Consulta della Pastorale della Scuola
della Diocesi di Verona
Quaderno della Consulta - 1
Come comunicare
con le giovani
generazioni
Educazione e
nuove tecnologie
a cura di Maurizio Viviani
Verona 2008
Presentazione
di don Maurizio Viviani
Direttore dell’Ufficio di Pastorale della Scuola della Diocesi di Verona
I Vescovi italiani in una Nota pastorale sull’Insegnamento della Religione
Cattolica, pubblicata nel 1991, precisano l’attenzione della Chiesa per la pastorale
della scuola e la necessità di una presenza più efficace nel mondo dell’educazione. Vi
si legge: “La responsabilità della comunità cristiana per l’Insegnamento della Religione
Cattolica è parte di quel vasto e consolidato impegno che i cristiani hanno sempre
profuso per la scuola e nella scuola. Si tratta, soprattutto oggi, di un compito di
animazione cristiana dell’ambiente scolastico che, mentre rispetta l’identità della scuola
e la sua legittima autonomia, valorizza e stimola in maniera esigente i suoi dinamismi
culturali, pedagogici e didattici perché meglio servano le persone, specialmente le più
svantaggiate. L’Insegnamento della Religione cattolica, con la proposta di valori cristiani,
insieme originali e profondamente umani, arricchisce la vocazione della scuola ad essere
luogo di ricerca della verità e del senso della vita personale e comunitaria”1. Questo
pronunciamento, accanto a molti altri, sottolinea l’importanza di un’animazione cristiana
del complesso e variegato mondo della scuola, sia statale sia paritaria.
A questo riguardo, non va dimenticato l’impegno di numerosi dirigenti scolastici
e docenti cattolici che, con forme più o meno visibili, testimoniano coerentemente la
loro fede e spendono le loro migliori energie professionali e le loro competenze nella
formazione dei ragazzi. E le forme di presenza e di impegno dei genitori cattolici anche
nella scuola veronese sono numerose. Si può quindi parlare di una vivace “pastorale
della scuola” anche nella diocesi di san Zeno.
L’organismo che cerca di tenere le fila, di sostenere e di incentivare le numerose
attività presenti nell’ambiente scolastico è la Consulta diocesana della Pastorale della
Scuola. Presente da diversi anni come organismo di sintesi e di rielaborazione di proposte
formative, la Consulta ha tentato negli ultimi anni di sostenere e di incrementare la
presenza e l’impegno di tutte le persone che nella scuola hanno a cuore l’educazione
dei ragazzi e dei giovani.
La Consulta, nella consapevolezza che per migliorare il proprio servizio
educativo e formativo è necessario conoscere e approfondire gli elementi di novità
della cultura e dell’educazione, ha pensato nello scorso anno scolastico 2007/08 di
focalizzare l’attenzione su uno dei temi segnalato dai diversi “attori” della scuola
(studenti, insegnanti, dirigenti e pedagogisti) come emergente e strategico: come
comunicare con le giovani generazioni. Riguardo al tema scelto, i membri della Consulta,
a diverso titolo presenti nella scuola veronese, hanno dichiarato inizialmente un duplice
disagio. Il primo: riguardante le nuove tecnologie, guardate con sospetto da tanti adulti
e digerite senza grandi problemi dai ragazzi e ormai anche dai bambini. Il secondo:
riguardante la comunicazione con i ragazzi di oggi, che va ripensata in riferimento alle
epocali trasformazioni del contesto comunicativo e sociale.
1 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Insegnare Religione Cattolica oggi. Nota pastorale, Roma 1991, n° 28.
La Consulta si è messa così, riguardo al tema, in stato di laboratorio, chiedendo
ad alcuni professionisti di offrire degli stimoli per approfondire un argomento
tanto affascinante quanto impegnativo. Affidandosi ad esperti, la Consulta ha quindi
approfondito il tema scelto in tre incontri successivi. I contributi forniti degli esperti
hanno permesso di approfondire notevolmente la riflessione.
Man mano che procedeva la riflessione, si faceva strada nella Consulta il
desiderio di condividere con altre persone l’interesse per conoscere i new-media, pane
quotidiano dei più giovani, e individuare nuove modalità efficaci di comunicazione nella
trasmissione dei saperi e dei valori. Si è pensato, pertanto, di non chiudere la riflessione
tra le quattro mura, ma di rilanciarla, coinvolgendo la città e soprattutto il mondo della
scuola.
In tale prospettiva si è creato questo “Quaderno della Consulta” (che ci
si augura sia il primo di una serie) contenente le riflessioni, acute e stimolanti, dei
docenti invitati, riunite sotto il titolo di “Come comunicare con le giovani generazioni.
Educazione e nuove tecnologie”.
Il presente quaderno contiene tre riflessioni, tra loro collegate. Il professore
Bordoni Gabriele, docente allo Studio teologico “San Zeno di Verona”, affronta il
tema “Tr@s-formazioni del campo comunicativo: sfide e opportunità”. Il suo doppio
contributo, rapportato all’insieme del campo comunicativo (sociale e antropologico) di
cui i new-media fanno parte e di cui sono agenti di trasformazione, permette di cogliere
come opportunità e sfida il ridisegnarsi delle coordinate antropologiche, culturali e
sociologiche del vivere umano nell’epoca della cosiddetta “comunicazione digitale”.
Le nuove forme di comunicazione richiedono non soltanto una formazione
all’utilizzo, ma anche e soprattutto una ri-formulazione a 360 gradi della pedagogia
della comunicazione. Pertanto, ci siamo avvalsi delle competenze e dell’esperienza della
prof.ssa Marilena Pagiato docente allo Studio teologico “San Zeno di Verona”. Essa
affronta il tema de “La comunicazione e alcune sfide educative. Brainframes e nuovi
rapporti con la realtà”. Partendo da alcune situazioni quotidiane, la Pagiato descrive
le tipologie di comunicazione dei ragazzi di oggi, mostrandone, accanto a risvolti
problematici, il portato di sfida, di fascino e di bellezza.
Il professor Maurizio Compagni, docente al Liceo “Maffei” di Verona, nel suo
contributo: “Comunicazione, multimedialità e didattica. Appunti di riflessione e di
possibili interventi nella scuola”, affronta sia la comprensione dei nuovi stili cognitivi sia
la conoscenza e l’uso delle nuove forme di comunicazione.
Ci si augura che tali riflessioni sulla comunicazione verso e con le giovani
generazioni contribuiscano a sostenere le formidabili risorse educative presenti a
Verona, oggi più che mai sollecitate a vivere con grande passione una della più nobili
professioni, quella dell’educare, che è poi un “in-segnare”: ovvero un lasciare un segno,
una traccia, nella vita “in divenire” dei giovani.
TR@S-FORMAZIONI DEL CAMPO
COMUNICATIVO: SFIDE E OPPORTUNITÀ
Bordoni Gabriele
Il contributo riproduce gli appunti di due interventi tenuti presso la Consulta
della Pastorale scolastica della Diocesi di Verona.
Si è voluto anche per la pubblicazione mantenere quasi inalterata la forma di
“appunti” in quanto tale forma sembra più adeguata a rispecchiare sia lo stato
dell’evoluzione del complesso campo della comunicazione digitale e dei fenomeni
che la caratterizzano, sia lo stato delle relative ricerche scientifiche, ancora molto
frammentate, per certi versi contraddittorie e i cui risultati indubbiamente non
sono racchiudibili in una trattazione lineare.
La proposta allora, più che costituire un saggio esaustivo, si presenta come
una specie di traccia di lavoro per una ricerca ulteriore, sia sui fenomeni della
comunicazione digitale, sia sulle loro possibili interpretazioni. In questa linea
sono pensate anche le indicazioni bibliografiche che vengono proposte come
aperture per ulteriori approfondimenti.
1. Premessa: il perché di un titolo
Il titolo scelto cerca di inquadrare
- sia il punto di partenza da cui lasciarsi stimolare a rivisitare i fenomeni
della comunicazione
- sia la modalità di approccio che vogliamo adottare
e questo attraverso alcune particolarità:
- l’utilizzo dell’at (@; chiocciola)1 ci rimanda alla dimensione dello sviluppo
“digitale” delle forme della comunicazione (new-media)
- vogliamo cogliere tale sviluppo non in sé, ma inserendolo e rapportandolo
all’insieme del campo comunicativo (sociale e antropologico), di cui i newmedia fanno parte e di cui sono agenti di trasformazione
- questo porta ad accostare la nascita di nuove forme di comunicazione
o non nella linea di un progressivo accumularsi di strumenti di
comunicazione indifferenti gli uni agli altri,
o ma adottando la prospettiva (offerta da McLuhan2) della rimediazione
continua, tanto delle singole forme quanto del loro insieme e quindi
1B.DANET,@loha,URL:http://hotwired.wired.com/hardwired/wiredstyle/97/20/pickingbrains.
html; S. HERRON, A Natural History of the @ Sign. Part One: The many names of @, URL:
http://www.herodios.com/herron_tc/atsign.htm; K.-E. TALLMO, @ - a Sign of the Times, URL:
http://art-bin.com/art/asignoftimes.html.
2 Cfr. MCLUHAN M., Gli strumenti del comunicare, NET, Milano 2002.
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delle loro relazioni, che ogni nuova forma provoca nel campo
comunicativo
il trattino che rompe la familiarità con la parola “trasformazione” attira
l’attenzione
o sia sul fatto che tale logica di rimediazione del campo comunicativo
è da cogliere nella linea di una rielaborazione della figura (forma)
globale della comunicazione (mai già data in assoluto)
o sia sul fatto che l’emergere di nuove forme di comunicazione richiede
non soltanto una formazione all’utilizzo, ma anche e soprattutto una
ri-formulazione a 360° della pedagogia alla comunicazione
il trattino inoltre permette di intravvedere dietro il “tras-” anche il “de-”
come rischio (la cui gravità è proporzionale alle potenzialità delle forme)
che
o se da un lato è generato dall’introduzione delle nuove tecnologie
comunicative,
o dall’altro non è semplicemente legato solo alle singole tecnologie, ma
chiama in causa globalmente le modalità formative di tutto il campo
comunicativo.
questo permette di evitare le posizioni estreme, ed entrambe inadeguate,
rese famose dalla definizione di U. Eco3: né apocalittici (che attribuiscono
alle tecnologie in sé il potere distruttivo) né integrati (che all’opposto
attribuiscono alle tecnologie in sé il potere del miglioramento della
società);
la logica che vogliamo seguire non è una impossibile via di mezzo tra le
due (che in realtà condividono la stessa logica strumentale estrinseca
nell’interpretazione degli strumenti del comunicare) ma la logica
completamente diversa che ci porta a poter cogliere le variazioni che
l’introduzione di nuove tecnologie comunicative provocano nella figura
globale del campo comunicativo come sfide e opportunità per comprendere
e ridisegnare le coordinate antropologiche, culturali e sociologiche del
vivere umano nell’epoca della cosiddetta “comunicazione digitale”.
Infine sembra necessario non lasciare scontata la comprensione di cosa si intende
per “campo comunicativo”: sono sempre più convinto che uno dei frutti più
significativi degli studi sulla comunicazione, stimolati dallo sviluppo delle forme
digitali, sia aver ridisegnato la figura antropologica e sociale della comunicazione4:
- da un lato nella necessità di superare l’idea di comunicazione come
3 Cfr. ECO U., Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano 1964.
4 Cfr B.W. PEARCE, Comunicazione e condizione umana, FrancoAngeli, Milano 1998; A.
PIROMALLO GAMBARDELLA, Le sfide della comunicazione, Editori Laterza, Roma-Bari 20023;
G. MANTOVANI, Comunicazione e identità. Dalle situazioni quotidiane agli ambienti virtuali, Il
Mulino, Bologna 1995.
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azione estrinseca e strumentale tanto rispetto all’uomo che alla società
(l’uomo / la società che fa comunicazione!), azione che si colloca a fianco
di tante altre azioni che l’uomo / la società fa
o e questo superamento si realizza quando si ridisegna la comunicazione
come una dimensione di ogni agire umano (e non solo di quello che
definiamo esplicitamente comunicativo)
o per cui le modalità dell’essere umani e dell’essere in relazione sono
insieme generate, espresse e modificate dalle modalità comunicative
(l’uomo / la società è comunicazione!)
dall’altro nella necessità di ricomprendere anche gli strumenti
del comunicare all’interno di questa visione dimensionale della
comunicazione
o innanzitutto come parte del dinamismo di elaborazione dell’essere
umani e in relazione per cui sono sempre sia frutto sia agenti di tale
dinamismo
o e quindi da non considerare mai solo come strumenti (neutri, deboli o
potenti) da utilizzare o da esecrare, ma come oggettivazioni di forme
e dinamiche antropologiche, culturali e sociologiche.
Prima Parte
ELEMENTI PER UNA RILEVAZIONE
FENOMENOLOGICA
2. Premesse
2.1. Prima premessa: perché il “digitale”
Prima di e per affrontare il difficile compito di eseguire una rilevazione
fenomenologica delle nuove forme di comunicazione sembra importante
individuare quale è la specificità che caratterizza tali nuove forme.
Una prima risposta è quella valida per motivare l’introduzione di tutte le forme
di comunicazione dall’invenzione della scrittura in poi:
- perché permette di eseguire “meglio” compiti comunicativi
- cosa poi voglia dire questo “meglio” è tutto da definire rispetto alle
singole forme di comunicazione
- senza cadere nell’assolutizzazione del “meglio”:
o né in termini di sostituzione migliorativa della forma precedente
o né in termini di copertura quantitativa globale del campo
comunicativo
- ma invece sapendo individuare
o sia quale particolare compito comunicativo è tipico della nuova
forma comunicativa e quindi può essere eseguito in maniera più
adeguata da essa, ma senza sostituire le altre forme di comunicazione,
che permangono attive con il loro specifico apporto al campo
comunicativo globale
o sia quali aggiunte e variazioni del campo comunicativo globale sono
attivate dalla nuova forma comunicativa
o sia quali ri-mediazioni delle precedenti forme comunicative sono
operate dall’introduzione della nuova forma
- questo permette di ripensare la storia dello sviluppo delle forme di
comunicazione:
o superando l’idea (tutta illuministica!) di uno sviluppo lineare
progressivo delle forme di comunicazione
o per approdare ad un approccio sistemico dello sviluppo della
complessità del campo comunicativo e delle forme in cui si esprime
o superando l’idea (tutta romantica!) della contrapposizione tra
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comunicazione“umana” e comunicazione“mediata tecnologicamente”;
prospettiva che va per la maggiore, ma che non sa riconoscere
almeno due aspetti (su cui ritorneremo):
ƒ che non esiste in realtà una comunicazione im-mediata
ƒ che quindi non esiste comunicazione che non sia caratterizzata
da una qualche forma di tecnologia della parola
o aspetti che portano ad evitare il confronto (s-)valutativo tra
la cosiddetta comunicazione interpersonale e la cosiddetta
comunicazione (mass-)mediata, per passare invece ad una analisi
delle diverse e molteplici dinamiche comunicative che, attraverso
varie forme e tecnologie, compongono la complessità del campo
comunicativo globale
Una seconda risposta è relativa quindi all’individuazione della specificità delle
tecnologie comunicative basate sul “digitale”.
Risulta innanzitutto essenziale alla chiarezza dell’approccio fenomenologico
distinguere tra le semantiche del termine “digitale” (che invero vengono spesso
confuse e sovrapposte):
- digitale in senso generale/semiotico: dice tutta la dimensione di
codifica dei messaggi attraverso codici basati
o non su una qualche forma di analogia tra i codici e la realtà
o ma su elementi discreti e convenzionali (in questo senso anche la
scrittura alfabetica è un codice digitale)
o “digitale” si contrappone quindi ad “analogico” come codici
incommensurabili e intraducibili tra loro5;
- digitale in senso specifico/tecnologico: dice il particolare codice
elettronico basato sulla possibilità di riduzione di ogni messaggio ad
un segnale binario (0 – 1; tipico dei circuiti elettrici che ammettono
solamente i due stati di “acceso” / “spento”)
o la fortuna del codice digitale binario è data da diversi fattori:
ƒ la facilità di conservazione, manipolazione e trasmissione dei
messaggi
ƒ la possibilità di riduzione di ogni messaggio (anche espressi in
forma analogica) alla codifica binaria attraverso la tecnica del
campionamento (prelevare campioni del messaggio con una
data frequenza) e la corrispondente possibilità di ricostruzione
del messaggio senza perdita di informazione o con una
perdita calcolata e controllata (dipendente dalla frequenza del
campionamento)
5 Cfr Il quarto assioma della pragmatica della comunicazione elaborato dalla Scuola di Palo Alto
(P. WATZLAWICK – J.H. BEAVIN – D.D. JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana. Studio
dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Roma 1976).
QUADERNO DELLA CONSULTA - 9
ƒ
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la possibilità di svincolare il messaggio da una forma specifica di
supporto per la memorizzazione e la trasmissione
o in questo senso il codice “digitale”, pur contrapponendosi ancora a
quelli “analogici” in termini di modalità della codifica del messaggio,
ha la possibilità di integrare in sé anche l’analogico, attivando la
capacità di operare una traduzione dei messaggi tra i due codici
o inoltre le caratteristiche della codifica binaria dei messaggi hanno
permesso l’integrazione piena con le tecnologie basate sulla
elettricità (non più considerata solo come energia motrice), sulle
onde radio e sui flussi luminosi, tecnologie utilizzate quindi come
veicolo dell’informazione
digitale in senso generico (senso comune): rimanda a tutto ciò che ha
a che fare con il computer e ai tanti “aggeggi elettronici” che ne sono in
qualche modo figli
o in realtà bisogna riconoscere che non è il computer ad aver creato il
digitale, ma il contrario
o il problema posto dagli “aggeggi elettronici” non è un problema di
“codice” ma è un problema di “interfaccia” tra strumento e suo
utilizzatore,
ƒ problema non nuovo (si è dato per l’introduzione di qualsiasi
strumento nella storia dell’umanità!)
ƒ problema che si configura del punto di vista non tecnologico,
ma sociologico in termini di acquisizione (con i relativi tempi
e modalità educative) delle competenze d’uso necessarie
(affordances)
o ridurre il “digitale” alla sola dimensione dell’hardware apre la strada
a possibili deviazioni:
ƒ l’idea “messianica” della tecnologia: basta introdurre il computer
per elaborare in forma digitale il campo comunicativo
ƒ l’idea “apocalittica” della tecnologia: basta non usare il computer
per evitare il “contagio digitale”
ƒ entrambe si rivelano in realtà come illusioni in quanto la
dimensione tecnologica delle forme della comunicazione è data
dal codice e non dall’interfaccia
Risulta abbastanza evidente che se vogliamo comprendere veramente le
trasformazioni del campo comunicativo operate dallo sviluppo digitale delle
forme di comunicazione occorre adottare come prospettiva di lettura il senso
specifico/tecnologico, prospettiva che tra l’altro permette di ricomprendere in
senso positivo anche le altre due.
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2.2. Seconda premessa: uno schema “collaudato” di classificazione
Uno dei problemi che si pone nel tentare una rilevazione fenomenologica delle
nuove forme di comunicazione basate sul digitale è proprio quello di trovare
un criterio adeguato di classificazione.
E questo per almeno due motivi, che dipendono proprio dalle caratteristiche
di estrema flessibilità e di ricchezza di potenzialità inscritte nel codice digitale:
- il primo motivo è dato dal fatto che tale sviluppo è ancora in fieri: la
situazione è chiaramente ancora molto magmatica e gli esiti dipendono
non dai limiti della progettualità tecnologica, ma dall’utilizzo che viene
fatto e quindi dalle modalità dello sviluppo delle potenzialità inscritte
nel codice digitale rispetto alle esigenze degli utenti e dell’interazione
sociale
- il secondo è dato dal fatto che quelle che chiamiamo “nuove forme
di comunicazione” in realtà non sono nuove nella linea per esempio
dell’invenzione della scrittura, ma sono nuove nel senso delle nuove
modalità e dinamiche attuate nel gestire le forme della comunicazione
(nella linea quindi dell’invenzione dell’alfabeto come codice digitale –
nel senso semiotico – di elaborazione della scrittura, o nella linea della
scoperta della stampa come dinamica socio-tecnologica di elaborazione
della comunicazione)
Tutto questo determina la fatica di capire che cosa è veramente nuovo, che cosa
è ri-media(tizza)zione di tecnologie precedenti, che cosa è permanenza delle
dinamiche precedenti e che cosa invece è rielaborazione di dinamiche socioculturali già esistenti o creazione di nuove dinamiche socio-culturali mai date
prima.
Da questo punto di vista il panorama degli studi sulla comunicazione in
generale e sulla comunicazione digitale in particolare si presenta ancora troppo
frammentato negli approcci e settoriale negli aspetti studiati per trovare delle
linee comuni condivise.
Di certo occorre però tenere presente che, nell’ottica di un approccio globale
al campo comunicativo, tutte queste possibilità sono date e vanno o andrebbero
valutate (cosa per altro ben lontana dall’essere portata a compimento).
Ma dato che su qualche percorso occorre incamminarci e quindi rischiare, proprio
le considerazioni, relative alla tipicità del codice digitale e alla prospettiva del
campo comunicativo globale, ci possono indicare una strada per operare almeno
una iniziale classificazione che non si riduca ad una elencazione giustapposta di
fenomeni.
Recuperiamo così uno schema tradizionale di classificazione degli approcci al
QUADERNO DELLA CONSULTA - 11
campo comunicativo che presenta due vantaggi:
- da un lato è oramai collaudato da più di cinquant’anni di utilizzo in quanto
è una delle poche cose veramente condivise dalla comunità degli studiosi
delle scienze della comunicazione
- dall’altro copre tutti gli aspetti della complessità del campo comunicativo,
impedendoci quindi di cadere in semplificazioni o parzialità di
approccio.
Lo schema è dato dalla tripartizione di prospettive di approccio alla comunicazione,
oramai diventata classica a partire dalla sua prima formulazione ad opera di
Charles Morris6.
• Un primo settore è quello della sintassi che studia tutto quel gruppo
di problemi relativi alla trasmissione dell’informazione, quali i problemi
della codifica e decodifica e quindi dei codici e delle lingue, dei canali di
trasmissione e della presenza di rumore e interferenze, della quantità e
della ridondanza, ecc.; cioè di tutti gli aspetti che riguardano gli elementi
coinvolti nel processo della comunicazione e del loro ordinamento.
• Un secondo settore è quello studiato dalla semantica che si occupa del
rapporto tra comunicazione (lingue, codici e segni) e i suoi oggetti e quindi
ha come suo interesse primario il significato dei segni e quindi lo studio
della loro referenzialità.
• Un terzo settore è quello che si occupa di come la comunicazione
influenza il comportamento ed è individuato nella pragmatica, che ha la
sua attenzione focale nel rapporto tra comunicazione, interlocutori e
ambiente in cui avviene, e quindi si interessa dell’uso sociale dei segni.
Per ognuno dei settori cercheremo quindi di mettere a fuoco come l’introduzione
del codice digitale nel campo comunicativo ha portato alla (ri-)modellizzazione
delle forme della comunicazione, indicando qualche dinamica primaria di
attenzione e altri aspetti in forma di corollari.
Occorre però anche riconoscere che, per quanto ci si sforzi di trovare una
qualche forma di tassonomia delle forme digitali della comunicazione, di fatto
l’analisi di ogni forma non è limitabile all’interno di una singola dimensione, ma
andrebbe studiata secondo tutti e tre gli approcci.
È quasi inutile (però lo facciamo a scanso di equivoci!) affermare che l’operazione che
facciamo è in realtà un tentativo iniziale e un abbozzo di progetto che richiederebbe
ben più ampie elaborazioni.
6 Cfr MORRIS C., Segni, linguaggio e comportamento, Longanesi, Milano 1946; VOLLI U., Il libro
della comunicazione. Idee, strumenti, modelli, Il Saggiatore, Milano 1994.
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3. Dimensione sintattico-informazionale
3.1. L’ipertestualità
Ho pensato di collocare in questa area di analisi l’approccio all’ipertestualità in
quanto mi sembra che proprio l’ipertesto esprima in quale maniera l’introduzione
della codifica digitale
- ristruttura in maniera profonda i rapporti tra gli elementi che entrano
a costituire il “gioco comunicativo”: soggetti – processi di codifica e
decodifica – elaborazione tra testo e messaggio – canali sensoriali e
percettivi
- e quindi determina in maniera nuova le dinamiche di elaborazione e
trasmissione dell’informazione
- e infine riconfigura la stessa identità e ruolo/funzione comunicativa degli
elementi sintattici del fatto comunicativo.
Per individuare i caratteri più significativi dell’ipertestualità partiamo da un
paio di definizioni di ipertesto. La prima è di Theodor Nelson, considerato uno
dei padri inventori:
«con ipertesto intendo scrittura non sequenziale, un testo che si dirama
e consente al lettore di scegliere: qualcosa che si fruisce al meglio davanti
a uno schermo interattivo. Comunemente inteso un ipertesto è una serie
di brani di testo tra cui sono definiti i legami che consentono al lettore
differenti cammini»7.
La seconda è di George P. Landow che, nel suo studio del rapporto tra
ipertestualità e paradigmi letterari, riprendendo la descrizione di testualità
proposta da Roland Barthes, descrive così l’ipertesto:
«un testo composto da blocchi di parole (o immagini) collegate
elettronicamente secondo percorsi multipli, catene o percorsi (trails) in una
testualità aperta e sempre incompiuta descritta dai termini “collegamento”
(link), “nodo” (node), “rete” (network), “tela” (web) e “percorso” (path)»8.
E continua citando direttamente Barthes:
«In questo testo ideale le reti (reseaux) sono multiple e giocano fra loro
senza che nessuna possa ricoprire le altre; questo testo è una galassia di
significanti, non una struttura di significati; non ha inizio: è reversibile; vi si
7 TH. NELSON, Literary Machines 90.1, Muzzio, Padova 1992, p. 0/2.
8 G.P. LANDOW, L’ipertesto. Tecnologie digitali e critica letteraria, Bruno Mondadori, Milano
1998, p. 22-23.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 13
accede da più entrate di cui nessuna può essere decretata con certezza
come la principale; i codici che mobilita si profilano a perdita d’occhio, sono
indecidibili…; di questo testo assolutamente plurale i sistemi di senso
possono sì impadronirsi, ma il loro numero non è mai chiuso, misurandosi
sull’infinità del linguaggio»9.
Innanzitutto bisogna riconoscere che in sé l’ipertestualità non è strettamente
un prodotto digitale: da sempre la letteratura, soprattutto a stampa,
- ha vissuto di intertestualità e quindi di collegamenti tra i testi
- e ha creato strutture interne ed esterne di collegamento tra i testi
(indici, note, rimandi, raccolte, strutture a tema tipo i dizionari e le
enciclopedie…).
Dove va trovata allora la specificità digitale dell’ipertesto come nuova forma
comunicativa, che ha nella rete di Internet la sua espressione maggiore? È proprio
nell’individuare in che maniera le funzionalità del codice digitale permettono di
ristrutturare proprio gli elementi e le dinamiche della (inter-)testualità:
- un testo che non vive più nella sequenzialità lineare (tipica della scrittura
e soprattutto del libro a stampa), ma nella reticolarità circolare delle
lessìe;
- un testo che non è più chiuso e concluso in sé all’interno di una
intertestualità di riferimenti (che rimangono comunque opzionali e in
parte distraenti), ma che è il prodotto, sempre rinnovabile, proprio dei
collegamenti resi attivi dall’azione del lettore;
- una complessità di codici multimediali, che non sono di corollario
esplicativo o ornamentale al testo verbale, ma che hanno la stessa valenza
comunicativa del testo verbale;
- dall’altro lato il testo verbale assume valore iconico nella molteplicità
delle forme grafiche;
- il percorso della lettura non è prefissato e quindi sostanzialmente passivo,
ma è la dinamica attiva della lettura che, visitando i collegamenti, genera
di fatto il testo, o meglio quella particolare configurazione della sequenza
dei testi;
- potremmo quasi dire che un ipertesto non esiste come messaggio
fintantoché non viene trasformato in un ben preciso percorso di lettura,
unico e per certi versi irripetibile;
- nelle sue espressioni più evolute (vedi la struttura wiki) l’ipertesto
permette anche una continua modifica da parte del lettore, sia con
l’introduzione di nuove lessìe sia con la creazione di nuovi link;
- di conseguenza anche la funzione autoriale è totalmente ristrutturata
9 R. BARTHES, S/Z, Einaudi, Torino 1970, p. 11.
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-
nell’ipertesto:
o sia perché la figura dell’autore si complessifica in una equipe
di autori con diverse competenze (contenutistiche, logiche,
grafiche, tecnologiche, psicologiche, pedagogiche…)
o sia perché la funzione dell’autore non è quella di produrre il testo
per la lettura, ma di predisporre gli strumenti per attivare i più
disparati percorsi di lettura
o quindi una funzione non centrata sul testo, ma sul processo di
lettura e sul lettore che così viene coinvolto nella complessa
figura autoriale ipertestuale;
un’altra (ma non un’ultima) sottolineatura va fatta anche a riguardo della
fruizione dell’ipertesto: una fruizione che attiva non solo la sensorialità
visiva, ma che permette e richiede una più ampia attivazione sensoriale
corporea, e ciò nella forma di varie attività da compiere per concretizzare
i percorsi di lettura.
Alcune altre questioni vanno almeno accennate:
- la ri-mediazione della lettura attraverso l’immagine della “navigazione”:
o tra lettura come “passeggio svagato” tra i link nell’apertura a ciò
che ci viene incontro
o lettura come “ricerca” nella selezione di ciò che costituisce
informazione rispetto agli interessi
o e, insieme, possibilità di perdersi nell’infinità delle aperture:
o la soglia è non più posta dalla funzione autoritativa dell’autore,
ma rimanda alla maturazione delle affordances come esplicitazione
di capacità critiche del lettore;
- la ri-distribuzione della funzione autoritativa:
o oltre l’assolutizzazione dello scritto
o l’autorità del testo ipertestuale è ridisegnata come
“autorevolezza”
o da un lato proposta dalla funzione autoriale
o dall’altro negoziata, confermata o smentita dalla funzione di
lettura;
- il ri-disegno dell’enciclopedia culturale sperimentata
o non più come bagaglio contenutistico personale, ma come
dinamiche di testi ipertestuali all’interno delle quali si agisce
comunicativamente
o non più come deposito elaborato e trasmesso, ma come struttura
e dinamica reticolare di offerte e risposte che accoglie – ri-genera
– tras-forma l’enciclopedia stessa.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 15
3.2. Altri aspetti fenomenologici
Un ulteriore aspetto riguarda la dinamica dell’interattività dell’interfaccia grafica
digitale:
- l’esperienza non è più quella di una parola solo “significativa” (portatrice
di un significato), ma di una parola che ri-acquista le tonalità dell’evento
(ebraico dabar): in qualche maniera la parola diventa il tramite tra
un’azione del soggetto (riassunta nel cliccare) e un modificarsi del
con-testo (l’apertura del link);
- inoltre si ha una diversa percezione dell’oggettività della parola: da
segno grafico che oggettiva (cristallizza) la parola ad oggetto-immagine
multidimensionale che esprime non solo attraverso il significato ma
anche attraverso la forma, associandosi come elemento che richiama
e rimanda alla complessità dei codici espressivi che formano il campo
comunicativo;
- infine anche la possibilità di continuo editing della parola ne trasforma
la percezione: una parola che non esiste né nella fissità della stampa né
in vacuo, in uno spazio ab-solutum dalla presenza e attività del soggetto;
l’esperienza legata alla parola digitale apre quindi a una percezione della
parola che viene ri-creata, ri-generata nel soggetto e dal soggetto nel suo
agire comunicativo.
4. Dimensione semiotico-linguistica
4.1. La multimedialità digitale
È abbastanza facile riconoscere nel carattere di multimedialità che caratterizza
le tecnologie digitali l’aspetto più significativo della attenzione al rapporto tra
segni e significati e alla relativa configurazione dei linguaggi.
Come per l’ipertesto, anche per la multimedialità bisogna riconoscere che non
è il frutto unico e nuovo della tecnologia digitale: da sempre l’uomo comunica
in forma multimediale!
Ciò che caratterizza la multimedialità digitale è precisamente la sintonia tra
multimedialità e digitale, proprio a causa delle potenzialità già descritte di
traducibilità che il codice binario digitale permette.
Volendo allora presentare alcuni caratteri della specificità digitale della
multimedialità si può cominciare a mettere in relazione due prospettive:
- da un lato il digitale rende effettiva la pluralità dei diversi codici espressivi
interagenti tra di loro
o si ha quindi un superamento della predominanza del codice
verbale-spaziale-visivo che la stampa ha imposto
16 - QUADERNO DELLA CONSULTA
-
o restituendo a tutti gli altri codici espressivi la loro reale dignità
significante proprio sottraendoli alla funzione prevalentemente
didascalica o ornativa tipica della stampa;
dall’altro lato il digitale rende esplicita e quindi maggiormente efficace la
complessità del linguaggio comunicativo
o superando la riduzione “grafico-alfabetica” che la scrittura e
soprattutto la stampa ha imposto come paradigma principe del
linguaggio
o attivando quindi sia la possibilità di un coinvolgimento sensoriale
globale sia la ricchezza di significati che emergono dall’armonia
della diversità e dalle armonie generate dalla pluralità dei codici
espressivi.
Appare chiaro che parlare di multimedialità digitale non significa assolutamente
parlare di strategie funzionali per un più facile apprendimento dei contenuti
pensati in forma grafico-verbale, ma parlare di modalità complesse di generazione
multimediale dei significati.
4.2. La virtualità digitale
Il tema della virtualità è uno dei più insistiti nell’analisi delle forme della
comunicazione digitale, in positivo e in negativo, tanto che per estensione di
significato la parola “virtuale” sta coprendo lo stesso campo semantico della
parola “digitale”, diventandone un sinonimo, e forse addirittura arrivando a
soppiantarla come identificativo delle nuove forme di comunicazione, riducendo
“digitale” al ruolo di indicatore dell’aspetto tecnologico.
Così quando si parla di virtuale si spazia di fatto su tutti i campi in cui compare
l’applicazione delle tecnologie digitali, perdendo però in tal modo la possibilità di
utilizzare il termine “virtuale” in maniera specifica e soprattutto di comprenderne
il reale significato.
Sarebbe interessante analizzare tale sovrapposizione e/o sostituzione di campi
semantici a partire da due riferimenti:
- il primo, l’abbiamo già evidenziato, riguarda il fatto che in realtà è il codice
digitale (e non la dimensione di virtualizzazione che è una attuazione
delle possibilità offerte dal codice digitale) che caratterizza le nuove
forme di comunicazione;
- il secondo riguarda la tonalità negativa che il termine “virtuale” ha
assunto nell’essere stato costantemente contrapposto al termine “reale”
in quanto “non fisico” e quindi “falso”, con la conseguente implicita
svalutazione delle tecnologie digitali come tecnologie che falsano la
realtà.
Ma questa è un’altra storia… che non possiamo seguire qui!
QUADERNO DELLA CONSULTA - 17
Cercare invece di cogliere la specificità della virtualità digitale significa evidenziare
come le potenzialità offerte dal codice digitale
- permettono di creare “spazi” e “oggetti” (nel senso più ampio che è
possibile dare a tali termini) non legati alla fisicità,
- in cui è possibile riprodurre, manipolare o ri-generare dinamiche del
reale
- o anche generare nuove dinamiche impossibili per le limitazioni della
fisicità.
A mio avviso, la collocazione del tema della virtualità all’interno dell’attenzione
semiotico-linguistica permette di superare la contrapposizione “virtuale vs
reale”, e quindi di individuare le caratteristiche delle nuove possibilità aperte dal
codice digitale che si condensano nelle potenzialità della virtualità.
In questa maniera risulta possibile delineare la virtualità all’interno della
comprensione del linguaggio (nella sua complessità multimediale appena descritta)
come modalità di accesso ermeneutico interpretativo del reale proprio nella
capacità del virtuale di scomporre e ricreare il reale.
Si tratta cioè di esplicitare alcune rilevazioni:
- innanzitutto ogni accesso linguistico alla realtà (e quindi ogni accesso
tout court alla realtà) è in qualche modo sempre una virtualizzazione
della realtà (la pretesa di un accesso oggettivo alla realtà è un’illusione
illuministico-moderna in realtà non ancora tramontata!);
- le possibilità generative e ricreative offerte dalla flessibilità potente del
codice digitale rende tale virtualizzazione molto più ampia e profonda;
- ma proprio per questo attiva la consapevolezza delle potenzialità della
virtualizzazione, e quindi in parallelo genera uno shock da rischio di
irrealtà (cosa che le limitatezze degli altri codici linguistici non solo non
facevano, ma addirittura potevano annullare, come nel caso del senso di
oggettività generato dal paradigma della scrittura alfabetica);
- così le potenzialità del codice digitale trasformano la virtualità in potente
strumento di interpretazione che permette di accedere e delineare la
complessità delle possibilità (delle molte facce) del reale;
- in altre parole la virtualità digitale non è di per sé né la negazione del
reale né la sua alternativa, ma si offre come possibilità di esplicitazione
della virtualità del reale (nel senso di virtus e quindi di complessità delle
possibilità);
- questo naturalmente non esclude che sia possibile “virtualizzare”
la negazione del reale (!!!) per cui ciò che è “virtuale” è più reale del
reale;
- all’estremo opposto si colloca invece la comprensione del virtuale
18 - QUADERNO DELLA CONSULTA
-
-
come spazio ermeneutico di rielaborazione (e quindi rigenerazione) dei
significati del reale;
in questa linea l’esperienza di tutte le dinamiche virtuali che le tecnologie
comunicative ci fanno fare (dal pagamento col bancomat, al ritocco delle
nostre foto digitali per renderle “più belle”, alla ricerca di una informazione
in internet, al partecipare a un gruppo virtuale di discussione, al…) ci
fanno progressivamente più avvertiti della complessità delle dinamiche
attraverso cui partecipiamo alla costruzione simbolica della realtà;
e contemporaneamente ci fanno più consapevoli della “responsabilità”
rispetto a tale costruzione sociale della realtà.
Ciò che va infine precisato è che (ancora una volta) non è la tecnologia digitale in
sé che opera nel senso della virtualizzazione della complessità delle potenzialità
del reale o, all’opposto, nel senso della virtualizzazione della negazione del
reale.
La tecnologia digitale mette a disposizione sfide e percorsi di opportunità che
interpellano e che richiedono adeguate maturazioni per evitare i rischi e per
sviluppare le potenzialità.
4.3. Altri aspetti fenomenologici
Può essere interessante, per allargare il quadro della attenzione semioticolinguistica alla nuove tecnologie digitali, evidenziare altri fenomeni, tra cui:
- la decostruzione dell’oggettività della parola: acronimi, sigle, contrazioni,
sostituzioni, … che dipendono certo da alcuni limiti connessi alle
tecnologie digitali (p.e. la lunghezza degli SMS costa!), ma che in qualche
modo rimandano anche ad una nuova “libertà creativa (??!!) linguistica”
che rimette al primo posto il significato piuttosto che la correttezza
(definita da chi?) del significante (che poi il contenuto significativo sia
poco “significativo” questa è un’altra faccenda…);
- la rimodellizzazione della parola: emoticons, riproduzione dei suoni
attraverso la grafia, grafie che rimandano alle componenti emotive,… se
non sono letti solo come espressione di povertà lessicale possono essere
compresi come esigenza di ridonare alla parola tonalità che esulano dal
modello razionale (delle idee chiare e distinte); che poi tali tonalità siano
di fatto alternative alla dimensione razionale è un’altra faccenda…;
- il raccontarsi per immagini e per video: se non rientra nell’area deviante
dell’esibizionismo (problema che rimanda ad analizzare quali dinamiche
sociali scatenano l’utilizzo esibizionista delle potenzialità digitali),
può aprire la strada ad essere compresa come esigenza di elaborare
“esistenzialmente” i significati della vita attraverso la narrazione della
propria storia “incarnata nella multimedialità”.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 19
5. Dimensione pragmatico-relazionale
L’attenzione pragmatico-relazionale è quella che forse si presenta come più
promettente nel sostenere la comprensione delle specificità proprie delle forme
digitali della comunicazione.
In verità anche gli aspetti già presentati andrebbero riconsiderati anche dal
punto di vista del costituirsi del campo comunicativo
- all’incrocio tra dimensione contenutistico-significativa e dimensione
relazionale,
- incrocio che da un lato si contestualizza in uno spazio e tempo
antropologici e dall’altro continuamente rigenera tale contesto come
rete ipertestuale e multimediale.
Qui di fatto cerchiamo però di accennare ad alcuni aspetti più prettamente
pragmatici.
5.1. La dimensione reticolare della comunicazione
Le potenzialità del codice digitale nel trattamento delle informazioni sopra
evidenziate aprono il campo comunicativo
- da una dinamica di tipo broadcast (uno Æ molti) tipica delle tecnologie
mass-mediali dalla stampa alla televisione, con la conseguente fissazione
dei ruoli comunicativi in strutture comunicative di tipo one-up e onedown
- ad una dinamica di tipo network (tutti ÅÆ tutti) di cui è possibile
evidenziare alcuni caratteri:
o struttura di nodi interagenti con più o meno ampia capacità di
linkaggio, ma mai come esclusività gerarchica;
o le dinamiche di trasmissione delle informazioni sono aperte in
entrambi i sensi (sia download che upload);
o l’accesso non è deciso, anche se viene regolato, dai nodi, ma dalla
loro significatività di rete che dipende da un lato dalla effettiva
capacità di apertura e di offerta e dall’altro dalla ricchezza di
rimandi ad altri nodi;
o i ruoli che richiede la struttura a network sono sempre in qualche
modo attivi, sia in fase di produzione sia in fase di consultazione;
o le tempistiche di gestione sono ridisegnate sulle esigenze
dell’accesso;
o allo stesso modo gli spazi sono non monodimensionali, ma
strutturati come complessità di relazioni e come aperture tanto
alle esigenze dell’accesso quanto alla significatività di altri spazi
reticolari.
20 - QUADERNO DELLA CONSULTA
5.2. L’interattività pragmatica digitale
Quando si parla di interattività, oltre alla dimensione relativa all’interfacciamento
attivo tra uomo e tecnologia già accennata sopra, si intende anche la possibilità,
che il codice digitale rende attiva, di interazione tra i soggetti.
È interessante notare che di fatto, storicamente, l’ipertesto con il suo specifico
linguaggio informatico (HTML = HyperText Markup Language) è nato negli ambienti
della ricerca scientifica proprio per permettere forme di collaborazione evolute
tra i ricercatori.
È possibile indicare alcuni aspetti peculiari aperti proprio dalla specificità
digitale:
- superamento delle limitazioni spaziali e temporali nella condivisione
delle informazioni legate a media non facilmente “trasportabili”;
- possibilità di reti collaborative in tempo reale attorno ad un focus
comune;
- l’integrazione multimediale delle informazioni;
- il passaggio dalla trasmissione dei contenuti alla generazione/editabilità
comunitaria degli stessi;
- il passaggio da approcci di tipo “a somma di contributi individuali” ad
approcci caratterizzati dalla collaborazione attiva come moltiplicazione
esponenziale degli approcci stessi stimolati dall’interazione comune.
Che l’interattività ipertestuale possa aprire le strade alla nascita di una vera
e propria “intelligenza collettiva”10 non è ancora dato saperlo, e soprattutto
non è dato sapere quali forme può assumere e cosa può comportare a livello
antropologico e socio-culturale.
Ciò che invece mi sembra già possibile sottolineare è che la struttura reticolare
e le dinamiche interattive sempre più sono assunte come logiche operative in
ambiti non strettamente comunicativi.
Gli stessi mass-media stanno, con fatica a dire il vero, tentando di assumere
aspetti che richiamano una qualche forma di interattività.
5.3. La virtualizzazione delle dinamiche comunitarie
Lasciato da parte il concetto di “comunità virtuale” che spesso porta con sé il
già accennato peso negativo della semantica della falsità del virtuale (e tutte le
ricerche che partono dalla domanda se la comunità virtuale è una comunità vera
scontano questo debito semantico), preferisco parlare di virtualizzazione delle
dinamiche comunitarie
10 LÉVY P., L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano
1996.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 21
-
come nuove forme in cui realizzare la dimensione socio-relazionale,
aperte proprio dalle possibilità del codice digitale interattivo,
forme che non si sostituiscono alle comunità “reali” (anche se questa
può essere una deviazione reale)
ma che offrono modalità di interazione e di costruzione sociale della
realtà diverse dalle comunità “reali”
e che quindi vanno ad integrare la complessità del panorama della
socialità.
La discussione sulle “comunità virtuali” è forse quella più complessa e ancora
totalmente aperta tra le discussioni sulle nuove forme di comunicazione (anche
perché forse è uno dei frutti più significativi dell’introduzione delle forme digitali
di comunicazione), ed è estremamente difficile tracciare alcune linee di sintesi.
Mi sembra che sia possibile almeno evidenziare alcuni caratteri:
- l’esperienza di comunità generate proprio dalla comunicazione (e non
da altre appartenenze in qualche modo istituzionali) riapre la strada alla
dimensione linguistico-simbolica della relazionalità e della socialità, come
dimensione comunque essenziale e non solo strumentale funzionale;
- la possibilità di collaborazione interattiva ridisegna la dimensione e
l’esperienza della partecipazione comunitaria (senza per questo illudersi
di aver trovato il toccasana democratico!);
- allo stesso modo la dinamica tra il senso di identità e il senso di
appartenenza è rimessa in gioco continuamente a partire non da strutture
sociologiche pre-fissate, ma a partire dal gioco degli investimenti
esistenziali dei soggetti (con tutte le deviazioni possibili che questo
comporta tra frantumazione delle identità e annullamento virtuale delle
identità in avatar);
- sembra abbastanza facile poi riconoscere nelle dinamiche delle comunità
virtuali aspetti relativi alla ridefinizione “globale” della socialità;
- un aspetto indubbiamente interessante è anche quello relativo alle
dinamiche di contrasto che sempre più si allargano tra comunità virtuali
di ricerca e di condivisione e monopoli (cfr Linux vs Microsoft).
Un settore indubbiamente interessante di ricerca (e su cui le posizioni sono le
più disparate) dal punto di vista socio-culturale riguarda le dinamiche a cui è
sottoposto il senso/ruolo della tradizione dalle possibilità di memorizzazione e
di “ermeneutiche collaborative” aperte dalle tecnologie digitali:
- tra rifiuto totale della tradizione per senso di obsolescenza
- accumulo per memorizzazione passiva delle informazioni
- accumulo per giustapposizione delle diversità
- riaffermazione totalizzante esclusiva
22 - QUADERNO DELLA CONSULTA
-
offerta per ridistribuzione libera e non strutturata per culture “fai da
te”
messa a disposizione per il confronto comune
spazi di rielaborazione della complessità culturale ad opera di comunità
interpretanti
…
È poi abbastanza facile riconoscere come tutto ciò pone come uno dei centri di
attenzione più interessanti il tema della memoria culturale nel rapporto
- tra memoria collettiva
- e riformulazione delle dinamiche della memoria personale.
È infine possibile far rientrare in questo quadro anche il crescente fenomeno dei
blog e dei forum di discussione (a cui accenniamo soltanto, ma che permetterebbero
ben più ampie riflessioni) proprio per la loro particolare tipologia di forme di
socialità attiva anche senza richiedere appartenenze comunitarie specifiche.
6. Conclusione?
Anche se bisogna riconoscere che attualmente è onestamente impossibile
parlare di conclusioni, mi sembra che sia possibile almeno azzardare due aspetti
che presentano una rilevanza generale:
- il primo riguarda il fatto che la rilevazione fenomenologica ci ha fatto
avvertiti che in realtà le nuove forme di comunicazione basate sulla
tecnologia digitale prima di tutto e più di tutto sono modalità che hanno
riformulato globalmente le dinamiche che compongono il campo globale
comunicativo antropologico e sociologico:
o in questo senso l’introduzione del digitale non ha creato reali
nuovi apparati comunicativi, come è successo per la radio o la
televisione;
o così il computer stesso, strumento portante della tecnologia
digitale, come “medium” non è assimilabile al televisore o alla
radio, ma si pone nella linea della metacomunicazione sia come
“meta-medium” (cioè logica comunicativa più che strumento
comunicativo) sia come “iper-medium” (cioè potenzialità
omnicomprensiva più che strumento dedicato);
- il secondo aspetto riguarda (di conseguenza) la consapevolezza
metacomunicativa che è stata generata dall’introduzione delle tecnologie
digitali:
o una consapevolezza che cioè non ragiona più per strumenti, per
contrapposizione di strumenti, per effetti degli strumenti, ma che
QUADERNO DELLA CONSULTA - 23
prova a districare la complessità degli elementi e delle dinamiche
in gioco nella globalità del campo comunicativo;
o una consapevolezza quindi che sa riconoscere potenzialità e limiti
delle diverse forme in cui si incarna la complessità dell’unico
campo comunicativo globale, sapendo pertanto individuare
le assolutizzazioni culturali imposte da forme già acquisite e
pertanto date per scontate, ma che scontate in realtà non sono;
o una consapevolezza quindi che sa parlare non più in termini
di perdite o di guadagni, ma in termini di riformulazioni non
solo delle forme della comunicazione, ma dell’intero panorama
antropologico socio-culturale.
In questo senso mi sembra allora appropriato il parallelo – oramai
riconosciuto dalla maggioranza degli studiosi – tra l’introduzione della logica
“metacomunicativa” della stampa e (forse ancora meglio a mio avviso) dell’alfabeto
(verrebbe da dire: della logica digitale dell’alfabeto!) e l’introduzione della logica
“metacomunicativa” digitale (non tiene quindi il parallelo con l’introduzione dei
mass-media elettrici).
Così è possibile riconoscere che le sfide culturali che la logica digitale ci sta
proponendo sono sfide a cui non siamo più abituati almeno da 500 anni (per la
stampa) se non addirittura da 2.500 anni (se facciamo riferimento all’alfabeto).
Seconda Parte
SPUNTI PER RIELABORARE I PARADIGMI
INTERPRETATIVI
1. Premesse
6.1. Perché la tecnologia?
Senza voler risolvere il complesso problema della dimensione tecnologica
del vivere umano, appare chiaro che non è possibile impostare paradigmi
interpretativi del significato antropologico e culturale delle nuove tecnologie
comunicative senza prima tentare di chiarire almeno gli assunti base del rapporto
tra tecnologia e cultura, che costituiscono l’orizzonte di riferimento per ogni
tentativo di elaborazione di paradigmi interpretativi del fatto comunicativo.
Il primo assunto è che risulta necessario passare da una prospettiva estrinseca tra
cultura e tecnologia basata su di un paradigma di tipo causale lineare dell’influsso
della tecnologia sulla cultura:
Strumenti tecnologici
ÆÆÆ
Cultura
(modi dell’essere umani)
ad una prospettiva molto più complessa che considera la tecnologia come
elemento all’interno di una rete di fattori culturali tra i quali si sviluppa una
dinamica circolare di coevoluzione delle forme di attuazione dei modi della
cultura:
Risorse
fatte proprie da
esprimono
generano
Persone
si impegnano in
Pratiche
(ri)costruiscono
rispondono a
QUADERNO DELLA CONSULTA - 25
“Le risorse sono le categorie culturali e comunicative disponibili in una
certa società, che sono continuamente realizzate, confermate e modificate
dalle pratiche attuate in quella società, grazie all’attività delle persone che vi
agiscono”11.
Il modello mette in luce così il rapporto di co-evoluzione (e non di
causalità lineare) tra
- forme della tecnologia (e quindi anche delle tecnologie comunicative)
che sono insieme risorse e pratiche
- le risorse culturali, che si oggettivano nelle forme della tecnologia
- e le persone, che sono soggetti attivi della costruzione sociale della realtà
proprio attraverso la configurazione comunicativa delle proprie identità
e delle proprie relazioni.
In questo senso, con Mantovani12, possiamo parlare degli strumenti tecnologici
come di progetti culturali incorporati in strumenti e norme sociali. Artefatti
che, quindi, sono generati dalle specifiche esigenze dell’evoluzione culturale e
insieme sono elementi del potenziale di trasformazione culturale, sia rispetto
alle dinamiche di elaborazione del campo simbolico culturale, sia rispetto
all’individuazione e realizzazione dei compiti culturali, sia rispetto alle pratiche,
alle competenze e soprattutto alla mentalità delle persone.
6.2. Perché le tecnologie della parola?
Il secondo assunto riguarda più da vicino quelle che sono le tecnologie della
comunicazione e che in termini generali indichiamo come “tecnologie della
parola”, sulla linea delle ricerche di autori come McLuhan13, Havelock14 e Ong15.
Si tratta di precisare
- che la “parola” non si dà mai in forma assoluta, ma sempre all’interno di
pratiche caratterizzate da modi e forme culturali ben precise;
- cosa che quindi porta a riconoscere come le tecnologie comunicative
non hanno a che fare solo con gli apparati (“hardware”) di trasmissione
delle informazioni,
- ma che prima di tutto sono forme del darsi dell’esperienza della parola,
e quindi del configurarsi dell’ecosistema simbolico all’interno del quale
11 VOLLI, Il libro…, p. 31. Lo schema è ripreso da PEARCE B.W., Comunicazione e condizione
umana, FrancoAngeli, Milano 1998, p. 58.
12 Cfr G. MANTOVANI, Comunicazione e identità. Dalle situazioni quotidiane agli ambienti virtuali, Il Mulino, Bologna 1995, p.97-114.
13 M. MCLUHAN, Gli strumenti del comunicare, NET, Milano 2002.
14 E.A. HAVELOCK, La musa impara a scrivere. Riflessioni sull’oralità e l’alfabetizzazione
dall’antichità al giorno d’oggi, Laterza, Bari 1995.
15 W.J. ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 1986.
26 - QUADERNO DELLA CONSULTA
si sviluppano le dinamiche culturali;
- tutto ciò nella consapevolezza che ogni tecnologia della parola
offre determinate potenzialità e impone limiti specifici, che vanno
riconosciuti,
- e nella consapevolezza che quindi non esiste una forma assoluta e
prioritaria di comunicazione, rispetto alla quale le altre sono carenti e/o
devianti,
- ma che ogni forma elabora aspetti, caratteri e dinamiche che le altre forme
non sono in grado di attuare e che ogni forma media in modo diverso
aspetti, caratteri e dinamiche già presenti in altre forme comunicative.
In questa linea pertanto anche la comunicazione interpersonale diretta
- non può essere considerata come una comunicazione a-tecnologica (al
riguardo può risvegliare l’attenzione il fatto che l’uomo impieghi parecchio
tempo per imparare a parlare16), ma già una mediazione/mediatizzazione
della parola,
- in quanto è connotata dalle specifiche dinamiche strutturali della
“tecnologia” orale (basata sul rapporto sonoro e sulla compresenza
temporale e spaziale17), modulate dai caratteri propri della lingua e delle
configurazioni culturali della relazione interpersonale.
Per quanto riguarda poi l’introduzione delle nuove tecnologie della parola
occorre precisare almeno due aspetti:
- che l’acquisizione di nuove tecnologie è un processo sociale
tendenzialmente più lento del loro sviluppo tecnologico e normalmente
traumatico, in quanto comporta la ridefinizione di tutto l’insieme dei
paradigmi sociali;
- e che, una volta che una nuova tecnologia è stata acquisita, la cultura
tende ad assuefarsi a tale tecnologia, i cui caratteri e limiti specifici
recedono sullo sfondo inconsapevole del bagaglio culturale (come per la
nostra cultura finora è stato per la scrittura ritenuta a torto un semplice
sistema per “tra-scrivere” la parola, quando invece si presenta come
una nuova mediazione/mediatizzazione della parola diversa dall’oralità; a
ciò va aggiunto poi l’ulteriore mediazione/mediatizzazione imposta alla
parola dalla stampa che non è una semplice estensione della scrittura);
- questo porta a non riconoscere più il carattere “tecnologico” di tale
forma di comunicazione, che viene così considerata (inconsciamente)
come “la” forma comunicativa per eccellenza ed è quindi sentita come
16 Cfr A.A. TOMATIS, Dalla comunicazione intrauterina al linguaggio umano. La liberazione di
Edipo, Ibis, Como 20012.
17 Per ulteriori specificazioni rimando ancora al già citato Ong, testo che considero indispensabile.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 27
naturale (ma ancora dovrebbe dare da pensare come ci vogliano anni
per imparare a scrivere).
Rispetto alla considerazione delle tecnologie comunicative questo porta alla
necessità di superare
- un paradigma strumentale neutro delle tecnologie comunicative, che vede
nelle tecnologie solo dei mezzi per trasportare contenuti già definiti e
che non vengono influenzati dalle tecnologie;
- un paradigma strumentale funzionale, che vede nelle tecnologie
degli strumenti più o meno potenti che permettono di influenzare,
positivamente o negativamente, con i loro contenuti i destinatari della
comunicazione;
per approdare a un paradigma di tipo pragmatico-antropologico che sa cogliere le
trasformazioni delle tecnologie comunicative come momenti di trasformazione
della globalità dei paradigmi culturali-antropologici, cioè dei modi con cui
l’uomo elabora i significati tanto della propria identità quanto della realtà, e
delle forme con cui interpreta e gestisce la sua socialità e la costruzione sociale
della realtà.
Detto in altro modo non viene prodotta la stessa visione antropologica se un
uomo narra la propria esistenza all’interno di una dinamica orale o la descrive
con dinamiche chirografiche o tipografiche.
Per precisare tale paradigma è possibile riferirsi alle tecnologie della
comunicazione con il concetto di brainframes, introdotto da Derrick De
Kerckhove18, che individua nella configurazione delle strutture (frames) mentali
(brain) la dimensione più profonda della tecnologia comunicativa:
- se la parola è la “soglia di accesso” alla significatività del reale
- ogni tecnologia della parola imposta diverse strutture o stili cognitivi
attraverso cui percepire la realtà e attraverso cui poterla interpretare
- in quanto attiva diverse configurazioni del sensorio umano (De
Kerckhove parla delle forme della comunicazione nei termini di “pelle”
della cultura19, da intendersi non però nel significato di superficialità ma
in quello di interfaccia tra l’uomo e la realtà)
- e quindi diverse interfacce ermeneutiche tra l’uomo e il reale
- pertanto l’acquisizione di una tecnologia comunicativa comporta una
riconfigurazione dei processi intellettivi e delle mappe cognitive (e del
cervello stesso? Alcuni studi di neurofisiologia si avventurano fino a
18 D. DE KERCKHOVE, Brainframes. Mente, tecnologia, mercato. Come le tecnologie della comunicazione trasformano la mente umana, Baskerville, Bologna 1993.
19 D. DE KERCKHOVE, La pelle della cultura. Un’indagine sulla nuova realtà elettronica, Costa
& Nolan, Genova 20002.
28 - QUADERNO DELLA CONSULTA
-
ritrovare diversità nella conformazione fisica della rete neuronale)
si hanno così diversi brainframes a seconda della tecnologia comunicativa
prevalente: oralità, scrittura, stampa, mass-media, digitale…
nella consapevolezza che le tecnologie comunicative successive non
annullano i brainframes precedenti, ma li rimodellano secondo nuove
configurazioni.
Appare chiaro che una completa analisi delle trasformazioni introdotte dalla
tecnologia digitale richiederebbe una approfondita analisi dei caratteri tipici
delle tecnologie precedenti e di come questi caratteri sono assunti e rimodulati.
Cosa che qui non è certo possibile fare.
Complessivamente possiamo comunque dire che la tipicità dell’introduzione nel
campo comunicativo della logica digitale, proprio per il suo carattere di metamedium,
- da un lato ha portato alla luce la consapevolezza critica della dipendenza
della cultura moderna dal brainframe tipografico dipendente dalla
tecnologia della scrittura riformulata dalla stampa, per cui appare sempre
più chiaro che caratteri un tempo identificati come caratteri della cultura
tout court di fatto sono tipici di tale brainframe, e in quanto tali risultano
parziali e non assoluti20 (al riguardo basta osservare quanti termini relativi
al sapere fanno riferimento nella loro etimologia al campo visivo tipico
della scrittura/tipografia piuttosto che al campo uditivo sensoriale);
- dall’altro lato ha portato a ridare peso e significatività a caratteri
che, tipici del brainframe orale, erano stati pesantemente svalutati
dall’introduzione della tecnologia tipografica, e che nella rielaborazione
digitale delle forme della comunicazione vanno a rimodulare i caratteri
della stessa scrittura.
In sintesi possiamo dire che le nuove tecnologie basate sul digitale generano
un nuovo brainframe costituito dalla complessità dell’insieme sia delle nuove
potenzialità e limitazioni introdotte dal digitale sia della riformulazione delle
relazioni tra i “precedenti” brainframes dell’oralità, della scrittura, della tipografia,
dei mess-media.
Senza pretendere di esaurire tale complessità, ma a mo’ di esempi e di assaggi,
cerchiamo ora di cogliere qualcuna di queste tr@s-formazioni di paradigma,
tenendo come riferimento soprattutto il brainframe chirografico-tipografico.
20 Al riguardo, oltre ai testi di W. Ong, sono molto interessanti: E.L. EISENSTEIN, Le rivoluzioni
del libro. L’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna, Il Mulino, Bologna 1995; M.
MCLUHAN, La galassia Gutenberg, Armando Editore, Roma 1976.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 29
7. Alcuni indicatori antropologici di tr@s-formazione
7.1. …nel campo comunicativo21
Si è oramai definitivamente chiarita la necessità di passare
- da paradigmi di tipo informazionale-lineare-trasmissivo
o tipici di un’esperienza tipografica della parola che la identifica
come un “contenuto” dentro un contenente, come una serie
di informazioni assolute (sciolte dal contesto) e come una
codificazione oggettiva grafico-visiva (da vocabolario) della
“parola”
- a paradigmi di tipo pragmatico-reticolare
o che individuano l’importanza sia della relazione, e di una relazione
molteplice nella compresenza, tra i soggetti (interattività), sia
del contesto esistenziale che dà senso alla comunicazione
(ipertestualità), sia della complessità sensoriale coinvolta
(multimedialità), sia del carattere di dinamicità/“azionalità” della
parola in tutte le sue forme anche scritte e non solo quelle
orali.
7.2. …nel campo dell’elaborazione riflessiva22
Si comincia a percepire l’importanza di passare
- da un paradigma di tipo causale-lineare-analitico
o tipico di un brainframe tipografico strutturato sulla successione
lineare delle parole e delle idee oggettivamente definite e su una
configurazione di dipendenze di causalità e di logica cartesiana
tra le affermazioni
o tipico di un brainframe alfabetico basato sulla scomposizione
analitica degli elementi
- ad un paradigma di tipo dinamico-multimediale-ipertestuale
o che sa evidenziare le molteplici interazioni tra i nodi di significato e
sa valorizzare gli apporti di ogni modalità espressiva (complessità
21 Un testo che mi sembra buono per approfondire questi aspetti può essere A. PIROMALLO GAMBARDELLA, Le sfide della comunicazione, Editori Laterza, Roma-Bari 20023.
22 Alcuni testi interessanti da questo punto di vista: G. ACONE (a cura di), Multimedialità, cultura, educazione, La Scuola, Brescia 1995; P. D’ALESSANDRO, Critica della ragione telematica.
Il pensiero in rete e le reti del pensiero, LED, Milano 2002; P. D’ALESSANDRO – I. DOMANIN,
Filosofia dell’ipertesto. Esperienza di pensiero, scrittura elettronica, sperimentazione didattica,
Apogeo, Milano 2005; P. LÉVY, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio,
Feltrinelli, Milano 1996; T. LODRINI (a cura di), Didattica costruttivista e ipermedia, FrancoAngeli, Milano 2002.
30 - QUADERNO DELLA CONSULTA
dei codici semantici) all’elaborazione del significato
o che sa tenere in costante tensione la singolarità degli elementi
(nodi) e la complessità delle relazioni (reti).
Inoltre sempre più ci si fa accorti della necessità di passare
- da un paradigma di tipo gerarchico-veritativo-trasmissivo
o come modalità di intendere il sapere nella linea di una definizione
“veritativa” delle idee tipico della codificazione oggettuale che la
scrittura/tipografica compie della parola
o e come modalità di relazione di dipendenza passiva tra chi non
“possiede” sapere e chi invece ha “accumulato” idee
- ad un paradigma di tipo collaborativo-significativo-euristico
o che riconosce nelle dinamiche di cooperazione in rete la modalità
per una sempre nuova rielaborazione dei significati del sapere
o e che riconosce la funzione attiva di tutti i soggetti coinvolti
nell’interazione come capacità di produzione di nuovi significati,
non raggiungibili per semplice somma o accumulo di contenuti.
Ancora sembra necessario passare
- da un paradigma di tipo oggettivo-definitorio
o come modalità per delineare la qualità dell’elaborazione del
sapere (le idee chiare e distinte che trovano la loro migliore
espressione nella ordinata chiarezza tipografica)
- ad un paradigma di tipo narrativo-esistenziale-ermeneutico
o che tiene continuamente in tensione la fluidità dell’esperienza,
la singolarità dell’autopercezione narrativa e la complessità della
ricerca dei significati.
In questa linea è possibile superare lo schema tipicamente oggettivo della
contrapposizione tra “virtuale” e “reale” per tenere in tensione la “realtà del
virtuale” e la “virtualità del reale” all’interno della comprensione della realtà non
come dato oggettivo ma come problema ermeneutico23.
- La molteplicità delle forme della comunicazione attiva una molteplicità di
possibilità di accesso alla realtà
- La realtà quindi appare con una configurazione complessa di
“plurioggettività” o forse meglio di “plurisignificatività”
- La verità del reale si configura sempre più come disvelamento della
complessità della rete dei significati possibili del reale stesso
- Fuori dall’illusoria assolutezza dell’oggetto contrapposto all’altrettanto
23 Sul virtuale con varie posizioni più o meno critiche: P. LÉVY, Il virtuale, Raffaello Cortina,
Milano 1997; J. JACOBELLI (a cura di), La realtà del virtuale, Laterza, Bari 1998.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 31
-
illusoria neutralità del soggetto
E dentro la relazione comunicativa interpretante tra soggetto e oggetto
e tra soggetti
Si supera così l’equazione: “virtuale” = artificiale = non reale = falso =
negativo
Per entrare nella relazione
o tra “virtuale” e potenzialità del reale
o e tra “virtuale” e possibilità di ricreazione del reale
Per cui l’oggetto non è più il deposito della certezza (dato), ma rivela
la sua problematicità costitutiva che invoca la relazione con l’uomo
interpretante perché parlante24
In tale relazione il reale abbandona il proprio essere “oggetto” e diventa
“mondo” in quanto abitato dall’uomo (definito non dalla sua “ratio” ma dal
suo essere “linguistico”) e quindi aperto alla sua “virtualità simbolica”…
7.3. …nel campo della identità come socialità25
1. Dal soggetto individuale al soggetto comunitario: ovvero “Dell’Io come
Noi”
o Le diverse forme della comunicazione impostano diverse modalità
di attivazione della relazione tra persone
o L’evoluzione delle forme della comunicazione fuori e oltre il
paradigma della comunicazione sequenziale – oggettivata –
differita (scrittura rimediata dalla stampa) apre all’esperienza di
forme di relazione dove l’esperienza predominante non è quella
dell’individualità ma della coappartenenza
o Ciò porta da un lato alla consapevolezza che l’esserci dell’uomo
è sempre un “con/esserci”: il noi viene prima dell’io26 ed è lo
spazio antropologico in cui prende senso l’io
o Dall’altro lato si apre l’esperienza che i significati della realtà sono
frutto della comune e condivisa comunicazione ermeneutica
(costruzione sociale della realtà)
o Così emerge sempre più che il sapere è un “sapere collettivo”
non solo perché scambiato ma soprattutto perché creato
24 È esagerato il riferimento a M. HEIDEGGER, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano
1979?
25 Tra i vari testi, più in generale: G. MANTOVANI, Comunicazione e identità. Dalle situazioni
quotidiane agli ambienti virtuali, Il Mulino, Bologna 1995; mentre sullo specifico delle comunità virtuali: P. CARBONE – P. FERRI (a cura di), Le comunità virtuali, Mimesis, Milano 1999; M.
DE BENEDITTIS (a cura di), Comunità in rete. Relazioni sociali e comunicazione mediata da computer, FrancoAngeli, Milano 2003;
26 I riferimenti ancora ad M. HEIDEGGER e a M. BUBER, Il principio dialogico e altri saggi, San
Paolo, Cinisello Balsamo 1993, sarebbero proprio sprecati?
32 - QUADERNO DELLA CONSULTA
collettivamente
o Così emerge sempre più che la cultura è non solo un deposito
ma un ambiente cognitivo insieme “frutto” e “spazio operativo”
di una intelligenza collettiva27 e connettiva28
2. Dalla comunità omogenea alla comunità rete: ovvero “Della
glocalizzazione”29
o Lo sviluppo delle forme di comunicazione rompe sempre di più i
confini della localizzazione
o Mettendo in contatto persone appartenenti a comunità diverse
tanto nello spazio che nel tempo
o Così sempre di più cambia tanto il “concetto” quanto la “prassi
esperienziale” di comunità umana30
o Da un lato sempre di più le motivazioni d’appartenenza comunitaria
superano il livello di omogeneità locale e si complessificano e si
stratificano all’interno della stessa persona, che così si ritrova a
vivere una molteplicità di appartenenze comunitarie
o Dall’altro la persona si ritrova a vivere la dimensione relazionale
in comunità e in reti di comunità che si diramano virtualmente
per tutto il mondo
o Il mondo così progressivamente assume la tonalità relazionale di
un “villaggio globale”
o All’interno del quale convivono e si confrontano
o tanto le spinte verso una comune appartenenza, che
degenerando può (ri-)portare alla omogeneizzazione
della globalizzazione
o quanto le spinte verso una ridefinizione delle singole
identità comunitarie nel confronto delle diversità, che
degenerando può (ri-)portare alla omogeneizzazione
delle localizzazioni in conflitto
o L’immagine strutturale della connettività di rete (la rete non
esiste senza nodi; i nodi non hanno significato al di fuori della
27 Ancora P. LÉVY, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli,
Milano 1996.
28 Cfr la prospettiva di D. DE KERCKHOVE diversa da quella di P. Lévy pur all’interno dello stesso
paradigma di interattività reticolare.
29 L’orrendo neologismo è stato creato da Z. BAUMAN, Globalizzazione e glocalizzazione, Armando Editore, Roma 2005 per superare l’equivocità e l’abuso del termine “globalizzazione” in
modo da avere uno strumento concettuale sociologico che permettesse di affrontare le complesse
dinamiche di relazione tra dimensione locale e dimensione globale tipiche della società postmoderna.
30 Cfr A. BAGNASCO, Tracce di comunità. Temi derivati da un concetto ingombrante, Il Mulino,
Bologna 1999.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 33
rete; ogni nodo è snodo di molteplici relazioni) che sempre più
caratterizza le forme di comunicazione sembra assumere lo
statuto di paradigma comunitario
7.4. …nel campo esistenziale
1. Ridisegno di Spazio e Tempo antropologici: ovvero “Tutto intorno a te”
o Le forme della comunicazione hanno a che fare con la
dimensione spazio-temporale e quindi configurano le modalità di
contestualizzazione dell’esistenza umana, dell’esserci
o Non solo perché la comunicazione si colloca sempre dentro una
cornice spazio-temporale
o Ma
soprattutto perché le forme della comunicazione,
permettendo e attuando il superamento di confini dell’oraqui, ridisegnano tanto la cornice spazio-temporale quanto la
percezione che si ha di tale cornice31
o Perciò il senso del luogo e dell’esserci risulta molto più ampio e
complesso (della complessità della compresenza di spazi diversi)
rispetto alla percezione oggettivante e “de/finitoria” originata dal
brainframe tipografico
o Il senso del tempo rompe la sequenzialità cronologica oggettiva,
tipica del brainframe chirografico/tipografico, per accedere ad
una stratificazione temporale che è segnata più dalla significatività
che dalla scansione meccanica
o Fino al rovesciamento del rapporto tra spazio/tempo e
comunicazione: dalla comunicazione collocata dentro uno
spazio/tempo alla comunicazione che “costruisce” tempi e spazi
“virtuali” per l’esserci dell’uomo
o Che porta al rovesciamento del rapporto tra spazio/tempo
e uomo: dall’uomo funzione dello spazio/tempo definito
oggettivamente e meccanicamente allo spazio/tempo funzione
dell’uomo (…non l’uomo per il sabato…?) in quanto definito
dall’esserci dell’uomo in relazione
o Ma anche che può portare al rischio della “cronofagia”32 cioè
dell’annullamento della dinamica diacronica dentro un eterno
presente di simultaneità
31 Un classico fondamentale al riguardo rimane lo studio J. MEYROWITZ, Oltre il senso del luogo.
Come i media elettronici influenzano il comportamento sociale, Il Mulino, Bologna 1993.
32 G. PAOLUCCI (a cura di), Cronofagia. La contrazione del tempo e dello spazio nell’era della
globalizzazione, Guerini e Associati, Milano 2003.
34 - QUADERNO DELLA CONSULTA
7.5. … nel campo culturale
Dalla rappresentazione testuale analitica all’ipertesto multimediale: ovvero
“Della www.cultura.org”
- Il moltiplicarsi delle forme della comunicazione porta alla ri-valorizzazione
sempre più ampia di codici semantici diversificati
- Inoltre, a motivo delle potenzialità della digitalizzazione, si assiste al
sempre più ampio processo di ibridazione tra le forme di comunicazione
e tra i diversi codici comunicativi
- In ciò si modifica e complessifica la strumentazione della elaborazione
culturale, passando
a. da strumenti monomediali, con una predominanza cognitiva della
testualità lineare della stampa
b. a strumenti multimediali, che oppongono alla testualità
della scrittura la testualità audiovisiva, mantenendo però la
monodirezionalità comunicativa
c. a strumenti ipermediali che integrano insieme la testualità, la
multimedialità e l’interattività reticolare
- Risulta comprensibile che gli stessi processi di elaborazione – trasmissione
– acquisizione della cultura si trasformano assumendo le tonalità delle
forme di comunicazione all’interno delle quali avvengono tali processi
- Così lo sviluppo di Internet come rete ipermediale o come ipertesto
globale non può essere considerata solo dal punto di vista dello scambio
delle informazioni (come una megaenciclopedia), ma prima di tutto e
soprattutto come una modalità nuova dell’elaborazione culturale; e non
di una cultura interna ad internet, ma della cultura tout court.
- L’ipertesto così (come la scrittura lineare del resto) non è tanto un
modo per immagazzinare e trasmettere il pensiero, ma un modo nuovo
di produrre un pensiero nuovo, che la scrittura lineare non può produrre,
in quanto sciolto dalla causalità lineare e aperto ad una significatività
pluridimensionale e tendenzialmente infinita che invoca continuamente
l’azione di reinvenzione/reinterpretazione del lettore
- La connettività reticolare così non è tanto un modo di condividere la
cultura, ma una maniera diversa di intendere la struttura stessa della
cultura e delle culture e di configurare la relazione complessa tra i
soggetti culturali
- L’interattività così non è tanto un modo per aggiornare il rapporto
tra autore e lettore, ma è una modalità differente di comprendere,
apprendere, produrre e condividere i significati nella rete comunitaria di
soggetti-coautori
- La multimedialità non è tanto un modo per rendere più efficace, perché più
QUADERNO DELLA CONSULTA - 35
accattivante, la trasmissione del “deposito culturale”, ma è una differente
maniera strutturata per elaborare la complessità della significatività del
vissuto come orizzonte culturale dell’essere e dell’agire
Ciò porta a riformulare l’idea di “tradizione culturale” nel passaggio (che dato
il già detto non ha bisogno di ulteriori specificazioni)
- da un paradigma mnemonico-conservativo
- a un paradigma di tipo ri-elaborativo, che sappia mantenere la tensione tra
continua ricomprensione del patrimonio, sua riformulazione e capacità
elaborativa della novità.
7.6. … quali altri indicatori?
Di fatto andrebbero analizzati tutti gli indicatori antropologici, oltre a questi,
e forse la prassi comunicativa digitale farà progressivamente emergere nuovi
fattori del campo antropologico di cui ancora non ci rendiamo conto.
Alcuni altri aspetti che andrebbero analizzati potrebbero essere collocati dentro
questi capitoli:
-
Tecnologie comunicative e senso della corporeità
Comunicazione - democrazia/strutturazione sociopolitica - partecipazione
Potenzialità comunicative e potenziamento antropologico
7.7. … e i rischi?
Va da sé che per ognuno degli indicatori accennati (e per tutti gli altri che
si potrebbero aggiungere) data la “gravità della posta” messa in gioco dal
cambiamento
- è possibile individuare i rischi di degenerazione già in atto o possibili
o connessi tanto ai caratteri di “fase di transizione”, con tutta
la fatica che la ristrutturazione tecnologica – sociologica –
antropologica comporta
o nella consapevolezza che proprio il fatto che i brainframes non
si sostituiscono ma si rimodellano, nella fase di transizione ci
sono caratteri che nel brainframe tipografico erano in situazione
di equilibrio e che invece nel brainframe digitale vengono
sbilanciati ed esasperati (al riguardo vale la pena domandarsi se
l’individualismo è frutto del digitale o è un carattere “tipografico”
che viene esasperato dalle potenzialità del digitale…)
o quanto alle tendenze di deviazione insite nelle assolutizzazioni
dei caratteri e delle potenzialità del digitale (p.e. forme di
36 - QUADERNO DELLA CONSULTA
-
dipendenza da internet; globalizzazione; nazionalismi; paralisi
da eccesso di informazione; sostituzione del reale col virtuale;
riduzione al presentismo; digital divide; ossessione di apparizione;
appiattimento, omologazione e omogeneizzazione, ecc…)
ma altrettanto va da sé che la componente rischiosa della sfida non
può
o né essere sottaciuta (illudendosi di un automatismo di progresso
insito nello sviluppo delle forme della comunicazione: messianismo
mediale)
o né essere demonizzata (impedendosi così di affrontare in maniera
consapevole la sfida stessa).
Qua si apre allora lo spazio e la direzione della pedagogia comunicazionale che
mi sembra sia possibile delineare almeno come:
- Pedagogia ai media, cioè alla loro comprensione e alla acquisizione delle
competenze necessarie che non sono primariamente tecnologiche ma
antropologiche (a partire forse proprio dal riequilibrio delle competenze
di parola tra oralità e scrittura, nella acquisizione della complessità delle
forme di scrittura);
- Pedagogia con i media, cioè saper accogliere la sfida delle trasformazioni
che i media generano proprio rispetto ai paradigmi antropologici
sottesi ai processi pedagogici (che significa prima di tutto riconoscere
le dipendenze delle attuali impostazioni pedagogiche dal brainframe
chirografico/tipografico e quindi trasformare tale consapevolezza in
nuova progettualità educativa);
- Pedagogia nei media, cioè la capacità di educare a vivere in maniera
equilibrata dentro le trasformazioni del media-mondo e quindi una
pedagogia che sa accompagnare la transizione dei brainframes (tenendo
conto tanto dei rischi che delle potenzialità, tanto delle novità che delle
rimediatizzazioni).
Nell’elaborazione di questi tre capitoli mi sembra che si possa intravedere il
disegno di una riqualificazione della funzione educativa globale della scuola
proprio in quanto assume in pienezza la sfida della omnicomprensività della
comunicazione e delle trasformazioni antropologiche globali che essa attua.
Ma questa è un’altra storia… e la lascio a persone più competenti.
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LA COMUNICAZIONE E ALCUNE SFIDE EDUCATIVE
Brainframes1 e nuovi rapporti con la realtà
Marilena Pagiato
1. Le situazioni quotidiane
L’attualità del tema può essere documentata attraverso il racconto di alcune
“biografie”2 che manifestano il rapporto tra stili comportamentali-relazionali ed
influenza dei mezzi di comunicazione3.
1.1. Giovanni, adolescente italiano di 17 anni. Ha abbandonato la scuola da alcuni
mesi. Dall’analisi del suo percorso scolastico emerge che l’iter formativo
ha avuto un processo regolare fino alla conclusione della scuola secondaria
di primo grado. I genitori sono attenti alla sua crescita: lo proteggono
molto, ma lo lasciano libero di scegliere. Egli afferma che da anni nutre uno
spiccato interesse per la navigazione in Internet. Il suo ideale è di entrare nel
mondo del lavoro con un orario ridotto per poter coltivare i suoi interessi.
Manifesta una struttura personale ricca di possibilità, ma con una evidente
criticità: rifiuta ogni tipo di percorso scolastico perché strutturato a priori:
egli ritiene ingiusto che una persona debba accettare una progettualità da
altri stabilita. Vorrebbe “costruire” il suo progetto formativo, eliminando
alcune materie, modificandone altre. Gli piace l’idea di lavorare in ambiente
internet ove è possibile scegliere ogni giorno che cosa e come approfondire
(ama utilizzare gli ipertesti)4.
1.2. Carla, giovane italiana di 17 anni. Attualmente frequenta un percorso
formativo “professionalizzante”. La sua resa scolastica è buona: la media
1 Brainframe è un concetto coniato da De Kerckhove, (teorico dell’intelligenza connettiva e
delle psicotecnologie) per definire la “cornice” attorno al nostro cervello, formata dall’insieme
delle informazioni in nostro possesso, del modello culturale di cui facciamo parte. Il concetto
di brainframe è la metafora che rimanda ad una forma di organizzazione cognitiva tipica dei
“cervelli” (delle persone) che vivono in un determinato contesto condizionato dalle tecnologie
dell’informazione.
2 I nomi delle persone sono stati modificati per tutelare la privacy.
3 Si fa riferimento in particolare all’utilizzo di internet. Dall’indagine sul 1° Rapporto tra preadolescenti ed Internet, effettuata dalla Società Italiana di Pediatria nel 2001, emergono dati
significativi circa le abitudini dei ragazzi relative all’utilizzo di Internet: chi possiede Internet a
casa naviga essenzialmente la sera (71%) e da solo (71,4%). Il 51,6% utilizza la chat line come
strumento per trovare nuovi amici. Il 44,4% è disponibile a chattare con chiunque, non solo con
i coetanei. Il 73,5% ha voglia di incontrare le persone conosciute tramite Internet e solamente un
13% afferma che non è prudente fidarsi di tali conoscenze.
4 Cfr. TURKLE L., La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet,
Apogeo, Milano 1997.
40 - QUADERNO DELLA CONSULTA
dei voti è 7,5. Manifesta una particolare attenzione al risultato, al voto.
Giovane che afferma di amare la riservatezza, comunica per molte ore al
giorno tramite un blog. Il suo ideale: ottenere buoni risultati a scuola per
poter guadagnare molto attraverso la professione. Manifesta una struttura
personale ricca di potenzialità cognitive, ma con scarsa conoscenza delle sue
criticità relative alla sfera emotiva. L’uso quotidiano del blog le ha creato
delle gravi difficoltà relazionali: il linguaggio assai discutibile da lei utilizzato,
le affermazioni ambigue scritte sul blog hanno messo sotto accusa i suoi
familiari e gli insegnanti. Posta di fronte alla realtà, ha affermato:“non capisco
come siate venuti a conoscenza del mio blog; inoltre, non ritengo giusto
dover filtrare il mio pensiero: è giusto dire quello che si pensa”5. Sembra
che Carla non abbia ancora compreso quale responsabilità è chiamata ad
assumersi anche quando comunica tramite blog. Ha affermato che non
cambierà modo di comunicare e che il “suo blog” continuerà ad essere il
“suo diario” e che nessuno deve andare a leggere e ad interpretare quanto
lei scrive.
1.3. John, giovane quindicenne nato in un paese dell’America del sud. È in
Italia da 3 anni e vive con i genitori che lavorano e desiderano dare una
buona educazione e preparazione culturale e professionale al loro figlio. È
regolarmente inserito nel primo anno della scuola secondaria di secondo
grado. La resa era buona, ma da alcuni mesi i docenti rilevano un forte calo
nella partecipazione e nei risultati scolastici. John rifiuta i corsi di recupero
perché afferma di avere molti interessi extrascolastici, tutti riconducibili
all’attività predominante: navigare in internet e chattare con i compagni
del paese d’origine; con loro “gioca” per 3-4 ore al giorno. Ricorda tutto
del suo paese e mantiene viva la “memoria” navigando in Internet. John ha
talmente idealizzato il suo paese da non riconoscerne le problematiche
sociali ancora presenti e testimoniate anche dalla lettura della realtà fatta
dai suoi genitori. Essi ricordano a John che sono emigrati per le difficili
situazioni economiche che caratterizzano il loro paese. John afferma che
tutto è cambiato e che i suoi amici, tramite chat, affermano che i problemi
non ci sono più6. John vive ora in un “paese immaginario”, slegato dalla
5 L’attrattiva di molti giovani per questa modalità comunicativa è che possono comunicare senza svelare la loro identità. Infatti per accedere ad un blog, ad una chat line, è possibile scegliere un nickname, una rappresentazione grafica. Comunicare protetti dall’anonimato (l’anonimato è sempre assicurato?) permette di “inventare” alcune caratteristiche personali, dà la possibilità di costruire “fantasie”
su di sé e sugli altri (corrispondeva al vero quanto Carla ha scritto circa la realtà dei suoi genitori ed
insegnanti?). È questo continuo gioco tra fantasia e realtà che affascina i giovani di oggi.
6 Quali sono i rischi di continui ed assidui scambi virtuali? Weiser M., in The Computer for the 21
st century, in “Scientific American”, 265, 3 a pagg. 66-75, afferma che vi è il rischio di confondere la
comunicazione in chat con la comunicazione interpersonale, di confondere “la mappa con il territorio”. Un altro rischio è legato alla possibilità di isolamento dal contesto sociale in cui una persona
vive. In questo caso la chat diventa un “rifugio” che protegge da alcune difficoltà, ma impedisce
l’inserimento, l’inclusione e l’integrazione nel territorio in cui la persona vive.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 41
realtà in cui vive, paese che lui desidera raggiungere, ma che non esiste. Se
non si troveranno alcune soluzioni, il giovane rischia non solo l’isolamento,
ma anche la salute psicofisica.
1.
La comunicazione nella quotidianità
Le tre situazioni analizzate nel primo paragrafo mettono in evidenza il rapporto
tra personalità ed ambiente, tra realtà analizzata in modo descrittivo e idealità
(= immaginario che ogni persona custodisce in sé).
Baron e Boudreau affermano che “La personalità e l’ambiente sono connessi e
complementari, come avviene nella relazione tra chiavi e serrature. La personalità,
in questa metafora, è una chiave in cerca della serratura giusta, mentre l’ambiente,
includendo in esso anche le altre persone, è la serratura che aspetta di essere
aperta così che le sue opportunità possano essere realizzate”7.
È quindi importante riconoscere che nella quotidianità noi siamo sempre
“dentro” le situazioni e comprenderle è un processo dinamico mai interamente
compiuto. Infatti ogni persona si crea delle “finestre” che rispondono alla
necessità di stabilire delle priorità interpretative per facilitare la comprensione
della realtà. E’ evidente che tale processo restringe il campo e riduce la quota
di informazioni presa in esame rispetto a quella potenzialmente disponibile
nell’ambiente. Tale operazione che seleziona ed interpreta la realtà, permette
la conoscenza, ma contemporaneamente dimostra che ogni interpretazione
è sicuramente una opportunità, ma non è mai completamente esaustiva del
significato intrinseco della realtà (cfr fig. n. 1). Tale approccio si verifica sia nei
rapporti interpersonali sia nella comunicazione tramite i media, in particolare
via internet.
Figura n° 1 Il processo di interazione tra persona ed ambiente.
Dal punto di vista educativo sorgono alcune domande: con quali criteri si
“aprono finestre” per leggere la realtà? Quali aspetti oggi vengono enfatizzati,
presi in esame e quali invece rimangono in zona d’ombra?
7 Cfr. BARON - BOUDREAU, in Journal of Personality and Social Psychology, 53, 1222-1228, 1987.
42 - QUADERNO DELLA CONSULTA
3. Le degenerazioni del discorso nella quotidianità8
Il paragrafo precedente si è concluso con alcuni interrogativi la cui risposta è
da ricercarsi nell’analisi della realtà, dei rapporti interpersonali che si instaurano
soprattutto dal punto di vista educativo. Il filosofo Heidegger, già nel 1927,
ha declinato i caratteri di una particolare tipologia di discorso quotidiano
riassumendoli con il termine “chiacchiera”. Tale definizione sembra descrivere le
degenerazioni della comunicazione odierna.
Il termine sta ad indicare l’inautenticità della comunicazione poiché caratterizzata
da equivoci, curiosità, approssimazione e superficialità. Infatti, la tendenza
odierna a trovare “termini medi” che permettano a tutti di “dialogare” porta
con sé il rischio della semplificazione, della banalizzazione che allontana dall’ente
originario (persona o fatto) di cui si parla, poiché ritenuto troppo complesso
dalla maggioranza. In tal modo le persone rischiano di perdere il contatto
con la realtà originaria pur continuando a parlarne in modo approssimativo e
superficiale. Ne consegue uno “stare assieme” per discorrere, per chiacchierare
in modo autoreferenziale, spesso ripetitivo e monotono e non più un “essere
assieme”. Tale modo di “stare assieme” trova il suo fondamento nell’incertezza
ed infondatezza del “si dice” e questa situazione dà origine alla soggettività e
all’allontanamento progressivo dall’essere, dall’essenza dell’ente (persona o
fatto).
Con il prevalere della modalità della “chiacchiera” vi è un allontanamento
dall’esperienza del “prendersi cura” dell’ente, dall’affiancarlo perché viva la triplice
dimensione temporale: il presente accolto con le sue criticità e possibilità, il
futuro come progettualità che si apre al possibile, all’utopia, al trascendente; il
passato come “struttura” che ha dato origine ed in parte fonda il presente.
C’è oggi il rischio che buona parte della comunicazione sia diventata inutile e fine
a se stessa? Nel dialogare emerge l’attenzione all’essere? Si avverte un’autentica
attenzione alla persona nella teoria e nella pratica educativo-formativa?
Nell’attuale comunicazione di massa non si intravvede una preoccupante discesa
verso la “nientificazione” della cultura, della ricerca autentica dell’essere?9
Quanta attenzione oggi è riservata alla conoscenza della tecnica, all’uso dei
media, allo scambio di messaggi e quanta alla ricerca dell’essenza, dell’”essere”,
del prendersi cura non delle apparenze, ma della realtà intrinseca delle persone
e dei fatti che le coinvolgono?
8 Il seguente paragrafo evoca il pensiero di Heidegger verbalizzato nella sua opera principale
“Essere e Tempo”, Longanesi, Milano 2001.
9 Cfr M. PERNIOLA, Contro la comunicazione, Einaudi, Torino 2004.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 43
2.
Tipologie di comunicazione legate a particolari approcci con la
realtà10
Dal punto di vista pedagogico si afferma come presupposto che la persona è
un soggetto educabile, capace perciò di cambiamento e di innovazione. Si può
quindi tentare di offrire alcune indicazioni che possano favorire il nascere di
nuovi approcci comunicativi, capaci di “destrutturare” l’idea che comunicazione
significhi esclusivamente passaggio di notizie e di informazioni, per “strutturare”
un modo di intendere la comunicazione che comprenda anche la partecipazione,
il prendersi cura e la condivisione di valori.
Le indicazioni che seguono mettono in rapporto alcuni stili di pensiero e le
relative modalità di comunicare. È evidente che non esiste una modalità positiva
ed una negativa, ma si vogliono sottolineare le specificità, le differenze che
emergono dal porre in atto uno stile piuttosto che un altro. L’analisi viene
condotta a partire da binomi che solo apparentemente sembrano opposti: essi
sono complementari e l’uno richiama l’altro. Solo quando uno stile prevale
sull’altro si creano carenze o vuoti comunicativi.
3.1. Stile analitico-descrittivo e/o sintetico- narrativo
Si tratta di rilevare, nel primo caso, una forma del conoscere che procede per
definizioni ed opposizioni; tale forma ha come presupposto la consapevolezza
che la realtà si concede secondo strutture ben stabilite e corrispondenti a quelle
del pensiero riflettente.
La persona che pone in atto prevalentemente questo stile utilizzerà un tipo di
comunicazione ove prevalgono il “sì” o il “no”, la possibilità o la non possibilità di essere
o di fare. In questo caso prevale un tipo di comunicazione ove le ragioni di una
scelta sono verbalizzate e indicate come le ragioni oggettive che non possono
10 Parlare di comunicazione, significa anche chiarire i termini che rimandano al concetto di
comunicazione. Il fondatore della linguistica moderna Ferdinand de Saussure (1817-1913) fa
una triplice distinzione enucleando il significato di linguaggio, parola e lingua. Il linguaggio è
inteso come dote nativa dell’uomo. E’ una facoltà della persona umana, è un potenziale che non
si impara né si dimentica ed è indifferente alle variazioni di tempo e spazio. La parola invece,è
concepita come manifestazione personale della facoltà del linguaggio. Infatti la persona che
parla segue delle regole, ma fa anche delle scelte personali, creative e legate alla sua intenzionalità. Infine definisce concetto di lingua, percepita come un prodotto sociale. Essa fa riferimento
ad un insieme di convenzioni che consentono ad un determinato gruppo sociale di esercitare la
facoltà del linguaggio. La comunicazione invece è intesa come l’azione del trasmettere qualcosa
a qualcuno, ma è evidente che essa è correlata sia alla facoltà del linguaggio e alle parole che
una persona può pronunciare sia alla lingua capace di veicolare e fare intuire un determinato
contenuto/significato. (cfr. WATZLAWICK – BEAVIN - JACKSON, Pragmatica della comunicazione
umana, Astrolabio, Roma 1971; WATZLAWICK, Il linguaggio del cambiamento, Feltrinelli, Milano 1995).
44 - QUADERNO DELLA CONSULTA
essere messe in discussione.Tale stile relazionale lascia intuire l’autorevolezza di
una proposta fondata su presupposti analizzabili e verificabili.
Nel secondo caso, la forma del conoscere lascia intuire i diversi modi di
intendere la realtà, dà spazio a modi originali di vedere la vita, la storia, l’universo.
E’ l’espressione di un “io” creatore di significati. È lo stile di pensiero che si
presenta come sintetico, veloce, simultaneo, incisivo, libero da riflessioni di
causa/effetto, capace di esprimere integralmente ciò che uno sente e prova in
un determinato momento.
La persona che si ritrova prevalentemente con questo stile di pensiero, avrà un
modo di comunicare che lascia spazio ai diversi punti di vista. È una persona
capace di ascolto, pronta a porre in atto il processo di accomodamento che
apre all’accoglienza della novità, della possibilità, della libertà di scelta. Tale stile
relazionale caratterizza la persona che si sente libera nelle scelte e decisioni
da prendere; si sente libera di condividere o di non accettare alcune proposte;
libera di continuare a cercare altre motivazioni che possano sostenere o meno
una determinata scelta.
Questo secondo stile sembra prevalere in coloro che comunicano generalmente
via Internet, lasciando molto spazio alle diverse interpretazioni, al soggettivismo,
al non porre in rapporto il dato oggettivo con la lettura soggettiva della realtà.
1.2. Stile che privilegia l’incontro con la realtà e/o stile che privilegia lo
studio “libero” sulla realtà ( nel primo caso si parla di territorio, nel secondo
di mappa)
Nel primo caso si tratta di una forma di conoscenza che privilegia l’incontro, che
desidera entrare nei fatti, negli eventi (incontro sul territorio11). È uno stile di
pensiero che predilige il vedere direttamente, l’analizzare non per sentito dire, il
guardare la cosa in sé, riconoscendo la sua identità fatta di potenzialità e limiti,
di possibilità e di criticità.
La persona che utilizza prevalentemente questo approccio alla realtà, porrà
in atto uno stile relazionale basato sull’osservazione diretta, sul constatare
e verbalizzare ciò che ha visto e toccato con mano. Ne deriva una relazione
costruita sul condividere eventi ed esperienze, sullo sperimentare le sintonie
11 Cfr G. MANTOVANI, Educazione ed identità. Dalle situazioni quotidiane agli ambienti virtuali,
Il Mulino, Bologna 1995. L’autore parla di territorio inteso come il luogo reale ove la persona
incontra, vede ed osserva persone, ambiente, cultura di un determinato territorio. E’ l’incontro
con la realtà non per sentito dire. La mappa è intesa come esperienza di una descrizione della
realtà fatta da altri e trasmessa tramite i mezzi di comunicazione. L’autore afferma che sono
due esperienze valide, ma diverse. E’ importante riconoscere se si sta facendo una esperienza
sul territorio o se attraverso una mappa proposta dai media. Ad esempio, uno può avere visitato
Londra di persona (il territorio) o può avere assistito ad un documentario su Londra (mappa) o
ad un dibattito sulla realtà londinese.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 45
relazionali e i momenti conflittuali. E’ una relazione che privilegiando l’incontro
è aperta alla novità, all’imprevisto, al non saputo poiché la persona non è mai
oggettivabile; con la persona si possono instaurare relazioni aperte a nuove
conoscenze, all’inedito12.
Nel secondo caso, la persona incontra l’altro, gli eventi in modo virtuale.
Questa tipologia di conoscenza è definita come un incontro con la “mappa”
che rappresenta la realtà. E’ importante riconoscere come la persona vive “l”
incontro” virtuale: può sperimentarlo come l’incontro con un mondo che c’è già
o come l’incontro con un mondo alternativo13. Se prevale il primo approccio, vi è
un incontro che può favorire la conoscenza, la partecipazione; se invece prevale
il secondo, si realizza un “incontro immaginario”, fuori dalla realtà che produce
perciò disadattamento, illusione e in alcuni casi allontanamento dalla realtà.
La persona che utilizza prevalentemente la modalità della “mappa” per
comunicare, si relaziona all’interno di “un ambiente di comunicazione in cui si
incontrano una presentazione sempre più convincente dell’interlocutore, sul piano
dell’apparenza fisica, e una sua presenza sempre meno garantita e attendibile sul
piano della identità personale”14. E’ evidente che la “rete” affascina i giovani poiché
consente di sperimentare vissuti importanti per la costruzione del sé; si sentono
protetti e provano il gusto di abbattere, apparentemente, i vincoli e le regole
che l’incontro “fisico” con l’altro richiede.
Tutti coloro che comunicano prevalentemente via Internet incontrano la “mappa”
non il “territorio”. È importante educare all’accoglienza di queste nuove modalità,
evitando però di creare mondi alternativi all’esistente, mondi che portano la
persona al disagio, alla frustrazione e, in alcuni casi, all’alienazione.
3.3. Stile che riconosce il rapporto limitato tra spazio-tempo e/o un
rapporto illimitato tra spazio e tempo
L’incontro con l’altro comporta attesa, disponibilità di tempo e di luogo che va
concordato.
Il luogo è “l’ ambiente” che assicura ad ogni persona che comunica un territorio
ben definito, un’area da rispettare, uno spazio che facilita o rende più faticosa la
comunicazione. E’ risaputo che alcune situazioni conflittuali sono legate anche
alla mancanza di uno spazio fisico ove l’uno sovrasta lo spazio dell’altro. Chi
vive prevalentemente relazioni “sul territorio” sperimenta questa necessità per
sé e avverte che tale necessità è richiesta anche dall’interlocutore. Ne consegue
che lo spazio per una persona non è illimitato, ma in rapporto alla necessità di
spazio delle persone con cui entra in relazione. Anche il tempo è una dimensione
12 Cfr. R. GUARDINI, L’Incontro, in R. GUARDINI, Persona e libertà, La Scuola. Brescia 1987, 27-41.
13 Cfr. G. MANTOVANI, o.c., 182.
14 Cfr. G. MANTOVANI, 197.
46 - QUADERNO DELLA CONSULTA
da considerare. Il desiderio di entrare in relazione, il tempo disponibile per
i rapporti interpersonali vanno concordati, progettati e stabiliti. Le relazioni
costruttive sono fondate sulla capacità di comprendere non solo le esigenze di
chi desidera comunicare, ma anche di chi è chiamato ad entrare in relazione.
Chi è consapevole che spazio e tempo non sono illimitati, si prende cura dei
processi comunicativi evitando “invasioni di campo”, richieste non concordate
e analizza le attese e i desideri delle persone con cui si instaura la relazione.
Martin Buber afferma: “la relazione è al tempo stesso essere scelti e scegliere, patire
e agire”15.
La comunicazione informatica invece, consente di superare le barriere di tempo
e di luogo/spazio. Internet è decisamente uno degli strumenti che riduce le
distanze, aumenta le possibilità di “stare” senza dipendere da precise regole
legate allo spazio e al tempo. Oggi il “popolo di navigatori” è in continua crescita
e, grazie alla rete telematica, la comunicazione in tempo reale non trova più
ostacoli correlati al tempo ed allo spazio. Il rapporto “quasi illimitato” tra spazio
e tempo riduce la possibilità di progettare, di pensare e di “custodire” la parola
prima di pronunciarla.
Chi vive prevalentemente una comunicazione via internet rischia di avere dentro
di sé uno stato di disorientamento che non gli permette di distinguere tra “reale” e
“virtuale”, (soprattutto il Sé reale), tra ciò che è possibile sperimentare realmente
e ciò che è possibile solo in modo virtuale. Molte esperienze relazionali non
adeguate sono riconducibili a “modelli” presentati quotidianamente attraverso i
media e assunti in modo acritico dagli spettatori16.
3. Considerazioni conclusive
Le trasformazioni oggi in atto producono dei cambiamenti radicali che possono
portare alla rovina, alla distruzione di un patrimonio di valori, convinzioni,
relazioni, ma possono anche essere la “sfida” che promuove un “salto qualitativo”
da uno stato ad un altro, favorendo così l’emergere del nuovo, dell’inedito, frutto
di comprensione della realtà e non di evasione da essa.
Dal punto di vista educativo, l’era di Internet è una sfida che può favorire
un modo nuovo e originale di instaurare relazioni, di allargare le conoscenze
sviluppando capacità critico-costruttive che possono aiutare a leggere il “libro
della vita” i cui protagonisti sono uomini e donne caratterizzati da potenzialità e
criticità che vanno accolte e difese per non perdere il senso dell’umano e della
storia, il senso del limite che caratterizza ogni essere creato.
15 M. BUBER, Il principio dialogico, S. Paolo, Milano 1993, 66.
16 Ricordo le tre situazioni sinteticamente presentate all’inizio di questo articolo ed altre che potrebbero essere raccontate a conferma che le nuove generazioni rischiano di sviluppare abilità comportamentali-relazionali limitate o deformate se acquisite prevalentemente attraverso “on line”.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 47
L’atto educativo richiede uno studio ed un impegno attento e solidale
soprattutto verso le nuove generazioni perché non manchi loro l’interesse per
l’incontro “sul territorio”, perché si appassionino alla persona e superino forme
di intolleranza rispetto all’altro ritenuto un diverso monotono, un problema da
evitare. La relazione con l’altro porterà la persona alla scoperta che l’essenza
del suo essere sfocia dalla relazione, frutto di un incontro atteso, preparato ed
in parte accolto nella sua imprevedibilità. L’esperienza realizzata attraverso la
“mappa” va accolta per le possibilità ed il fascino che crea nelle persone17, ma
va accompagnata e posta in rapporto con l’esperienza della quotidianità, con
le relazioni che si costruiscono all’interno dei contesti di vita caratterizzati da
complessità e sfide, realizzazioni ed insuccessi, libertà e responsabilità, vincoli e
possibilità.
Vorrei concludere recuperando una categoria interpretativa della realtà oggi
piuttosto dimenticata: il limite. La pedagogista A. Chionna afferma: “Occorre
considerare il limite come risorsa etica e non come invito di superamento; sfida continua
di cui comprendere la forza di sostegno: la persona è limite che regola, indirizza e
guida; che diviene appello perché l’uomo si faccia responsabile del proprio agire”18.
17 Cfr. T. CANTELMI - L. GRIFO, La mente virtuale. L’affascinante ragnatela di Internet, S. Paolo,
2002; L. ARCURI, Crescere con la TV e Internet, Il Mulino, Bologna 2008.
18 A. CHIONNA, Pedagogia della responsabilità. Educazione e contesti sociali, La Scuola, Brescia 2001, 42.
COMUNICAZIONE, MULTIMEDIALITÀ E
DIDATTICA
Appunti di riflessione e di possibili interventi nella scuola
di Maurizio Compagni
Sono necessarie alcune premesse per delineare gli ambiti della riflessione1.
Premesse
Nel primo articolo di questo quaderno si delinea il nuovo scenario dato
dall’avvento dei new media, cioè dei mezzi di comunicazione che usano la
tecnologia digitale, con tutta la carica di innovazione e di cambiamento che essi
comportano.
Nel secondo il tema della comunicazione tocca l’imprescindibile rapporto di
relazione tra le persone.
Questo terzo intervento invece vuole parlare di scuola, che è poi l’alveo per
così dire specifico o naturale della Consulta della Pastorale Scolastica. La
comunicazione è elemento costitutivo della scuola. La didattica deve fare i
conti con i cambiamenti in atto nella società a livello di comunicazione e di
come tali cambiamenti influenzano i partecipanti alla comunicazione stessa, cioè
le studentesse e gli studenti da una parte, i docenti dall’altra, sia a livello di
competenza nell’uso della tecnologia e dei nuovi codici comunicativi, sia a livello
di stili cognitivi.
Il tentativo di analisi dell’attuale situazione comunicativa non vuole esprimere
un giudizio di valore per definire ciò che è meglio o peggio: se la situazione
precedente, caratterizzata dall’uso della stampa e del libro, o quella attuale,
caratterizzata dalla tecnologia e dalla multimedialità digitale. Si tratta solo di un
tentativo di comprensione della realtà, in vista di una sua gestione consapevole,
1 Questo articolo riprende tre interventi dell’autore: due precedenti, già pubblicati in F. BUTTURINI - G. MARUCCI - A. PIPERNO (a cura di), Linguaggi non verbali e multimediali: un curricolo di
comunicazione e multimedialità. Atti del Seminario residenziale di Verona (4-7 dicembre 2000),
Quaderno n° 46 del Ministero della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Verona,
2001e in F. BUTTURINI (a cura di), Comprendere e comunicare l’antico. Seminario nazionale sulla licealità classica, Atti del Seminario residenziale di Verona (12-14 ottobre 2005), Quaderno
n° 7 del Ministero della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Verona - Roma 2006;
il terzo in corso di pubblicazione negli Atti dei Seminari Nazionali promossi dal Ministero della
Pubblica Istruzione e svoltisi a Verona nei giorni 23-26 ottobre e 18-19 dicembre 2007; 10-13
marzo, 7-10 aprile e 21-24 aprile 2008, dal titolo Didattica della comunicazione didattica, e in
corso di pubblicazione a cura di F. Butturini. Si ringraziano l’editore e il curatore per la gentile
concessione.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 49
motivata e finalizzata.
Le indicazioni che seguono si pongono solo come spunti di riflessione che,
lungi dall’esaurire l’argomento, hanno lo scopo di porlo all’attenzione nella sua
complessità per stimolare la ricerca, lo studio, la creatività degli insegnanti (forse
anche dei genitori).
Detto questo, il percorso può iniziare.
Una chiarificazione sul concetto di multimedialità
La comunicazione, come è stato già detto, passa oggi sempre più attraverso la
multimedialità. Il termine quindi merita una breve precisazione.
Quando lo si usa, si fa subito riferimento al campo dell’informatica: al computer,
all’ipertesto, alla rete Internet. La multimedialità però precede il computer. Il
termine richiama etimologicamente le forme di comunicazione che si avvalgono
di più media, variamente combinati insieme, quali ad esempio la parola detta
e scritta, la prossemica, l’immagine ferma e in movimento, la musica. In questa
accezione più ampia sono certamente multimediali anche il teatro, il cinema, la
televisione.
Comunque è indubbio che l’avvento del computer ha portato al massimo grado
le potenzialità della multimedialità. E proprio in questo senso più ristretto,
riferito alla tecnologia digitale, verrà qui usato il termine. Nell’ipertesto, e
soprattutto in quell’immenso ipertesto distribuito che è la rete Internet, tutti
i linguaggi (i media) sono compresenti, secondo caratteristiche particolari
che determinano addirittura la nascita di un linguaggio nuovo, detto appunto
linguaggio multimediale, di cui si parlerà in seguito.
Perché parlare di multimedialità a scuola
I motivi sono tanti. Eccone alcuni.
Innanzitutto perché la multimedialità c’è. È ovvio, ma è così! È una realtà con cui è
ormai indispensabile il confronto. Fare come se non esistesse o peggio decidere
di tenersene lontani, convinti che si tratti di una difficoltà o di un male da evitare,
sono atteggiamenti assolutamente al di fuori del senso di responsabilità dei
docenti e della scuola.
Poi perché la multimedialità c’è nella società e tra i giovani. La nostra società è
immersa nella multimedialità e soprattutto lo sono i giovani, in maniera particolare
e spesso molto coinvolgente. Solo un esempio a conferma: l’uso che le nuove
generazioni fanno del computer e del telefonino, quest’ultimo un computer
minuscolo, ma molto invadente, sempre più multimediale e multifunzionale.
50 - QUADERNO DELLA CONSULTA
La multimedialità fa parte della «cultura di vita»2 dei ragazzi. Spetta alla scuola
decidere se questa cultura deve restare fuori dalle aule scolastiche, creando
una qualche frattura tra giovani e istituzione scolastica, oppure se deve entrarci,
quanto e come.
E ancora perché la multimedialità veicola la comunicazione. Non è più pensabile
ormai una comunicazione senza gli strumenti e i luoghi della multimedialità.Anche
qui un esempio su tutti: le possibilità a riguardo offerte dalla rete Internet.
La multimedialità digitale inoltre ci sta cambiando, sta cambiando le studentesse
e gli studenti che siedono nelle aule.
Per tutto questo la multimedialità deve esserci a scuola. È una presenza che
sta faticosamente trovando i modi e i tempi del suo inserimento e della sua
accoglienza, come dimostrano tante esperienze qualificate nella scuola italiana
in tutti i suoi ordini e gradi3. Non si tratta di un vezzo o di una moda, ma dello
strumento con cui la scuola può svolgere la sua funzione, educando i giovani “in”
questi tempi e “a” questi tempi, educando cioè alla piena cittadinanza oggi, con
le caratteristiche, gli strumenti, i problemi, le opportunità dell’oggi.
La multimedialità (e il computer) come simbolo del problema del
cambiamento
La nostra società è caratterizzata da un cambiamento sempre più veloce, se
non addirittura vorticoso e il computer e la tecnologia digitale ne sono a buon
diritto il simbolo. Naturalmente anche la scuola risente del problema di un
cambiamento che non (sempre) riesce a gestire.
Questo investe anche la comunicazione multimediale digitale.
Gli adulti, in genere, si sono formati con il libro, sono uomini tipografici, per
2 C. SCURATI, Dieci anni per capire in M. MORCELLINI - P. C. RIVOLTELLA (a cura di), La sapienza di comunicare. Dieci anni di media education in Italia e in Europa, Erickson, Trento 2007,
31-37. Si veda anche a riguardo l’intervento di C. Scurati negli Atti dei Convegni di Verona sul
tema Didattica della comunicazione didattica, in corso di pubblicazione, come detto nella nota
n° 1.
3 Cfr. A. PAROLA (a cura di), Territori mediaeducativi. Scenari, sperimentazioni e progetti nella
scuola e nell’extrascuola, Erickson, Trento 2008 e M. MORCELLINI - P. C. RIVOLTELLA (a cura di),
Op. cit. A riguardo va ricordata anche l’esperienza delle scuole dell’Autonomia, iniziata nel 1997
in 22 scuole dell’allora Direzione classica, scientifica e magistrale, che ha dato origine a una nuova materia denominata Linguaggi non verbali e multimediali, poi diffusa e ancora presente in più
scuole d’Italia. I contenuti e le attività connessi a questa nuova materia sono vari e diversificati.
Per una sua possibile impostazione contenutistica e metodologica, cfr M. COMPAGNI, Linguaggi
non verbali e multimediali. Alcune precisazioni per comprendere la nuova “materia” in: Progetto Logos. Educare al linguaggio e ai linguaggi nell’epoca della complessità. Annuario del
Liceo Ginnasio Statale Scipione Maffei, Verona 1998, 31-38. L’esperienza delle scuole dell’autonomia è raccontata in: M. COMPAGNI, Dalle sperimentazioni al Progetto Logos. Inclusione e
innovazione in: Annuario del Liceo “Scipione Maffei”. Bicentenario 1807-2007, Verona, 2007,
Tomo I, 256-280.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 51
4
dirla con Marshall McLhuan . Faticano ad incontrare e a studiare ciò che non
è “libro”, faticano ad usare una strumentazione multimediale che non hanno
incontrato nel cammino di formazione professionale, che conoscono solo per
un loro specifico interesse o per loro buona volontà, spesso in misura minima
rispetto alle immense possibilità offerte degli strumenti digitali oggi a disposizione.
La multimedialtà è quindi un elemento con cui fare i conti nella sua duplicità:
sia come elemento dato e, in un certo senso, scontato; sia come elemento
nuovo, con la conseguente necessità di imparare ad usarlo e a coniugarlo nella
comunicazione e nelle attività didattiche quotidiane. E questo non sempre e non
per tutti è facile e scontato!
Multimedialità e cambiamento
Per tentare di capire i mutamenti in atto si potrebbe partire dall’assunto di
Marshall McLuhan secondo cui il mezzo è il messaggio5. Rapportato, ad esempio,
alla rete Internet, questo equivarrebbe a dire che Internet influenza il modo di
pensare e di vivere non per i contenuti che veicola, e in effetti la rete contiene
tutto e il suo contrario, ma per il solo fatto di esserci. Non è quindi un qualcosa
di indifferente o di accessorio, ma uno strumento che va compreso in tutte le
sue valenze.
Certo l’assunto di McLuhan, con il suo marcato determinismo tecnologico, è
perentorio e da sempre ha incontrato sostenitori e critici. Rimane comunque
come un punto di riflessione per chi si occupa di comunicazione.
È opportuno tentare un approfondimento su questo argomento.
Secondo la Storia della Comunicazione di Massimo Baldini6 si sono succedute
quattro grandi culture nella storia dell’uomo, determinate dalla prevalenza dello
strumento usato per comunicare:
- la cultura orale, dalla nascita del linguaggio fino alla metà del IV millennio a.C.,
data a cui risalgono le più antiche scritture finora scoperte, in cuneiforme: è
caratterizzata dalla voce e dalla memoria. Ecco alcuni tratti di tale cultura. I
vecchi hanno particolare importanza in quanto depositari della conoscenza. Il
sapere può solo essere ricordato, per cui acquistano grande rilevanza gli aiuti
alla memoria: dai contenitori ritmici e formulaici alla poesia, che nasce come
racconto ritmato e cadenzato, accompagnato dalla musica, attraverso il quale
passa la cultura di un popolo7. Una cultura a oralità primaria è generalmente
avversa alle novità perché ogni cosa nuova comporta una ri-sistemazione e una
4 Si veda M. MCLHUAN, La galassia Gutenberg. Nascita dell’uomo tipografico, Armando
Roma, 1998.
5 M. MCLUHAN - Q. FIORE, Il medium è il messaggio, Feltrinelli Milano, 1968.
6 M. BALDINI, Storia della comunicazione, Newton Compton Roma, 2003.
7 Sul concetto di poesia come enciclopedia tribale si veda: E. A. HAVELOCH, Cultura orale e
civiltà della scrittura, Laterza, Bari, 1999. Sulla cultura dell’oralità è utile anche la lettura di: W.
J. ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna, 1986.
52 - QUADERNO DELLA CONSULTA
ri-memorizzazione delle conoscenze;
- la cultura chirografica, dalla metà del IV millennio a.C. all’invenzione della stampa
di Giovanni Gutenberg, nella metà del XV secolo d.C.: è caratterizzata dalla
scrittura a mano (il libro manoscritto). Un caso emblematico: nell’Atene del V
secolo a.C. era in atto una grande discussione sull’introduzione o meno della
scrittura. Ne è testimone in particolare il dialogo platonico Fedro con il famoso
mito di Theuth8. Socrate rifiuta la scrittura, Platone nonostante tutto la accetta
e scrive. La mente umana, grazie alla scrittura, può spaziare in tutti i campi
del sapere: giunge infatti a maturazione in quel periodo la letteratura, l’arte, la
scienza greca;
- la cultura tipografica, dalla metà del XV sec. d.C. alla metà del XIX secolo: è
caratterizzata appunto dalla stampa (libro a stampa). Per i cambiamenti culturali
e sociali introdotti dalla stampa basti il richiamo a McLuhan e alla «nascita
dell’uomo tipografico»9;
- la cultura dei media elettrici ed elettronici, a partire dalla metà dell’800. Viene
presa come data simbolica il 1844, anno in cui Samuel Morse inaugura un
collegamento telegrafico, di pubblico servizio, tra Washington e Baltimora. «Fu
solo con l’avvento del telegrafo che i messaggi poterono viaggiare più in fretta del
messaggero. Prima esisteva uno stretto rapporto tra le strade e la parola scritta.
Con il telegrafo l’informazione si è staccata da materie solide come la pietra e il
papiro, nello stesso modo in cui il denaro si era precedentemente staccato dalle
pelli, dai lingotti e dai metalli per diventare carta. Il termine “comunicazione” è
stato ampiamente usato con riferimento alle strade, ai ponti, alle rotte navali,
ai fiumi e ai canali, prima di trasformarsi con l’era elettronica in “movimento
d’informazione”»10.
Secondo l’assunto di McLuhan, gli adulti sono “figli” della stampa e dei libri,
cioè di quegli strumenti culturali che hanno caratterizzato la cosiddetta cultura
tipografica. Oggi invece i giovani sono plasmati più dagli strumenti elettrici ed
elettronici che dai libri (i dati sulla lettura sono fra l’altro assai poco confortanti).
«È inutile negarlo: gli studenti sono diversi rispetto alla generazione dei docenti.
Sono cambiati e stanno cambiando, con una velocità che si pone come una sfida
per gli adulti. Non si tratta di un salto generazionale, per altro sempre presente.
La scuola infatti da sempre gioca fra un “perennemente giovane”, costituito dalle
studentesse e dagli studenti che la frequentano, e un “perennemente adulto”
costituito dai docenti e, in genere dal personale presente a scuola. Sempre i
giovani sono, anzi devono essere, portatori di novità e di istanze “altre”. Sempre
gli educatori adulti devono ascoltare, comprendere, indirizzare, valorizzare: in
8 PLATONE, Fedro, Mondadori Milano, 1998.
9 M. MCLUHAN, La galassia Gutenberg, op. cit.
10 M. MCLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Est, Milano 1997, 99.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 53
una parola “e-ducare”, cioè portare a compimento le potenzialità degli studenti.
È assolutamente necessario che nessuna delle due componenti rinunci al suo
ruolo, perché è attraverso questa dinamica che nascono il confronto e la crescita,
sia di personalità che di cultura.
Ma non è questa, o non solo questa, la diversità di cui oggi si tratta. Infatti la
“nuova” diversità riguarda il contesto sociale complessivo. Quello attuale è un
mondo nuovo, in un certo senso estraneo agli adulti. Gli adulti, e fra essi gli
insegnanti, sono cresciuti nell’era tipografica, figli della stampa, del libro, della
parola. I giovani sono nati e stanno crescendo nell’era della comunicazione
elettrica ed elettronica, figli dell’immagine, della televisione, della multimedialità,
della rete. Gli adulti sono portatori di un pensiero analitico-diacronicosequenziale, i giovani invece stanno maturando o hanno già maturato un
pensiero sintetico-sincronico-simultaneo. Quanto i due mondi siano lontani è
stato ormai detto e scritto. Basti pensare che la diversità non tocca solo l’uso
degli strumenti, investe anche le relazioni con se stessi e con gli altri, riguarda il
modo di pensare; riguarda in sostanza gli stili cognitivi: cioè il modo con cui si
comprende, si studia, si impara. Questo cambiamento richiede necessariamente
studio e interventi educativi adeguati da parte dei docenti. La scuola non può
eludere il problema»11.
Ulteriori indicazioni di cambiamento
Ancora qualche elemento di riflessione sul cambiamento provocato dalla
multimedialità digitale. Non si può non citare la cosiddetta teoria ecologica di
Neil Postman: «Se si portano via i bruchi da un determinato habitat, non avremo
più lo stesso ambiente con in meno i bruchi, ma avremo un nuovo ambiente
in cui avremo ricostruito le condizioni per la sopravvivenza. Se si introducono
i bruchi in un ambiente che ne era privo, il discorso è lo stesso. L’ecologia dei
media funziona allo stesso modo. Una nuova tecnologia non aggiunge e non
sottrae nulla: cambia tutto»12.
Sulla stessa linea ancora Marshall McLuhan: «Se una tecnologia viene introdotta in
una cultura sia dall’interno sia dall’esterno, e se provoca una nuova accentuazione
o supremazia di uno o dell’altro dei nostri sensi, allora il rapporto tra tutti i sensi
ne risulta alterato. Noi non sentiamo più nello stesso modo, né i nostri occhi e
orecchi e gli altri sensi rimangono gli stessi»13.
I media, soprattutto con l’avvento del digitale, hanno modificato anche la
percezione del tempo. Il mondo appare fatto di “subitaneità”, di “tempo reale”,
appiattito su un “eterno presente”, con il rischio di una dimensione univoca
11 O. SALEMI - E. RAMA - M. COMPAGNI, La comunicazione didattica in Rassegna dell’istruzione,
Anno LXII, n° 1 2007/2008, Le Monnier Firenze, 6-13.
12 N. POSTMAN, Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia, Bollati Boringhieri, Torino
1993, 24.
13 M. MCLUHAN, La galassia Gutenberg, 50.
54 - QUADERNO DELLA CONSULTA
che perde i fondamenti del passato e corre il rischio di non aprire o di non far
intravedere il futuro. Il mondo è ciò che compare sullo schermo o sul monitor, e
che non c’è più “subito dopo”, quando si spegne la televisione o il computer.
E anche lo spazio appare svanito: l’immagine ossimorica del “villaggio globale” o
del “villaggio planetario” di McLuhan ne è una metafora eloquente.
A riguardo torna utile la tesi di Ong nei suoi studi sulla parola e sull’oralità: «La
tecnologia elettronica ci ha condotti in un’era di “oralità secondaria”. Questa
nuova oralità ha sorprendenti somiglianze con quella più antica per la sua mistica
partecipatoria, per il senso della comunità, per la concentrazione sul momento
presente e persino per l’utilizzazione delle formule. Ma si tratta di un’oralità
più deliberata e consapevole, permanentemente basata sull’uso della scrittura
e della stampa… l’oralità secondaria genera il senso di appartenenza a gruppi
incommensurabilmente più ampi di quelli delle culture a oralità primaria»14.
E infine ancora Baldini: «I mass media hanno cambiato le modalità di lettura e
di scrittura, hanno cambiato i tempi e le caratteristiche del divertimento, hanno
rimodellato il sensorio e tendono, tra l’altro, a modificare i processi educativi
che erano stati adottati dagli uomini nei secoli precedenti»15.
Da tutto questo nasce la necessità, ormai ampiamente documentata16, di ripensare
la comunicazione e l’azione didattica a seguito delle nuove tecnologie.
La ri-mediazione
Il tempo che stiamo vivendo si configura quindi come la cultura dei mezzi
elettrici ed elettronici. Si tratta, come si è appena visto, di una sorta di rivoluzione,
accentuata dall’avvento dei cosiddetti new-media, i media che si avvalgono della
tecnologia digitale e che vengono ormai differenziati dai più “tradizionali” massmedia.
In questa fase storica di transizione dalla cultura della stampa, quella degli adulti
e dei docenti, alla cultura della multimedialità e del digitale, quella dei giovani
e degli studenti, vanno superate due idee per certi versi contrapposte, come
bene ha evidenziato G. Bordoni17. Innanzitutto l’idea illuministica di uno sviluppo
lineare progressivo delle forme di comunicazione. È una visione tutta positiva di
fronte al nuovo, una visione “integrata”, per usare una felice terminologia di U.
14 W. J. ONG, Oralità e scrittura, 191-192.
15 M. BALDINI, Storia della Comunicazione, 88-89.
16 A titolo di esempio si veda: A. CALVANI, Educazione, Comunicazione e nuovi media. Sfide
pedagogiche e cyberspazio, Utet, Torino, 2001; P. C. RIVOLTELLA, Costruttivismo e pragmatica
della comunicazione on line. Socialità e didattica in Internet, Erickson, Trento, 2003; L. CANTONI - N. DI BLAS, Comunicazione. Teoria e pratiche, Apogeo, Milano, 2006; G. BIONDI, La scuola
dopo le nuove tecnologie, Apogeo, Milano, 2007; M. MORCELLINI – I. CORTONI, Provaci ancora, scuola. Idee e proposte contro la svalutazione della scuola nel Tecnoevo, Erickson Trento,
2007.
17 Cfr l’articolo di G. Bordoni in questo stesso quaderno.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 55
Eco. D’altro canto va superata l’idea romantica della contrapposizione tra una
comunicazione “umana-naturale”, e quindi vera, autentica, e una comunicazione
“mediata-tecnologicamente”, e quindi falsa, da rifiutare e da esorcizzare. È una
visione negativa di fronte al nuovo. Nasce dal desiderio non di recuperare, ma di
restare, se non addirittura di restaurare il passato. Ricorrendo alla terminologia
di Eco potremmo definirla una visione “apocalittica”.
In effetti occorre essere consapevoli che non esiste una comunicazione immediata, cioè non-mediata, non caratterizzata da una qualche forma di tecnologia
della parola..
Una potente forma di tecnologia della parola, ad esempio, è stata, ed è tuttora,
l’alfabeto fonetico greco, che ha permesso, attraverso l’utilizzo di poco più di una
ventina di segni, di esprimere e quindi di comunicare tutta l’esperienza umana,
dalla letteratura alla scienza, dalla politica alla vita quotidiana.
Raffaele Simone, in un suo testo di qualche anno fa, definisce questo tempo
come “Terza Fase”, dopo la prima, quella della scrittura, e la seconda, quella
dell’invenzione della stampa: «Qual è il motore di questa Terza Fase della storia
della conoscenza? Si possono dare due risposte. La prima, molto semplice, è
la seguente: i motori del cambiamento sono la televisione e il computer, con
tutti gli effetti che hanno avuto sulla società e con gli sviluppi tecnologici
che hanno prodotto… Una risposta più complicata è questa: la Terza Fase è
stata avviata dall’apparizione dell’informatica e della telematica. La televisione
è stata poco più di un oggetto di casa fino a che non è stata risucchiata nel
territorio dell’informatica e della telematica. La stessa cosa sta succedendo e
succederà sempre più al telefono, altro “oggetto mite” che si è trasformato in
una potentissima stazione di partenza verso altri mondi. Il collegamento alla
telematica ha fatto cambiare natura, funzione e significato a una serie di oggetti
di uso quotidiano»18.
Il testo di Simone è così sottotitolato: «Forme di sapere che stiamo perdendo».
E riflette un modo di sentire abbastanza diffuso. In questa fase di transizione,
però, più che parlare di perdite o di guadagni, serve individuare e mettere in
atto una “ri-mediazione” del sapere, delle “forme del sapere”, delle forme della
comunicazione; una “ri-mediazione” delle conoscenze, delle competenze, delle
capacità che metta in gioco sia la tradizione (la scrittura e la stampa), sia il nuovo
(la multimedialità) in una nuova sintesi, quindi in una nuova cultura e, per quanto
riguarda la scuola, in una rinnovata comunicazione didattica19.
Studentesse e studenti e multimedialità
18 R. SIMONE, La Terza Fase. Forme di sapere che stiamo perdendo, Laterza Bari, 2001, XIII-XIV.
19 Per quanto riguarda la ri-mediazione cfr: J. D. BOLTER – R. GRUSIN, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, prefazione e cura di A. MARINELLI, Guerini, Milano
2003; G. BIONDI, op. cit.; M. MORCELLINI - I. CORTONI, Op. cit.; G. BORDONI, Op. cit.
56 - QUADERNO DELLA CONSULTA
Il cambiamento provocato dalla multimedialità si riflette naturalmente sul modo
di pensare e quindi di organizzare il lavoro scolastico delle studentesse e degli
studenti.
Vengono date ora in elenco alcune caratteristiche, sia positive che negative,
introdotte dalla multimedialità, così come sono state desunte dalla pratica
didattica quotidiana. Vogliono essere un contributo alla riflessione su un
argomento ormai di urgente importanza.
- Motivazione. Gli alunni sono disponibili al nuovo percorso dato dalla
multimedialità. Si applicano volentieri, anche perché vedono un risultato
immediato del loro studio e del loro lavoro. Spesso infatti capita che i ragazzi
chiedono più tempo, al mattino o al pomeriggio, per i lavori multimediali. Si
tratta di un fattore importante, anzi, fondamentale! Potrebbe essere la leva
per motivazioni più ampie, che abbraccino anche le altre materie e il lavoro
scolastico in generale.
- Ampliamento e modifica del curricolo. Si devono conoscere elementi nuovi rispetto
al passato, anche recente. Sono indispensabili le conoscenze informatiche e
l’abilità nell’uso del computer. Occorre conoscere il linguaggio multimediale
nelle sue implicazioni tecniche, estetiche e metalinguistiche.
- Competenze degli alunni. Le competenze degli alunni in questa fase ancora di
novità possono superare quelle del docente. Si verifica così un cambiamento di
ruoli: l’alunno dà consigli e aiuti all’insegnante. Spesso però si tratta di competenze
solo quantitative, empiriche, talvolta confuse, che richiedono comunque di essere
finalizzate e riempite di contenuti. E qui si gioca il ruolo del docente.
- Nuovo rapporto discente-docente. Le competenze degli alunni e le attività
laboratoriali, spesso di gruppo, determinano nuovi, e forse più significativi,
rapporti tra ragazzi e docente. L’insegnante è maggiormente coinvolto, perché
viene continuamente richiesto il suo intervento nelle scelte che gli alunni
devono fare. Si forma così una rete di relazioni più forti e più significative, con
conseguente miglioramento del clima scolastico e quindi dell’apprendimento.
- Una scuola più vicina. Studentesse e studenti sono quotidianamente immersi
nella multimedialità. È questo il loro mondo comunicativo. Parlare di
multimedialità e usare la comunicazione multimediale quindi significa avvicinare
la scuola agli alunni, parlare il loro linguaggio per aiutarli a capire e a crescere.
E questo, come già detto, ha un deciso riscontro in termini di motivazione.
- Approccio più immediato al sapere. L’approccio al sapere attraverso i nuovi media
pare sia più “naturale”, perché avviene in forma “plurilinguistica”: parole, suoni,
musica, immagini fisse e in movimento. È il linguaggio congeniale ai giovani.
- Uso ludico dello strumento. Da un lato si tratta di un elemento fortemente positivo,
perché provoca interesse e piacere e quindi favorisce l’apprendimento. Dall’altro
invece risulta elemento negativo, quando gli alunni vedono lo strumento solo
come fine a se stesso e vi si abbandonano con il solo scopo, alla lunga effimero, del
QUADERNO DELLA CONSULTA - 57
(video)gioco. Questo chiama in campo la scuola che non ha fatto ancora i conti
con le grandi potenzialità formative degli strumenti informatici e multimediali.
- Procedere per tentativi. Capita spesso che gli studenti procedano nella
conoscenza e nell’uso della multimedialità per tentativi. Si prova per vedere
cosa succede e si riprova per vedere se alla fine succede quello che si
desidera. Spesso prima e al di fuori di un ragionamento e di una valutazione
sul da farsi! Capita anche che così facendo lo studente si perda: la metafora
del navigare richiama anche il naufragio. Un possibile pericolo è che lo
studente interiorizzi questo modo di procedere per tentativi a discapito
delle operazioni fondamentali della riflessione e della progettazione previe.
- Un procedimento complesso. Il linguaggio multimediale, essendo dato dalla
compresenza di tanti (tutti?) i linguaggi, richiede naturalmente conoscenze
complesse e nuove sia in fase di analisi che di produzione. Di fatto richiede
la conoscenza di tutti i linguaggi di cui si compone l’ipertesto: parola scritta
e detta, immagine ferma e in movimento, suono e musica, da cui nasce uno
specifico linguaggio multimediale, con la sue regole compositive. Non si tratta di
spezzettare questo nuovo linguaggio per analizzarne separatamente ogni singolo
componente.Viene richiesta una nuova visione complessiva.
- Interattività. Una delle caratteristiche del linguaggio multimediale è l’interattività,
cioè la possibilità di agire sui testi e di produrre comunicazione con relativa
facilità. Se volessimo usare un facile slogan, potremmo dire che gli studenti
imparano facendo, che è il modo migliore e più motivante per apprendere.
- Imparare attraverso l’esperienza. Ci soccorre una riflessione di Domenico Parisi:
«Imparare con il computer è imparare non attraverso il linguaggio, cioè nel
modo in cui si è imparato fino a oggi a scuola, ma attraverso l’esperienza, cioè
vedendo la realtà riprodotta e visualizzata nel computer, agendo su di essa e
osservando i cambiamenti causati dalle nostre azioni20». Ciò equivale a dire che
da come la realtà “virtuale” riprodotta nel computer risponde alle nostre azioni
impariamo come è fatta e come funziona la realtà “reale”.
- Perdita della diacronia. L’appiattimento sul presente e la capacità di analisi
sincronica, di cui si è detto sopra, possono far perdere il senso della
dimensione diacronica, con conseguenze negative per quanto riguarda,
ad esempio, la collocazione temporale dei fatti e lo studio della storia.
- La progettazione. La multimedialità e l’ipertesto possono far nascere
la falsa concezione di una comunicazione per libere associazioni, per
giustapposizione di tanti pezzi. Si pensi ad esempio alla facilità compositiva
permessa dall’elaboratore testi a cui sembra corrispondere un
minore impegno di progettazione dell’elaborato. Invece la comunicazione
multimediale e ipertestuale è molto complessa e, oltre alle necessarie
20 V. D. PARISI, [email protected] Come il computer cambierà il modo di studiare dei nostri figli, Mondadori, Milano 2000, 5.
58 - QUADERNO DELLA CONSULTA
competenze tecnico-informatiche, richiede una precisa progettazione
(mappa delle idee e dei link) e una costante verifica-riprogettazione in itinere.
- Il lavoro di gruppo. La multimedialità rende possibile il lavoro di gruppo. Gli
studenti imparano il confronto e la discussione operativa, il rispetto dei tempi
diversi di lavoro, il riconoscimento delle diverse abilità. Anzi, spesso si aiutano a
vicenda, diventando ciascuno tutor del compagno. Nasce così quella conoscenza
cooperativa, tipica della tecnologia e della comunicazione multimediale digitale,
che è una risorsa da indirizzare e da valorizzare.
- Dalla consequenzialità alla navigazione: autore, lettore e coerenza. Il passaggio dal
testo all’ipertesto, dalla sequenzialità alla navigazione va a toccare il tema della
coerenza. L’ipertesto tende a non avere un centro e una periferia. Nelle modalità
di fruizione è quindi anarchico e la sua lettura è nomade: tutte le opzioni del
lettore sono possibili. Tanto più quindi è necessaria la definizione di un punto di
arrivo, perché la navigazione non diventi inutile perdita di tempo o, peggio, un
naufragio, ma giunga a buon fine. Inoltre la forma di intelligenza e di comprensione
di una comunicazione multimediale è più legata alla simultaneità della visione,
piuttosto che alla sequenzialità tipica del libro. Tutto questo comporta una
rivisitazione dei ruoli di autore e di lettore e una diversa impostazione delle
competenze di scrittura e di lettura.
- Eccesso di informazione (information overload). Attraverso la rete gli studenti hanno
a disposizione una quantità di informazioni che sembra infinita. Si tratta di una
opportunità, ma anche di un rischio, che può addirittura azzerare le possibilità di
informazione e di comunicazione21. Nasce quindi la necessità della verifica delle
informazioni stesse e della capacità di selezionare ciò che è necessario da ciò
che è solo accessorio o addirittura inutile.
A questo punto si potrebbe aprire il tema dell’influenza della multimedialità sul
codice lingua, di gran lunga il più usato nella prassi didattica. Ma è un terreno che,
per ovvii motivi di tempo e di spazio, non può essere qui percorso.
Docenti e multimedialità
La presenza della multimedialità comporta necessariamente dei cambiamenti
nel modo di gestire l’azione didattica da parte dei docenti22. Ecco alcune piste
di riflessione.
- Un percorso nuovo. Si tratta di progettare percorsi nuovi. Da una parte occorre
21 Cfr N. ROSSIGNOLI, Appunti di cultura digitale. Informazione, Comunicazione, Tecnologie,
Lampi di stampa, Milano 2008, 28.
22 Cfr G. OLIMPO, La multimedialità come agente di trasformazione di pensiero, di azione didattica e di organizzazione del lavoro dei docenti, in F. BUTTURINI - G. MARUCCI - A. PIPERNO (a
cura di), Linguaggi non verbali e multimediali: un curricolo di comunicazione e multimedialità,
Atti del Seminario residenziale di Verona (4-7 dicembre 2000), Quaderno n° 46 del Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Verona 2001, 67-87.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 59
non lasciarsi prendere da eccessive paure, dall’altra non lasciarsi trascinare, un
po’ acriticamente, dalla carica di fascino che la novità può portare con sé. Serve
tutta l’attenzione possibile per progettare un “nuovo” che sia utile e significativo
per gli studenti, senza velleitarismi e perdite di tempo. Il fine è quello sia di
tenere conto dei nuovi stili cognitivi dei giovani, sia di educare ai linguaggi “altri”
rispetto a quello verbale, in particolare al linguaggio multimediale. Si mette in
atto così quella “ricerca-azione” che dovrebbe caratterizzare costantemente il
lavoro della scuola e degli insegnanti.
- Nuove competenze. Servono nuove competenze, non acquisite a suo tempo nel
percorso scolastico e universitario. L’insegnante deve declinare la sua disciplina
all’interno della pluralità di linguaggi e di codici richiesti dalla comunicazione
multimediale. Ci si può anche servire di esperti, e si possono anche sfruttare le
competenze di qualche studente, ma è indubbio che occorre una formazione
personale che affronti l’uso della strumentazione e le nuove modalità comunicative.
Conoscenza e uso graduali quanto si vuole, ma necessari!
- Collegialità. Attraverso la progettazione e la realizzazione collegiale delle
attività è possibile realizzare percorsi che, in quanto multimediali, richiedono
la compresenza di diverse professionalità. Inoltre mettendo insieme le varie
competenze è anche più facile superare le difficoltà legate all’uso della nuova
tecnologia.
- Codocenza e compresenza. Le attività legate alla multimedialità, attraverso il
lavoro collegiale, comportano spesso sia la pratica della codocenza che della
compresenza. Per codocenza si intende la realizzazione da parte di più docenti,
e quindi di più discipline, dello stesso progetto, all’interno delle ore autonome di
ciascuna materia. La compresenza invece prevede la contemporanea presenza di
due o più docenti nella stessa ora di lezione, naturalmente sempre per attuare
un progetto preventivamente programmato. In particolare la compresenza
comporta grande attenzione ai contenuti, ai modi di attuazione, alla progettazione
sia previa sia in itinere. Serve una nuova organizzazione didattica, quella che
con termine tecnico, come recita la legge sull’autonomia scolastica, si chiama
flessibilità23. Oltre ad essere una modalità organizzativa, la flessibilità è anche una
disposizione mentale dei docenti.
- Variabile “tempo”. Le attività multimediali richiedono molto tempo, sia
per la progettazione che per la realizzazione. È un lavoro “aggiuntivo” che,
contrariamente a quanto accade, andrebbe riconosciuto a tutti i livelli: dalla
formazione alla retribuzione.
- Valutazione. La multimedialità, comportando un nuovo modo di lavorare da
parte degli studenti e dei docenti, rende necessario un nuovo modo di valutare
23 Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275: Regolamento recante norme
in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge del 15 marzo
1997, n° 59.
60 - QUADERNO DELLA CONSULTA
sia i percorsi sia i risultati e i prodotti24. Si pensi ad esempio ai parametri di
valutazione di una comunicazione multimediale fatta dagli studenti per gruppi
di lavoro.
- Libri di testo. Sono uno strumento importante. Essendo la multimedialità una
risorsa per l’azione didattica, i libri di testo andrebbero rivisti per essere attenti
e propositivi al riguardo.
- Formazione dei docenti. È la chiave di volta di tutto il discorso. Da parte dei
docenti occorre la consapevolezza della sua necessità e la disponibilità ad una
formazione permanente, indispensabile per svolgere una professione sempre
più importante, ma anche sempre più impegnativa, perché sempre nuova. La
formazione dovrebbe necessariamente toccare sia l’aspetto legato ai nuovi stili
cognitivi delle studentesse e degli studenti, sia gli elementi legati alla tecnologia
e alla comunicazione multimediale digitale.
La risposta della scuola
Di fronte ad uno scenario che sta rapidamente cambiando, la scuola non è
rimasta ferma. Innanzitutto è progressivamente cresciuta la consapevolezza della
necessità di un impegno didattico nel campo della comunicazione multimediale.
E poi, pur tra difficoltà di ordine economico, organizzativo e didattico, sono stati
pensati, progettati e messi in atto alcuni percorsi didattici in cui la multimedialità
è sia oggetto di studio in sé in quanto linguaggio comunicativo, così come avviene
ad esempio per la lingua italiana o straniera, sia strumento comunicativo per
veicolare i contenuti di altre discipline scolastiche.
Ma ovviamente molto rimane ancora da fare!
In questa sede si riportano tre punti, che possono favorire la riflessione e
l’azione didattica: la strategia di Lisbona, il Decreto sull’innalzamento dell’obbligo
scolastico, la creazione di una nuova materia denominata “Linguaggi non verbali
e multimediali”.
La strategia di Lisbona
La necessità di percorsi didattici riferiti alla multimedialità digitale nasce anche
da una precisa strategia dell’Unione Europea, definita nel Consiglio Europeo
di Lisbona (23 e 24 marzo 2000) e più volte ripresa, potenziata e sempre
meglio definita. L’ultimo atto al riguardo è la «Raccomandazione del Parlamento
europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per
l’apprendimento permanente».
Tale Raccomandazione è accompagnata da un allegato dal titolo: «Competenze
chiave per l’apprendimento permanente – Un quadro di riferimento europeo».
Le otto competenze chiave per la formazione del cittadino europeo, già
24 Sull’argomento si veda anche R. COSTA, Progettare e valutare percorsi multimediali integrati,
in F. BUTTURINI - G. MARUCCI - A. PIPERNO (a cura di), 97-101.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 61
anticipate nel Consiglio Europeo di Lisbona, vengono qui riprese, ridefinite e
nuovamente riproposte ai governi degli Stati membri dell’Unione per la loro
effettiva realizzazione nei piani educativi e scolastici nazionali.
Queste otto competenze chiave, che devono essere raggiunte al termine della
formazione di base del cittadino europeo e poi mantenute in un progetto
di «istruzione e formazione lungo tutto l’arco della vita» (Lifelong Learning),
sono le seguenti: «1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle
lingue straniere; 3) competenza matematica e competenza di base in scienza
e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze
sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed
espressione culturale».
Come si vede nelle competenze chiave del cittadino europeo compare anche
la competenza digitale, che così viene definita: «La competenza digitale consiste
nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della
società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione.
Essa è supportata da abilità di base nelle TIC: l’uso del computer per reperire,
valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per
comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet». Altri aspetti
di tale competenza vengono forniti dove si declinano le «conoscenze, abilità
e attitudini essenziali legate a tale competenza»25. E alla loro lettura qui si
rimanda.
La strategia di Lisbona e quindi l’intero progetto formativo e didattico riferito
alle otto competenze chiave dovrebbero essere operativi entro l’anno 2010.
I quattro assi culturali
Nell’agosto dello scorso anno è stato emanato il Decreto sull’innalzamento
dell’obbligo scolastico. Il testo si compone di 6 articoli ed è accompagnato da
un Documento tecnico: il contesto e il metodo, e da due allegati: Allegato n° 1: Gli assi
culturali; Allegato n° 2: Competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine
dell’istruzione obbligatoria.
Il decreto recepisce naturalmente le indicazioni europee: sono presenti le
competenze chiave e, fra esse, la competenza digitale. Alla fine del percorso
scolastico obbligatorio di dieci anni, le studentesse e gli studenti italiani dovranno
possedere quelle competenze che abbiamo già visto e che dovranno poi essere
coltivate e approfondite nei percorsi scolastici e formativi seguenti, come pure
lungo tutto l’arco della vita.
Il decreto delinea un itinerario didattico articolato su quattro assi portanti: l’asse
25 Cfr Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, Allegato: Competenze chiave per
l’apprendimento permanente – Un quadro di riferimento europeo, accolti nella Legge n° 394
del 30/12/2006.
62 - QUADERNO DELLA CONSULTA
dei linguaggi,l’asse matematico,l’asse scientifico-tecnologico,l’asse storico-sociale.
Per ciascuno di essi si definiscono competenze, abilità/capacità, conoscenze. A
conferma della presenza della multimedialità digitale basti la citazione di alcuni
punti presi dall’asse dei linguaggi e dall’asse scientifico-tecnologico26.
Asse dei Linguaggi
Competenze
Abilità/capacità
Conoscenze
Utilizzare e produrre
testi multimediali
Comprendere i prodotti
della comunicazione
audiovisiva
Principali componenti
strutturali ed espressive
di un prodotto
audiovisivo
Elaborare prodotti
multimediali (testi,
immagini, suoni, ecc),
anche con tecnologie
digitali
Semplici applicazioni per
la elaborazione audio e
video
Uso essenziale della
comunicazione telematica
Asse scientifico-tecnologico
Competenze
Abilità/capacità
Conoscenze
26 Decreto 22 agosto 2007, n. 139, Regolamento recante norme in materia di adempimento
dell’obbligo di istruzione, ai sensi dell’articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n.
296, Allegato n° 1: Gli assi culturali, L’asse dei Linguaggi; L’asse scientifico-tecnologico.
QUADERNO DELLA CONSULTA - 63
Essere consapevole
delle potenzialità delle
tecnologie rispetto al
contesto culturale e
sociale in cui vengono
applicare
Riconoscere il ruolo
della tecnologia nella
vita quotidiana e
nell’economia della
società
Saper spiegare il principio
di funzionamento e la
struttura dei principali
dispositivi fisici e software
Fasi di un processo
tecnologico (sequenza delle
operazioni: dall’“idea” al
“prodotto”)
Il metodo della
progettazione
Architettura del computer
Struttura di Internet
Utilizzare le funzioni di
base dei software più
comuni per produrre
testi e comunicazioni
multimediali, calcolare
e rappresentare dati,
disegnare, catalogare
informazioni, cercare
informazioni e
comunicare in rete
Struttura generale e
operazioni comuni ai
diversi pacchetti applicativi
(tipologia di menù,
operazioni di edizione,
creazione e conservazione
di documenti, ecc.)
Operazioni specifiche di
base di alcuni dei programmi
applicativi più comuni
È indubbio che nella formazione di base, quella appunto coperta dall’obbligo
scolastico, e non solo, un posto significativo sia dato alla educazione alla
multimedialità, cioè alla cosiddetta competenza digitale.
Fra le attività messe in atto nella scuola italiana, una merita di essere citata
per il suo rilievo nazionale. Per attuare la strategia di Lisbona, come pure le
indicazioni normative del Decreto sull’innalzamento dell’obbligo scolastico, in
riferimento all’asse dei linguaggi, e quindi anche in riferimento alla multimedialità
e al linguaggio multimediale, il Ministero della Pubblica Istruzione ha predisposto
un piano di intervento a livello nazionale denominato “Didattica della
Comunicazione didattica”. Il progetto prevede la creazione e la formazione di un
gruppo di scuole “polo” per ciascuna regione d’Italia, con lo specifico compito
di predisporre e diffondere percorsi didattici riferiti soprattutto ai linguaggi
non verbali e multimediali, compresa la competenza digitale. Il progetto è già in
fase avanzata di attuazione: si sono svolti proprio a Verona già cinque seminari
nazionali nell’anno scolastico 2007/08 in cui sono state incontrate le scuole
rappresentanti di tutte le regioni d’Italia. E il progetto continuerà nell’anno
scolastico 2008/0927.
27 Il progetto nazionale del Ministero della pubblica istruzione denominato “Didattica della
Comunicazione didattica” è gestito da una cabina di regia diretta dal prof. Francesco Butturini, e
64 - QUADERNO DELLA CONSULTA
Anche questo testimonia, e in maniera significativa, l’impegno della scuola italiana
per la formazione e l’educazione alla multimedialità digitale.
Linguaggi non verbali e multimediali
Le esperienze in atto nella scuola italiana a riguardo della presenza nei percorsi
didattici della multimedialità sono tante e importanti e toccano tutti gli ordini
di scuola, come hanno dimostrato anche i Seminari Nazionali di cui si è parlato
nel paragrafo precedente.
Al di là delle singole esperienze, la mancanza forse più significativa è quella di un
curricolo specifico che ponga a scuola la multimedialità e la renda un percorso
didattico percorribile, con docenti appositamente formati, con strutture adeguate
e con strumentazioni efficienti.
Su questa linea si pone la creazione, già dal 1997, di una nuova materia denominata
“Linguaggi non verbali e multimediali” e attualmente presente in un numero
abbastanza significativo di scuole. Attraverso questa materia il linguaggio
multimediale digitale diventa oggetto specifico di studio, con la sua grammatica
e sintassi, e con le necessarie competenze applicative28.
“Linguaggi non verbali e multimediali” si svolge in ore autonome e in ore di
compresenza. Le compresenze prevedono la contemporanea presenza in aula
di due o più docenti su un progetto didattico preventivamente definito nei
contenuti e nella metodologia di svolgimento. Sulle compresenze molto si
potrebbe dire, anche in riferimento alle difficoltà che ne possono nascere. Una
sola sottolineatura merita qui di essere detta: la compresenza di “Linguaggi non
verbali e multimediali” con le altre discipline può essere il luogo privilegiato
per tentare quella ri-mediazione di cui prima si è parlato, cioè quella sintesi tra
tradizione (la scrittura e la stampa) e novità (la multimedialità), che è il lavoro
difficile, ma irrinunciabile a cui la scuola è ora chiamata.
Comunicazione, multimedialità e didattica sono ormai inscindibilmente legate.
La professionalità dei docenti deve sempre più indagare, insieme alla propria
specifica disciplina, anche la comunicazione, che oggi si struttura sempre più
come multimediale e digitale. In riferimento alla multimedialità molto si è già
fatto e si sta facendo. Molto però resta ancora da fare, sia nella comprensione
dei nuovi stili cognitivi, sia nella conoscenza e nell’uso delle nuove forme di
comunicazione. È un compito da svolgere con impegno e con passione, perché
su questo terreno si gioca il ruolo della scuola.
di essa fa parte anche lo scrivente. La sede dei cinque Seminari nazionale di studio e formazione,
svoltisi nelle date 23-26 ottobre, 18-19 dicembre 2007; 10-13 marzo, 7-10 aprile, 21-24 aprile
2008, è stata il Liceo classico Scipione Maffei di Verona, che ne ha assunto anche la gestione.
Gli atti dei Seminari, a cura di F. Butturini, sono in corso di pubblicazione.
28 Come già è stato detto alla nota n° 2, per una possibile impostazione di questa materia cfr: M.
COMPAGNI, Linguaggi non verbali e multimediali, Op. cit. e Curriculum. Linguaggi non verbali
multimediali in Annuario del Liceo Ginnasio statale Scipione Maffei, Verona 2001, 181-201.
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