R
EUMATOLOGIA
PRATICA
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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DICEMBRE 2007 NUMERO 4
LA CRIOGLOBULINEMIA MISTA
B. Canesi, D. Filippini ................................ 109
INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO
DELLE OLIGO/POLIARTRITI
O. Epis, E. Bruschi, E. Bonacci .................... 111
LA NOTA 79 : IL PARERE DEL MEDICO
DI FAMIGLIA E DELLO SPECIALISTA
B. Frediani, S. Giovannoni.......................... 117
SPONDILOARTRITI
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Presidente CROI
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ALLA GESTIONE DELL’ARTRITE REUMATOIDE
S. De Portu, L. Mantovani ........................... 128
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Bianchi M, Laurà G, Recalcati D. Il trattamento chirurgico delle rigidità acquisite del ginocchio. Minerva Ortopedica 1985;36:431-8.
libri
Tajana GF. Il condrone Milano: Edizioni Mediamix 1991.
Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and
infrastructure of the extemal nose and its importance in rhinoplasty. In. Conly
J, Dickinson JT, eds. Plastic and reconstructive surgery of the face and neck.
New York: Grune and Stratton 1972, p. 84.
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DICEMBRE 2007 VOLUME 1 PAGINA 109-110
LA
CRIOGLOBULINEMIA
MISTA
BIANCA CANESI, DAVIDE FILIPPINI*
Direttore, * Dirigente Medico I Livello,
S.O.C. di Reumatologia, Azienda Ospedaliera,
Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano
ed interessa più comunemente gli arti inferiori, soprattutto la regione perimalleolare e le gambe (sotto
il ginocchio). Talvolta l’interessamento cutaneo è più
grave, con la comparsa di ulcere, molto dolorose.
Le artralgie sono molto frequenti; l’artrite in genere
è un’oligo/poliartrite con negatività degli anticorpi
anti-citrullina nel siero, non erosiva. È discussa l’associazione con artrite erosiva indistinguibile dall’artrite
reumatoide.
Altri sintomi sono il fenomeno di Raynaud e la sindrome sicca. La crioglobulinemia mista può dare manifestazioni neurologiche, frequenti a carico del sistema
nervoso periferico (in genere polineuropatia sensitivo/motoria più comune agli arti inferiori, con possibili limitazioni anche importanti alla deambulazione e
quindi all’autonomia del paziente), rare a carico del
sistema nervoso centrale (forme focali o diffuse, che
costituiscono un’emergenza clinica). Il rene può essere
colpito a vari livelli di gravità (20-50% dei casi), dalla
microematuria e proteinuria dosabile ad una sindrome nefritica o nefrosica, per effetto in genere di una
glomerulonefrite membrano-proliferativa. L’impegno
epatico si osserva in circa il 50% dei pazienti, generalmente asintomatico. L’evoluzione in cirrosi interessa
circa 1/3 dei pazienti.
La vasculite crioglobulinemica è una vasculite sistemica, mediata da immunocomplessi, che colpisce vasi
di piccolo-medio calibro, realizzando la cosiddetta
sindrome crioglobulinemica. Più spesso la forma è oligosintomatica, con fasi acute (ad esempio di porpora,
astenia ed artralgie) alternate a periodi di remissione
clinica. Talvolta invece sono presenti manifestazioni
cliniche gravi, che mettono a repentaglio la vita del
paziente. La sopravvivenza cumulativa dei pazienti
affetti da crioglobulinemia mista è significativamente
più bassa rispetto a quella della popolazione generale. Sono considerati fattori prognostici negativi l’età al
tempo della diagnosi (> 60 anni), il sesso maschile,
il coinvolgimento renale. Le cause di morte vanno in
genere ricercate nell’evoluzione dell’epatopatia, nelle
infezioni (favorite dalle possibili patologie concomi-
REUMATOLOGIA
pratica
La crioglobulinemia viene definita come la presenza
di immunoglobuline circolanti che precipitano reversibilmente a temperatura inferiore a 37˚C. Secondo la
classificazione immunochimica di Brouet la crioglobulinemia mista è caratterizzata dalla presenza di più
immunoglobuline con (II tipo) o senza (III tipo) componente monoclonale.
In circa il 90% dei casi è stato riconosciuto il ruolo
causale dell’Hepatitis C Virus (HCV). Crioglobuline
miste circolanti si osservano nel 40-50% degli individui con infezione cronica da HCV, mentre una franca vasculite crioglobulinemica si sviluppa solo in una
minoranza di casi (5-10%). La crioglobulinemia mista
colpisce più frequentemente donne, di età > 60 anni
e resta asintomatica a lungo (oltre 10 anni dall’inizio
della malattia).
Attualmente non esistono criteri diagnostici definiti.
Tuttavia sono stati proposti criteri classificativi che
pongono l’attenzione su alcuni dati di laboratorio,
anatomopatologici e clinici che, quindi, possono risultare utili al medico per la diagnosi. Dati di laboratorio: la positività della ricerca delle crioglobuline
miste nel siero (più spesso con componente monoclonale IgM/k), la positività del fattore reumatoide
(70-90% dei casi), i bassi livelli circolanti di C4. Dati
anatomopatologici: la vasculite leucocitoclastica (dimostrata ad esempio con biopsia cutanea in sede di
porpora acuta), infiltrati clonali B cellulari (nei casi di
biopsia epatica e/o midollare). Dati clinici: la porpora costituisce il criterio clinico maggiore. Porpora,
astenia ed artralgie formano la triade proposta per
la prima volta da Meltzer e Franklin, che tutt’oggi è
utile ricercare per l’inquadramento di questa patologia. La porpora si presenta più spesso a poussées
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
109
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
tanti e dalle terapie immunodepressive in corso), nell’interessamento renale grave.
La crioglobulinemia mista rappresenta un punto di
incontro tra infezione, autoimmunità e linfoproliferazione. Fattori virali, dell’ospite ed ambientali sembrerebbero rilevanti nella patogenesi della malattia.
Attraverso lo stimolo cronico esercitato sul sistema immunitario da parte dell’HCV si determina la produzione di autoanticorpi, di immunoglobuline monoclonali
e di immunocomplessi, incluse le crioglobuline miste.
Le proteine virali conferiscono peculiari proprietà fisiche e chimiche alle crioglobuline. È possibile che
la combinazione tra l’attività del fattore reumatoide
e la crioprecipitabilità sia responsabile della vasculite. Come noto, l’HCV oltre che essere epatotropo è
anche linfotropo. L’infezione del tessuto linfoide può
indurre, nei pazienti con infezione cronica, vari disordini autoimmuni (ad esempio la crioglobulinemia, le
citopenie autoimmuni) e linfoproliferativi. Inoltre, il sialotropismo dell’HCV potrebbe spiegare l’associazione
con la sindrome di Sjögren. La sindrome crioglobulinemica può, a sua volta, presentare sintomi e segni
di sovrapposizione con varie condizioni patologiche
autoimmuni e neoplastiche (altre vasculiti sistemiche,
artrite reumatoide, LES, sindrome di Sjögren, epatite
autoimmune, disordini linfoproliferativi) rendendo difficile differenziare tra somiglianza e coesistenza di più
patologie. L’espansione clonale B cellulare avviene
primitivamente nel fegato e correla con un’alta carica
virale intraepatica. Questo dato induce ad attribuire
all’HCV il ruolo principale nel far emergere e mantenere i cloni B cellulari. Le risposte linfoproliferative
indotte dall’HCV sono in genere limitate, ma diventano apertamente maligne in circa il 10% dei pazienti.
Non è stato riconosciuto, al momento, un genotipo
virale capace di provocare con maggior frequenza o
intensità una vasculite crioglobulinemica.
Il riconoscimento dell’HCV come fattore eziologico nella maggior parte delle vasculiti crioglobulinemiche ha
drammaticamente cambiato l’approccio al loro trattamento. Al momento, per le forme caratterizzate da rari
episodi di porpora limitata e senza ulcere, astenia ed
artralgie episodiche si ricorre ad un trattamento sintomatico (steroidi a basse dosi per brevi periodi, analgesici, dieta ipo-antigenica). Invece, proprio perché
l’HCV è il trigger della crioglobulinemia mista nella
maggior parte dei pazienti, l’eradicazione dell’infezione virale dovrebbe rappresentare il primo obiettivo del
REUMATOLOGIA
pratica
110
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
trattamento di questa patologia nelle forme con manifestazioni più severe o con frequenti recidive cliniche.
Attualmente però l’indicazione alla prescrizione della
terapia antivirale dipende dalla dimostrazione dell’epatite. La terapia riconosciuta come più efficace per
un tentativo di eradicazione del virus C è interferone
peghilato + ribavirina a dosaggi che dipendono dal
genotipo virale. Questa associazione farmacologica
consente di raggiungere la percentuale più elevata di
risposte virologiche sostenute. Tuttavia, frequenti sono
le riacutizzazioni della sindrome crioglobulinemica,
soprattutto nei pazienti nei quali HCV-RNA ritorna positivo o non diventa negativo dopo la fine della terapia
eradicante. Esistono inoltre casi in cui le manifestazioni
della vasculite crioglobulinemica recidivano anche se
HCV-RNA rimane negativo dopo terapia. Pertanto ora
si punta sempre più l’attenzione anche sul trattamento
della linfoproliferazione B cellulare indotta dall’infezione. Si cerca di determinare un abbattimento della carica virale e contemporaneamente una delezione dei
cloni B cellulari ( ad esempio mediante rituximab, anticorpo monoclonale anti-CD20) allo scopo di ridurre le
recidive cliniche della sindrome crioglobulinemica, che
rappresentano il reale problema del trattamento della
crioglobulinemia mista. Infine, le nuove acquisizioni
sulle citochine (BLyS, CXCL13) coinvolte nella linfoproliferazione e nell’homing linfocitario potrebbero creare il
presupposto per una terapia mirata nei pazienti crioglobulinemici. Benché ancora il trattamento di questa condizione patologica non sia ottimale, significativi passi
avanti sono stati fatti, migliorando la durata e la qualità
della vita dei pazienti affetti.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
Ferri C, Mascia MT. Cryoglobulinemic vasculitis. Curr Opin
Rheumatol 2006;18:54-63.
Fabris M, Quartuccio L, Sacco S, De Marchi G, Pozzato G,
Mazzaro C, et al. B-Lymphocyte stimulator (BLyS) up-regulation in mixed cryoglobulinemia sindrome and hepatitisC virus infection. Rheumatology 2007;46:37-43.
Sansonno D. La terpaia PIRR (Pegylated-interferon, Ribavirin,
Rituximab) nella sindrome crioglobulinemica. In: Atti XIV
Convegno Nazionale ALCRI e GISC, Novara 9-10 novembre 2007.
Troiani L, Tucci FA, Conteduca V, Sansonno L, Lauletta G,
Sansonno D, et. al. Elevati livelli sierici della chemochina CXCL13 nelle vasculiti crioglobulinemiche HCV-associate. In: Atti XIV Convegno Nazionale ALCRI e GISC,
Novara 9-10 novembre 2007.
LA CRIOGLOBULINEMIA MISTA
DICEMBRE 2007 VOLUME 1 PAGINE 111-116
INQUADRAMENTO
DIAGNOSTICO DELLE
OLIGO/POLIARTRITI
Parole chiave
Artrite • Diagnosi • Anamnesi • Imaging
RIASSUNTO
La valutazione di un paziente con sintomatologia dolorosa oligo/poliarticolare può essere molto complessa, data
l’enorme diagnostica differenziale con cui ci si deve confrontare. Le artriti a coinvolgimento polidistrettuale possono
essere il sintomo più evidente di un processo autoimmune, infettivo o neoplastico che va ricercato mediante un iter
diagnostico che comprenda: attenta valutazione anamnestica, esame obiettivo generale e articolare, esami ematochimici di vario tipo, con particolare attenzione agli esami infettivologici ed alla ricerca di autoanticorpi suggestivi,
metodiche di imaging. Nella seconda parte del lavoro, vengono presentate più in dettaglio alcune delle cause più
frequenti di artrite oligo/polidistrettuale.
DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE
Il primo passo consiste nell’accertare l’origine articolare della sintomatologia dolorosa riferita dal paziente, tenendo presente che, nel linguaggio comune, i
termini “artrite/artrosi” vengono spesso usati a sproposito, dove artrite indica un processo flogistico ed
artrosi un processo degenerativo. In particolare, è
importante differenziare tra artrite franca (caratterizzata pertanto da versamento intra-articolare, rigidità
mattutina protratta, sintomatologia dolorosa presente
prevalentemente a riposo), artralgia e altre cause di
infiammazione periarticolare. La diagnosi differenziale comprende principalmente le seguenti:
OSCAR EPIS, ELEONORA BRUSCHI,
ELEONORA BONACCI
U.O. Reumatologia, Fondazione IRCCS
Policlinico San Matteo, Pavia
[email protected]
[email protected]
[email protected]
• tendinite;
• epicondilite;
• borsite;
• artrosi;
• neuropatie da compressione;
• sindrome paraneoplastica;
• malattie primitive dell’osso;
• fibromialgia.
Convenzionalmente, il termine “oligoartrite” indica
un’artrite che interessa non più di cinque articolazioni,
tuttavia può essere frequente un’evoluzione poliarticolare nella storia naturale della malattia. Le cause più
frequenti di oligo/poliartrite sono riportate in Tabella I,
distinte per distribuzione.
ITER DIAGNOSTICO
Anamnesi personale
L’attenta raccolta anamnestica deve essere primariamente indirizzata all’accertamento dell’effettiva natura
infiammatoria della sintomatologia dolorosa articolare.
Un altro aspetto importante da indagare è l’evoluzione
del coinvolgimento oligo/poliarticolare: l’andamento
può essere progressivo o alternare fasi di remissione
a fasi di riacutizzazione della sintomatologia dolorosa. Le varie articolazioni possono essere interessate
simultaneamente dal processo infiammatorio, oppure
lo stesso può presentarsi con carattere sostitutivo e migrante (come nel reumatismo palindromico) o aggiuntivo (come nell’artrite reumatoide).
Naturalmente, l’anamnesi deve essere completa e
volta anche alla ricerca di eventuali sintomi sistemici
(febbre, calo ponderale, alterazioni dell’alvo, lesioni
REUMATOLOGIA
pratica
Il dolore poliarticolare è il sintomo che porta più di
frequente il paziente all’attenzione del reumatologo.
Può rappresentare l’esordio di patologie croniche
spesso invalidanti, per alcune delle quali sono oggi
disponibili strumenti terapeutici in grado di modificare
il decorso della malattia, riducendone l’impatto sulla
qualità di vita del paziente. Per tale motivo è importante impostare un corretto approccio diagnostico già
nelle fasi iniziali della sintomatologia.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
111
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
TABELLA I. Cause più frequenti di oligo/poliartrite.
Prevalente distribuzione simmetrica
Prevalente distribuzione asimmetrica
Artrite reumatoide
Spondilite anchilosante
Malattia di Still dell’adulto
Artropatia psoriasica
Lupus eritematoso sistemico
Artriti reattive
Altre malattie del connettivo
Artriti enteropatiche
Artriti microcristalline
Artriti microcristalline
Artriti virali
Reumatismo palindromico
Sarcoidosi
Malattia di Lyme
Artropatia da amiloide
Endocardite batterica
cutanee, sierositi ecc.) e comorbidità (malattie epatiche, diabete, amiloidosi ecc.). Non bisogna escludere la valutazione delle eventuali abitudini sessuali e
voluttuarie al fine di ricercare possibili fattori di rischio
per forme reattive/infettive.
Anamnesi familiare
Talvolta un’attenta anamnesi familiare può risolvere
dubbi o problemi di diagnosi differenziale; risulta pertanto utile formulare domande dirette e specifiche nella ricerca di familiarità ad esempio per psoriasi, uveiti, malattie infiammatorie croniche intestinali, malattie
autoimmuni. Non è raro formulare una diagnosi di
artropatia psoriasica in un soggetto senza la presenza
di manifestazioni cutanee ma che mostra un quadro
clinico assolutamente orientativo e la cui anamnesi familiare permette di evidenziare parenti con tale manifestazione dermatologica.
Esame obiettivo
Un esame fisico completo è essenziale. In particolare, ricercare segni di psoriasi al cuoio capelluto,
in regioni occulte quali la zona periombelicale e
l’orecchio o la presenza di onicopatia (Fig. 1); altri
tipi di manifestazioni cutanee (rash malare, porpora),
lesioni ulcerative delle mucose, lesioni genitali. Utile,
se necessario, ricercare segni di intrappolamento di
nervi periferici.
L’esame articolare è volto alla ricerca di dolorabilità
e tumefazione articolare e alla valutazione dell’escursione articolare attiva e passiva. Deve essere inclusa
anche la valutazione dello scheletro assiale, in particolare della mobilità cervicale (test di Forestier) e
lombare (test di Schoeber), dell’espansibilità toracica
e la dolorabilità delle apofisi spinose e delle articola-
REUMATOLOGIA
pratica
112
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
zioni sacroiliache. Poiché le artriti possono essere una
manifestazione in corso di una malattia sistemica, è
assolutamente indispensabile che all’esame specifico
articolare si associ anche l’esame obiettivo generale.
Esami di laboratorio
Gli esami bioumorali spesso non hanno alcuna specificità diagnostica in senso stretto, ma sono estremamente importanti dal punto di vista clinico. In prima battuta, è essenziale la valutazione degli indici di flogosi,
inclusi velocità di eritrosedimentazione (VES), proteina
C reattiva (PCR), emocromo con formula leucocitaria.
Per un inquadramento generale del paziente, è utile
effettuare una valutazione degli indici di funzionalità
epatica e renale e il dosaggio dei marcatori per epatite B e C. Al fine di indirizzare la diagnosi, possono
FIGURA 1. Onicopatia.
INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO
DELLE OLIGO/POLIARTRITI
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
Esami strumentali
L’esame radiografico tradizionale può mostrare alterazioni caratteristiche e fortemente orientative per una
determinata diagnosi. Ciò non avviene solitamente
nelle fasi iniziali di malattia. Nelle prime settimane
dall’inizio dei sintomi il quadro radiologico può essere assolutamente normale, o evidenziare solo una
aspecifica tumefazione dei tessuti molli periarticolari,
che di solito è mal valutabile con questa metodica.
In questa fase risulta certamente più utile, ai fini
diagnostici, effettuare un’ecografia dei distretti articolari interessati. L’esame ultrasonografico consente
infatti in primis una valutazione delle strutture periarticolari quali tendini e borse, che possono essere
l’unica causa della sintomatologia dolorosa riferita dal paziente, oppure accompagnare la flogosi
articolare. Esso permette inoltre l’identificazione di
versamento intra-articolare, di depositi di cristalli intra e periarticolari, di sinovite. È ormai dimostrato,
inoltre, come questa metodica riesca a riconoscere anche alterazioni ossee di tipo erosivo (Fig. 2)
con una maggiore sensibilità e specificità rispetto
alla radiografia tradizionale. Inoltre la possibilità di
studiare la membrana sinoviale mediante metodica
power Doppler permette di identificare soggetti con
una spiccata attività flogistica in atto (Fig. 3).
La tomografia assiale computerizzata (TAC) può essere utile nell’esame di sedi difficilmente esaminabili
con le metodiche di radiologia tradizionale (articolazioni interapofisiarie, sacroiliache, sternoclaveari,
atloepistrofiche), permette una migliore definizione
delle immagini di strutture a diversa densità (dischi,
radici nervose, tendini), e offre una rappresentazione
tridimensionale con possibilità della rielaborazione
elettronica delle immagini delle strutture in esame.
La risonanza magnetica nucleare (RMN) rappresenta lo strumento migliore per la visualizzazione delle
strutture ossee e dei tessuti molli anche nelle fasi precoci di malattia, grazie alla multiplanarietà dei piani
di studio e all’elevata risoluzione di contrasto. Tuttavia non viene utilizzata in modo routinario per una
serie di limiti quali costi elevati, limitata accessibilità,
possibili controindicazioni, standardizzazione difficile, bassa concordanza nelle letture, mancanza di
scoring validati e poca familiarità con la metodica.
La scintigrafia ossea può fornire indicazioni sull’eventuale sede di flogosi a livello articolare, consentendo la localizzazione del processo infiammatorio (ad es. può evidenziare precocemente una
sacroileite) e la valutazione quantitativa dell’interessamento articolare. Uno dei traccianti più utilizzati
è il Tecnezio 99. Tuttavia è un esame assai poco
specifico e che implica una notevole esposizione a
radiazioni.
FIGURA 2. L’esame ultrasonografico evidenzia altera-
FIGURA 3. L’ecografia power Doppler evidenzia una
zioni ossee di tipo erosivo.
O. EPIS, E. BRUSCHI, E. BONACCI
spiccata attività flogistica in atto.
REUMATOLOGIA
pratica
essere utili, inoltre, esami più specifici quali Ra-test, anticorpi anti-peptidi ciclici citrullinati, uricemia. Nei casi
in cui la raccolta anamnestica supportasse l’ipotesi di
un’eziologia infettiva, è necessario approfondire mediante accertamenti colturali e sierologici (emocolture,
urinocolture, tamponi uretrali ecc.). Quando possibile,
dovrebbe essere sempre effettuato l’esame citologico,
colturale e a luce polarizzata di campioni di liquido
sinoviale.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
113
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
ARTRITE REUMATOIDE
L’artrite reumatoide (AR) è una poliartrite infiammatoria cronica a eziologia ignota. Dal punto di vista
anatomopatologico si caratterizza per una sinovite
proliferativa con spiccata infiammazione tissutale e
vascolare, responsabile della progressiva distruzione
della cartilagine articolare e dell’osso subcondrale.
La radiografia tradizionale permette di identificare le
erosioni ossee (Fig. 4). Questa metodica, anche se
meno sensibile dell’ecografia e della RMN – soprattutto nelle fasi iniziali di malattia, laddove le alterazioni sono di piccole dimensioni – è ancora oggi la
più utilizzata soprattutto nel follow-up di malattia. Il
quadro clinico è contraddistinto da artralgie infiammatorie che interessano prevalentemente i polsi, le
piccole articolazioni delle mani e dei piedi (sebbene
le forme a esordio senile tendano a coinvolgere più
frequentemente le articolazioni dei cingoli scapolare
e pelvico), associate a rigidità mattutina prolungata (superiore a un’ora) e a tumefazione articolare.
L’analisi del liquido sinoviale evidenzia caratteristiche spiccatamente infiammatorie nelle articolazioni
colpite. Il quadro clinico può essere complicato, nelle forme più gravi e avanzate, da erosioni articolari
con conseguenti deformità e manifestazioni extra-articolari che possono coinvolgere virtualmente ogni
organo e apparato. Gli esami ematochimici evidenziano spiccata elevazione degli indici di flogosi e,
in una percentuale che va dal 50 al 75% dei casi,
positività del fattore reumatoide (FR). Particolarmente
specifici sembrano essere gli anticorpi anti-peptidi
ciclici citrullinati (aCCP). Le varianti sieropositive si
associano con una maggiore probabilità di evolu-
FIGURA 4. Evidenti erosioni ossee all’Rx.
REUMATOLOGIA
pratica
114
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
zione aggressiva, quindi con un maggior rischio di
invalidità.
La diagnosi precoce è molto importante ai fini prognostici, in quanto è necessario impostare il più rapidamente possibile una corretta terapia con farmaci di
fondo in grado di prevenire l’evoluzione erosiva della malattia (Disease-Modifying Anti-Rheumatic Drugs
[DMARDs]). A tale proposito, il farmaco di riferimento
rimane il methotrexate, impiegato per os o intramuscolo una volta alla settimana, associato o meno a steroidi, farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e altri
DMARDs. Le forme più aggressive possono richiedere
l’impiego di farmaci biologici anti-TNF-α (Tumor Necrosis Factor alpha) o anti-CD20.
MALATTIA DI STILL DELL’ADULTO
Considerata una variante dell’artrite reumatoide,
si caratterizza per la comparsa di febbre elevata
(39°C o superiore), rash maculopapuloso di colore
rosaceo, sincrono con le puntate febbrili, poliartrite
fugace e non erosiva. Di frequente riscontro sono
faringodinia, linfoadenomegalie, splenomegalia,
sierositi. Gli esami ematochimici possono evidenziare leucocitosi neutrofila, elevazione delle transaminasi e degli indici di flogosi, negatività di FR e
anticorpi anti-nucleo (ANA). La diagnosi spesso è di
esclusione, in particolare rispetto a malattie infettive
e mieloproliferative. Dal punto di vista terapeutico,
si osserva generalmente una pronta risposta alla terapia steroidea, che deve essere iniziata precocemente per evitare il coinvolgimento viscerale. Nei
casi refrattari è utile l’impiego di altri DMARDs, in
particolare il methotrexate; in talune circostanze si
ricorre all’utilizzo anche dei farmaci biologici.
ARTRITI VIRALI
Numerosi virus possono essere responsabili di poliartriti simmetriche, del tutto simili all’artrite reumatoide.
Solo raramente l’agente virale può essere isolato dal
cavo articolare. Gli agenti eziologici più frequenti
sono il parvovirus B19, il virus della rosolia, l’HIV, i
virus dell’epatite B e C. Per i primi due si osserva generalmente un andamento stagionale; l’artrite è spesso autolimitante, con fugace positività del FR (fino al
50% delle artriti da parvovirus B19 si stima possano
soddisfare i criteri ACR [American College of Rheumatology] per la classificazione dell’artrite reumatoide).
In alcuni casi si può assistere a cronicizzazione.
Il virus HIV è responsabile di una grande varietà di
manifestazioni articolari e, più in generale, di tipo simil-connettivitico o vasculitico. Il 30% dei pazienti riINQUADRAMENTO DIAGNOSTICO
DELLE OLIGO/POLIARTRITI
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
ARTRITI PARANEOPLASTICHE
Spesso precedono la manifestazione clinica della
neoplasia di base. Sono causate da un effetto a distanza, non-metastatico, della patologia eteroproduttiva. L’esordio è rapido, spesso esplosivo, scarsamente
responsivo ai farmaci convenzionali. Spesso si associano a sintomi sistemici quali astenia, calo ponderale, febbre. Il decorso clinico segue parallelamente
quello della neoplasia, e il trattamento antineoplastico
consente il controllo della sintomatologia articolare.
La ricomparsa di artrite si associa solitamente alla recidiva di tumore.
REUMATISMO PALINDROMICO
Si tratta di una particolare forma di poliartrite a carattere
sostitutivo e migrante, caratterizzata da singoli episodi
di monoartrite acuta che si risolvono spontaneamente
in pochi giorni, ma ricorrono in maniera periodica. Le
articolazioni più frequentemente interessate sono polsi,
metacarpofalangee, ginocchia e tibiotarsiche. In oltre
il 30% dei pazienti l’episodio acuto si accompagna a
rash cutaneo o noduli sottocutanei fugaci. Gli esami di
O. EPIS, E. BRUSCHI, E. BONACCI
laboratorio e del liquido sinoviale sono nella norma, se
si esclude una lieve e transitoria elevazione degli indici
di flogosi. Rientra in diagnosi differenziale con le artriti
infettive, microcristalline, reattive e la malattia di Lyme.
Nel 50% dei casi può evolvere in artrite reumatoide,
nel 10% dei casi si risolve spontaneamente. Il trattamento si avvale principalmente dell’uso di sintomatici;
i DMARDs vengono riservati ai casi fortemente sospetti
per una fase prodromica di artrite reumatoide.
ENDOCARDITE BATTERICA
Rappresenta una delle cause più frequenti di artrite nel
paziente anziano.
Il 30% dei pazienti affetto da endocardite batterica
può presentare artralgie o una vera e propria artrite,
interessanti in maniera elettiva le grosse articolazioni.
La componente articolare si accompagna a febbre,
non necessariamente elevata e spesso del tutto assente
nei pazienti defedati. Gli esami ematochimici evidenziano elevazione degli indici di flogosi e leucocitosi
neutrofila. Il riscontro obiettivo di un soffio cardiaco
deve guidare il sospetto diagnostico. È quindi indispensabile sottoporre prontamente il paziente a esame ecocardiografico del cuore per via transesofagea,
alla ricerca di vegetazioni valvolari. La raccolta seriata di campioni di sangue per accertamenti colturali,
finalizzati all’impostazione di un trattamento mirato,
consente l’isolamento dell’agente eziologico solo nel
5-15% dei casi, a causa dell’impiego spesso indiscriminato di antibiotici da parte del paziente. Gli agenti
infettivi di più frequente riscontro sono Staphylococcus
aureus e Streptococcus viridans.
SPONDILOENTESOARTRITI SIERONEGATIVE
Artropatia psoriasica
In accordo con la classificazione di Moll e Wright (1973),
si può presentare con sei differenti varianti cliniche:
1. a prevalente interessamento assiale, simile alla
spondilite anchilosante;
2. a interessamento mono- o oligoarticolare;
3. a prevalente interessamento delle articolazioni
interfalangee distali (IFD);
4. poliarticolare simil-reumatoide;
5. mutilante (rara forma con riassorbimento delle
falangi ed aspetto a “dito a telescopio”);
6. a esclusivo interessamento delle entesi.
L’esordio delle manifestazioni articolari può precedere
anche di anni quello della componente cutanea. Sono
riconosciuti varianti sine psoriasi, ossia pazienti che
REUMATOLOGIA
pratica
ferisce artralgie infiammatorie, spesso alle grosse articolazioni; frequente è il riscontro di sindrome di Reiter,
anche in forma incompleta, con positività nel 75% dei
casi per Human Leukocyte Antigen B27 (HLA-B27).
Circa il 60% dei pazienti può manifestare un’artropatia psoriasica severa, erosiva. Data la condizione
di immunosoppressione cronica, è sempre necessario
escludere un’eziologia infettiva delle manifestazioni articolari, anche da parte di agenti poco comuni
come funghi e parassiti. Esiste infine una poliartrite
simmetrica idiopatica associata all’infezione cronica
da HIV. Solitamente è autolimitante, scarsamente infiammatoria; in alcuni casi si può assistere a un’evoluzione erosiva. Non sempre la terapia anti-retrovirale
agisce anche sulla componente articolare; in taluni
pazienti possono rendersi necessarie terapia mirate.
Il virus per l’epatite C (HCV) può dare manifestazioni articolari variegate, dalla monoartrite alla poliartrite
simmetrica simil-reumatoide. La positività del FR, frequentemente associata all’infezione cronica da HCV,
può rendere molto difficile la diagnosi differenziale da
una vera e propria artrite reumatoide. Secondo alcuni
studi, gli unici caratteri che possono consentirne la differenziazione sono la scarsissima tendenza all’erosività e
la negatività per gli aCCP. La terapia antivirale con interferone e ribavirina consente, nella maggior parte dei
casi, un buon controllo della componente articolare.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
115
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
non manifestano le alterazioni dermatologiche ma che
hanno parenti di primo grado affetti dalla malattia.
La sinovite psoriasica si caratterizza per una notevole
iperplasia vascolare, mentre sono rari gli aggregati
linfocitari tipici dell’artrite reumatoide.
La sintomatologia articolare si accompagna a segni
e sintomi piuttosto tipici quali dattiliti, talalgia, tendiniti recidivanti, sintomatologia tipo sciatica mozza
(dovuta all’interessamento delle articolazioni sacroiliache). Le manifestazioni extra-articolari più frequenti
si hanno a livello oculare, con uveiti. Gli indici di
flogosi non sono necessariamente elevati (molto rara
la positività per FR e aCCP, predittivi di forme poliarticolari a decorso erosivo). La positività per la ricerca
di HLA-B27 è variabile tra le diverse forme cliniche,
con predominanza in quella simil-spondilitica, e in
media pari al 25% dei pazienti esaminati nelle varie casistiche. L’indagine ultrasonografica riveste un
ruolo importante nella valutazione delle entesi, dei
tendini e delle guaine tendinee. La radiologia convenzionale può mostrare aspetti caratteristici: iperostosi, erosioni marginali coinvolgenti anche le IFD accompagnate a fenomeni osteoproduttivi (erosioni a
“orecchio di topo”); al rachide aspetti pre-erosivi ed
erosivi a carico dei corpi vertebrali e la formazione
di pseudo-sindesmofiti.
La terapia si differenzia in base alla presentazione
clinica, variando dall’impiego esclusivo di FANS a
dosaggio pieno all’utilizzo di DMARDs e anti-TNF-α.
Artriti enteropatiche
Fino al 30% dei pazienti con malattie infiammatorie
croniche intestinali (rettocolite ulcerosa, malattia di
Crohn) possono presentare manifestazioni reumatologiche; nel 10% dei casi, in particolare, si riscontra
un’artrite periferica; un altro 10% dei pazienti può presentare coinvolgimento dello scheletro assiale.
Le manifestazioni reumatologiche sono spesso infiammatorie, parzialmente correlabili alla fase infiammatoria intestinale. Pertanto, sono generalmente responsive
a un adeguato trattamento della patologia gastroenterica.
Un accenno a parte merita il morbo di Whipple,
entità nosologica riconosciuta piuttosto recentemente, correlata all’infezione duodenale da Tropheryma whippelii, in cui la comparsa di una poliartrite
periferica, simil-reumatoide, può precedere anche
di alcuni anni la comparsa della sintomatologia gastroenterica.
REUMATOLOGIA
pratica
116
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Malattia di Reiter
Con questo termine si raggruppano le artriti che vengono definite “reattive”, in quanto si sviluppano a seguito
di un’infezione batterica genitourinaria o del tratto gastroenterico. La prevalenza è sovrapponibile nei due
sessi, e l’incidenza è più elevata nei soggetti HLA-B27
positivi. L’età media dei malati è di circa 30 anni.
Sul piano clinico si presentano più frequentemente
come mono o oligoatrite (con coinvolgimento soprattutto del ginocchio). In fase acuta non è infrequente la
presentazione poliarticolare. Il decorso è benigno, a
risoluzione spontanea nella maggior parte dei casi.
Nel 20% dei pazienti la sintomatologia può essere
persistente e richiedere un trattamento di fondo. I pazienti HLA-B27 positivi sono particolarmente a rischio
di evoluzione in spondilite anchilosante. A causa
della latenza tra l’episodio infettivo e l’esordio della
sintomatologia articolare (da pochi giorni fino a 6 settimane), la ricerca dell’agente eziologico su campioni
biologici è spesso infruttuosa. Quando possibile, con
il trattamento antibiotico mirato si può ottenere la rapida remissione dell’artrite.
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INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO
DELLE OLIGO/POLIARTRITI
LA NOTA 79: L’INIZIO DI UN CAMMINO DIFFICILE
Pochi mesi fa è stata emanata la nuova nota 79, che
va a sostituire la precedente e la 79bis, per quanto
concerne la prescrizione a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) dei farmaci per la prevenzione
delle fratture da fragilità.
La grande novità della precedente nota fu sicuramente
l’introduzione della possibilità della prevenzione primaria delle fratture, anche se limitatamente ai soggetti
cortisonati, per quanto concerne l’alendronato e il risedronato.
La grande novità dell’attuale nota 79 è certamente l’estensione della possibilità della prevenzione primaria anche
a soggetti non cortisonati con “storia familiare di fratture
vertebrali”, con “artrite reumatoide e altre connettiviti”, con
“menopausa prima dei 45 anni”, e a soggetti “in terapia
cortisonica cronica” anche a dosi inferiori a 5 mg.
Tali soggetti devono presentare una sufficiente demineralizzazione (valutata con densitometria ossea o
ultrasonometria).
I soggetti che, pur non essendo cortisonati e non presentando i suddetti fattori di rischio, abbiano una grave demineralizzazione, possono ugualmente usufruire
della terapia a carico del SSN.
Pertanto, in attesa di una carta di rischio che metta
insieme alla densità ossea 4-5 variabili cliniche, che
consentano di stabilire il rischio di frattura a 10 anni,
la nuova nota 79 conferisce per la prima volta un
ruolo alla densità minerale ossea, all’ultrasonometria
e ad alcuni fattori di rischio.
L’attuale nota 79, pertanto, può essere considerata
l’inizio di un cammino, che comunque è irto di difficoltà e di problematiche non risolte.
Alcuni aspetti di questa nota possono destare qualche
BRUNO FREDIANI
STEFANO GIOVANNONI
Centro per l’Osteoporosi e per la Diagnosi
Medico
Strumentale
di Medicina
OsteoArticolare,
Generale Istituto di
Responsabile
Reumatologia,Area
Università
Osteo-mio-articolare,
di Siena
Società
[email protected]
Italiana di Medicina Generale
perplessità sul piano del buonsenso e persino della
medicina basata sull’evidenza. La cosa non è di poco
conto se si pensa che una nota condiziona sempre
pesantemente i comportamenti della pratica clinica
quotidiana, nel bene e nel male.
Più specificamente vengono infatti legittimate la densitometria femorale (non meglio specificata) e l’ultrasonometria del calcagno e delle falangi, dimenticando
completamente la densitometria lombare. A tal riguardo ricordo che la soglia da superare è un T-score di
-3 per femore e calcagno e di -4 per la falange se è
anche presente uno dei sopra detti fattori di rischio.
In assenza di questi ultimi, la soglia da superare è
maggiore: rispettivamente -4 e -5.
Bisogna ricordare che in origine la densitometria a
doppio raggio e la relativa soglia “diagnostica” OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) di -2,5 sono
state messe a punto a livello lombare, e che l’estensione della soglia di -2,5 a livello femorale è stata il frutto
di una convenzione utile più a semplificare i comportamenti quotidiani piuttosto che a renderli più accurati.
Infatti, numerosi sono i lavori, uno nostro recente compreso, che dimostrano che un T-score di -2,5 a livello lombare corrisponde a una soglia di -1,5, -2 a livello femorale,
in termini di predizione del rischio di frattura.
Pertanto si può capire come il raggiungimento di una
soglia di -3 o -4 a livello femorale (collo o totale) non
sia frequente, anche in soggetti fortemente demineralizzati a livello lombare. Solo il triangolo di Ward femorale fa eccezione a questa regola, ma esso non viene
usato da nessuno per la sua estrema variabilità.
Pertanto, la nuova nota 79 rischia di portare a morte la
prima e più importante sede di accertamento densitometrico che, pur presentando a volte falsi negativi in presenza
di osteoartrosi, resta la più sensibile in fase sia diagnostica
sia di monitoraggio terapeutico, a condizione che siano
effettuate una buona scansione e una buona analisi.
Il problema è proprio questo: l’attuale nota rischia
di indurre comportamenti semplificatori, livellando in
basso la qualità degli esami densitometrici e banalizzandone l’enorme portata.
È ovvio che può sembrare più semplice l’esecuzione
di un esame femorale sia basale sia in fase di compa-
REUMATOLOGIA
pratica
LA NOTA 79:
IL PARERE DEL MEDICO
DI FAMIGLIA E DELLO
SPECIALISTA
DICEMBRE 2007 VOLUME 1 PAGINE 117-119
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
117
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
razione, ma soprattutto nei singoli soggetti la variazione dell’intrarotazione in fase di posizionamento rappresenta un punto debole della scansione femorale,
tra l’altro non più correggibile in fase di analisi.
D’altro canto, un’adeguata analisi di ogni singola vertebra è certamente complessa e necessita di notevole
esperienza, soprattutto quando si devono selezionare
le vertebre da escludere dal conteggio del T-score, ma
consente di rimediare facilmente agli errori di posizionamento, peraltro molto meno probabili rispetto alla
scansione femorale.
Un’altra ombra della nuova nota 79 è la sua applicabilità esclusivamente in soggetti oltre i 50 anni, cosa
che sembra ingiustificabile soprattutto per i soggetti
cortisonati. È ovvio che i dati di letteratura nei pazienti
più giovani sono meno solidi, ma questa problematica riguarda anche i soggetti tra i 50 e i 60 anni.
Va ricordato che i farmaci contemplati dalla nuova
nota 79 per la prevenzione primaria delle fratture da
fragilità sono: alendronato, risedronato, ibandronato,
raloxifene e ranelato di stronzio.
Per quanto concerne la prevenzione secondaria delle fratture da fragilità, ossia la prevenzione in chi ha
già almeno una frattura, la nota 79 non fornisce alcuna indicazione su quale sia la soglia minima per
poter considerare come frattura una deformità vertebrale, rischiando di portare a un’eccessiva soggettività e discrezionalità e, conseguentemente, secondo
i casi, a un’enfatizzazione o a una sottovalutazione
diagnostica. La valutazione qualitativa di una deformità vertebrale è importantissima, ma essa non viene
certamente aiutata se non si indicano i criteri quantitativi di misurazione che si devono sposare al dato
qualitativo. Caso mai andava ribadito, onde evitare
valutazioni poco specifiche, che la riduzione di altezza del 20% è certamente soglia più ragionevole di
quella del 15%.
Un passo avanti è invece stato fatto riguardo la collocazione del teriparatide e del paratormone non solo
come farmaci di seconda scelta da utilizzare dopo
il fallimento di altre terapie previste dalla nota, ma
anche come presidi di prima scelta nei soggetti con
almeno 3 fratture vertebrali severe o 2 fratture vertebrali severe e un femorale.
Anche in questo caso, comunque, la nota necessita di
chiarimenti per la complessità di interpretazione e applicazione del concetto di frattura severa e moderata,
allorché essa indica come severa una riduzione di altezza del 50% rispetto alle vertebre adiacenti, che corrisponde a una riduzione del 40% rispetto al diametro
posteriore della stessa vertebra secondo Genant.
REUMATOLOGIA
pratica
118
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
In realtà, perché si possa equiparare il 40 al 50%
bisogna riferirsi a una vertebra più grande, ossia sottostante e non sovrastante.
Poniamo pertanto il caso di un soggetto che abbia fratturate L2, L3, L4: non possiamo certo riferirci
come riferimento di normalità a L5 (vertebra molto
variabile fisiologicamente), e quindi saremo costretti a considerare L1, quindi una vertebra più piccola,
con conseguente minima probabilità di raggiungere il 50% e quindi la rimborsabilità del farmaco.
Questo accade ancor più man mano che aumenta
il numero di fratture vertebrali, per cui il paradosso
è che più un paziente ha fratture vertebrali, meno
ha la possibilità di accedere al teriparatide tramite
il SSN.
Ci chiediamo poi perché un paziente con 4, 5, 6…
fratture moderate non possa accedere al teriparatide
in prima scelta.
A tal riguardo non bisogna dimenticare che esiste un
razionale affinché in una terapia sequenziale si possa
ritenere meglio sfruttato il teriparatide prima di un bisfosfonato, piuttosto che dopo.
Il testo della nota, inoltre, non prevede il teriparatide
o il paratormone nel caso di frattura femorale o vertebrale subentrata dopo il trattamento farmacologico
per una frattura femorale, salvo poi contraddirsi successivamente nel capitolo “background” ammettendo
invece il caso della frattura vertebrale dopo quella di
femore, trascurando peraltro il caso di una frattura femorale dopo un’altra femorale.
La nota, inoltre, non tratta la possibilità di peggioramento di fratture vertebrali preesistenti.
La Società Italiana Osteoporosi e Malattie Metabolismo Minerale e Scheletrico (SIOMMMS) ha prodotto
una nota esplicativa che affronta alcune di queste
problematiche, ma certamente essa non ha valore
legale, e nell’attesa di una non certa riedizione del
testo ministeriale molti sono i dubbi e la paura di sbagliare che assalgono quotidianamente gli operatori
del settore che avranno, grazie al diffondersi della
medicina difensiva, il risultato di negare più spesso il
farmaco a chi ne ha bisogno e diritto.
Anche in conseguenza di queste amare considerazioni e constatazioni, ci chiediamo perché il testo
della nuova nota 79 non sia stato sottoposto per tempo all’attenzione del consiglio direttivo delle società
scientifiche, dei medici specialisti e dei medici di
medicina generale, al fine di mettere a punto un testo che, su basi scientifiche solide ed in funzione del
buon rapporto costo/beneficio, desse indicazioni
attuabili con più efficacia e sensibilità.
LA NOTA 79:
IL PARERE DEL MEDICO DI FAMIGLIA E DELLO SPECIALISTA
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
LA NOTA 79: LUCI E OMBRE PER LA MEDICINA
GENERALE ITALIANA
La nota 79 ha introdotto nell’assistenza primaria importanti novità, confermando con un corposo background principi e impostazioni, derivanti dalla letteratura nazionale e internazionale più accreditata, che ci
trovano essenzialmente concordi nell’approccio alla
prevenzione delle fratture. Allo stesso modo, però,
la formulazione stessa della nota ha creato in alcuni
passaggi non pochi problemi interpretativi e gestionali nella pratica delle cure primarie per mancanza di
chiarezza e per l’introduzione della metodica densitometrica a ultrasuoni.
Nel territorio è molto sentito il problema della qualità
della risposta a richieste di indagini strumentali, qualità
che molto spesso è carente, specialmente nel campo
della densitometria ossea, con variabili che dipendono
dalla struttura erogante la prestazione, sia pubblica sia
accreditata (si accredita la struttura o quel particolare
processo diagnostico?), dallo strumento, dal metodo
usato e dall’operatore. Complica non poco le cose
l’introduzione della densitometria a ultrasuoni, perché
metodica non ancora suffragata da dati concordi di
letteratura che, anzi, la relegano (secondo le attuali
Linee Guida internazionali più accreditate) tuttalpiù a
metodica di screening per selezionare pazienti che
dovranno effettuare la densitometria ossea a raggi X
(DXA). Ci sembra un controsenso, nel momento in cui
è dimostrato che lo screening dell’osteoporosi non è
metodica efficace o efficiente, almeno prima dei 65
anni, e una buona parte delle densitometrie richieste
è inappropriata. Inoltre, la metodica a ultrasuoni non
fa diagnosi di osteoporosi, secondo i principi dettati
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),
perché non misura la densità ossea (BMD); il T-score
non è equivalente a quello della DXA, e questo può
portare, in pratica, a improponibili raffronti con dati
DXA già in possesso del paziente; due stessi dati ultra-
sonografici non sono utili per il follow-up. Se a queste
problematiche d’uso aggiungiamo anche quelle già
considerate per la DXA sulla qualità di processo e
di esito, si capisce bene come possa essere possibile spesso avere “numeri” in libertà, su cui giustificare
troppo spesso trattamenti protratti per anni, importanti
per la salute e la sicurezza del nostro paziente.
Per scarsa chiarezza interpretativa della nota, per
quanto riguarda la BMD femorale ci riferiamo alla non
precisazione se si tratta di collo-femore o femore totale
prossimale e alla correlazione esistente tra questa e la
BMD vertebrale, considerando che la classificazione
OMS dell’osteoporosi si basa su DXA vertebrale.
Siamo sicuramente d’accordo con l’introduzione della
valutazione dei fattori di rischio di frattura che prende
in considerazione anche la prevenzione primaria: è
un’operazione culturale che riporta alla valutazione
della persona intera nel suo contesto, e può aiutare
anche a fare a meno della densitometria, specialmente quando non c’è certezza di qualità. In questo
settore, notiamo che non è stata introdotta la storia
materna di frattura di femore prima dei 75 anni, come
riportato nella letteratura accreditata.
Siamo complessivamente d’accordo con i valori densitometrici usati per la soglia terapeutica, perché corrispondono ai bassi valori di BMD dei pazienti dei
grandi trial che hanno portato alla registrazione dei
farmaci, che sono tanto più attivi quanto più bassa
è la densità ossea e/o in presenza di fratture: questo permette di sfruttare un favorevole NNT (Number
Needed to Treat), che non ritroviamo nel basso rischio.
Non dimentichiamo poi che l’età media dei pazienti
arruolati era molto avanzata.
La valutazione clinica del rischio di frattura porterà
all’elaborazione di indicatori di rischio italiani che dovranno essere validati sulla popolazione generale. La
Medicina Generale farà la sua parte per costruire,
condividere, progettare, sperimentare le carte di rischio di frattura.
STEFANO GIOVANNONI
Medico di Medicina Generale
Responsabile Area Osteo-mio-articolare,
Società Italiana di Medicina Generale
REUMATOLOGIA
pratica
B. FREDIANI, S. GIOVANNONI
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
119
DICEMBRE 2007 VOLUME 1 PAGINE 120-127
SPONDILOARTRITI
Parole chiave
Spondiloartriti • Diagnosi • Terapia
RIASSUNTO
Le spondiloartriti (SpA) rappresentano un gruppo di malattie infiammatorie articolari a decorso cronico che hanno
in comune molteplici aspetti epidemiologici, patogenetici, clinici e radiologici. In questo gruppo sono classificate
le seguenti patologie: spondilite anchilosante primitiva, artrite psoriasica, artrite reattiva, spondiloartriti associate a
malattie infiammatorie intestinali e spondiloartriti indifferenziate. La sede primaria del processo infiammatorio delle
SpA è l’entesi. Tale interessamento è responsabile di gran parte delle manifestazioni articolari tipiche delle SpA, sia
assiali sia periferiche, quali la sacroileite, la spondilite, l’entesite, la dattilite e l’oligoartrite. Non esistono test di laboratorio “diagnostici” per le SpA. La presenza o l’assenza di HLA B27 non è sufficiente a confermare o a escludere la
diagnosi. Sebbene l’individuazione di una SpA si basi essenzialmente sulle manifestazioni cliniche, le metodiche di
imaging (radiologia convenzionale, ma soprattutto ecografia e risonanza magnetica) sono fondamentali per confermare il sospetto diagnostico, per definire l’estensione della malattia e per seguirne l’evolutività. Il trattamento delle SpA
si è spesso basato sull’associazione di un FANS e un farmaco di “fondo” (sulfasalazina, metotressato, leflunomide o
ciclosporina). Più recentemente, vengono utilizzati i farmaci biologici con un’azione anti-TNF-α che presentano una
notevole efficacia sui sintomi e i segni delle SpA e possono arrestare o ritardare l’evoluzione del danno radiologico.
INTRODUZIONE
Le spondiloartriti o spondilo-entesoartriti sieronegative
(SpA) rappresentano un gruppo di malattie infiammatorie articolari a decorso clinico che hanno in comune
molteplici aspetti epidemiologici, patogenetici, clinici
e radiologici. Il termine spondilo-entesoartrite rimarca
i tre aspetti principali che caratterizzano queste affezioni, quali l’interessamento del rachide, delle entesi
e delle articolazioni periferiche.
In questo gruppo sono classificate le seguenti patologie:
• spondilite anchilosante (SA);
• artrite psoriasica (AP);
• artrite reattiva (ARe);
• spondiloartriti associate a malattie infiammatorie intestinali o artriti enteropatiche (AE);
• spondiloartriti indifferenziate.
Epidemiologia
La prevalenza delle SpA varia, a seconda delle popolazioni studiate, dallo 0,2 all’1,9%.
Eziopatogenesi
Nel processo eziopatogenetico delle SpA sono importanti fattori genetici predisponenti (ad es. HLA B27) e
ambientali scatenanti (ad es. agenti infettivi).
L’antigene di istocompatibilità di classe I HLA (Human
Leukocyte Antigen) B27 risulta strettamente correlato
alla suscettibilità di sviluppare i vari tipi di SpA, e in
particolare alla loro localizzazione assiale; tuttavia, la
REUMATOLOGIA
pratica
120
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
prevalenza di tale marcatore varia in rapporto al tipo
di malattia (95% nei pazienti con SA, 40% nei pazienti con AP) e alle caratteristiche etniche del paziente.
Le infezioni batteriche sono da tempo riconosciute
come un possibile fattore eziologico di molte SpA. È
stata dimostrata la possibilità da parte di clamidie e di
alcuni enterobatteri di scatenare un’ARe.
Quadro clinico
La sede primaria del processo infiammatorio delle SpA
è l’entesi, cioè il punto di inserzione ossea di legamenti,
tendini e di altre componenti fibrocartilaginee dell’apparato locomotore. Tale interessamento è responsabile
di gran parte delle manifestazioni cliniche tipiche delle
SpA, sia assiali sia periferiche, quali la sacroileite, la
spondilite, l’entesite, la dattilite e l’oligoartrite.
SALVATORE D’ANGELO, CARLO PALAZZI*,
IGNAZIO OLIVIERI
Dipartimento di Reumatologia della Regione
STEFANO
Basilicata,GIOVANNONI
Ospedale “San Carlo”, Potenza e
Ospedale “Madonne delle Grazie”, Matera; *
Medico
Unità Operativa
di Medicina
di Reumatologia,
Generale
Casa di Cura
Responsabile
“Villa Pini”, Chieti
Area Osteo-mio-articolare,
Società
[email protected]
Italiana di Medicina Generale
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
Vanno inoltre menzionate le manifestazioni extra-articolari come quelle oculari (uveite anteriore, congiuntivite), mucocutanee (psoriasi, cheratoderma blenorragico, balanite circinata), cardiache (insufficienza
aortica, disturbi di conduzione atrio-ventricolare) e
intestinali (colite cronica).
Valutazione di laboratorio
Non esistono test di laboratorio “diagnostici” per le
SpA. Il termine “SpA sieronegative” deriva dal fatto
che generalmente risultano negativi i test per il fattore
reumatoide. Un incremento degli indici di flogosi si
riscontra in circa il 60% dei casi. La presenza o assenza di HLA B27 non è sufficiente a confermare o a
escludere la diagnosi di SpA.
Indagini strumentali
Sebbene la diagnosi di SpA si basi essenzialmente
sulle manifestazioni cliniche, le metodiche di imaging
sono fondamentali per confermare il sospetto diagnostico, per definire l’estensione della malattia e per seguirne l’evolutività.
Le alterazioni rilevabili con la radiologia convenzionale sono solitamente tardive. Per poter identificare i
segni precoci di coinvolgimento entesitico, occorre utilizzare metodiche a più elevata sensibilità quali l’ecografia combinata con il power Doppler e, soprattutto,
la risonanza magnetica (RM). La scintigrafia è un esa-
me oggi poco utilizzato perché la scarsa specificità fa
da contraltare alla sua elevata sensibilità.
Classificazione
Non è sempre agevole differenziare tra loro le diverse
SpA perché sono molti gli aspetti clinici in comune.
Lo European Spondyloarthropathy Study Group (ESSG)
ha proposto nel 1991 criteri classificativi dell’intero
gruppo delle SpA. Questi criteri (Tab. I) hanno un’alta specificità e sensibilità, ma non sono sufficienti a
classificare pazienti con manifestazioni isolate (artrite
periferica, dattilite, entesite, rachialgia infiammatoria
o uveite anteriore acuta).
I criteri di Amor (Tab. II) hanno il vantaggio, rispetto a
quelli dell’ESSG, di poter classificare come affetto da
una SpA anche un paziente con una forma indifferenziata che non presenti almeno uno dei due criteri maggiori ESSG (dolore infiammatorio vertebrale o artrite
periferica). Comunque, anch’essi non sono in grado di
classificare pazienti con manifestazioni isolate (nessun
singolo criterio raggiunge il punteggio minimo di 6).
Terapia
La terapia delle SpA si basa di norma sull’associazione di un antinfiammatorio non steroideo (FANS) e un
trattamento cosiddetto “modificante l’evoluzione della
malattia” (DMARD) con farmaci quali sulfasalazina,
metotressato, leflunomide o ciclosporina. Comunque,
TABELLA I. Criteri classificativi delle spondiloartriti dello European Spondyloarthropathy Study Group (1991).
CRITERI MAGGIORI (ALMENO UNO)
u Dolore infiammatorio vertebrale (cervicale, dorsale o lombare) con almeno 4 delle seguenti caratteristiche: a) durata
superiore ai 3 mesi; b) esordio insidioso; c) miglioramento con l’esercizio; d) associato a rigidità mattutina; e) insorto in
soggetto di età inferiore ai 45 anni
u Artrite periferica asimmetrica o prevalentemente localizzata agli arti inferiori
CRITERI MINORI (ALMENO UNO)
u Familiarità (primo o secondo grado) per spondilite anchilosante, psoriasi, artrite reattiva, uveite acuta o malattia infiammatoria intestinale
u Psoriasi (pregressa o in atto, documentata da un medico)
u Malattia infiammatoria intestinale (morbo di Crohn o colite ulcerosa, confermati con esame radiologico o endoscopico)
u Dolore gluteo alternante (riferito o in atto)
u Entesopatia (dolore spontaneo, riferito o in atto, o dolorabilità alla pressione all’inserzione calcaneare del tendine d’Achille o della fascia plantare)
u Uretrite o cervicite non gonococcica o diarrea acuta nel mese precedente l’insorgenza dell’artrite
u Reperto radiologico di sacroileite definita (se bilaterale grado 2-4, se monolaterale grado 3-4)
Sensibilità 87%, specificità 87% (con sacroileite).
Sensibilità 77%, specificità 89% (senza sacroileite).
REUMATOLOGIA
pratica
S. D’ANGELO, C. PALAZZI, I. OLIVIERI
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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DICEMBRE 2007 NUMERO 4
TABELLA II. Criteri classificativi delle spondiloartriti secondo Amor (1990).
PARAMETRO
PUNTEGGIO
A. Sintomi clinici o storia di
1.
Dolore notturno e/o rigidità mattutina del rachide lombare o dorsale
1
2.
Oligoartrite asimmetrica
2
3.
Dolore gluteo mal localizzato
Dolore gluteo alternante
1
2
4.
Dita delle mani o dei piedi “a salsicciotto”
2
5.
Talalgia o altra entesopatia ben definita
2
6.
Irite
2
7.
Uretrite non gonococcica o cervicite entro un mese dall’esordio dell’artrite
1
8.
Diarrea acuta entro un mese dall’esordio dell’artrite
1
9.
Psoriasi e/o balanite e/o malattia infiammatoria intestinale in atto o pregressa
2
B. Reperti radiologici
10. Sacroileite (stadio 2 o più se bilaterale, stadio 3 o più se unilaterale)
2
C. Predisposizione genetica
11. Positività dell’antigene HLA B27 e/o storia familiare di spondilite anchilosante, artrite reattiva,
psoriasi, uveite o malattia infiammatoria cronica
2
D. Risposta al trattamento
12. Miglioramento del dolore entro 48 ore dall’assunzione di un FANS e/o rapida (48 ore) ricomparsa dopo la sospensione
2
Un paziente è considerato affetto da spondiloartrite in presenza di un punteggio ≥ 6.
Sensibilità 90%, specificità 87%.
questi ultimi non svolgono un ruolo centrale così come
nell’artrite reumatoide, non avendo dimostrato la capacità di ridurre il danno erosivo. Recentemente, sono
entrati nell’armamentario terapeutico farmaci cosiddetti “biologici” con un’azione anti-Tumor Necrosis Factor
(TNF)-α (infliximab, adalimumab, etanercept), che presentano una notevole efficacia sui sintomi e i segni
delle SpA e hanno dimostrato di arrestare o ritardare
l’evoluzione del danno radiologico.
SPONDILITE ANCHILOSANTE
La SA è considerata la forma più comune e tipica
delle SpA e colpisce prevalentemente lo scheletro
assiale.
La forma classica (primaria o idiopatica) è quella che
insorge al di fuori di ogni altra condizione, e va distinta dalla secondaria, che può comparire in corso
di psoriasi, ARe o malattia infiammatoria intestinale.
La prevalenza varia tra lo 0,2 e l’1,8%. Il rapporto
F:M è 1:3.
REUMATOLOGIA
pratica
122
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Quadro clinico
Manifestazioni articolari
Il tipico sintomo di presentazione è rappresentato da
una lombalgia e/o da un dolore gluteo di tipo infiammatorio con possibile estensione alla coscia sino alla
metà prossimale del polpaccio (“sciatica mozza”).
La rachialgia lombare è comunque un sintomo molto
comune, presente nella popolazione generale fino a
una percentuale dell’80%. Pertanto, la lombalgia infiammatoria della SA va differenziata da quella non
infiammatoria di origine meccanica. I caratteri distintivi sono: esordio prima dei 40 anni, carattere insidioso, persistenza da almeno 3 mesi, associazione
con rigidità mattutina, miglioramento con l’esercizio e
comparsa notturna del dolore.
Il progressivo e tipico irrigidimento del rachide (con
protrusione anteriore del tratto cervicale, ipercifosi
dorsale, scomparsa della lordosi lombare) e l’interessamento della gabbia toracica conducono a un’im-
SPONDILOARTRITI
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
Manifestazioni extra-articolari
L’uveite anteriore acuta (o iridociclite) è la manifestazione extra-articolare più comune (25-30%). L’attacco
è tipicamente acuto e monolaterale, anche se può
presentarsi anche in quello controlaterale. L’occhio
appare arrossato e dolente; vi sono disturbi visivi, fotofobia e aumentata lacrimazione.
Nel corso della malattia possono comparire aortite
ascendente, insufficienza aortica e anomalie di conduzione atrio-ventricolare.
Laboratorio
Generalmente gli esami ematochimici non sono di utilità. La velocità di eritrosedimentazione (VES) è spesso
elevata in fase precoce della malattia (fino al 75% dei
pazienti, ma non correla con l’attività di malattia). La
tipizzazione HLA B27 (positiva nel 70-90% dei casi)
non può essere usata come test diagnostico.
Imaging
Le tipiche alterazioni rilevabili mediante la radiologia
tradizionale sono rappresentate dalla presenza di
sindesmofiti marginali (Fig. 1A) e della sacroileite bilaterale. Quest’ultima si caratterizza inizialmente per
una sclerosi (grado I-II) a cui conseguono dapprima
alterazioni erosive (grado II-III) e successivamente la
fusione delle rime articolari (grado IV) (Fig. 1B). Tali
alterazioni sono apprezzabili solo dopo alcuni anni
dall’esordio dei sintomi clinici.
La TC è utile nella valutazione di un impegno delle
sacroiliache in quelle forme in cui vi sono dubbi nell’interpretazione di una Rx standard del bacino. La TC
manifesta una netta superiorità nell’evidenziare le fini
erosioni e l’iniziale sclerosi.
La RM rappresenta la metodica che, attraverso l’identificazione dell’edema osseo, consente di porre una
diagnosi precoce di sacroileite anche dopo poche
settimane dall’insorgenza di una lombalgia o glutalgia infiammatoria (Fig. 2).
S. D’ANGELO, C. PALAZZI, I. OLIVIERI
Terapia
L’iniziale trattamento della SA consiste nell’utilizzo dei
FANS tradizionali o inibitori della ciclo-ossigenasi 2
(COXIBs), che risultano efficaci nel ridurre la sintomatologia dolorosa e la limitazione funzionale. In caso di inefficacia di tali farmaci, non essendovi evidenze a supporto
dell’uso di steroidi e DMARDs tradizionali, è giustificato
un trattamento con farmaci anti-TNF-α. Questi hanno modificato radicalmente lo scenario terapeutico della SA,
considerata prima del loro avvento una malattia sostanzialmente “non curabile”. Essi determinano un rapido e
sostenuto effetto sui sintomi, migliorano la qualità di vita
e rallentano la progressione radiologica della malattia.
ARTRITE PSORIASICA
L’AP è un’enteso-artro-osteopatia infiammatoria cronica che si manifesta in soggetti con psoriasi o con
familiarità per psoriasi, e che può interessare le entesi
e le articolazioni sia periferiche sia assiali.
La psoriasi colpisce circa il 2% dei Caucasici. Dal 7
al 42% dei pazienti con psoriasi presenta un’AP. Il
rapporto F:M è circa 1:1.
Quadro clinico
Le manifestazioni cutanee precedono l’artrite in circa il
60% dei casi, seguono queste nel 25%, mentre sono
concomitanti nel 15%. Non vi è relazione tra severità e
tipo di impegno cutaneo e artrite. Nella minoranza dei
pazienti in cui l’AP precede le lesioni cutanee è difficile
porre una diagnosi definitiva (AP sine psoriasi).
Sono noti 5 diversi subsets clinici dell’AP:
• artrite prevalente delle interfalangee distali (IFD):
come reperto isolato, cioè non associata ad altre
localizzazioni articolari, è presente nel 8-16% dei
pazienti;
• artrite mutilante: dovuta all’osteolisi delle falangi.
Colpisce circa il 5% dei pazienti;
• poliartrite simmetrica: simile all’artrite reumatoide, se
ne differenzia per il minor numero di articolazioni
colpite, il raro reperto di positività del fattore reumatoide, la maggiore frequenza dell’interessamento
delle IFD, la maggiore tendenza all’anchilosi ossea.
Rappresenta il subset più frequente (40-60%);
• oligoartrite: la presenza di un’oligoartrite con impegno
prevalente delle IFD e una tenosinovite dei flessori (dita
a salsicciotto o dattilite) rappresenta il pattern più tipico
ma non più frequente dell’AP (15-40%). La dattilite (presente in circa il 30% dei pazienti) è caratterizzata da
tumefazione diffusa dell’intero dito (Fig. 3). Frequenti
e disabilitanti manifestazioni entesitiche sono costituite
dalla tendinite achillea e dalla fascite plantare;
REUMATOLOGIA
pratica
portante insufficienza funzionale e a una ridotta capacità ventilatoria.
Il processo entesitico può determinare dolorabilità alla
pressione in alcuni siti extra-articolari come le giunzioni costo-sternali, processi spinosi, creste iliache, grandi trocanteri femorali, tuberosità ischiatiche, tuberosità
tibiali e talloni (entesite achillea e fascite plantare).
Le anche sono le articolazioni extra-assiali più frequentemente coinvolte. Il loro interessamento determina dolore inguinale irradiato anche al ginocchio con riduzione della rotazione e dell’abduzione.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
123
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
A
B
FIGURA 1. A) Sindesmofiti a livello del rachide cervicale. B) Fusione completa (grado IV) della sacroiliaca destra
e sinistra.
FIGURA 2. Edema osseo subcondrale dell’articolazione sacroiliaca dx.
REUMATOLOGIA
pratica
124
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
SPONDILOARTRITI
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
SX
FIGURA 3. Dattilite del II dito del piede destro e
onicopatia psoriasica.
• impegno assiale: un interessamento, seppur minimo,
delle sacroiliache e della colonna (con tipici sindesmofiti non marginali) può trovarsi in qualsiasi variante dell’AP. Si riscontra nel 20-40% dei pazienti.
L’esatta prevalenza di ciascuna di queste forme è difficile da stabilirsi, perchè il quadro clinico può variare nel tempo: in più del 60% dei pazienti cambia il
pattern di presentazione (ad es. oligoarticolare che
evolve in poliarticolare).
Laboratorio
La VES è elevata nel 40-60% dei casi, soprattutto in quelli
con pattern poliarticolare. Una positività a basso titolo del
fattore reumatoide è presente nel 5-16% dei pazienti.
L’iperuricemia, rilevabile nel 10-20% dei soggetti, correla con la severità dell’impegno cutaneo e sembra
riflettere il rapido turnover cellulare. Quindi, elevati livelli di acido urico e presenza di monoartrite possono
portare a un’errata diagnosi di gotta.
Imaging
La radiologia tradizionale mostra i caratteri di un’artrite erosiva ma con importanti fenomeni di neoformazione ossea e frequente interessamento delle IFD.
Nel caso di entesite o tenosinovite (dattilite), particolare importanza rivestono l’eco power Doppler e la RM, in grado
di evidenziare l’edema osseo, la tumefazione flogistica
dell’inserzione tendinea e dell’eventuale borsa adiacente,
la raccolta fluida nell’ambito della guaina tendinea.
Terapia
I FANS e i COXIBs risultano utili, così come le infiltrazioni locali di steroidi, nel controllo del dolore e della
tumefazione delle articolazioni periferiche.
S. D’ANGELO, C. PALAZZI, I. OLIVIERI
A differenza della SA, alcuni DMARDs (sulfasalazina,
metotressato, leflunomide, ciclosporina) appaiono efficaci sulle manifestazioni cutanee e articolari periferiche.
L’utilizzo dei farmaci anti-TNF-α nella AP è quindi indicato nel caso di artrite periferica o entesite refrattaria ad
almeno un DMARD, oppure in caso di coinvolgimento
assiale non responsivo ai FANS. Va comunque sottolineato il fatto che i farmaci anti-TNF-α sono gli unici che
nei trial clinici hanno dimostrato di rallentare l’evoluzione
del danno radiologico.
ARTRITE REATTIVA
Per ARe s’intende un’artrite non suppurativa, sterile, che
insorge dopo un processo infettivo (1-3 sett.) localizzato
in una sede lontana da quella dell’infezione primitiva, più
spesso a localizzazione genito-urinaria o enterica.
La sindrome di Reiter (artrite, uretrite non gonococcica,
congiuntivite) rappresenta uno dei più comuni esempi di
ARe.
L’incidenza annuale è di circa 4-5 casi per 100.000 abitanti. L’età di insorgenza è compresa tra i 20 e i 50 anni,
con un picco alla terza decade. Il rapporto F:M è di circa
1:5.
Le ARe sono le uniche forme, tra le SpA, in cui sono stati
identificati gli agenti eziologici: Shigella, Salmonella, Yersinia, Campylobacter, Chlamydia e Ureaplasma.
Sebbene più di un fattore genetico sia correlato alla presenza di ARe, il più importante risulta l’HLA B27 (60-80%
dei casi).
Quadro clinico
Manifestazioni articolari
L’artrite compare solitamente da 1 a 3 settimane dopo
un episodio di infezione genito-urinaria o enterica, le
quali possono essere lievi o del tutto inapparenti.
Gran parte dei pazienti presenta un decorso subacuto con guarigione in 1-6 mesi. Nel 15-50% dei casi
si susseguono attacchi ricorrenti. La forma cronica si
sviluppa nel 15-30% dei soggetti e si associa frequentemente a un impegno assiale.
La manifestazione più frequente è un’oligoartrite asimmetrica acuta prevalentemente localizzata alle articolazioni degli arti inferiori. Frequenti sono anche l’entesite
(fascite plantare, tendinite achillea) e la dattilite. Più
rara una poliartrite con possibile coinvolgimento delle
mani.
Nel 20-30% dei casi è presente una sacroileite (soprattutto in soggetti con HLA B27). In alcuni pazienti
la sintomatologia assiale è indistinguibile da una SA.
REUMATOLOGIA
pratica
DX
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
125
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
Manifestazioni uro-genitali
Nei maschi si può avere un’uretrite con pollachiuria,
bruciore durante la minzione, secrezione chiara non
purulenta. Nelle femmine si hanno vulvovaginiti, cerviciti e salpingiti.
Manifestazioni gastroenteriche
La diarrea è spesso lieve, solo occasionalmente ematica e prolungata.
Manifestazioni muco-cutanee
Il cheratoderma blenorragico (il termine blenorragico
è improprio, poiché non è di natura gonococcica)
rappresenta la manifestazione cutanea più comune
(12-14%). È caratterizzato da lesioni papulari ricoperte di croste ipercheratosiche che interessano le regioni
plantari e palmari indistinguibili anche istologicamente da quelle psoriasiche.
La balanite circinata esordisce con piccole vescicole
localizzate al glande e al meato uretrale, che rompendosi danno luogo a piccole erosioni superficiali.
Soprattutto nelle fasi iniziali, possono comparire ulcere
orali non dolenti localizzate sul palato e sulla lingua.
Manifestazioni oculari
La congiuntivite è la complicanza oculare più usuale.
Solitamente bilaterale, si manifesta con rossore, bruciore, aumentata lacrimazione.
Probabilmente l’uveite si manifesta come evento indipendente dovuto alla comune suscettibilità a HLA B27.
Laboratorio
Vanno valutati 2 aspetti fondamentali: l’infezione e l’infiammazione. La ricerca diretta della Chlamydia va eseguita, su campioni da tampone uretrale o brushing di cervice uterina, mediante ricerca del RNA ribosomiale con
metodi di amplificazione genica. Per quanto concerne la
ricerca indiretta di Chlamydia, i test sierologici non sono
utili in tutti i casi, in quanto si positivizzano tardivamente. L’Ureaplasma è facilmente coltivabile dalle secrezioni
uro-genitali. L’esame colturale delle feci è importante per
la ricerca del germe scatenante anche quando i sintomi
enterici sono scarsi o assenti. La positività della coprocoltura si ritrova di solito entro le 2 settimane dall’esordio
dell’enterite. La ricerca di anticorpi specifici può ritenersi
utile quando si evidenzi un significativo incremento in più
classi immunoglobuliniche.
Durante la fase acuta sono presenti una moderata leucocitosi e un aumento di VES e proteina C reattiva
(PCR).
REUMATOLOGIA
pratica
126
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Imaging
Le metodiche di imaging consentono di identificare le
alterazioni precedentemente descritte per la SA e l’AP.
Terapia
Per le forme acute i farmaci di prima scelta sono i
FANS, e talora i cortisonici. L’utilità del trattamento
antibiotico è ancora da quantificare, e comunque
sembra maggiore per le ARe conseguenti a infezioni
urinarie (mediante tetracicline e macrolidi).
Per le forme cronicizzate, oltre ai FANS può risultare
valido un trattamento con salazopirina. Molti dati dimostrano l’efficacia dei farmaci anti-TNF-α per le ARe
cronicizzate refrattarie al trattamento tradizionale.
SPONDILOARTRITI ASSOCIATE A MALATTIE
INFIAMMATORIE INTESTINALI
Una malattia infiammatoria articolare può essere considerata una AE se il tratto gastroenterico è coinvolto
in maniera diretta nel processo patogenetico.
Le più comuni AE si associano alla colite ulcerosa
(CU) e alla malattia di Crohn (MC).
La CU e la MC possono essere considerate congiuntamente, in quanto condividono molti degli aspetti
reumatologici.
L’artrite rappresenta la manifestazione extra-intestinale
più frequente in entrambe le condizioni (fino al 40%
dei casi).
Quadro clinico
La prevalenza dell’impegno periferico varia dal 17 al
20% dei casi, con una maggiore frequenza nella MC
(nella CU è circa il 10%).
L’artrite è pauciarticolare, generalmente asimmetrica,
spesso con carattere transitorio e migrante. Sono interessate sia le grosse sia le piccole articolazioni, solitamente degli arti inferiori. Solo raramente (10%) l’artrite
diventa cronica con possibili lesioni distruttive a carico
delle anche e delle piccole articolazioni.
Frequenti sono le dattiliti e le entesiti (tendinite achillea
o fascite plantare).
Di regola nella MC i sintomi intestinali precedono o
sono coincidenti con quelli articolari, anche se in qualche caso l’artrite può precedere, anche di qualche
anno, le manifestazioni intestinali. Nella CU vi è una
più stretta relazione temporale tra attacchi di artrite e
fasi attività di malattia a livello enterico.
L’impegno assiale è descritto in entrambe le condizioni. La prevalenza della sacroileite varia dal 10 al
20%, quella della spondilite dal 7 al 12%.
SPONDILOARTRITI
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
Laboratorio
Non vi sono test diagnostici. Reperti comuni sono un
aumento degli indici di flogosi e un’anemia ipocromica da perdite ematiche o da malattia cronica.
Imaging
Le metodiche di imaging consentono di identificare le
alterazioni precedentemente descritte per la SA e l’AP.
Terapia
I FANS vanno utilizzati con molta cautela, in quanto
possono peggiorare l’interessamento intestinale. I COXIBs presentano invece un migliore profilo di sicurezza.
Nel caso di forme cronicizzate sono utili la salazopirina e soprattutto i farmaci anti-TNF-α, che appaiono
molto efficaci anche sulle manifestazioni intestinali.
SPONDILOARTRITI INDIFFERENZIATE
Con il termine di SpA indifferenziata si identifica una
condizione che presenta manifestazioni cliniche tipiche
del gruppo delle SpA ma non sufficienti per porre una
diagnosi di un’altra SpA definita (SA, AP, ARe o AE).
Le SpA indifferenziate possono esordire a qualunque età,
con una prevalenza non nota fino a pochi anni fa in quanto, per l’assenza di criteri di classificazione e diagnosi, le
SpA indifferenziate erano sfuggite agli studi epidemiologici. Dati recenti indicano una prevalenza di circa lo 0,7%.
Quadro clinico
Vi è uno spettro clinico esteso che risulta dalle varie
combinazioni delle manifestazioni tipiche delle SpA.
Il sospetto clinico di una SpA indifferenziata può essere posto sulla base della presenza di manifestazioni
tipiche delle SpA, positività dell’HLA B27, storia clinica o familiarità per patologie associate (psoriasi, malattie infiammatorie intestinali), con impossibilità, però,
a configurare un quadro di una SpA definita.
In molti casi la diagnosi di SpA indifferenziata può essere
provvisoria, come nel caso di forme incomplete di SpA
definite (ARe con infezione scatenante asintomatica, AP
sine psoriasi, sacroileite pre-radiografica nella SA).
Per quanto riguarda il decorso è possibile identificare
2 scenari:
S. D’ANGELO, C. PALAZZI, I. OLIVIERI
1. evoluzione verso una spondiloartrite definita (SA, AP);
2. permanenza in uno stato indifferenziato per molto
tempo.
Laboratorio
Generalmente gli esami ematochimici non sono molto
utili. La VES e la PCR non sono sempre elevate. La
tipizzazione HLA B27 non è un test dirimente, ma può
avvalorare il sospetto diagnostico.
Imaging
Le metodiche di imaging consentono di identificare le
alterazioni precedentemente descritte per la SA e l’AP.
Terapia
A seconda delle manifestazioni prevalenti, possono
essere utilizzati FANS, COXIBs, infiltrazioni locali di
corticosteroidi (in caso di mono-oligoartrite, entesite
o dattilite) e la sulfasalazina. L’utilizzo dei farmaci
anti-TNF-α è indicato nel caso di artrite periferica o
entesite refrattaria al trattamento tradizionale.
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REUMATOLOGIA
pratica
Il quadro clinico può essere indistinguibile da quello di
una SA: dolore infiammatorio in sede lombare, toracica, cervicale, o glutea. Tipici segni sono la limitazione
dei movimenti del tratto lombare e cervicale e la ridotta
espansibilità toracica. L’esordio e il successivo decorso
sono totalmente indipendenti dall’impegno intestinale.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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DICEMBRE 2007 VOLUME 1 PAGINE 128-131
Parole chiave
Artrite reumatoide • Anti-TNF • Costo-efficacia • QALY
ASPETTI
FARMACOECONOMICI
LEGATI ALLA GESTIONE
DELL’ARTRITE REUMATOIDE
RIASSUNTO
L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica con prevalenza stimata pari allo 0,5-1% nel mondo, ma il
suo carattere progressivo e la sua comparsa in giovane età comportano per la sua gestione un importante consumo
di risorse sia per il paziente e la sua famiglia, sia per la società.
A tale stato morboso, infatti, sono associati elevati costi diretti di gestione della malattia, costi indiretti dovuti alla perdita di produttività del paziente e costi intangibili legati alla compromissione della qualità della vita. Negli ultimi anni
l’immissione in commercio dei farmaci biologici ha segnato una nuova era nel dominio dell’infiammazione sistemica.
Tali agenti, infatti, hanno dimostrato un’elevata efficacia non solo nel migliorare i sintomi della malattia, ma anche
nel rallentare la progressione del danno articolare. Grazie alla loro considerevole efficacia nell’artrite reumatoide
molti studi hanno riscontrato che gli anti-TNF hanno un rapporto di costo-efficacia tale da giustificarne l’utilizzo nella
pratica clinica.
INTRODUZIONE
L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria
cronica a eziologia sconosciuta caratterizzata inizialmente da un processo infiammatorio a carico della sinovia articolare. I sintomi e i segni dell’infiammazione
decorrono nel tempo in modo fluttuante, alternandosi
spontaneamente periodi di forte infiammazione a periodi di relativo miglioramento.
Tuttavia molti pazienti con malattia in fase attiva sviluppano progressivamente limitazioni funzionali. Tale
disabilità fisica porta alla riduzione delle capacità lavorative del paziente, ne limita la libertà personale
e la possibilità di svolgere le abituali attività sociali,
coinvolgendo la sfera affettiva/emotiva, compromettendo, quindi, in senso più generale, la qualità di vita
associata allo stato di salute.
Pazienti con artrite reumatoide hanno inoltre mostrato un rischio di mortalità che è direttamente correlato
allo stadio clinico, ed è circa due volte più grande di
quello della popolazione generale a parità di caratteristiche demografiche 1.
L’AR può manifestarsi a qualsiasi età, ma il picco di
incidenza è tra i 40 e i 60 anni. La prevalenza risulta
infine maggiore nelle donne che negli uomini e cresce
con l’aumentare dell’età. La prevalenza stimata varia
tra lo 0,5 e l’1% nel mondo 2 3.
A causa della natura cronica della malattia e del fatto
che frequentemente i pazienti raggiungono un certo
grado di disabilità durante gli anni più produttivi, l’AR
ha un impatto economico che appare sproporzionato
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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare da uno stato
morboso con una così bassa prevalenza.
A tale stato morboso, infatti, sono associati elevati costi diretti di gestione della malattia, costi indiretti dovuti
alla perdita di produttività del paziente con mancato
guadagno per lui e la famiglia (circa il 50% dei pazienti dopo 10 anni dalla comparsa della malattia risultano inabili al lavoro) 4 e costi intangibili legati alla
compromissione della qualità della vita e alla morte
prematura.
Guillemin et al. 5 hanno determinato il costo medio annuale associato al trattamento dell’AR (ricoveri, visite
specialistiche, farmaci, supporti medici, analisi di laboratorio e procedure chirurgiche), che risulta pari a
4003 euro per paziente, di cui il 60% è rappresentato
dalle ospedalizzazioni, mentre il costo dovuto alle terapie risulta essere quello rappresentato in minima parte.
Westhovens et al. 6 hanno stimato il costo dell’AR in
funzione della durata della malattia. I costi diretti annuali variano da 3055 euro in pazienti con diagnosi
da meno di un anno, a 9946 euro in pazienti con
diagnosi da più di un anno. La disabilità fisica passa
dal 2 al 18% nei pazienti con diagnosi da più di
SIMONA DE PORTU, LORENZO MANTOVANI
CIRFF/Centro di Farmacoeconomia,
Università di Napoli “Federico II”
[email protected]
DICEMBRE 2007 NUMERO 4
I FARMACI BIOLOGICI
In poco meno di 10 anni è profondamente mutato
l’approccio terapeutico all’AR. I notevoli progressi nella comprensione dell’immunopatogenesi della
malattia e quelli realizzati nelle biotecnologie hanno
portato allo sviluppo di agenti terapeutici in grado di
colpire in maniera specifica i componenti del sistema
immunitario “fuori controllo”.
S. DE PORTU, L. MANTOVANI
L’acquisita coscienza della gravità della malattia ha
modificato il precedente approccio attendistico, che
prevedeva di iniziare la terapia con farmaci antireumatici cosiddetti “di fondo” in fasi estremamente avanzate. Oggi si sa che una terapia precoce e aggressiva può determinare un significativo ritardo del danno
anatomico articolare.
Per controllare infatti adeguatamente il processo flogistico, il danno strutturale e il decorso della malattia,
sono stati individuati alcuni fattori cruciali rappresentati dalla diagnosi precoce, dalla rapida diagnosi di
aggressività della malattia e dall’instaurazione di una
terapia corretta altrettanto precoce 13.
L’immissione in commercio dei farmaci biologici, in
particolar modo gli inibitori delle citochine proinfiammatorie del fattore di necrosi tumorale (anti-TNF), ha
segnato una nuova era nel dominio dell’infiammazione sistemica dell’AR e di altre poliartriti croniche.
Tali agenti biologici, infatti, hanno dimostrato un’elevata efficacia non solo nel migliorare i sintomi della
malattia, ma anche nel rallentare la progressione del
danno articolare, migliorare la qualità di vita e preservare lo stato funzionale.
L’introduzione e lo sviluppo di questi nuovi e costosi
trattamenti quali gli anti-TNF per la gestione dell’artrite reumatoide ha indotto a volgere lo sguardo alle
valutazioni farmacoeconomiche, che sono di importanza cruciale ai processi decisionali, soprattutto in
un momento in cui la spesa farmaceutica è in crescita
continua e la necessità di ridurre i costi diventa sempre più stringente. A un costo medio annuo che si
aggira tra i 12.200 e i 13.000 euro i farmaci biologici sono molto più costosi dei DMARD tradizionali,
basti pensare che il costo annuale di una terapia con
metotressato si aggira intorno ai 150 euro, in regime
terapeutico pari a 7,5 mg per settimana 14.
Questo spiega la necessità di analisi farmacoeconomiche per le nuove terapie antireumatiche, volte a stimarne il vero “valore” in termini di efficacia, costi e
utilità che derivano dall’utilizzo dei farmaci biologici.
VALUTAZIONI FARMACOECONOMICHE
Prima della loro introduzione nella pratica clinica si
ipotizzava che i costi elevati potessero in un qualche
modo oscurarne il reale valore. Tuttavia, grazie alla
loro considerevole efficacia nell’AR, molti studi hanno
riscontrato che gli anti-TNF hanno un costo incrementale (ICER) per QALY (anno di vita aggiustato per la qualità) compreso nel range comunemente ritenuto accettabile per gli interventi clinici, dove l’ICER rappresenta
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un anno. Dati confrontabili sono riportati anche da
uno studio olandese 7, dove il costo medio annuo per
pazienti con diagnosi da meno di due anni è pari
a 5235 euro, mentre per pazienti con diagnosi da
più di 10 anni è di 8243 euro. In entrambi gli studi il determinante dei costi risulta essere il grado di
compromissione fisica del paziente legato quindi alla
progressione della malattia nel corso degli anni.
Uno studio tedesco ha valutato il costo dell’AR e di altre
malattie autoimmuni determinandone sia i costi diretti,
sia quelli indiretti. I costi diretti annuali sono risultati
pari a 4737 euro, costi destinanti a crescere fino a
15.637 euro quando vengono inseriti nell’analisi anche i costi legati alla perdita di produttività. Anche in
questo caso i costi crescono in funzione della durata
della malattia e sono fortemente dipendenti dallo stato
funzionale. In pazienti con un’elevata compromissione
delle capacità fisiche (meno del 50%) i costi totali arrivano a essere più che duplicati (34.915 euro) 8.
Tale andamento appare confermato anche in Italia
da uno studio condotto da Leardini et al. 9 dove i
costi totali per la gestione del paziente affetto da AR
aumentano in funzione della classe di gravità di malattia definita attraverso l’indice funzionale ACR (American College of Rheumatology) 10. I costi sociali pari
a 3718 euro nella prima classe di gravità crescono
fino ad arrivare a 22946 euro nella quarta e ultima
classe, confermando l’elevato impatto economico da
attribuirsi ai costi indiretti che rappresentano più del
50% dei costi totali.
Lajas et al. sottolineano la stretta relazione esistente
tra i costi e la gravità della malattia, determinando un
incremento di più di 7900 euro annui per ogni punto
di Health Assessment Questionnaire (HAQ) 11.
I farmaci rappresentano attualmente la minima parte
dei costi di gestione della malattia, poiché sono pari
al 3-4% dei costi totali e al 13-15% dei costi diretti 12.
Tuttavia, recentemente sono stati introdotti nuovi trattamenti più efficaci e meglio tollerati dei farmaci antireumatici modificatori di effetto (DMARD) e dei farmaci
antinfiammatori non steroidei (FANS).
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il costo che si dovrebbe sostenere per guadagnare
un anno di vita in perfetta salute 14 15. In generale,
è largamente accettato, quale soglia per definire un
intervento costo-efficace, il limite dei ~36.000 euro
per QALY guadagnato 14 16.
Uno studio statunitense 17 ha determinato un rapporto
di costo efficacia per QALY del trattamento con infliximab e metotressato verso il trattamento con solo metotressato pari a circa 22.000 euro, se si considerano
solo i costi diretti, rapporto che scende a circa 6500
euro introducendo anche i costi indiretti determinati
dalla perdita di produttività. In Inghilterra questo rapporto di costo efficacia varia da 24.073 euro (per
etanercept confrontato con i DMARD tradizionali) 18
a 31.852 euro (per infliximab più metotressato verso
il trattamento con solo metotressato) 12. Studi condotti
in Svezia riportano un ICER per QALY guadagnato
che va dai 3500 euro (per infliximab più metotressato
verso il trattamento con solo metotressato) ai 43.500
euro dei farmaci biologici (infliximab o etanercept)
verso i farmaci tradizionali 18. Infine Bansback et al. 19
hanno condotto un’analisi costo-utilità confrontando le
strategie terapeutiche che vedono coinvolti i farmaci
biologici quali adalimumab, etanercept e infliximab,
verso i farmaci DMARD tradizionali. Il rapporto di costo efficacia per QALY guadagnato è risultato essere
confrontabile per quanto riguarda adalimumab e etanercept variando tra i 34.167 euro di adalimumab
più metotressato e i 36.927 euro di etanercept in
monoterapia. Per quanto riguarda infliximab più metotressato il rapporto di costo efficacia è risultato essere
pari a 48.333 euro. Certamente i farmaci biologici
risultano essere più costosi rispetto alle terapie convenzionali con DMARD, tuttavia essi sono in grado di
produrre un numero maggiore di QALY.
DISCUSSIONE
Nonostante una relativa variabilità nella metodologia
adottata e l’eterogeneità dei paesi considerati negli
studi, tali farmaci conducono a un ICER che rimane
compreso nel range di accettabilità per cui un farmaco possa essere ritenuto costo-efficace, alla luce
del quale il costo aggiuntivo del farmaco dovrebbe
essere sostenuto a fronte di un reale beneficio per il
paziente.
Non va infatti dimenticato che le terapie con biologici
offrono miglioramenti nell’attività della malattia, qualità di vita e progressione del danno articolare che non
hanno eguali 20, riducendo così i ricoveri ospedalieri
e gli interventi chirurgici di artroprotesi.
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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
I costi di gestione di una malattia cronica ad andamento disabilitante come l’AR dipendono in misura
minore dai cosiddetti costi diretti (che sono le spese
relative al trattamento della patologia stessa quali farmaci, ricoveri, visite specialistiche, interventi chirurgici
ecc), e in misura maggiore dai cosiddetti costi indiretti, determinati invece dalla spesa sociale legata alla
disabilità che la malattia genera (astensione dal lavoro per malattia, ritiro precoce dal lavoro, pensioni di
invalidità ecc).
Rivalutata al 2003, l’AR in Italia assorbiva risorse
per più di 3,5 miliardi di euro/anno, dimensioni
che rendono indispensabile affrontare il problema
anche sotto l’aspetto farmacoeconomico e ci obbligano a porre particolare attenzione agli interventi
che possono determinare una riduzione dei costi
indiretti, che rappresentano ben i 2/3 del totale
dei costi 21.
Poiché tale obiettivo è raggiungibile solo limitando
l’evoluzione del danno strutturale, che caratterizza
la storia naturale dell’AR e determina la comparsa
della disabilità, appare giustificato dal punto di vista
economico l’investimento in strumenti sanitari anche
costosi, quando ne sia comprovata l’efficacia come
farmaci in grado di modificare l’andamento della
malattia a breve, ma soprattutto a lungo termine.
I farmaci biologici utilizzati nel trattamento dell’artrite
reumatoide hanno sicuramente un costo di acquisto
maggiore rispetto a quello dei farmaci di fondo tradizionali, ma possiedono anche un profilo di efficacia
migliore e una maggiore capacità di prevenire a lungo termine il danno articolare.
Quindi, a fronte di un iniziale incremento dei costi
diretti, i farmaci biologici sono in grado di produrre
nel tempo un sensibile abbattimento dei costi indiretti,
rappresentando quindi una valida strategia terapeutica non solo sotto l’aspetto medico, ma anche sotto il
profilo farmacoeconomico.
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