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Diagnostica per immagini
L’impiego dei radioisotopi e della radiologia
nella diagnostica tiroidea
ANDREA SORICELLI, MARCO SALVATORE
• Premesse – Medicina nucleare – Captazione tiroidea – Scintigrafia della tiroide – Scintigrafia con
indicatori positivi – Total Body con radioiodio – Tomografia a emissione di positroni (PET) – Radiologia – Tomografia computerizzata – Risonanza magnetica nucleare – Bibliografia.
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico
della patologia tiroidea
VINCENZO SUMMARIA, ADOLFO CANADÈ, ALESSANDRO MARIA COSTANTINI,
PASQUALE MARANO
• Introduzione – Cenni di fisica degli ultrasuoni e di semeiotica elementare – Cenni di anatomia eco-
grafica e di metodologia – Gozzo eutiroideo – Tireotossicosi – Diagnosi differenziale delle tireotossicosi – Valutazione morfofunzionale prima e dopo terapia – Tiroiditi – Il nodulo tiroideo – Semeiotica ecografica e color Doppler del nodulo tiroideo – Le linfopatie del collo – Bibliografia.
L’impiego dei radioisotopi e della radiologia
nella diagnostica tiroidea
ANDREA SORICELLI, MARCO SALVATORE
Premesse
Nell’ambito delle procedure morfofunzionali
da adottare nell’ottica di definire variazioni
volumetriche, distrettuali o diffuse, del corpo
tiroideo, associate o meno ad alterazioni funzionali, si rende necessario definire le caratteristiche strutturali del tessuto alterato me-
diante il ricorso a metodiche di diagnostica
per immagini, che consentono di registrare
immagini che riflettono la dislocazione anatomica, il volume, le caratteristiche densitometriche e funzionali della ghiandola, precisandone le alterazioni distrettuali e i rapporti con le strutture finitime.
615
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
Tutte le metodiche di diagnostica per immagini hanno un ruolo ben definito e caratteristico nello studio e valutazione delle differenti patologie tiroidee, definendone le specifiche connotazioni morfostrutturali (vedi
capitolo 31, pp. 604-605).
In questa parte verranno trattate le metodiche di medicina nucleare, tomografia computerizzata e risonanza magnetica, mentre si
rimanda alla seconda sezione di questo capitolo per le metodiche ecografiche (p. 629).
Medicina nucleare
Becquerel (Bq):
unità di misura
della radioattività
che ha sostituito la
vecchia unità, il Curie (Ci)
Le prime applicazioni cliniche di medicina
nucleare sono state polarizzate allo studio
della tiroide e hanno consentito di approfondire la conoscenza della fisiopatologia della
ghiandola. Ancora oggi, nonostante lo sviluppo delle altre metodiche in grado di valutare
lo stato funzionale della ghiandola e lo sviluppo di altre tecniche di imaging, le indagini
medico-nucleari hanno un ruolo ben definito
e prioritario nello studio delle varie affezioni
che possono interessare la ghiandola.1
In ordine storico la prima metodica medico-nucleare applicata per lo studio della funzione ghiandolare è stata la captazione tiroidea del radioiodio.
Captazione tiroidea
Lo studio della funzionalità tiroidea è oggi effettuato solitamente mediante l’impiego di
dosaggi ormonali, che forniscono, in genere,
Tabella 32.1 - UNITÀ DI MISURA
DELLA RADIOATTIVITÀ
• Becquerel: unità di misura della radioattività
equivalente a 1 disintegrazione al secondo
• Curie: vecchia unità di misura della radioattività
equivalente a 3,7 × 1010 disintegrazioni al secondo
• 37 kBq (kilo Becquerel) = 1 µCi (micro Curie)
• 37 MBq (Mega Becquerel)= 1 mCi (milli Curie)
• 3,7 GBq (Giga Becquerel) = 100 mCi
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utili elementi quantitativi volti a definire un
preliminare orientamento nosografico. Ma vi
possono essere ancora alcuni quesiti clinici in
cui il test di captazione tiroidea ha delle elettive indicazioni cliniche, necessarie per valutare la funzione iodoconcentrante e l’efficienza ormonogenetica dell’epitelio follicolare (vedi capitolo 31, pp. 605-606).
La captazione tiroidea è un esame dinamico che consente di determinare lo stato di
funzionalità della ghiandola tiroidea o del residuo ghiandolare post-intervento chirurgico.
Come tracciante viene solitamente impiegato
lo 131Iodio (131I) sotto forma di ioduro di sodio
con dosi variabili dai 185 ai 370 kBq (5-10
µCi) (tabella 32.1). La somministrazione è
orale mediante soluzione liquida o, preferibilmente, capsule, con il paziente in condizioni
di digiuno da almeno 8 ore. La scelta di somministrare lo iodio, sia per lo studio della captazione tiroidea che per le altre applicazioni
diagnostiche o terapeutiche, sotto forma di
soluzione liquida o di capsule, è una scelta
che va fatta in base alle esigenze e agli orientamenti del centro in cui è effettuato l’esame.
La somministrazione in forma liquida consente di calibrare e personalizzare accuratamente la dose da somministrare al paziente.
Di contro il personale addetto alla manipolazione e somministrazione è maggiormente
radioesposto anche per la volatilità dello iodio
in fase liquida. L’impiego delle capsule riduce
in maniera drastica questo problema radioprotezionistico, anche se i costi del prodotto
sono superiori rispetto all’equivalente liquido. Indipendentemente dalla forma impiegata, la dose da somministrare viene misurata
prima dell’assunzione da parte del paziente
con la stessa sonda di captazione con cui verranno successivamente eseguiti i conteggi.
Le misurazioni della captazione sulla regione tiroidea, con il collo del paziente lievemente iperesteso, si eseguono a 4-6, 24 e anche 48
e 72 ore dalla somministrazione dello iodio.
A ogni conteggio effettuato sulla regione
del collo va sottratto il fondo derivante dalla
radioattività circolante nel sangue. Esso è
L’impiego dei radioisotopi e della radiologia nella diagnostica tiroidea
calcolato effettuando una misurazione sulla
coscia con la medesima tecnica di acquisizione che viene impiegata per le acquisizioni
sulla regione anteriore del collo.
Il risultato dell’esame è riportato come
percentuale massima di captazione ed eventualmente si fa riferimento anche al periodo
di dimezzamento approssimandone l’andamento a una funzione monoesponenziale.2
In condizioni di normalità i valori massimi
di captazione si raggiungono alla 24a ora con
una percentuale compresa tra il 20 e il 45%, e
un tempo di dimezzamento effettivo compreso tra la 5a e la 7a giornata. I valori della captazione e la cinetica della curva di captazione
del radioiodio possono variare in diverse condizioni, e non sempre tali considerazioni riflettono lo stato dell’attività ormonogenetica;
un esempio paradigmatico è rappresentato
dal quadro della tireotossicosi a bassa captazione (vedi capitolo 31, p. 607).
Negli stati iperfunzionali il valore massimo
di captazione aumenta e tende a essere più
precoce, con un tempo di dimezzamento che
invece diminuisce.
Da quanto detto è fondamentale accertarsi, prima dell’esecuzione dell’esame, che il
paziente non abbia assunto sostanze o farmaci che possono interferire con la captazione
dello iodio. Tra questi sono da ricordare: tutti i prodotti che contengono iodio, inclusi i
mezzi di contrasto radiografici, in quanto provocano un aumento del pool iodico; i tireostatici; gli ormoni tiroidei; farmaci il cui principio attivo interferisca sul metabolismo della ghiandola, quali fenilbutazone, sulfanilurea, salicilici, ecc.
Le attuali indicazioni cliniche al test di
captazione sono:
• in pazienti ipertiroidei per la determinazione della cinetica dello iodio necessaria
per il calcolo della dose di radiazione alla
ghiandola, se questi sono candidati alla terapia con radioiodio;
• in soggetti operati di cancro della tiroide
prima dell’eventuale terapia ablativa con
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radioiodio per la determinazione del residuo tiroideo;
• per individuare alterazioni del processo di
organificazione dello iodio legato a un deficit dell’attività perossidasica.
Per suffragare il sospetto di tale deficit si
esegue una captazione tiroidea in condizioni
basali: questa non risulterà alterata nei pazienti con deficit dell’attività perossidasica.
Lo studio viene ripetuto a distanza di qualche giorno somministrando al paziente un
grammo di perclorato due ore dopo la somministrazione del radioiodio. A distanza di
un’ora dalla somministrazione del perclorato
si esegue una captazione tiroidea.
Nel soggetto normale la captazione a un’ora dall’assunzione del perclorato tende a crescere o comunque a mantenersi costante,
mentre in caso di deficit perossidasico si ha la
dismissione anticipata dello iodio. Il test si
considera positivo se il decremento è superiore al 10%.
Scintigrafia della tiroide
La scintigrafia della tiroide si esegue impiegando quale radioisotopo il 99m Tecnezio
(99mTc) sotto forma di ione pertecnetato
(99mTcO4−).
Il meccanismo di accumulo del tecnezio è
simile a quello dello iodio ma, a differenza di
quest’ultimo, non viene organificato dalle cellule della tiroide.
I vantaggi dell’uso del 99mTc sono legati alla bassa dose di irradiazione alla tiroide, alla
migliore risoluzione delle immagini ottenute
con la gamma camera e ai costi estremamente ridotti che ha questo esame con questo isotopo. Sono tuttavia da segnalare alcune limitazioni legate all’energia di emissione del
99mTc, che è di 140 keV e a volte non è sufficiente a visualizzare la presenza di modesti
strumi retrosternali per l’effetto di schermatura dello sterno. Inoltre alcune forme neoplastiche della tiroide mantengono una buona capacità di captazione dell’isotopo, con
617
Raggi X e gamma:
sono entrambe radiazioni
elettromagnetiche
di frequenza superiore
a 3 × 1017 Hertz.
Si differenziano tra loro
in base al luogo
di generazione: i raggi X
provengono dall’esterno
del nucleo atomico,
i raggi gamma dal suo
interno
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
Elettronvolt (eV):
unità di misura
che indica l’energia
dei singoli fotoni
(corrisponde all’energia
acquisita da un elettrone
che passa fra due punti
con differenza
di potenziale di 1 Volt)
noduli che vengono definiti erroneamente
normofunzionanti.
La scintigrafia della tiroide si esegue dopo
20-30 minuti dalla somministrazione endovenosa di 74-185 MBq (2-4 mCi) di 99mTc. Le acquisizioni si eseguono con la gamma camera
(ormai lo scanner non è più impiegato) utilizzando possibilmente un collimatore pinhole in proiezione anteriore con e senza
marker sul giugulo (figura 32.1). Si possono
inoltre eseguire proiezioni oblique aggiuntive
per meglio definire l’eventuale patologia nodulare tiroidea. L’acquisizione scintigrafica
con tecnica di tomografia ad emissione di fotone singolo (SPECT) non è solitamente eseguita nella pratica clinica in quanto è stata dimostrata l’assenza di un miglioramento in termini diagnostici. Tale tecnica può essere impiegata per una migliore determinazione del
volume ghiandolare.2
In alternativa all’uso del 99mTc si può impiegare come tracciante 131I o 123I, in dosi di 311 MBq per lo 131I e 8-37 per lo 123I. Entram-
FIGURA 32.1
Scintigrafia della tiroide
eseguita con 99mTcO4−.
Il quadro scintigrafico
appare nella norma
per l’aspetto sia
morfologico (immagine
a farfalla) che
dimensionale.
La captazione
del tracciante è
omogenea su tutto
il parenchima
ghiandolare.
bi gli isotopi vengono captati dalla ghiandola
e organificati. Lo 123I ha il vantaggio di avere
un’energia di emissione di 159 keV e un’emivita di 13,6 ore, ma ha costi molto alti. Le
scansioni sono effettuate a distanza di 3-6
ore dalla somministrazione.2 3
Lo 131I ha un’energia di emissione di circa
364 keV ma contemporaneamente emette anche radiazioni β con energia media di 120 keV,
il che provoca un notevole incremento dell’irradiazione sia alla ghiandola che al corpo intero.
Le scansioni scintigrafiche impiegando lo
131I avvengono a 24 ore dalla somministrazione ed è inoltre possibile abbinare la captazione tiroidea alla scintigrafia.
In condizioni normali la scintigrafia della
tiroide appare con la ben nota forma a farfalla e con un’uniforme distribuzione intraparenchimale del tracciante. Impiegando il tecnezio è possibile la visualizzazione delle
ghiandole salivari. Non è infrequente anche la
visualizzazione del lobo piramidale.
Storicamente, prima dell’avvento delle altre metodiche di diagnostica per immagini e
della valutazione della funzionalità ghiandolare con dosaggi ormonali poco accurati, la
scintigrafia aveva il ruolo unico e centrale
nell’iter diagnostico di qualsiasi patologia tiroidea. Oggi nella caratterizzazione di una tireopatia dopo l’inquadramento clinico, che
deve necessariamente orientare verso un iter
diagnostico ben preciso e caratterizzante, si
dispone di un ampio ventaglio di metodiche
diagnostiche. Per tale motivo un corretto e
preciso quesito clinico può orientare, oltre
che la tecnica scintigrafica più idonea, anche
il radioisotopo più indicato.4
Nel sospetto clinico di patologie congenite quale l’agenesia o l’ectopia ghiandolare è
opportuno eseguire la scintigrafia con radioiodio al fine di evitare il possibile sovrapporsi
di attività proveniente dalle ghiandole salivari e dalla saliva. Mediante la scintigrafia tiroidea è infatti possibile riconoscere patologie:
• di sede, con tessuto tiroideo ectopico in
cui la zona di parenchima captante può es-
618
L’impiego dei radioisotopi e della radiologia nella diagnostica tiroidea
sere localizzata a livello retrolinguale o
lungo tutto il decorso del dotto tireoglosso;
• di numero, con zone anche multiple di tessuto tiroideo lungo il dotto tireoglosso;
• di forma come nel caso di agenesia di uno
dei lobi della ghiandola.
Nella definizione del nodulo tiroideo, il ruolo della scintigrafia rimane di primaria importanza e dovrebbe costituire, congiuntamente
alla iodocaptazione, l’indagine di screening
preliminare del nodulo tiroideo (vedi capitolo
18, pp. 262-263), anche se per alcuni quesiti
clinici questa metodica può, ove necessario,
suggerire l’esecuzione di altre tecniche diagnostiche quali l’ecografia e la citologia (vedi
capitoli 18, pp. 263-269, e 33, pp. 658-659).
È comunque da ricordare che con le attuali strumentazioni, applicando una tecnica corretta, si è migliorata di molto anche la risoluzione spaziale della metodica: difatti impiegando il 99mTc è possibile evidenziare formazioni nodulari di diametro di 0,5-0,6 cm circa
se superficiali, e di 1-1,5 cm circa se profonde.
I noduli, da un punto di vista scintigrafico
vengono definiti caldi (ipercaptanti), freddi
(ipocaptanti) o isocaptanti.
Il nodulo caldo è considerato come formazione in grado di captare una quantità di tracciante superiore al parenchima ghiandolare
normale. Da un punto di vista scintigrafico vi
possono essere due situazioni ben definite:
una di nodulo caldo isolato con pressoché assente visualizzazione di parenchima extranodulare (figura 32.2) e un’altra con discreta
visualizzazione del restante parenchima. Nel
primo caso mediante tecniche di schermatura, anche con elaborazione delle immagini al
computer, è possibile evidenziare comunque
anche una minima captazione del tracciante
sul parenchima ghiandolare normale: solitamente questa è una situazione di autonomia
funzionale (vedi capitolo 23, pp. 392-394).
Un’ipercaptazione diffusa e omogenea su
tutta la ghiandola, che può apparire di dimensioni normali o anche di poco aumentate,
è tipica della malattia di Basedow (figura
32.3). In questi casi non è rara la visualizzazione del lobo piramidale.
Nella nostra esperienza, per i pazienti con
sospetto clinico più o meno conclamato di
uno stato di iperfunzione, la scintigrafia della tiroide è indicata come primo esame di
imaging in contemporanea con l’esame ecografico. È fondamentale poi la correlazione
tra questi dati di imaging e quelli di laboratorio. Nel caso invece di un’assenza di sintomatologia che possa far propendere per una si-
32
Nodulo caldo:
nodulo tiroideo
che ha la capacità
di captare una quantità
di tracciante più elevata
rispetto al parenchima
ghiandolare circostante
FIGURA 32.2
Scintigrafia della tiroide
eseguita con 99mTcO4−.
È evidente l’area
di intenso accumulo
del radioisotopo a livello
della base del lobo
di destra, in
corrispondenza
del nodulo clinicamente
palpabile, con ridotta
captazione sul restante
parenchima ghiandolare
che mal si evidenzia.
FIGURA 32.3
Scintigrafia della tiroide
eseguita con 99mTcO4−
in paziente con malattia
di Basedow. Il quadro
scintigrafico mostra
una tiroide di dimensioni
modestamente
aumentate,
prevalentemente a carico
del lobo destro
con elevata e omogenea
captazione del tracciante.
È possibile notare
la pressoché assente
attività di fondo.
619
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
tuazione di iperfunzionalità del nodulo tiroideo, sia singolo che multiplo, il ruolo primario
spetta all’ecografia, eventualmente associata
ad agoaspirazione per la sua definizione citologica, previa caratterizzazione dell’assetto
funzionale dell’asse ipotalamo-ipofisario e del
sistema autoimmunitario. Infatti la presenza
alla scintigrafia di un nodulo «freddo» o «ipocaptante» non consente di caratterizzare la
natura della lesione e quindi non consente di
differenziare patologie maligne da altre quali, per esempio, le cisti.
Per tale motivo in questi casi la scintigrafia della tiroide ha un ruolo comprimario ed è
utile per la definizione generale del quadro
clinico, per esempio nella definizione di enti-
FIGURA 32.4
Scintigrafia della tiroide
eseguita con 99mTcO4−
in paziente con struma
multinodulare a parziale
sviluppo retrosternale.
Si noti come il margine
inferiore della ghiandola
sia ben al di sotto
della forchetta giugulare
dello sterno e vi siano
numerose aree «fredde»
prevalentemente a carico
del lobo sinistro.
620
tà ed estensione dell’eventuale iperplasia,
nella valutazione di possibili sviluppi retrosternali, ecc.
Per caratterizzare i noduli «freddi» è stato
proposto anche l’impiego di traccianti positivi, cioè di radiofarmaci che, una volta somministrati al paziente, vanno a localizzarsi elettivamente in zone neoplastiche.
Nelle patologie multinodulari le metodiche medico-nucleari consentono di valutare
la morfologia della ghiandola nel suo insieme,
di definire la presenza di tessuto funzionante rispetto a quello non funzionante e l’eventuale tendenza allo sviluppo retrosternale
(figura 32.4).
In queste patologie il reperto scintigrafico
mostra una ghiandola di dimensioni aumentate, con multiple aree fredde non funzionanti, come nei gozzi non tossici e colloidocistici,
nel cui contesto è comunque possibile la presenza di una patologia neoplastica, anche se
l’incidenza di neoplasia è piuttosto bassa (16%) (vedi capitolo 18, p. 263). È possibile
inoltre visualizzare una o più aree iperfunzionanti nel contesto della ghiandola che presenta aree ipocaptanti (gozzi multinodulari
tossici) (vedi capitolo 23, p. 391).
Nel caso di gozzi di grosse dimensioni a sviluppo retrosternale, può essere indicato eseguire direttamente o ripetere l’esame scintigrafico con lo 131Iodio per evitare fenomeni di
attenuazione dello sterno, e integrare il reperto con altre metodiche di imaging morfologico quali tomografia computerizzata o risonanza magnetica.
Nelle tiroiditi acute suppurative o infettive, nella tiroidite subacuta di De Quervain,
nella forma cronica di Hashimoto e di Riedel,
il quadro scintigrafico si presenta caratterizzato da ridotta e irregolare captazione del
tracciante. Nelle forme acute il quadro scintigrafico può evolvere verso quello tipico dell’ipotiroidismo caratterizzato da una riduzione più o meno marcata e da disomogenea
captazione del tracciante su tutto il parenchima ghiandolare (vedi capitolo 24, pp. 406-408
e 411-413).
L’impiego dei radioisotopi e della radiologia nella diagnostica tiroidea
La tiroidite di De Quervain è spesso causa
di dissociazione tra gli studi scintigrafici che
presentano scarsa captazione del radioisotopo (figura 32.5) e un quadro clinico di ipertiroidismo, e nel follow-up si può verificare che
le aree di ridotta captazione appaiano migranti nelle varie regioni della ghiandola.
Nelle fasi iniziali della tiroidite di Hashimoto si può determinare un quadro scintigrafico
di gozzo diffuso associato a valori ormonali
elevati.
Scintigrafia con indicatori
positivi
Come già accennato in precedenza, la presenza di un’area fredda alla scintigrafia della tiroide non consente di ipotizzare la natura della lesione. Attualmente l’ecografia abbinata a
esame citologico è considerata il primo passo
per la definizione della natura della lesione.
Da un punto di vista medico-nucleare, sono stati applicati vari traccianti detti indicatori positivi: questi hanno la capacità di essere captati nel territorio patologico in quantità significativamente superiore rispetto al
tessuto sano.4
A livello tiroideo il primo tracciante impiegato per la caratterizzazione di un nodulo è
stato il 201Tallio (201Tl). Questo tracciante è
considerato un indicatore di cellularità. Somministrato al paziente alla dose di 74-111 MBq
(2-3 mCi), esso si fissa a livello del nodulo con
differenti cinetiche a seconda della patologia.
Nell’adenoma benigno la sua eliminazione
sarà rapida, mentre nella patologia maligna
l’accumulo sarà rallentato così come la sua dismissione. Questa tecnica è dotata di una discreta specificità, anche se i risultati riportati dai vari autori non sono costanti. Inoltre per
le caratteristiche fisiche del 201Tl, che determinano una bassa qualità delle immagini, l’elevata dose di irradiazione al paziente e la
non costante disponibilità, attualmente viene
impiegato come indicatore positivo per lo studio della tiroide un catione altamente lipofilico, il 99mTc-sestamibi.
Questo radiofarmaco è utilizzato per l’identificazione di numerose neoplasie (cervello, mammella, polmone, ecc.) e recentemente è stato impiegato in trial clinici per valutare anche la possibile farmaco-resistenza di alcune neoplasie. La cinetica di accumulo del
99mTc-sestamibi è ancora oggetto di studio: si
ritiene che la sua incorporazione a livello cellulare sia dovuta a un meccanismo di diffusione passiva. Una volta nelle cellule questo si
lega ai mitocondri. Le dosi somministrate al
paziente per l’esecuzione di una scintigrafia
con 99mTc-sestamibi è compresa tra i 555 e i
740 MBq (15-20 mCi). Nelle neoplasie della
tiroide l’accumulo del radiofarmaco nelle sedi neoplastiche è indipendente dai livelli sierici del TSH.
L’applicazione di questa tecnica è attualmente limitata a casi ben specifici, come per
esempio la presenza di valori elevati di tireoglobulina in pazienti tiroidectomizzati già
sottoposti a trattamento ablativo con radioiodio (figura 32.6). La maggiore applicazione
clinica di questa tecnica è comunque legata
all’identificazione di adenomi iperparatiroidei.
32
Indicatori positivi:
traccianti in grado
di localizzarsi
elettivamente a livello
di una lesione rispetto
al tessuto sano
FIGURA 32.5
Scintigrafia della tiroide
eseguita con 99mTcO4−
in paziente con tiroidite
di De Quervain.
Si evidenzia
una ridottissima
captazione del tracciante
da parte del parenchima
ghiandolare che mal
si visualizza.
621
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
Total Body con radioiodio
Scintigrafia Total Body:
scansione scintigrafica
che consente l’esame
di tutto il corpo.
L’acquisizione va
eseguita in proiezione
anteriore e posteriore,
integrata eventualmente
con l’acquisizione
di particolari
FIGURA 32.6
Scintigrafia
con indicatore positivo
99mTcMIBI in paziente
già trattato per carcinoma
differenziato della tiroide.
Nel follow-up i valori
di tireoglobulina erano
in costante incremento
e il Total Body
con 131Iodio
non significativo.
L’indagine con indicatore
positivo mostra diversi
siti di accumulo
del tracciante a livello
del cranio in sede
laterocervicale
e del mediastino.
Il Total Body con radioiodio è effettuato in pazienti già sottoposti a intervento chirurgico
per una neoplasia tiroidea. Come radioisotopo per eseguire questa scintigrafia si può impiegare lo 131I o lo 123I.5
I vantaggi nell’impiegare quest’ultimo sono già stati accennati in precedenza: inoltre
con lo 123Iodio è possibile evitare lo stunning
(stordimento) cellulare legato all’energia di
emissione dello iodio al quale si accennerà
successivamente.6 Il vantaggio di somministrare lo 131Iodio è legato alla sua emivita più
lunga, che consente di effettuare scansioni a
maggiore distanza di tempo dalla somministrazione. Il rilevamento di immagini a distanza di tempo a volte consente una migliore definizione dell’area di ipercaptazione.
Per poter eseguire la scintigrafia totale
corporea con lo iodio è necessario che i valori del TSH siano elevati, al di sopra di 30-40
µU/ml. Tale innalzamento può essere indotto
o con la sospensione della terapia farmacologica assunta dal paziente o mediante somministrazione di rhTSH (vedi capitolo 36, pp.
749-751).
Oltre ai valori del TSH, è importante che il
paziente segua una dieta ipoiodica nelle settimane precedenti all’esame e vi sia anche
un’adeguata sospensione dei farmaci che
possono interferire con l’uptake cellulare dello iodio. Per verificare ciò è utile la determinazione della ioduria.
622
L’imaging solitamente si effettua a 48-72
ore dalla somministrazione dello 131Iodio, ma
in alcuni casi può essere consigliato continuare le rilevazioni fino a 96 ore. La dose di 131Iodio varia dai 74 MBq ai 370 MBq (2-10 mCi).
Tra i motivi che determinano questa variabilità di dosi somministrate vi è anche il cosiddetto fenomeno di «stunning»: si tratta di una
condizione di stordimento cellulare provocata dall’energia delle radiazioni emesse dalla
dose diagnostica di 131Iodio. Tale fenomeno è
presente quando si usano dosi superiori ai
185 MBq (5 mCi). Secondo alcuni autori tale
fenomeno riduce significativamente la percentuale di captazione della dose terapeutica,
e quindi gli effetti indotti dalla radioiodioterapia sia sul residuo ghiandolare da siderare
che sulle eventuali lesioni secondarie.
È stato dimostrato che il fenomeno persiste per circa 40 giorni dalla dose diagnostica.
Per tale motivo la tendenza attuale è quella di
non eseguire il Total Body diagnostico pretrattamento, ma limitarsi alla valutazione del
residuo ghiandolare mediante una captazione
e una scintigrafia della tiroide, ed eseguire il
Total Body dopo la terapia utilizzando la dose terapeutica.6 Nel caso in cui invece sia necessario eseguire il Total Body per scelta o
per necessità, le dosi di 131Iodio dovrebbero
essere di circa 74 MBq (2 mCi); in alternativa
è consigliabile l’uso dello 123Iodio.
La somministrazione di dosi relativamente basse di 131Iodio comporta comunque una
L’impiego dei radioisotopi e della radiologia nella diagnostica tiroidea
ridotta capacità nella visualizzazione di area
di captazione patologica a basso uptake, come per esempio nelle localizzazioni secondarie polmonari. Il Total Body con radioiodio
consente di valutare la presenza del residuo.
Difatti nei pazienti sottoposti a tiroidectomia
totale o subtotale la captazione dello iodio è
prevalente a livello delle cellule tiroidee residue, per cui nei casi ove è presente un ampio
residuo la presenza di eventuali siti metastatici può non essere evidente.
È tuttavia da segnalare che non tutti gli autori concordano con la presenza del fenomeno dello stunning e dei suoi effetti negativi sugli esiti a breve e medio termine della successiva terapia con radioiodio, anche se le esperienze in vitro e nei trial clinici ne hanno confermato l’esistenza.
Attualmente, comunque, se la classificazione istologica suggerisce la terapia con radioiodio nella fase di pretrattamento, alcuni
protocolli indicano lo studio del residuo con la
captazione e scintigrafia con iodio e l’esecuzione del Total Body dopo il trattamento
sfruttando la dose terapeutica.
Lo 123Iodio non pone il problema dello
stunning ma, come già accennato, il maggiore fattore limitante è il costo elevato del radioisotopo e la sua limitata disponibilità. Per eseguire il Total Body con lo 123Iodio si somministrano oralmente circa 60-74 MBq e le scansioni sono effettuate a 5 ore e, preferibilmente, a 24 ore dalla somministrazione.
Diversi lavori correlano i risultati dei Total
Body ottenuti con lo 131I e 123I. Da queste esperienze si osserva una sostanziale sovrapponibilità dei risultati sia per numero che per sede delle lesioni evidenziate. Inoltre impiegando lo 123Iodio si è dimostrato come le scansioni a 24 ore consentano una migliore definizione delle lesioni in termini di numero e di
rapporto segnale/rumore.
Per migliorare la qualità dell’esame è importante che il paziente sia preparato alle
scansioni, per esempio effettuando un clistere di pulizia intestinale associato eventualmente, durante l’intervallo di tempo tra la
somministrazione dello 131Iodio e la scansione,
a una terapia con lassativi, al fine di evitare
l’interferenza dell’attività di fondo intestinale.
La scansione dovrebbe essere di tipo Total
Body in proiezione anteriore e posteriore effettuata con collimatore a energia adeguata a
seconda che si impieghi lo 131I o lo 123I. Oltre a
queste immagini è necessario associare eventualmente scansioni mirate di dettaglio su singoli distretti corporei sede di dubbi interpretativi. Il posizionamento di marker anatomici
può essere d’ausilio nell’identificazione di accumuli patologici dello iodio, specie nei siti posti al di fuori della regione anteriore del collo.
I siti di accumulo fisiologico dello iodio sono riportati nella tabella 32.2. Possibili cause
di falsi positivi sono legate alla contaminazione di radioiodio eliminato dai fluidi biologici.
I siti più comuni di contaminazione sono abiti (per esempio fazzoletti), pelle, ecc. Nel caso di dubbio di contaminazione o artefatto è
necessario ripetere la scansione invitando il
paziente a togliere l’abito potenzialmente
contaminato e facendogli lavare la regione.
Il Total Body eseguito a distanza di almeno
6 mesi dopo trattamento chirurgico e terapia
con radioiodio consente di valutare la presenza di residuo o la sua completa siderazione e
la presenza di altre aree di ipercaptazione da
lesioni secondarie (figura 32.7).
Nel caso in cui la scintigrafia Total Body sia
fatta con l’innalzamento del TSH mediante
somministrazione di rhTSH, lo 131Iodio va
Tabella 32.2 - SITI DI ACCUMULO FISIOLOGICO
DELLO IODIO
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Mucosa nasale
Ghiandole salivari
Bocca
Esofago
Stomaco
Tratto gastrointestinale superiore
Colon
Vescica e diverticoli vescicali
Colon
Fegato (in presenza di 131I-T4)
623
32
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
PET:
metodica
medico-nucleare
che utilizza come
traccianti sostanze
emettitrici di positroni.
I positroni sono particelle
emesse dal nucleo
che hanno la stessa
massa degli elettroni
ma carica positiva.
Il positrone, una volta
emesso, collide
con un elettrone
(fenomeno
dell’annichilazione)
e da ciò si producono
due radiazioni
elettromagnetiche di
uguale energia (511 keV
l’una) che però divergono
tra loro di 180°
somministrato a 24 ore dalla seconda dose di
rhTSH con scansioni scintigrafiche a 48 ore
dalla somministrazione del radioisotopo. Allo
stato attuale non è certo che questo sia il protocollo di imaging più idoneo, in quanto la cinetica del radioiodio in questi pazienti è differente rispetto a quelli con un ipotiroidismo
indotto da sospensione della terapia sostitutiva/soppressiva. Attualmente l’impiego del
rhTSH è limitato clinicamente solo per finalità diagnostiche e non terapeutiche.
Tomografia a emissione
di positroni (PET)
La positività del Total Body con iodio è legata alla capacità della cellula di incorporare l’alogeno. Se questa funzione non risulta più
presente, ciò è considerato un indice prognostico negativo in quanto indica un viraggio
della cellula verso la sdifferenziazione. In questi ultimi tempi si è andata sempre più diffon-
FIGURA 32.7
Scintigrafia totale
corporea con 131Iodio
dopo dose terapeutica
(3700 MBq) in paziente
già sottoposto
a tiroidectomia totale
per cancro follicolare
della tiroide. È ben
evidente la captazione
del radioiodio a livello
del residuo ghiandolare
e la presenza di altre aree
di accumulo patologico
del tracciante a livello
del mediastino
e del parenchima
polmonare bilateralmente
da lesioni secondarie
iodocaptanti.
624
dendo la tomografia a emissione di positroni
(PET). Come tracciante solitamente si impiega il 18Fluorodesossiglucosio (18FDG), che è
un analogo del glucosio con un accumulo intracellulare a questi parallelo. Per la sua
struttura chimica il 18FDG viene fosforilato da
un’esochinasi a 18FDG 6 fosfato, ma in questa
forma non rappresenta più un substrato per
la glicolisi e, non venendo metabolizzato, rimane intrappolato all’interno della cellula.
Il metabolismo glicidico è particolarmente
attivo nelle cellule maligne, e tale caratteristica permette un’analisi di malignità biologica, consentendo di differenziare i tumori non
in base al loro istotipo bensì in base alla loro
attività metabolica. Inoltre è possibile caratterizzare aree a più elevata malignità nel contesto di una neoplasia a composizione mista,
con l’individuazione di aree da valutare biopticamente.
Nella patologia neoplastica tiroidea è stato
proposto l’impiego della PET 18FDG in tutti
quei casi in cui vi è una discordanza tra presenza di recidiva o lesioni secondarie dovuta
ai reperti di laboratorio, o di imaging morfologico (ecografia, TC o RM) e negatività della
scintigrafia con radioiodio. Tale fenomeno
può essere dovuto a tumori che virano verso
la sdifferenziazione e hanno quindi perso parzialmente o del tutto la capacità di captare il
radioiodio, mantenendo invece la capacità di
secernere la tireoglobulina. Alcuni autori sostengono che la riduzione o la perdita della capacità di captare e/o organificare lo iodio sia
legata a effetti di precedenti trattamenti radiometabolici con il radioiodio o delle terapie
radianti esterne, mentre l’ipotesi di sdifferenziazione spontanea appare più improbabile.1
La sensibilità della metodica è alquanto
alta (78-80%), con una specificità che raggiunge il 90-100%. È da ricordare inoltre che
l’esame PET può essere eseguito su pazienti
in terapia soppressiva con LT4, anche se vi sono alcune evidenze che mostrano un aumento della captazione del 18FDG da parte delle
lesioni secondarie in condizioni di incremento del TSH. L’associazione tra Total Body con
32
L’impiego dei radioisotopi e della radiologia nella diagnostica tiroidea
radioiodio e PET 18FDG porta a una specificità molto alta di circa il 95-100%.
L’ipotesi attuale è che l’accumulo del radioiodio a livello delle lesioni secondarie sia
indice di una buona differenziazione cellulare, mentre la captazione del 18FDG incrementa con la sdifferenziazione cellulare e di
conseguenza è indice di prognosi peggiore
per il paziente (figura 32.8).
Alcuni autori sostengono che la PET vada
eseguita solo dopo il trattamento terapeutico
nei pazienti in cui i valori della tireoglobulina
siano elevati e le altre metodiche di imaging
morfologico siano negative, così come il Total
Body post-terapia. Nella nostra esperienza
invece riteniamo che questa indagine possa
trovare una collocazione nella fase preterapeutica, dopo aver eseguito le indagini morfologiche quali ecografia della regione anteriore del collo e TC del torace. La PET mostra invece una notevole potenzialità nella valutazione dell’estensione della malattia nei casi di
carcinomi indifferenziati della tiroide.
Radiologia
Tomografia computerizzata
18Fluoro:
Negli ultimi anni la tomografia computerizzata (TC) ha rappresentato una rivoluzione
in termini di innovazione tecnologica, metodologica e indicazioni di impiego. Recentemente si è registrata inoltre un’ulteriore accelerazione nei progressi tecnologici: difatti
i moderni apparecchi TC (per esempio TC
spirali multistrato) consentono di ridurre in
maniera notevole i tempi di scansione, con
beneficio sia in termini di comfort per il paziente che di miglioramento della qualità delle immagini. Con questi apparecchi inoltre le
ricostruzioni anche sugli altri piani spaziali
(coronali, sagittali e obliqui) sono di notevole qualità.7
La ghiandola tiroidea per la sua densità è
ben visibile alle immagini TC senza l’ausilio di
alcun mezzo di contrasto. I margini superiori
dei lobi tiroidei sono evidenziabili cranialmente alle corna inferiori della cartilagine
cricoidea. Il margine posteriore è a contatto
con l’esofago e l’istmo della ghiandola è posto
anteriormente alla trachea. Le ghiandole
paratiroidee non sono visibili all’esame TC
quando risultano normali, mentre appaiono
Il ruolo della radiologia tradizionale è del tutto secondario nello studio delle patologie tiroidee. Come reperto occasionale nel radiogramma standard del torace è possibile riscontrare deviazione dell’asse tracheale da
iperplasia della ghiandola, che può anche essere associata a uno slargamento del mediastino da sviluppo retrosternale della tiroide.
Occasionalmente può essere eseguito lo
studio dell’esofago con pasto baritato per la
definizione della compressione della ghiandola sul viscere.
Il radiogramma dal torace può essere utile nella valutazione dell’interessamento polmonare nei pazienti con sospetta o certa localizzazione secondaria. È da ricordare tuttavia che, specie nelle localizzazioni in fase iniziale, la disseminazione metastatica spesso è
di tipo miliariforme con lesioni di minime dimensioni che possono anche sfuggire al radiogramma standard.
625
è il tracciante
maggiormente impiegato
per gli studi PET;
è prodotto dal ciclotrone
e ha un’emivita fisica
di circa 109 minuti.
Mediante processi
di radiochimica si ottiene
la sintesi del
18Fluorodeossiglucosio
(18FDG)
FIGURA 32.8
Scintigrafia totale
corporea con 131Iodio
dopo dose terapeutica
e successivo esame PET
con 18FDG in paziente
già operato di cancro
papillare della tiroide
e trattato
precedentemente
con dose terapeutica
per ablare il residuo
tiroideo. Al follow-up
si aveva un incremento
dei valori di tireoglobulina
con presenza di multiple
aree da localizzazione
secondaria a livello
del parenchima
polmonare. A: Total Body
in proiezione anteriore
e posteriore dopo
seconda dose terapeutica:
è possibile notare
una singola area
di accumulo patologico
del radioiodio a livello
del campo medio
del polmone di destra.
Si noti la presenza
di attività a livello
gastrico e del colon
nonostante la pulizia
intestinale. L’indagine
PET eseguita con 18FDG
in sezioni coronali (B)
e transassiali (C) mostra
multiple aree di accumulo
patologico
del radiofarmaco.
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
riconoscibili quando aumenta significativamente il loro volume.
Il ruolo della TC nella valutazione delle
patologie nodulari e funzionali della tiroide è
secondario rispetto a quello delle metodiche
ecografiche e di medicina nucleare. Con la TC
è difatti possibile evidenziare la presenza di
calcificazioni che però non hanno significato
di malignità.
Nelle iperplasie la ghiandola si evidenzia a
livello della cartilagine tiroidea con estensione
FIGURA 32.9
Tomografia
computerizzata
con impiego di mezzo
di contrasto della regione
del collo. È evidente
il coinvolgimento
secondario dei linfonodi
laterocervicali di sinistra,
che appaiono ingranditi,
confluenti e provocano
una deviazione dell’asse
tracheale.
FIGURA 32.10
Tomografia
computerizzata
della regione del collo.
Presenza di una recidiva
di cancro della tiroide
con deviazione a sinistra
della trachea
che non appare invasa.
caudale a livello del mediastino anteriore, medio e anche posterosuperiore. Questo aspetto
rende la TC la metodica di scelta rispetto all’ecografia per evidenziare l’estensione di un
gozzo tiroideo a sviluppo retrosternale.
Il ruolo della TC è invece di primo piano
nella definizione dell’estensione della malattia
neoplastica a distanza. Per la valutazione del
coinvolgimento linfonodale e delle recidive il
ruolo cardine spetta all’ecografia, ad eccezione di quei casi in cui si prospetti l’eventuale intervento chirurgico per la valutazione dell’estensione della malattia (figure 32.9 e 32.10).
Difatti i linfonodi del collo sono localizzati in
varie posizioni: lungo il fascio vascolonervoso
nelle adiacenze della vena giugulare interna, al
di sotto del muscolo sternocleidomastoideo,
ecc. Il principale parametro diagnostico per la
definizione del loro coinvolgimento da patologia neoplastica tiroidea è quello dimensionale,
con l’evidenza della confluenza dei linfonodi. È
ovvio che per tale diagnosi, oltre all’esame clinico, l’ecografia è l’indagine di scelta.8 9
Nei pazienti con sospetto clinico di lesioni
metastatiche a livello toracico, la TC è fondamentale per evidenziare localizzazioni a carico
del parenchima polmonare e del mediastino.
A livello del parenchima polmonare la presenza di lesioni secondarie può essere evidente anche senza l’ausilio del mezzo di contrasto (figura 32.11). Ciò è particolarmente
utile quando è in programma in tempi brevi
(inferiori ai 30-60 giorni) una terapia con radioiodio. Per l’identificazione di lesioni mediastiniche invece è richiesto l’impiego del
mezzo di contrasto. Sono attualmente disponibili attrezzature di PET/TC, che consentono
la contemporanea acquisizione di studi PET e
TC. Ciò favorisce l’integrazione delle informazioni metaboliche ottenute con la PET con
quelle morfologiche ricavabili dalla TC.
Risonanza magnetica nucleare
La risonanza magnetica nucleare (RM) consente di studiare in maniera ottimale la regione del collo grazie anche alla notevole risolu-
626
L’impiego dei radioisotopi e della radiologia nella diagnostica tiroidea
zione di contrasto dei vari tessuti. Difatti questi presentano valori di densità protonica e
tempi di rilassamento tali da consentire un’ottima differenziazione tra muscoli, grasso, vasi
sanguigni, ghiandole quali tiroide e salivari.
Inoltre è presente un contrasto naturale dovuto alla presenza dei vasi che non rende necessario l’impiego dei mezzi di contrasto.
Per i cenni di tecnica si rimanda a testi specialistici, che richiedono una conoscenza approfondita dei principi fisici e applicativi della RM.7
Con la RM è possibile ottenere immagini
lungo i tre piani spaziali. Il piano di riferimento standard è quello assiale, ma sono indicate anche le immagini negli altri piani spaziali. Il piano coronale è considerato quello
più idoneo nella definizione dell’iperplasia
con accrescimento verso la regione mediastinica.10
La tiroide è ben visualizzata al di sotto
della componente adiposa del sottocutaneo e
i due lobi sono posizionati in 3-6 immagini
trasverse continue anteriormente e lateralmente alla trachea. Tra i due lobi è possibile
a volte identificare una struttura venosa, riferibile alla porzione distale della vena tiroidea. A livello della porzione inferiore dei lobi
tiroidei sono apprezzabili solitamente le
ghiandole paratiroidee inferiori. Con idonee
tecniche di acquisizione e con l’ausilio anche
di bobine di superficie è possibile identificare in questa regione i vasi tiroidei inferiori sia
arteriosi che venosi. Nelle immagini coronali più anteriori è possibile evidenziare entrambi i lobi in posizione mediale rispetto al
muscolo sternocleidomastoideo e alla muscolatura lunga.
La RM nelle tiroiditi mostra una ghiandola
ingrandita, con disomogeneità di segnale nelle acquisizioni effettuate con tempi di rilassamento lunghi e di bassa intensità nelle immagini con tempi di rilassamento brevi.
Nel gozzo multinodulare è possibile evidenziare un segnale di uguale intensità o
lievemente più intenso rispetto alla ghiandola normale. È possibile però osservare aree di
elevato segnale da riferire a cisti colloidali o
a emorragie nell’ambito di una degenerazione cistica. Le calcificazioni presentano un
segnale ipointenso nelle varie sequenze di
acquisizione.
Per queste indicazioni cliniche la RM è poco impiegata, ad esclusione dei casi in cui è
presente un’iperplasia della ghiandola, specie
se questa ha una tendenza allo sviluppo retrosternale. Infatti la RM è molto accurata
nella definizione spaziale dell’estensione della ghiandola a livello della giunzione cervicotoracica. In questi casi le scansioni nei piani
coronali consentono di definire meglio l’estensione e i rapporti della ghiandola con le
altre strutture anatomiche.
L’adenoma tiroideo presenta quadri RM
non uniformi legati alla caratteristica strutturale della patologia. Difatti nelle immagini T1
pesate gli adenomi appaiono isointensi o lievemente iperintensi rispetto al tessuto normale, mentre nelle immagini T2 pesate il segnale apparirà iperintenso rispetto al parenchima normale. Per questa caratteristica gli
adenomi di piccole dimensioni sono meglio
evidenziabili nelle sequenze T2 pesate.
La RM comunque non consente, allo stato
attuale, di differenziare i vari istotipi costituenti le masse tiroidee.9
Nelle patologie maligne lo studio RM non si
deve soffermare esclusivamente sulla valuta-
32
Risonanza magnetica:
metodica diagnostica
che impiega campi
magnetici
e radiofrequenza.
Non impiega radiazioni
ionizzanti
FIGURA 32.11
Tomografia
computerizzata del torace
con finestra per lo studio
del parenchima
polmonare. Presenza
bilateralmente di multiple
localizzazioni da lesioni
secondarie da cancro
della tiroide.
627
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
zione della loggia tiroidea ma deve anche consentire lo studio dei linfonodi regionali.
I reperti RM riscontrati a carico delle neoplasie maligne sono tuttavia molto simili a
quelli generati dagli adenomi, cioè con segnale iso o lievemente iperintenso rispetto al
tessuto normale. A volte il carcinoma follicolare può presentare elevata intensità di segnale e ciò è dovuto alla presenza di un certo
quantitativo di colloide prodotta dalla neoplasia ben differenziata.8
Nel carcinoma anaplastico invece si osserva l’invasività della neoformazione spesso oltre la loggia tiroidea. In questi casi la RM consente di studiare in maniera accurata l’invasione del tumore e i rapporti che esso ha con
le strutture circostanti. È infatti possibile definire l’invasione dei piani muscolari, del laringe, dell’esofago e delle strutture scheletriche viciniori. L’invasione del muscolo è evidente come area di incrementato segnale all’interno della massa muscolare. Anche in
questo caso le immagini coronali consentono
spesso una migliore visione di insieme delle
strutture e consentono di delineare meglio
l’invasività della lesione.
Nei pazienti sottoposti a tiroidectomia a livello della loggia tiroidea, la RM presenta caratteristiche di segnale di tessuto connettivo
fibroso. Questo tessuto ha un segnale solitamente meno intenso a quello del muscolo.
Nelle recidive tumorali si ha invece un incremento dell’intensità di segnale, che risulterà
quindi iperintenso rispetto al muscolo. Anche
il coinvolgimento linfonodale è caratterizzato
da un incremento del segnale dalla struttura
coinvolta. Lo studio RM, oltre a evidenziare la
possibile presenza di una recidiva locoregionale, consente di studiare contemporaneamente la possibile infiltrazione a livello della
trachea e anche dell’esofago. La presenza di
una massa che infiltra ed eventualmente protrude in trachea è caratterizzata da una zona
di iperintensità.
In conclusione, nella clinica, la RM trova
applicazioni ben definite per la determinazione delle iperplasie a sviluppo intratoracico,
628
dell’estensione dei carcinomi invasivi, delle
recidive locoregionali e nella definizione dell’invasione dei linfonodi.
I vantaggi dell’impiego della RM nello studio della regione del collo rispetto alla TC sono essenzialmente la mancanza di impiego di
radiazioni ionizzanti, la possibilità di differenziare in maniera netta i vari tessuti senza
l’uso di mezzi di contrasto e la mancata interferenza dell’osso nello studio del tratto di
giunzione cervicotoracico e retrosternale. Da
un punto di vista diagnostico con la RM si può
meglio definire l’estensione delle masse neoplastiche e il coinvolgimento linfonodale e di
invasione di piani muscolari.
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Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico
della patologia tiroidea
VINCENZO SUMMARIA, ADOLFO CANADÈ, ALESSANDRO MARIA COSTANTINI,
PASQUALE MARANO
Introduzione
In pazienti con un quadro clinico-laboratoristico indicativo o semplicemente sospetto di
patologia tiroidea è necessario impostare un
protocollo diagnostico strumentale con l’obiettivo di rispondere a quesiti mirati inerenti all’identificazione di lesioni focali o diffuse
che confermino il sospetto clinico, alla caratterizzazione morfostrutturale delle stesse e al
monitoraggio durante e dopo terapia. Tale
approccio è importante per la sua valenza
prognostica: la corretta definizione di un quadro clinico è la necessaria premessa per adottare efficaci provvedimenti terapeutici.
L’approccio strumentale non invasivo, che
si offre oggi in molti casi quale valida alternativa all’esplorazione chirurgica, è reso possibile dalla disponibilità di un ricco arsenale
diagnostico, che se da un lato va sempre più
ampliandosi, dall’altro esige una razionale gestione anche in termini di rapporto costo/beneficio, per evitare che tali applicazioni siano
inopportune perché prescindono da un’adeguata integrazione clinico-diagnostica.
Tra le metodiche per immagini oggi disponibili, l’ecografia è poco costosa, diffusa su
tutto il territorio e non espone a radiazioni ionizzanti; ha acquisito, pertanto, un ruolo di
primo piano fornendo con grande accuratezza informazioni morfologiche (dimensioni,
densità e omogeneità strutturali della ghiandola) e, con l’impiego del modulo color Doppler, anche funzionali, di tipo qualitativo (presenza, distribuzione e grado di vascolarizzazione) e quantitativo (misure di velocità, flusso e indici di resistenza al flusso).
Alla ricchezza di informazioni potenzialmente ottenibili si contrappone, tuttavia, la
difficoltà di una corretta interpretazione, in
particolare per evitare di attribuire un significato patologico a immagini dovute a fisiologiche dilatazioni di cavità follicolari o a nidi
cellulari iperplastici (che riflettono la variabile distribuzione e strutturazione delle unità
lobulari), riferendole erroneamente ad alterazioni cistiche o solide proprie delle diverse
fasi evolutive dell’iperplasia gozzigena, degenerative (colloidocistiche, necrotico-emorragiche) o compensatorie (iperplasia). Altret-
629
Protocollo diagnostico
strumentale:
va impostato
con l’obiettivo
di rispondere a quesiti
mirati inerenti
l’identificazione, la
caratterizzazione
e il monitoraggio di
lesioni che confermino
il sospetto
clinico-laboratoristico
Ecografia:
fornisce con accuratezza
informazioni morfologiche
e, con l’impiego del color
Doppler, anche
funzionali, di tipo
quantitativo e qualitativo.
Alla ricchezza
di informazioni
si contrappone tuttavia
la difficoltà di una
corretta interpretazione
che non può prescindere
da un’adeguata
integrazione con i dati
clinici e di laboratorio
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
Immagine ecografica:
è una rappresentazione
dinamica dell’interazione
degli ultrasuoni (US)
con la materia.
L’immagine
bidimensionale
sul monitor è
espressione
della presenza
di «interfacce», ovvero
di strutture contigue
a diversa impedenza
acustica
Riflessione:
è una delle principali
interazioni degli US
con la materia ed è
responsabile degli echi
di ritorno verso la sonda,
rappresentati sul monitor
con pixel più o meno
luminosi. In rapporto
alla regolarità geometrica
dell’interfaccia
e all’angolo di incidenza
tra US e interfaccia,
si distinguono due tipi
principali di riflessione:
riflessione speculare e
diffusione. Dal tipo
di riflessione
e dall’estensione
dell’interfaccia rispetto
alla lunghezza d’onda
degli US dipende
la quantità di energia
del fascio incidente che è
riflessa verso la sonda
tanto difficoltoso risulta poi attribuire il giusto peso diagnostico a singoli segni, morfologici o funzionali, che, come già ricordato, non
possono prescindere da un’adeguata integrazione clinico-strumentale; a tal proposito si ricordi per esempio la difficoltà della caratterizzazione del nodulo tiroideo o il corretto inquadramento di segni quali l’aumento di volume della ghiandola o la riduzione della sua
ecogenicità.
Oggetto della nostra discussione, sviluppata in chiave clinico-strumentale, è il ruolo
dell’ecocolor Doppler (ECD), da integrare,
con le sue indicazioni e i suoi limiti, nell’iter
diagnostico della patologia tiroidea; i brevi riferimenti alle altre metodiche per immagini,
infatti, serviranno solo per capire quando e
perché è utile ricorrere all’impiego dell’ECD.
Di seguito, prima di affrontare la discussione
dei principali quadri clinici della patologia tiroidea, verranno riportati brevi cenni di fisica
degli ultrasuoni, utili per capire i principi di
semeiotica ecografica, e di anatomia e metodologia ecografica.
Cenni di fisica degli ultrasuoni
e di semeiotica elementare
L’immagine ecografica (B-mode real-time) è
una rappresentazione dinamica di come il fascio incidente di ultrasuoni (US) interagisce
con le strutture biologiche. Le strutture anatomiche sono esplorate attraverso scansioni
tomografiche variabili (assiali, longitudinali o
oblique) e vengono rappresentate con immagini bidimensionali costituite da un insieme di
punti più o meno luminosi (insieme dei pixel
sul monitor). La presenza sul monitor di un
punto più o meno luminoso è a sua volta
espressione della presenza di due strutture
contigue a diversa impedenza acustica (Z): è
il concetto dell’interfaccia acustica.
La forma, l’intensità e l’organizzazione dei
punti luminosi (rappresentazione della parte
di onde ultrasonore riflesse indietro verso la
sonda, dette echi) dipendono dall’architettura e dal tipo dei tessuti esplorati dal fascio; in
630
particolare, i parametri fondamentali da considerare sono:
• estensione e regolarità dell’interfaccia
acustica;
• angolo di incidenza degli US rispetto alla
superficie dell’interfaccia.
Interfacce estese (estensione dell’interfaccia > lunghezza d’onda λ del fascio di US)
e a grande differenza di impedenza acustica
(∆Z) danno luogo a riflessioni diverse, in relazione al tipo di superficie dell’interfaccia
(liscia o «irregolare») e all’ortogonalità del fascio incidente. Il primo tipo di riflessioni generate da interfacce estese (riflessioni speculari), tipico dei «contorni netti» degli organi normali rappresentati da sottili linee iperecogene (per esempio contorno della ghiandola tiroidea) e delle formazioni ben circoscritte
(per esempio contorni di cisti semplici), si ha
nel caso di fascio incidente in maniera ortogonale su interfacce lisce sufficientemente
estese: l’angolo di riflessione è pari a quello di
incidenza (90°) cosicché le onde ultrasonore
riflesse seguono lo stesso tragitto del fascio
incidente, determinando la massima captazione del segnale riflesso verso la sonda. Il secondo tipo (riflessioni non speculari o diffusioni) è generato da un fascio incidente in maniera non ortogonale sulla superficie dell’interfaccia, sia liscia che irregolare: in queste
condizioni le onde di riflessione non seguono
lo stesso tragitto del fascio incidente e il trasduttore riceve solo una parte delle onde riflesse; tale tipo di riflessione è rappresentata
infatti da echi di minore intensità e si riscontra tipicamente nei contorni sfumati, non netti (per esempio contorni di una formazione
infiltrante).
Interfacce con estensione pari o di poco
minore alla λ del fascio US producono segnali d’eco molto più deboli per effetto della dispersione dell’energia riflessa.
Interfacce molto piccole (estensione <<λ)
non vengono rappresentate come entità distinte, anche se rimandano verso il trasdutto-
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
re un segnale proprio, a causa del potere di risoluzione della macchina: servirebbero infatti λ estremamente ridotte per poter discriminare le singole particelle, ma comunque il segnale di ritorno sarebbe di energia bassissima, con intensità proporzionale al rapporto
d6/λ4 (d = dimensione della particella). Interfacce di tal tipo rappresentano la tessitura
«interna» (trama «omogeneizzata») dei parenchimi, senza che sia possibile visualizzare
come distinte e separate le strutture più fini.
Per esempio, le trabecole di epatociti o i tireociti follicolari non sono visualizzati come su
un vetrino istologico, ma come una «trama
omogenea» di puntini luminosi, i pixel del
monitor: questi dunque non sono espressione
diretta delle strutture che li hanno generati e
di essi dobbiamo valutare uniformità di ecogenicità (intorno a un valore centrale, detto
«livello») e di distribuzione spaziale.
Un altro tipo di interazione del fascio incidente di US con la materia biologica, importante ai fini della comprensione della semeiotica ecografica, è l’assorbimento che spesso si
accompagna a fenomeni di riflessione (per
esempio nella rappresentazione delle macrocalcificazioni). Esso determina l’attenuazione
del fascio (riduzione dell’energia incidente) e
rende conto della relativa povertà di echi o
addirittura assenza di echi (zone nere di «ombra acustica» sul monitor) nelle regioni anatomiche poste profondamente alla zona di
forte riflessione/assorbimento; la macrocalcificazione verrà dunque rappresentata come
area fortemente iperecogena (bianca sul monitor) a livello dell’interfaccia con il parenchima contiguo in virtù della forte riflessione,
e con un’ombra acustica nelle regioni profonde ad essa sia per l’assorbimento (dissipazione dell’energia incidente sotto forma di
calore) che per la bassa energia residua del
fascio incidente che, continuando la sua
esplorazione, dovrebbe generare eventuali
riflessioni (segnali di ritorno) da tessuti più
profondi (più lontani dalla sonda). Una zona
d’«ombra» sul monitor, dunque, non va interpretata come assenza di materia in quella re-
gione anatomica, ma come assenza di fenomeni di interazione US-materia, rilevabili dalla sonda. Tale fenomeno si osserva in tre condizioni principali:
• bassa energia del fascio incidente che deve interagire con la materia, in regioni anatomiche poste profondamente a zone di
forte riflessione;
• bassa energia del fascio incidente che deve interagire con la materia, in regioni anatomiche poste profondamente a zone di
forte assorbimento;
• regioni anatomiche di tipo «transonico»,
che presentano un’elevata impedenza acustica in quanto si lasciano attraversare
velocemente dal fascio US senza generare
riflessione o comunque attenuazione dell’energia incidente (per esempio il contenuto fluido omogeneo delle cisti di tipo
semplice).
Il fascio di US, penetrando nella materia ed
incontrando interfacce di diverso tipo, genera diversi segnali di ritorno, che sono alla base della semeiotica ecografica, e si attenua
progressivamente di 1-2 dB/cm per:
• divergenza;
• riflessione speculare/riflessione non speculare (diffusione);
• dispersione;
• assorbimento;
• rifrazione.
Ne deriva che interfacce con uguali caratteristiche fisiche (∆Z, estensione, regolarità e
angolo di incidenza col fascio di US) possono
avere una diversa rappresentazione ecografica; in particolare quelle più profonde, raggiunte da un fascio sempre più debole, generano un’eco, e dunque un segnale rilevabile
sul monitor, minore delle stesse interfacce
più superficiali, raggiunte da un fascio a maggior contenuto energetico. È indispensabile
allora amplificare selettivamente gli echi di ritorno dagli strati più profondi.
631
32
Assorbimento:
causa una significativa
riduzione di energia
del fascio incidente di US
e si traduce in riduzione
o assenza di echi
(«ombra acustica»
propriamente detta)
nelle regioni poste
distalmente lungo
il cammino del fascio
incidente nella materia.
Spesso l’assorbimento
si accompagna
a riflessione
Zone d’ombra
(assenza di echi):
si generano anche
in caso di forti riflessioni
(macrocalcificazioni),
in presenza di strutture
transoniche (contenuto
fluido delle cisti semplici)
o per rifrazione (coni
d’ombra laterali
delle cisti); l’assenza
di pixel dunque non
esprime assenza
di materia
nella corrispondente
regione del corpo
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
Va infine sottolineato che impiegando sonde con elevate frequenze in trasmissione
(cioè con minore lunghezza d’onda) aumentano, per quanto detto sinora, i fenomeni di riflessione (aumento del numero di interfacce
sufficientemente estese rispetto alla piccola
lunghezza d’onda degli US): se ciò consente
un maggior dettaglio anatomico (segnale di
ritorno di maggiore energia per prevalenza di
riflessioni), riduce anche il potere di penetrazione del fascio incidente. Per lo studio di
strutture superficiali come la tiroide, poiché
il percorso che il fascio incidente deve percorrere è limitato in profondità, si impiegano
sonde ecografiche con un’elevata frequenza
in trasmissione (da 7,5 a 13 MHz) che consentono un’ottimale risoluzione spaziale.
• trasversali, adatte per valutare la simmetria (non tanto morfologica, quanto ecostrutturale) dei due lobi e i rapporti con le
strutture contigue (figure 32.12 e 32.13B);
• longitudinali, che permettono di studiare
in dettaglio la morfologia e la struttura di
ogni lobo (figura 32.13A).
All’ecografia i due lobi, connessi in basso
dall’istmo (figura 32.12), hanno nelle scan-
Cenni di anatomia ecografica
e di metodologia
L’esame si effettua con sonde lineari a paziente supino e con collo iperesteso, mediante ripresa di scansioni:
A
B
FIGURA 32.12
Tiroide normale
FIGURA 32.13
Calcolo del volume tiroideo
Scansione trasversale con sonda anulare da 7,5 MHz.
La tiroide presenta morfologia e volume normali,
con lobo destro leggermente più grande
del controlaterale e istmo sottile. Il parenchima ha
struttura omogenea, più ecogena dei muscoli adiacenti
e del sottocute, ed è delineato da una sottile riflessione
ecogena lineare, dovuta alla capsula.
Scansioni longitudinale (A) e trasversale (B) del lobo
destro con sonda lineare da 7,5 MHz. Dalla misurazione
dei diametri (A) longitudinale, anteroposteriore e (B)
trasverso, moltiplicati per un fattore di correzione, si
ottiene il volume stimato del lobo destro. Dalla somma
con l’analogo valore ottenuto dalla misurazione del lobo
sinistro, si ottiene il volume ghiandolare complessivo.
632
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
sioni longitudinali (figura 32.13A) una morfologia ovalare con polo inferiore tendenzialmente più arrotondato e polo superiore più
allungato, e sono circondati da una sottile capsula iperecogena. La struttura parenchimale appare omogenea (distribuzione uniforme
di echi, simili per dimensione ed ecogenicità), con livello di ecogenicità di poco superiore a quello dei muscoli adiacenti.
Vanno conosciute piccole alterazioni focali dell’ecostruttura «omogenea», al limite tra
normale e patologico, non sempre presenti,
espressione dello stato funzionale o di fenomeni di regressione fisiologica:1
• piccole aree anecogene (pochi millimetri)
espressione di accumuli di colloide, derivanti dalla coalescenza di più follicoli;
• calcificazioni nel contesto di un parenchima peraltro normale, isolate o a gruppi, lineari o a guscio, frequenti nell’età avanzata, dovute a fenomeni regressivi;
• brevi bande iperecogene senza cono d’ombra posteriore riferibili a fibrosi, anch’esse
frequenti nell’età avanzata e dovute a fenomeni regressivi, che vanno distinte da
piccole aree iperecogene tondeggianti, potenziale espressione di carcinomi papilliferi sclerosanti, soprattutto se in associazione a linfoadenopatie laterocervicali, voluminose e cistiche;
• piccole aree isoecogene, distinguibili solo
per la presenza di un sottile e periferico
alone ipoecogeno, espressione di foci di
iperplasia nodulare (isoecogena al parenchima contiguo) con compressione di vasi
perilesionali, che essendo a contenuto fluido generano l’alone ipoecogeno. Non va
attribuito significato patologico a tali immagini se di dimensioni ≤5 mm e se l’alone
è regolare e continuo (senza interruzioni).
32
cm in spessore (diametro anteroposteriore
massimo della ghiandola, misurato in corrispondenza del polo inferiore). Il parametro
più significativo sembra essere lo spessore: ingrandimento sospetto tra 1,7 e 2 cm e ingrandimento sicuro se superiore a 2 cm. L’ecografia rappresenta inoltre il mezzo più accurato e
riproducibile per il calcolo del volume ghiandolare (spesso sottostimato clinicamente) e il
metodo più diffuso impiega la formula dell’ellissoide (lunghezza × spessore × larghezza ×
0,479) per ogni singolo lobo, trascurando l’istmo (figura 32.13). Nei soggetti adulti sani,
in regioni con normale apporto iodico, il volume globale (somma dei due lobi) varia tra
10,7 ml (DS ± 4,6) e 11,5 ml (DS ± 3), in rapporto al peso e alla massa magra corporea.
Le strutture vascolari principali sono apprezzabili in corrispondenza del polo superiore (arteria tiroidea superiore) e posteriormente al terzo inferiore (arteria tiroidea inferiore, figura 32.14), con diametro compreso
tra 1 e 2 mm, aumentato per esempio in caso
di iperplasia iperfunzionante o di adenoma
tossico. Al di fuori di particolari condizioni fisiologiche, quali pubertà, gravidanza, allattamento, il parenchima normale è relativamente poco vascolarizzato, con rappresentazione
dei segnali vascolari al color Doppler dipendente anche dalla sensibilità dell’apparecchiatura (valutazione qualitativa della distribuzione spaziale della vascolarizzazione
ghiandolare). Il modulo Doppler consente
FIGURA 32.14
Esame Doppler: arteria
tiroidea inferiore
Scansione longitudinale
del lobo sinistro con
sonda lineare da 7,5 MHz,
con tecnica color Doppler
e analisi flussimetrica.
L’arteria tiroidea
inferiore, visibile
posteriormente al lobo
tiroideo e anteriormente
rispetto ai muscoli lunghi
del collo, presenta
resistenze intermedie
con velocità sistolica
di 40 cm/s.
Dimensioni globali e morfologia possono
variare in rapporto al morfotipo costituzionale. In generale il range varia tra 4 e 6 cm in lunghezza (diametro craniocaudale misurabile
solo in scansione longitudinale) e tra 1,3 e 1,8
633
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
Gozzo eutiroideo:
all’esordio si presenta
con aumento omogeneo
del volume ghiandolare;
nel corso della sua storia
naturale può tuttavia
presentare un’evoluzione
nodulare e anche
una tendenza
all’autonomizzazione
dei noduli inizialmente
iperplastici
inoltre una valutazione qualitativa della
morfologia dello spettro delle velocità (tracciato di tipo parenchimale caratterizzato da
resistenze medio-basse e buona rappresentazione del flusso in diastole) e una valutazione quantitativa dei valori di velocità sistodiastolica e degli indici di resistenza al flusso.
A
FIGURA 32.15
Iperplasia semplice
Scansioni trasversale (A)
e longitudinali (B, C)
dell’istmo e del lobo
sinistro con sonda
anulare. La ghiandola è
uniformemente
ingrandita, con istmo
prominente e diametro
anteroposteriore
superiore a 20 mm.
I margini ghiandolari sono
convessi; la struttura
parenchimale è
omogenea.
B
C
634
Gozzo eutiroideo
Con questo termine si indica un aumento dimensionale della ghiandola tiroidea di tipo
diffuso o nodulare senza segni clinici o alterazioni metaboliche riconducibili a eccesso o
a carenza di ormoni tiroidei circolanti.
All’esordio l’aumento di volume della tiroide è di solito uniforme e con parenchima
omogeneo (gozzo parenchimatoso semplice); nella storia naturale del gozzo è molto
frequente, tuttavia, l’evoluzione nodulare,
con tendenza non solo all’aumento del numero e delle dimensioni dei noduli, ma anche allo sviluppo di una relativa autonomia funzionale degli stessi.
La normale funzione tiroidea si accompagna a una normale concentrazione sierica di
TSH, che peraltro può apparire aumentata in
aree geografiche con grave carenza iodica,
ridotta o addirittura indosabile in alcuni pazienti con gozzo multinodulare di lunga durata, riflettendo la presenza di aree ghiandolari
funzionalmente autonome.2 I dati di laboratorio sono spesso di difficile interpretazione,
come per esempio la concentrazione sierica
di tireoglobulina (più elevata che di norma),
o il riscontro di un lieve incremento del titolo
degli anticorpi antitiroidei (antitireoglobulina
e antiperossidasi); quest’ultimo dato potrebbe disorientare il diagnosta verso un quadro
di tiroidite autoimmune, mentre nel contesto
di un gozzo eutiroideo di lunga durata si spiega come conseguenza dell’elevato turnover
ghiandolare con immissione in circolo di antigeni cellulari. Di qui l’importanza di coordinare e integrare correttamente tutte le diverse informazioni possibili.
All’esordio il ruolo della diagnostica per
immagini, e in particolare dell’ecografia, non
riguarda lo stato funzionale, di pertinenza
della clinica e degli esami di laboratorio, ma la
valutazione morfologica dell’iperplasia ghiandolare. Nell’iperplasia semplice la metodica
documenterà dimensioni aumentate globalmente (aumento di tutti i diametri, specialmente di quello A-P), a carico di entrambi i lobi, margini arrotondati e struttura normale o
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
appena disomogenea e iperecogena con normale visibilità e distribuzione dei vasi intraparenchimali (figura 32.15).
In seguito, con l’evoluzione nodulare, la valutazione diagnostica diventa molto più complessa perché deve ricercare segni diretti o
indiretti che possono orientare nella caratterizzazione delle formazioni nodulari, distinguendo quelle iperplastiche semplici, potenzialmente reversibili al cessare dello stimolo
proliferativo presente in eccesso che le ha generate, da quelle non iperplastiche e non più
reversibili derivate dall’accrescimento tumorale di un singolo clone cellulare, talora funzionalmente autonome già dall’esordio e che
si sovrappongono ad un sottostante gozzo o
che derivano dalla autonomizzazione funzionale di un nodulo inizialmente iperplastico.
L’ecografia, in caso di presenza di noduli
«freddi» alla scintigrafia, può fornire alcuni
elementi di supporto diagnostico; segni ecografici di benignità di un nodulo sono:
per sé indicativo di benignità in quanto
espressione di diverse condizioni: cisti intraparenchimali (molto rare), aree di accumulo
di colloide intraparenchimali, aree di degenerazione cistica intraparenchimali o intranodulari, emorragia intraparenchimale o intranodulare (figure 32.16 e 32.21).
Anche il numero dei noduli non è più un
parametro utile (in passato il nodulo unico
era considerato sospetto di malignità) sia in
quanto l’affinarsi delle metodiche ha dimostrato che le lesioni solitarie sono rare sia per
il riscontro sempre più frequente di patologie
neoplastiche e non neoplastiche sovrapposte.
L’estensione intratoracica di un gozzo,
spesso sospettata a un radiogramma del torace, si osserva più frequentemente in condi-
32
Ecografia, nel gozzo
eutiroideo all’esordio:
documenta
una ghiandola
di dimensioni
omogeneamente
e diffusamente
aumentate, con struttura
normale o solo
lievemente iperecogena,
con normale distribuzione
dei vasi intraparenchimali
FIGURA 32.16
Gozzo multinodulare
• il pattern iso (figura 32.16) o iperecogeno
(figura 32.17), risultato di una struttura
macrofollicolare; in particolare il nodulo
isoecogeno con associato alone ipoecogeno, segno di per sé non specifico ed espressione dei vasi perilesionali compressi (figura 32.18), è tipico dei noduli iperplastici
non tossici, ma si riscontra anche negli adenomi; anche il nodulo iperecogeno, meno
frequente nel gozzo eutiroideo in fase nodulare, è indicativo di bassa malignità;1
• il riscontro di calcificazioni capsulari sottili
e regolarmente curvilinee («a guscio d’uovo») o intranodulari a zolla (figura 32.19).
Scansione longitudinale
destra con sonda anulare.
Tiroide ingrandita con più
noduli di ecogenicità
variabile. Il lobo destro è
in gran parte occupato
da un nodulo isoecogeno,
con sottile alone
ipoecogeno periferico
e ampie aree fluide
interne.
FIGURA 32.17
Gozzo multinodulare
Scansione longitudinale
destra con sonda lineare.
Aumento volumetrico del
lobo destro per presenza
di un nodulo iperecogeno
a margini regolari,
delimitato da sottile alone
ipoecogeno, che occupa
la metà inferiore del lobo.
Un secondo nodulo con
analoghi caratteri
ecografici è visibile al
terzo superiore.
Il valore dei segni probanti per benignità si
rafforza se considerati in associazione.
Il pattern ipoecogeno è infrequente nei
noduli iperplastici di un gozzo in fase nodulare, mentre è di più comune riscontro negli
adenomi non funzionalmente autonomi (figura 32.20).
Il riscontro invece di aree fluide, intranodulari o intraparenchimali, non è un segno di
635
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
FIGURA 32.18
Gozzo nodulare
FIGURA 32.19
Calcificazioni benigne
Ecocolor Doppler: scansione longitudinale sul lobo
sinistro, lievemente aumentato di volume e sede di un
piccolo nodulo (1 cm circa) solido, omogeneamente
isoecogeno, delimitato da sottile alone ipoecogeno, con
vascolarizzazione perilesionale.
Scansione longitudinale sinistra con sonda anulare.
Il lobo è in gran parte occupato da un nodulo solido
isoecogeno con grossolane calcificazioni al suo interno,
di tipo benigno.
A
B
FIGURA 32.20
Adenoma follicolare: caratteri ecocolor Doppler
C
636
Scansioni longitudinali del lobo destro con ecografia BMode (A), power-Doppler (B) e Doppler pulsato (C).
A: Si evidenzia un nodulo iso-ipoecogeno ovalare,
a margini regolari, circondato da un sottile alone
ipoecogeno periferico. B: Il power-Doppler mostra
segnali vascolari prevalentemente perinodulari (in
corrispondenza dell’alone periferico) e in parte
intranodulari. C: L’analisi spettrale mostra flusso
arterioso a bassa velocità (9 cm/s) e bassa impedenza.
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
zioni benigne secondarie (gozzo eutiroideo,
adenomi follicolari, tiroidite di Hashimoto)
ma anche in caso di tessuto tiroideo aberrante in mediastino. Lo studio in tal caso appare
limitato con l’ecografia e va invece condotto
con scintigrafia, TC o RM.
I dati funzionali forniti dal color Doppler
(presenza e distribuzione peri e/o intranodulare di vascolarizzazione), all’inizio della sua
applicazione, sembravano aggiungere accuratezza alla metodica nella diagnosi di benignità/malignità del nodulo: in particolare era
considerata prognosticamente negativa la
presenza di vascolarizzazione intranodulare.
Altri autori,2-4 successivamente, ne hanno
contestato l’applicabilità. Il ruolo del color
Doppler appare limitato anche per l’utilizzo
degli indici di resistenza e delle velocità nei vasi intra o perilesionali a causa della sovrapposizione dei valori riscontrati nelle iperplasie rispetto agli adenomi e alle neoplasie maligne.
Tireotossicosi
Il termine tireotossicosi indica un quadro clinico caratterizzato da un eccesso di ormoni tiroidei in circolo; soltanto quando tale condizione è causata da aumentata sintesi e increzione ormonale da parte della tiroide si può
parlare di ipertiroidismo; tireotossicosi e ipertiroidismo non sono pertanto sinonimi. Nella
gestione del paziente con tireotossicosi la
A
diagnostica per immagini svolge un ruolo in
due distinti momenti:
• nella diagnosi differenziale delle tireotossicosi (ad alta e a bassa captazione);
• nella valutazione morfofunzionale della tiroide prima e dopo terapia per ipertiroidismo (malattia di Graves – gozzo nodulare
tossico).
DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLE
TIREOTOSSICOSI
Accertare la causa della tireotossicosi ha una
valenza prognostica in quanto consente una
corretta scelta terapeutica. Talora, come nel
morbo di Graves conclamato, basta il quadro
clinico-laboratoristico, ma più spesso è indispensabile ricorrere alle metodiche per immagini, soprattutto per l’aumento dei pazienti anziani in cui la clinica è sfumata o addirittura assente e le indagini di laboratorio mostrano una tireotossicosi subclinica (FT3 e
FT4 nei limiti con TSH più o meno soppresso).
In base ai risultati della scintigrafia con test di captazione del radioiodio (RAIU), con
particolare riferimento ai conteggi precoci e
alla percentuale massima di captazione, si
possono differenziare tireotossicosi ad alta
captazione (malattia di Graves, figura 32.22E,
e gozzo nodulare tossico) e tireotossicosi a
bassa captazione (tiroiditi subacute, tireotossicosi ectopiche, ipertiroidismo iodio-indot-
B
637
32
Nella fase nodulare
del gozzo eutiroideo:
i segni ecografici tipici
di benignità, probanti
soprattutto se associati,
sono: pattern nodulare
isoecogeno omogeneo
con alone ipoecogeno
periferico sottile
e continuo; calcificazioni
periferiche «a guscio
d’uovo» o intranodulari
«a zolla». Di significato
aspecifico sono
le dimensioni, il riscontro
di aree fluide e il numero
dei noduli visibili
FIGURA 32.21
Nodulo cistico in gozzo
multinodulare
Scansioni trasversali
del lobo destro con
ecografia B-mode (A)
e power-Doppler (B).
A: Ampia formazione
fluida a pareti regolari,
con una zona solida lungo
il margine mediale; il
contenuto è ipoanecogeno a tipo fluido
corpuscolato.
B: Al power-Doppler
assenza
di vascolarizzazione
nella porzione solida
residua. Clinicamente:
recente e brusco aumento
volumetrico locale
in gozzo multinodulare
(già controllato
periodicamente
in precedenza).
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
to). Va subito precisato che un’alta captazione
iniziale al RAIU si ha anche nel gozzo eutiroideo, ma in tale condizione non si accompagna
a tireotossicosi e inoltre non è presente l’elevato ritmo di decremento del radiofarmaco,
espressione di accelerato turnover intraghiandolare (sintesi e increzione ormonale).
MALATTIA DI BASEDOW-FLAJANI-GRAVES (MG)
L’esame clinico (gozzo diffuso non nodulare;
nei casi più avanzati, oftalmopatia) e i dati di
laboratorio (elevati livelli di ormoni circolan-
A
C
FIGURA 32.22
Malattia di BasedowFlajani-Graves
D
B
% 2h = 83,2
% 6h = 87,1
% 24h = 72,9
100
%
A, B: Ecografia, scansioni
longitudinali sui lobi
tiroidei, aumentati di
volume, con diffusa
e omogenea
ipoecogenicità della
struttura parenchimale
(trama fitta).
C, D: Color Doppler,
diffusa e intensa
ipervascolarizzazione del
parenchima, con segnali
di flusso anche in sede
perighiandolare.
E: Scintigrafia tiroidea
e RAIU. Intenso
e omogeneo accumulo
del tracciante in tutta
la ghiandola, ingrandita;
da notare l’aumentato
turnover intraghiandolare
del radioiodio, con valori
iniziali superiori a quelli
della 24a ora.
50
0
E
638
02
6
24
Ore
48
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
ti e di TRAb) conducono il più delle volte ad
una facile diagnosi che prescinde dalle metodiche per immagini. In alcuni casi, tuttavia,
queste (scintigrafia ed ecografia) si rivelano
A
utili: tiroidi non palpabili perché volumetricamente normali o localizzate nel mediastino
antero-superiore (per cifosi cervico-dorsale) o difficoltà nel condurre l’esame clinico a
causa di obesità o ipertrofia della muscolatura cervicale.
L’aspetto ecografico varia in rapporto alle
diverse fasi della malattia e alla possibile concomitanza con gozzo nodulare o tiroiditi croniche autoimmuni.
Nella forma più tipica sono presenti (figure 32.22A-B e 32.23A-B):
32
Color Doppler:
non fornisce dati
aggiuntivi per la diagnosi,
in quanto sembrano
aspecifici sia i dati
qualitativi (presenza
e distribuzione
di vascolarizzazione)
che quelli quantitativi
(indici di resistenza
e valori di velocità)
• un aumento volumetrico della ghiandola
(volume normale: nella donna fino a 20 ml
e 25 ml nell’uomo);
• diffusa ipoecogenicità (dal 72 al 100% dei
pazienti);5 6 tale parametro, per quanto
sensibile, non è molto specifico: esso infatti si ritrova anche nelle tiroiditi subcliniche
e nelle tiroiditi croniche autoimmuni. In
tutte queste condizioni il quadro appare
correlato a un’infiltrazione linfocitaria.7 Al-
D
B
FIGURA 32.23
Malattia di Graves
A, B: Ecografia, aumento
volumetrico dei lobi
tiroidei con
ipoecogenicità e trama
medio-larga della
struttura parenchimale;
nel lobo destro è presente
anche un piccolo nodulo
iperecogeno.
C-E: Color Doppler,
ipervascolarizzazione
parenchimale, aumento
di calibro delle ATI, con
elevate VPS (>100 cm/s).
E
C
639
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
Ecografia
nella tireotossicosi:
svolge due ruoli: diagnosi
differenziale (malattia di
Basedow-Flajani-Graves;
gozzo nodulare tossico;
tiroiditi subacute;
tireotossicosi ectopica;
ipertiroidismo
iodio-indotto)
e monitoraggio
morfofunzionale prima
e dopo terapia (malattia
di Basedow-FlajaniGraves; gozzo nodulare
tossico)
Color Doppler:
consente la diagnosi
differenziale tra la MG
e la tiroidite
di Hashimoto o di De
Quervain: tutte possono
presentarsi inizialmente
con diffusa
ipoecogenicità
in una ghiandola
di volume conservato
o alquanto aumentato,
ma solo la prima
presenta
ipervascolarizzazione,
in alcuni casi così
marcata da essere
definita «inferno tiroideo»
Quadri di MG meno
frequenti:
sono la forma nodulare,
la forma «silente»
e la sindrome
di Marine-Lenhart,
in cui vi è coesistenza
o successiva insorgenza
di un gozzo nodulare
tossico
tri meccanismi che nella MG possono spiegare l’ipoecogenicità sono l’aumento diffuso del flusso ematico intraparenchimale8 e
l’aumentata cellularità con minore contenuto colloideo, che determina riduzione
dell’interfaccia tra cellule e colloide;9
• struttura parenchimale a trama fitta o medio-larga.9
Il modulo color Doppler fornisce inoltre
importanti dati funzionali per valutare l’ipervascolarizzazione ghiandolare. Il cosiddetto
«inferno tiroideo» descritto per la prima volta
da Ralls8 consiste nella presenza in tutto il parenchima di multiple aree di flusso pulsatile,
con variazioni del colore durante il ciclo cardiaco, caratterizzate da alte velocità in sistole (codificate dal colore tendente al bianco) e
basse velocità in diastole (codificate dal colore rosso o blu). Segnali di flusso sono presenti anche perifericamente alla ghiandola disposti a chiazze o confluenti (figure 32.22C-D
e 32.23C-E). Tale informazione consente la
diagnosi differenziale ecografica tra la MG e la
tiroidite cronica autoimmune (tiroidite di Hashimoto), poiché se entrambe si presentano
con aumento del volume ghiandolare e diffusa ipoecogenicità, soltanto nella prima si documenta ipervascolarizzazione. Altri parametri rilevabili all’ECD sono: l’aumentato numero di vasi/cm2 di parenchima; la velocità di
picco sistolica (VPS) o il flusso ematico
(TBF) nelle arterie tiroidee inferiori (ATI). Al
quadro color Doppler descritto da Ralls, confermato poi anche da altri autori,5 presente in
una minoranza di pazienti con MG, si associa
una maggiore aggressività clinica; un secondo
quadro color Doppler, più frequente, è invece caratterizzato da segnali di flusso a tralci
delimitanti aree avascolari. Tali quadri color
Doppler sottendono due differenti aspetti
istologici: il primo caratterizzato da fini setti
interlobulari nel contesto di un parenchima
con struttura cellulare omogenea e buona
rappresentazione vascolare di tipo capillare;
il secondo caratterizzato da setti interlobulari spessi delimitanti aree pseudonodulari con
640
struttura cellulare rarefatta per la presenza di
multiple raccolte colloidee e con vascolarizzazione solo intrasettale. L’ipervascolarizzazione, indipendentemente dal pattern di presentazione, è correlabile all’aumentato uptake dei traccianti medico-nucleari10 e agli
elevati livelli di FT3 . Secondo tali studi l’ECD
fornirebbe dati diretti sulla funzionalità tiroidea (grado di vascolarizzazione proporzionale allo stato di ipertiroidismo); altri autori
smentiscono questo ruolo dimostrando che i
parametri ECD sono indipendenti dai valori
ormonali.5 11 I parametri ECD sembrano, invece, correlare con i valori di TRAb e dunque
con il grado di flogosi indotto dalla persistente attività autoimmune; lo confermerebbe indirettamente il riscontro di valori aumentati
di VPS nelle ATI anche in quei pazienti con tiroidite cronica autoimmune e quadro di ipotiroidismo non trattato.11
Quadri meno frequenti di MG all’ecografia
sono la forma nodulare con noduli solidi di
normale ecogenicità e dunque iperecogeni rispetto all’ipoecogenicità diffusa circostante,
osservata prevalentemente in pazienti anziani
e con prolungato trattamento con farmaci anti-tiroidei (anche se non si può escludere che
tale evenienza sia in parte correlabile alla storia naturale della malattia) e la forma priva di
alterazioni ECD significative. Nei rari casi in
cui la MG si presenta in quest’ultima forma, per
differenziarla dalla tiroidite subclinica, interviene la scintigrafia che mostra rispettivamente un quadro di ipercaptazione diffusa (tipico
della MG) e un quadro di ridotta captazione.
Una forma particolare di MG è rappresentata dalla sindrome di Marine-Lenhart in cui
c’è coesistenza o successiva insorgenza con
gozzo nodulare tossico. In tali casi l’ECD documenta la coesistenza dei segni principali
relativi a entrambe le patologie.
Cenni sul ruolo dell’ecografia nell’oftalmopatia di Basedow. Lo studio del bulbo
oculare e dell’orbita è effettuato da molti anni con la metodica monodimensionale A-mode di tipo quantitativo, che a fronte di una
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
buona attendibilità delle misurazioni eseguite richiede un’accurata taratura dell’apparecchio e una meticolosa conduzione dell’indagine. Per questi motivi molti hanno preferito, da quando è stata disponibile, la metodica B-mode, più semplice da eseguire, bidimensionale e panoramica; e questo vale
ancor di più oggi che si dispone per uso clinico di sonde multifrequenza per lo studio dei
tessuti superficiali (da 7,5 a 14 MHz) con focalizzazione elettronica variabile.
Lo studio B-mode viene eseguito con appoggio diretto della sonda con water-path alla palpebra. Si effettuano piani di scansione
assiali e sagittali; piccoli movimenti di angolazione della sonda consentono l’esplorazione
dell’orbita e del suo contenuto.
I segni ecografici suggestivi nel loro insieme di oftalmopatia endocrina sono:
• aumento dello spessore dei muscoli oculari estrinseci;
• edema interstiziale retrobulbare;
• assenza di masse retrobulbari.
Va sottolineato che la misura dello spessore
dei muscoli va effettuata nel punto di maggior
spessore del loro ventre e non in corrispondenza della loro inserzione, previa corretta inclinazione della sonda secondo l’asse lungo del
muscolo, per evitare errori legati a obliquità.
Alcuni autori descrivono in alcuni casi,
prevalentemente quelli con neuropatia ottica, anche l’ispessimento della guaina del nervo ottico nel suo tratto endorbitario.
GOZZO NODULARE TOSSICO
Si tratta di un’entità eterogenea caratterizzata da uno o più noduli funzionalmente autonomi, derivanti dalla proliferazione dell’epitelio
follicolare; istologicamente si tratta di noduli
iperplastici di lunga data che hanno acquisito
autonomia funzionale o più frequentemente di
adenomi, in genere follicolari; molto rari i carcinomi funzionalmente autonomi. Il sospetto
diagnostico è in genere semplice in presenza
di tireotossicosi con soppressione del TSH e
nodulo tiroideo solitario all’esame clinico. Occorre tuttavia la conferma con metodiche per
immagini (in genere la scintigrafia) che possono fornire un esatto bilancio del numero di
noduli, della quota di questi funzionalmente
autonoma e del grado di soppressione del parenchima circostante, permettendo così di
escludere quadri clinici simili, quali la MG insorta su gozzo nodulare semplice, un’ipertrofia tiroidea asimmetrica o un’ipertrofia unilaterale con agenesia del lobo controlaterale.
Con la scintigrafia è possibile identificare
tre diversi stadi clinici dei noduli funzionalmente autonomi (AFTN):
• nodulo compensato: nodulo caldo alla
scintigrafia con radioiodio, incapace di
sopprimere completamente il tessuto extranodulare; FT3 e FT4 sono normali con
TSH non ancora soppresso; in questo caso
per escludere un’ipertrofia asimmetrica è
utile ripetere la scintigrafia dopo somministrazione di triiodotironina: in quest’ultimo caso non ci saranno grosse modificazioni mentre nell’AFTN si osserverà una
maggiore o completa inibizione del tessuto extranodulare.
• nodulo pretossico: nodulo caldo con soppressione del tessuto extranodulare (figura 32.24A); FT3 e FT4 sono normali con
TSH soppresso;
• nodulo tossico: nodulo caldo con soppressione del tessuto extranodulare (figure
32.25A e 32.26A); FT3 e FT4 sono elevati
con TSH soppresso.
Il ruolo di altre metodiche diverse dalla
scintigrafia con radioiodio o tecnezio si prospetta solo in casi particolari; per esempio
quando c’è inibizione completa del solo lobo
controlaterale si possono utilizzare l’ecografia,
o la scintigrafia con altri radiofarmaci (201Tl,
99mTc-sestamibi) per avere la conferma della
sua presenza ed escludere l’ipertrofia unilaterale con agenesia del lobo controlaterale.
Da quest’ultimo esempio si evince che l’ecografia, come metodica complementare alla
641
32
Gozzo nodulare tossico:
è sostenuto da adenomi
follicolari funzionanti
e meno frequentemente
da noduli iperplastici
che hanno acquisito
autonomia funzionale.
La diagnosi è
generalmente agevole
con i dati clinici (nodulo/i
palpabile/i)
e di laboratorio (TSH
sopresso). La scintigrafia
offre un bilancio
del numero dei noduli,
della loro funzione
e della soppressione
del restante parenchima;
l’integrazione
con l’ecografia consente
di valutare il parenchima
soppresso e quindi
di escludere patologie
quali la MG insorta
su gozzo nodulare,
un’ipertrofia asimmetrica
o unilaterale
con agenesia del lobo
controlaterale
Ecografia:
consente inoltre
di valutare
morfologicamente
i noduli «freddi»
da analizzare con FNA
eco-guidata ed è di aiuto
in quadri
clinico-laboratoristici
non ben definiti,
orientando per la natura
iperplastica semplice
dei noduli se documenta
calcificazioni grossolane
e aree fluide, indicative
di esiti degenerativi,
soprattutto
se in associazione
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
scintigrafia, è preziosa nel valutare il parenchima inibito (in caso di nodulo pretossico o
tossico), sia verificando l’unicità dell’AFTN
ipercaptante sia analizzando le caratteristiche morfostrutturali di un possibile nodulo
A
B
FIGURA 32.24
Nodulo funzionalmente
autonomo in fase
pretossica
A: Scintigrafia tiroidea,
nodulo ipercaptante del
lobo sinistro, con parziale
inibizione funzionale del
lobo controlaterale.
B, C: Ecocolor Doppler,
nodulo solido,
ipoecogeno, con intensa
vascolarizzazione
peri e intralesionale
ed elevata VPS in ATI
omolaterale (>70 cm/s).
«freddo» presente nel parenchima inibito, da
sottoporre eventualmente sotto guida ecografica a FNA.
Come già ricordato a proposito del gozzo
eutiroideo in fase nodulare, quando i segni
clinici e di laboratorio probanti per tireotossicosi sono assenti o sfumati, non esistono parametri ecografici indicativi di autonomia funzionale; abbiamo già detto che i noduli iperplastici sono tipicamente isoecogeni con sottile alone ipoecogeno quando di piccole dimensioni, prevalendo l’aspetto iperecogeno se di
maggiori dimensioni. Valore orientativo, ma
non assoluto, della natura iperplastica semplice assumono segni associati quali la presenza
di grossolane calcificazioni e di aree fluide,
nell’insieme indicativi degli esiti di un processo degenerativo in un’iperplasia di lunga data.
Nuove prospettive nello studio dell’AFTN
sono fornite dall’utilizzo del modulo color Doppler (figure 32.24B-C, 32.25B-G e 32.26B-C):
nelle forme di AFTN tossico si è osservata una
ricca vascolarizzazione intranodulare oltre che
perinodulare12 con elevati valori di PSV nei vasi intralesionali (>50 ml/s) e nell’ITA omolaterale (>70 ml/s); mentre nei noduli compensati o pretossici è presente un quadro di vascolarizzazione perilesionale con valori di VPS
nell’ATI omolaterale più bassi (≈ 50 ml/s).
L’importanza del riscontro di elevati valori della VPS in ATI omolaterale ne ha determinato l’impiego anche nel monitoraggio della risposta terapeutica.13
TIROIDITI SUBACUTE
C
642
Le principali sono: le granulomatose (tiroidite
di De Quervain), le linfocitiche o silenti (postpartum, da IFN-α, da IL-2, da Li), le postattiniche e quella da terapia con amiodarone.
La tireotossicosi che si manifesta in seguito alla distruzione dei follicoli tiroidei, per il rilascio massivo degli ormoni in circolo, è solo
temporanea (1-6 mesi) ed è seguita prima da
ipotiroidismo e infine da recupero funzionale
ghiandolare. Nella fase iniziale di tireotossicosi i dati ECD sono difficilmente distinguibili da una MG: ipoecogenicità, margini irrego-
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
32
A
B
C
E
F
FIGURA 32.25
Gozzo multinodulare
tossico
G
D
A: Scintigrafia tiroidea,
ingrandimento
ghiandolare con multiple
aree di autonomia
funzionale nei due lobi.
B-G: Ecocolor Doppler;
si documentano
un nodulo a destra e due
a sinistra, con intensa
vascolarizzazione
peri e intralesionale
ed elevate VPS
(>70 cm/s) nelle ATI.
643
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
Color Doppler:
orienta per la natura
tossica dei noduli
in presenza di elevati
valori di VPS
intra e/o perinodulari
e nell’ATI omolaterale
lari e sfumati, aumento della vascolarizzazione. È invece dirimente l’utilizzo della scintigrafia e del RAIU che in caso di tiroidite documentano captazione ridotta o assente.
In fase di ipotiroidismo il quadro ECD
cambia, registrando una netta riduzione della vascolarizzazione.
Tra le tiroiditi subacute un cenno particolare spetta a quella indotta da amiodarone.
L’amiodarone può determinare tireotossicosi
con due diversi meccanismi:
re; l’ECD documenta marcata ipoecogenicità con segni più o meno evidenti di ipervascolarizzazione, espressione delle sottostanti patologie;
• tipo II: la tireotossicosi è espressione della fase iniziale di una tiroidite che consegue al danno citotossico indotto dal farmaco e si manifesta in pazienti con ghiandola normale. L’ECD documenta lieve
ipoecogenicità e assente ipervascolarizzazione (figura 32.27).
• tipo I: c’è un ipertiroidismo determinato da
aumentata sintesi iodio-indotta, in pazienti con MG o gozzo semplice in fase nodula-
Una possibile distinzione tra i due diversi
tipi si può ottenere anche con il dosaggio dell’IL-6 sierica, molto elevata solo nel tipo II.
A
A
FIGURA 32.26
Nodulo funzionalmente
autonomo in fase
tossica
A: Ecocolor Doppler,
scansione longitudinale
sul lobo destro della
tiroide, sede di un
voluminoso (7,9 ml)
nodulo solido,
isoecogeno, e aree fluide
interne.
B, C: Ricca
vascolarizzazione
peri e intralesionale
con elevata VPS
(>70 cm/s) in ATI
omolaterale.
B
B
FIGURA 32.27
Tiroidite amiodarone-indotta
A: Ecografia morfologica, scansione longitudinale sul
lobo tiroideo destro, morfovolumetricamente normale,
con area sfumata di ridotta ipoecogenicità,
posteroinferiormente.
B: Ecocolor Doppler: ancora nella norma
la vascolarizzazione parenchimale e VPS in ATI.
C
644
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
TIREOTOSSICOSI ECTOPICA
In tale gruppo rientrano tre forme: tireotossicosi factitia (o medicamentosa), tireotossicosi da struma ovarii e tireotossicosi da metastasi da carcinoma differenziato della tiroide.
La diagnosi di tireotossicosi factitia è difficile solo se l’assunzione di ormone tiroideo
avviene in maniera furtiva; in tal caso è utile
confermare il sospetto con l’ECD che documenterà una ghiandola abitualmente di dimensioni normali o lievemente ridotte (è raro il riscontro di un gozzo preesistente) con
normale ecogenicità e normali parametri al
color Doppler. Un’ulteriore conferma si ha
col dosaggio della tireoglobulina, basso, utilizzabile solo se non sono presenti TgAb.
Solo il 5-10% dei casi di struma ovarii determina tireotossicosi. La diagnosi si pone
con l’associazione dei dati scintigrafici (bassa
captazione tiroidea al RAIU, captazione pelvica) e di quelli ecografici (tumefazione prevalentemente solida in sede annessiale).
Nei pochi casi riportati in letteratura di tireotossicosi da metastasi da carcinoma
differenziato della tiroide, l’elevata produzione di ormoni è dovuta all’eccessiva massa
di tessuto metastatico, in genere polmonare o
scheletrico, e in parte alla presenza in circolo di TRAb. L’ecografia in tali pazienti non trova indicazione essendo diagnostica invece la
scintigrafia corporea globale.
IPERTIROIDISMO IODIO-INDOTTO
Anche in questi pazienti l’ecografia non è di
aiuto, in quanto la diagnosi può essere posta
con l’associazione dei dati anamnestici (elevata assunzione di ioduro in farmaci, alimenti o
mezzi di contrasto radiologici) e dal ridotto uptake del radiofarmaco per la sua eccessiva diluizione con lo iodio non radioattivo in circolo.
VALUTAZIONE MORFOFUNZIONALE
PRIMA E DOPO TERAPIA
Insieme alla scintigrafia e al RAIU, l’ecocolor
Doppler ha un ruolo complementare alle indagini clinico-laboratoristiche nella valuta-
zione dell’efficacia terapeutica della MG e del
GNT. Eseguire tali indagini prima della terapia ha il duplice scopo di ottenere un esame
di base con cui fare i successivi confronti e
informazioni prognostiche sulle possibilità di
successo della terapia farmacologica o con
radioiodio.
32
ECD:
non fornisce elementi
utili alla diagnosi
nelle tiroiditi subacute,
nelle tireotossicosi
ectopiche
e nell’ipertiroidismo
iodio-indotto, in cui
invece orientano i dati
scintigrafici
e clinico-anamnestici
MALATTIA DI BASEDOW-FLAJANI-GRAVES
Il tasso di recidiva in pazienti trattati è superiore al 50%. La necessità di utilizzare metodiche per immagini deriva dalla bassa sensibilità del dosaggio del TRAb (49%) anche se
a fronte di un’alta specificità (79%).
I parametri ECD utilizzati con successo
dopo terapia farmacologica sono stati (figura
32.28):
• la riduzione del volume ghiandolare;
• la riduzione dell’ipoecogenicità parenchimale;9 tale dato secondo altri autori sarebbe indicativo di un basso rischio di recidiva soltanto se associato a titoli di TRAb <10U/l;6 la persistenza dell’ipoecogenicità in pazienti con remissione clinica ma
alti titoli anticorpali ha fatto supporre che
essa sia legata a un’infiltrazione linfocitaria
cronica e concorda con l’aumentato rischio di sviluppare recidive;6
• la riduzione di vascolarizzazione solo se
correlata alla concomitante riduzione di
TSH e TRAb;5 14
• la riduzione del TBF5 e della VPS.14 15
Per la terapia con radioiodio è fondamentale l’utilizzo del RAIU sia per il calcolo preliminare della dose da somministrare che per il
monitoraggio: un elevato turnover è indice infatti di una ridotta permanenza del radiofarmaco e dunque di una ridotta esposizione. Nel
monitoraggio di questi pazienti è stata utilizzata la riduzione di volume della ghiandola a 36 mesi, pur con elevati livelli ormonali, dovuti
all’immissione in circolo da parte delle cellule
distrutte. In pazienti con MG e GNT tale parametro ha una minore importanza in quanto è
presente una quota significativa di tessuto
645
Durante la terapia
farmacologica nei
pazienti con MG:
l’ECD controlla
la riduzione del volume
ghiandolare,
dell’ecogenicità
e della vascolarizzazione
(unitamente al titolo
di TRAb), del flusso
ematico tiroideo
e della VPS
Durante la terapia
con radioiodio
nei pazienti con MG:
sono da monitorare
la riduzione del volume
ghiandolare (eccetto
in pazienti
con concomitanza di MG
e GNT) e i parametri
flussimetrici quantitativi;
non sembrano utili
né l’ecostruttura
né i parametri qualitativi
al color Doppler
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
degenerato (postinibizione da parte degli
AFTNs) che non capta il radiofarmaco.
Per quanto riguarda il monitoraggio con
ECD, nella nostra esperienza non si è dimostrata utile la valutazione dell’ecostruttura,
mentre i parametri flussimetrici, e in particolare la riduzione di VPS nelle ATI piuttosto
che la normalizzazione del quadro di ipervascolarizzazione, hanno consentito un efficace
monitoraggio di tali pazienti, analogamente a
quanto segnalato in letteratura per la terapia
farmacologica.
A
GOZZO NODULARE TOSSICO
In questi pazienti l’alternativa alla terapia chirurgica è quella con radioiodio 131I, che riduce sia la funzionalità delle aree iperattive che
le dimensioni dei noduli. L’esecuzione di una
scintigrafia con RAIU è utile non solo per i
motivi già esposti per la MG, ma anche per valutare il grado di soppressione del tessuto
extranodulare: una determinata dose può ri-
B
C
A
B
FIGURA 32.28
Malattia di Graves dopo trattamento con radioiodio
(stesso caso della figura 32.22)
FIGURA 32.29
Nodulo tossico dopo trattamento con
caso della figura 32.26)
A-C: Ecocolor Doppler, riduzione del volume
ghiandolare, della vascolarizzazione parenchimale
e dei valori di VPS in ATI.
A, B: Ecocolor Doppler, riduzione volumetrica
del nodulo (3,9 ml) e della VPS in ATI omolaterale;
quasi assente la vascolarizzazione peri e intralesionale.
646
131I
(stesso
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
sultare elevata in caso di incompleta soppressione da parte del/i nodulo/i ed essere
causa di ipotiroidismo post-terapeutico. In
tali casi risulta utile un pretrattamento soppressivo con triiodotironina.
L’ECD in tali pazienti permette di valutare
l’efficacia del trattamento attraverso l’analisi
dei seguenti parametri13 (figura 32.29):
larizzazione, si registrerà una diffusa ipervascolarizzazione, assente nell’Hashimoto (figura 32.30) e nella De Quervain. La differenziazione tra queste ultime due forme si
avrà solo nel tempo: mentre la seconda tenderà a una remissione pressoché completa,
la prima tenderà invece all’ipoatrofia con distruzione di diverse aree ghiandolari che determinano una riduzione di volume e un
32
Nei pazienti con GNT:
l’ECD valuta l’efficacia
del trattamento con
radioiodio monitorando
la riduzione del tessuto
iperfunzionante (nodulo/i)
e dei valori di VPS
intranodulari e nell’ATI;
non sembra utile invece
la valutazione
dell’ecostruttura nodulare
• riduzione del tessuto iperfunzionante (volume nodulo/i);
• riduzione dei valori di VPS intranodulari e
soprattutto nell’ATI omolaterale all’AFTN.
A
La nostra esperienza concorda con tali risultati e inoltre non sembra confermare l’utilità della valutazione dell’ecostruttura dell’AFTN, contrariamente a quanto riportato da
altri autori.
Tiroiditi
Rappresentano un gruppo di malattie infiammatorie eterogeneo per la loro diversa etiopatogenesi.
L’ECD nella tiroidite di Hashimoto (tiroidite cronica autoimmune o linfocitica) nella
maggioranza dei pazienti documenta all’esordio gozzo diffuso, mentre negli altri il volume ghiandolare appare conservato. In alcuni
pazienti si associa una diffusa ipoecogenicità,17 18 che come ricordato anche a proposito
della MG, altra condizione a patogenesi autoimmune, è da riferire a un’infiltrazione linfocitaria diffusa.
Nello stadio iniziale, pertanto, il quadro
morfologico (diffusa ipoecogenicità in una
ghiandola di volume conservato o alquanto
aumentato) appare di difficile interpretazione potendosi riscontrare in una tiroidite cronica di Hashimoto iniziale, in una MG in forma non nodulare, ma anche, come vedremo,
in una tiroidite subacuta di De Quervain. Per
la diagnosi differenziale è utile ricorrere all’utilizzo del color Doppler; solo nelle forme
non trattate di MG,11 in cui l’ipoecogenicità è
dovuta anche a ipercellularità e a ipervasco-
B
FIGURA 32.30
Tiroidite di Hashimoto
in fase di ipotiroidismo
A: Ecografia, sezione
trasversale, ghiandola
di volume conservato;
ipoecogenicità diffusa
del parenchima
con ecostruttura
disomogenea a maglie
larghe.
B, C: Ecocolor Doppler,
sezione longitudinale
del lobo destro,
vascolarizzazione
ghiandolare non
aumentata, con tracciati
flussimetrici nella norma.
C
647
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
Quadro morfologico
tipico della tiroidite
di Hashimoto iniziale
(gozzo diffuso
e ipoecogenicità):
è aspecifico,
e per distinguerlo
dalla MG non nodulare è
utile ricorrere al color
Doppler: infatti
nella tiroidite di
Hashimoto è assente
l’ipervascolarizzazione.
D’altra parte solo
l’evoluzione nel tempo
consentirà la diagnosi
differenziale
tra l’Hashimoto
e la tiroidite di De
Quervain: quest’ultima
in particolare tende
tipicamente
a una remissione
completa
aspetto pseudonodulare, con setti interni e
profilo lobulato.
Un’infiltrazione linfocitica focale, con normale ecogenicità della ghiandola, è stata invece riscontrata in pazienti con gozzo eutiroideo e anticorpi antitiroidei in circolo operati per sintomi compressivi. La possibilità di
disporre di diversi pattern di ecogenicità
(ipo/isoecogenicità), riferibili a diversi quadri
istologici (rispettivamente infiltrazione linfo-
A
FIGURA 32.31
Piccolo carcinoma
papillifero del lobo
destro, con metastasi
linfonodali cervicali
omolaterali
B
A: Ecocolor Doppler,
scansione sagittale:
piccolo nodulo (<1 cm)
solido, ipoecogeno, con
contorni irregolari e poco
definiti, privo di alone
periferico.
B, C: Linfoadenopatia
metastatica giugulare
medio-inferiore: linfonodo
aumentato di volume
con corticale ispessita
a struttura
similparenchimale, ilo
non visualizzabile
e vascolarizzazione
corticale (vasi
sottocapsulari e a decorso
angolare); l’analisi
flussimetrica documenta
segnali arteriosi
a resistenze medie
(1 < PI < 1,5).
C
citaria diffusa o focale), in pazienti con aumento dimensionale della ghiandola, è particolarmente utile nelle zone con carenza di iodio, ove non è infrequente ritrovare alti tassi
di anticorpi antitiroidei in circolo ed è facile
fare erroneamente diagnosi di tiroidite autoimmune.
Nella forma nodulare della tiroidite di Hashimoto in fase non tossica, invece, per la differenziazione con il quadro nodulare di un
gozzo eutiroideo l’ecografia può orientare per
tiroidite di Hashimoto, ma non sempre, se si
documenta un’ecostruttura diffusamente
ipoecogena; tale sospetto ecografico va comunque implementato dai dati di laboratorio
(titolo degli autoanticorpi) e dal ritmo di decremento della radioattività nel RAIU (escluso il decremento fisico del radiofarmaco).
Anche nella tiroidite atrofica l’ECD documenta una diffusa ipoecogenicità, ma per
la diagnosi è indispensabile l’integrazione con
i dati scintigrafici (ipocaptazione) e di laboratorio (assenza o bassi titoli di anticorpi antitiroidei). Ipoecogenicità diffusa si riscontra
inoltre nella tiroidite postpartum e nella tiroidite silente (diffusa o multifocale).
Tipica della tiroidite subacuta di De
Quervain è l’ipoecogenicità dapprima di un
lobo e poi anche del controlaterale, con ritorno alla normalità durante la remissione clinica.
Nella tiroidite acuta suppurativa l’ecografia documenta una massa irregolare a ecogenicità mista con zone transoniche.
Nella tiroidite cronica di Riedel l’ecografia e la TC risultano invece utili per quantificare l’entità della lesione, mentre per la diagnosi è necessaria una biopsia a cielo aperto.
Il nodulo tiroideo
Le indagini epidemiologiche dimostrano che
il riscontro relativamente frequente di patologia nodulare della tiroide contrasta con la
bassa incidenza di malignità.
L’identificazione delle caratteristiche indicative di malignità in un nodulo tiroideo costituisce un rilevante impegno diagnostico
648
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
che dovrebbe mirare ad affinare i criteri di selezione dei noduli da sottoporre ad esame citologico su agoaspirato (FNA) e a ridurre gli
interventi chirurgici esplorativi.
Gli elementi anamnestici, semeiologici e
clinici (età, sesso, familiarità per carcinoma
tiroideo, consistenza e modalità di accrescimento del nodulo, insensibilità alla terapia
farmacologica soppressiva, presenza di
linfoadenopatie laterocervicali) devono essere valutati in maniera opportuna, ma nessuno ha specificità assoluta. Anche l’unicità
del nodulo, come già ricordato parlando del
gozzo eutiroideo in fase nodulare, non è più
considerata indicativa di malignità; infatti l’evoluzione tecnologica delle metodiche diagnostiche a immagini, soprattutto dell’ecografia, ha consentito di dimostrare che i noduli solitari sono rari (il 25-70% di quelli considerati tali alla palpazione o alla scintigrafia
sono in realtà multipli) e che il rischio di malignità nel gozzo multinodulare è tutt’altro
che trascurabile.4 19-21
L’ecografia in virtù delle apparecchiature
ad alta risoluzione è la metodica più accurata
nell’identificazione delle lesioni focali tiroidee, e alcuni aspetti di semeiotica ecografica
possono orientare verso la malignità di un
nodulo; ancora controverso appare invece il
ruolo del color Doppler nella caratterizzazione della patologia nodulare.4 12 22 23
In caso di estensione nel mediastino superiore è necessario utilizzare metodiche alternative come TC e/o RM.
L’aspetto più frequente dei carcinomi tiroidei differenziati (63-78%) è quello di nodulo
solido e ipoecogeno4 12 22 23 (figura 32.33A-C).
L’ipoecogenicità sembra rappresentare la
struttura istopatologica microfollicolare di un
A
Identificazione
delle caratteristiche
di malignità di un nodulo
tiroideo:
mira alla selezione
e dunque alla riduzione
degli esami citologici.
I dati clinico-anamnestici
sono importanti,
ma nessuno di per sé è
specifico. I parametri
ecografici da valutare
sono: contorni, alone
perinodulare,
ecostruttura
e microcalcificazioni.
Non sembrano rilevanti
numero e dimensioni
dei noduli
B
FIGURA 32.32
Carcinoma papillifero
del lobo destro, ECD
SEMEIOTICA ECOGRAFICA
E COLOR DOPPLER DEL NODULO TIROIDEO
L’analisi dei segni ecografici suggestivi di malignità di un nodulo tiroideo prescinde, come
è stato già ricordato, dal numero delle lesioni
e anche dalle dimensioni (figura 32.31A-C). Gli
aspetti rilevanti riguardano, invece, i contorni del nodulo, la presenza o meno dell’alone
ipoecogeno, l’ecostruttura e le calcificazioni.
I noduli maligni hanno in genere contorni
irregolari e poco definiti; l’alone ipoecogeno è
assente o incompleto (figura 32.32A-C).
32
A: Scansione sagittale,
piccolo nodulo solido
debolmente ipoecogeno,
margini irregolari e poco
definiti con alone
ipoecogeno discontinuo.
B: Vascolarizzazione
intralesionale al color
Doppler e al power
Doppler.
C: Segnale arterioso con
valori di velocità di flusso
medio-elevati e resistenza
media (1 < PI < 1,5).
C
649
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
A
A
B
B
C
C
FIGURA 32.33
Carcinoma papillifero del lobo destro, ECD
FIGURA 32.34
Carcinoma follicolare del lobo sinistro, ECD
A: Scansione sagittale: nodulo solido ipoecogeno
di 3 cm circa, privo di alone periferico con sospetta
infiltrazione della capsula, anteriormente. B: Intensa
vascolarizzazione intralesionale al color Doppler.
C: Segnale arterioso intranodulare con elevati valori di
velocità e basse resistenze (PI <1).
A: Nodulo solido isoecogeno con alone periferico
discontinuo e sconfinamento extracapsulare
posteriormente. B: Vascolarizzazione
peri e intralesionale al color Doppler e al power
Doppler. C: Segnale arterioso intralesionale con valori
medio-bassi e resistenze medie.
650
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
nodulo; l’isoecogenicità o l’iperecogenicità
sarebbero, invece, l’espressione ecografica
della normale struttura macrofollicolare e sono correlate con una bassa probabilità di malignità.4 Infatti sono poco frequenti i carcinomi isoecogeni (15-21%), per lo più forme follicolari4 22 (figura 32.34A-C), e rari quelli iperecogeni, quasi esclusivamente carcinomi follicolari o papilliferi sclerosanti.
Le aree fluide, tipiche dei noduli benigni,
sono poco frequenti nei carcinomi; si tratta in
genere di necrosi in noduli di cospicue dimensioni.
Le calcificazioni all’interno del nodulo sono costituite da corpi psammomatosi nei carcinomi papilliferi, da depositi di sali di calcio
nella sostanza amiloide nei carcinomi midollari, o sono l’evoluzione di aree degenerative
ed emorragiche nei noduli iperplastici (calcificazioni capsulari, sottili e regolarmente curvilinee, «a guscio d’uovo» o intranodulari e
grossolane, «a zolla»).
Correlando reperti istopatologici ed ecografici, le calcificazioni si differenziano in due
tipi: calcificazioni dense e amorfe; microcalcificazioni. Le calcificazioni dense e amorfe
hanno forma irregolare e diametro superiore
a 2 mm; sono iperecogene con ombra acustica e si riscontrano in noduli benigni e maligni
(figura 32.35 A-B). Le microcalcificazioni,
particelle iperecogene non necessariamente
ecoattenuanti, includono depositi di calcio
cristalliformi, densi, rotondeggianti, non laminati (diametro 60-100 mm) e concrezioni
calcaree psammomatose, basofile, concentriche, laminate (diametro 10-80 mm);23 sono
un reperto ecografico molto specifico di malignità, ma poco sensibile, che prevale nei carcinomi papilliferi e midollari rispetto ai follicolari (3 : 1).12 23-25
Pertanto il riscontro in un nodulo di piccoli foci iperecogeni e non attenuanti è indicativo di malignità e riflette la presenza di microcalcificazioni (figura 32.36A-B), nonostante le
aree di fibrosi o di colloide densa possano talora avere aspetto analogo; la scarsa sensibilità di questo segno ecografico contrasta con
l’incidenza elevata di microcalcificazioni nei
campioni istopatologici di carcinomi tiroidei.23
La combinazione di microcalcificazioni
con altri aspetti ecografici tipici di malignità
contribuisce a migliorare l’accuratezza diagnostica.
La semeiotica color Doppler si basa sulla
valutazione qualitativa della vascolarizzazione lesionale. Il rilievo di vascolarizzazione intranodulare, con o senza associata vascolarizzazione perinodulare, è considerato indicativo di malignità (figure 32.33B e 32.36B), anche se segnali di flusso intralesionali sono
presenti in alcuni noduli benigini, soprattutto in quelli funzionalmente autonomi.26
32
Valutazione
dei parametri funzionali
al color Doppler,
qualitativi e quantitativi:
non sembra avere
sufficiente accuratezza
per la determinazione
di natura del nodulo
solido. L’ECD, invece, è
molto utile
nel caratterizzare i noduli
intracistici
A
FIGURA 32.35
Calcificazioni dense
e amorfe in carcinoma
papillifero, ECD
B
651
A: Scansione sagittale
del lobo destro, nodulo
solido, ipoecogeno privo
di alone periferico con
calcificazioni
ecoattenuanti.
B: Intensa
vascolarizzazione
peri e intralesionale
al color Doppler
e al power Doppler.
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
Alcuni autori non hanno riscontrato correlazione tra istopatologia e vascolarizzazione
del nodulo, la cui entità dipenderebbe piuttosto dalle dimensioni;27 altri autori attribuiscono invece grande importanza alla tipizzazione con ECD, riportando valori di sensibilità
e specificità superiori al 90%, nella diagnosi
differenziale benignità/malignità.
Recentemente alcuni autori12 hanno dimostrato vascolarizzazione intralesionale nel
66,6% dei carcinomi e nel 51,3% dei noduli
A
A
B
B
C
FIGURA 32.36
Microcalcificazioni in carcinoma papillifero, ECD
A: Scansione assiale del lobo sinistro, nodulo solido,
isoecogeno a contorni irregolari con alone ipoecogeno
discontinuo. B: Vascolarizzazione solo intralesionale
al color Doppler.
652
FIGURA 32.37
Carcinoma papillifero intracistico del lobo sinistro,
ECD
A: Il lobo destro è occupato quasi completamente da
una formazione cistica con vegetazioni solide, nel cui
contesto si evidenzia (B) un polo vascolare al color
Doppler. C: Tracciato di flusso arterioso a basse velocità
e alte resistenze (PI >1,5).
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
benigni della loro casistica con scarso valore
predittivo positivo (34,4%), in accordo con
altre casistiche. L’analisi flussimetrica, basata sulla stima dei valori delle velocità di flusso e degli indici di resistenza nei vasi tumorali, è poco attendibile, a causa della sovrapposizione dei risultati nell’ambito delle patologie
benigne e maligne (figure 32.34C e 32.36C).
Il color Doppler può contribuire, inoltre, a
identificare le neoplasie intracistiche, evidenziando segnali vascolari all’interno di setti o
vegetazioni solide (figura 32.37A-B); è un
ruolo importante, se si considera che in circa
il 70% dei gozzi nodulari e in molte tiroidi palpatoriamente normali si riscontrano una o
più cisti delle quali è stata messa in discussione l’assoluta benignità. È stato infatti dimostrato che il 14% dei noduli cistici è maligno, contro l’82% di adenomi con aree fluide
di degenerazione o noduli di iperplasia colloidocistica, e solo il 4% di cisti semplici.27 28
La valutazione ecografica di un nodulo tiroideo deve mirare pertanto alla combinazione degli aspetti morfologici, strutturali e vascolari, al fine di rilevare quelli indicativi di
malignità, anche se l’unico segno certo, l’invasione da parte del nodulo delle strutture adiacenti, è poco frequente.
Lo sconfinamento extratiroideo è tipico
delle neoplasie molto voluminose o localizzate in prossimità della capsula; ecograficamente si può evidenziare il coinvolgimento dei
muscoli (pretiroidei e sternocleidomastoideo, anteriormente; lungo del collo, posteriormente) (figure 32.38A-B e 32.39A), dell’esofago e dei vasi (arterie tiroidee, carotide comune e vena giugulare interna).
L’ECD, infine, offre un importante contributo, sia in fase diagnostica, sia in corso di stadiazione e follow-up, nel rilievo dei linfonodi
cervicali metastatici, la cui incidenza, per i carcinomi differenziati della tiroide non è in rapporto alle dimensioni del tumore, ma all’istotipo (è più frequente nei carcinomi papilliferi).
In conclusione l’ECD non identifica la natura di un nodulo tiroideo, ma i segni più tipici di malignità, anche perché gli unici rilievi
certi (invasione delle strutture adiacenti) sono poco frequenti e tardivi.
È auspicabile che l’ECD assuma un ruolo
importante nell’algoritmo del nodulo tiroideo,
prima dell’esame citologico con agoaspirazione
mediante ago sottile (FNA) ed eventualmente
nella definizione della scelta terapeutica.
Le linfopatie del collo
32
Principali parametri ECD
sospetti per linfopatie
maligne:
soprattutto se associati,
sono: morfologia
rotondeggiante; assenza
o dislocazione della stria
iperecogena centrale;
ipoecogenicità
e/o ispessimento
e/o ipervascolarizzazione
di tipo anarchico
della corticale
L’ecografia ha una notevole sensibilità nel visualizzare i linfonodi del collo, anche di piccole dimensioni.
FIGURA 32.38
Due esempi di invasione
muscolare da carcinoma
papillifero della tiroide,
ecografia
A: Piccola lesione del
terzo inferiore del lobo
sinistro che sconfina
anteriormente oltre
la capsula infiltrando
il muscolo pretiroideo;
il nodulo è solido,
ipoecogeno con
microcalcificazioni, privo
di alone periferico,
a contorni irregolari
e poco definiti.
B: Lesione paraistmica
destra che infiltra
il muscolo pretiroideo e lo
sternocleidomastoideo;
il nodulo è solido,
ipoecogeno, privo
di alone periferico,
a contorni poco definiti.
A
B
653
ESPLORAZIONE MORFOFUNZIONALE DELLA TIROIDE E DIAGNOSTICA
La differenziazione tra linfoadenopatie benigne e maligne non può fare riferimento al
diametro massimo: un linfonodo piccolo può
essere, infatti, maligno e, al contrario, uno di
grandi dimensioni può essere reattivo, flogistico, o la conseguenza di un ostacolo al drenaggio, per resezione dei vasi linfatici.
A
FIGURA 32.39
Carcinoma papillifero
del lobo destro
con sconfinamento
extracapsulare
e linfoadenopatie
cervicali omolaterali,
ecografia
A: Scansione sagittale
del lobo destro, nodulo
solido ipoecogeno con
microcalcificazioni, privo
di alone periferico,
a contorni irregolari
e poco definiti, che
infiltra posteriormente
il muscolo lungo del collo.
B, C: Linfoadenopatia
metastatica giugulare
inferiore destra; ECD:
linfonodo aumentato
di volume, ilo
non visualizzabile,
corticale ispessita
a struttura
similparenchimale
con microcalcificazioni
e vascolarizzazione
parenchimale
ad angioarchitettura
sovvertita (PI >1,5).
D: Altro linfonodo
metastatico in sede
giugulare media destra
con analoghe
caratteristiche
ecostrutturali ma
ampiamente colliquato.
B
I segni ecografici tipici delle linfoadenopatie metastatiche sono: morfologia rotondeggiante (rapporto diametro longitudinale/anteroposteriore L/A <1,5); assenza o dislocamento della stria iperecogena centrale, corrispondente all’ilo; ispessimento della corticale con struttura simile al parenchima tiroideo
(ipoecogena con fini echi, omogenei, di media
intensità) e talora con microcalcificazioni (figure 32.31B e 32.39B, D).29
Il color Doppler contribuisce alla diagnosi
delle linfoadenopatie metastatiche, che hanno
diversa distribuzione della vascolarizzazione
rispetto ai linfonodi reattivi, nei quali si determina un’iperperfusione localizzata all’ilo, polo
vascolare linfonodale (vascolarizzazione ilare,
analoga a quella del linfonodo normale).30
La neoangiogenesi, che si instaura nelle
linfoadenopatie metastatiche, provoca il sovvertimento dell’angioarchitettura e al color
Doppler si riscontra ipervascolarizzazione
anche della corticale con vasi distribuiti irregolarmente (figure 32.31C e 32.39C): vasi
sottocapsulari, vasi dislocati, vasi a decorso
angolato, assenza focale di vascolarizzazione.
La presenza di almeno uno dei quattro aspetti ha dimostrato accuratezza diagnostica pari al 96%.30
Risultati non univoci sono stati riscontrati31 32 anche nella valutazione dell’indice di resistenza (RI) o di pulsatilità (PI) per i vasi ar-
C
D
654
Ruolo dell’ecocolor Doppler nell’iter diagnostico della patologia tiroidea
teriosi linfonodali: infatti si può riscontrare
flusso a basse resistenze nei vasi corticali, sostenuti da neoangiogenesi importante, mentre le arterie ilari, per la compressione esercitata su di esse dalla corticale ispessita, sono
caratterizzate da valori elevati degli indici.
Inoltre, in un linfonodo metastatico possono
coesistere arteriole prive di tonaca muscolare, responsabili di bassi valori di RI e PI (figura 32.31C), e arterie che terminano a fondo
cieco, cui corrispondono segnali di flusso ad
alte resistenze (figura 32.39C).
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