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Articolo tematico corredato di Dottrina e Giurisprudenza
(Dott. Giulio Perrotta)
Convivenza more uxorio. Diritti, doveri ed obblighi.
La FAMIGLIA DI FATTO è la coppia che convive stabilmente, senza che l'unione venga
formalizzata mediante il matrimonio, ma col sostanziale rispetto dei doveri matrimoniali in
attuazione di un programma di vita in comune. La crescente diffusione sociale del fenomeno,
rispetto alla famiglia “di diritto” tradizionale, non vincolata da un atto matrimoniale e dai doveri ed
obblighi derivanti dalle norme del diritto di famiglia, collocate nel codice civile e nelle leggi
speciali, ripropone, seppure in termini diversi rispetto al percorso storico-sociale del secolo
trascorso, poco più di in decennio fa, le problematiche relative alla configurazione nell'ordinamento
giuridico italiano di tale aggregato sociale.
Secondo l'opinione consolidata in Dottrina e in Giurisprudenza, la "famiglia di fatto" è da
annoverarsi tra le formazioni sociali, volte a favorire lo sviluppo e la piena realizzazione della
persona, contemplate dall' art. 2 Cost., fondata sulla solidarietà reciproca, anche se la "famiglia di
diritto", fondata sul matrimonio, è (in base all'art. 29 Cost.) la forma di convivenza ed aggregato
sociale privilegiata e più socialmente rilevante (Sent. C. Cost. n. 404/1988). La distinta
considerazione costituzionale della convivenza, rispetto al rapporto coniugale, non esclude però la
comparabilità delle discipline riguardanti particolari aspetti dell'uno e dell'altra, come i diritti e
gli obblighi derivanti dal rapporto genitoriale con i figli nati fuori dal matrimonio. Sempre il
Giudice delle Leggi, l'anno successivo alla pronuncia sopracitata, ha affermato poi, che in
riferimento all'art. 3 Cost., il trattamento giuridico dell'uno rispetto all'altro aggregato sociale non
viola il principio di uguaglianza e di ragionevolezza, stante il fatto che le situazioni sono diverse e
meritano trattamenti non omogenei pur sempre rispettando formalmente e sostanzialmente il
suddetto principio, occorre differenziarli anche se hanno elementi comuni, quali la convivenza
(Sent. C. Cost. n. 559/1989),
Nel tentativo di trasporre nel nostro ordinamento modelli di regolamentazione ormai collaudati in
Paesi, quali la Francia e di Common Law, dove l'una li definisce tramite i ”excontracts de
cohabitation”, gli altri tramite i “contracts de agreements”, che disciplinano in forma articolata e
completa i rapporti personali e patrimoniali tra i conviventi, grazie anche a notevoli contributi
dottrinale e giurisprudenziale. In Italia manca una normativa in tema e nonostante numerose
proposte parlamentari, l'intervento legislativo tarda a trovare una collazione normativa attiva.
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La non convinta praticabilità della percorribilità legislativa ha indotto parte degli studiosi a proporre
l'applicabilità delle norme dettate per la famiglia legittima, sul presupposto di una sostanziale
identità strutturale e funzionale; identità, solamente apparente, in quanto manca il vincolo
matrimoniale quale atto costitutivo della famiglia legittima (art. 29.1 Cost.). Parte della Dottrina
(minoritaria) è andata oltre, ricercando di forme più ampie di tutela, richiamando gli artt. 31, 36
e 37 Cost.. Il concetto di “convivenza”, intrinseco nell'aggregato sociale di famiglia di fatto, e
quindi perno centrale della questione in esame, è poi richiamato in diverse norme dell'ordinamento,
senza trovare, però, una logica sistematica organica.
Volendo provare a sintetizzare la mole di materiale normativo, si può affermare che la fonte del
diritto in materia di convivenza more uxorio è rappresentata prima di tutto dagli artt. 342bis e
342ter c.c. che analizzano la condotta d convivente nel contesto familiare di fatto, per cui se la
condotta del convivente causa pregiudizio grave all'integrità fisica, morale o alla libertà altrui, è
consentito richiedere la cessazione del fatto lesivo o l'allontanamento coattivo dall'ambiente
familiare o da luoghi abitualmente frequentati per un periodo non superiore a 12 mesi, salvo
proroga per motivi gravi. Può essere eventualmente corrisposto l'obbligo di un assegno periodico,
in caso di difficoltà economica.
Continuando con l'analisi delle norme civilistiche, incontriamo l'art. 417 c.c. che consente alla
persona stabilmente convivente di richiedere l'interdizione o la nomina di un amministratore di
sostegno per il partner.
Sul piano processuale, entrano in gioco gli artt. 199 e 681 c.p.p. e il 249 c.p.c., che affermano il
non obbligo di testimoniare in capo al convivente e la facoltà in capo a quest'ultimo di domandare
la grazia al Presidente della Repubblica.
Proseguendo tra le leggi speciali, in ordine temporale, ricordiamo il d.l. 1726/1918 col quale è
possibile ottenere la corresponsione della pensione di guerra, in presenza di specifici requisiti, per
la vedova, la promessa sposa e la convivente more uxorio, l'art. 6, legge 256/1958 col quale è
riconosciuta l'assistenza per i figli naturali non riconosciuti del padre caduto in guerra, quando
questo e la madre abbiano convissuto "more uxorio", nel periodo del concepimento, l'art. 2, d.p.r.
136/1958 che considera famiglia anagrafica non solo quella fondata sul matrimonio e legata da
rapporti di parentela, affinità, affiliazione ed adozione ma, ogni altro nucleo che si fonda su legami
affettivi, caratterizzato dalla convivenza e dalla comunione di tutto o parte del reddito dei
componenti per soddisfare le esigenze comuni, quindi anche la famiglia di fatto; l'art. 42, legge
313/1968 col quale il convivente può ottenere il diritto alla pensione di guerra per decesso del
partner in operazioni belliche; l'art. 3, legge 354/1975 col quale, il detenuto può chiedere un
permesso per visitare il convivente in pericolo di vita; l'art. 5, legge 194/1978 che permette la
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partecipazione al procedimento d'interruzione della gravidanza indesiderata di chi è indicato
"padre del concepito", quindi anche in presenza di convivenza more uxorio; l'art. 44, legge
184/1983 che permette in alcuni casi, l'adozione a chi non è coniugato,concessione attribuita
quindi, anche alla famiglia di fatto; l'art. 4, d.p.r. 223/1989 che, in materia di iscrizione anagrafica
delle famiglie residenti, fissano la posizione del convivente in un'ottica di obiettiva rilevazione del
dato, prescindendo da ogni intento di equiparazione e tutela, l'art. 17.2 e 17.3, legge 179/1992 che,
nell'ambito della tutela di un diritto all'abitazione del convivente more uxorio riconosce, in tema di
cooperative a proprietà indivisa, il diritto a sostituirsi al socio assegnatario defunto, a condizione
che la convivenza, documentata da apposita certificazione anagrafica, risulti instaurata, alla data
del decesso, da almeno 2 anni, l'art. 6, legge 149/2001, circa la rilevanza del periodo di mera
convivenza ai fini della verificazione della stabilità della coppia in vista dell'adozione e l'art. 5,
legge 40/2004, col quale la coppia convivente può ricorrere alla fecondazione artificiale.
Gli elementi caratterizzanti della convivenza possono, quindi riassumersi in 6 presupposti:
1) l'ASSENZA D'ATTO FORMALE, quale l'atto matrimoniale, tipico ed essenziale requisito nella
famiglia di diritto, che però può essere surrogato da un "accordo o patto di convivenza", in base
all'art. 1322.2 c.c. (e già presente in diversi paesi del vecchio continenti come la Francia, la
Germania e la Svezia e nei paesi di Common law), sono accordi che regolano i loro rapporti
personali e patrimoniali con riferimento al periodo di convivenza o a quello successivo (salvo quelli
vietati perchè incidono sulla libertà personale, individuale o contra legem), tra cui il versamento di
una somma di denaro in caso di rottura, la suddivisione delle spese e l'eventuale costituzione di un
fondo comune nell'interesse del nucleo familiare di fatto;
2) la MANCANZA DEL VINCOLO MATRIMONIALE, altrimenti si innesterebbe la famiglia di
diritto disciplinata dal c.c. e norme speciali in tema di diritto di famiglia;
3) la SESSUALITA' DEI CONVIVENTI, in quanto ormai anche la Corte Costituzionale ammette
le coppie omosessuali (Sent. C. Cost. n. 138/2010), in quanto volte a favorire lo sviluppo della
persona, pur escludendo per loro il matrimonio, possono formare comunque un nucleo familiare
senza pretendere il regime matrimoniale, avendo carattere non omogeneo rispetto alla normativa
civilistica (stessa tesi della C. Costituzionale è della Corte Europea di Strasburgo dei diritti
dell'Uomo lasciando spazio ai singoli ordinamenti nazionali la decisione se ammetterlo o meno Sent. CEDU, n. 13102.02/2010- e gli artt. 9 e 21 Carta di Nizza che riconoscono a tutte le coppie,
il diritto di formare una famiglia, a priori dal matrimonio, evitando qualunque discriminazione
sessuale o incestuosa);
4) l'ESISTENZA DI UN PROGRAMMA DI STABILE CONVIVENZA DELLA COPPIA con
spontanea attuazione sostanziale del contenuto dei doveri matrimoniali (comunione di vita
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materiale e spirituale);
5) la CONFORMITA' DELL'UNIONE AFFETTIVA AI PRINCIPI GENERALI DELL'ORDINAM.
GIURIDICO ITALIANO;
6) la CONOSCENZA SOCIALE DELLA CONVIVENZA, tenendo presente che non è possibile
parlare di "famiglia di fatto" quando la convivenza è sporadica, svincolata, tenuta segreta o fondata
su un matrimonio annullato o svincolato dai doveri matrimoniali.
Circa i rapporti personali e patrimoniali tra i conviventi di fatto, non esistono, come previsto per i
coniugi, i diritti e i doveri reciproci alla coabitazione, fedeltà, assistenza morale e materiale,
collaborazione, contribuzione (art. 143 ss. c.c.); la coppia che non legalizza la propria unione
esercita una libertà che la sottrae (anche sul piano sociale) al complesso di impegni e diritti che
caratterizzano l’unione solennizzata dal matrimonio.
La reciproca assistenza nell’unione di fatto, in quanto attuazione di quei doveri morali e
patrimoniali di solidarietà, posti a fondamento di ogni comunità di tipo familiare, pertanto, non è
oggetto di una obbligazione civile ma di una obbligazione naturale, ai sensi dell’art. 2034 c.c., con
la conseguenza giuridicamente vincolante che, nel caso di interruzione del rapporto, non è ammessa
la ripetizione di indebito salvo eccessiva sproporzione nella contribuzione tale da far pensare che
una parte si sia maggiormente arricchita (le Sentt. Cass. n. 389/1957 e 60/1969 riconoscono
l'irripetibilità delle prestazioni spontanee adempiute da un convivente per contribuire al
soddisfacimento dei bisogni familiari o per risarcire il danno derivante da rottura della convivenza,
poichè la contribuzione nella "coppia di fatto" è un dovere morale e sociale, pertanto considerata
un'obbligazione naturale).
Contrariamente si esprime la giurisprudenza sulla doverosità di mantenere il convivente, quando si
pronuncia sull’assegno di divorzio dovuto dal convivente more uxorio all’ex coniuge: l’assegno di
divorzio viene contenuto entro limiti tali da permettere al divorziato il contemporaneo
mantenimento del convivente.
Così, se il rapporto di fatto s'interrompe per la morte del convivente, per cause naturali, il partner
superstite non può rivendicare alcun diritto di natura successoria, salvo che sia stato istituito erede
testamentario, non risultando incluso tra i chiamati all’eredità ab intestato.
Diversa è però l’ipotesi in cui l’assistenza materiale venga meno per la morte del convivente dovuta
al fatto illecito di un terzo, per cui, in quest'ultimo caso, al convivente superstite deve essere
riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da parte del terzo, venendo meno l'apporto
economico da lui offerto in vita, se si prova che la durata stabile della convivenza e dei rapporti
economici forniti dal de cuius si sarebbero protratti nel tempo (Sent. C. Cost. n. 2988/1994, Sentt.
Cass. n. 2449/1977 e 2988/1994).
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Maggiore complessità ha assunto il problema dei rapporti patrimoniali: nel matrimonio sussiste
la separazione e la comunione dei beni; nulla di tutto ciò esiste per la coppia convivente.
Pertanto qualora uno dei conviventi abbia solo a proprio nome acquistato un bene immobile, il
partner di lui non può, allo scioglimento del rapporto, considerarsi contitolare pro indiviso del bene
stesso; tutt’al più, qualora venga data esauriente prova, in virtù dell'art. 2697 c.c., che in
quell’acquisto è ricompreso il contributo di lavoro domestico e l’assistenza morale e materiale del
coniuge non intestatario del bene, si ritiene suscettibile d'applicazione l'art. 2041 c.c. relativa
all’ingiustificato arricchimento.
Le elargizioni in denaro o diversamente compiute da uno dei conviventi a favore dell'altro sfuggono
alla disciplina regolamentata per la famiglia legittima. Normalmente sono ritenute obbligazioni
naturali, quindi, nel momento in cui vengono compiute, non possono più essere richieste da chi le
ha effettuate. A volte, le elargizioni sono invece considerate donazioni. Anche il tema relativo alle
prestazioni lavorative tra conviventi è stato oggetto di particolare considerazione e la ricorrenza di
un lavoro subordinato in ambito familiare è stata (oggi) ammessa (in passato esclusa per
presunzione di gratuità operante nei rapporti coniugali affectionis) in seguito all’introduzione
dell’art. 230bis c.c., inerente all’impresa familiare.
Ulteriori problemi insorgono con riguardo alla disciplina delle locazioni: se prima, col disposto
dell'art. 6.1, legge 392/1978 si prevedeva che solo il coniuge, gli eredi ed i parenti con lui
abitualmente conviventi possono succedergli nel contratto di locazione, dopo la questione di
legittimità costituzionale sollevata in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., il diritto all’abitazione che va
riconosciuto a tutti coloro che convivono stabilmente con il conduttore. Dopo un lungo cammino, la
Corte Costituzionale (Sent. C. Cost. n. 404/1988) ha riconosciuto al convivente more uxorio il
diritto di succedere nel contratto di locazione non solo in caso di morte del compagno conduttore
dell'immobile, ma anche quando questo si sia allontanato dall'abitazione per cessazione del rapporto
di convivenza, in presenza di prole naturale. Ciò sempre per salvaguardare il diritto inviolabile
all'alloggio e l'interesse primario dei figli.
Parimenti, anche nel caso di separazione volontaria dei conviventi, sia essa consensuale o
unilaterale, l’art. 6.2, legge 392/1978 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in
cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la
convivenza, a favore del già convivente affidatario di figli naturali. E' riconoscimento al convivente,
in presenza di prole naturale, del diritto di godimento sulla casa familiare, subentrando nel
contratto di locazione stipulato dall'altro convivente (Sent. Trib. Milano, 31/05/1989, Sent. C.
Cost. n. 166/1998).
In assenza di prole, peraltro, è apparso incontestabile il diritto del convivente titolare del contratto,
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una volta venuta meno l’unione, di allontanare ad libitum il partner e di ottenere in via possessoria
la liberazione dell’immobile. La dottrina dominante e la giurisprudenza affermano che "non si
dovrebbe risolvere in modo diverso il conflitto nel caso in cui colui che non intende proseguire la
relazione sia proprietario dell’immobile adibito a residenza familiare. Pertanto nessuna possibilità
di tutela è rinvenibile per il convivente che non sia proprietario o conduttore, ne è configurabile
una tutela possessoria, secondo l’orientamento della giurisprudenza che, evidenziando la
situazione di instabilità della relazione parafamiliare, considera il convivente come detentore per
ragioni di ospitalità". La giurisprudenza, ancora, si è anche occupata del caso in cui un soggetto
abbia convissuto more uxorio con un altro nell’abitazione di questi e fino alla sua morte: in tale
ipotesi i giudici hanno ritenuto che il titolo intercorrente tra il convivente non proprietario e il bene
non dovesse essere inteso come un comodato vita natural durante e come tale non recedibile ad
nutum. In caso di famiglia di fatto, nel pensiero della giurisprudenza, il comodato senza previsione
di termine non è perciò esso risolubile, ad nutum, ma si deve ritenere le parti abbiano inteso dar
vita a quella speciale figura del contratto in parola che dottrina e giurisprudenza da tempo
identificano nel cd. comodato vita natural durante. Da intendersi come quella specie di comodato
che, ancorché dell’istituto madre ripeta il carattere costitutivo della gratuità del godimento,
contiene tuttavia una significativa deviazione in ordine alla durata, poiché il termine di esso è
implicitamente correlato alla vita del comodatario, estinguendosi infatti il rapporto, anche laddove
l’indicazione del termine manchi, non già in forza di un atto volontario del comodante, ma solo al
termine della vita del beneficiario. La figura, che potrebbe pur trovare conforto sotto la previsione
dell’art. 1809 c.c., laddove essa prevede che il comodato abbia termine quando in mancanza di
termine il comodatario si sia servito della cosa in conformità al contratto, gode di tutt’altro
riconoscimento, che lo rende meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico, in ragione
delle finalità etico-sociali che ne accompagnano la costituzione, affondando piú esattamente le
radici nei fondamentali doveri di solidarietà che gravano su tutti i consociali e dei quali
specialmente si impone l’osservanza in dipendenza dei vincoli di carattere familiare o piú
generalmente di carattere morale che si creano tra gli individui.
Sul piano della tutela possessoria è discusso se il convivente possa avvalersi di tali rimedi nei
confronti degli eredi che vantino diritti sull’immobile destinato a comune abitazione. Se in passato
la giurisprudenza era propensa a ritenerlo privo di tutela, essendo la sua posizione di detentore non
autonoma assimilabile all’ospite, recentemente ne ha affermato la detenzione qualificata e la
conseguente legittimazione attiva all’azione di reintegrazione.
L’orientamento recente dei giudici di merito è favorevole a riconoscere rilevanza al convivente
more uxorio quale legittimato all’azione possessoria ex art. 1168 c.c.; tuttavia, quando uno dei
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conviventi si sia allontanato dalla casa comune, dove entrambi vivevano con la prole, viene meno la
situazione di compossesso che caratterizzava la precedente situazione di fatto. Il possesso esclusivo
dell’abitazione spetta al convivente rimasto nell’abitazione insieme alla prole, al quale va
riconosciuta perciò la tutela possessoria esperibile anche nei confronti dell’ex convivente.
È, infine, riconosciuto al convivente il diritto ad ottenere l'assegnazione dell'alloggio popolare
qualora egli appartenga al nucleo familiare (Sent. C. Cost. n. 559/1989).
In tema di immobili e convivenza more uxorio, è spinosa la questione del contratto di mutuo
stipulato dai conviventi: esso integra gli estremi dell’adempimento di un obbligazione naturale
oppure è avulso da questa qualificazione per configurarsi invece come un’obbligazione giuridica?
Ci troviamo quindi nel campo della solidarietà passiva in quanto il contratto di mutuo, a fronte di
un unico mutuante (la banca), prevede due mutuatari entrambi obbligati per la medesima
prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e
l’adempimento da parte di uno libera l’altro (art. 1292 c.c.).
L'orientamento prevalente considera impossibile ripetere quanto versanto alla convivente, perchè
riconosce in quella condotta, il rispetto dei doveri assunti tramite l'obbligazione “naturale” di
contribuire economicamente per il soddisfacimento dell'aggregato sociale in questione, escludendo
che tale meccanismo possa configurarsi in un arricchimento ingiustificato, da parte dell'altro
convivente.
I rapporti di convivenza more uxorio, poi, possono produrre effetti e conseguenze patrimoniali,
anche nei confronti dei terzi, nei seguenti casi: 1) SEPARAZIONE O DIVORZIO PREGRESSO DI
UNO DEI CONVIVENTI, per cui si deve considerare la costituzione del nuovo nucleo familiare
per la quantificazione dell'assegno di mantenimento o degli alimenti; 2) ASSICURAZIONE
OBBLIGATORIA, per cui il convivente more uxorio, ad oggi, è escluso dai benefici contrattuali;
3) TUTELA DELLE LAVORATRICI MADRI E SUSSIDI DELLE MADRI DISOCCUPATE, per
cui le agevolazioni previste dalle amministrazioni locali possono essere utilizzate anche dalle
conviventi more uxorio; 4) MATERIA TRIBUTARIA, per cui il convivente more uxorio è
responsabile in solido per il pagamento delle imposte che il compagno deve al fisco.
Una maggiore equiparazione della famiglia di fatto alla famiglia legittima, infine, si è verificata
anche in ambito penale, e precisamente: 1) l'art. 199.3, lett. a), c.p. (obbligo di testimoniare)
prevede la facoltà di astenersi dal testimoniare anche per il convivente more uxorio; 2) l'art. 572
c.p. (maltrattamenti in famiglia) si applica anche al convivente more uxorio; 3) l'art. 680 c.p.
(domanda di grazia) che permette al convivente more uxorio di proporre domanda di grazia.
Non c'è equiparazione invece tra famiglia di fatto e famiglia legittima in ambito di violazione degli
obblighi familiari, poiché in costanza di convivenza more uxorio, tra i compagni non sorgono
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obblighi giuridicamente vincolanti. Tutte le volte che sono stati adottati provvedimenti che hanno
riguardato il fenomeno della convivenza more uxorio, questi sono stati adottati non per tutelare
direttamente la famiglia di fatto, ma per salvaguardare interessi costituzionalmente garantiti.
Una regolamentazione diretta non vi è mai stata, benché innumerevoli siano state le proposte di
legge in tal senso.
Dott. Giulio Perrotta
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