22 Sabato, 26 febbraio 2011
ComoCronaca
pubblicazioni
Presentiamo
due libri realizzati
dall’associazione
culturale lariana
sul finire
dello scorso anno
In libreria
con la
Famiglia
Comasca
C
i sono due interessanti
pubblicazioni di cui non
abbiamo parlato da inserire in
libreria, nel catalogo 2010 della
Famiglia Comasca.
All’ormai tradizionale “tacuin”,
originale calendario che accompagnerà
i comaschi per l’intero 2011, sono
infatti da aggiungere due volumi che
arricchiscono la già nutrita bibliografia
dell’associazione comasca. Si tratta di:
“La Saga dei Doninelli, dalla Lombardia
al Guatemala”, di Consuelo De Aerenlud
e “Marinetti e il Lario” di Alberto
Longatti.
“La Saga dei Doninelli” è il frutto di
un’attività abbastanza recente avviata
dalla Famiglia Comasca. Un impegno,
come spiega il presidente, Piercesare
Bordoli nella presentazione del libro
rivolto “a quei comaschi che hanno
lasciato la loro terra per cercare fortuna
all’estero, a partire dalla seconda metà
dell’800”. Attenzione al territorio, ma
lo sguardo teso anche oltre l’orizzonte,
Piercesare Bordoli,
indomito presidente
della “Famiglia Comasca”
per mantenere vivo il legame con
figli del Lario che hanno messo
radici in altre parti del mondo. “I
contatti con i discendenti (terza
e quarta generazione) – spiega
Bordoli – avvengono in genere
attraverso internet e grazie agli
spazi che accordiamo sul nostro sito,
ma ne abbiamo anche incontrati nella
nostra sede. Fra questi l’autrice del libro,
già pubblicato nelle lingue inglese e
spagnolo…” È un diario di vita, “La Saga
dei Doninelli”, la storia di una famiglia
che parte da Erba, sul finire dell’800,
diretta in Guatemala. “I personaggi di
questo libro - scrive l’autrice - non sono
del tutto gradevoli, né del tutto eroici,
a meno che non sia eroico affrontare
le difficoltà della vita cercando di
mantenere la testa fuori dall’acqua.
In questo senso non solo i miei nonni
Antonio Doninelli e Angela Pozzi furono
eroi, lo furono anche i loro figli. Questa
è la storia di persone semplici chiamate
ad affrontare difficoltà di vario tipo e
risolverle”. È un viaggio che, come detto,
parte da Erba sul finire dell’800. Tutto
inizia davanti all’altare, una mattina
del 31 maggio 1881. Il matrimonio. I
figli: nove nati in Italia, di cui soltanto
sei sopravvivono allo loro infanzia. Poi
le difficoltà lavorative e il fascino del
richiamo dal “Nuovo mondo”.
Nel novembre del 1894 Antonio, allora
36enne, si imbarca così per il Guatemala,
portando con sé Fernando, 12 anni,
il suo figlio maggiore… è l’inizio di
un’avventura che merita d’essere letta
d’un fiato. Una delle innumerevoli storie
che hanno accompagnato milioni di
emigranti italiani all’estero in cerca di
fortuna.
“Marinetti e il Lario” (passiamo alla
seconda opera) “è - scrive Pier Cesare
Bordoli – un racconto vivacissimo e
seriamente documentato di che cosa
accadde a Como e dintorni nel secolo
scorso quando è transitato dalle nostre
parti quella specie di formidabile
compendio di energie fisiche e mentali
che fu Filippo Tommaso Marinetti,
geniale fondatore del futurismo. Non
è stata, la sua, una presenza casuale e
di poco conto. Ne restano le tracce, a
dimostrarlo. Solo che bisogna scoprirle,
queste tracce, ricostruirne la formazione,
spiegare perché ci sono e chi le ha
lasciate. L’autore l’ha fatto, guidandoci
per mano…” Il testo è una raccolta
di testimonianze, alcune della quali
pubblicate sulle pagine culturali del
quotidiano “La Provincia” in diverse
riprese, negli anni 1980, 1985, 1986 e
2009. Dagli scritti di Longatti la “prima
volta” lariana di Marinetti porta la data del
1902 quando il padre del futurismo, allora
esuberante 26enne, giunge nel comasco
per far visita a dei parenti. A quella visita
ne seguiranno altre, in anni successivi. Il
libro ne racconta i viaggi, le escursioni,
ma anche, attraverso essi, l’evoluzione
del pensiero futurista di Marinetti, vivace
protagonista di un’esistenza tumultuosa
condotta come portabandiera di un’arte
rivoluzionaria, il cui rapporto con il Lario
fu duraturo e profondo.
M. Ga.
Tre volumi. Un viaggio interessante dentro la storica azienda
F
laconi di vetro, un po’ di
alambicchi e qualche fornellino
per la lavorazione a caldo degli olii
necessari per la produzione delle
vernici e delle lacche era tutto quanto il
chimico-farmacista tedesco Christian
Lechler possedeva, quando a Stoccarda,
nell’agosto 1858, aveva deciso di metter
su un piccolo laboratorio artigianale
per la creazione di una nuova vernice
adatta ai materiali metallici impiegati
nella nascente industria dell’epoca,
automobilistica e non. Se la disponibilità
degli strumenti tecnici, e soprattutto
delle risorse finanziarie da investire,
era indiscutibilmente esigua, ampie e
innovative, per non dire rivoluzionarie,
erano invece le conoscenze nel campo
della chimica generale dell’ex farmacista
teutonico, così come granitica era la sua
certezza che solo utilizzando i pigmenti
da lui sperimentati sarebbe stato possibile
sostituire le obsolete lastre di ardesia,
refrattarie alla verniciatura, con nuove
lamiere zincate perfettamente laccate e
facilmente levigabili, venendo incontro
alle esigenze dell’industria moderna. Era
nata la “Lechler & Figlio”, un marchio
celeberrimo che appena due anni fa
ha festeggiato il 150° anniversario, e
che era destinato a svolgere un ruolo di
primo piano nello sviluppo produttivo
dell’economia lariana, da quando –
correva l’anno 1910, ragion per cui
ricorre ora il centenario anche della
Lechler italiana- Giuseppe Brizzolara,
Domenico La Regina e Alessandro Rizzi
acquistarono dalla proprietà tedesca la
filiale di Ponte Chiasso, nonché i diritti
Lechler, storia
di un marchio
La storia di un chimico
farmacista iniziata
150 anni fa, partita
da Stoccarda
e intrecciatasi
con il territorio comasco
e il marchio Lechler, dando vita alla
“Christian Lechler & Figlio Successori
fabbrica italiana di vernici e smalti”.
L’epopea della Lechler, minuziosamente
ricostruita passo dopo passo dai faticosi
esordi del suo fondatore (il quale per
due volte si vide bocciare la richiesta
di brevetto delle sue vernici dalla
Patentkommission incaricata di valutare
la proposta) all’affermazione sui mercati
internazionali della sua propaggine
comasca, è ora leggibile nella curatissima
opera in tre volumi (“Lechler. Storia
e racconti di un marchio”, Oemme
edizioni) realizzata da Agop Manoukian,
presidente della SPA omonima e
ricercatore storico di qualità, a giudicare
dal prodotto testuale che ha confezionato
e che presenta al pubblico. Ne è scaturita
infatti un’opera corposa e di ampio
respiro, ricca di interessi non solo per
il lettore che intende informarsi sulla
lunga vicenda dell’azienda, ma anche
per quello più genericamente orientato
verso la comprensione dei meccanismi
storici e funzionali che agiscono alla
base dell’interrelazione tra tecnologia e
scambio delle merci. Accanto all’aspetto
imprenditoriale ed economico, emerge
nel resoconto di Manoukian una costante
attenzione al dettaglio anche spicciolo
e alla dimensione per così dire “umana”
dei protagonisti, sullo sfondo delle
trasformazioni politiche e sociali anche
complesse che accompagnarono l’Italia
tra Otto e Novecento, e che sono riportate
in qualsiasi manuale scolastico di storia.
Oggi la Lechler è una grande azienda che
opera nel mercato internazionale delle
vernici e che, oltre alla sede centrale di
Como e al sito produttivo di Foligno,
vanta quattro filiali europee (Manchester,
Grenoble, Barcellona e Kassel). Gli effetti
della crisi si sono fatti sentire, soprattutto
nel settore delle commesse industriali,
ma l’azienda ha retto bene all’urto e gode
di ottima salute, con previsioni di crescita
per il 2011. Sarà improbabile tornare nel
breve termine alle prestazioni-record del
2008, ma la risalita è cominciata.
SALVATORE COUCHOUD
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Lechler, storia di un marchio