DEI VERBUM
Costituzione dogmatica sulla Rivelazione di Dio – 18.11.1965
Il testo del documento si può scaricare da:
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/index_it.htm
Indice dei capitoli:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
La rivelazione
La trasmissione della divina rivelazione
L’ispirazione divina e l’interpretazione della Sacra Scrittura
Il Vecchio Testamento
Il Nuovo Testamento
La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa
Premessa
La Dei Verbum (DV) tiene conto di un mutato clima ecclesiale, che si esprime tra l’altro nel nuovo
rapporto tra fede vissuta e Parola rivelata, soprattutto quella trasmessa dalla Bibbia. Uno degli
effetti collaterali negativi delle decisioni del Concilio di Trento nel suo tentativo di arginare rischi
creati dalla Riforma protestante, è stato appunto quello di allontanare sempre più sensibilmente i fedeli, soprattutto i fedeli laici, dal contatto diretto con il testo sacro. Si era arrivati ad una situazione
paradossale nella quale, mentre i protestanti si vantavano di una dimestichezza e di una conoscenza
approfondita della Bibbia, i cattolici avevano quasi paura di tenerla fra le mani. Ne ascoltavano solo
ordinariamente la lettura - e per di più in una lingua non propria - nelle celebrazioni liturgiche.
Non pochi gruppi ecclesiali avevano cominciato a reagire al riguardo. Una ventata di fervore biblico
aveva invaso la Chiesa nei decenni che precedettero immediatamente il Vaticano II. Tale fervore
sfociò anche nella costituzione sulla divina rivelazione, che più di una volta invita i credenti in
genere, e le diverse categorie ecclesiali, a riprendere in mano la Bibbia. “È necessario che i fedeli
abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura”, dice al n. 22. E, nello stesso numero, introducendo
l’invito a curare la sua traduzione, ribadisce ancora: “La Parola di Dio deve essere a disposizione
di tutti in ogni tempo”.
Aspetti fondamentali sottolineati dal documento:
a)
b)
c)
d)
e)
Una nuova impostazione di fondo per parlare della rivelazione di Dio e della fede dell’uomo
Il senso teologico della storia
Il protagonismo dei fedeli
La funzione del magistero
I criteri rinnovati di interpretazione della Scrittura
a) Una nuova impostazione di fondo per parlare della rivelazione di Dio e della fede dell’uomo
La novità espressa nella DV consiste non tanto nei contenuti quanto in una nuova sensibilità culturale a partire dalla quale viene impostato il discorso: la rivelazione non è un concetto astratto (da
comprendere, da spiegare) ma una relazione personale (da sperimentare, da vivere, da
approfondire).
La costituzione apre il suo primo capitolo affermando che tale rivelazione ha la sua radice nella
decisione di Dio di rivelare “se stesso e il mistero della sua volontà” (n. 2), cioè il suo progetto di
salvezza (cf. Efesini 1,9). Non si tratta dunque di un mero comunicare, da parte di Dio, dei
“misteri”, ossia delle “verità” che superano la capacità dell’intelligenza umana, come veniva
concepita comunemente nell’ impostazione anteriore, ma come un aprire, da parte di Dio, la propria
interiorità divina, il proprio segreto personale più intimo, per libera e amorevole decisione, all’uomo
per offrirgli la possibilità di una comunione nell’amicizia. “Nel suo grande amore Dio parla agli
uomini come ad amici, e si intrattiene con essi per invitali e ammetterli alla comunione in sé” (cf.
Esodo 33, 11; Giovanni 15, 14-15; Baruc 3, 38).
Nella stessa ottica, la fede è intesa come risposta alla rivelazione divina (n. 5): “A Dio che rivela è
dovuta ‘l’obbedienza della fede' (Romani 16, 26; cf Romani 1, 5; 2 Corinzi 10, 5-6), con la quale
l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero liberamente”, e non già semplicemente l’intelligenza, e la
sua risposta fondamentale è quella dell’abbandono fiducioso al Dio che si rivela personalmente.
Tutte puntualizzazioni che conferiscono al credere una caratterizzazione apertamente relazionale.
b) Il senso teologico della storia
Nella DV un’attenzione particolare è riservata al rapporto tra rivelazione e storia con l’intento di
rivalutare i fatti storici, gli avvenimenti del popolo credente, come parte della rivelazione stessa,
non come semplice conferma o puro chiarimento delle “parole” di Dio.
La DV afferma così che il progetto della rivelazione si realizza “mediante eventi e parole
intimamente connessi” (n. 2) e, riferendosi specificamente agli avvenimenti, sostiene che “le parole
portano alla luce il mistero in essi contenuto”. Se “mistero” significa il piano divino di salvezza
per gli uomini (cf n. 1), qui si dice che tale mistero è “contenuto” negli eventi. Essi sono, di
conseguenza, abitati dal mistero prima ancora che le parole lo dicano. Hanno uno spessore divino di
salvezza che le parole non fanno che svelare. Parola di Dio non è quindi solo né principalmente la
parola pronunciata, ma la storia stessa del popolo credente. Le conseguenze di una tale concezione
saranno tratte in un’altra Costituzione, la Gaudium et Spes, al n. 11a, dove questo agire di Dio nella
storia abbraccerà non solo la storia del popolo credente, bensì quella dell’umanità in quanto tale.
c) Il protagonismo dei fedeli
Siamo nell’ambito del capitolo secondo, dedicato al tema della trasmissione della divina rivelazione, la Tradizione, che insieme con la Scrittura costituisce come un unico specchio nel quale
la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio (cf n. 7b). La Tradizione “progredisce nella Chiesa con
l’assistenza dello Spirito Santo” (cf n. 8b), è quindi per sua natura “dinamica”. Tra i fattori di
questo progresso, la costituzione enumera come primi la riflessione dei credenti e l’esperienza
spirituale dei medesimi, e solo dopo la predicazione di coloro che con la successione apostolica
hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Dopo secoli di una visione che attribuiva
prevalentemente - e alle volte quasi esclusivamente - al magistero autoritativo il servizio della
Parola, ora viene riconosciuta la funzione intralasciabile della totalità dei credenti in tale servizio.
d) La funzione del Magistero
Ancora in questo contesto, un terzo contributo riguarda il rapporto tra Magistero della Chiesa e
Parola rivelata: “L’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è
affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il
quale magistero però non è superiore alla Parola di Dio ma ad essa serve, insegnando solo ciò che
è stato trasmesso (...)” (n. 10a). Non quindi padrone, ma servo: della Parola e della comunità che
l’accoglie nella fede. Quando il Papa o i vescovi si esprimono in materia di fede e/o di morale, il
loro magistero apre al singolo credente e all’intera comunità strade nuove per poter comprendere la
Parola di Dio e rileggerla alla luce delle circostanze presenti, in vista di un’applicazione concreta in
circostanze nuove o di una comprensione maggiore del progetto di Dio in mutate condizioni
storiche di vita.
e) Criteri rinnovati di interpretazione
Nel contesto della Parola scritta, di quella cioè che è contenuta nei libri della Sacra Scrittura (cf n.
11a) e che la Chiesa ha sempre venerato come ha fatto con il Corpo stesso di Cristo (cf n. 21a), la
DV ha affrontato anche il tema riguardante la sua interpretazione.
In concreto, partendo dall’affermazione agostiniana secondo la quale nella Scrittura Dio ha parlato
per mezzo di uomini e alla maniera umana (cf n. 12a), ha enunciato il principio fondamentale
secondo il quale per capire ciò che Dio ha voluto comunicare attraverso gli scritti, bisogna ricercare
con attenzione che cosa gli scrittori stessi abbiano inteso significare. E ha ancora specificato che,
per cogliere ciò che gli autori sacri hanno voluto significare, occorre tener conto, tra l’altro, dei
“generi letterari” da loro adoperati.
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