LA PROTEOLISI MEDIATA DA UBIQUITINA
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Mentre si è spesa moltissima attenzione e ricerca scientifica verso la comprensione del
meccanismo e del controllo della sintesi proteica nel secolo scorso, la funzione inversa, cioè la
degradazione proteica, è stata considerata a lungo molto meno importante.
Il concetto di turnover proteico ha meno di 60 anni. Fino agli anni 40-50 del secolo scorso le
proteine intracellulari (strutturali e funzionali) erano considerate dei costituenti essenzialmente
stabili, mentre le proteine della dieta agivano come entità separate ed erano soggette ad una
degradazione a scopi energetici. Soltanto i primi esperimenti con marcature metaboliche che
utilizzavano aminoacidi radioattivi dimostrarono che le proteine corporee andavano incontro ad un
continuo turnover, erano cioè continuamente sintetizzate e degradate. Negli anni 50 la scoperta
del lisosoma ha condotto a considerare che le proteine cellulari vengono degradate in questo
organello. Tuttavia, quasi subito molti esperimenti hanno portato a distinguere una via di
degradazione lisosomiale, per le proteine extracellulari, e una via di degradazione non
lisosomiale per le proteine intracellulari. Per esempio, marcando metabolicamente le proteine
endogene nel macrofago con 3H-leucina e dandogli da mangiare macrofagi morti marcati
precedentemente con 14C-leucina, si potè seguire il destino delle proteine intracellulari ed
extracellulari, rispettivamente. Utilizzando inibitori lisosomiali si trovò che inibivano specificamente
la degradazione delle proteine extracellulari, ma non quella delle proteine intracellulari.
Un’altra differenza importante tra le due vie era data dall’osservazione che la proteolisi
intracellulare richiedeva energia, sotto forma di ATP. Questo è paradossale dal punto di vista
termodinamico, dal momento che la proteolisi è un processo esoergonico. L’energia doveva
evidentemente essere richiesta non per il processo proteolitico di per sé stesso ma doveva essere
usata indirettamente.
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La linea del tempo qui sopra mostra le tappe principali che hanno portato alla scoperta della
degradazione proteica intracellulare.
La spiegazione per la paradossale osservazione che la proteolisi intracellulare richiede energia fu
data dagli studi biochimici di Aaron Ciechanover e Avram Hershko negli anni 70-80. Per la loro
scoperta hanno guadagnato il Nobel per la Chimica nel 2004, insieme con Irwin Rose. Essi
dimostrarono che la degradazione delle proteine intracellulari avviene in una serie di reazioni
successive che hanno lo scopo di etichettare con una catena di poliubiquitina le proteine substrato.
Solo dopo essere state etichettate con l’ubiquitina le proteine vengono distrutte.
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Era stato descritto un sistema “cell-free” di degradazione ATP dipendente nei reticolociti (globuli
rossi immaturi, senza lisosomi), che catalizzava la degradazione dell’emoglobina denaturata in
maniera ATP dipendente. Ciechanover e Hershko pensarono di rimuovere l’emoglobina per
cromatografia su scambio ionico, producendo due frazioni: la frazione 1, contenente l’emoglobina
nativa, e la frazione 2, con le proteine adsorbite. Ciascuna frazione era completamente inattiva da
sola, mentre la combinazione delle due rocostituiva la degradazione ATP-dipendente.
Aggiungendo i componenti isolati della frazione 1 alla frazione 2 cruda per determinare i
componenti necessari, isolarono l’APF-1 (ATP dependent Proteolytic Factor 1) una proteina di 9
kD che si dimostrò essere l’ubiquitina. L’ubiquitina si legava covalentemente alle molecole della
frazione 2.
La figura mostra un saggio di ubiquitinazione del lisozima: questo viene
poliubiquitinato dalla frazione 2 solo in presenza di APF-1 e ATP
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La scoperta che APF1 era legato covalentemente al substrato proteico e che ne stimolava la
proteolisi in presenza di ATP e della frazione 2 portò al modello in cui le modificazioni al substrato
arrecate dallla poli-ubiquitina lo rendevano riconoscibile come bersaglio di una non ancora
identificata proteasi. Questa fu successivamente identificata nel proteosoma 26S. Dalla frazione 2,
con esperimenti di ulteriore frazionamento e ricostituzione, furono identificati 3 enzimi: E1, l’enzima
che attiva l’Ub; E2, l’enzima di coniugazione ed E3, la proteina ligasi dell’ubiquitina. Quest’ultimo è
il componente che possiede la specificità di substrato.
In presenza di ATP e di E1, il gruppo carbossiterminale dell’ubiquitina si lega all’adenilato,
liberando pirofosfato, e l’ubiquitina attivata è trasferita sul gruppo sulfidrilico di una cisteina di E2.
Successivamente, l’ubiquitina viene trasferita su un gruppo sulfidrilico di E2. Infine E3, avvicinando
E2 al substrato, catalizza il trasferimento dell’Ub da E2 a un gruppo ε-amminico di una lisina della
proteina substrato, con un legame isopeptidico.
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Le successive reazioni di trasferimento legano l’Ub sull’aminoacido 46 dell Ub già coniugata. Sono
possibili però anche altre reazioni che legano i residui di Ub su altre posizioni. A seconda del tipo
di poliubiquitinazione il destino della proteina è diverso: catene su 46 indirizzano la proteina verso
il proteasoma, mentre catene legate su altre Lys o eventi di monoubiquitiniazione regolano l’attività
di proteine nucleari. Nella via degradativa, le proteine ubiquitinate vengono direzionate al
proteosoma. Il complesso , costituito da una gran numero di proteine, degrada il substrato in
maniera ATP-dipendente in piccoli peptidi, mentre le Ub vengono rilasciate grazie all’azione di
idrolasi.
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La linea cellulare di carcinoma mammario chiamata ts85 presentava un fenotipo caratteristico di
arresto “temperature-sensitive” nella fase G2 del ciclo cellulare. Varshavsky osservò che in queste
cellule. Questa linea cellulare ha l’enzima (E1) attivante l’ubiquitina “temperature-sensitive”.
Diversamente dalle cellule parentali, le ts85 smettono di degradare le proteine a vita corta quando
sono alla temperatura nonpermissiva.
alfa , beta e gamma denotano le bande del lisozima che contengono quantità crescenti di 125Iubiquitina.
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L’enzima E1 purificato dalle cellule wt (FM3A) formava l’ ubiquitina-E1 tioestere, E1-S~u, un
intermedio nel trasferimento dell’ubiquitina attivata alle proteine accettrici in presenza di 125Iubiquitina e ATP. La figura mostra che alla temperatura permissiva (30°C), E1-S~u è presente
anche nelle ts85, mentre non viene più evidenziato alla temperatura restrittiva (40°C).
Le ts85 fornirono la prima evidenza che la coniugazione con l’ubiquitina era necessaria per la
degradazione proteica in vivo e che era coinvolta nella progressione del ciclo cellulare. Solo diversi
anni più tardi fu dimostrato che il difetto nella progressione nel ciclo cellulare veniva recuperato in
seguito alla trasfezione del cDNA per l’enzima wt E1, dimostrando che l’ubiquitinazione regola il
ciclo cellulare.
Fu nel 1991 che si riconobbe il ruolo centrale giocato dalla via ubiquitina/proteosoma nella
progressione nel ciclo cellulare. In particolare furono scoperte le due famiglie dei complessi
ubiquitina ligasi E3, chiamate complesso SCF(Skp/Cullin/Fbox) e APC(Anaphase Promoting
complex).
Fu riconosciuto il ruolo essenziale della poliubiquitinazione nella degradazione del substrato da
parte del proteasoma.
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Come la maggior parte delle modificazioni proteine, l’ubiquitinazione è un processo reversibile . La
rimozione dell’ubiquitina è effettuata dagli enzimi di deubiquitinazione (DUB), di cui si conoscono
due famiglie DUB o UBP (ubiquitin-specific processing proteasis, che rimuovono l’ubiquitina dalle
proteine più grandi e rimuovono l’intera catena di poli-UB , e le UCH (ubiquitin c-terminal
hydrilases) che sono attive su piccoli peptidi.
Alla metà degli anni 80 si conosceva soltanto un enzima E1 e pochi E2 , E3. Oggi sappiamo che
ci sono circa 50 E2 e più di 100 E3. Inoltre esistono anche altre sistemi di coniugazione con
proteine ubiquitin-like come Nedd8 e Sumo.
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Oggi Si sa che gli enzimi E3 sono di due tipi: quelli che utilizzano il dominio HECT , in cui lo stesso
polipeptide lega sia E2 sia il substrato, e quelli che utilizzano il dominio Ring per legare E2 e un
dominio o addirittura un polipeptide diverso per legare il substrato.
Alcune famiglie di E3 con il Ring domain hanno sviluppato la costruzione modulare all’estremo: per
es. nel complesso SCF una proteina scaffold, cullin, adattatrice tiene insieme il modulo che lega
E2 e quello che riconosce il substrato (F box).
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La maggior parte delle proteine con vita corta sono degradate dalla via ubiquitina/proteasoma.
Come avviene il riconoscimento del substrato? La maggior parte dei substrati contengono un
amino gruppo alfa libero. Secondo la “N-end rule” gli aa basici (Arg, Lys, His) destabilizzano l’ Nterminale che viene riconosciuto da una speciale ubiquitina ligasi.
Tutte le proteine sono inizialmente sintetizzate con una metionina come residuo N-terminale che è
molto stabile per la regola N-end. Speciali proteasi remuovono questa metionina, lasciando spesso
un altro residuo stabile, successivamente altre proteasi rimuovono un frammento N-terminale
lasciando un arginina N-terminale, un residuo destabilizzante.
Molte altre modificazioni post-traduzionali del substrato determinano il riconoscimento del
substrato da parte delle E3.
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