INDICE
1. Introduzione …………………………………………………………...pag. 2
2. Struttura della proteasi dell’HIV ………………………………………..” 3
3. Inibizione della proteasi dell’HIV ………………………………………” 14
3.1. Inibitori competitivi ………………………………………………” 14
3.2. Inibitori irreversibili ………………………………………….…..” 24
3.3. Inibitori della dimerizzazione …………………………………….” 25
3.4. Inibitori con mutazione dominante negativa……………………...” 28
4. Meccanismi di resistenza agli inibitori della proteasi …………………” 30
5. Nuovi inibitori della proteasi ……………………………………………” 32
5.1. Inibitori arilsulfonamidici …………………………………………” 32
5.2. Inibitori della proteasi a struttura sulfamidica ciclica, con catene
laterali che si estendono da P2/P2’ a P1/P1’ ………………………….” 36
5.3. Composti beta-lattamici come inibitori non competitivi apparenti della
proteasi dell’HIV ……………………………………………………...” 38
Bibliografia ………………………………………………………………….” 42
INIBITORI DELLA PROTEASI DELL’HIV
1. Introduzione
Il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) è diventato rapidamente uno
dei più letali virus del mondo. E’ stato stimato che cinque nuove vittime vengono
infettate dal virus dell’HIV ogni minuto.1
L’HIV è l’agente eziologico della sindrome di immunodeficienza acquisita
(AIDS), caratterizzata da manifestazioni cliniche estremamente variabili, tra cui
un grave stato di immunodeficienza, che si accompagna all’insorgenza di
infezioni opportunistiche e tumori, da grave deperimento organico e
manifestazioni degenerative a carico del sistema nervoso centrale. L’HIV infetta
un’ampia gamma di cellule del sistema immunitario, tra cui linfociti T helper
esprimenti CD4, macrofagi e cellule dendritiche.
L’HIV, isolato nel 1983,2 è un retrovirus appartenete alla famiglia dei
lentivirus; sono stati identificati due tipi di HIV strettamente correlati tra loro,
ma diversi per struttura genomica ed antigenicità (HIV-1 ed HIV-2). L’HIV-1 è
di gran lunga la causa più comune di AIDS, ma anche l’HIV-2 è in grado di
provocare tale sindrome.
Una particella infettante di HIV consiste di due eliche identiche di RNA,
contenute all’interno di un nucleo di proteine virali circondato a sua volta da un
guscio (envelope) a doppio strato lipidico, derivante dalla membrana della cellula
ospite, ma contenente anche proteine codificate dal genoma virale.3
L’RNA retrovirale viene poi trascritto, ad opera dell’enzima trascrittasi
inversa in DNA, il quale viene integrato nel genoma dell’ospite ed espresso dalla
cellula infettata, sotto il controllo dei geni virali.4
Il genoma dell’HIV contiene nove geni, con importanti differenze tra HIV1 e HIV-2. Come altri retrovirus entrambi i virus contengono i geni gag, pol e
env.5
La sequenza gag (group-specific antigen) codifica le proteine strutturali
del nucleo virale (core). Le sequenze env codificano le glicoproteine
dell’envelope, gp120 e gp41, indispensabili per l’infezione della cellula
bersaglio. Le sequenze pol codificano tre enzimi retrovirali essenziali: proteasi,
trascrittasi inversa e integrasi 6 (Fig. 1).7
La proteasi è un enzima cruciale per l’HIV: spetta ad essa processare il
precursore poliproteico gag e gag-pol in proteine mature e funzionali. L’attività
proteolitica di questo enzima è essenziale per l’attività del virus: la sua inibizione
blocca la maturazione, la replicazione e l’infettività virale, offrendo la possibilità
di una terapia antivirale.8
Gli inibitori della proteasi dell’HIV, entrati sul mercato a partire del 1995,
si sono dimostrati agenti terapeutici preziosi, in combinazione con inibitori della
trascrittasi inversa nucleotidici e non-nucleotidici (rispettivamente, NRTI e
NNRTI) nel trattamento dell’AIDS. Tale efficace associazione terapeutica è
nota come HAART: Highly Active Antiretroviral Therapy. Purtroppo, spesso il
virus va incontro a mutazioni che portano alla farmaco-resistenza, e ciò spinge
ad intensi sforzi per la ricerca di nuovi composti chimici.9
2. Struttura della proteasi dell’HIV
La proteasi dell’HIV consisite di due catene peptidiche identiche, ognuna
costituita da 99 aminoacidi, formando un omodimero simmetrico. Quest’ultimo
ha un sito attivo cilindrico che possiede una lunghezza di 23 Å e un diametro di
6-8 Å. Attraverso l’interazione con questo sito, un inibitore compete per il
legame con il substrato normale.8
I residui 1-27 e 60-99 in ogni monomero appartengono alla cosiddetta
regione “core”, mentre i residui 28-59 alla regione “flap”. Quest’ultima è una
regione flessibile, e tale caratteristica è fondamentale per l’attività della
proteasi.10
Fig. 1. Struttura e geni del virus dell’immunodeficienza umana (HIV). (A) La figura
presenta un virione di HIV in prossimità della superficie di una cellula. Vi sono raffigurate le
due eliche identiche di RNA (il genoma virale) e alcuni enzimi (trascrittasi inversa, integrasi e
proteasi) contenuti in una struttura tronco-conica costituita da una proteina chiamata p24, a sua
volta circondata da una matrice formata dalla proteina p17; il tutto è racchiuso in una
membrana proteolipidica derivante dalla cellula da cui il virus è originato (envelope), a cui
sono fissate le glicoproteine di superficie codificate dal virus (gp120 e gp41). CD4 e alcuni
recettori per chemochine fungono da recettori di HIV sulla membrana della cellula bersaglio.
(B) I diversi geni che compongono il genoma di HIV sono rappresentati con colori diversi.
Sono elencate anche le principali funzioni attribuite a ciascuno dei geni.
La regione “flap” di ogni monomero si trova al di sopra del sito attivo,
giocando un ruolo importante nel legame al substrato.4
La proteasi retrovirale viene classificata come aspartil-proteasi sulla base
della similitudine della sequenza del sito attivo e dell’analogia strutturale con le
proteasi aspartiche monomeriche precedentemente caratterizzate, come per
esempio, renina e pepsina.11
A differenza degli enzimi di mammifero, dati derivanti da diffrazione di
raggi X dimostrano che la proteasi dell’HIV è un omodimero obbligato. Ogni
monomero contiene un residuo catalitico di aspartato (nel contesto della
sequenza, Asp-25 - Thr-26 – Gly-27), localizzato alla base della tasca in cui si
lega il substrato. L’interfaccia principale del dimero è formata dalle estremità Ne C-terminali (residui 1-4 e 96-99, rispettivamente) di ogni monomero,
intrecciate in modo da formare un foglietto β antiparallelo a quattro filamenti
(Fig. 2).6
E’ stato stimato che il suddetto foglietto β contribuisca per il 75%
all’energia di stabilizzazione del dimero.12
I dimeri interagiscono tra di loro anche nella regione “flap”, composta da
doppi foglietti β antiparalleli a due filamenti. Il meccanismo catalitico della
proteasi dell’HIV dipende dalla presenza di un residuo di acido aspartico
protonato e uno non protonato. Una molecola di acqua tra Asp-25 e Asp-25’
agisce come nucleofilo catalitico.6
Il meccanismo, attraverso il quale una molecola d’acqua tra i gruppi
carbossilici di Asp25 e Asp25’ serve da nucleofilo per l’attacco al legame
peptidico, è descritto nella figura 3.
Al sito attivo contribuiscono numerosi residui, come: Arg8, Leu23,
Asp25-Thr-Gly-Ala-Asp-Asp30, Val32, Ile47-Gly-Gly-Ile50, Phe53, Thr80Pro-Val82 e Ile84. Chiaramente, vi è un’ampia distribuzione di cariche positive e
negative all’interno di questa tasca, come anche di elementi strutturali idrofobici.
Fig. 2. Struttura della proteasi dell’HIV. L’omodimero obbligato è composto da due
monomeri identici di 99 aminoacidi. Ciascun monomero possiede un’aspartato catalitico (Asp25 e Asp-25’) localizzato alla base della tasca di legame per il substrato. L’interfaccia del
dimero è costituita dalle estremità N- e C-terminali di ogni monomero, formando un foglietto
β antiparallelo a quattro filamenti. I monomeri interagiscono tra di loro anche nella regione
“flap” composta dai residui 45-55.
Le triadi catalitiche di ogni monomero …Asp25-Thr26-Gly27… si
trovano nella parte più bassa della cavità, e i gruppi catalitici β-carbossilici di
Asp25 e Asp25’ si trovano in un’orientazione quasi complanare.
Le regioni “flap” nell’apoenzima si trovano in una conformazione aperta,
ma, in seguito al legame con il substrato o ad inibitori, si spostano verso il
ligando (7 Å) (Fig. 4).4
I monomeri diventano più compatti dopo aver legato il substrato, a causa
dello spostamento di molte regioni della molecola verso la parte interna, ossia,
verso il ligando. Il dimero della proteasi, perde la simmetria dopo aver legato il
substrato, e ciò si basa sulla sovrapposizione dei carboni α di ogni monomero
nelle strutture legate e non legate. La presenza del substrato legato, inoltre,
contribuisce alla stabilità del dimero, attraverso interazioni multiple tra i due
monomeri.6
Fig. 3. Descrizione del meccanismo attraverso il quale la proteasi dell’HIV determina il
clivaggio del legame peptidico. I residui catalitici di Asp sono indicati con i numeri 25 e 25’,
per distinguerne la localizzazione in catene monometriche separate. I gruppi carbossilici dei
suddetti residui si trovano in stretta associazione con una molecola di acqua, la quale serve da
nucleofilo, per l’attacco al legame peptidico nel complesso E-S.
Sono state pubblicate numerose strutture cristallografiche dell’apoenzima
e di complessi enzima-inibitore che possono essere visualizzati, accedendo al
sito www.rcsb.org/pdb.13
Attualmente, la Protein Data Bank contiene 192 strutture cristallografiche
riguardanti la proteasi dell’HIV. In figura 5 sono rappresentate le seguenti
strutture: A) 1ODW, che rappresenta la proteasi dell’HIV nativa ad una
risoluzione di 2.10 Å; B) 1HXB, in cui la proteasi è complessata con il
saquinavir (risoluzione 2.30 Å ); C) 1S6G, che identifica il complesso tra il
darunavir, potente inibitore non peptidico e la proteasi retrovirale con le
mutazioni, Q7K, L33I, L63I, C67A e C95A (risoluzione 1.30 Å).
Fig. 4. Rappresentazione con un modello tubolare della struttura tridimensionale di
proteasi dell’HIV complessata con l’inibitore peptidomimetico, PNU-75875 (in giallo). Le
catene laterali dei residui catalitici di Asp in ogni monomero (in rosso) puntano verso il diolo
dell’inibitore (in rosso). Le frecce indicano i segmenti flessibili (flaps) che sono attratti verso
l’inibitore complessato all’enzima.
A
B
C
Fig. 5. Strutture cristallografiche relative a: A) Proteasi nativa; B) Comlesso proteasi –
saquinavir; C) Complesso proteasi mutata - darunavir.
Gli studi sulla proteasi dell’HIV sono stati semplificati grazie alla facile
produzione ricombinante dell’enzima in cellule ospiti batteriche. La proteasi
retrovirale è piccola, può essere facilmente purificata in condizioni di
denaturazione, e si ripiega velocemente in una sostanza cataliticamente attiva.
Probabilmente, la caratteristica più importante della proteasi dell’HIV, è la
sua notevole specificità, e sono stati compiuti numerosi studi per capire quali
elementi di una sequenza peptidica la definiscano come substrato.4
La specificità della proteasi retrovirale per il substrato è stata studiata
attraverso varie tecniche che comprendono strutture cristallografiche della
proteasi dell’HIV con inibitori peptidici, modellistica molecolare e misurazioni
cinetiche.
Le proteasi retrovirali sono altamente specifiche per i propri precursori
poliproteici o per peptidi che contengono i siti di clivaggio. La catalisi è più
efficiente per peptidi di sette residui che si estendono da P4 a P3’ dove il legame
da scindere si trova tra P1 e P1’, nella nomenclatura standard. Sono state
riportate misurazioni cinetiche relative all’idrolisi da parte della proteasi
retrovirale di peptidi con una serie di sostituzioni di singoli aminoacidi. Queste
misure hanno definito gli aminoacidi che formano i migliori substrati ad ogni
posizione da P4 a P3’, in una particolare sequenza peptidica.
Sono state,inoltre, determinate strutture cristallografiche della proteasi
retrovirale da sola o complessata con diversi inibitori. L’analisi di queste
strutture e di modelli molecolari è stata usata per prevedere come i substrati si
legano alla proteasi dell’HIV. Inibitori e, analogamente, substrati peptidici, si
legano in una conformazione estesa, tra gli acidi aspartici catalitici e due “flaps”
flessibili, che si trovano sopra il sito attivo della proteasi. Vi sono legami
idrogeno conservati tra i gruppi NH e C=O degli inibitori peptidici e i residui
della proteasi. In aggiunta, la catena laterale aminoacidica in ogni posizione
dell’inibitore da P4 a P3’ si trova in ulteriori sottositi, da S4 a S3’, formati dai
residui della proteasi. Le interazioni sottosito-substrato dipenderebbero dalla
sequenza aminoacidica del substrato.
Come modelli sono stati costruiti octapeptidi corrispondenti ognuno ai siti
di clivaggio della proteasi retrovirale nei precursori poliproteici (Gag e Gag-Pol)
(Tab. 1).
Nei modelli, i residui della proteasi retrovirale, Arg8, Leu23, Asp25,
Gly27, Ala28, Asp29, Asp30, Lys45, Met46, Ile47, Gly48, Gly49, Ile50, Phe53,
Leu76, Thr80, Pro81, Val82 e Ile84 sono coinvolti in interazioni di van der
Waals con i substrati. Questi residui formano il sito di legame per il substrato.
Molti residui contribuiscono a formare più di un sottosito; alcuni sono coinvolti
solo in interazioni con le più lunghe catene laterali del substrato in particolari
posizioni. Le voluminose catene laterali aromatiche di Tyr o Phe a livello di P1 o
P1’ si trovano tra le catene laterali della proteasi di Pro81 e Val82. La catena
laterale di Phe a livello di P3 si trova tra i residui della proteasi Pro81’ e Phe53.
La conformazione dei residui P4 e P4’ è variabile, dal momento che questi
residui si trovano sulla superficie della proteasi retrovirale (Fig. 6).14
Tab. 1. Sequenze dei siti di clivaggio della poliproteina dell’HIV. Sono mostrati gli otto
residui centrali dei siti di clivaggio della proteasi retrovirale nei precursori poliproteici Gag e
Gag-Pol. Il clivaggio avviene in corrispondenza di “x” tra le posizioni del substrato P1 e P1’,
nella nomenclatura standard.
Fig. 6. Interazioni tra la proteasi dell’HIV e catene laterali di aminoacidi contenuti in
substrati peptidici che rappresentano i siti di clivaggio della poliproteina retrovirale.
Interazioni ioniche e legami idrogeno sono indicati da linee tratteggiate.
a) il sito di clivaggio del peptide MA-CA forma legami idrogeno tra Ser in P4 e l’ossigeno
carbonilico di Met46, tra Asn in P2 e l’ossigeno carbonilico di Asp30 e tra Gln in P4’ e la
catena laterale di Lys 45’;
b) il sito di clivaggio del peptide CA-X forma legami idrogeno tra Arg in P3 e l’ossigeno
carbonilico di Pro81’ e tra Glu in P2’ e le ammidi di Asp29’ e Asp30’;
c) il sito di clivaggio del peptide X-NC forma legami idrogeno tra Thr in P3 e la catena
laterale di Arg8’, tra Gln in P2’ e l’ossigeno carbonilico di Asp30’ e tra Arg in P3’ e
l’ossigeno carbonilico di Pro81;
d) il sito di clivaggio del peptide NC-P6a forma legami idrogeno tra Gln in P3 e l’ammide di
Gly49 e tra Gln in P2’ e l’ossigeno carbonilico di Asp30’;
e) il sito di clivaggio del peptide TF-PR forma legami idrogeno tra Ser in P4 e
l’ossigeno carbonilico di Met46, tra Asn in P2 e le ammidi di Asp29 e Asp30, tra
Gln in P2’ e l’ossigeno carbonilico di Asp30’ e tra Thr in P4’ e le catene laterali di Asp30’ e
Lys45’;
f) il sito di clivaggio del peptide PR-RT forma un legame idrogeno tra Thr in P4 e la catena
laterale di Asp30;
g) il sito di clivaggio del peptide RT-IN forma un legame idrogeno tra Lys in P3 e l’ossigeno
carbonilico di Pro81’ e un’interazione ionica tra Asp in P3’ e Arg8.
In uno studio di substrati proteici non virali della proteasi retrovirale, è
stata documentata un’ampia varietà di preferenze per il clivaggio, che sembrava
renderne difficoltosa la classificazione. Si possono, tuttavia, considerare delle
generalità:
• i substrati devono avere una lunghezza tale da contenere almeno 7 residui,
generalmente 8;
• vi sono 8 sottositi nell’enzima, e substrati ottimali sono coinvolti in
interazioni con un’estesa serie di sottositi sulla superficie dell’enzima;
• la proteasi idrolizza legami peptidici di substrati contenenti una prolina a
livello di P1’;
• non vi è alcun residuo di lisina da P2 a P2’;
• non vi è alcun aminoacido β-ramificato a livello di P1.4
I suddetti sottositi vanno da S3 ad S4’, per substrati peptidici che si
estendono da P3 a P4’. E’ stato osservato che gli inibitori utilizzati attualmente si
legano ai sottositi S2-S2’.15
3. Inibizione della proteasi dell’HIV
Negli ultimi anni sono stati sintetizzati numerosi inibitori della proteasi
dell’HIV. Tutti i composti clinicamente in uso sono inibitori competitivi, che
mimano la presenza del substrato nel sito attivo del dimero proteasico. Approcci
alternativi includono molecole che modificano in modo covalente il sito attivo
(aspartato) o che hanno come bersaglio la regione dell’interfaccia del dimero.
Infine, sono stati studiati monomeri difettosi che formano dimeri inattivi.6
3.1. Inibitori competitivi
La fig. 7 illustra come la proteasi dell’HIV riconosca
come substrato il legame peptidico tra tirosina o fenilalanina e prolina. Tale
osservazione ha portato a progettare la sintesi di vari analoghi oligopeptidici, che
mimano il substrato naturale della HIV proteasi e, sostituendosi ad esso,
bloccano l’azione catalitica della proteasi. Tale blocco comporta una limitazione
della crescita del virus nelle colture di cellule infettate dall’HIV. Le particelle
virali immature e non infettive, formatesi a seguito dell’inibizione della proteasi,
agiscono da antigeni, capaci di stimolare il sistema immunitario, e di
conseguenza l’infezione subisce un arresto.
A differenza del substrato naturale, che contiene il gruppo CONH
facilmente scindibile tra tirosina (fenilalanina) e prolina, gli analoghi
oligopeptidici, progettati come inibitori della HIV proteasi, contengono un
legame non idrolizzabile tra Tir (Fen) e Pro, come ad esempio un ponte
idrossietilaminico (Fig. 7).
Sulla base dell’ipotesi che la HIV proteasi fosse una proteasi aspartica
(capace quindi di idrolizzare il legame peptidico tra un aminoacido aromatico e
la prolina), vennero preparati vari composti, la cui struttura mimava la sequenza
del tripeptide asparagina-fenilalanina-prolina (Fig. 8).
I composti sintetizzati, anche se in maniera modesta, mostrarono una certa
attività, e costituirono una buona premessa per le successive ricerche, che
puntarono a modificare le parti terminali della molecola. I nuovi composti
risultarono via via sempre più attivi, e culminarono nella sintesi di Ro 31-8959
(saquinavir), un potente inibitore della proteasi dell’HIV (Fig. 8).16
I primi inibitori delle proteasi possedevano analogia strutturale alla
sequenza peptidica del substrato della proteasi, e recavano la struttura parziale
della statina >N-CH(R)-CH(OH)-CH2-N<, invece del legame idrolizzabile
amidico.
La seconda generazione di inibitori è costituita da veri e propri
peptidomimetici, con meno legami amidici. E’, tuttavia, ancora possibile rilevare
somiglianze strutturali nei confronti dei modelli peptidici dai quali sono ricavati.
Inoltre, tutti contengono elementi della struttura parziale della statina.
Nella figura 9 è possibile notare la somiglianza strutturale tra il substrato
naturale della proteasi e il saquinavir.17
Saquinavir (Hoffman-LaRoche: Invirase ®), è stato il primo inibitore
competitivo della proteasi dell’HIV ad essere utilizzato in clinica.6
Fig. 7. Punto di attacco della proteasi e inibitore non aggredibile.
La sperimentazione clinica di questo composto è iniziata nel 1991, mentre
lo si trova sul mercato dal dicembre del 1995.4
Si tratta di un inibitore peptido-mimetico;6 esso deriva dalla sostituzione della
prolina in posizione P1’ con il gruppo (S,S,S)-decaidro-isochinolina-3carbonilico. L’inibitore ha dimostrato un’altissima affinità di legame verso la
proteasi dell’HIV-1 (Ki =0.12 nM) e dell’HIV-2 (Ki < 1 nM). Inoltre, è altamente
Fig. 8. Composti la cui struttura chimica mima la sequenza del tripeptide asparaginafenilalanina-prolina.
selettivo nei confronti di questi due enzimi, con un’inibizione più bassa del 50%
delle proteasi aspartiche umane (renina, pepsina, catepsina D e Catepsina E, ecc.)
ad una concentrazione di 10 µM.4
La bassa biodisponibilità del saquinavir (~ 4% per un dosaggio di 600
mg) rende problematica la distribuzione della concentrazione effettiva del
farmaco. Come altri inibitori, saquinavir non passa la barriera ematoencefalica.
Lasciata incontrollata, la replicazione dell’HIV nel sistema nervoso centrale può
condurre a demenza.6
Ritonavir (Abbot: Norvir ®) è stato il secondo inibitore della proteasi ad
essere approvato negli Stati Uniti (febbraio1996)4 (Fig. 10).6
Fig. 9. Substrato naturale della proteasi dell’HIV e struttura chimica del saquinavir.
Il ritonavir è stato proposto anche come inibitore della calpaina.
Quest’ultima è una cistein-proteasi intracellulare Ca++-dipendente, coinvolta
nelle lesioni tessutali dovute a stress post-ischemico o post-traumatico.
La proteasi dell’HIV e la calpaina possiedono una struttura secondaria
simile, in cui il sito attivo si trova a fianco di una regione idrofobica. Per
entrambi gli enzimi la potenza degli inibitori aumenta in presenza di gruppi
idrofobici vicino a legami pseudo-peptidici non idrolizzabili.
Fig. 10. Alcuni inibitori della proteasi dell’HIV approvati dal FDA.
In uno studio è stato dimostrato che il ritonavir (inibitore della proteasi
retrovirale idrofobico) inibisce l’attività della calpaina. Queste osservazioni
suggeriscono che il ritonavir e analoghi possano essere esaminati come agenti
citoprotettivi nelle condizioni in cui la morte cellulare o la lesione sia mediata
dall’attivazione della calpaina.18
Indinavir (Merck: Crixivan ®) è stato il terzo inibitore della proteasi
dell’HIV approvato dal FDA (marzo 1996);4 inoltre, è stato il primo analogo
peptidomimetico del complesso attivato per la terapia dell’HIV.
Il successivo inibitore della proteasi è stato nelfinavir (Agouron
pharmaceuticals: Viracept ®). Non si tratta di un composto peptidomimetico, in
quanto non possiede un legame peptidico sostituito destinato a mimare il legame
peptidico della poliproteina substrato. Nelfinavir ha dimostrato un’azione
sinergica sulla replicazione dell’HIV, se usato in combinazione con inibitori
peptidomimetici, ed è il primo composto ad attraversare la barriera ematoencefalica con ragionevole efficienza.6
Nelfinavir è un farmaco la cui progettazione è stata basata sulla struttura
tridimensionale della proteasi dell’HIV e la modellazione al computer, allo scopo
di massimizzare l’interazione tra il sito attivo dell’enzima e l’inibitore. E’ stato
approvato dal FDA nel 1997.4
Ad opera dei Laboratori Vertex/Glaxo-Wellcome è stato sintetizzato
amprenavir (Agenerase ®) un inibitore sulfonamidico non peptidomimetico,
che può essere efficace contro virus resistenti agli altri inibitori della proteasi.6
Anche questo inibitore è stato progettato utilizzando la cristallografia e il
computer, allo scopo di massimizzare le interazioni tra inibitore e sito attivo
dell’enzima. Amprenavir è stato approvato dal FDA nel 1999, per l’uso negli
adulti ed in età pediatrica.4
A giugno del 2003 l’FDA ha approvato l’inibitore della
proteasi
atazanavir (Reyataz ) (Fig. 11), che si distingue per il fatto di richiedere
un’unica assunzione al giorno. Uno dei problemi più significativi, legati all’uso
degli inibitori della proteasi retrovirale, è rappresentato dall’alterazione del
metabolismo dei lipidi (aumento dei livelli di colesterolo nel sangue,
lipodistrofia) e, l’atazanavir ha dimostrato di non modificare la concentrazione di
lipidi nel plasma.2
Nell’ottobre
del
2003
l’FDA
ha
approvato
il
fosamprenavir
(GlaxoSmithKline: Lexiva ) (fig. 12). Si tratta di un pro-farmaco dell’inibitore
amprenavir; viene infatti, metabolizzato nell’organismo umano, con il rilascio di
amprenavir, che possiede così una maggiore durata d’azione. Infatti,
fosamprenavir rappresenta la versione a lento rilascio dell’amprenavir, e ciò
riduce il numero di assunzioni al giorno.
A giugno del 2006 è stato approvato dall’FDA il darunavir o UIC-94017
(Prezista) ; si tratta di un composto non peptido-mimetico chimicamente
Fig. 11. struttura chimica del composto atazanavir.
correlato all’ amprenavir (Fig. 13). Darunavir è un inibitore ad ampio spettro con
minima citotossicità.
E’ utile confrontare le interazioni del composto darunavir con quelle
dell’amprenavir. La struttura cristallografica della proteasi w/t con l’amprenavir,
è stata determinata ad una risoluzione di 1.9 Å (PDB: 1HPV). Amprenavir forma
meno legami idrogeno con i residui della proteasi Asp29 e Asp30 (Fig. 14). Solo
il gruppo amminico dell ’ amprenavir forma un legame idrogeno con
l’ossigeno carbossilico di Asp30, mentre le interazioni con le ammidi di Asp29 e
Asp30 hanno una lunghezza di 3.5 Å. Amprenavir e darunavir possiedono gruppi
idrofobici simili, con l’eccezione del gruppo bis-tetraidrofuraniluretano (bisTHF), pertanto, la maggior parte delle interazioni idrofobiche con la proteasi
sono simili per entrambi gli inibitori. Il gruppo bis-THF del darunavir introduce
un legame piuttosto corto (2.9-3.0 Å) di van der Waals con l’ossigeno
carbonilico della catena principale di Gly48, e tale contatto non si verifica con
l’amprenavir. Il legame stretto che si forma tra il gruppo bis-THF e gli atomi
della catena principale di Asp29 e Asp30 sembra essere importante per la
Fig. 12. Struttura chimica del fosamprenavir.
Fig. 13. Struttura chimica del darunavir.
Fig. 14. Legami idrogeno tra proteasi e darunavir. (a) La figura mette in evidenza i residui
della proteasi che formano legami idrogeno con il darunavir. La sfera rossa indica una
molecola d’acqua. I legami idrogeno sono indicati con linee tratteggiate. Le interazioni tra
l’OH del darunavir e gli atomi di ossigeno carbossilici dei residui catalitici Asp25 e Asp25’
non sono indicate. (b) Differenze principali nelle interazioni tra proteasi e darunavir e tra
proteasi ed amprenavir. Gli atomi e le interazioni nella struttura proteasi-darunavir sono
indicate in fucsia, mentre quelli nella struttura proteasi-amprenavir in verde.
potenza del darunavir contro HIV multi-resistenti. Queste interazioni sono
mantenute nei complessi con PRV82A e PRI84V, nonostante PRV82A avesse
un’interazione più debole con l’ossigeno carbonilico di Asp30. La PRI84V mostra
minori interazioni di van der Waals del residuo 84 con il darunavir, con
conseguente ridotta capacità inibitoria. Al contrario, nella PRV82A si verificano
dei riarrangiamenti degli atomi della catena principale intorno ai residui 82 e 82’,
che permettono un’interazione più stretta tra Ala82 e Ala82’ e darunavir, e ciò
compensa, parzialmente, il minor numero di atomi nella catena principale di Ala
rispetto a Val.15
Nelle figure 15 e 16 sono riportate le strutture chimiche di altri due
inibitori della proteasi retrovirale di utilizzo clinico, rispettivamente: lopinavir15
e tipranavir, mentre la figura 17 illustra un’analisi cristallografica ai raggi X dei
siti attivi nella proteasi complessata con il tipranavir.4
3.2. Inibitori irreversibili
Dopo l’iniziale successo clinico degli inibitori competitivi della proteasi
retrovirale, la ricerca si è indirizzata verso lo sviluppo di inibitori irreversibili.
Questi composti rappresentano un’interessante alternativa agli inibitori
competitivi in quanto determinano un’inattivazione permanente dell’enzima in
una cellula infettata. Tale caratteristica si traduce in una diminuita dipendenza da
alte concentrazioni di inibitori nei tessuti, ed evita il problema della bassa
Fig. 15. Struttura chimica del lopinavir.
Fig. 16. Struttura chimica del tipranavir.
biodisponibilità. Pare anche che si abbia una minore suscettibilità di avere
mutazioni che portano a resistenza.
L’inibitore epossidico, EPNP [1,2-epossi-3(4-nitrofenossi)propano] (Fig.
18) ha dimostrato la capacità di esterificare uno o entrambi i residui catalitici di
aspartato della pepsina, prototipo di aspartil-proteasi. La capacità di EPNP di
formare un addotto covalente con la proteasi dell’HIV, in modo tempodipendente, è stata tra le prime dimostrazioni che la proteasi retrovirale
appartenesse alla famiglia delle aspartil-proteasi.
3.3. Inibitori della dimerizzazione
Un metodo alternativo per colpire il sito attivo della proteasi dell’HIV è
quello di impedire la formazione del sito attivo, prevenendo la dimerizzazione
dei monomeri della proteasi.6
Fig. 17. Analisi cristallografica a raggi X dei siti attivi nella proteasi dell’HIV
complessata con il tipranavir.
Fig. 18. Struttura chimica dell’EPNP.
La dimerizzazione dei monomeri della proteasi retrovirale rappresenta,
infatti, un prerequisito fondamentale per l’attività proteolitica dell’HIV e la
conseguente generazione di particelle virali infettive. “Disturbando” la
dimerizzazione dell’enzima, se ne può inibire l’attività.10
Molti studi hanno descritto l’inibizione dell’attività della proteasi
retrovirale attraverso peptidi sintetici, corrispondenti all’estremità N- e/o Cterminale del monomero dell’enzima.
Nel primo studio, come prova del meccanismo di inibizione, è stato
dimostrato
che
il
tetrapeptide
Ac-Thr-96-Leu-97-Asn-98-Phe-99-COOH
(corrispondente ai quattro residui C-terminali dell’enzima) ha evidenziato un Ki
di 45 µM.
Interessanti si sono rivelati peptidi sintetici corrispondenti agli N- e Cterminali, separati da un ponte rappresentato da tre residui di glicina (Fig. 19),
con un valore di IC50 di ∼ 40 µM.6
Altri studi si sono basati su peptidi con legami trasversali, derivati
dall’interfaccia della proteasi. Da quando è stato sintetizzato l’inibitore della
dimerizzazione 1 (Fig. 20), sono stati compiuti numerosi sforzi, nel tentativo di
migliorare questa classe di composti.
Lo sviluppo di inibitori a peso molecolare più basso (3: troncatura di 1),
ha portato ad una perdita di potenza contro la proteasi retrovirale e soprattutto ad
un cambiamento nel meccanismo d’azione, passando dall’inibizione della
dimerizzazione ad un’inibizione competitiva (Fig. 20a).
Allo scopo di semplificare la sintesi degli inibitori della proteasi
retrovirale, è stata sviluppata una nuova catena, acido 12-aminododecanoico, che
ha permesso di modificare la direzionalità del peptide inferiore da N→C a C→N,
in cui l’ammina terminale può essere usata per incorporare vari gruppi funzionali
(Fig. 20b).
Sono state effettuate quattro modificazioni (agenti 4-7) per determinare quali
gruppi funzionali fossero importanti in posizione A (Fig. 20b).
Fig. 19. Peptidi sintetici corrispondenti alle estremità N- e C-terminali, separati da un
ponte rappresentato da tre residui di glicina.
Paragonando i composti 3 e 4, è stata osservata una notevole riduzione
della potenza inibitoria, invertendo la direzionalità del peptide inferiore. Ciò
potrebbe essere attribuito ad una serie di fattori, come la deviazione della
lunghezza ottimale della catena, la perdita del gruppo acido terminale e il
disturbo della rete di legami idrogeno tra i composti e la proteasi. Modifiche
apportate in posizione A hanno cambiato significativamente l’attività inibitoria.
La modificazione del gruppo amminico terminale (4) con un gruppo acetilico (5)
ha portato a perdita di potenza. Il recupero del gruppo acido terminale nel
composto 6 ha portato ad un lieve aumento dell’attività inibitoria. Incorporando
l’acido maleico in posizione A (7) si assiste ad un notevole incremento nella
potenza inibitoria, e il meccanismo d’azione è basato sulla formazione di legami
idrogeno tra l’acido maleico e la catena laterale di His69.19
3.4. Inibitori con mutazione dominante negativa
Un metodo addizionale per l’inibizione della proteasi retrovirale è basato
su inibitori macromolecolari che possiedono mutazioni dominanti negative,
fungendo da monomeri difettosi (Fig. 21).
L’efficacia di tali inibitori è stata inizialmente dimostrata in colture di
cellule di mammifero. I primi inibitori contenevano sostituzioni di un solo
aminoacido: il secondo residuo di aspartato del sito attivo (Asp 25 → Asn o
D25N). Tale sostituzione si è tradotta in una diminuita produzione di particelle
mature.
Fig. 20. (a) Risultato della troncatura di inibitori della dimerizzazione. (b) Strategia
basata sull’utilizzo di una nuova catena (12-Ado) e modificazione a livello della posizione
A.
Successivamente si è cercato di aumentare la potenza dei monomeri difettosi
attraverso la sostituzione di tre aminoacidi.6
Tra questi mutanti, quello che ha dimostrato un effetto più significativo è
quello con la triplice mutazione Asp25Lys/Gliy49Trp/Ile50Trp (25K49W50W).
La mutazione Asp25Lys ha causato, nella proteasi retrovirale, la perdita
dell’attività proteolitica. Gly49 e Ile50 si trovano nella regione “flap”. Entrambi
sono stati mutati in residui di Trp. Il Trp ha una catena laterale più voluminosa
rispetto a Gly o Ile. Lo scopo è quello di rafforzare la formazione di un dimero
tra monomeri “wild-type” e mutanti, impedendo, però, la dimerizzazione
attraverso i monomeri mutanti. E’ noto, inoltre, che la flessibilità della regione
“flap” è essenziale per l’attività della proteasi. La presenza di due residui di Trp
nella regione “flap” potrebbero diminuire la flessibilità, con conseguente ridotta
attività.10
E’ stato osservato che i residui di triptofano impediscono l’accesso dei
substrati naturali della proteasi al sito attivo.6
L’eterodimero, formato dal monomero con la suddetta mutazione e il
monomero “wild-type”, ha dimostrato sperimentalmente di avere una più alta
stabilità termica rispetto al dimero “wild-type”. L’omodimero, risultante dalla
triplice mutazione, è il dimero con minore stabilità.10
Fig. 21. Omodimero attivo formato da due monomeri w/t (a sinistra) ed eterodimero
formato da un monomero w/t e uno mutato (a destra).
4. Meccanismi di resistenza agli inibitori della proteasi
L’HIV sviluppa resistenza verso gli inibitori della proteasi attraverso la
mutazione di residui nella proteasi stessa. Mutazioni che hanno portato ad una
ridotta sensibilità agli inibitori della proteasi testati comprendono: V82A, I84V,
I84V/V82F, V82I, M46L, M46F, V32I, R8Q, G48V/L90M, M46I/I47V/I50V e
M46I, R8Q e R8K, L10R, M46I, L63P e V82T.
L’argomento relativo a queste mutazioni può essere discusso nel rispetto
dei modelli inerenti al legame substrato-enzima (Tab. 1). Arg8 contribuisce a
formare il sottosito S3 ed S3’. Nel substrato RT-IN, l’Asp al P3’ formava
un’interazione ionica con Arg8 della proteasi (Fig. 6G). Il mutante R8K forma
interazioni ioniche simili a quelle dell’Arg8 wild-type. Il mutante R8Q non può
formare interazioni ioniche, ma è in grado di formare legami idrogeno con i
substrati. Interazioni alterate con i substrati naturali spiegano la ridotta crescita
virale osservata con il mutante R8Q.
Sono strate osservate numerose mutazioni responsabili della resistenza a
livello di Met46, tra cui: M46I, M46L ed M46F, tuttavia, si tratta di sostituzioni
relativamente conservative di altri residui idrofobici. In modelli di proteasi
retrovirale con i suoi naturali siti di clivaggio, l’ossigeno carbonilico di Met46
forma legami idrogeno con il gruppo ossidrilico della catena laterale della Ser al
P4 nei siti di clivaggio di MA-CA e TF-PR (Fig. 6). Questi legami idrogeno non
Tab. 2. Legami idrogeno tra proteasi retrovirale-substrato/inibitore.
vengono alterati in seguito a mutazione di Met46 con altri aminoacidi idrofobici,
per cui, non si prevede che le mutazioni osservate a livello di Met46 possano
avere effetti significativi sulla crescita virale.
L’ammide e l’ossigeno carbonilico di Gly48 formano legami idrogeno con
gli atomi della catena principale di substrati o inibitori (Tab. 2), ed è stata trovata
una mutazione G48V, con cui ci si aspetta di avere legami idrogeno simili a
quelli della proteasi wild-type, considerando le simili cinetiche di crescita.
Si è osservato che la mutazione I50V ha portato ad una riduzione della
sensibilità agli inibitori sulfonamidici della proteasi; Ile50 rappresenta un
importante contatto nei sottositi S2-S2’.
Sono state riscontrate numerose mutazioni di Val82 in ceppi resistenti agli
inibitori: V82A, V82T, V82I e V82F. Val82 contribuisce ai sottositi S3, S1, S1’
ed S3’. Mutazioni a livello di Val82 alterano la dimensione del residuo che può
essere localizzato a livello di P1 o P1’.
Ile84 contribuisce a formare i sottositi S2, S1, S1’ ed S2’. La mutazione
I84V altera tutti i siti di clivaggio naturali, rendendo i sottositi S1 ed S1’ più
grandi; si è osservato, infatti, che tale mutazione risulta in una minore
infettività.14
5. Nuovi inibitori della proteasi
Di fronte all’insorgenza di ceppi di HIV diventati resistenti agli inibitori
della proteasi retrovirale attualmente in uso, la ricerca si è impegnata a scoprire
nuovi composti che fossero attivi anche su ceppi virali mutati.
5.1. Inibitori arilsulfonamidici
E’ stata descritta una
nuova
serie
di
inibitori
della proteasi
arilsulfonammidici molto potenti contro il virus wild-type, nonché su due virus
farmaco-resistenti. Il composto 1 è stato ottenuto dalla modificazione delle
catene laterali in P2, P1’ e P2’ dell’amprenavir (Fig. 22).
Un elemento chiave nella strategia di questo studio, è rappresentato dalla
possibilità di migliorare la potenza dell’enzima attraverso l’introduzione di
interazioni addizionali tra l’enzima stesso e l’inibitore, aggiungendo nella catena
laterale in P1’ un gruppo amminoalchilico “capped”. Lo scopo è quello di creare
un legame idrogeno tra gruppi acilamminici in P1’ e la catena laterale
guanidinica dell’Arg8 nella proteasi. Dai dati della SAR appare evidente la
dipendenza dell’enzima e dell’attività antivirale dalla natura del gruppo aminico
e la lunghezza della catena.
Allo scopo di apportare un ulteriore miglioramento a livello dello scheletro
arilsulfonammidico, il gruppo alchilamminico è stato spostato, dalla catena
isobutilica in P1’, su un atomo di ossigeno, localizzato in posizione para del
fenile in P1 (Fig. 23). Sono così consentite interazioni tra le ramificazioni della
catena laterale in P1 analoghe a quelle che si dimostrano efficaci nelle
ramificazioni della catena in P1’.
La tabella 3 mostra i dati relativi all’attività antivirale in vitro di 18 nuovi
composti, con estensione della catena laterale in P1. Inoltre, sono riportati i dati
relativi al composto 1 e di cinque inibitori in uso. Sono stati calcolati i valori di
Fig. 22. Composto arilsulfonamidico ottenuto dalla modificazione della catena laterale a
livello di P2, P1’ e P2’ nella struttura dell’amprenavir.
IC50 per l’HIV wild-type (HXB2) e per due virus multiresistenti agli inibitori
delle proteasi (EP13 e D545701).
Appare evidente, come nei composti amminici primari 10a-c aumenti
l’attività antivirale nei confronti del virus wilde-type e dei mutanti, allungando la
catena da n=1 a n=3. La nuova interazione con la catena laterale è, infatti, più
forte
per
il
composto
con
n=3. Tuttavia, in assenza
di attività
inibitoria sull’enzima o dati cristallografici ai raggi X che supportino una nuova
interazione, la forza di questa supposizione è limitata.
Gli acetil-derivati 11a-c sono in linea generale più potenti degli analoghi,
ammine primarie, e dimostrano un notevole profilo di resistenza inversa, riferito
Fig. 23. Spostamento del gruppo alchilaminico dalla catena isobutilica in P1’ su un
atomo di ossigeno localizzato in posizione para del fenile in P1.
spesso come “ipersuscettibilità”.
I metilcarbammati 12a-c comprendono la classe di molecole più potente
nei confronti di tutti e tre i ceppi virali testati. Ciò non sembra essere dovuto alla
lunghezza della catena in P1 e, quindi, ad interazioni specifiche, ma piuttosto a
parametri chimico-fisici; probabilmente, il gruppo metil-carbammato impartisce
proprietà di polarità favorevoli ad un’aumentata penetrazione cellulare.
Il confronto tra i derivati monometil-ureici 13a-c e quelli dimetil-ureici
14a-c è interessante, in quanto i primi composti mostrano una consistente
dipendenza dell’attività dalla lunghezza della catena; ciò non si verifica con i
Tab. 3. Dati relativi all’attività antivirale per arilsulfonamidi con catena in P1 estesa.
secondi che, peraltro, risultano più potenti. I composti metansulfonilici 15a-c
mostrano un’attività dipendente dalla lunghezza della catena verso il virus wildtype.
La tabella 4 riassume i parametri farmacocinetici in vivo dei
metilcarbammati 12a e 12b. Entrambi possiedono scarsa biodisponibilità orale in
Tab. 4. Parametri farmacocinetica in vivo per i composti 12a e 12b.
ratto e cane. Tuttavia, in co-somministrazione con ritonavir, potente inibitore
del citocromo P450, il composto 12a subisce un incremento della
biodisponibilità orale dallo 0% al 33%.
In conclusione, tale studio ha messo in evidenza che i composti 12a-c sono
i più potenti, anche nei confronti delle forme virali mutate, responsabili della
farmaco-resistenza.20
5.2. Inibitori della proteasi dell’HIV a struttura sulfamidica ciclica, con catene
laterali che si estendono da P2/P2’ a P1/P1’
Sono state esaminate strutture cristallografiche di inibitori sulfamidici
ciclici complessati con la proteasi dell’HIV, ed è emerso che è possibile
allungare le catene laterali P1/P1’ in modo tale da estendersi tra i siti di legame
S1/S1’ e S2/S2’. Attraverso modelli molecolari si è ipotizzato che tale obiettivo
potesse essere raggiunto attraverso opportune orto-sostituzioni a livello dei
gruppi benzilici P2/P2’.
In figura 24 sono riportati composti con la generica struttura 3, che
esibiscono un’attività da bassa a moderata.
I composti 9-13 (Tab. 5) sono stati sottoposti ad un’analisi
conformazionale a livello del sito attivo della proteasi retrovirale.
Fig. 24. Struttura di un inibitore ureico ciclico (1) con legame simmetrico alla proteasi
dell’HIV ed inibitore sulfamidico ciclico (2) con legame non simmetrico. Generica
struttura 3 e il proposto legame non simmetrico alla proteasi.
La disposizione dei vari composti è illustrata in figura 25, in cui la
struttura 2 (giallo) è utilizzata come termine di paragone. Il composto non
sostituito 9 (grigio), il 10 (verde), l’11 (azzurro) e il 12 (arancione) evidenziano
una modalità di legame simile a quella osservata con il composto 2, anche se
solo le strutture 10 e 11 toccano l’angolo di S3. Il composto 13 (rosso) sembra
preferire una modalità di legame differente. Il primo sostituente benzilico si
posiziona tra S1’ e S2’, mentre il secondo, dalla parte opposta, si sistema nei siti
di legame tra S2 e S3. I composti 13 e 9 sembrano occupare solo due dei quattro
possibili siti di legame, e ciò si traduce in una scarsa attività; pertanto questi due
composti sono stati inclusi come controlli negativi. I composti 10-12 hanno
Tab. 5. Attività inibitoria di analoghi biarilici.
dimostrato una buona potenza inibitoria, ma sfortunatamente non hanno
raggiunto la potenza della sostanza guida 2.9
5.3. Composti beta-lattamici come inibitori non competitivi apparenti della
proteasi dell’HIV
Composti beta-lattamici si sono dimostrati promettenti come inibitori di
varie proteasi. Si è visto che oligopeptidi cefalosporinici sono in grado di inibire
la proteasi dell’HIV-1.
Sono stati esaminati vari peptidi beta-lattamici per valutarne la capacità di inibire
l’enzima (Fig. 26). Molti dei composti studiati hanno evidenziato un’inibizione
superiore del 60% (tabella 6). L’inibizione si è dimostrata di tipo non
competitivo come illustrato in figura 27. Considerando il meccanismo d’azione
della proteasi dell’HIV, che comprende la chiusura della regione “flap” da parte
Fig. 25. Analisi conformazionale relativa ai composti 9 (grigio), 10 (verde), 11 (azzurro),
12 (arancione) e 13 (rosso). La struttura cristallografica 2 è inclusa come termine di
paragone.
Fig. 26. Descrizione schematica dei peptidi β-lattamici utilizzati in questo studio. Sono
stati combinati 7 β-aminoacidi (7-13), sei isocianuri (a-f) e tre aldeidi (I-III).
dei substrati, si è previsto che l’inibitore potesse interagire con la regione “flap”
chiusa
dal
complesso
enzima-substrato ,
come
schematicamente
rappresentato in figura 28A, mentre in figura 28B è evidenziato il modello
molecolare di questa interazione. E’ stata dimostrata la formazione di due legami
idrogeno che rimangono stabili tra le regioni “flap” dell’enzima e del composto
beta-lattamico: uno si forma con l’ossigeno carbonilico di Gly51, mentre l’altro
è diretto verso l’atomo di azoto di Phe53’. Entrambi i monomeri risultano
coinvolti in queste interazioni, che si possono formare solo quando le regioni
Tab. 6. Inibizione della proteasi dell’HIV ad opera di composti β -lattamici.
“flap” sono chiuse verso il substrato. Le interazioni potrebbero essere rafforzate
da interazioni di Van der Waals tra anelli aromatici del composto beta-lattamico
e Phe53’, Pro79 e Pro81 da un lato dell’enzima e con Phe53, Pro79’ e pro81’
dall’altra metà dell’enzima.
Da questi studi è emersa la possibilità di avere composti “guida” per una
nuova classe di inibitori che potrebbero essere utilizzati in combinazione con
inibitori attivi sul sito attivo già in uso.21
Fig. 27. Inibizione non competitiva osservata con il composto I/11a (g: in presenza di 80
µM di inibitore; n: senza inibitore).
Fig. 28. A) meccanismo d’azione proposto per i composti β -lattamici. B) Modello
molecolare dell’interazione ligando-flap.
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Inibitori della proteasi dell`HIV