre il disagio conseguente. Bibliografia 1. Grassi L, Marasso G. Psico-oncologia: lusso o necessità? Giornale Italiano di Psico-Oncologia. 1999;1:4-9. 2. Mussa A, Torta R. Psiconcologia. Centro Scientifico Editore,Torino,1997. 3. Tamburini M, Santosuosso A. (Eds). Malati di Rischio. Implicazioni etiche, legali e psico-sociali dei test genetici in oncologia. Masson, 1999. 4. Biesecker BB, Boehnke M et Al. Genetic counseling for families with inherited susceptibility to breast and ovarian cancer. JAMA, 1993;269:1970-4. 01/0 246 5. Kash KM, Holland JC, Halper MS, et Al. Psychological distress and surveillance behaviours of women with a family history of breast cancer. J Natl Cancer Inst, 1992; 1,84(1):24-30. 6. Compas BE, Stoll M et Al. Adjustment to breast cancer: age-related differences in coping and emotional distress. British Cancer Research and Treatment, 1959;54:195-203. 7. Brett J, Austoker J, Ong G. Do women who undergo further investigation for breast screening suffer adverse psycological consequences? A multi-center followup study comparing different breast screening result groups five months after their last breast screening appointment. J Public Health Med 1998;20(4):396-403. 8. Aro AR, Pilvikki Absetz S, van Elderen TM et Al. False-positive findings in mammography screening induces short-term distress–breast cancer-specific concern prevails longer. European Journal of Cancer, 2000;32A(10):1089-97. 01/0 247 Riferimenti iconografici Giovanni Cera, Gigliola Serrati AGCUS - cellule endocervicali atipiche probabilmente neoplastiche LSIL - coilocitosi 01/0 248 HSIL – CIN 2 HSIL – CIN 3 Flavio Cigna Mammografia con distribuzione simmetrica dei suoi componenti Distorsione parenchimale corredata di immagine ultrasonica 01/0 249 Calcificazioni Noduli, discretamente regolare a destra, irregolare a sinistra Noduli a margini irregolari 01/0 250 I controlli nel 1990 (a sinistra) e nel 1991 (al centro) non erano sufficientemente evocativi rispetto al dato del 1995 (a destra) Vincenzo Costa (da: Boselli F. Testo-Atlante di Colposcopia) Portio 01/0 251 CIN 1 CIN 3 Ca in situ 01/0 252 Ca microinvasivo Ca invasivo Renzo Ferraris Polipo maligno 01/0 253 Adenoma tubulare Adenoma villoso della flessura splenica Ca in situ 01/0 254 Adenocarcinoma del sigma Adenocarcinoma del colon discendente Gianpaolo Sacchetto 01/0 255 01/0 256 Stampato in n. 2000 copie nel mese di agosto 2006 da AGA artigraficheassociate - Cuneo 01/0