Il Canto della Vita
Lettura del Cantico dei Cantici
di
Alex Faggian
1
Prologo
Il Canto d’amore di Dodì e Rahjatì
Il Cantico dei Cantici è un componimento poetico che racconta dell’amore
passionale ed esclusivo di due amanti: Dodì e Rahjatì.
Dodì significa letteralmente “amore mio”, ma anche “preferito”, “prediletto”,
guardando alla figura del figlio minore, di solito il più amato e coccolato in una
famiglia. Così la donna chiama dolcemente il suo amante, perché lui è tutta la
sua vita e lei lo ama di un amore tenerissimo, quale è quello che si dona a un
bimbo indifeso. Lui le risponde con Rahjatì, “mia amata”, nome che ha anche il
significato di “mia compagna”, “mia amica” e che mette in evidenza la
grandezza dell’amore che l’uomo riceve dalla sua donna, poiché lei lo completa
e lo soddisfa più di ogni altro bene al mondo 1.
Nello sviluppo dell’opera questi appellativi divengono quasi i nomi propri degli
amanti, mentre, svelandoci la loro anima, ci rivelano l’atteggiamento che
ciascuno assume nei confronti dell’altro.
Basandoci sui moderni studi letterari ed esegetici per comprendere il testo
difficile e misterioso del Cantico dei Cantici, vogliamo scoprire chi sono Dodì e
Rahjatì e immedesimarci nel loro rapporto amoroso, poiché il loro cammino è il
cammino di ogni coppia di amanti e ciascuno di noi può leggere nella loro storia
d’amore la propria e, soprattutto, trovarne il senso vero e definitivo.
1 Confronta con Gn 2,18-24.
2
Il tema
Il Cantico dei Cantici è uno dei libri più misteriosi e affascinanti della Bibbia.
Ebrei e Cristiani lo hanno incluso nel canone dei libri sacri, considerandolo
ispirato da Dio stesso.
L’opera non è né una compilazione scolastica di canti d’amore, né una
collezione di testi disparati legati da un tema comune, è invece uno scritto
unitario, composto in ebraico nei secoli prima di Cristo da un autore sconosciuto
e ambientato nelle terre degli odierni Stati d’Israele, Libano e Giordania.
Esso ci svela attraverso Dodì e Rahjatì i segreti più nascosti del cuore umano
esprimendosi con un linguaggio suggestivo, carico di visioni esaltanti e ardite,
mostrandoci una natura incontaminata e bellissima, specchio della bellezza dei
due amanti, mentre le immagini naturali divengono simboli che essi usano per
descriversi a vicenda.
Ma il poema è anche un canto erotico nel quale l’amore viene presentato nel suo
aspetto corporeo e unitivo, fonte per questo di piacere e di gioia, descritto inoltre
come una passione ardente e ostinata, capace di raggiungere la stessa intensità e
potenza della morte.
Il tema è quindi quello dell’amore, o, meglio, la sua forza e il suo valore incomparabili, capaci di ridare nuova e vigorosa vita agli amanti, mentre il Creatore,
autore di questo potere, si rende presente all’interno dell’amore stesso come sua
fonte e sostegno.
3
Il "problema Cantico"
Il Cantico dei Cantici non è un’opera facile da leggere e nemmeno gli studiosi
ancora oggi riescono ad afferrarne pienamente il significato, anche se forse
questo fa parte dello spirito con cui è stato scritto, il poema infatti è un’opera
aperta, senza un completamento limpido e definito. Inoltre il Cantico si sviluppa
secondo una struttura non ben definita, il testo è pieno di richiami, allusioni e
simboli ormai lontani dalla nostra sensibilità e cultura, molti giochi di parole
sono intraducibili, e, infine, parecchi versetti, a causa della presenza di termini
rari e sconosciuti, sono di traduzione incerta o congetturale. È necessario perciò
un notevole sforzo per penetrare nell’opera e capirla.
Il poema è posto sotto il patronato di Salomone, considerato dalla tradizione biblica il re perfetto e il sapiente per eccellenza. Tuttavia lo studio del testo sembra escludere la possibilità che re Salomone sia il vero autore ed è persino difficile stabilire con certezza il periodo nel quale il Cantico fu scritto.
Nel testo ci sono termini arcaici che rimanderebbero all’epoca della prima monarchia israelita (X sec. a.C., appunto il tempo di Salomone), elementi posteriori
all’esilio babilonese2 (V sec. a.C.), forme aramaiche e termini persiani (IV sec.
a.C.). Resta dunque aperto il problema se si tratti di un’opera antica sottoposta
ad una revisione posteriore, oppure se fu scritta nei primi secoli avanti Cristo
usando materiale più antico. La maggior parte degli studiosi propende per la
seconda ipotesi.
Tutto questo comunque ha fatto sì che coesistano un gran numero di
interpretazioni del poema anche molto diverse tra loro. Ci si alterna tra
interpretazioni antropologiche, riguardanti cioè il rapporto amoroso tra una
donna e un uomo, e interpretazioni simboliche che vedono in Dodì e Rahjatì
l’immagine di Dio e del suo popolo. Dobbiamo ammettere che è stata persa o
dimenticata l’originaria chiave di lettura del Cantico e solo ai nostri giorni forse,
esiste la possibilità di recuperarla.
2
Il regno di Israele creato da Davide, dopo la morte del successore, Salomone, si divise in due
parti: il regno del Nord che fu conquistato e distrutto dagli Assiri nel 722 a.C. e il regno di
Giuda che sopravvisse fino al 587 a.C. quando i Babilonesi lo occuparono, distrussero
Gerusalemme e deportarono parte della popolazione a Babilonia. Gli esuli poterono tornare in
patria quando l’impero babilonese fu conquistato dai Persiani nel 538 a.C. e i vincitori divennero anche i nuovi e più tolleranti occupanti della Palestina.
4
Le posizioni principali sull’interpretazione del Cantico
Non abbiamo notizie riguardo all’interpretazione del Cantico nei secoli prima di
Cristo. Solo alla fine del primo secolo dopo Cristo conosciamo alcuni interventi
di dotti ebrei, i quali, a causa dell’abitudine popolare di leggere il Cantico
durante le feste di nozze, la proibirono, onde evitare che il poema religioso
venisse dissacrato. Sembra perciò che il testo fosse tenuto in grande
considerazione, ma se ne ignorano i motivi, come non si sa perché sia stato
incluso nel canone dei libri sacri ebraici. Rabbì Aqiba, grande rabbino del
giudaismo, uno dei fautori dell’inclusione del poema nel canone, proclama al
riguardo che: «Tutto il creato non vale il giorno in cui il Cantico dei Cantici fu
dato a Israele. Tutta la Scrittura è santa, ma il Cantico dei Cantici è santissimo».
Eppure già a quei tempi la chiave di lettura del Cantico sembra perduta.
Le fonti dei secoli seguenti rivelano sempre una lettura simbolica, sia tra i
Cristiani sia tra gli Ebrei, e oggi si mette in dubbio in modo fondato che la
lettura simbolica sia quella giusta anche se ha prevalso per diciassette secoli.
Solo con il sorgere della moderna esegesi biblica nel secolo scorso,
cominciarono ad imporsi altre interpretazioni. Esse hanno avuto tutte la tendenza a rivalorizzare il senso letterale e antropologico dell’opera, a ricercare
l’intenzione originaria dell’autore-redattore e ad analizzare i frammenti del testo
smembrato e sezionato, visti come unità originarie e autonome.
Nel corso dei secoli quindi i tentativi di dare alla composizione amorosa una
corretta interpretazione sono stati molteplici ed esiste un gran numero di studi
sull’argomento. Per semplificare potremmo classificare i più importanti secondo
quattro posizioni principali, tenendo presente che la loro diversificazione prende
origine dal genere letterario attribuito al Cantico: allegorico, drammatico, liturgico, o poetico.
5
L’interpretazione allegorica
L’interpretazione letterale, in ambito religioso, è sembrata nei secoli troppo
audace e si è ripiegato su di una lettura simbolica e allegorica3, interpretando la
storia d’amore dei due amanti come la storia d’amore tra Dio e il suo popolo,
simboleggiati rispettivamente dall’uomo e dalla donna.
Presso gli Ebrei ci fu un grande sviluppo di questa interpretazione e tra il settimo
e l’ottavo secolo comparvero dei commentari completi (Targum e Grande
Midrash). Il Cantico era generalmente interpretato nei termini della storia
d’Israele, dall’Esodo fino alla venuta del Messia, Dodì rappresentava Jahwè e
Rahjatì Israele.
Quando l’interpretazione allegorica passò nell’ambito cristiano ci fu un semplice
lavoro di trasposizione: Dodì rappresentava ora Cristo e Rahjatì la Chiesa, il loro
amore era l’amore di Cristo per la sua Chiesa, con uno sviluppo naturale nel
passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Ricordiamo tra i grandi interpreti
cristiani dell’allegoria del Cantico: Origene, S. Gregorio di Nissa, S. Ambrogio,
che va citato per aver visto simboleggiato in Rahjatì la Vergine Maria, e San
Bernardo da Chiaravalle.
Nel nostro secolo ci sono pochi aderenti a questo tipo di interpretazione: due dei
più significativi sono Paul Joüon4 e André Robert5; ambedue seguono
l’interpretazione ebraica che vede Jahwè e Israele come principali protagonisti
della storia d’amore.
Per quanto sostenuta da una grande tradizione, ci sono alcuni motivi fondamentali di critica all’interpretazione allegorica: prima di tutto un’allegoria
presuppone una struttura narrativa, una trama che si sviluppa e degli schemi
fissi, ma il Cantico non ha lo sviluppo di una “storia”, non esiste nessuna trama
definita. In secondo luogo ogniqualvolta nella Bibbia compare l’allegoria6 è il
testo stesso che provvede alla sua interpretazione e questo non è il caso del
Cantico, il quale per di più, a causa del primo versetto e della conclusione (8,514), mostra inequivocabilmente di appartenere alla tradizione sapienziale7,
mentre l’allegoria è usata solo in ambito profetico.
3
L’allegoria è un racconto nel quale il vero significato del testo si ottiene traslando le
persone, le azioni e gli eventi raccontati in altri che sono da questi simboleggiati
4 JOÜON P., Le Cantique des Cantiques: commentaire philologique et exégétique, Parigi,
1909.
5 ROBERT A., Le Cantique des Cantiques (Etudes Bibliques 43), Parigi, 1963.
6 Ez 16,23; Os 1-3; Is 5,1-7.
7 cfr. TROMP J. N., "Wisdom and the Canticle Ct 8,6c-7b, text, character, message and
import", in Gilbert M., La sagesse de l’Ancient Testament, Gembloux - Leuven , 1979, 88-95.
6
A queste ragioni fondamentali potremmo aggiungerne altre di non minor
validità: nel Cantico Rahjatì all’inizio non è fedele al suo amato (vedi 1,6), e
questo viene spiegato dicendo che il popolo di Dio è peccatore, ma anche Dodì
sembra non essere fedele, anzi ci sono addirittura dei passi che indicano la sua
sospetta partecipazione a culti idolatri8!
Nella parte conclusiva del Cantico è la donna che dice al suo amato di averlo
fatto rinascere grazie al suo amore9, sarebbe come dire, se leggessimo
allegoricamente, che il popolo israelita o cristiano ha fatto rinascere il suo Dio.
Inoltre alcuni passaggi tradotti letteralmente mostrano una focosità erotica ed un
ardore amoroso che è difficile attribuire a Dio10 anche traslandone le immagini.
Infine, in base agli ultimi studi, sembra semmai possibile attribuire alla figura
della donna una personificazione divina, anche se solo accennata, analogamente
a quanto è accaduto per la Sapienza di Dio, rappresentata come donna Sapienza
dalla letteratura sapienziale biblica. Ritorneremo comunque su questa
importante possibilità.
Detto questo potrebbe sembrare irrimediabilmente da rifiutare ogni lettura
spirituale, ma è possibile gettar via una così grande tradizione interpretativa qual
è quella allegorica? Torneremo nella conclusione di questo libro su questa
questione per tentare una risposta a questa importante domanda.
Vediamo ora brevemente in modo più approfondito le motivazioni che hanno
portato alla scelta della lettura allegorica.
Gli ebrei sono partiti da un criterio interpretativo molto preciso: la rivelazione
biblica è essenzialmente connessa con la storia, per cui ogni testo sacro deve
riferirsi ad un evento storico preciso e determinato, altrimenti bisogna forzarlo
ad aderire a qualche avvenimento della storia della salvezza leggendolo
simbolicamente.
Invece le motivazioni che hanno portato gli antichi cristiani a scartare
l’interpretazione letterale e antropologica a favore di quella allegorica sono più
di tipo culturale. La cultura greca e la sua filosofia, tutte tese ad esaltare lo
spirito a scapito della materia, a negare valore alla corporeità e alle realtà umane
cosiddette "terrestri", hanno influenzato in maniera netta il pensiero cristiano dei
8
Si tratta di 6,11 dove si parla di un boschetto di noci; il Pope osserva: “Nonostante le
difficoltà del testo (forse deliberatamente corrotto per mascherare le oscenità) il contenuto è
chiaro. Qui ci sono gli elementi del culto della fertilità, sacrifici umani, riti sessuali orgiastici,
profumi, libagioni, il tentativo di comunicare con l’aldilà”. POPE, Song of Songs, 580.
9 I commentatori classici cambiano, forzando il testo, il femminile con il maschile per
attribuire all’amato, cioè a Dio, la prerogativa di ridare nuova vita.
10 Vedi ad esempio 7,9.
7
primi secoli e hanno portato autorevoli commentatori a seguire la via simbolica
per ritrovare nei testi troppo "materiali" e "umani", secondo la mentalità allora
corrente, solo significati spirituali e celesti. Basti come esempio Origene, che
pure afferma di partire da un significato che lui chiama "letterale", ma per
cercare solo quello spirituale.
Questi commenti hanno in realtà un grandissimo valore non tanto per la
comprensione del Cantico, quanto per la visione di fede globale che esprimono,
essendo vicini alle fonti originarie. Con un giudizio un po’ drastico, ma che
rende bene l’idea, potremmo dire che esprimono grandi contenuti di fede, ma
non parlano del Cantico.
Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento troverà nell’appendice due
esempi di interpretazione allegorica antica, il Targum ebraico e lo stesso
Origene, così da poter verificare direttamente il loro metodo esegetico.
.
8
L’interpretazione drammatica
Con il declino dell’interpretazione allegorica sorse nel secolo scorso e occupò
un posto preminente l’interpretazione drammatica, la quale suddivide l’opera in
vari atti e scene, assegnando le parti di protagonista a due o più personaggi e
cercando infine di ricostruire il filo dell’intreccio. Questa scuola si rifà alle antiche versioni greche del Codice Sinaitico (IV secolo d.C.) e del Codice
Alessandrino (V secolo d.C.), che assegnano le parti a vari attori con note marginali.
Uno dei problemi principali, sul quale non c’è consenso tra gli autori, è il numero degli attori principali: alcuni ne pongono due più un coro, altri tre o più
sempre con un coro.
Franz Delitzsch11 è il più rappresentativo tra coloro che scelgono due attori principali: Salomone e la Shulamit12, inseriti in un semplice dramma pastorale di sei
atti, ciascuno composto di sei scene. L’amore cantato sarebbe quello coniugale e
Salomone una specie di eroe.
Coloro che scelgono tre personaggi aggiungono a Salomone e alla bella
Shulamit un pastore innamorato di quest’ultima, con un intreccio più
complicato. È il trionfo dell’amore genuino tra due giovani di povere e semplici
origini nei confronti del ricco e potente re, che assume connotati invece negativi.
Due famosi commentatori di questo filone sono Ginsburg13 e Renan14.
Ma quanto è valido questo tipo di interpretazione? È evidente che se il contenuto
narrativo è insufficiente per l’allegoria, questo vale ancor di più per il dramma.
Troppo spesso questi autori hanno dovuto leggere tra le righe e aggiungere ciò
che non c’era. Per verificarlo basta vedere l’infinità di soluzioni trovate. Altro
punto dolente è che gli antichi Ebrei non conoscevano la forma drammatica.
Quindi, nonostante i notevoli apporti dati alla comprensione del testo, possiamo
ritenere decaduta questa posizione.
11
DELIZTSCH F., Hoheslied und Kohelet (Biblischer Commentar uber die poetischen
Bucher des Alten Testament, IV), Leipzig, 1875.
12 Shulamit è il femminile di Salomone in ebraico.
13 GINSBURG D. C., The Song of Songs, Translated from the Original Hebrew with a
Commentary, Historical and Critical, London, 1857.
14 RENAN E., Le Cantique des Cantiques Traduit de l’Hébreu avec une étude sur le plan,
l’age, et le caractère du poème, Parigi, 1884.
9
L’interpretazione liturgica
L’interpretazione liturgica o cultica, ha preso origine dalla scoperta e dalla
traduzione di testi egizi, mesopotamici e cananei, prima sconosciuti, avvenuta
all’inizio di questo secolo. Si sono così approfondite le conoscenze sulle antiche
culture e si sono trovati dei parallelismi tra i testi cultuali antichi del Medio
Oriente e il nostro testo, soprattutto riguardo al vocabolario.
In base a questa interpretazione il cammino di sviluppo del testo del Cantico
passerebbe attraverso due fasi: la formazione di un libro di canti cultuali, legati a
primitivi culti della fertilità, particolarmente quelli degli dei Tammuz e Ishtar,
seguiti da una successiva "laicizzazione", che ha trasformato queste figure in
quelle di Salomone e della Shulamit.
Il primo che scrisse un commentario intero sul Cantico secondo questa interpretazione fu Wilhelm Wittekindt15; un altro autore importante fu Harmut
Schmokel16. Essi parlano di un matrimonio sacro liturgico tra Salomone e la
Shulamit, in realtà derivato da una liturgia celebrante il matrimonio di Ishtar e
Tammuz.
Una secondo sviluppo per questa posizione si ebbe con la successiva scoperta,
traduzione e pubblicazione di testi sumeri, che approfondivano e chiarivano
aspetti del culto degli dei Dumuzi e Inanna, nomi sumeri di Tammuz ed Ishtar,
specialmente riguardo ai riti del matrimonio sacro.
Il più recente rappresentante di questo tipo di interpretazione è il Pope17, al cui
commentario facciamo spesso riferimento, il quale come sfondo del Cantico
propone un rito funerario visto come affermazione della vita sulla morte tramite
un banchetto sacro con riti orgiastici sessuali.
Questo tipo di interpretazione ha avuto un notevole successo nell’evidenziare il
sostrato del Cantico, il linguaggio e l’ambito culturale dal quale l’autore sembra
avere attinto i singoli brani, ma non riesce a dimostrare come la liturgia possa
essere il principio organizzativo del testo nella forma attuale: un testo cultuale
deve essere per forza ordinato e strutturato, ma questo ancora una volta manca
nel Cantico, come abbiamo già visto per le altre due posizioni.
15
16
WITTEKINDT W., Das Hohe Lied und seine Beziehungen zum Istarkult, Hannover, 1926.
SCHMOKEL H., Heilige Hochzeit und Hoheslied (Abhandlungen fur die Kunde des
Morgenlandes 32/1), Wiesbaden, 1956.
17 POPE M. H., Song of Songs, The Anchor Bible, New York 1982.
10
L’interpretazione poetica
L’interpretazione poetica, o lirica, legge il Cantico in una sfera più letterale e antropologica, abbandonando l’approccio spirituale o figurativo delle precedenti
interpretazioni. Questo tipo di posizione è molto recente e i suoi fautori definiscono unanimemente il genere letterario del Cantico: poesia lirica.
Il grande vantaggio di questo tipo di interpretazione è quello di avvicinarsi al testo senza presupposti riguardo alla struttura, esaminandolo attentamente nella
sua forma presente, senza la necessità di leggere tra le righe quello che non figura, senza riordinare né aggiungere nulla. L’amore di cui si narra nel Cantico è
perciò l’amore tra un uomo e una donna, piuttosto che tra il popolo e Dio.
Anche qui, come per la posizione precedente, gli autori hanno proceduto ad una
comparazione con i testi antichi, questa volta nell’ambito poetico, con le antiche
poesie d’amore del Medio Oriente e soprattutto con la poesia d’amore egiziana,
con la quale si sono trovati fortissimi paralleli.
In base a questa letteratura qualcuno ha anche tentato di dare uno schema al testo, ad esempio Bousset parla della teoria della "settimana nuziale"18: il poema
tratterebbe del matrimonio tra Salomone e la figlia del Faraone, per cui ci sarebbero sette divisioni nel testo, ciascuna corrispondente ad un giorno della settimana, ma come al solito viene imposta una strutturazione che il testo non ha.
Questo tipo di interpretazione è oggi quella che va per la maggiore ed è accettata
dalla stragrande maggioranza degli studiosi. Restano però ancora molte cose da
capire e definire.
18
BOUSSET J. B., Praefatio in Canticum Canticorum in Oeuvres Complètes de Bousset, Vol.
II, Parigi, 1897.
11
Recenti sviluppi
Un valido aiuto nella complessa problematica dell’interpretazione del Cantico è
venuto recentemente da uno studio della Elliot19, la quale, oltre a determinare il
genere letterario del Cantico, ne ha dimostrato l’unità letteraria interna,
organicamente strutturata dalla mente di un unico autore, anche se questo non
esclude che egli abbia lavorato su materiale precedente.
Il Cantico è una "unità poetica" di carattere lirico. Per questo genere letterario
non funziona il modello aristotelico della progressione tematica, il quale pone
come fondamentale la trama del racconto con un inizio, una fine ed un corpo
centrale nella quale gli eventi sono correlati l’un l’altro dalla causalità o
necessità. Piuttosto si applica il modello dell’"unità organica", nel quale ogni
parte funziona in virtù dell’intero corpo letterario; esiste cioè una organizzazione
altamente complessa nella quale molti componenti sono correlati in un modo
tale che essi si supportano e spiegano l’un l’altro; la struttura include l’intero
lavoro letterario, in altre parole non solo il poema ha una struttura, ma è una
struttura.
Semplificando potremmo dire che il Cantico è pieno di collegamenti e richiami
non tanto basati sullo sviluppo di una trama, ma, secondo una sensibilità tutta
orientale, legati ad assonanze tra parole, ripetizione di ritornelli e frasi, immagini
e simboli che ritornano continuamente, allargandosi e approfondendosi. La
struttura del Cantico è costituita quindi dai suoni e dalle immagini in esso
contenuti: canto e poesia
Il poema tratta perciò di una singola coppia di amanti e della loro mutua
relazione di amore. Questa visione è in armonia con quanto è scritto nel libro
della Genesi riguardo alla creazione della donna
[Genesi 2,18-25] Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un
aiuto che gli sia simile». ... Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si
addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio
plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora
l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà
donna perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre
e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e
sua moglie, ma non ne provavano vergogna.
19 ELLIOT M. T., The literary unity of the Canticle (Europaeische Hochschulschrif-ten 23),
Frankfurt am Main, 1989.
12
La stessa visione positiva è presentata nel libro dei Proverbi:
[Proverbi 5,15-20]
Bevi l’acqua della tua cisterna
e quella che zampilla dal tuo pozzo,
perché le tue sorgenti non scorrano al di fuori,
i tuoi ruscelli nelle pubbliche piazze,
ma siano per te solo
e non per degli estranei insieme a te.
Sia benedetta la tua sorgente;
trova gioia nella donna della tua giovinezza:
cerva amabile, gazzella graziosa,
essa s’intrattenga con te;
le sue tenerezze ti inebrino sempre;
sii tu sempre invaghito del suo amore!
Perché, figlio mio, invaghirti d’una straniera
e stringerti al petto di un’estranea?
Il Cantico presenta allora la bontà di tutta la creazione e dell’amore umano il
quale porta alla trascendente esperienza di un Dio che è Amore.
Ma entriamo ora a considerare il testo.
13
La struttura del Cantico
La strutturazione del Cantico si basa sulle ripetizioni e le assonanze linguistiche.
Le prime segnano il passaggio alle varie sezioni, mentre le seconde
costituiscono un collegamento tra le varie parti.
Ci sono quattro tipi di ripetizioni particolarmente importanti:
parole esattamente ripetute in stretta vicinanza le une alle altre:
4,8
Con me dal Libano, sposa,
vieni con me dal Libano!
4,9
Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo,
coppie di parole, di solito epiteti, che compaiono molte volte:
3,1 «Sul mio letto, di notte, ho cercato colui che amo,
‘ho cercato, ma non l’ho trovato.
3,2 Mi alzerò e vagherò per la città,
cercherò colui che amo, nelle strade e nelle vie.
L’ho cercato, ma non l’ho trovato.
3,3 Mi hanno trovato le guardie di ronda nella città
“Avete visto colui che amo?”.
3,4 Non appena li oltrepassai,
trovai colui che amo.
frasi o mezzi versetti che riappaiono in diversi contesti :
2,16 «Il mio Dodì è mio e io sono sua, egli pascola tra i gigli.
4,5 I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella,
che pascolano fra i gigli.
6,3 «Io sono del mio Amato e il mio Amato è mio,
egli pascola tra i gigli».
infine ripetizioni di interi versetti:
2,6 e 8,3
«La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia».
14
Possiamo suddividere il Cantico in base a queste ripetizioni e ritornelli in sei
parti. Ogni parte comincia con una situazione nella quale gli amanti sono
separati l’uno dall’altro e termina con una rinnovata unione. I ritornelli dividono
strutturalmente e allo stesso tempo fanno da transizione legando tra loro le
diverse parti:
1,2-2,5
Prologo: introduzione dei temi principali
2,6 «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia.
2,7 Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le
cerve della steppa, non incitate né eccitate l’amore, finché non
voglia».
2,8-3,4
Prima parte: la voce dell’amato e il suo avvicinarsi,
ricerca e ritrovamento
3,5 «Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle e per le
cerve della steppa, non incitate né eccitate l’amore finché non
voglia».
3,6-5,1
Seconda parte: motivo nuziale, descrizione della sposa,
desiderio dell’uomo per la donna
senso del testo che cambia
5,2-6,2
Terza parte: ricerca e ritrovamento, descrizione dell’amato
6,3 «Io sono del mio Dodì e il mio Dodì è mio, egli pascola tra i
gigli».
6,4-8,2
Quarta parte: canto d’amore per l’amata, tema del giardino
8,3 «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia.
8,4 Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, non incitate e non eccitate
l’amore finché lo voglia».
8,5-14
Epilogo: la forza dell’Amore.
15
TITOLO 1,1
L’attribuzione del poema a Salomone è solo un artificio letterario, secondo un
procedimento normale nei tempi antichi per dare autorevolezza e valore
all’opera.
Letteralmente tradotto il titolo è “Cantico dei Cantici che20 è di Salomone”. La
ripetizione della parola al genitivo plurale indica in ebraico il superlativo
assoluto, si dovrebbe perciò dire il “Canticissimo”, il “Cantico per eccellenza”,
anche se è più appropriato mettere in rilievo l’aspetto poetico: il “Cantico
sublime”.
1,1
Cantico sublime, di Salomone.
PROLOGO 1,2-2,5
Il prologo è la parte iniziale del poema e serve da introduzione. Vengono
presentati i temi dell’intero Cantico, ciascuno appena accennato, senza
approfondimento. Sono introdotti inoltre i motivi dominanti, le immagini e il
vocabolario che caratterizzeranno tutta l’opera. Si crea il clima, cosicché il
lettore è preparato a ciò che segue. A causa di questa funzione preparatoria
introduttiva esiste una unità interna, una coerenza tematica del prologo con
l’intero Cantico.
Si annunciano i protagonisti principali:
i due amanti
Il tema principale:
l’amore
I protagonisti secondari:
le figlie di Gerusalemme,
i compagni dell’amato,
la madre dell’amata.
20
Il che relativo traduce il termine ebraico asher, mentre in tutto il resto dell’opera è usato il
termine she- congiunto con la parola che segue, quest’ultimo è grammaticalmente più antico e
indica l’aggiunta posteriore del titolo, scritto probabilmente da una mano diversa dall’autore.
16
Il poema inizia con un grido di passione amorosa della donna. Ella ha visto il
suo Dodì, lo desidera ardentemente e ne tesse le lodi.
L’iniziativa nella ricerca amorosa è della donna che dimostra una sconcertante
libertà e spregiudicatezza.
Vengono introdotti i temi del vino, del condurre nelle stanze interne e nella casa
del vino.
Il termine “amano te”, una sola parola in ebraico (ahevùka), in 1,3 e in chiusura
di questo primo brano del prologo annuncia il tema del cantico: l’amore tra
uomo e donna.
Questo primo brano nella traduzione risulta poco scorrevole a causa dei continui
cambi di soggetto, ma in ebraico è scorrevolissimo, musicale, con continui
giochi di parole.
1,2
1,3
1,4
«Mi baciasse con i baci della sua bocca!
Veramente il tuo amore è migliore del vino,
del profumo del tuo buon olio. 21
Un olio profumato 22 tu sei, 23
per questo le ragazze ti amano.
Conducimi 24 dietro a te, corriamo!
Il re 25 mi fa entrare nelle sue stanze:
esultiamo e gioiamo in te,
assaporiamo il tuo amore più del vino,
giustamente ti amano!
Questo primo brano risulta poco scorrevole nella traduzione a causa dei continui
cambi di soggetto, ma in ebraico è scorrevolissimo, quasi musicale, con i
continui giochi di parole e addirittura dei suoni onomatopeici che fanno ad
esempio atteggiare la bocca a bacio quando di baci si parla. Ricordiamo, e vale
per tutto il Cantico, che è poesia basata sul suono, non un romanzo.
21
I versetti 1,2b e 1,3a sono costruiti secondo un parallelismo che si evidenzia traducendo
letteralmente:
“poiché BUONO è il tuo AMORE più che il VINO
che il PROFUMO del tuo OLIO BUONO”
i due BUONO formano una inclusione, esiste inoltre la corrispondenza tra VINO e
PROFUMO e tra AMORE ed OLIO, ma l’olio è l’amato stesso come viene affermato subito
dopo in 1,3b.
22 In ebraico parola sconosciuta: TURAQ. È tradotto come nome proprio che indica una
varietà di olio: olio di Turaq, oppure con il termine “effuso” nel senso che si spande nell’aria
e profuma.
23 Il versetto 1,3b letteralmente suona: “un OLIO profumato il tuo NOME” giocando sulla
somiglianza tra SCÉMEN (olio) e SCÈM (nome).
24 Verbo che indica nel Cantico un movimento verso l’unione degli amanti.
25 Il re di cui si parla è sempre Dodì.
17
Inizia l’autodescrizione di Rahjatì e vengono introdotti i personaggi delle Figlie
di Gerusalemme, della madre e dei fratelli della donna; questi ultimi avevano
nell’antico Oriente una vera e propria funzione di sorveglianza e di dominio
sulle sorelle.
Il compito ingrato che le è stato affidato, quello di guardare le vigne, ha rovinato
in parte la sua bellezza e di questo Rahjatì si lamenta, invitando a non badare
alle bruciature del sole. Ma l’amore è più forte di ogni obbligo e l’innamorata ha
lasciato il suo incarico, trascinata dal desiderio di ritrovare il suo Dodì.
Viene introdotto il tema della vigna che simboleggia anche l’organo genitale
femminile, in dipendenza probabilmente dei rituali di accoppiamento che
avevano luogo nei campi coltivati o nelle vigne per assicurare e incoraggiare la
fertilità. C’è un uso prima letterale del temine, la guardia delle vigne, e poi
figurato, la mia vigna, che indica la donna stessa.
Viene perciò proclamata una sconcertante libertà della donna che dichiara di
aver avuto rapporti sessuali, vantandosi di essere venuta meno alla custodia del
suo corpo e pronunciando una dichiarazione di autonomia nei confronti di se
stessa e del suo destino.
1,5
1,6
Nera sono e 26 bella,
figlie di Gerusalemme 27,
come le tende di Kedàr 28,
come i padiglioni di Salomone.
Non guardatemi se sono abbronzata,
poiché mi ha bruciacchiato 29 il sole.
I figli di mia madre si sono arrabbiati 30 con me,
mi hanno posto (come) guardiana delle vigne;
la mia vigna, proprio la mia, non l’ho guardata.
26
In ebraico si può tradurre sia con una "e" congiunzione sia con un "ma" avversativo. Nelle
traduzioni tradizionali si è spesso preferito l’avversativo a causa del preconcetto che il "nero"
non possa essere bello. Il testo suggerisce però il parallelismo
NERO --> TENDE DI KEDAR = tribù beduina dalle tipiche tende scure
BELLO --> TENDE DI SALOMONE = immagine di grande bellezza e ricchezza
e impone la scelta della congiunzione "e".
27 È la popolazione di Gerusalemme, in questo modo viene personificata la città stessa. C’è un
passaggio dal monologo al dialogo che approfondisce il discorso.
28 Tribù beduina del nord dell’Arabia dalle tipiche tende nere perché tessute con lana di capra
dal vello scuro.
29 C’è un gioco di parole nel testo ebraico: il verbo bruciacchiare ha anche il secondo
significato di “guardare per traverso”, per cui l’Amata prega le Figlie di Gerusalemme di non
guardarla intensamente, di non fissarla, perché già il sole l’ha guardata di traverso.
30 Il verbo può significare anche "perforare" col significato di penetrare, violare sessualmente.
Questo significato resta comunque ambiguamente presente.
18
È ancora la donna che parla rivolgendo una domanda direttamente all’amato che
ella desidera; la risposta seguirà in 2,6 e 6,3.
Viene introdotto l’importante tema della ricerca che accompagnerà il
movimento di tutto il poema.
1,7
Dimmi, amore mio,
dove fai pascolare (il gregge),
dove (lo) fai riposare a mezzogiorno,
perché io non sia come una prostituta 31,
dietro i greggi dei tuoi compagni 32».
Cambia il soggetto parlante, sono i compagni dell’amato che danno le
indicazioni perché la donna raggiunga colui che cerca.
1,8
«Se non lo sai, o bella tra le donne,
segui le orme del gregge
e conduci le tue caprette 33
presso le tende dei pastori».
Finalmente parla Dodì che descrive l’ardente passione di Rahjatì paragonandola
ad una giovenca tra un gruppo di stalloni. Egli ammira poi, in un quadro tutto
dedicato al mondo equestre, la donna bellissima ornata di gioielli e monili che
ricordano i finimenti del cavallo.
1,9
1,10
1,11
«A una cavalla tra i carri del faraone
assomigli, mia Rahjatì.
Sono belle le tue guance tra i pendenti,
il tuo collo con un vezzo di perle.
Faremo per te pendenti d’oro, con dischi d’argento».
31
Letteralmente "velata". Nell’antichità biblica le prostitute si coprivano il volto mentre
attendevano nelle strade, questo gesto era legato anche alla prostituzione sacra.
32 I compagni ritorneranno alla chiusura del Cantico in 8,13.
33 Emblema più vicino alla sfera erotico-sessuale che non le pecore.
19
Risponde Rahjatì che ci annuncia l’intimità raggiunta dai due amanti: l’amato,
che è detto essere “il re”, appare sdraiato, poi giace tra i suoi seni, proprio sul
cuore di Rahjatì e infine, paragonato a succosi e dolci datteri, viene gustato dalla
donna nell’amplesso. Ora sono insieme, non c’è più la ricerca. Compaiono la
mirra e i datteri che rappresentano Dodì stesso.
1,12
1,13
1,14
«Mentre il re è sul suo divano 34,
il mio nardo spande il suo profumo 35.
Il mio Dodì è per me un sacchetto di mirra,
trascorre la notte tra i miei seni.
Il mio Dodì è per me un grappolo di datteri
nei giardini di En Ghedi 36».
Gli amanti si guardano l’un l’altro, contemplando la reciproca bellezza.
Continua ora a risuonare il pronome “nostro”, segno del mutuo possesso
raggiunto.
1,15
1,16
1,17
«Come sei bella, mia Rahjatì, sei veramente bella!
I tuoi occhi sono colombe».
«Come sei bello, mio Dodì, quanto grazioso!
Anche il nostro letto è lussureggiante.
Colonne della nostra casa sono i cedri,
nostro soffitto sono i cipressi.
Lo sguardo si allarga all’intorno e descrive l’ambiente che circonda gli amanti.
La donna si paragona a un semplice e umile giglio acquatico (o loto), ma il suo
amato riprende l’immagine floreale esaltandone la bellezza. La donna è un
giglio, l’uomo è un melo e questi simboli torneranno continuamente nel Cantico
richiamando e indicando le persone stesse degli amanti.
2,1
2,2
2,3
Io sono un narciso della pianura,
un giglio delle valli».
«Come un giglio fra i rovi,
così la mia Rahjatì tra le fanciulle».
«Come un melo tra gli alberi della foresta,
così il mio Dodì fra i giovani.
Alla sua ombra desidero sedermi,
e il suo frutto è dolce al mio palato 37.
34
35
Il termine indica un divano basso su cui ci si adagiava su di un fianco durante i banchetti.
Viene esercitata la seduzione da parte della donna nei confronti del suo re! Il significato è
sessuale e indica l’odore della donna e dei suoi umori che eccitano il compagno.
36 Oasi sul lato occidentale del Mar Morto, posta in un anfiteatro di rocce inaccessibili. Una
ricca sorgente e il clima caldo creano le condizioni per una eccezionale fertilità.
37 È l’amata che si gusta il frutto del melo, ma il senso è anche sessuale.
20
Siamo verso la conclusione del prologo, ritornano perciò due volte come
all’inizio il termine "amore" e la parola "vino" che richiama 1,2. Rahjatì chiede
di essere sorretta e, dichiarandosi malata, sperimenta che l’amore non è mai
soddisfatto, chiede continuamente di ripetersi e di rinnovarsi. Anche questo è
uno sviluppo importante che accompagnerà tutto il cammino dei due amanti con
un continuo allontanarsi e ritrovarsi che culminerà nel capitolo ottavo nella
affermazione della potenza dell’amore.
2,4
2,5
Egli mi ha condotto alla casa del vino
e il suo intento su di me è: amore.
Sostenetemi con dolci d’uva passa,
sorreggetemi con mele,
perché sono malata d’amore, io».
In risposta al grido della donna ecco che il suo amante la prende tra le braccia, la
sorregge e la protegge. In questo abbraccio gli amanti chiedono di non essere
disturbati. Il ritornello finale del prologo, usato anche in 3,5 e 8,3-4, ha un
significato ambiguo, sembra quasi indicare che la forza dell’amore non sia
ancora matura per manifestarsi nella sua pienezza, ma più avanti nel poema ci
saranno importanti sviluppi.
2,6
2,7
«La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia 38.
Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle o per le cerve della steppa,
non incitate né eccitate l’amore,
finché non voglia».
La frase “per le gazzelle o per le cerve della steppa” ha poco senso in italiano,
ma in ebraico le gazzelle e le cerve suonano molto vicine alla invocazione del
nome divino:
gazzelle = tze’vaot che ricorda Jahvéh tzevaot, il Signore degli eserciti
cerve delle steppe = ‘aylot hassadeh (consonanti: ‘lt sdh)
che ricorda ‘el shaday (consonanti: ‘l sdy) = Dio onnipotente
si tratta perciò di una frase di un giuramento solenne, corrotta per non nominare
direttamente il nome di Dio, ma per farlo comunque apparire tra le righe.
38
Preminente il significato sessuale dell’abbraccio.
21
PARTE PRIMA 2,8-3,4
La prima parte si divide in due sezioni nettamente. La prima sezione, che
comprende 2,8-17, potremmo intitolarla “la voce dell’amato e il suo
avvicinarsi”. Siamo di giorno e in primavera. La donna chiama l’uomo con
l’epiteto “Dodì”. Gli amanti sono separati e c’è un movimento di avvicinamento
.
La seconda divisione si estende su 3,1-4 ed è caratterizzata dallo svolgersi di
notte. Gli amanti sono separati e c’è la ricerca notturna di Rahjatì. La donna
chiama l’uomo con l’epiteto “colui che amo”.
La prima parte termina infine con l’unione degli amanti.
Collegandosi al ritornello precedente, la voce di Dodì sveglia Rahjatì che era in
uno stato di riposo. C’è un passaggio dal verbo “viene” di 2,8 al verbo “sta” di
2,9.
2,8
2,9
2,10
«La voce del mio Dodì!
Eccolo che viene saltando sui monti,
balzando sulle colline.
Ricorda Dodì una gazzella
o un cerbiatto 39.
Eccolo! Sta dietro il nostro muro,
scruta attraverso la finestra,
sbircia tra i graticci.
Risponde Dodì e mi dice:
“Alzati, Rahjatì,
mia bella, e vieni!
Inizia la descrizione della primavera (confronta con 7,12-14)
2,11
2,12
2,13
39
Perché, ecco, l’inverno è passato,
è finita la stagione delle piogge,
i fiori sono apparsi sulla terra,
il tempo del canto è arrivato
e si ode nella nostra terra
la voce della tortora.
Il fico ha maturato i suoi frutti
e la vite in fiore spande fragranza.
Alzati, Rahjatì,
mia bella, e vieni!
Ritornano le immagini del giuramento di 2,7.
22
Dodì guardando la sua amata, mentre è nascosto dietro i graticci della casa di lei,
la vede come una colomba nascosta nei dirupi di montagne inaccessibili. La
situazione è sempre di separazione.
2,14
Mia colomba 40,
dalle fessure del dirupo,
dal rifugio inaccessibile,
mostrami il tuo aspetto,
fammi udire la tua voce,
perché la tua voce è piacevole 41,
il tuo aspetto meraviglioso”».
La donna acconsente alla richiesta e si ode la sua voce. Il suo parlare prosegue
fino a 3,5. Ella esprime disappunto per gli impedimenti alla unione reciproca,
l’allusione forse è ancora per i fratelli della donna che ostacolano l’incontro
mentre tutto invita a lasciarsi andare alla passione amorosa.
2,15
«Prendeteci le volpi,
le piccole volpi
che distruggono le vigne
e le nostre vigne sono in fiore.
Ecco ora un ritornello che incontreremo anche in 6,3 e 7,11. Esprime l’unione e
il mutuo possesso degli amanti. Risponde alla domanda di 1,7: “Dove vai a
pascolare?”. L’immagine dei gigli è Rahjatì stessa come ella afferma in 2,1: “Io
sono un giglio”. Gli ostacoli all’unione sono stati superati, le “piccole volpi”
sono state prese e rese inoffensive.
2,16
Il mio Dodì è mio e io sono sua,
egli pascola tra i gigli .
Questo versetto è di passaggio alla seconda suddivisione della prima parte. Sta
per giungere la sera, si passa dal giorno e dall’unione alla notte e all’assenza.
2,17
Mentre declina il giorno
e fuggono le ombre,
ritorna, Dodì,
somigliante a una gazzella o a un cerbiatto,
sulle montagne di Beter 42».
40
41
42
Nuovo nome dell’Amata che stabilisce l’immagine prevalente in questi versetti.
La voce dell’Amato invita alla risposta, vuole che si oda anche la voce di lei.
Beter ha un significato letterale di “fessura”, “spaccatura”, “divisione”. “Monte della
fessura” indicherebbe l’organo genitale femminile. La frase è perciò un invito all’unione
sessuale tra gli amanti. Si noti che è sempre la donna che invita.
23
Ritorna la situazione di ricerca già vista in 1,7. I due amanti sono ancora una
volta separati. La donna è sdraiata in casa. Poi si alza e vaga per la città. C’è un
insuccesso nella ricerca, ma alla fine avviene il ritrovamento del suo amato e il
ritorno nella casa da dove è partita l’azione.
3,1
3,2
3,3
3,4
«Sul mio letto, di notte,
ho cercato 43 colui che amo,
l’ho cercato, ma non l’ho trovato.
Mi alzerò e vagherò per la città,
cercherò colui che amo,
nelle strade e nelle vie.
L’ho cercato, ma non l’ho trovato.
Mi hanno trovato 44 le guardie di ronda nella città
“Avete visto colui che amo?”.
Non appena li oltrepassai,
trovai colui che amo 45.
L’ho afferrato e non lo lascerò
finché non l’abbia fatto entrare
nella casa di mia madre,
nella stanza di lei che mi concepì». 46
Ritroviamo il ritornello che divideva il prologo dalla prima parte. Ora segna il
passaggio dalla prima alla seconda parte. Ma, diversamente dal ritornello di 2,7,
non è presente l’immagine dell’uomo che abbraccia la donna, è espresso
comunque il mutuo possesso realizzato dagli amanti dopo la ricerca e il
ritrovamento.
3,5
«Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle e per le cerve della steppa,
non incitate né eccitate l’amore
finché non voglia».
43
Cercare ricorre ben 4 volte nei versetti seguenti, 2 volte il "non trovato". Queste ripetizioni
quasi assillanti rendono l’idea della ricerca affannosa.
44 Cambia il registro: trovare.
45 Dopo il ritrovamento il seguito tratta del muto possesso degli amanti.
46 Ritroveremo questa importantissima scena del “condurre alla casa della madre nell’epilogo
del cantico (8,5) e scopriremo il suo significato importantissimo.
24
PARTE SECONDA 3,6-5,1
La seconda parte si estende da 3,6 a 5,1 con tre sezioni. Viene introdotto
l’importante motivo nuziale, la donna è chiamata “sposa” e “sorella mia, sposa”.
Viene introdotto anche il tema “militare”: i guerrieri che proteggono la sposa, la
quale diventa poi lei stessa un’armeria e una torre.
La prima suddivisione comprende 3,6-11. Appare la lettiga del re Salomone con
la sposa che in processione si avvicina al suo sposo in attesa e il re-sposo esce
per riceverla e accoglierla
3,6
3,7
3,8
«Chi è colei che sale dal deserto
come colonna di fumo,
profumata di mirra e d’incenso
e d’ogni spezia dei mercanti?»
«Ecco la lettiga di Salomone,
sessanta guerrieri intorno ad essa,
scelti tra i prodi d’Israele 47.
Tutti armati di spada,
veterani della battaglia,
ciascuno la sua spada al suo fianco
contro i terrori della notte.
L’immagine della donna simile a colonna di fumo è simile a quella mostrata nel
libro dell’Esodo: la colonna di nube che guida il popolo di giorno nella fuga
dall’Egitto48. La donna viene mostrata in parallelo con l’azione divina di
salvezza, il riferimento è però sfumato e volutamente ambiguo: Dio si rende
presente nella donna che si reca dal suo sposo.
C’è un collegamento anche col libro del profeta Gioele49 dove si parla dei
portenti terribili del giorno di Jahvè e della colonna di fumo della sua presenza.
L’immagine è grandiosa e possente: Rahjatì è la regina del suo Dodì.
47
L’immagine è quella della protezione, la sposa che si trova nella lettiga appare rinchiusa e
custodita.
48 Esodo 13,21-22: “Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per
guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce, così che
potessero viaggiare giorno e notte. Di giorno la colonna di nube non si ritirava mai dalla vista
del popolo, né la colonna di fuoco durante la notte”.
49 Gioele 3,3-4: “Farò prodigi nel cielo e sulla terra, sangue e fuoco e colonne di fumo. Il sole
si cambierà in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il giorno del Signore, grande e
terribile”.
25
Inizia la descrizione della lettiga elencando i materiali preziosi con cui è
costruita: legno del Libano, argento, oro, porpora e infine il più prezioso
“amore”, giocando volutamente sul secondo significato di ahavàh che oltre ad
“amore” significa anche “cuoio”, questi può quindi a tutto diritto essere incluso
nell’elenco. La trasposizione pone però al vertice l’amore.
Notiamo nel finale il passaggio al giorno e alla gioia contrapposto ai terrori della
notte 50 del versetto precedente.
3,9
3,10
3,11
Una lettiga s’è fatta per sé il re Salomone,
con legno del Libano.
Le sue colonne le ha fatte d’argento,
d’oro la sua spalliera,
il suo sedile di porpora,
al suo interno è intarsiato: amore.
Figlie di Gerusalemme, uscite!
Venite a vedere, figlie di Sion, il re Salomone
con la corona che gli diede sua madre,
nel giorno delle sue nozze
e nel giorno della gioia del suo cuore!»
Dodì è al colmo della gioia per l’arrivo della sua amata ed è questa gioia che lo
rende un re coronato e splendido come Salomone. Il riferimento alla madre è in
relazione alla generazione, al donare la vita. come sarà proclamato nel finale.
50
Si tratta dei demoni che percorrono il deserto uccidendo gli uomini che incontrano. Per
questo sono necessari i guerrieri a protezione.
26
La seconda suddivisione comprende 4,1-7. Lo sposo che ha accolto la sposa
contempla e descrive la sua bellezza. La descrizione è in senso discendente
cominciando dal capo verso i piedi. Il brano inizia dichiarando la bellezza della
donna e si chiude in egual modo al versetto 7, formando una inclusione.
Viene nominata prima la parte del corpo e poi la corrispondente immagine di un
animale: occhi->colombe, capelli->gregge di capre, denti->gregge di pecore.
La fine di 4,2 funge da transizione.
4,1
4,2
«Come sei bella, mia Rahjatì, come sei bella!
I tuoi occhi sono colombe, dietro il tuo velo.
I tuoi capelli sono come un gregge di capre 51,
che scendono dal monte Ghilad 52.
I tuoi denti sono come un gregge di pecore,
che salgono dal bagno
e tutte sono appaiate,
non ne manca nessuna.
Ora viene prima la descrizione e poi la parte del corpo. La fine di 4,4 funge di
nuovo da transizione. La torre di Davide è immagine di inaccessibilità.
4,3
4,4
Sono come un filo scarlatto le tue labbra
e incantevole è la tua bocca,
come spicchio di melagrana il tuo sopracciglio
dietro il tuo velo.
Come la torre di Davide il tuo collo,
costruito come un’armeria.
Mille scudi vi sono appesi,
tutti scudi di eroi.
Le immagini di bellezza non sono certo secondo i gusti e la sensibilità
occidentali, ma andando oltre l’aspetto estetico, vogliono principalmente fare un
parallelo tra le varie parti del corpo della donna e alcune immagini naturali del
paesaggio mediorientale. Così come le immagini militari vogliono esprimere la
fedeltà della donna protetta da mura pur essendo ammirata da mille guerrieri.
51
52
Neri, perché in Oriente le capre sono nere.
Ghilad o Galaad è una regione ad est del fiume Giordano.
27
La contemplazione di Rahjatì ha generato nell’uomo il desiderio dell’unione. Il
monte della mirra e la collina dell’incenso sono simboli dell’organo genitale
femminile secondo due sue proprietà: l’umore femminile e il suo profumo.
4,5
4,6
4,7
I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano fra i gigli.
Mentre declina il giorno
e fuggono le ombre,
andrò al monte della mirra
e alla collina dell’incenso.
Tutta bella tu sei, mia Rahjatì,
non hai nessun difetto.
La terza suddivisione comprende 4,8-5,1. È ancora la voce di Dodì che parla
sempre sulla scia di 2,8. usando il parallelismo ripetitivo. Il brano inizia e si
chiude con l’immagine del Libano. Nello sviluppo del testo cresce il desiderio
dell’amato di possedere Rahjatì come già annunciato in 4,6. In 4,10 c’è una
descrizione speculare: l’uomo descrive la donna usando le immagini di 1,2-3
con cui lui stesso era stato descritto.
4,8
4,9
4,10
4,11
Con me dal Libano, sposa,
vieni con me dal Libano!
Giungi dalla cima dell’Amanàh 53,
dalla cima del Senìr e dell’Ermon 54,
dalle tane dei leoni,
dai nascondigli dei leopardi.
Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo,
con una sola gemma della tua collana.
Come è meraviglioso il tuo amore,
sorella mia, sposa,
il tuo amore è migliore del vino,
e il profumo del tuo olio più di tutti gli aromi.
Le tue labbra stillano miele liquido, sposa,
c’è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti
è come il profumo del Libano.
53
Fiume che sgorga ai piedi dei monti dell’Antilibano e scorre verso Damasco. Il suo nome
moderno è Baradà. Vedi anche 2 Re 5,12. Qui il nome indica il monte da cui sgorgano le
sorgenti.
54 Monti molto alti a nord d’Israele al confine con il Libano. Indicano l’inaccessibilità
dell’Amata. Senir è il nome amorrita dell’Ermon.
28
Il brano 4,12-5,1 inizia e termina con il termine giardino che fa da inclusione.
Segue la descrizione di Rahjatì secondo l’immagine di un giardino. La donna è
sia il giardino sia l’acqua che lo abbevera.
4,12
4,13
4,14
4,15
Tu sei un giardino recintato, sorella mia, sposa,
una piscina proibita,
una fontana che non si può raggiungere.
I tuoi germogli 55 sono un boschetto di melograni
con frutti desiderabili, cipressi con nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo
con ogni specie di pianta profumata;
mirra e aloe con tutti i migliori aromi. 56
Fontana tra i giardini,
pozza d’acqua corrente
che scende dal Libano».
Il giardino all’inizio è chiuso, recintato e inaccessibile, ma poi la donna apre il
suo giardino e invita Dodì all’incontro e al mutuo possesso. Rahjatì assume
l’identità del giardino e invita il suo amato ad entrarvi. Le piante profumate
elencate nei versetti precedenti descrivono la donna stessa e attireranno l’amante
grazie al vento.
4,16
«Levati, vento del nord, e tu, vento del sud, vieni 57,
soffia sul mio giardino, si spargano i suoi profumi.
Verrà il mio Dodì nel suo giardino
e mangerà i suoi frutti squisiti 58».
Progressione dell’azione di Dodì: entra, raccoglie, mangia e beve, è la
consumazione dell’unione. Segue un invito generico che costituisce una frase di
passaggio alla terza parte.
5,1
«Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa,
ho raccolto la mia mirra con spezie,
ho mangiato il mio favo con il miele,
ho bevuto il mio vino con il latte.
Mangiate, amici, bevete,
ubriacatevi d’amore!»
55
Termine che indica i rami o le radici che un albero fa crescere e germogliare; il significato
traslato è quello dell’organo genitale femminile.
56 Elenco di piante la cui caratteristica è l’essere profumate.
57 “Venire”: verbo tipico che annuncia l’unione degli amanti.
58 Invito al rapporto sessuale.
29
PARTE TERZA 5,2-6,3
La terza parte si sviluppa secondo quattro passaggi:
5,2-8
ricerca notturna
5,9
domanda delle Figlie di Gerusalemme
5,10-16
descrizione dell’amato
6,1-3.
domanda e risposta
Si inizia con una pausa, si è passati da una ardente unione al silenzio, alla notte e
al sonno. Soggetto parlante di questa parte è la donna.
Si ripete in 5,2-8 la situazione di 3,1-5: la ricerca dell’amato di notte per le vie
della città. Ma ci sono importanti variazioni.
3,1-5 notte
a letto
assenza dell’amato
alzarsi
5,2-8 notte
ricerca senza ritrovamento
ritrovamento
incontro con le guardie
domanda alle guardie
ritrovamento
(chiusura)
5,2
5,3
59
60
a letto
presenza dell’amato
alzarsi
allontanamento dell’amato
ricerca senza ritrovamento
chiamata senza risposta
incontro con le guardie
picchiata e ferita dalle guardie
guardiani dei muri
(impediscono la ricerca)
«Io dormo, ma il mio cuore è sveglio.
Un rumore! Il mio diletto bussa:
“Aprimi 59, sorella mia, mia Rahjatì,
mia colomba, perfetta mia,
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei capelli sono umidi per la notte”.
Mi sono tolta la tunica,
come l’indosserò?
Ho lavato i miei piedi 60,
come li sporcherò?
Apertura in contrasto con la chiusura del brano precedente; lo stesso in 5,5-6.
Indica i genitali della donna.
30
All’azione dell’amante corrisponde la reazione passionale di Rahjatì. I versetti
seguenti raccontano di un rapporto sessuale nascosto e velato dalle immagini
della porta. Rahjatì è infatti rappresentata dalla porta che viene forzata dalla
“mano” dell’uomo.
5,4
5,5
Il mio Dodì ha introdotto la mano nell’apertura 61
e i miei visceri si sono eccitati 62 per lui.
Mi sono alzata per aprire al mio Dodì
e la mia mano gocciolava mirra,
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
Inizia il tema della ricerca. I guardiani che impediscono la ricerca hanno lo
stesso atteggiamento dei fratelli della donna che fungono da protettori e custodi.
5,6
5,7
Ho aperto al mio Dodì,
ma il mio Dodì se n’era andato.
Io venni meno quando egli se ne andò.
L’ho cercato, ma non l’ho trovato,
l’ho chiamato, ma non mi ha risposto.
Mi hanno trovato le guardie
che giravano per la città,
mi hanno colpito, mi hanno ferito,
mi hanno tolto il velo,
i guardiani delle mura.
Impedita nella ricerca, Rahjatì si rivolge alle Figlie di Gerusalemme
scongiurandole di continuare loro la ricerca.
5,8
Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate il mio Dodì,
che cosa gli direte?
Che sono malata d’amore!»
61
La mano indica l’organo genitale maschile (vedi ad esempio Is 57,8-10), mentre il termine
tradotto con apertura significa letteralmente “buco”.
62 Il verbo ebraico è un termine tecnico per indicare l’eccitazione sessuale. I visceri sono la
sede delle emozioni e in senso erotico hanno anche il significato di “utero”.
31
La domanda seguente funge da transizione alla seconda suddivisione e provoca
la descrizione dell’uomo da parte della donna sulla falsariga di 4,1-7.
5,9
«Che cos’ha il tuo Dodì più di un altro,
o bella fra le donne?
Che cos’ha il tuo Dodì più di un altro,
perché così ci scongiuri?»
La descrizione procede dall’alto verso il basso, dalla testa ai piedi. Rahjatì usa
per l’amato immagini prima applicate a lei stessa, secondo un “effetto
specchio”: i due amanti si contemplano, si scoprono e si conoscono guardandosi
l’un l’altro. Questo è uno dei messaggi importanti del Cantico.
5,10
5,11
5,12
5,13
5,14
5,15
5,16
«Il mio Dodì è colorito e rosso,
si distingue fra mille.
Il suo capo è oro fino,
i suoi riccioli sono mossi,
neri come il corvo.
I suoi occhi sono come colombe
presso ruscelli d’acqua,
che si bagnano nel latte,
sedute sul bordo 63.
Le sue guance sono come un letto di aromi,
erbe profumate che germogliano;
le sue labbra sono come gigli,
che gocciolano mirra liquida.
Le sue braccia sono verghe d’oro,
piene di gemme preziose.
Il suo tronco tornito è d’avorio,
tempestato di lapislazzuli.
Le sue gambe, colonne di alabastro,
sono poste su piedistalli d’oro.
Il suo aspetto è quello del Libano,
pregiato come i cedri.
Il suo palato è dolcissimo
e tutto in lui è desiderabile
Questo è il mio Dodì e questo è il mio compagno,
figlie di Gerusalemme».
63
L’immagine è quella di due colombe che si stagliano scure nel latte nel quale si bagnano,
ricordando per questo le pupille scure nel bianco dell’occhio.
32
La descrizione di quest’uomo meraviglioso desta interesse nelle Figlie di
Gerusalemme che si affrettano a chiedere altre notizie per ritrovare l’amato.
6,1
«Dov’è andato il tuo diletto,
o bella fra le donne?
Dove se n’è andato il tuo Dodì,
perché lo cerchiamo con te?»
Ritorna l’immagine del giardino e del mutuo possesso degli amanti, ma non è
solo una ripetizione perché l’unione è scesa ad un livello più profondo. Entrambi
si conoscono meglio e conoscono meglio se stessi. La terza parte si chiude
ancora una volta con il ricongiungimento degli amanti dopo la ricerca.
6,2
«Il mio Dodì è sceso nel suo giardino 64,
fra le aiuole dei profumi,
per pascolare nei giardini
e raccogliere gigli».
6,3
«Io sono del mio Dodì e il mio Dodì è mio,
egli pascola tra i gigli».
64
Il giardino è l’amata stessa come in 4,12 e 5,1.
33
PARTE QUARTA 6,4-8,2
La quarta e ultima parte si sviluppa secondo quattro passaggi:
6,4-10
canto d’amore per Rahjatì
6,11-7,1
transizione
7,2-10
canto d’amore per Rahjatì
7,12-8,2
tema del giardino e della ricerca.
Nella prima suddivisione Dodì canta la sua Rahjatì in quanto suscitatrice di
timore e meraviglia. Importante è il tema dell’unicità e della preminenza
dell’amata su tutte le altre donne.
I versetti da 5 a 7 descrivono solamente il capo della donna. La suddivisione
inizia con la frase “splendida come trofei di guerra” e termina con la stessa frase
al versetto 10 costituendo il confine, l’inclusione del brano.
6,4
6,5
6,6
6,7
6,8
6,9
«Tu sei bella, mia Rahjatì,
come Tirza 65, bella come Gerusalemme,
splendida come trofei di guerra 66.
Volgi a me i tuoi occhi,
perché mi eccitano.
I tuoi capelli sono come un gregge di capre
che scendono da Ghilad.
I tuoi denti come un gregge di pecore
che salgono dal bagno
e sono tutte appaiate
non ne manca nessuna.
Come uno spicchio di melagrana
il tuo sopracciglio, dietro il tuo velo.
Sessanta sono le regine,
ottanta le concubine
e le fanciulle sono senza numero.
Unica 67 è la mia colomba, la mia perfetta,
ella è l’unica di sua madre,
la preferita della sua genitrice.
L’hanno vista le ragazze e l’hanno detta beata,
l’hanno lodata regine e concubine».
65
Tirza: città cananea dove Geroboamo fissò la sua capitale (1 Re 14-16). Vengono citate le
capitali del regno del nord, Tirza, e del sud, Gerusalemme, subito dopo lo scisma di Israele
avvenuto nel 931 a.C., mentre non è citata Samaria, la capitale successiva del regno del nord
edificata durante il regno del re Omri (885-874 a.C.; vedi 1 Re 16,23-24).
66 Letteralmente: oggetti spettacolari a vedersi, che provocano per questo meraviglia.
67 L’unicità dell’Amata è accentuata dallo sviluppo dei versetti 8 e 9:
Regine, concubine, fanciulle -> UNICA, unica di sua madre -> ragazze, regine e concubine.
34
6,10
«Chi è costei che sorge come l’aurora,
bella come “la bianca” 68,
fulgida come “il rovente”,
splendida come trofei di guerra?».
Vediamo che Rahjatì è ancora rappresentata come una dea per la sua bellezza,
ma anche per le immagini che le sono attribuite: luna e sole, dei per molti
popoli, e “splendida come trofei di guerra”, immagine ispirata forse dall’aspetto
bello e terribile delle dee femminili come Ishtar, Inanna, Anat, Atena, Kalì con
trofei di resti umani, che ogni civiltà antica ha rappresentato.
Seguono ora dei versetti di transizione tra i due canti d’amore dedicati a Rahjatì.
È l’uomo che parla all’inizio, egli è sempre il soggetto nei verbi di moto.
L’immagine del boschetto e della vegetazione raffigura ancora una volta la
donna. L’amato scende ad incontrarla, ma lei inizia a danzare per la gioia di
averlo incontrato di nuovo, sale perciò su un rialzo (sul carro del suo principeDodì) e inizia la danza; gli amanti vengono raggiunti dai compagni che ne
condividono la gioia e ammirano la donna.
6,11
6,12
7,1
«Sono sceso nel boschetto dei noci 69,
per vedere il verdeggiare della valle,
per vedere germogliare la vite,
fiorire i melograni».
«Prima che me ne rendessi conto il mio desiderio
mi ha fatto salire sul carro con un principe 70».
«Volgiti, volgiti, Shulamit,
volgiti, volgiti: vogliamo ammirarti».
«Che cosa ammirate della Shulamit 71
nella danza dei due accampamenti? 72».
68
69
È la luna, mentre nella riga seguente si parla del sole.
Frase ambigua che sembra indicare che l’amato si reca in uno dei boschetti sacri di noci
dove si svolgevano i riti pagani della fertilità.
70 Versetto incomprensibile, letteralmente suona: “non so - la mia anima mi ha posto i carri
del mio popolo principe”, la traduzione usata è congetturale e si basa sul contesto del brano.
71 Shulamit è in ebraico il femminile di Salomone, nome che sighifica “pace”. Si tratta ancora
dell’immagine speculare di un amante riflessa nell’altro: l’amato è Salomone ma ora è l’amata
che diventa la Shulamit.
72 Tipo di danza orientale nella quale la donna si esibisce di fronte agli uomini e alle donne
divisi in due gruppi. Il testo ebraico scandisce con il ritmo delle parole i passi della danza,
descritti con parole il cui suono imita il colpo del piede per terra.
35
Provocata dalla domanda precedente, inizia la nuova contemplazione di Rahjatì,
descritta iniziando dai piedi e salendo verso l’alto, diversamente da 4,1-7 dove la
descrizione iniziava dal capo verso il basso. Il versetto 7,5 ci mostra l’immagine
della “donna-città”.
7,2
7,3
7,4
7,5
7,6
«Come sei bella, i tuoi piedi calzàti,
figlia di principe!
Le curve dei tuoi fianchi sono come monili,
opera di mani d’artista.
I tuoi genitali 73 come un vaso profondo
(che) non manca mai di vino drogato.
Il tuo ventre è un mucchio di grano,
circondato da gigli.
I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di gazzella.
Il tuo collo come una torre d’avorio;
i tuoi occhi sono come le piscine di Chesbòn 74,
presso la porta di Bat-Rabbìm 75;
il tuo naso come la torre del Libano
che guarda verso Damasco 76.
Il tuo capo si erge come il Carmelo77
i lunghi capelli del tuo capo sono come la porpora 78,
un re è catturato dall’ondeggiare dei capelli.
73
Letteralmente è “ombelico” usato però per intendere la vagina della donna in quanto anche
il termine ebraico che segue descrive un vaso di forma cilindrica che ricorda appunto la forma
della vagina. Inoltre poiché la descrizione procede dal basso verso l’alto se si trattasse
dell’ombelico questo starebbe più in alto del basso ventre che segue.
74 Città amorrita (Nm 21,26-34) situata tra l’odierna Amman e Màdaba in Giordania.
75 Riferimento sconosciuto, letteralmente significa: “figlia di una moltitudine”.
76 Nel senso che fa la guardia, è di sentinella.
77 Monte che taglia di traverso Israele dal mare, presso l’odierna Haifa, verso l’interno,
delimitando a nord la pianura di Esdrelon. Ë citato nella Bibbia per la sfida del profeta Elia
contro i profeti di Baal svoltasi appunto alle pendici di questo monte.
78 La porpora era usata per tingersi i capelli.
36
Il movimento della descrizione dal basso verso l’alto diventa la comparazione
della donna con un’alta pianta. Si tratta ancora dell’immagine speculare di un
amante riflessa nell’altro: prima Dodì è stato descritto come un albero di mele e
un cedro del Libano, ora la donna è un’alta palma.
Il desiderio dell’uomo verso la donna viene ora espresso esplicitamente con una
forte immagine erotica: Dodì vuole possedere Rahjatì afferrandola per i seni,
mentre vengono descritti fisicamente i baci ardenti.
7,7
7,8
7,9
7,10
Come sei bella e come sei graziosa,
amore, figlia di delizie!
La tua statura ricorda una palma
e i tuoi seni i grappoli.
Ho detto: “Salirò sulla palma,
afferrerò con forza i suoi frutti!”
Siano i tuoi seni come grappoli d’uva
e il profumo del tuo respiro come di mele».
«Il tuo palato sia come vino squisito,
che scorre dritto verso il mio Dodì
e fluisce sulle labbra e sui denti!
Un ritornello di passaggio riassume il desiderio degli amanti e richiama anche
Gn 3,16 e 4,7: il desiderio della donna è verso l’uomo che la domina.
7,11
Io sono del mio Dodì
e il suo desiderio è per me.
Viene descritto ora il giardino nel quale gli amanti si recano e dove
consumeranno ancora una volta l’unione; il desiderio espresso nei versetti
precedenti trova la sua realizzazione. Gli amanti quasi si confondono con la
natura bellissima che contemplano e si identificano con il fiorire degli alberi.
7,12
7,13
7,14
79
Vieni, mio Dodì, andiamo in campagna,
passiamo la notte tra i cipressi.
Andremo nelle vigne;
vedremo se fiorisce la vite,
sbocciano i fiori,
fioriscono i melograni:
là ti darò il mio amore!
Le mandragole 79 spandono profumo
e sulle nostre porte ogni delizia,
nuova e antica, mio Dodì
l’ho serbata per te.
Pianta collegata con la fertilità, è ritenuta afrodisiaca.
37
Continua il movimento verso l’unione iniziato con l’invito ad andare nei campi.
Ritornano i desideri di 1,2: baciare Dodì e gustare il vino. C’è un movimento
dall’esterno all’interno e troviamo ancora una volta il riferimento alla casa della
madre che troverà il suo apice nell’epilogo ora prossimo. Notiamo che è sempre
la donna che invita l’uomo a recarsi nella casa di sua madre per ripetere quasi
ritualmente l’amplesso che sua madre ebbe per concepire lei.
8,10
8,2
Oh se tu fossi un mio fratello 80,
allattato al seno di mia madre!
Trovandoti all’esterno ti bacerei
senza che alcuno mi disprezzi.
Ti porterò e condurrò
alla casa di mia madre,
colei che mi concepì.
Ti farò bere del vino drogato,
del succo della mia melagrana 81».
Si conclude la parte quarta con il possesso degli amanti espresso tramite il
ritornello che ormai conosciamo. Qui però il senso non è più quello di non
essere disturbati, ma si vuole indicare un approfondimento dell’incontro e del
possesso.
8,3
8,4
«La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia.
Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
non incitate e non eccitate l’amore
finché lo voglia».
Notiamo lo sviluppo del tema naturale:
1. Gli amanti sono equiparati ad un elemento naturale (giglio, melo...)
2. Essi scoprono l’uno nell’altro la rassomiglianza a vari elementi della
creazione (i tuoi occhi sono colombe...)
3. Un aspetto della creazione diventa il significato per esprimere se stessi e il
proprio amore (il campo, la vigna...)
4. Tutta la creazione converge in essi ed essi abitano i campi e le vigne e sono a
loro volta identificati con essi, in essi si confondono e fondono.
80
81
Immagine tipica della poesia amorosa orientale e soprattutto egiziana.
Riferimento erotico ancora all’organo genitale femminile.
38
EPILOGO 8,5-14
L’epilogo è un poema corto che serve a completare il piano dell’opera, infatti
mentre il prologo consisteva di ben 22 versetti, l’epilogo ne conta solo una decina; in esso sono ricapitolati i temi principali del Cantico. È particolarmente
collegato al prologo, ben 26 termini sono comuni ad entrambi, e ci sono molte
ripetizioni anche in contesti paralleli, come ad esempio in 1,5-6 e 8,11-12.
L’effetto complessivo di questi richiami fa si che prologo ed epilogo formino
una inclusione che abbraccia le quattro parti interne della struttura. Inoltre
l’epilogo completa il Cantico riproponendo il tema principale e lasciando gli
uditori con una forte ed emotiva impressione sulla natura e il potere dell’Amore.
L’epilogo costituisce una unità letteraria il cui fattore unificante principale è la
persona della donna: è lei che parla (versetti 5-7, 12 e 14), alla quale parlano
(versetto 14) e della quale parlano (versetti 5, 8 e 9); altro fattore unificante è
una serie di immagini di chiusura: l’abbraccio, un sigillo, una città fortificata,
una vigna, un giardino.
Il brano finale si apre con l’immagine del deserto e un grido di meraviglia che ci
riconducono a 3,6ss: l’apparizione della lettiga di Salomone che porta la sposa.
Entrambi costituiscono una transizione, un cambio di immagine e di contesto, è
chiaro quindi il passaggio ad una nuova sezione, quella finale. Viene presentato
un movimento di salita rispetto allo “stare”, al “riposo” del ritornello precedente.
Siamo all’aperto e il brano si apre con un grido che annuncia l’arrivo della
donna, l’interesse si concentra sulla coppia che entra in scena, ma il soggetto che
agisce e parla è sempre Rahjatì. Segue un importante annuncio della donna:
finalmente l’Amore si è svegliato! Rahjatì ha risvegliato il suo Dodì attraverso
l’esperienza amorosa e per questo è paragonata alla madre che lo ha generato,
che gli ha dato la vita (amore = vita): Dodì è rinato grazie all’amore della sua
Rahjatì. I ripetuti inviti a non svegliare l’amore che hanno accompagnato tutto il
poema (2,7; 3,5; 8,4) sono in realtà l’invito a non banalizzarlo, a non svilire la
sua forza capace di dare inizio ad una nuova creazione. Una relazione d’amore è
definita come una forza creativa che richiede un legame indissolubile di mutuo
impegno.
8,5
«Chi è colei che sale dal deserto,
appoggiata al suo Dodì?» 82
«Sotto il melo ti ho risvegliato,
là, dove ti concepì tua madre,
là, dove ebbe il travaglio e ti partorì. 83
82
83
Il soggetto di questo grido sembra essere un coro, forse le Figlie di Gerusalemme.
Molti autori, è già stato accennato, preferiscono cambiare il testo ebraico di 8,5
trasformando i suffissi al femminile, rifacendosi alla vocalizzazione operata dalle traduzioni
antiche. L’attore e il soggetto parlante diverrebbe allora l’uomo, in contrasto con il testo
originale ebraico e il contenuto di tutto il Cantico, che mostra una preminenza dell’iniziativa
da parte della donna.
39
I due versetti che seguono sono considerati dai commentatori moderni il vertice
del Cantico ed anche la chiave di lettura di questo, in quanto affermano il
significato dell’Amore, permettendo di rileggere il rapporto uomo-donna inserito
nella creazione e quindi considerarlo vitale, buono e positivo. Questi versetti
dimostrano che l’interpretazione letterale del testo in chiave antropologica è non
solo possibile, ma rispecchia le intenzioni dell’autore del Cantico e si ricollega
alla letteratura sapienziale. Per di più il versetto 8,6c-7b costituisce una unità e
usa il vivido e terso stile sapienziale del mashal84.
L’unione raggiunge ora il suo livello più profondo. Come l’Amore crea una
nuova vita, così contende con il potere distruttivo della Morte e degli Inferi.
L’uso dell’articolo definito e insieme l’attribuzione di forza, indica una
personificazione della Morte e poiché l’Amore vi è paragonato, è pure
personificato. L’Amore è qui trasformato in una grande e potente realtà.
Dopo aver proclamato la nuova vita che viene dall’amore ecco che viene
affermata la sua forza e la sua tenacia, capace di vincere il mondo del male e del
caos rappresentati da Morte, Inferno e Dardo, personificazione degli dei degli
inferi cananei: Mawet (morte), Sheol (inferno), Réshep (freccia, dardo). C’è un
crescendo da Amore a Passione, da Morte a Inferno, e infine compare nel climax
il nome divino di Dio: shalhébet jàh, la fiamma di Dio o anche il fulmine,
restando volutamente ambiguo il riferimento, quasi che questa presenza del
creatore nell’amore tra l’uomo e la donna debba essere discreto per non togliere
la libertà dell’incontro.
8,6
Mettimi come sigillo 85 sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio,
poiché l’Amore è forte come la Morte,
la Passione 86 potente come l’Inferno,
le sue frecce 87 sono frecce di fuoco,
fiamma di Jahvè!
84
Il mashal è l’”unità base” della meditazione sapienziale, una breve e incisiva riflessione sul
mondo e sulla vita in base al messaggio della Torah,. Il mashal è espresso attraverso due stichi
paralleli nel significato.
85 Un sigillo era fatto di metallo o pietra ed era appeso ad una corda legata al collo, oppure era
un anello portato sulla mano destra. Segno legale di identificazione, spesso era di materiale
prezioso o semi prezioso ed era tra i possessi di valore di una persona, il sigillo autentificava
(1 Re 21,8), univa (Gb 41,7), definiva la persona (Ger 22,24). L’Amata vuole dunque essere
lo stesso “io” del Diletto, la sua “carta d’identità”, la sua stessa persona; chiede che
l’intelligenza, la volontà, l’affettività e l’intera personalità dell’uno, si trasfondano, si leghino
all’altro in una piena simbiosi.
86 Il termine ebraico qinàh designa una varietà di forti emozioni, rabbia, invidia, gelosia,
furia e qui, in parallelo con Amore, l’istinto sessuale che è una delle più forti tendenze
dell’uomo; la miglior traduzione sembra dunque “passione”.
87 Il termine ebraico réshep, tradotto con dardo, freccia, evoca il nome di un Dio cananeo
sotterraneo, che si pensava riuscisse ad emettere “scariche” infiammanti la superficie della
terra, causando epidemie e stragi.
40
Il versetto che segue conferma la personificazione divina tramite l’immagine
delle “grandi acque” che “non possono spegnere l’Amore” ed il suo parallelo
“né possono i fiumi spazzarlo via”. Esse appartengono al linguaggio mitico di
Israele, il loro riferimento primario è alla battaglia di Yahweh contro i mostri
marini Rahav o Leviatan; l’immagine è quella delle acque del caos che Dio deve
mettere in ordine nella creazione. Gli dei della morte, secondo i miti cananei,
hanno il loro regno nelle profondità e nel caos delle grandi acque.
Il potere dell’Amore è comparato agli elementi primordiali del fuoco e
dell’acqua; la vittoria dell’Amore sulle “grandi acque” è perciò ancora la
vittoria di una forza positiva sul male cosmico.
8,7
Le grandi acque non possono
spegnere l’amore,
né i fiumi spazzarlo via.
Se un uomo desse tutte le ricchezze della sua casa
per l’amore, sarebbe disprezzato?»
Questi tre versetti del Cantico che abbiamo analizzato mostrano di che genere di
amore si sta trattando: una forza dinamica e vitale, un fattore irresistibile, un
potere divino che unisce un uomo ed una donna in una relazione esclusiva e
durevole.
Il Cantico non dipinge l’amore in vista della procreazione o del matrimonio, ma
approfondisce la relazione d’amore tra uomo e donna in sé e per sé, presentandola fine a se stessa e positiva, tanto da attribuirle il “marchio di garanzia"
di Dio stesso. Il Cantico mostra come i due amanti si rapportano l’un l’altro: si
chiamano, rispondono, si scoprono con un movimento a spirale che si
approfondisce piano piano. Segno di questo approfondimento è lo specchiarsi
l’uno nell’altro, attraverso immagini attribuite ora all’uno ora all’altro e
indicanti una unione che scende a livelli sempre più profondi. L’aspetto fisico è
sempre presente e forte, indispensabile, anche se è solo parte di un rapporto più
ricco. Il termine “erotico” frequentemente usato per descrivere il Cantico,
significa appunto il rapporto amoroso compreso in tutti i suoi aspetti, fisici e
spirituali, passionali e di donazione reciproca, e in quanto fautori di piacere e di
gioia.
Questo breve, ma intenso poema è perciò un inno che celebra la potenza e la
gioia dell’Amore, la realtà più grande che l’uomo possegga: “nell’aldiqua
dell’amore umano si gusta la primizia della vita intangibile ed indistruttibile di
Dio stesso” 88.
88
RAVASI, Cantico, 149.
41
Ritornano i fratelli che devono custodire la donna e pronunciano una frase di
disprezzo nei suoi confronti: è troppo giovane e quando ci saranno le trattative
matrimoniali (si parlerà di lei) non ci saranno molte possibilità che ella trovi
marito: qui c’è l’allusione anche ai suoi trascorsi e alla sua estrema libertà nel
rapporto amoroso. Tornano le immagini di chiusura (muro, recinto, porta, tavole
di cedro).
8,8
8,9
«Nostra sorella è giovane, non ha seni.
Che faremo di nostra sorella,
nel giorno in cui si parlerà di lei?
Se fosse un muro,
le costruiremmo intorno un recinto d’argento;
se fosse una porta,
la chiuderemmo con tavole di cedro».
La donna risponde volgendo a proprio favore le immagini di chiusura e militari
dei versetti precedenti poi risolve la tensione tra sé e i fratelli ponendosi come
portatrice di pace e colei che trova pace (entrambi i significati sono ugualmente
e volutamente possibili). Inoltre la parola pace, shalòm, si collega con il
Salomone (shlomòh in ebraico) del seguito.
8,10
«Io sono un muro 89 e i miei seni sono come torri!
Così ero ai suoi occhi: colei che dà pace!
Viene ripreso il tema della vigna dell’introduzione, ma si passa dal “la mia
vigna non l’ho guardata” di 1,6 al “la mia vigna è per me” di 8,12.
La donna è ora valorizzata e il cammino amoroso che ha percorso è servito a
donarle la consapevolezza del suo valore, l’essere posseduta dal suo amante ha
significato raggiungere l’autopossesso e il rifiuto di ogni compromesso.
8,11
8,12
Una vigna aveva Salomone in Baal-Hamòn 90,
affidò la vigna ai guardiani,
ciascuno gli doveva portare per il suo frutto
mille pezzi d’argento.
La mia vigna, proprio la mia, è per me,
a te, Salomone, i mille pezzi
e duecento ai guardiani del suo frutto!»
89
90
È anche affermazione di verginità.
Significa "signore (o marito) di una moltitudine" e si collega con il Bat-Rabbim della donna
in 7,5.
42
Si passa dalla vigna ai giardini, entrano in gioco come nell’introduzione i
compagni dell’amato e viene fatto un invito alla donna perché lanci il suo
messaggio che chiuda il poema, così come il suo grido di desiderio l’aveva
aperto (colei che giace nei giardini è evidentemente la donna).
8,13
«Tu che giaci nei giardini,
i compagni stanno ascoltando,
fammi sentire la tua voce!»
La donna invita il suo Dodì ad andare ancora una volta da lei lasciando i
compagni. Viene riproposto l’allontanamento a cui seguirà il ritorno secondo la
dinamica dei loro rapporti amorosi: lontananza, incontro, intimità, crescita. Non
esiste un punto di arrivo nel cammino di due amanti.
8,14
«Scappa, mio Dodì,
sii come una gazzella
o un cerbiatto,
sui monti degli aromi!».
43
Interpretazione
Prima di ripercorrere i tratti principali di questo meraviglioso poema per
comprenderne appieno lo sviluppo e il messaggio, è necessario ricordare lo
stretto legame che il Cantico ha con la letteratura sapienziale. È in questo ambito
che il nostro poema è stato scritto, lo dimostrano il mashal del capitolo ottavo
(8,6), considerato la chiave di lettura del Cantico, l’attribuzione dell’opera a
Salomone e i parallelismi con altri testi sapienziali biblici ed extrabiblici,
soprattutto con i libri della Genesi e dei Proverbi. In questi ultimi due testi
l’amore uomo-donna è presentato come una realtà buona e positiva, inserita in
una creazione che è dono stupendo di Dio, così come il Cantico esalta l’amore
umano donandoci alcune tra le più belle immagini naturali di tutta la Bibbia91.
Dodì e Rahjatì si muovono in un giardino dell’Eden dove si contemplano,
descrivendosi a vicenda con paragoni che traggono dal mondo meraviglioso intorno a loro. Esiste un forte legame tra gli amanti e la natura che li circonda, non
tanto per l’utilità della natura stessa in vista della sopravvivenza, ma in quanto
fonte di ispirazione amorosa, di contemplazione estetica appagante.
La bella e focosa Rahjatì ci sconcerta a causa del suo comportamento libero ed
emancipato, considerando soprattutto la cultura mediorientale da cui proviene il
poema e nella quale una donna aveva pochissima libertà e autonomia, essendo
ritenuta più che altro proprietà privata del marito e degli altri maschi della
famiglia. Eppure Rahjatì ha sempre l’iniziativa in tutto lo sviluppo del rapporto
amoroso, è lei al centro dell’attenzione all’inizio del poema, nel finale e nei
passaggi principali, lei sblocca le situazioni di separazione e porta al culmine gli
amplessi, arrogandosi infine il merito di aver ridato nuova vita al suo amante. I
fratelli che cercano di controllarla e dominarla sono scavalcati e ignorati dalla
donna. È evidente che non è possibile una interpretazione banale di questo
comportamento, non si tratta cioè di una donna eccezionalmente autonoma ma,
attraverso la libertà di Rahjatì, l’autore ci vuole comunicare un importante
messaggio e proprio il legame con i libri sapienziali ci aiuta a capire quale esso
sia. Nel libro dei Proverbi e nel libro di Giobbe92 la sapienza, che l’uomo deve
cercare di acquisire e possedere, viene personificata e diventa la “donna
Sapienza” che chiama agli angoli delle strade coloro che vogliono ascoltarla e
prepara banchetti per gli uomini che aderiscono alla sua chiamata, ma questa
stessa “donna Sapienza” viene mostrata presente accanto a Dio quando veniva
91
92
Si pensi soltanto a Ct 2,10-14.
Prov 8,22-31; Gb 28,23-28 per citare solo i due più famosi.
44
creato il mondo. Infatti questa personificazione introduce una mediazione tra la
creazione e Dio, del quale si vuole salvaguardare la trascendenza e santità. Il
Dio della Bibbia, secondo la letteratura sapienziale, non è entrato direttamente in
contatto col mondo materiale, ma si è servito della Sapienza come di uno
strumento per ordinare il creato. Attraverso di essa Dio ha impresso il suo
marchio nel mondo e l’uomo può riconoscere in esso i segni che svelano chi è il
vero autore del creato e, con una implicazione etica, apprende come vivere e
comportarsi. Il libro del Siracide, al capitolo 24 esprime molto chiaramente
questa visione e notiamo anche come appaiono immagini naturali che ricordano
quelle del Cantico (Sir 24,1-21):
[1] La sapienza loda se stessa,
si vanta in mezzo al suo popolo.
...
[3] «Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo
e ho ricoperto come nube la terra.
[4] Ho posto la mia dimora lassù,
il mio trono era su una colonna di nubi.
...
[9] Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi creò;
per tutta l’eternità non verrò meno.
...
[13] Sono cresciuta come un cedro sul Libano,
come un cipresso sui monti dell’Ermon.
[14] Sono cresciuta come una palma in Engaddi,
come le piante di rose in Gerico,
come un ulivo maestoso nella pianura;
sono cresciuta come un platano.
[15] Come cinnamòmo e balsamo ho diffuso profumo;
come mirra scelta ho sparso buon odore;
come gàlbano, ònice e storàce,
come nuvola di incenso nella tenda.
[16] Come un terebinto ho esteso i rami
e i miei rami son rami di maestà e di bellezza.
[17] Io come una vite ho prodotto germogli graziosi
e i miei fiori, frutti di gloria e ricchezza.
[18] Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate,
e saziatevi dei miei prodotti.
[19] Poiché il ricordo di me è più dolce del miele,
il possedermi è più dolce del favo di miele.
[20] Quanti si nutrono di me avranno ancora fame
e quanti bevono di me, avranno ancora sete.
[21] Chi mi obbedisce non si vergognerà,
chi compie le mie opere non peccherà».
Per noi è importante verificare che esiste una stretta somiglianza tra la personificazione della Sapienza a cui abbiamo appena accennato e la
personificazione dell’Amore come appare nel Cantico. Da questa si deduce che
45
il Creatore ha lasciato il suo segno o meglio il suo “sigillo”, usando il linguaggio
del poema, anche nell’amore uomo-donna e attraverso di esso è possibile risalire
all’Amore sommo, fonte di ogni altro. L’iniziativa 93 nei libri sapienziali biblici
è sempre di “donna Sapienza”, proprio come nel Cantico è sempre l’amata che
guida il gioco dell’amore.
Possiamo dire perciò che Rahjatì è segno e garanzia della presenza di Dio nella
manifestazione dell’amore umano, lei è lo strumento privilegiato dell’azione di
Dio nel cammino degli amanti, mentre non simboleggia, come avverrebbe nella
interpretazione allegorica, Dio stesso o il popolo.
Anche se Dio è nominato espressamente solo in 8,6, egli è presente in tutto lo
svolgimento del poema, basti pensare ai giuramenti che velano il suo nome, e il
culmine dell’opera è la scoperta del potere vitale dell’amore che non può che
provenire dal Creatore stesso. Ecco perché possiamo chiamare il Cantico
sublime: “il Canto della vita”.
Nel prologo si racconta dell’innamoramento della coppia. L’inizio è repentino:
Rahjatì grida di desiderio per il suo amato e pronuncia una passionale
dichiarazione d’amore nei suoi confronti. Presenta poi se stessa e si proclama
libera di scegliere il proprio destino nonostante le costrizioni dei fratelli. Quindi
parte alla ricerca dell’amato e lo trova grazie ai compagni di lui. Dodì resta
sorpreso e rapito dalla bellezza e dalla passionalità della donna. I due amanti
entrano allora nell’intimità e si dichiarano vicendevolmente la propria
ammirazione per la reciproca bellezza, mentre l’amplesso viene consumato nella
casa del vino, luogo usuale per l’intimità nell’ambiente pagano mediorientale
nel quale la sessualità era vissuta come affermazione della vita sulla morte e
quindi anche attraverso libazioni e banchetti sacri, anche se la citazione nel
Cantico tocca solo l’aspetto ambientale. Il prologo si chiude con i due amanti
uniti.
I rapporti sessuali costituiscono in tutto il poema il vertice del cammino
amoroso, il punto verso cui tutto tende e dal quale si riparte con una nuova
consapevolezza e maturità. Il rapporto dei due amanti comunque, anche se
passionale e intenso, è ancora incerto, l’uomo e la donna cominciano soltanto a
conoscersi e, anche se già si giunge all’intimità, si sente la mancanza della piena
soddisfazione del desiderio amoroso.
93
ad esempio Prov 8,1ss; 9,3-6.
46
L la prima parte si apre con l’arrivo di Dodì presso la casa dell’amata. Viene
descritto l’ambiente nel quale si svolge la storia d’amore, cioè la bellissima
natura che circonda gli amanti. La donna viene vista come una colomba
custodita e nascosta nella casa e Dodì la invita ad andare da lui. Qualcosa però
disturba la realizzazione del desiderio dell’uomo e, dopo un fuggevole incontro,
c’è una nuova separazione. La donna è difficilmente raggiungibile, non per sua
volontà, ma a causa di qualcuno che la tiene rinchiusa. Ma la stessa Rahjatì
desidera il ricongiungimento e inizia la ricerca dell’amato perduto. Alla fine,
dopo l’incontro con i guardiani della città, avviene il ritrovamento. È l’iniziativa
della donna che esce dalla sua prigionia e affronta la città e i suoi guardiani a
permettere il ricongiungimento. Ella porta l’amato nella casa di sua madre per
consumare l’amplesso. Da notare che ancora una volta l’intimità viene raggiunta
in un luogo fissato dalla donna, verso il quale lei porta il suo amante. Il
susseguirsi delle situazioni è complesso e tortuoso, quasi per rappresentare
letterariamente la difficoltà del cammino amoroso.
La seconda parte inizia con una immagine spettacolare: Rahjatì arriva dal
deserto quasi fosse una dea ed è possibile vedere in lei l’immagine del Dio
dell’Esodo che porta in salvo il suo popolo. Ella è la sposa e la regina che
raggiunge il suo re Salomone. Lo sposo accoglie nella gioia la sua sposa che è
stata protetta e custodita da valorosi guerrieri e ne contempla la bellezza. Quindi
la donna viene descritta usando immagini del mondo naturale e militare. Si ode
ancora come nella prima parte la voce dello sposo-Dodì, mentre cresce il suo
desiderio di possedere la donna, la quale appare ora irraggiungibile, ora sorgente
inesauribile di doni. Rahjatì rompe ancora una volta gli indugi e invita il suo
amato a possederla. L’amplesso avviene questa volta in un giardino. Siamo
ormai nel cuore del poema. Dodì descrive la sua sposa con immagini possenti,
mentre cresce l’intensità e la qualità del desiderio. Il cammino si sta
approfondendo e il possesso finale della seconda parte è grandioso, degno di una
festa di nozze ben riuscita, ma non siamo ancora alla fine.
Con una transizione sfumata entriamo nella terza parte. Siamo di notte e a letto,
arriva Dodì che chiama la sua Rahjatì, ma a causa dell’indecisione della donna
lui si allontana. Ella inizia allora ancora una volta la ricerca, ma senza trovare il
suo amato in quanto i guardiani glielo impediscono e la maltrattano. Rahjatì
supplica allora le figlie di Gerusalemme perché proseguano loro nella ricerca e
descrive il suo amato per invogliarle a trovarlo. Segue il ricongiungimento e
l’unione che viene consumata ancora, come nella parte precedente, nel giardino.
La terza parte ricalca nella struttura la prima. Dopo un primo fugace ma ardente
47
incontro assistiamo alla ricerca disperata dell’amato da parte della donna.
Affiorano ancora una volta gli ostacoli che impediscono il ricongiungimento, ma
ora sembrano provenire da incertezze degli amanti stessi, una specie di crisi
interna dopo le grandi gioie della seconda parte, affiora perciò la necessità di
costruire in profondità il rapporto. La donna descrive a lungo il suo Dodì,
mentre l’incontro finale è raccontato sinteticamente, quasi fosse senza
importanza, per indicare il subitaneo passaggio alla tappa successiva che risulta
per questo maggiormente unita alla terza.
Lo sviluppo tematico prosegue ancora, ma ora si entra nella parte finale, la
quarta, e giunge l’affermazione dell’unicità e dell’esclusività dell’amore tra gli
amanti. Siamo passati dalle incertezze dell’inizio alla chiarezza degli intenti. Gli
ostacoli sono quasi scomparsi. La crisi della parte precedente si sta risolvendo e
ha portato a pienezza il rapporto. In questa ultima parte gli amanti sono sempre
insieme e la donna mostra la sua bellezza a tutti. Ella appare grandiosa e terribile
iniziando poi a danzare. Dodì, contemplando la sua donna, intona un nuovo
canto d’amore. Si susseguono gli inviti reciproci al possesso, mentre cresce
smisuratamente la passione e l’erotismo delle immagini diventa estremamente
intenso. La sessualità è un elemento fondamentale del Cantico, anche l’erotismo
è forte e sempre presente in tutto il poema, ma mai volgare, sempre velato e
subordinato alla tenerezza dell’amore, spesso i termini sono ambigui per non
fare emergere apertamente I rapporti fisici. Come già detto, l’amplesso
rappresenta il vertice verso il quale tende il desiderio ed è la fonte di una più
profonda consapevolezza dell’amore reciproco, la calamita della dinamica
amorosa e allo stesso tempo la fonte del suo approfondimento.
Siamo vicini al culmine: l’uomo e la donna vogliono ora amarsi come mai
hanno fatto e stanno per scoprire il significato del loro amore così forte. La
donna invita Dodì a recarsi in mezzo ai campi per possedersi a vicenda. Ma
prosegue poi con l’invito a recarsi nella casa di sua madre ripetendo quanto
avvenne nella prima parte. La quarta parte si chiude con la consumazione
dell’unione.
Nell’epilogo appare la donna sorretta dal sua amato, stretta intimamente a lui.
Viene spiegato il valore della casa della madre: lì è avvenuto il concepimento
perché l’amore dona nuova vita. Gli amanti vogliono ora fondersi in una sola
persona. L’amore è potente quanto la morte, in esso è presente Dio stesso.
I fratelli vogliono per l’ultima volta riprendere la custodia della donna, ma ella
afferma la sua libertà e maturità: ora Rahjatì ha capito il suo valore e il valore
48
dell’amore. Il poema si chiude con l’invito a riprendere la dinamica allontanamento-avvicinamento-possesso che ha fatto crescere e maturare i due amanti.
Il cammino ha raggiunto la meta, l’uomo e la donna hanno compreso il valore
immenso del loro amore e la sua potenza inaudita. Ora essi sono fedeli l’uno
all’altra e si amano di un amore esclusivo e tenace, per cui le immagini di
chiusura che hanno accompagnato tutto il poema, nel finale assumono il
significato di custodia e di protezione dell’amore così faticosamente costruito.
Ma i due amanti non possono accontentarsi di quanto hanno raggiunto, perché fa
parte dell’amore stesso non essere mai soddisfatto, di alimentarsi nel continuo
incontro-allontanamento della vita di una coppia, del cercarsi, trovarsi e
riperdersi in un cammino costellato di impareggiabili momenti di intimità nei
quali sembra di raggiungere l’immortalità per brevissimi istanti.
Si assiste nello sviluppo del poema ad un approfondimento del rapporto tra gli
amanti e si passa dalla libertà alla fedeltà, dall’incertezza alla sicurezza. È
l’esperienza amorosa che fa da maestra, soprattutto la ricerca e gli amplessi
costituiscono la dinamica più costruttiva. Assai importante è anche l’effetto
specchio: attraverso la persona amata ciascuno conosce e capisce meglio se
stesso. Esiste perciò la crescita dell’autocoscienza mentre ci si apre all’altro e
potremmo qui vedere il prototipo e la chiarificazione della frase evangelica:
“ama il prossimo tuo come te stesso”: non si può amare se non ci si conosce nel
profondo, se non si comprendono le intime aspirazioni del cuore umano, mentre
a sua volta l’esperienza dell’amare aiuta in questa autocomprensione e l’effetto
principale di questa dinamica è la scoperta esaltante che ciascun uomo è fatto
per amare: è questa la rivelazione fondamentale, la pietra angolare della
sapienza umana.L’amore uomo-donna assume dunque un valore assoluto nei
confronti del destino dell’uomo. È un dono che l’uomo ha ricevuto dall’alto e
che lo fa partecipe delle prerogative divine.
L’amore di cui parla il Cantico è dunque inteso come amore totale,
comprendente anche l’aspetto fisico, erotico e passionale, oltre che emotivo e
spirituale. Non esiste un amore sacro contrapposto a un amore profano, cioè un
amore verso Dio, puro e di alto valore, e un amore umano di qualità inferiore,
ma c’è un solo Amore con la A maiuscola nel quale è inserito l’amore uomodonna. Non solo. L’amore di ogni coppia uomo-donna è così forte da riuscire a
vincere le più grandi forze negative del cosmo, quali la Morte ed il Male. Questo
potere ci sembra sconcertante e lontano dalla nostra esperienza amorosa. Ma è il
legame con il Dio-Amore, fonte della vita, che ci permette di attingere all’unica
49
sorgente che può vincere ogni forza negativa: è il potere dell’amore di
sottomettere il male. Nella prospettiva cristiana ciò si realizza pienamente in
Gesù Cristo, morto per amore e risuscitato dalla sorgente della vita: Dio Padre.
Resta un ultimo passaggio da compiere ora che il messaggio del Cantico è stato
chiarito, dobbiamo di nuovo prendere in considerazione la lettura simbolica dei
padri antichi e vedere la sua validità odierna.
Come abbiamo visto all’inizio gli autori cristiani interpretavano allegoricamente
perché vedevano nelle realtà umane terrestri soltanto la prefigurazione di quelle
celesti realmente perfette. Gli ebrei invece riconducevano tutto alla storia e
dovevano per questo forzare l’interpretazione traslandola nel simbolo.
Ora è possibile sintetizzare le due posizioni spostando l’interpretazione sul piano
esistenziale umano: l’amore perfetto e pieno è quello di Dio, mentre l’amore tra
un uomo e una donna è un riflesso di quello, sua allegoria e pallido riflesso,
compimento verso cui tende, pur partecipando della sua forza e del suo potere
inimmaginabile. La poesia inoltre si situa nella storia in quanto l’amore cantato
permette di giungere attraverso l’esperienza dell’uomo, la sua vita, il suo amore,
a conoscere l’amore di Dio, rinnovando a livello personale la storia della
salvezza di Dio con l’uomo. Possiamo perciò recuperare le interpretazioni
antiche e sublimarle in una nuova e potente lettura di questo messaggio di
salvezza che il poema ci consegna.
Possiamo concludere questo nostro cammino di ricerca con l’invito a leggere il
Cantico sublime, a meditarlo e a viverlo, cercandovi l’ispirazione amorosa e il
significato della propria vita. Questo invito si concretizza nelle pagine seguenti
nelle quali viene ripresentata la traduzione del Cantico eseguita dall’autore in
sinossi con la traduzione della Conferenza Episcopale Italiana.
Il Cantico sublime è l’inno eccelso dell’Amore e della Vita di ogni uomo che
ricerca la felicità.
50
Traduzione dell'autore, 1998
Traduzione CEI
[1,1] Cantico sublime, di Salomone.
[1,1] Cantico dei cantici, che è di Salomone.
[1,2] «Mi baciasse con i baci della sua bocca!
Veramente il tuo amore è migliore del vino,
[1,3] del profumo del tuo buon olio.
Un olio profumato tu sei,
per questo le ragazze ti amano.
[1,4] Conducimi dietro a te, corriamo!
Il re mi fa entrare nelle sue stanze:
esultiamo e gioiamo in te,
assaporiamo il tuo amore più del vino,
giustamente ti amano!
[1,5] Nera sono e bella,
figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedàr,
come i padiglioni di Salomone.
[1,6] Non guardatemi se sono abbronzata,
poiché mi ha bruciacchiato il sole.
I figli di mia madre si sono arrabbiati con me,
mi hanno posto (come) guardiana delle vigne;
la mia vigna, proprio la mia, non l’ho guardata.
[1,7] Dimmi, amore mio,
dove fai pascolare (il gregge),
dove (lo) fai riposare a mezzogiorno,
perché io non sia come una prostituta,
dietro i greggi dei tuoi compagni».
[1,8] «Se non lo sai,
o bella tra le donne,
segui le orme del gregge
e conduci le tue caprette
presso le tende dei pastori».
[1,9] «A una cavalla tra i carri del faraone
assomigli, mia Rahjatì.
[1,10] Sono belle le tue guance tra i pendenti,
il tuo collo con un vezzo di perle.
[1,11] Faremo per te pendenti d’oro,
con dischi d’argento».
[1,12] «Mentre il re è sul suo divano,
il mio nardo spande il suo profumo.
[1,13] Il mio Dodì è per me
un sacchetto di mirra,
trascorre la notte tra i miei seni.
[1,14] Il mio Dodì è per me
un grappolo di datteri
nei giardini di En Ghedi».
[1,15] «Come sei bella, mia Rahjatì,
sei veramente bella!
I tuoi occhi sono colombe».
[1,16] «Come sei bello, mio Dodì,
quanto grazioso!
Anche il nostro letto è lussureggiante.
[2] Mi baci con i baci della sua bocca!
Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino.
[3] Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi,
profumo olezzante è il tuo nome,
per questo le giovinette ti amano.
[4] Attirami dietro a te, corriamo!
M’introduca il re nelle sue stanze:
gioiremo e ci rallegreremo per te,
ricorderemo le tue tenerezze più del vino.
A ragione ti amano!
[5] Bruna sono ma bella,
o figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar,
come i padiglioni di Salmah.
[6] Non state a guardare che sono bruna,
poiché mi ha abbronzato il sole.
I figli di mia madre si sono sdegnati con me:
mi hanno messo a guardia delle vigne;
la mia vigna, la mia, non l’ho custodita.
[7] Dimmi, o amore dell’anima mia,
dove vai a pascolare il gregge,
dove lo fai riposare al meriggio,
perché io non sia come vagabonda
dietro i greggi dei tuoi compagni.
[8] Se non lo sai,
o bellissima tra le donne,
segui le orme del gregge
e mena a pascolare le tue caprette
presso le dimore dei pastori.
[9] Alla cavalla del cocchio del faraone
io ti assomiglio, amica mia.
[10] Belle sono le tue guance fra i pendenti,
il tuo collo fra i vezzi di perle.
[11] Faremo per te pendenti d’oro,
con grani d’argento.
[12] Mentre il re è nel suo recinto,
il mio nardo spande il suo profumo.
[13] Il mio diletto è per me
un sacchetto di mirra,
riposa sul mio petto.
[14] Il mio diletto è per me
un grappolo di cipro
nelle vigne di Engàddi.
[15] Come sei bella, amica mia,
come sei bella!
I tuoi occhi sono colombe.
[16] Come sei bello, mio diletto,
quanto grazioso!
Anche il nostro letto è verdeggiante.
51
[1,17] Colonne della nostra casa sono i cedri,
nostro soffitto sono i cipressi.
[2,1] Io sono un narciso della pianura,
un giglio delle valli».
[2,2] «Come un giglio fra i rovi,
così la mia Rahjatì tra le fanciulle».
[2,3] «Come un melo tra gli alberi della foresta,
così il mio Dodì fra i giovani.
Alla sua ombra desidero sedermi,
e il suo frutto è dolce al mio palato.
[2,4] Egli mi ha condotto alla casa del vino
e il suo intento su di me è: amore.
[2,5] Sostenetemi con dolci d’uva passa,
sorreggetemi con mele,
perché sono malata d’amore, io».
[17] Le travi della nostra casa sono i cedri,
nostro soffitto sono i cipressi.
[2,1] Io sono un narciso di Saron,
un giglio delle valli.
[2] Come un giglio fra i cardi,
così la mia amata tra le fanciulle.
[3] Come un melo tra gli alberi del bosco,
il mio diletto fra i giovani.
Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo
e dolce è il suo frutto al mio palato.
[4] Mi ha introdotto nella cella del vino
e il suo vessillo su di me è amore.
[5] Sostenetemi con focacce d’uva passa,
rinfrancatemi con pomi,
perché io sono malata d’amore.
[2,6] «La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia.
[2,7] Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle o per le cerve della steppa,
non incitate né eccitate l’amore,
finché non voglia».
[6] La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia.
[7] Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle o per le cerve dei campi:
non destate, non scuotete dal sonno l’amata,
finché essa non lo voglia.
[2,8] «La voce del mio Dodì!
Eccolo che viene
saltando sui monti,
balzando sulle colline.
[2,9] Ricorda Dodì una gazzella
o un cerbiatto.
Eccolo! Sta dietro il nostro muro,
scruta attraverso la finestra,
sbircia tra i graticci.
[2,10] Risponde Dodì e mi dice:
“Alzati, Rahjatì,
mia bella, e vieni!
[2,11] Perché, ecco, l’inverno è passato,
è finita la stagione delle piogge,
[2,12] i fiori sono apparsi sulla terra,
il tempo del canto è arrivato
e si ode nella nostra terra
la voce della tortora.
[2,13] Il fico ha maturato i suoi frutti
e la vite in fiore spande fragranza.
Alzati, Rahjatì,
mia bella, e vieni!
[2,14] Mia colomba,
dalle fessure del dirupo,
dal rifugio inaccessibile,
mostrami il tuo aspetto,
fammi udire la tua voce,
perché la tua voce è piacevole,
il tuo aspetto meraviglioso”».
[2,15] «Prendeteci le volpi,
le piccole volpi
che distruggono le vigne
[8] Una voce! Il mio diletto!
Eccolo, viene
saltando per i monti,
balzando per le colline.
[9] Somiglia il mio diletto a un capriolo
o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra,
spia attraverso le inferriate.
[10] Ora parla il mio diletto e mi dice:
«Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
[11] Perché, ecco, l’inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n’è andata;
[12] i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
[13] Il fico ha messo fuori i primi frutti
e le viti fiorite spandono fragranza.
Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
[14] O mia colomba,
che stai nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è leggiadro».
[15] Prendeteci le volpi,
le volpi piccoline
che guastano le vigne,
52
e le nostre vigne sono in fiore».
[2,16] «Il mio Dodì è mio e io sono sua,
egli pascola tra i gigli.
[2,17] Mentre declina il giorno
e scompaiono le ombre,
ritorna, Dodì,
somigliante a una gazzella o a un cerbiatto,
sulle montagne di Béter».
perché le nostre vigne sono in fiore.
[16] Il mio diletto è per me e io per lui.
Egli pascola il gregge fra i figli.
[17] Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
ritorna, o mio diletto,
somigliante alla gazzella o al cerbiatto,
sopra i monti degli aromi.
[3,1] «Sul mio letto, di notte,
ho cercato colui che amo,
l’ho cercato, ma non l’ho trovato.
[3,2] Mi alzerò e vagherò per la città,
cercherò colui che amo,
nelle strade e nelle vie.
L’ho cercato, ma non l’ho trovato.
[3,3] Mi hanno trovato le guardie
di ronda nella città
“Avete visto colui che amo?”.
[3,4] Non appena li oltrepassai,
trovai colui che amo.
L’ho afferrato e non lo lascerò
finché non l’abbia fatto entrare
nella casa di mia madre,
nella stanza di lei che mi concepì».
[3,5] «Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle e per le cerve della steppa,
non incitate né eccitate l’amore
finché non voglia».
[3,1] Sul mio letto, lungo la notte,
ho cercato l’amato del mio cuore;
l’ho cercato, ma non l’ho trovato.
[2] «Mi alzerò e farò il giro della città;
per le strade e per le piazze;
voglio cercare l’amato del mio cuore».
L’ho cercato, ma non l’ho trovato.
[3] Mi hanno incontrato le guardie
che fanno la ronda:
«Avete visto l’amato del mio cuore?».
[4] Da poco le avevo oltrepassate,
quando trovai l’amato del mio cuore.
Lo strinsi fortemente e non lo lascerò
finché non l’abbia condotto
in casa di mia madre,
nella stanza della mia genitrice.
[5] Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle e per le cerve dei campi:
non destate, non scuotete dal sonno l’amata
finché essa non lo voglia.
[3,6] «Chi è colei che sale dal deserto
come colonna di fumo,
profumata di mirra e d’incenso
e d’ogni spezia dei mercanti?»
[3,7] «Ecco la lettiga di Salomone,
sessanta guerrieri intorno ad essa,
scelti tra i prodi d’Israele.
[3,8] Tutti armati di spada,
veterani della battaglia,
ciascuno la sua spada al suo fianco
contro i terrori della notte.
[3,9] Una lettiga s’è fatta per sé il re Salomone,
con legno del Libano.
[3,10] Le sue colonne le ha fatte d’argento,
d’oro la sua spalliera,
il suo sedile di porpora,
al suo interno è intarsiato: amore.
Figlie di Gerusalemme, uscite!
[3,11] Venite a vedere, figlie di Sion,
il re Salomone
con la corona che gli diede sua madre,
nel giorno delle sue nozze
e nel giorno della gioia del suo cuore!»
[4,1] «Come sei bella, mia Rahjatì,
come sei bella!
[6] Che cos’è che sale dal deserto
come una colonna di fumo,
esalando profumo di mirra e d’incenso
e d’ogni polvere aromatica?
[7] Ecco, la lettiga di Salomone:
sessanta prodi le stanno intorno,
tra i più valorosi d’Israele.
[8] Tutti sanno maneggiare la spada,
sono esperti nella guerra;
ognuno porta la spada al fianco
contro i pericoli della notte.
[9] Un baldacchino s’è fatto il re Salomone,
con legno del Libano.
[10] Le sue colonne le ha fatte d’argento,
d’oro la sua spalliera;
il suo seggio di porpora,
il centro è un ricamo d’amore
delle fanciulle di Gerusalemme.
[11] Uscite figlie di Sion,
guardate il re Salomone
con la corona che gli pose sua madre,
nel giorno delle sue nozze,
nel giorno della gioia del suo cuore.
[4,1] Come sei bella, amica mia,
come sei bella!
53
I tuoi occhi sono colombe, dietro il tuo velo.
I tuoi capelli sono come un gregge di capre,
che scendono dal monte Ghilad.
[4,2] I tuoi denti sono come un gregge di pecore,
che salgono dal bagno
e tutte sono appaiate,
non ne manca nessuna.
[4,3] Sono un filo scarlatto le tue labbra
e incantevole è la tua bocca,
come spicchio di melagrana il tuo sopracciglio
dietro il tuo velo.
[4,4] Come la torre di Davide il tuo collo,
costruito come un’armeria.
Mille scudi vi sono appesi,
tutti scudi di eroi.
[4,5] I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano fra i gigli.
[4,6] Mentre declina il giorno
e fuggono le ombre,
andrò al monte della mirra
e alla collina dell’incenso.
[4,7] Tutta bella tu sei, mia Rahjatì,
non hai nessun difetto.
[4,8] Con me dal Libano, sposa,
vieni con me dal Libano!
Giungi dalla cima dell’Amanàh,
dalla cima del Senìr e dell’Ermon,
dalle tane dei leoni,
dai nascondigli dei leopardi.
[4,9] Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una sola gemma della tua collana.
[4,10] Come è meraviglioso il tuo amore,
sorella mia, sposa,
il tuo amore è migliore del vino,
e il profumo del tuo olio più di tutti gli aromi.
[4,11] Le tue labbra stillano miele liquido,
sposa,
c’è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti
è come il profumo del Libano.
[4,12] Tu sei un giardino recintato,
sorella mia, sposa,
una piscina proibita,
una fontana che non si può raggiungere.
[4,13] I tuoi germogli sono un boschetto
di melograni
con frutti desiderabili,
cipressi con nardo,
[4,14] nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo
con ogni specie di pianta profumata;
mirra e aloe
con tutti i migliori aromi.
Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono un gregge di capre,
che scendono dalle pendici del Gàlaad.
[2] I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte procedono appaiate,
e nessuna è senza compagna.
[3] Come un nastro di porpora le tue labbra
e la tua bocca è soffusa di grazia;
come spicchio di melagrana la tua gota
attraverso il tuo velo.
[4] Come la torre di Davide il tuo collo,
costruita a guisa di fortezza.
Mille scudi vi sono appesi,
tutte armature di prodi.
[5] I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano fra i gigli.
[6] Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
me ne andrò al monte della mirra
e alla collina dell’incenso.
[7] Tutta bella tu sei, amica mia,
in te nessuna macchia.
[8] Vieni con me dal Libano, o sposa,
con me dal Libano, vieni!
Osserva dalla cima dell’Amana,
dalla cima del Senìr e dell’E`rmon,
dalle tane dei leoni,
dai monti dei leopardi.
[9] Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana!
[10] Quanto sono soavi le tue carezze,
sorella mia, sposa,
quanto più deliziose del vino le tue carezze.
L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi.
[11] Le tue labbra stillano miele vergine,
o sposa,
c’è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti
è come il profumo del Libano.
[12] Giardino chiuso tu sei,
sorella mia, sposa,
giardino chiuso,
fontana sigillata.
[13] I tuoi germogli sono un giardino
di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro con nardo,
[14] nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo
con ogni specie d’alberi da incenso;
mirra e aloe
con tutti i migliori aromi.
54
[4,15] Fontana tra i giardini,
pozza d’acqua corrente
che scende dal Libano».
[4,16] «Lèvati, vento del nord,
e tu, vento del sud, vieni,
soffia sul mio giardino,
si spargeranno i suoi profumi.
Verrà il mio Dodì nel suo giardino
e mangerà i suoi frutti squisiti».
[5,1] «Son venuto nel mio giardino,
sorella mia, sposa,
ho raccolto la mia mirra con spezie,
ho mangiato il mio favo con il miele,
ho bevuto il mio vino con il latte.
Mangiate, amici, bevete,
ubriacatevi d’amore!»
[15] Fontana che irrora i giardini,
pozzo d’acque vive
e ruscelli sgorganti dal Libano.
[16] Lèvati, aquilone,
e tu, austro, vieni,
soffia nel mio giardino,
si effondano i suoi aromi.
Venga il mio diletto nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti.
[1] Son venuto nel mio giardino,
sorella mia, sposa,
e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;
mangio il mio favo e il mio miele,
bevo il mio vino e il mio latte.
Mangiate, amici, bevete;
inebriatevi, o cari.
[5,2] «Io dormo, ma il mio cuore è sveglio.
Un rumore! Il mio diletto bussa:
“Aprimi, sorella mia, mia Rahjatì,
mia colomba, perfetta mia,
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei capelli sono umidi per la notte”.
[5,3] Mi sono tolta la tunica,
come l’indosserò?
Ho lavato i miei piedi,
come li sporcherò?
[5,4] Il mio Dodì ha introdotto
la mano nell’apertura
e i miei visceri si sono eccitati per lui.
[5,5] Mi sono alzata per aprire al mio Dodì
e la mia mano gocciolava mirra,
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
[5,6] Ho aperto al mio Dodì,
ma il mio Dodì
se n’era andato.
Io venni meno quando egli se ne andò.
L’ho cercato, ma non l’ho trovato,
l’ho chiamato, ma non m’ha risposto.
[5,7] Mi hanno trovato le guardie
che giravano per la città,
mi hanno colpito, mi hanno ferito,
mi hanno tolto il velo,
i guardiani delle mura.
[5,8] Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate il mio Dodì,
che cosa gli direte?
Che sono malata d’amore!»
[5,9] «Che cos’ha il tuo Dodì più di un altro,
o bella fra le donne?
Che cos’ha il tuo Dodì più di un altro,
perché così ci scongiuri?»
[5,10] «Il mio Dodì è colorito e rosso,
si distingue fra mille.
[2] Io dormo, ma il mio cuore veglia.
Un rumore! E` il mio diletto che bussa:
«Aprimi, sorella mia, mia amica,
mia colomba, perfetta mia;
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne».
[3] «Mi sono tolta la veste;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?».
[4] Il mio diletto ha messo
la mano nello spiraglio
e un fremito mi ha sconvolta.
[5] Mi sono alzata per aprire al mio diletto
e le mie mani stillavano mirra,
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
[6] Ho aperto allora al mio diletto,
ma il mio diletto gia se n’era andato,
era scomparso.
Io venni meno, per la sua scomparsa.
L’ho cercato, ma non l’ho trovato,
l’ho chiamato, ma non m’ha risposto.
[7] Mi han trovato le guardie
che perlustrano la città;
mi han percosso, mi hanno ferito,
mi han tolto il mantello
le guardie delle mura.
[8] Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate il mio diletto,
che cosa gli racconterete?
Che sono malata d’amore!
[9] Che ha il tuo diletto di diverso da un altro,
o tu, la più bella fra le donne?
Che ha il tuo diletto di diverso da un altro,
perché così ci scongiuri?
[10] Il mio diletto è bianco e vermiglio,
riconoscibile fra mille e mille.
55
[5,11] Il suo capo è oro fino,
i suoi riccioli sono mossi,
neri come il corvo.
[5,12] I suoi occhi sono come colombe
presso ruscelli d’acqua,
che si bagnano nel latte,
sedute sul bordo.
[5,13] Le sue guance
sono come un letto di aromi,
erbe profumate che germogliano;
le sue labbra sono come gigli,
che gocciolano mirra liquida.
[5,14] Le sue braccia sono verghe d’oro,
piene di gemme preziose.
Il suo tronco tornito è d’avorio,
tempestato di lapislazzuli.
[5,15] Le sue gambe, colonne di alabastro,
sono poste su piedestalli d’oro.
Il suo aspetto è quello del Libano,
pregiato come i cedri.
[5,16] Il suo palato è dolcissimo
e tutto in lui è desiderabile
Questo è il mio Dodì e questo è il mio compagno,
figlie di Gerusalemme».
[6,1] «Dov’è andato il tuo diletto,
o bella fra le donne?
Dove se n’è andato il tuo Dodì,
perché lo cerchiamo con te?»
[6,2] «Il mio Dodì è sceso nel suo giardino,
fra le aiuole dei profumi,
per pascolare nei giardini
e raccogliere gigli».
[11] Il suo capo è oro, oro puro,
i suoi riccioli grappoli di palma,
neri come il corvo.
[12] I suoi occhi, come colombe
su ruscelli di acqua;
i suoi denti bagnati nel latte,
posti in un castone.
[13] Le sue guance,
come aiuole di balsamo,
aiuole di erbe profumate;
le sue labbra sono gigli,
che stillano fluida mirra.
[14] Le sue mani sono anelli d’oro,
incastonati di gemme di Tarsis.
Il suo petto è tutto d’avorio,
tempestato di zaffiri.
[15] Le sue gambe, colonne di alabastro,
posate su basi d’oro puro.
Il suo aspetto è quello del Libano,
magnifico come i cedri.
[16] Dolcezza è il suo palato;
egli è tutto delizie!
Questo è il mio diletto, questo è il mio amico,
o figlie di Gerusalemme.
[1] Dov’è andato il tuo diletto,
o bella fra le donne?
Dove si è recato il tuo diletto,
perché noi lo possiamo cercare con te?
[2] Il mio diletto era sceso nel suo giardino
fra le aiuole del balsamo
a pascolare il gregge nei giardini
e a cogliere gigli.
[6,3] «Io sono del mio Dodì
e il mio Dodì è mio,
egli pascola tra i gigli».
[3] Io sono per il mio diletto
e il mio diletto è per me;
egli pascola il gregge tra i gigli.
[6,4] «Tu sei bella, mia Rahjatì,
come Tirza, bella come Gerusalemme,
splendida come trofei di guerra.
[6,5] Volgi a me i tuoi occhi,
perché mi eccitano.
I tuoi capelli sono come un gregge di capre
che scendono da Ghilad.
[6,6] I tuoi denti come un gregge di pecore
che salgono dal bagno
e sono tutte appaiate
non ne manca nessuna.
[6,7] Come uno spicchio di melagrana
il tuo sopracciglio, dietro il tuo velo.
[6,8] Sessanta sono le regine,
ottanta le concubine
e le fanciulle sono senza numero.
[6,9] Unica è la mia colomba, la mia perfetta,
ella è l’unica di sua madre,
[4] Tu sei bella, amica mia,
come Tirza,, leggiadra come Gerusalemme,
terribile come schiere a vessilli spiegati.
[5] Distogli da me i tuoi occhi:
il loro sguardo mi turba.
Le tue chiome sono come un gregge di capre
che scendono dal Gàlaad.
[6] I tuoi denti come un gregge di pecore
che risalgono dal bagno.
Tutte procedono appaiate
e nessuna è senza compagna.
[7] Come spicchio di melagrana la tua gota,
attraverso il tuo velo.
[8] Sessanta sono le regine,
ottanta le altre spose,
le fanciulle senza numero.
[9] Ma unica è la mia colomba la mia perfetta,
ella è l’unica di sua madre,
56
la preferita della sua genitrice.
L’hanno vista le ragazze e l’hanno detta beata,
l’hanno lodata regine
e concubine».
[6,10] «Chi è costei che sorge come l’aurora,
bella come “la bianca”,
fulgida come “il rovente”,
splendida come trofei di guerra?».
[6,11] «Sono sceso nel boschetto dei noci,
per vedere il verdeggiare della valle,
per vedere germogliare la vite,
fiorire i melograni».
[6,12] «Prima che me ne rendessi conto
il mio desiderio mi ha fatto salire sul carro
con un principe».
[7,1] «Volgiti, volgiti, Shulamit,
volgiti, volgiti: vogliamo ammirarti».
«Che cosa ammirate della Shulamit
nella danza dei due accampamenti?».
[7,2] «Come sei bella, i tuoi piedi
calzàti, figlia di principe!
Le curve dei tuoi fianchi sono come monili,
opera di mani d’artista.
[7,3] I tuoi genitali come un vaso profondo
(che) non manca mai di vino drogato.
Il tuo ventre è un mucchio di grano,
circondato da gigli.
[7,4] I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di gazzella.
[7,5] Il tuo collo come una torre d’avorio;
i tuoi occhi sono come le piscine di Chesbòn,
presso la porta di Bat-Rabbìm;
il tuo naso come la torre del Libano
che guarda verso Damasco.
[7,6] Il tuo capo si erge come il Carmelo
i lunghi capelli del tuo capo
sono come la porpora,
un re è catturato dall’ondeggiare dei capelli.
[7,7] Come sei bella e come sei graziosa,
amore, figlia di delizie!
[7,8] La tua statura ricorda una palma
e i tuoi seni i grappoli.
[7,9] Ho detto: “Salirò sulla palma,
afferrerò con forza i suoi frutti!”
Siano i tuoi seni come grappoli d’uva
e il profumo del tuo respiro come di mele».
[7,10] «Il tuo palato sia come vino squisito,
che scorre dritto verso il mio Dodì
e fluisce sulle labbra e sui denti!
[7,11] Io sono del mio Dodì
e il suo desiderio è per me.
[7,12] Vieni, mio Dodì, andiamo in campagna,
passiamo la notte tra i cipressi.
[7,13] Andremo nelle vigne;
vedremo se fiorisce la vite,
la preferita della sua genitrice.
L’hanno vista le giovani e l’hanno detta beata,
le regine e le altre spose
ne hanno intessuto le lodi.
[10] «Chi è costei che sorge come l’aurora,
bella come la luna,
fulgida come il sole,
terribile come schiere a vessilli spiegati?».
[11] Nel giardino dei noci io sono sceso,
per vedere il verdeggiare della valle,
per vedere se la vite metteva germogli,
se fiorivano i melograni.
[12] Non lo so,
ma il mio desiderio
mi ha posto sui carri di Ammi-nadìb.
[1] «Volgiti, volgiti, Sulammita,
volgiti, volgiti: vogliamo ammirarti».
«Che ammirate nella Sulammita
durante la danza a due schiere?».
[2] «Come son belli i tuoi piedi
nei sandali, figlia di principe!
Le curve dei tuoi fianchi sono come monili,
opera di mani d’artista.
[3] Il tuo ombelico è una coppa rotonda
che non manca mai di vino drogato.
Il tuo ventre è un mucchio di grano,
circondato da gigli.
[4] I tuoi seni come due cerbiatti,
gemelli di gazzella.
[5] Il tuo collo come una torre d’avorio;
i tuoi occhi sono come i laghetti di Chesbòn,
presso la porta di Bat-Rabbìm;
il tuo naso come la torre del Libano
che fa la guardia verso Damasco.
[6] Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo
e la chioma del tuo capo
è come la porpora;
un re è stato preso dalle tue trecce».
[7] Quanto sei bella e quanto sei graziosa,
o amore, figlia di delizie!
[8] La tua statura rassomiglia a una palma
e i tuoi seni ai grappoli.
[9] Ho detto: «Salirò sulla palma,
coglierò i grappoli di datteri;
mi siano i tuoi seni come grappoli d’uva
e il profumo del tuo respiro come di pomi».
[10] «Il tuo palato è come vino squisito,
che scorre dritto verso il mio diletto
e fluisce sulle labbra e sui denti!
[11] Io sono per il mio diletto
e la sua brama è verso di me.
[12] Vieni, mio diletto, andiamo nei campi,
passiamo la notte nei villaggi.
[13] Di buon mattino andremo alle vigne;
vedremo se mette gemme la vite,
57
sbocciano i fiori,
fioriscono i melograni:
là ti darò il mio amore!
[7,14] Le mandragore spandono profumo
e sulle nostre porte ogni delizia,
nuova e antica, mio Dodì
l’ho serbata per te.
[8,1] Oh se tu fossi un mio fratello,
allattato al seno di mia madre!
Trovandoti all’esterno ti bacerei
senza che alcuno mi disprezzi.
[8,2] Ti porterò e condurrò
alla casa di mia madre,
colei che mi concepì.
Ti farò bere del vino drogato,
del succo della mia melagrana».
se sbocciano i fiori,
se fioriscono i melograni:
là ti darò le mie carezze!
[14] Le mandragore mandano profumo;
alle nostre porte c’è ogni specie di frutti squisiti,
freschi e secchi; mio diletto,
li ho serbati per te».
[1] Oh se tu fossi un mio fratello,
allattato al seno di mia madre!
Trovandoti fuori ti potrei baciare
e nessuno potrebbe disprezzarmi.
[2] Ti condurrei, ti introdurrei
nella casa di mia madre;
m’insegneresti l’arte dell’amore.
Ti farei bere vino aromatico,
del succo del mio melograno.
[8,3] «La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia.
[8,4] Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
non incitate e non eccitate l’amore
finché lo voglia».
[3] La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia.
[4] Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
non destate, non scuotete dal sonno l’amata,
finché non lo voglia.
[8,5] «Chi è colei che sale dal deserto,
appoggiata al suo Dodì?»
«Sotto il melo ti ho risvegliato,
là, dove ti concepì tua madre,
là, dove ebbe il travaglio e ti partorì.
[8,6] Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio,
poiché l’Amore è forte come la Morte,
la Passione potente come l’Inferno,
le sue frecce sono frecce di fuoco,
fiamma di Jahvè!
[8,7] Le grandi acque non possono
spegnere l’amore,
né i fiumi spazzarlo via.
Se un uomo desse
tutte le ricchezze della sua casa per l’amore, sarebbe
disprezzato?»
[8,8] «Nostra sorella è giovane,
non ha seni.
Che faremo di nostra sorella,
nel giorno in cui si parlerà di lei?
[8,9] Se fosse un muro,
le costruiremmo intorno un recinto d’argento;
se fosse una porta,
la chiuderemmo con tavole di cedro».
[8,10] «Io sono un muro
e i miei seni sono come torri!
Così ero ai suoi occhi:
colei che dà pace!
[8,11] Una vigna aveva Salomone
in Baal-Hamòn,
affidò la vigna ai guardiani,
[5] Chi è colei che sale dal deserto,
appoggiata al suo diletto?
Sotto il melo ti ho svegliata;
là, dove ti concepì tua madre,
là, dove la tua genitrice ti partorì.
[6] Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
[7] Le grandi acque non possono
spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell’amore,
non ne avrebbe che dispregio.
[8] Una sorella piccola abbiamo,
e ancora non ha seni.
Che faremo per la nostra sorella,
nel giorno in cui se ne parlerà?
[9] Se fosse un muro,
le costruiremmo sopra un recinto d’argento;
se fosse una porta,
la rafforzeremmo con tavole di cedro.
[10] Io sono un muro
e i miei seni sono come torri!
Così sono ai suoi occhi
come colei che ha trovato pace!
[11] Una vigna aveva Salomone
in Baal-Hamòn;
egli affidò la vigna ai custodi;
58
ciascuno gli doveva portare per il suo frutto
mille pezzi d’argento.
[8,12] La mia vigna, proprio la mia, è per me,
a te, Salomone, i mille pezzi
e duecento ai guardiani del suo frutto!»
[8,13] «Tu che giaci nei giardini,
i compagni stanno ascoltando,
fammi sentire la tua voce!»
[8,14] «Scappa, mio Dodì,
sii come una gazzella
o un cerbiatto,
sui monti degli aromi!».
ciascuno gli doveva portare come suo frutto
mille sicli d’argento.
[12] La vigna mia, proprio mia, mi sta davanti:
a te, Salomone, i mille sicli
e duecento per i custodi del suo frutto!
[13] Tu che abiti nei giardini
- i compagni stanno in ascolto fammi sentire la tua voce.
[14] «Fuggi, mio diletto,
simile a gazzella
o ad un cerbiatto,
sopra i monti degli aromi!».
59
APPENDICE
60
Esempi antichi di esegesi del testo
Vogliamo in questa appendice verificare direttamente come traducono e commentano il Cantico dei Cantici gli autori antichi. Prenderemo in considerazione
due diverse e importanti scuole: l’interpretazione ebraica antica, attraverso il
Targum del Cantico dei Cantici e l’esegesi patristica, attraverso uno dei suoi più
grandi rappresentanti: Origene. Vedremo prima i presupposti dai quali partono
questi interpreti e verificheremo qual è il loro punto di arrivo.
Naturalmente non prendiamo in considerazione tutto il testo del Cantico,
sceglieremo invece due gruppi di versetti significativi: Ct 1,5-6, situato nel
prologo ed interessante per alcuni problemi di traduzione che bene evidenziano i
presupposti interpretativi e Ct 8,5-7, situato nell’epilogo e considerato dalla
maggioranza degli autori moderni la chiave di lettura del Cantico ed il suo
vertice. Attraverso la sua esegesi perciò si riassume un po’ tutta l’interpretazione
del poema.
61
IL TARGUM DEL CANTICO DEI CANTICI
Il Targum del Cantico dei Cantici ha una datazione e un’origine ancora molto
incerte e discusse. La sua composizione è comunque situata tra il V e l’VIII
secolo dopo Cristo, con probabile origine Babilonese ed è un misto di materiale
antichissimo e recente, anche con tracce di influenza araba.
Il termine targum significa semplicemente “traduzione”, oppure “interpretazione” e designa le antiche versioni e parafrasi dei testi sacri composte in aramaico, con l’intento di far comprendere il testo della Sacra Scrittura al popolo
d’Israele, che, dopo l’esilio, parlava soprattutto l’aramaico94 e non più la lingua
ebraica originale.
Queste traduzioni, orali ed improvvisate all’inizio, successivamente scritte, si
sviluppano soprattutto in ambito sinagogale come letteratura anonima.
Un targum non è mai una semplice traduzione del testo sacro, anzi deve
distaccarsi dal testo per non inserirsi in esso, perciò è consapevolmente uno
scritto diverso. Appartiene alla tradizione orale e per questo si mantiene sempre
distinto dalla Scrittura, tanto è vero che nella liturgia sinagogale la lettura del
testo sacro in ebraico doveva sempre precedere la sua traduzione e spiegazione
in aramaico. Il targum è quindi un elemento sussidiario in ordine alla parola di
Dio: è una sua interpretazione.
Da interpreti quali sono, i targumisti non si prefiggono una fedeltà al testo
tradotto, ma ambiscono solo non falsarne il senso e rendere comprensibile ciò
che esso vuole dire. Attraverso il targum il testo biblico manifesta i suoi
contenuti nascosti e si lascia penetrare nelle sue intenzionalità più profonde, è
quanto di meglio si possa avere quindi per comprendere l’interpretazione ebraica
del testo della Scrittura e nel nostro caso del Cantico di Cantici.
La teologia del Targum
I targum sono fedelissimi al criterio interpretativo che vede la rivelazione biblica
essenzialmente connessa con la storia, per cui anche dove un testo sembra non
riferirsi ad un evento storico determinato, essi cercano per forza un fatto al quale
esso possa adattarsi. Questo vale anche per il nostro targum del Cantico, il quale
non viene letto come la celebrazione dell’amore uomo-donna, ma come la
rievocazione concreta della storia d’amore tra Dio ed il suo popolo, Israele,
94
L’aramaico è una lingua assai affine all’ebraico e dello stesso ceppo semitico, una specie di
lingua internazionale del Medio Oriente dal V secolo avanti Cristo.
62
precisando sempre il “quando”, cioè il momento storico al quale si addicono le
parole del Cantico. Uguale importanza ha l’accurata determinazione di chi
pronuncia quelle parole, o a chi sono rivolte, o a chi si attribuiscono i fatti dei
quali si parla.
Ultima importante caratteristica del targum è la speranza messianica: essendo
questa letteratura fiorita dopo la grande tribolazione dell’esilio, l’attesa di un redentore è sempre espressa con grande rilievo, ogni volta che il testo biblico ne
presenta l’occasione.
Nell’interpretazione targumica perciò, il Cantico riprende, passo dopo passo,
tutta la storia d’Israele, passata e futura, dall’esodo fino alla risurrezione finale
dei morti. In tale modo, tutta la storia d’Israele è trasformata in canto e letta allegoricamente come un dialogo d’amore tra Dio ed il suo Popolo.
63
Interpretazione di Ct 1,5-6
Riportiamo il testo del targum tradotto da Umberto Neri95:
1,5
Nera io sono, e bella, figlie di Gerusalemme:
come le tende di Kedàr,
come le cortine di Salomone.
Quando i figli della casa di Israele fecero il vitello, i loro volti divennero
neri come quelli dei figli di Kush, che abitano nelle tende di Kedàr.
Quando invece si pentirono e si convertirono, e fu loro perdonato, lo
splendore della gloria del loro volto divenne come quello degli angeli:
poiché essi fecero la cortina del tabernacolo, e abitò fra loro la Dimora
del Signore, e Mosè loro maestro salì al firmamento, e fece pace fra
loro ed il loro re.
È evidente nel commento a questo versetto la collocazione storica: i
quarant’anni nel deserto del popolo d’Israele, più precisamente l’episodio del
vitello d’oro96, col quale ci si collega tramite il vocabolo “nero”, simbolo di
peccato; la costruzione della dimora del Signore e del tabernacolo97, collegata
tramite i termini “tenda” e “cortina”; infine l’episodio dell’intercessione di
Mosè98 che ottiene il perdono al popolo, legato al termine “Salomone”, che
significa “pace”.
È chiara la conferma dei principi ermeneutici enunciati precedentemente: non si
parla nemmeno dell’Amata e non viene presa in considerazione una lettura
letterale, ma soltanto la ricerca assidua, attraverso agganci di singole parole, alla
descrizione progressiva della storia d’Israele.
È interessante notare, per inciso, che anche qui come per molti commentatori
cristiani, antichi e moderni, il nero viene associato all’idea di peccato e di male;
questo è uno sbocco normale quando la lettura è allegorica: l’interpretazione
95
NERI U., Cantico dei Cantici e antiche traduzioni ebraiche, Città Nuova, Roma 1987, pag.
84-86.
96 Es 32,1-6.
97 Es 36,8-19.
98 Es 34,4-9.
64
tende allora a verificare la semplice accezione simbolica del termine slegato dal
contesto.
1,6
Non guardatemi che sono bruna,
che mi ha abbronzato il sole:
i figli di mia madre si irritarono con me,
mi posero custode delle vigne:
la mia vigna, quella mia, non custodii.
Disse l’assemblea d’Israele: ma voi, o nazioni, non disprezzatemi
perché io sono più nera di voi: poiché io ho adorato ciò che voi adorate,
e mi sono prostrata al sole e alla luna. Poiché profeti di menzogna
hanno provocato contro di me l’ardore dell’ira del Signore, e mi hanno
insegnato a servire alle vostre iniquità e a camminare nelle vostre
leggi: e non ho servito al sovrano del mondo, lui che è il mio Dio, e non
ho camminato nelle sue leggi, e non ho custodito i suoi precetti e i suoi
insegnamenti.
Continua lo sviluppo del tema del peccato dovuto all’idolatria del popolo in
collegamento con i termini: nero, scuro, anche se qui è più genericamente
determinato. I riferimenti sono con dei passi del libro del Deuteronomio:
prostrarsi al sole e alla luna99, camminare nelle sue leggi 100, custodire i suoi
precetti e insegnamenti101. È praticamente la continuazione del commento
precedente, quasi una riflessione ed una esplicitazione del male commesso.
99
Dt 4,19.17,3.
100 Dt 13,2ss.
101 Dt 11,1.
65
Interpretazione di Ct 8,5-7
8,5
Chi è costei che sale dal deserto
appoggiata al suo amato?
Sotto il melo ti ho svegliata:
là ti ha concepito tua madre,
là ti ha partorito la tua genitrice.
Disse il profeta Salomone: Quando i morti rivivranno, il monte degli
Ulivi si squarcerà: e tutti i giusti di Israele saliranno di sotto ad esso, e
anche i giusti che saranno morti in esilio verranno per la via delle
caverne sotto terra, e saliranno di sotto al monte degli Ulivi. Invece gli
empi morti e sepolti in terra d’Israele saranno gettati via come si getta
un sasso con un bastone.
Allora tutti gli abitanti della terra diranno: Quale è il merito di questo
popolo, che sale dalla terra a miriadi di miriadi, come il giorno che salì
dal deserto alla terra d’Israele, e che si delizia dell’amore del suo
Signore, come il giorno in cui si presentò a lui sotto il monte Sinai per
ricevere la legge? E in quell’ora Sion, che è la madre di Israele,
partorirà i suoi figli, e Gerusalemme accoglierà gli esiliati.
La collocazione storica della parte finale del Cantico è logicamente il finale
della storia di Israele, cioè gli ultimi giorni e la risurrezione. I versetti considerati la chiave di lettura del Cantico (8,5-7), non costituiscono per il targum
nessuna chiave di lettura, ma raccontano il vertice della storia.
I riferimenti ai testi della scrittura sono vari102, ma il più importante è il ritorno
all’esperienza del Sinai, per cui la risurrezione è presentata come il grande e ultimo esodo: salire dal deserto; l’aggancio è costituito dal termine “melo”, che
simboleggia il Monte Sinai, perché il melo fruttifica nello stesso mese nel quale,
secondo la tradizione, è stata data la legge.
Anche nella descrizione di un evento nel quale la storia avrà fine, si usa la storia
per descriverlo, capirlo, sperarlo.
102
es. Zc 14,4; Is 54.
66
8,6
Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio:
poiché forte come la morte è l’amore,
dura come lo Sheol è la passione:
le sue vampe, vampe di fuoco,
fiamma del Signore!
E, in quel giorno, i figli d’Israele dicono al loro Signore: Ti
supplichiamo, mettici come un sigillo d’anello sul tuo cuore, come un
sigillo d’anello sul tuo braccio, perché non avvenga più che noi siamo
esiliati. Poiché forte come la morte è l’amore della tua divinità, duro
invece come la Gheenna è l’odio con cui i popoli ci odiano. E l’ostilità
che serbano per noi, arde come le braci del fuoco della Gheenna, che il
Signore creò il secondo giorno della creazione del mondo, per bruciarvi
gli idolatri.
Continua il discorso consequenziale sulla risurrezione con l’introduzione del
tema del giudizio, richiamato dal fuoco e dalle sue vampe: vale quanto detto
prima, cioè l’interpretazione si basa sul significato simbolico-psicologico dei
termini, non sull’analisi del contesto. Il fuoco evoca nell’ambito della
risurrezione il giudizio e la punizione.
L’amore non può essere che quello di Dio, per cui la stupenda immagine del
sigillo, viene attribuita al rapporto d’amore Dio-Popolo.
8,7
Le molte acque non possono spegnere l’amore,
e i fiumi non lo travolgeranno:
se un uomo darà tutta la ricchezza di casa sua per l’amore,
grande disprezzo ne avrà.
E il sovrano del mondo disse al suo popolo, la casa d’Israele: Anche se
si adunassero tutti i popoli, che sono come le molte acque del mare, non
potrebbero spegnere il mio amore verso di te; e se si raccogliessero
tutti i re della terra, che sono come le acque di un fiume che scorre
veemente, non potrebbero travolgerti dal mondo.
67
E se un uomo darà tutta la ricchezza di casa sua per acquistare la
sapienza dell’esilio, io gli renderò il doppio nel mondo avvenire, e sarà
suo tutto il bottino che verrà saccheggiato dagli accampamenti di Gog.
Come nel versetto precedente c’è una certa fedeltà al testo letterale e non ci si
sgancia totalmente: è il tema dell’amore che il targumista non può ignorare,
anche se come già detto è dell’amore di Dio per Israele che per l’interprete
necessariamente il testo parla; anche qui i riferimenti scritturistici sono vari, non
univoci103.
È interessante l’ultima parte del commento, può sembrare anzi strana
l’interpretazione data, perché fa dire al testo il contrario di quello afferma
secondo l’opinione corrente: dall’amore che non si può comprare, si passa
all’acquisto a qualsiasi costo della sapienza, acquisto che sarà ripagato alla fine
dei tempi. Questa lettura si basa sulla estrema somiglianza in ebraico tra i
termini “disprezzo” e “bottino”, confermando lo stile di interpretazione basato
sulle singole parole e non sul contesto.
103
Sl 46,2-4; Prov 4,7; Ez 39,9.
68
ORIGENE E IL “COMMENTO AL CANTICO DEI CANTICI”
Principi d’esegesi
Per quanto riguarda l’esegesi e l’interpretazione del testo biblico, la situazione
generale del tempo di Origene era abbastanza confusa. Venivano infatti usati
vari approcci al testo: letterale, tipologico, allegorico, senza una metodologia
precisa. Nella sua interpretazione del testo sacro, Origene ha comunque il merito
di aver elaborato una serie di criteri che la rendevano omogenea e profonda.
La base di impostazione del suo pensiero è di evidente derivazione platonica: la
distinzione paolina e giovannea fra la Gerusalemme celeste e la Gerusalemme
terrestre, fra mondo di quaggiù e mondo di lassù, viene dilatata da Origene in
senso platonico, contrapponendo un mondo terreno, sensibile e fenomenico, ad
un mondo celeste, ideale, intelligibile. Ambedue sono reali, ma su due diversi
livelli: il mondo materiale è immagine depotenziata, perciò simbolo, del mondo
intelligibile superiore.
Lo sforzo interpretativo di Origene è quello di passare dall’apparenza terrena
all’autenticità celeste, dal simbolo alla vera realtà spirituale; perciò ad una
interpretazione letterale, aderente al testo, Origene contrappone l’interpretazione
spirituale della Scrittura e, usando il metodo allegorico, cerca di scoprirne il
significato più vero. Questo non vuol dire rinnegare il senso letterale, anzi esso
costituisce il punto di partenza imprescindibile per ogni interpretazione di tipo
allegorico: «Solo partendo dalla lettera si può arrivare allo spirito della
Scrittura»104. Proprio per questi motivi, Origene, l’allegorista per antonomasia, è
il primo nel mondo cristiano a curare anche l’interpretazione letterale.
Il passaggio dalla lettera allo spirito avviene con il procedimento di interpretare
la Scrittura con la Scrittura.
Per organizzare inoltre l’interpretazione spirituale egli si fonda sulla tripartizione dell’uomo di origine paolina: corpo, anima, spirito e vi fa corrispondere la
tripartizione della scrittura in senso letterale, morale, spirituale e la tripartizione
dei cristiani in principianti, progredienti e perfetti. Comunque questa
tripartizione non è stata applicata sistematicamente e con coerenza da Origene, il
quale in genere introduce l’interpretazione letterale e passa subito a quella
104
ORIGENE, Commento al Cantico dei Cantici (Collana testi patristici, traduzione,
introduzione e note di Manlio Simonetti), Roma, 1976, 17.
69
spirituale, seguendo alcuni tipi diversi di quest’ultima: tipologica orizzontale e
verticale105, psicologica.
La corrispondenza tra senso letterale e senso spirituale è normale, ma non
sempre presente: ogni passo della scrittura presenta il senso spirituale, ma non
tutti hanno quello letterale. Vi sono infatti alcuni passi che se fossero interpretati
in senso letterale sarebbero indegni della santità e dignità divina106.
Per Origene la Sacra Scrittura racchiude infiniti significati, infiniti tesori
nascosti sotto l’involucro terreno della lettera ed essi si dispiegano all’esegeta
che continuamente progredisce nello studio e nella santità, senza che essi si
possano esaurire.
Il Commento al Cantico dei Cantici
L’interesse di Origene per il Cantico si concretò in una serie di omelie e
soprattutto in un vasto commentario di 10 libri, composto intorno al 240 d.C.; il
commento vero e proprio è preceduto da una prefazione particolarmente
sviluppata, nella quale egli esamina alcuni problemi preliminari, prima di
passare all’interpretazione.
L’originale greco di Origene è andato perduto, come pure la raccolta delle
omelie. Abbiamo però il testo latino di Rufino di Aquileia, che tradusse nei
primi anni del V secolo la parte iniziale del commento, fino all’interpretazione
di Ct 2,15, ripartendola in 4 libri, preceduti dal testo del lungo prologo. Rufino
ha usato grande libertà nel tradurre il Cantico, aggiungendo sue note esplicative
sul testo greco e sfrondandolo di tutto l’apparato filologico origeniano.
Il testo usato da Origene per il suo commentario è quello greco nella traduzione
detta “dei Settanta”, dobbiamo perciò tenere conto che egli adopera un testo che
ha già fatto una sua lettura del Cantico e ha già dato una sua interpretazione,
infatti alcuni problemi sorgono proprio dal testo della LXX, che ha tradotto in
modo impreciso il testo ebraico.
105
ORIGENE, Commento al Cantico, 18: per tipologica orizzontale si intende la
prefigurazione nell’Antico Testamento di fatti e figure del Nuovo Testamento; per tipologica
verticale la prefigurazione nelle vicende terrene narrate dalla scrittura, di quelle celesti.
106 ORIGENE, Commento al Cantico, 19: “Si tenga presente per una valutazione storica di
questo fatto che esso era stato applicato già dai filosofi pagani all’interpretazione dei miti,
spesso immorali e poco consoni alla dignità degli dei”.
70
L’interpretazione di ogni versetto o gruppo di versetti si apre con un breve, ma
accurato commento di carattere letterale. Sin dall’inizio viene messo in rilievo il
carattere drammatico che secondo Origene ha il Cantico, quindi vengono
descritti precisamente i personaggi e i cambiamenti di scena. Fissati bene i
caratteri del testo, viene introdotta l’interpretazione spirituale col metodo
allegorico secondo le due linee prima accennate: tipologica e psicologica.
L’interpretazione tipologica del Cantico è quella solita della tradizione: la Sposa
raffigura la Chiesa, mentre lo Sposo raffigura Cristo, il Cantico racconta perciò
il loro rapporto d’amore. L’interpretazione psicologica vede nello Sposo ancora
Cristo, mentre la Sposa è l’anima che tende a lui. Abbiamo perciò due letture:
una “comunitaria” ed una “personale” del rapporto Dio - uomo.
Il commento origeniano è spesso molto esteso e per questo anche un po’
dispersivo; non riporteremo quindi il testo di ben 27 pagine dal libro della
“Collana dei testi patristici”, nella traduzione di Manlio Simonetti107, ma vi
faremo solo riferimento. Inoltre, poiché il testo che abbiamo arriva solo fino
all’interpretazione di Ct 2,15, dovremo limitarci a considerare l’interpretazione
origeniana di Ct 1,5-6 che però ha alcuni richiami anche a Ct 8,5-7; riteniamo
sufficiente questa verifica per i nostri scopi.
107
ORIGENE, Commento al Cantico, 107-134.
71
Origene e Ct 1,5-6
1.5 “Sono scura e bella, figlie di Gerusalemme, come le tende di Kedàr,
come le pelli di Salomone (in altri esemplari leggiamo: Sono nera e
bella)108”.
In base a questo testo Origene inizia il suo commento con una analisi letterale,
nella quale spiega brevemente cosa siano le tende di Kedar e le pelli di
Salomone; quindi passa al tema portante dell’esegesi di questi versetti: il colore
nero collegato al male, al brutto, al peccato. Egli spiega allora come la donna del
Cantico possa essere bella, nonostante sia nera: “Perciò, figlie di Gerusalemme,
non rinfacciatemi il colore, dal momento che non manca al corpo la bellezza, sia
naturale, sia cercata con l’esercizio” 109.
Dopo solo una ventina di righe, viene proposta l’interpretazione misticaspirituale: “La sposa che parla è figura della Chiesa formata dalle genti
pagane”110, mentre le Figlie di Gerusalemme sono gli Ebrei che hanno rifiutato
il vangelo. La Sposa-Chiesa con un discorso ai Giudei, dà ragione del suo colore
scuro: la Chiesa dei pagani non ha ricevuto l’illuminazione della Torah, ma essa
è bella lo stesso, perché si è avvicinata a Dio.
Inizia poi una elencazione commentata dei passi biblici “in cui in qualche modo
è anticipata la figura di questo mistero” 111.
Viene messo in opera il metodo esegetico di interpretare la Scrittura con la
Scrittura. Il primo riferimento è per Maria, sorella di Mosè, che lo calunniò,
perché aveva preso per moglie una Etiope 112, nera di carnagione. Da questo
spunto inizia la ricerca di tutti i passi biblici, nei quali si parla di uno o una
Etiope.
Il primo brano citato e commentato da Origene è quello della visita della Regina
di Saba a Salomone 113, della quale egli parla a lungo perché “essa si adatta così
108
ORIGENE, Commento al Cantico, 107, nota 1: "Qui...Rufino riporta qualche variante che
leggeva negli esemplari latini del Cantico che aveva sotto mano."
109 ORIGENE, Commento al Cantico, 107.
110 ORIGENE, Commento al Cantico, 108.
111 ORIGENE, Commento al Cantico, 109.
112 Num 12,1ss.
113 1 Re 10,1-13.
72
bene alla figura della Chiesa ch’è venuta a Cristo dai pagani, che lo stesso
Signore nei Vangeli ha ricordato questa regina” 114.
Il secondo brano è quello di Geremia gettato in una cisterna e da questa salvato
grazie alla mediazione dell’Etiope Ebed-Melek115: in questo episodio Origene
vede prefigurata la morte di Cristo (il profeta nella cisterna) e la sua risurrezione
(il tirarlo fuori) a cui l’eunuco Etiope crede e, grazie a questa fede, ottiene la
salvezza.
Terminata questa elencazione, Origene parla del significato delle pelli di
Salomone, nelle quali vede ricordata la tenda della testimonianza costruita dagli
Israeliti nel deserto116; ma questo Salomone, il cui nome è formato dalla radice
ebraica “shalòm” che significa “pace”, simboleggia un altro re: ora “proprio
quelle pelli ... son dette essere di Salomone che viene inteso come figura di
Cristo, apportatore di pace” 117. L’immagine è completata riferendo la tenda
della testimonianza alla Chiesa e le tende di Kedar e le pelli alle tante chiese
particolari.
Il commento al versetto 5 si chiude con una stupenda immagine nello stile
dell’interpretazione cosiddetta “psicologica”. Che è nera e bella ora è l’anima
del credente della quale è detto: “... ogni singola anima, che dopo moltissimi
peccati si converte a penitenza, ... essa è nera per i peccati, ma bella per la
penitenza”118. E ancora: “Infatti di questa stessa (anima) che ora è nera e bella, ...
essa non rimane fino alla fine in questa nerezza, in seguito dicono le Figlie di
Gerusalemme: «Chi è costei che sale, diventata tutta bianca, appoggiata al suo
amato?»” 119. Basandosi sulla particolare traduzione della LXX, ad Origene non
sembra vero di mostrare, attraverso il passaggio dal nero al bianco, il cammino
di conversione dell’anima peccatrice fino alla sua piena purificazione.
114
ORIGENE, Commento al Cantico, 111.
115 Ger 38,7-13.
116 Es 26,7ss.
117 ORIGENE, Commento al Cantico, 122.
118 ORIGENE, Commento al Cantico, 123.
119 ORIGENE, Commento al Cantico, 123: il riferimento è al versetto di Ct 8,5, tradotto
secondo la LXX, che ha "leleukanqismevnh", "fatta bianca", e che Rufino rende con
"dealbata", mentre le antiche traduzioni latine hanno "candida". Resta non chiarito il perchè di
questa traduzione da parte della LXX.
73
1,6
Non guardatemi: sono diventata scura perché il sole mi ha
trascurato120.
Origene nel commento rileva il controsenso che scaturisce dall’interpretazione
letterale e su questo controsenso imposta la lettura spirituale: “Di qui è chiaro
che il discorso non è intorno alla nerezza del corpo, poiché il sole rende una cosa
nera e scura allorché illumina e non quando la trascura. ... Invece la nerezza
dell’anima è di carattere opposto: infatti tale colore risulta non dalla
illuminazione, ma dalla trascuratezza del sole” 121. Il sole naturalmente è Cristo
ed egli continua poi per molte pagine a parlare di questo sole che è Cristo o Dio
stesso e del suo rapporto con l’anima, collegando sempre i concetti di “sole scurire - nero – peccato” e conclude: “il sole non brucia mai i santi, in cui non
c’è motivo di peccato”122.
Interessante è ancora un riferimento a Ct 8,5 nell’ambito della interpretazione
psicologica: l’anima “è diventata nera mentre è discesa, ma se avrà cominciato a
salire e ad appoggiarsi al suo amato e ad aderire a lui e a non separarsi affatto da
lui, diventerà tutta bianca e candida e, gettata via tutta la nerezza, rifulgerà
circonfusa dallo splendore della vera gloria”123.
1,6
I figli di mia madre hanno combattuto dentro di me; mi
hanno posta a custodia delle vigne; ma io non ho custodito la mia
vigna.
Anche qui il testo ha dei problemi di comprensione (combattuto dentro di me...)
e Origene interpreta spiritualmente. Innanzitutto individua i personaggi: la
madre è la Gerusalemme celeste, simbolo ricavato dalla lettera ai Galati di San
Paolo, dove si parla delle due madri Agar e Sara124, che San Paolo stesso
interpreta come simboli della Gerusalemme terrena e di quella celeste; i figli di
questa madre, secondo Origene, sono poi “la Sposa e coloro che hanno
120
ORIGENE, Commento al Cantico, 123, nota 92: "Il testo ebraico dice soltanto: perchè il
sole mi ha abbronzato. Ma la traduzione dei LXX usa il verbo ‘parablevpein’, tradotto in
latino con ‘neglegere’, che effettivamente significa ‘trascurare’".
121 ORIGENE, Commento al Cantico, 124.
122 ORIGENE, Commento al Cantico, 129.
123 ORIGENE, Commento al Cantico, 124.
124 Gal 4,21-31.
74
combattuto dentro di lei e l’hanno posta a guardia delle vigne”125. Coloro che
combatterono per la Sposa, cioè la Chiesa, per renderla pura, sono gli apostoli;
le vigne che la Sposa-Chiesa custodisce sono le Sacre Scritture e la vigna
propria non custodita è la dottrina pagana che ogni credente seguiva prima di
convertirsi126.
Per finire c’è ancora un brano di interpretazione psicologica, con la quale
Origene attribuisce il senso del versetto alla battaglia interna che ogni anima
deve affrontare per la fede, la vigna non custodita sono le vecchie “norme, i
costumi, i propositi nei quali si esercitava (l’anima) vivendo secondo l’uomo
vecchio”127, ora abbandonate dopo l’adesione a Cristo.
125
ORIGENE, Commento al Cantico, 131.
126 Origene si riferisce propriamente alla filosofia greca che in questo testo considera in modo
negativo.
127 ORIGENE, Commento al Cantico, 134.
75
Considerazioni riassuntive
Abbiamo visto in questi due esempi quanto sia pesante il condizionamento dei
presupposti interpretativi degli autori.
Il Targum parte dalla considerazione che tutta la Sacra Scrittura vada interpretata secondo un unico canone: leggere ogni libro sacro in quanto legato alla
storia del popolo d’Israele, storia che racconta il rapporto tra Dio ed il suo
popolo. Attraverso l’allegoria è possibile fare rientrare anche questo libro in tale
linea interpretativa. La metodologia esegetica consiste nel cercare continui
riferimenti con altri testi della scrittura, ma soprattutto con la Torah,
privilegiando l’esperienza dell’esodo e dei quarant’anni nel deserto come
paradigma e chiave di lettura del Cantico.
Anche Origene parte dal presupposto che esista un unico canone interpretativo:
cercare il significato spirituale del testo. È interessante il suo recupero del
significato letterale come punto di partenza, ma è sempre marginale. Per cercare
il senso spirituale anche Origene ricorre all’allegoria, l’unico tipo di lettura che
permette di scavalcare il testo. C’è ancora somiglianza col Targum quando
Origene interpreta il testo del Cantico con altri testi della Scrittura, il paradigma
interpretativo è però diverso ed è Cristo ed il suo rapporto d’amore con la
Chiesa.
In questi due esempi abbiamo perciò ravvisato una notevole somiglianza
riguardo al metodo esegetico, quello che è diverso è il fondamento, la chiave di
lettura, il paradigma in base al quale trovare il senso ed in entrambi i casi questo
è trovato fuori dal testo.
Un altro punto importante da notare è che questi autori antichi non considerano
assolutamente il problema del genere letterario e nemmeno ricercano una
struttura, dal punto di vista letterario. Essi usano con grande libertà del testo e in
fondo, con la loro interpretazione, creano un nuovo testo, più che interpretare
l’originale.
76
Bibliografia
BOUSSET J. B., Praefatio in Canticum Canticorum in Oeuvres Complètes de
Bousset, Vol. II, Parigi 1897.
CHOURAQUI A., Il Cantico dei Cantici e l’introduzione ai Salmi, Città Nuova,
Roma 1980.
COLOMBO D., Cantico dei Cantici, Queriniana, Brescia 1985.
DELIZTSCH F., Hoheslied und Kohelet (Biblischer Commentar über die
poetischen Bücher des Alten Testaments, IV), Leipzig 1875.
ELLIOT M. T., The literary unity of the Canticle (Europaeische Hochschulschriften 23), Verlag Peter Lang, Frankfurt am Main 1989.
GAROFALO S., Cantico dei Cantici, Marietti, Torino 1968.
GINSBURG D. C., The Song of Songs, Translated from the Original Hebrew
with a Commentary, Historical and Critical, London 1857.
JOÜON P., Le Cantique des Cantiques: commentaire philologique et exégétique, Parigi 1909.
NERI U., Cantico dei Cantici e antiche traduzioni ebraiche, Città Nuova, Roma
1987.
ORIGENE, Commento al Cantico dei Cantici (Collana testi patristici,
traduzione, introduzione e note di Manlio Simonetti), Città Nuova, Roma 1976.
POPE M. H., Song of Songs, The Anchor Bible, New York 1982.
RAVASI. G., Il Cantico dei Cantici, Ed. Paoline, Milano 1985.
RENAN E., Le Cantique des Cantiques Traduit de l’Hébreu avec une étude sur
le plan, l’âge, et le caractère du poème, Parigi 1884.
ROBERT A., Le Cantique des Cantiques (Etudes Bibliques 43), Parigi 1963.
SCHMOKEL H., Heilige Hochzeit und Hoheslied (Abhandlungen für die Kunde
des Morgenlandes 32/1), Wiesbaden 1956.
TROMP J. N., "Wisdom and the Canticle Ct 8,6c-7b, text, character, message
and import", in Gilbert M., La sagesse de l’Ancient Testament, Edition J.
Duculot, Gembloux - Leuven 1979, 88-95.
WITTEKINDT W., Das Hohe Lied und seine Beziehungen zum Istarkult,
Hannover 1926.
77
Indice
Il Canto d'amore di Dodì e Rahjatì
Il tema
Il "problema Cantico"
Le posizioni principali sull'interpretazione del Cantico
L'interpretazione allegorica
L'interpretazione drammatica
L'interpretazione liturgica
L'interpretazione poetica
Recenti sviluppi
2
3
4
5
6
9
10
11
12
La struttura del Cantico
14
TITOLO 1,1
PROLOGO 1,2-2,5
PARTE PRIMA 2,8-3,4
PARTE SECONDA 3,6-5,1
PARTE TERZA 5,2-6,3
PARTE QUARTA 6,4-8,2
EPILOGO 8,5-14
16
16
22
25
30
34
39
Interpretazione
44
Testo Cantico
51
Appendice:
Esempi antichi di esegesi del testo
Il Targum del Cantico dei Cantici
La teologia del Targum
Interpretazione di Ct 1,5-6
Interpretazione di Ct 8,5-7
Origene e il "Commento al Cantico dei Cantici"
Principi d'esegesi
Il Commento al Cantico dei Cantici
Origene e Ct 1,5-6
Considerazioni riassuntive
60
61
62
62
64
66
69
69
70
72
76
Bibliografia
77
78
Scarica

Commento al Cantico dei Cantici