AFO Rapporto di Previsione 2009-2011 Sommario e Conclusioni Dicembre 2009 Centro Studi e Ricerche AFO cop_07-09.indd 1 21-07-2009 11:20:46 AFO ABI Financial Outlook Rapporto di Previsione 2009-2011 Sommario e conclusioni Dicembre 2009 Centro Studi e Ricerche - ABI Il Rapporto è stato elaborato sulla base delle informazioni disponibili al 4 dicembre 2009 ed è stato coordinato da Riccardo Benincampi, Vincenzo Chiorazzo e Gianfranco Torriero. Ne sono autori: Carola Achermann (gestione questionari e layout), Riccardo Benincampi (mercati monetari e attività bancaria), Vincenzo Chiorazzo (sommario e conclusioni, finanza pubblica, riquadro sul credit crunch), Vincenzo D’Apice (analisi macro), Daniele Di Giulio (gestione modello econometrico e questionari, analisi congiunturale, riquadro sul credit crunch) e Carlo Milani (gestione modello econometrico, analisi macro). Il panel di banche partecipanti all’AFO è costituito da: Banca Carige, Banca delle Marche, Banca di Piacenza, Banca Monte Paschi di Siena, Banca Nazionale del Lavoro, Banca Passadore, Banca Popolare di Bari, Banca Popolare Pugliese, Banca Popolare di Sondrio, Banco Desio e Brianza, Banco Popolare, Credito Valtellinese, Cariparma, Deutsche Bank, Intesa San Paolo, UGF Banca, Unicredit. AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Indice Contenuto del Rapporto Sommario e conclusioni PARTE GENERALE CAP. 1 Contesto macro e le politiche economiche CAP. 2 L’andamento dell’attività bancaria CAP. 3 La previsione nel triennio 2009-2011 RIQUADRI A. Impieghi al settore produttivo: nessun credit crunch in Italia B. I risultati economici del primo semestre del 2009 dei gruppi bancari italiani e prime indicazioni sul terzo trimestre C. Evoluzione dei finanziamenti delle IFM per i principali settori di attività economica e forme tecniche D. Le gestioni patrimoniali delle banche: tendenze recenti e prospettive per il 2009-2010 SCHEDE CONGIUNTURALI S1. I prezzi delle principali materie prime S2. Il Mercato dei cambi e gli indici delle condizioni monetarie S3. La congiuntura macroeconomica negli STATI UNITI S4. “ in GIAPPONE S5. “ in CINA S6. “ in INDIA S7. “ nell’AREA EURO S8. “ in ITALIA S9. “ in GERMANIA S10. “ in FRANCIA S11. “ in SPAGNA 5 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni Sommario e conclusioni 1. L’evoluzione ciclica più recente sembra finalmente indicare che tutte le principali economie mondiali hanno invertito la rotta. I primi dati ufficiali sulla crescita del Pil nel terzo trimestre mostrano un’incoraggiante ripresa, sia negli Usa che nell’Area Euro. In entrambe le aree il Pil è tornato a crescere dopo ben 4/5 trimestri di contrazione, ponendo tecnicamente fine alla recessione. Relativamente più significativa è stata la ripresa dell’economia americana: il Pil ha evidenziato negli Usa una variazione del +0,7% t/t (-2,5% a/a); il complesso dell’Area Euro ha, invece, mostrato una crescita del +0,4% t/t (-4,1% a/a). Tra i principali paesi dell’Eurozona, in Italia il Pil è tornato a salire su base congiunturale dopo 5 trimestri di riduzioni (+0,6% t/t; -4,6% a/a). In crescita si sono mostrati anche Germania (+0,7% t/t; -4,8% a/a) e Francia (+0,3% t/t; -2,4% a/a). Tali dinamiche erano state ben previste dagli indicatori anticipatori dell’Ocse che, negli ultimi 2/3 trimestri, hanno segnalato una forte fase di recupero sia per quanto riguarda le economie sviluppate che quelle emergenti. 2. Anche il clima di fiducia nelle principali aree sviluppate sembra aver imboccato un sentiero positivo, sia per quanto riguarda le imprese che le famiglie. Inoltre, il mercato immobiliare statunitense continua a mostrare segni di ripresa: i dati sul prezzo delle case (Case-Shiller) hanno fatto registrare ad agosto il quarto incremento mensile consecutivo (tra aprile e agosto l’incremento complessivo è stato del +4,9%), sebbene i dati di settembre mostrino una lieve riduzione delle licenze di costruzioni residenziali (-0,9% m/m), dopo il recupero dei mesi precedenti. 3. In miglioramento sono risultati anche i principali mercati finanziari internazionali, così come evidenziato dall’indice di turbolenza finanziaria (ITF) elaborato dal Centro Studi e Ricerche dell’ABI (che fornisce un’indicazione sintetica del grado di perturbazione finanziaria sulla base di una batteria di indicatori relativi a quattro diversi mercati: monetario, obbligazionario, azionario e dei derivati su crediti). Negli ultimi mesi si è infatti registrato un processo di convergenza tra Usa, Regno Unito, Germania, Francia e Italia, con un valore dell’indice che ha segnato mediamente una distanza dal livello “normale” osservato prima dalla crisi intorno ai 2 punti. E’ utile al riguardo rammentare che all’apice della crisi finanziaria l’ITF aveva toccato, nei paesi anglosassoni, una quota superiore agli 8 punti. 4. Desta invece molta preoccupazione la situazione del mercato del lavoro: sia in Usa che nell’Area euro si viaggia intorno a valori del tasso di disoccupazione del 10%. Particolarmente evidente è la crisi del mercato del lavoro negli Usa, dove negli ultimi due anni il tasso di disoccupazione è più che raddoppiato. 5. Questo Rapporto prende le mosse dagli sviluppi congiunturali appena accennati, analizza i fattori strutturali che sembrano aver dato avvio ad una crisi finanziaria e reale internazionale di 6 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni proporzioni mai sperimentate in precedenza e delinea uno scenario di fondo in cui la ripresa attesa per il biennio 2010-11 dovrebbe caratterizzarsi per un’intensità maggiore rispetto a quanto previsto sei mesi fa. Stimiamo che in Italia il Pil arretrerà del 4,8% nell’anno in corso e crescerà dello 0,6% nel 2010 e dell’1,6% nel 2011. Con l’intensificarsi della ripresa si tornerà a tassi di inflazione più vicini a quelli di lungo periodo (+0,8% nel 2009, +1,6% nel 2010 e +1,9% nel 2011), soprattutto per le maggiori spinte inflazionistiche derivanti da un petrolio che nell’ultimo anno di previsione è atteso tornare su un livello di 80 dollari per barile. Dentro un tale quadro le banche italiane mostrano una sostanziale tenuta anche se il nostro esercizio conferma quanto già prefigurato nel Rapporto di luglio, ovvero un arretramento in termini di conto economico: gli utili netti, dopo essersi dimezzati nel 2008, si ridurranno ancora del 40% circa nel 2009, registreranno una leggera crescita nel 2010 e riprenderanno con più vigore nell’ultimo anno di previsione riportandosi sui livelli nominali osservati nel 2008. CRISI FINANZIARIA E RECESSIONE GLOBALE: SPUNTI DI ANALISI INTORNO ALLE CAUSE 6. Per analizzare l’attuale contesto macroeconomico internazionale e i suoi possibili futuri sviluppi il Rapporto pone un interrogativo ed intorno ad esso offre alcune riflessioni: perché, nell’ultimo anno circa, tutte le principali economie sviluppate si sono ritrovate in recessione? Molti sarebbero propensi ad attribuire la causa della più grave crisi economica internazionale dai tempi della Grande Depressione alla crisi finanziaria, anch’essa di proporzioni eccezionali, che l’ha preceduta. In realtà, prendendo spunto da un recente paper del National Bureau of Economic Research (NBER), si può invece sostenere la tesi opposta, ossia che la crisi finanziaria è stata solo un sintomo e non la causa della recessione globale. 7. Le principali cause della crisi finanziaria vengono solitamente individuate: a) nelle carenze della regolamentazione finanziaria statunitense, che non ha impedito alle banche domestiche di assumersi rischi eccessivi nella prospettiva di massimizzare gli utili di breve termine; b) nell’eccesso di risparmio dei paesi asiatici, in primo luogo la Cina, che ha fornito abbondanti risorse per finanziare investimenti altamente speculativi. Ma perché le famiglie asiatiche hanno deciso di risparmiare così tanto e tali flussi di capitali si sono riversati prevalentemente negli Stati Uniti? Spiegare queste dinamiche attribuendole solo alle scelte comportamentali (le famiglie asiatiche preferiscono risparmiare, quelle americane consumare!) sarebbe troppo semplicistico. Si può invece individuare un fattore sottostante che ha messo in moto tutta questa evoluzione: lo shock sull’offerta di lavoro nei paesi asiatici, ed in particolare in Cina, derivante dal processo di globalizzazione. 8. Proprio la Cina è stato il paese che più ha beneficiato della globalizzazione. I progressi tecnologici nei mezzi di comunicazione e di trasporto hanno infatti permesso ad una massa enorme di popolazione di spostarsi dalle zone rurali ai centri urbani, dove sono più concentrate le industrie che esportano in tutti i paesi occidentali. Dal 1990 al 2007 la popolazione nelle aree urbane è passata da 300 a 600 milioni di abitanti. 7 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni 9. La grande abbondanza di manodopera, a basso costo, ha permesso alle imprese cinesi di inondare i mercati dei paesi occidentali di propri manufatti e semilavorati. I prodotti cinesi si sono riversati soprattutto negli Usa – anche grazie ad una politica del tasso di cambio cinese volta a mantenerne lo yuan su un valore artificiosamente deprezzato –, determinando in tal modo un netto peggioramento della bilancia di parte corrente statunitense. Per bilanciare tale deficit è stato necessario un massiccio afflusso di capitali, giunti per lo più proprio dalla Cina. Infatti, lo sviluppo economico cinese non si è tramutato in un aumento relativo dei consumi per le famiglie che si sono trasferite nei centri urbani, anzi è avvenuto esattamente il contrario, con una quota dei consumi sul reddito disponibile di tali famiglie che è passata dall’83% del 1995 al 73% del 2007. Il connubio di una crescita economica eccezionale e di una restrizione della propensione al consumo ha portato, quindi, ad una vera e propria esplosione dello stock di risparmio cinese: pari a circa il 30% di quello Usa negli anni ‘90, esso è cresciuto a tal punto che nel 2007 tale proporzione si è ribaltata ed il risparmio statunitense è diventato pari al 30% di quello cinese. 10. Con un sistema bancario e finanziario scarsamente sviluppato, i risparmi cinesi non potevano che defluire all’estero. La maggior parte degli investimenti finanziari cinesi si è concentrata nei titoli governativi Usa. Il grande afflusso di risorse verso i titoli governativi Usa ha evidentemente determinato una forte riduzione del relativo tasso d’interesse. Ciò ha avuto due principali conseguenze: i) la diminuzione del costo opportunità del ricorso al debito pubblico, che ha provocato deficit di bilancio fortemente crescenti; ii) la ricerca di investimenti alternativi più remunerativi. In una prima fase i capitali cinesi hanno quindi cominciato ad affluire sui mercati azionari Usa dove le aspettative sulla New Economy avevano già gonfiato i corsi azionari. L’effetto finale è stato quello di far esplodere la bolla speculativa azionaria nel 2000-01. Successivamente, la politica estremamente espansiva della Fed, ha spinto i capitali provenienti dall’estero, e non solo, a cercare investimenti alternativi più redditizi come, ad esempio, le tranche di mutui cartolarizzati. L’ingente liquidità che si è riversata su questi segmenti di mercato ha determinato una riduzione del costo di funding per gli intermediari che hanno così intensificato le attività di erogazione di mutui, spingendosi soprattutto sul comparto subprime e Alt-A, da una parte, e di cartolarizzazione sui mercati internazionali, dall’altra. Sul lato dell’economia reale, l’abbondanza di credito a basso costo per l’acquisto di abitazioni ha spinto le famiglie Usa ad accrescere la domanda di case, determinandone in tal modo la crescita dei prezzi. 11. Cosa ha interrotto questo meccanismo provocando, nell’agosto del 2007, la crisi dei mutui subprime e il successivo concatenarsi di eventi oramai ben noti? Per risalire a tale causa si può fare nuovamente riferimento all’eccezionale mutamento osservato in Cina. Tra gli effetti dell’esponenziale crescita economica va infatti annoverato anche il forte aumento della domanda di commodities, soprattutto energetiche, necessarie per far fronte ad una produzione industriale fortemente crescente che, in ultima istanza, ne ha provocato l’aumento delle quotazioni. L’aspetto rilevante da sottolineare è però che se tale crescita si è fortemente 8 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni traslata sui prezzi alla produzione, l’effetto sui prezzi al consumo è stato molto più contenuto. Sui prezzi dei beni offerti ai consumatori ha infatti agito, probabilmente, proprio la concorrenza dei prodotti cinesi. Le imprese occidentali, ed in particolare americane, si sono quindi ritrovate costrette a contenere una delle principali voci di costo, cioè i salari. Ciò ha determinato un crescente squilibrio per i bilanci delle famiglie che, sotto l’illusione di una crescita perpetua dei prezzi degli immobili, hanno avuto un profilo di consumo estremamente elevato. Quando la Federal Reserve ha mutato l’intonazione della politica monetaria, e le opzioni di reset presenti in molti mutui subprime hanno iniziato a produrre rate via via crescenti, le famiglie a più basso reddito non sono state più in grado di sostenere le rate sui debiti contratti e tutto il meccanismo si è inceppato provocando la crisi finanziaria, prima, e quella reale, dopo. IL QUADRO ESTERNO Domanda mondiale, prezzi delle materie prime, tassi di cambio, politiche monetarie 12. Per quel che concerne l’andamento dell’economia mondiale valutiamo che il tremendo shock occorso nei trimestri passati porterà, per la prima volta da quando esiste una serie storica su questo aggregato, ad un riduzione del prodotto mondiale. Nello specifico, nel 2009 le attese sono per una flessione dell’1%, a cui farà seguito una crescita del 3 e del 4% nel successivo biennio. Queste tendenze si determinerebbero in un contesto in cui gli USA registrerebbero, nel 2009, una caduta del Pil pari al 2,5% e nel 2010-11 una ripresa dell’1,9 e del 2,2%, valori migliori rispetto a quanto previsto nel nostro Rapporto di luglio ma comunque inferiori rispetto alla crescita potenziale stimabile prima della crisi. Per quel che riguarda i paesi del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) si stima una crescita media dell’1,5% nell’anno in corso, contro il 6,8% del 2008, soprattutto in conseguenza della performance ampiamente negativa della Russia che dovrebbe subire i contraccolpi del crollo del prezzo del greggio. Per il successivo biennio è invece attesa una ripresa che dovrebbe raggiungere il livello medio del 6,2% nel 2010. A questa ripresa darebbe un contributo fondamentale la Cina che nel biennio 2010-11 è attesa in crescita del 10% circa. 13. Sul fronte del prezzo delle materie prime, l’inversione di tendenza del ciclo macroeconomico internazionale ha inevitabilmente comportato una crescita delle quotazioni dei primari fattori produttivi. Nello specifico, il prezzo del petrolio, dopo aver raggiunto il suo punto ciclico di minimo a fine dicembre 2008 (38 dollari al barile), si è riportato negli ultimi mesi su valori compresi tra i 70 e gli 80 dollari al barile. L’esercizio di previsione assume che la quotazione del Brent si attesti in media sui 62,5 dollari al barile nel 2009 (98,5 nel 2008), sui 76 nel 2010 e sugli 79 nel 2011. La quotazione media del 2009 dovrebbe dunque calare del 37% circa rispetto al 2008 e, successivamente, si dovrebbe registrare un recupero che in media d’anno si misura nel 22% nel 2010 e nel 3,3% nel 2011. 14. Nel nostro esercizio fissiamo il tasso di cambio dollaro/euro a 1,40 nel 2009 (1,47 il valore medio 2008) e a 1,48 nel 2010-11, con variazioni percentuali su base annua del -5% 9 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni quest’anno e del +6,2% il prossimo. La combinazione delle ipotesi in tema di prezzi in dollari, da un lato, e cambio dollaro/euro, dall’altro, ci porta a delineare, per il triennio 2009-11, un prezzo delle importazioni di petrolio in euro in sensibile riduzione nell’anno in corso (-33%) e poi in accelerazione, del 14,9 e del 4% nel 2010 e nel 2011 rispettivamente. In un tale quadro, e considerando l’evoluzione dei prezzi degli altri beni e servizi importati, prefiguriamo una variazione del deflatore delle importazioni italiane pari al -5,8% nel 2009 (+6,9% nel 2008), del +2% nel 2010 e del +3% nel 2011. La dinamica dei prezzi alle esportazioni italiane, aumentati nel 2008 del 5%, è prevista diminuire dell’1,5% quest’anno, crescere dello 0,7% nel 2010 e del 2,1% nel 2011. Si prospetta, pertanto, data la dimensione della (dis)inflazione importata, un significativo miglioramento delle ragioni di scambio (+4,4%, calcolate sul complesso dei beni e servizi) per il 2009 ed un successivo peggioramento nel 2010-11, indotto dal riemergere di leggere pressioni sui prezzi del petrolio. 15. Per quanto riguarda, infine, l’impostazione delle politiche monetarie l’ipotesi adottata è che nell’Area Euro il livello dei tassi sarà rialzato, ma per appena 25 punti base, dopo la prima metà del 2010, mentre un successivo intervento, di pari entità, è atteso entro la fine dello stesso anno. L’inflazione, attesa in crescita dallo 0,2% del 2009 all’1% del 2010, dovrebbe infatti spingere la BCE a procedere gradualmente verso il riassorbimento dell’ampia liquidità iniettata nel sistema. Le esigenze di ancoraggio delle aspettative inflazionistiche di lungo termine dovrebbero poi spingere la BCE ad un intervento più marcato nel 2011, con il tasso di riferimento che dovrebbe portarsi al 2,75% entro la fine dell’anno. 16. Sul fronte della Federal Reserve, invece, si prevede che, dato il livello attuale prossimo allo zero dei fed funds, e tenuto conto della più vigorosa ripresa economica prevista per il prossimo anno, gli interventi di inversione dell’intonazione della politica monetaria potrebbero verificarsi prima. Le attese sono per un tasso di policy che alla fine del prossimo anno dovrebbe attestarsi all’1,25%, in crescita di un punto percentuale rispetto al 2009, per poi toccare quota 2,25% a fine 2011. Il divario tra i tassi BCE e FED dovrebbe quindi passare dagli attuali 75 punti base ai 50 punti base nell’ultimo anno di previsione. 17. Agli impulsi sui tassi a breve, i tassi d’interesse a lungo termine risponderanno con lentezza: ne discenderà un appiattimento della curva per scadenza dei rendimenti, la cui inclinazione era aumentata negli ultimi mesi a riflesso delle aspettative dei mercati su un rialzo dei tassi nel medio termine. Alla fine del triennio di previsione lo spread tra tasso di policy e tasso benchmark sarà pari a 2,8 punti percentuali in USA e 2 punti nell’Area euro. IL QUADRO MACROECONOMICO NELL’AREA EURO E IN ITALIA 18. Il Pil dell’Area euro, la cui caduta si era già sostanzialmente arrestata nel corso del secondo trimestre, è tornato a crescere su base trimestrale nel terzo trimestre (+0,4% t/t; -4,1% a/a). Indicazioni confortanti provengono anche dai principali indicatori congiunturali. La 10 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni produzione industriale, pur partendo da livelli molto bassi, è in continua risalita dallo scorso maggio; anche gli indicatori di fiducia di consumatori e imprese stanno proseguendo il loro recupero. Gli effetti negativi della recessione che abbiamo attraversato stanno però facendo ora sortire i propri effetti sul mercato del lavoro: nel terzo trimestre il tasso di disoccupazione è stato mediamente pari al 9,6%, e ha continuato a mostrare una tendenza alla crescita anche successivamente (9,8% a ottobre). 19. Tra i principali paesi dell’Eurozona, va osservato come in Germania e Francia il Pil sia tornato a crescere già dal secondo trimestre. La significativa ripresa dell’economia tedesca (+1,2% in termini cumulati tra aprile e settembre) è tuttavia largamente spiegata nel terzo trimestre dalla ricostituzione delle scorte, mentre nel secondo un ruolo importante lo ha svolto la bilancia commerciale con una forte riduzione delle importazioni. A differenza di quanto sta avvenendo per il complesso dell’Area euro, il mercato del lavoro non ha per ora presentato in Germania indicazioni particolarmente allarmanti: il tasso disoccupazione è rimasto stabile negli ultimi mesi (7,5% a ottobre). La Francia invece, pur avendo mostrato un andamento del Pil meno negativo nella fase più acuta della crisi e anticipando (come in Germania) la ripresa del Pil nel secondo trimestre, manifesta in questo momento maggiori elementi di preoccupazione sul tema dell’occupazione (a ottobre il tasso di disoccupazione è andato oltre il 10%). 20. Per il complesso dell’Area Euro il nostro esercizio di previsione prefigura una caduta del Pil pari al 4%, dopo l’incremento dello 0,6% registrato nel 2008. Si prevede una ripresa più intensa rispetto a quella prevista per l’Italia: il prossimo anno potrebbe chiudersi con una variazione del Pil dello 0,9%, mentre nel 2011 la crescita dovrebbe essere dell’1,9%. Il divario di crescita a favore dell’Area euro previsto per il prossimo biennio, da imputare alla miglior ripresa che si prefigura in Francia e Germania, è in parte ridimensionato dal prolungarsi della recessione che sta caratterizzando l’economia spagnola, il cui Pil (caduto pure nel terzo trimestre) potrebbe continuare a contrarsi anche nel prossimo anno secondo secondo le ultime previsioni di OCSE e Commissione Europea. 21. Guardando al dettaglio delle voci della domanda aggregata, si prevede per i consumi privati una contrazione dell’1,1% per l’anno in corso, una crescita di mezzo punto percentuale per il 2010 e una ripresa più vigorosa nel 2011 (+1,8%). Per gli investimenti si stima una severa contrazione per quest’anno (-10,1%), un rallentamento della caduta su base annua nel 2010 (-0,4%) e una graduale ripresa nel corso del 2011 (+3,4%). La flessione del prodotto mondiale, e conseguentemente degli scambi commerciali internazionali, comporterà per l’anno in corso una marcata contrazione sia per le esportazioni (-14,7%) che per le importazioni (-13%). L’export e l’import dovrebbe comunque tornare a crescere già a partire dal 2010, per poi consolidare l’incremento nel 2011. 11 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni L’attività economica in Italia 22. Per quanto riguarda l’Italia, così come avvenuto per il complesso dell’Area euro, i dati ufficiali degli ultimi due trimestri hanno confermato i segnali di ripresa suggeriti dagli indicatori congiunturali nei mesi scorsi. Il Pil italiano, la cui caduta si era già quasi arrestata nel secondo trimestre (-0,5% t/t), è tornato a crescere su base congiunturale tra luglio e settembre (+0,6% t/t; -4,6% a/a), dopo cinque trimestri consecutivi di contrazione. Con i primi dati ufficiali del terzo trimestre, anche l’economia italiana è dunque tecnicamente uscita dalla recessione. Data la pesante eredità negativa lasciata dai trimestri precedenti (con un effetto di trascinamento del -4,8%), la contrazione del Pil del 2009 rimarrà comunque molto vicino alla soglia del 5% prevista già la scorsa estate. 23. Il miglior quadro congiunturale del secondo trimestre discende dal contributo positivo della spesa pubblica (+1,3% t/t), da una lieve ripresa dei consumi (+0,3% t/t) e dal rallentamento della caduta degli investimenti (-2,9% t/t). Meno negativo rispetto ai trimestri precedenti è stato inoltre il contributo alla crescita delle esportazioni nette (-0,1 punti percentuali): il disavanzo delle partite correnti (in percentuale del Pil), in aumento nel corso del 2008 (4,6% nel quarto trimestre), si è ridotto al 4% a metà 2009. 24. Le recenti indicazioni positive provenienti dai Leading Indicators dell’OCSE lasciano addirittura spazio a una possibile espansione economica; il paese che ha registrato negli ultimi mesi il valore più alto dell’indice è stato l’Italia, che è anche quello che mostra il maggiore recupero su base annua. Gli ultimi dati congiunturali confermano - ma solo in parte - questi segnali di ottimismo. Se da una parte gli indicatori di fiducia di consumatori e imprese proseguono – pur con qualche piccolo rimbalzo - a salire (la fiducia dei consumatori è tornata sui livelli pre-crisi del 2007, mentre la fiducia delle imprese si è ristabilita sui valori di novembre 2008), più incerta si è mostrata la ripresa della produzione dell’industria italiana. L’indice della produzione industriale, rimasto sostanzialmente stabile nei mesi di maggio e giugno, ha mostrato una risalita a luglio e soprattutto ad agosto (quando ha manifestato su base congiunturale un aumento del 5,8%). Con l’ultimo dato di settembre tuttavia l’indice è tornato calare vistosamente (-5,3% m/m; -15,7% a/a) dopo il rimbalzo del mese precedente. Modesti segnali di ripresa provengono anche dagli indicatori di domanda: il calo tendenziale dell’indice generale del fatturato dell’industria si è ridotto nel terzo trimestre, pur rimanendo ancora su livelli decisamente bassi (-17,4% a settembre, dal -25,4% di giugno). Considerazioni simili si possono fare osservando l’andamento tendenziale degli ordinativi (dal -32,2% a/a di aprile al -20,4% a/a di settembre). Permangono poi delle “ombre” sulle prospettive dello scenario economico italiano che riguardano, oltre alla difficile situazione dei conti pubblici e al dilemma delle “exit strategies”, anche il tema dei costi sociali della crisi: il tasso di disoccupazione, è aumentato significativamente anche in questa seconda parte del 2009 (8% l’ultimo dato di ottobre). 12 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni Tavola A Italia - Scenario di base: principali variabili 2008 2009 2010 2011 (var %) Crescita reale Pil Crescita reale investimenti Deficit/Pil (in %) Prezzi al consumo Prezzo del petrolio (in $) -1,0 -3,0 -2,7 3,4 98,5 -4,8 -12,3 -5,3 0,8 62,5 0,6 0,2 -5,1 1,6 76,2 1,6 2,5 -4,6 1,9 78,7 Tasso riferim. BCE (*) Tasso sugli impieghi (**) Tasso sulla raccolta (**) 2,50 6,3 3,1 1,00 4,4 1,9 1,50 4,4 1,8 2,75 5,0 2,4 Impieghi a residenti (***) Sofferenze nette (***) Depositi da residenti (***) Obbligazioni in euro (***) 4,9 nd 7,9 20,4 1,9 34,4 5,6 14,5 4,1 26,8 4,3 9,4 3,9 9,1 6,9 7,7 Margine d'interesse Margine d'intermediazione Costi operativi Risultato lordo di gestione Utile netto 6,9 -7,7 1,8 -20,9 -53,6 -5,6 -0,8 -1,0 -0,4 -45,6 1,3 3,6 1,4 7,3 8,6 5,3 6,9 2,7 13,9 70,3 (*) dati di fine periodo. (**) relativo alle famiglie e alle società non finanziarie. (***) var % sulle consistenze di fine periodo. Per impieghi e depositi sono escluse le IFM. Fonte: Istat - Banca d'Italia - BCE e ns. previsioni 25. Sulla base di queste considerazioni si ritiene che, dopo il rimbalzo del terzo trimestre 2009, nell’ultimo trimestre dell’anno in corso il Pil dovrebbe continuare a crescere, anche se con una minor intensità rispetto al trimestre precedente. Considerata la pesante eredità negativa lasciata dal 2008 e dalla prima parte del 2009, valutiamo che la caduta complessiva del Pil per il 2009 dovrebbe essere del 4,8%; si prevede quindi uno scenario di lenta ripresa per il 2010 (+0,6%), mentre nel 2011 è attesa un’accelerazione fino all’1,6% (cfr. tavola A). Rispetto all’Area Euro la performance cumulata dell’Italia, nel triennio 2009-11, sarebbe inferiore di circa 1,5 punti percentuali. 26. I risultati del nostro esercizio di previsione prefigurano per l’anno in corso una contrazione dei consumi delle famiglie in termini reali dell’1,7%, mentre per il biennio 2010-11 si prospetta una ripresa che porterebbe il tasso di sviluppo all’1,4% in media nel 2011. Si tratta nell’insieme di dinamiche che almeno fino a tutto il 2010 scontano, in un quadro di limitata evoluzione del reddito disponibile reale, la riduzione della propensione al consumo. Come in altri paesi industriali, Stati Uniti in testa, i consumi saranno inevitabilmente influenzati dagli effetti ritardati del calo della ricchezza finanziaria e dal tendenziale processo di ricostituzione, 13 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni attraverso l’aumento della propensione al risparmio, del rapporto di lungo periodo tra ricchezza e reddito disponibile. Relativamente ai consumi pubblici si sconta uno scenario di crescita per quest’anno (+1,6%), un rallentamento nel 2010 (+0,3%) e una restrizione nell’ultimo anno di previsione (-0,2%). 27. Per quanto riguarda gli investimenti, le attese sono per una flessione del 12,3% nell’anno in corso, guidata soprattutto dalla dinamica negativa degli investimenti in macchinari e attrezzature. Per il successivo biennio si prevede una ripresa degli investimenti, sia nella componente costruzioni che in quella macchinari, con tassi di crescita rispettivamente dello 0,2 e del 2,5%. 28. Il tasso di disoccupazione, in aumento già nel 2008 (6,8% su media annua), è continuato a salire nel corso del 2009 (8% a ottobre). Come previsto, la recessione economica sta dunque incominciando ad influenzare significativamente e negativamente anche il mercato del lavoro, anche se con un’intensità inferiore rispetto a quanto atteso e soprattutto con una minore incidenza rispetto agli altri paesi europei. Tra i fattori che spiegano questo risultato vi è da un lato la crescente diffusione del ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni, che evita ai lavoratori di essere computati tra i non impiegati, nonché la strategia di molte PMI che preferiscono non perdere le competenze professionali acquisite e tendono quindi a mantenere, per il possibile, la loro forza lavoro. Stimiamo che il tasso di disoccupazione cresca al 7,6% nel 2009 e fino all’8,6% nel 2010-11. L’inflazione 29. Per quanto riguarda i prezzi, anche l’inflazione osservata negli ultimi mesi sembra segnalare l’avvio di un’inversione di tendenza dopo i livelli minimi toccati nel luglio del 2009 (-0,1% a/a). La lieve ripresa della domanda, unita al venir meno del’effetto base che aveva spinto verso il basso fino alla scorsa estate la variazione dell’indice dei prezzi, ha causato negli ultimi mesi una leggera risalita del tasso d’inflazione. Va segnalato, comunque, che sia nell’Area euro che, in misura maggiore, negli Stati Uniti, si è ancora in presenza di fenomeni deflazionistici. In Italia, invece la variazione su base annua dell’indice generale dei prezzi al consumo si è attesta, secondo gli ultimi dati disponibili, su valori positivi (+0,7% a novembre secondo gli ultimi dati Istat). L’avvio della ripresa economica e la crescita delle quotazioni petrolifere dovrebbero indurre ulteriormente la crescita dell’inflazione, che comunque, come detto in precedenza, verrebbe contrastata dalle Banche Centrali nel timore che l’ingente liquidità immessa sui mercati in questo periodo possa far perdere il controllo sulla stabilità dei prezzi nel medio termine. Per l’Italia, le attese sull’inflazione vedono un tasso allo 0,8% nell’anno in corso, per poi crescere all’1,6 e all’1,9% nel biennio successivo. Ad incidere su tale crescita saranno 14 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni soprattutto i prodotti più volatili: la core inflation è infatti attesa in aumento, ma solo dall’1,7% del 2009 al 2,1% del 2011. La politica di bilancio 30. I dati relativi agli andamenti congiunturali della nostra finanza pubblica non ci offrono notizie del tutto confortanti. I dati di cassa del settore statale evidenziano come il fabbisogno cumulato dei primi undici mesi dell’anno in corso sia cresciuto a 88,4 miliardi dai 56,2 registrati nello stesso periodo del 2008. 31. Per quanto riguarda le prospettive, il quadro di finanza pubblica che fuoriesce dall’esercizio di previsione del Centro Studi e Ricerche ABI e degli Uffici Studi delle principali banche italiane sconta tutte le difficoltà connesse all’attuale ciclo economico recessivo e non si distanzia significativamente, per quanto riguarda il 2009, da quanto previsto in precedenza. Una ripresa economica per il prossimo biennio migliore di quanto preventivato dovrebbe invece fornire uno scenario di finanza pubblica lievemente meno cupo per il 2010-2011. Per l’anno in corso si prospetta un rapporto deficit/Pil pari al 5,3% (2,7 per cento nel 2007); la moderata ripresa economica prevista per il prossimo anno consentirà, secondo l’esercizio, di mettere a segno risultati di finanza pubblica poco migliori nel 2010: prevediamo, infatti, che, sempre in termini di Pil, l’indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni passi al 5,1%, per poi mostrare invece un miglioramento più consistente nel corso del 2011 (4,6%). Il peggioramento del disavanzo continua a riflettere quasi per intero la dinamica del saldo primario: quello a cui si assiste è l’inversione di segno di questo importante indicatore, con il passaggio da un avanzo pari al 2,4 per cento del Pil nel 2008 ad un disavanzo dello 0,4 per cento nel 2009; si tornerebbe al segno + nel 2011 con uno 0,5 per cento di Pil. Il peso degli interessi sul prodotto, che nel 2008 è stato stati pari al 5,1 per cento, dovrebbe infatti scendere nel 2009 (4,9%) e crescere (solo leggermente) nel prossimo biennio (al 5 e al 5,1 per cento rispettivamente nel 2010 e nel 2011) a riflesso di una spinta verso l’alto che, in corrispondenza con la ripresa ciclica, si determinerebbe anche sul fronte dei tassi di interesse a breve termine. 32. Il deterioramento dal saldo primario si determina in un quadro di lieve crescita della pressione fiscale e contributiva (il rapporto tra totale entrate e Pil passa dal 46,6 al 47,1 per cento nel 2009, al 47,3% nel 2010 e al 47,5% nel 2011) e di crescita significativa delle spese al netto degli interessi (dal 44,1 per cento nel 2008 al 47,5 per cento nel 2009 e al 47 per cento a fine periodo). 33. Valutiamo che possono essere imputati all’andamento del ciclo economico circa 1,6 punti del rapporto deficit/Pil nel 2009 e nel 2010 e 1,2 punti nel 2011: ne deriva che l’indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni depurato dall’effetto del ciclo dovrebbe risultare pari al 3,6% nel 2009 (era il 3,3% nel 2008) e scendere poi gradualmente al 3,4% nell’ultimo anno di previsione. L’indebitamento “strutturale”, valutato cioè non soltanto al netto dell’effetto ciclico 15 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni ma anche degli effetti di entrate e spese non permanenti (stimate come nei documenti ufficiali), passerebbe dal 3,5 per cento del 2008 al 3,8% nel 2009 per poi tornare al 3,3% nell’ultimo anno di previsione. 34. Dentro il quadro sin qui descritto, il rapporto debito/Pil sale al 114,5% nel 2009 (105,7% nel 2008) e poi ancora al 117,3% nel 2010 e al 117,8% nel 2011. Alla lievitazione del debito contribuiscono pure elementi residuali, ovvero quei fattori che incrementano il debito senza incidere sull’indebitamento (partite finanziarie ed altro). L’INDUSTRIA BANCARIA ITALIANA: ANDAMENTI E PROSPETTIVE La congiuntura creditizia 35. La congiuntura creditizia in Italia continua ad evidenziare segnali moderatamente positivi. Ad evidenza delle scarse tensioni presenti sul mercato del credito si può osservare che l’indicatore di intensità creditizia, dato dal rapporto tra impieghi e Pil, è passato dal 110% del terzo trimestre del 2008 al 114% dello stesso periodo del 2009. 36. Nel dettaglio settoriale, si osserva che gli impieghi bancari complessivamente erogati a famiglie e imprese, secondo i dati più recenti, risultano ancora in lieve aumento su base annua (+0,3%). Dal confronto con gli altri principali paesi europei si rileva che il credito al comparto produttivo e a quello delle famiglie cresce più in Italia che in Francia, Germania e nell’intera Area Euro. Da notare, ancor più, che sia in Germania che nel complesso dell’Area Euro si è osservata di recente una contrazione degli impieghi complessivamente erogati. 37. Quanto alla disaggregazione tra famiglie e imprese, si osserva che il credito alle società non finanziarie ha subito, nel mese di settembre, una prima battuta di arresto con un tasso di variazione su base annua per la prima volta negativo, seppur di poco (-0,2%), e comunque con una performance migliore rispetto a quella dell’Area Euro (-0,4%). La minor domanda di credito, soprattutto nel caso in cui questo sia destinato ad investimenti, sembrerebbe essere alla base di questo risultato. Infatti, in base alla Bank Lending Survey, realizzata dalle Banche Centrali nazionali del Sebc in collaborazione con la BCE, emerge che l’esigenza di fondi per investimenti fissi abbia segnato in Italia, ancora nel terzo trimestre dell’anno in corso, un saldo percentuale negativo pari al -37,5%, (-37,5% anche nel terzo trimestre del 2008 e -50% nel secondo trimestre del 2009, dopo aver toccato il punto di minimo nel primo trimestre del 2009). Stessa dinamica si riscontra con riguardo alla domanda di finanziamenti per scorte e capitale circolante, mentre risulta rilevante solamente la richiesta di prestiti a fini di ristrutturazione del debito. Il credito alle famiglie risulta invece crescere a tassi che possono essere considerati sostenuti, soprattutto se confrontati con quelli degli altri paesi europei (+3,6% in Italia contro l’1,8% della Francia, lo 0,1% della Germania e il -0,2% dell’Area Euro). 16 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni 38. Dalla scomposizione per durata dei finanziamenti, si osserva in Italia una forte ricomposizione del credito che, stante l’attuale periodo di crisi, spinge imprese e famiglie ad aumentare la durata media del proprio indebitamento. Secondo i dati più recenti, infatti, il credito a breve termine ha subito una contrazione del 3,8%, mentre il credito a protratta scadenza continua a mostrare una tendenza positiva (+2%). Il dibattito sul credit crunch 39. La crisi finanziaria ed una tra le più severe recessioni conosciute nella storia economica recente hanno spinto il mondo intero ad interrogarsi sul rischio che il processo di deleveraging delle banche e il rapido deterioramento delle condizioni reddituali di famiglie e imprese potesse generare un credit crunch, con conseguenti ulteriori risvolti avversi sull’attività produttiva mondiale. Il dibattito ha interessato anche il nostro Paese e - in un contesto di effettivo rallentamento degli impieghi bancari alle imprese e di forte presenza di PMI molto dipendenti da fonti esterne di finanziamento - ha significativamente coinvolto analisti, governo e soprattutto parti sociali e rappresentanze di impresa. 40. Secondo le definizioni disponibili in letteratura il credit crunch rappresenta una contrazione dell’offerta di credito (spostamento verso sinistra della curva) di eccessiva e anomala ampiezza in rapporto all’andamento del ciclo economico. Sulla scorta della letteratura economica disponibile, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), nel World Economic Outlook dell’aprile 2008, definiva il credit crunch come una severa flessione nel tasso di crescita dell’indice di intensità creditizia ossia del rapporto tra credito bancario e PIL nominale, più ampia rispetto a quanto sperimentato storicamente nelle normali fasi negative del ciclo economico e determinata principalmente dal lato dell’offerta (altrimenti si parlerebbe di credit squeeze). Lo studio empirico del FMI mostrava che, sulla base dell’esperienza storica del periodo 1970-2007, per l’Italia si può parlare di credit squeeze/crunch quando si è in presenza di una riduzione tendenziale annua dell’indice di intensità creditizia almeno pari allo 0,6%, cioè il valore corrispondente al più basso decile della distribuzione dei tassi di crescita registrati dall’indicatore in questione nei quasi quaranta anni di storia esaminata. 41. Come spiegato in un recente lavoro del Centro Studi dell’ABI (“Temi di Economia e Finanza”, numero 1, novembre 2009), pur in presenza di un forte rallentamento della dinamica degli impieghi, gli sviluppi della congiuntura creditizia si sono mostrati nell’ultimo anno e mezzo relativamente positivi se paragonati alla profonda caduta dell’attività economica. Nel 2008 e nel primo trimestre del 2009 il tasso di variazione annuo dell’intensità creditizia, relativo al totale dei prestiti erogati al settore produttivo, ha registrato in Italia una riduzione ma si è sempre mantenuto nettamente positivo (dal +9,1% del primo trimestre dello scorso anno al +3,8% del secondo trimestre di quest’anno), e ben al di sopra tanto della soglia individuata dal FMI quanto dal valore minimo registrato nel corso degli ultimi nove anni (+1,4% a fine 2004). Nel corso della crisi economico-finanziaria dell’ultimo biennio la dinamica del credito per unità di Pil è dunque risultata migliore rispetto a quanto evidenziato nelle 17 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni precedenti fasi cicliche negative attraversate dall’economia italiana a partire dal 1970: stante la definizione del FMI, ciò porta ad escludere la presenza di un credit crunch o di un credit squeeze: se è, infatti, indubitabile che la crescita del credito ha rallentato, una vera e rilevantissima caduta ha contrassegnato l’economia e di conseguenza l’ammontare degli impieghi in rapporto al complesso dell’output è aumentato anche in questa fase di recessione economica. C’è da augurarsi che questo aumento sia stato sufficiente a supportare imprese meritevoli, che potranno giocare un ruolo di rilievo nella fase di ripresa appena iniziata. Dalle analisi presentate nel citato paper dell’ABI emerge come la domanda di credito tenda storicamente a crescere all’aumentare del valore aggiunto del settore privato e a diminuire all’aumentare del costo del credito e al crescere della capacità di autofinanziamento delle imprese. Sulla base delle relazioni che si sono stabilite tra queste variabili nel periodo pre-crisi (tra il secondo trimestre del 1998 e il secondo trimestre del 2007), è stato quindi stimato quale sarebbe stato lo stock di credito, nel periodo di crisi, se le banche si fossero attenute in modo rigido a quelle relazioni e viene poi confrontato tale valore “teorico” al valore effettivo. I risultati dell’esercizio mostrano che nel nostro Paese, a partire dal terzo trimestre del 2007 – cioè dall’inizio della crisi finanziaria – la consistenza dei prestiti è stata significativamente superiore a quella “compatibile” con un contesto macroeconomico segnato da un eccezionale deterioramento. Con l’aggravarsi della crisi la distanza tra credito effettivo e credito teorico è andata crescendo fino a superare gli 80 miliardi di euro (una sorta di “extra-credito” pari ad oltre il 10% dello stock dei prestiti). Tale delta viene interpretato come il frutto di uno spostamento verso destra della curva di offerta di credito, non verso sinistra come sarebbe dovuto accadere in caso di credit crunch. A parità di altri fattori e in rapporto alle difficili condizioni di contesto, l’accresciuta propensione a dare credito deve essere interpretata come una maggior presa in conto, da parte dell’industria bancaria, di tutti quegli aspetti - diversi da quelli tradizionali - che tendono a valorizzare le relazioni di medio/lungo termine con la clientela (maggiore considerazione del reddito prospettico dell’impresa, relazione personale e duratura con gli imprenditori, ecc.). Le previsioni 42. L’esercizio di previsione condotto dal Centro Studi e Ricerche dell’ABI e dal Panel degli Uffici Studi delle principali banche prende le mosse dagli sviluppi congiunturali fin qui descritti e prefigura, per l’anno in corso, una continuazione delle tendenze in atto più sopra commentate: a fine anno i prestiti complessivi a residenti dovrebbero risultare in aumento del 3,6% (7,5% nel 2008), mentre una lieve accelerazione è prevista per il biennio 2010-11 (+5,3/5,6%). Se si considera la componente più importante dei prestiti ai settori diversi dalle istituzioni monetarie e finanziarie, ovvero quelli erogati a famiglie ed imprese, si vede che il tasso di crescita è previsto mantenersi sullo 0,5% nell’anno in corso e crescere al 3,4% nel 2010 ed al 4,3% alla fine del periodo di previsione. Su tutto l’arco previsionale sarebbero più vivaci i prestiti oltre 1 anno, che risulterebbero in crescita del 2,5% nel 2009 e del 4,5% circa nel successivo biennio, mentre quelli a breve dovrebbero chiudere l’anno in corso, sull’onda 18 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni della dinamica fin qui registrata, con una flessione del 4,1%, per poi recuperare gradualmente nel 2010 e nel 2011. 43. Il credito alle famiglie è atteso crescere del 3,5% nell’anno in corso, trainato soprattutto dai mutui per l’acquisto di abitazioni (+4,2%) che nonostante le incerte condizioni del mercato immobiliare dovrebbero tornare a crescere già a partire dal 2009 (-0,5% nel 2008). La scarsa vivacità dei consumi porterebbe, invece, ad una sostanziale stabilità del credito al consumo. Per il biennio 2010-11 le attese sono per un consolidamento della crescita dei finanziamenti alle famiglie - in cui anche il credito al consumo tornerebbe ad offrire un importante contributo - che dovrebbero crescere del 4,7 e del 6% rispettivamente. 44. Per quanto attiene alle imprese non finanziarie, le previsioni per il 2009 sono per una flessione di poco superiore all’1% dovuta essenzialmente al crollo degli investimenti (-12,3% il loro valore atteso, in termini nominali, nell’anno in corso). Già a partire dalla prima metà del 2010 è prevista, comunque, un’inversione di tendenza che dovrebbe portare i crediti alle imprese a crescere del 2,6% nel prossimo anno e del 3,2% nel 2011. 45. Per quel che riguarda il lato del passivo, i depositi di residenti, che rappresentano circa il 50% delle passività complessive nell’accezione in cui vi si includono anche i depositi interbancari, dopo essere cresciuti del 13% nel 2008 dovrebbero aumentare intorno al 6% circa nel 2009, del 5,3% nel 2010 e del 7,5% alla fine del periodo di previsione. Dinamica analoga dovrebbero avere i depositi diversi da quelli interbancari, mentre la componente principale di quest’ultimo aggregato, ossia i conti correnti e gli altri depositi in euro, è prevista una crescita del 10,5% nel 2009, del 3,6% il prossimo anno e del 6,5% nel 2011. Vivace, seppur in rallentamento rispetto ai valori del 2008, il tasso di incremento delle obbligazioni: +14,5% nel 2009 con tassi di incremento via via meno consistenti e fino al +7,7% nel 2011. Per quanto riguarda, infine, la raccolta sull’estero, l’esercizio di previsione prospetta una situazione in cui la flessione già sperimentata nel 2008 (-7,3%) continui nel 2009, pur a ritmi meno intensi (-3,2%). Nel 2010 si tornerebbe ad una lievissima crescita (+0,7%), che si consoliderebbe nel 2011. 46. Merita sottolineatura il fatto che la severità della recessione sta imprimendo una forte e preoccupante spinta al rialzo alle sofferenze bancarie: prevediamo che, al netto delle svalutazioni, esse segneranno una crescita del 34,4% nel 2009, del 27% circa nel 2010 e del 9% nel 2011. Valutate in rapporto agli impieghi, le sofferenze nette evidenzierebbero un progressivo e graduale peggioramento fino a segnare il 2,1% nell’ultimo anno della previsione, un valore di quasi un punto percentuale più alto di quello osservato nel 2008 (1,2%). 47. Se l’evoluzione delle quantità è quella fin qui delineata, i “prezzi” degli impieghi e dei depositi e delle altre attività e passività creditizie saranno naturalmente condizionati dai comportamenti della Banca Centrale Europea sui quali abbiamo più sopra commentato. Dentro 19 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni il quadro di ipotesi del tasso di policy e in uno scenario che sconta la progressiva normalizzazione nel funzionamento della trasmissione della politica monetaria al settore produttivo, si deve tener conto che, nel medio periodo, un ulteriore modesto effetto restrittivo potrebbe provenire dal riapparire di un (contenuto) differenziale positivo tra tassi di interesse a breve di mercato e tassi di policy. Dovrebbe agire invece nel verso di contenere la dinamica del costo degli impieghi il restringimento del differenziale tra tasso interbancario non garantito (Euribor) e quello garantito (Eurepo), che dovrebbe tendere a stabilizzarsi su un valore di circa 20 basis point, un valore ben inferiore rispetto ai massimi registrati all’apice della crisi finanziaria, ma comunque superiore al valore medio osservato prima del turmoil. Nello specifico, il livello medio annuo il tasso Euribor a 3 mesi è atteso collocarsi all’1,2% nell’anno in corso, all’1,5% nel 2010 e al 2,5% nel 2011. Ciò implica che lo spread medio annuo rispetto al tasso di policy dovrebbe attestarsi intorno ai 30 punti base, un valore comunque superiore rispetto ai dati pre-crisi. In un tale contesto stimiamo che lo spread tra tassi medi sugli impieghi e sulla raccolta (depositi e obbligazioni), pari a 3,2 punti percentuali nel 2008, fletterà al 2,5% nel corrente anno, per poi crescere, solo leggermente, fino al 2,7% dell’ultimo anno di previsione. 48. Il combinato disposto delle tendenze sulle quantità e di quelle sui prezzi genera prospettive sui conti che se da un lato spingono a sottolinearne la tenuta dall’altro evidenziano la necessità di politiche future molto accorte sia dal lato dei ricavi che dei costi. Per quel che riguarda i numeri, dopo una riduzione del 54% nel 2008, l’utile netto delle banche dovrebbe segnare nell’anno in corso un sostanziale dimezzamento (-45,6%); per il 2010 si prospetta invece un’inversione di tendenza con una crescita dell’8,6%. Il definitivo superamento della fase critica è previsto per il 2011, quando si potrebbe avere un rimbalzo grazie al quale l’utile netto dovrebbe riportarsi su un livello pressoché identico a quello registrato nel 2008. Dentro un tale quadro, il Return on Equity, passerebbe dal 4,4% nel 2008 al 2,4% nel 2009-10, rispettivamente, mentre riprenderebbe la salita fermandosi però al 3,6% nel 2011. 49. I risultati appena evidenziati – che scontano naturalmente la legislazione vigente – sono il frutto di dinamiche differenziate delle diverse poste dei ricavi e dei costi. Per il margine di interesse si stima che il 2009 vedrà una contrazione del 5,6%. Il margine di interesse riprenderebbe a crescere, dell’1,3 e del 5,3% rispettivamente nel 2010 e 2011. Gli altri ricavi netti sono invece attesi in ripresa già a partire da quest’anno del 5,9%, crescita che verrebbe sostanzialmente confermata anche nel 2010 e che poi accelererebbe a quasi il 9% nel 2011. Tale dinamica sarebbe guidata essenzialmente dai ricavi da negoziazione, in crescita grazie alla migliore intonazione dei mercati finanziari, e quelli da servizi, favoriti dalla ripresa economica. Per il margine di intermediazione, che nel 2008 ha registrato una flessione del 7,7%, si prospetta un ulteriore calo dello 0,8% per il 2009, una ripresa del 3,6% nel 2010 e nell’ordine del 7% alla fine dell’orizzonte di previsione. 20 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni 50. Tassi di crescita più pronunciati dovrebbero connotare il risultato lordo di gestione (-0,4% quest’anno e poi +7,3% e +13,9% rispettivamente nel 2010 e 2011) grazie ad una dinamica dei costi operativi che, stante il contesto generale non brillante, dovrebbe risultare relativamente contenuta (-1% nel 2009, +1,4% nel 2010 e +2,7% nel 2011). 51. Rettifiche ed accantonamenti, dopo la forte accelerazione registrata nel 2008 (+74,1%) sono attese ancora in aumento ma con un profilo di crescita più contenuto: rispetto al totale attivo tale aggregato dovrebbe attestarsi allo 0,61/0,62% nel biennio 2009-2010 per poi flettere leggermente nel 2011. Particolarmente importante sarebbe il contributo derivante dalle rettifiche su crediti che alla fine del periodo di previsione dovrebbero quasi raddoppiare la loro consistenza attestandosi a circa 19 miliardi di euro. Ovviamente tale dinamica risente delle avverse condizioni macroeconomiche che indurranno le banche italiane ad avere un atteggiamento particolarmente prudente sul fronte della gestione del loro portafoglio crediti. LA RIPRESA È DURATURA O CI SONO RISCHI NEL LUNGO TERMINE? 52. Dal quadro macroeconomico congiunturale e previsionale illustrato sopra illustrato emerge chiaramente che il contesto nel prossimo triennio è atteso orientarsi verso una ripresa dell’attività economica nazionale e, soprattutto, internazionale. Ma tale ripresa può considerarsi duratura, oppure i fattori di debolezza che hanno scatenato la crisi finanziaria internazionale, prima, e la recessione globale, dopo, potrebbero tornare a mordere in un prossimo futuro? Per rispondere a questa domanda è utile valutare a che punto sono alcuni dei grandi squilibri internazionali e se questi siano indirizzati verso una normalizzazione. Al riguardo, lo squilibrio delle partite correnti statunitensi è uno dei campanelli di allarme da monitorare con maggiore attenzione. In base alle ultime informazioni disponibili, si rileva un netto miglioramento del deficit di parte corrente Usa che dai 5,2 punti percentuali di Pil di metà 2008 si è portato sui 2,7 punti di giugno 2009. Specularmene si è ridotto anche l’avanzo della Cina, a riflesso del rallentamento dell’intera economia globale, mentre va notato come si è avuto anche un peggioramento del saldo dell’Area euro che da positivo si è portato su valori negativi. Il miglioramento del saldo americano sembra quindi aver beneficiato della recessione, attraverso il rallentamento dei consumi delle famiglie, ma anche dell’apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro. Se quindi va interpretato positivamente il rientro dello squilibrio Usa, desta qualche preoccupazione il fatto che tale miglioramento sia avvenuto, almeno in parte, a spese dell’Area euro. 53. Fattore da valutare con molta attenzione è poi quello relativo all’andamento dell’indebitamento pubblico e privato negli Usa e nell’Area euro. Sul primo piano, gli interventi statali di salvataggio delle istituzioni finanziarie coinvolte nella crisi hanno incrementato 21 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni notevolmente l’indebitamento, che sia negli Usa che nell’Area euro è aumentato di circa 10 punti di Pil nell’arco di un anno portandosi, rispettivamente, al 60% e all’80% circa. Dal lato dell’indebitamento privato, si rileva invece una situazione ben più critica per le famiglie statunitensi, con un rapporto debito/Pil di poco inferiore al 100%, mentre per quelle europee tale rapporto si aggira sui 70 punti percentuali. L’eccesso di indebitamento accumulato nel tempo dalle famiglie costituisce, da un lato, un freno alla crescita, in quanto il debito contratto ha permesso di anticipare i consumi che altrimenti sarebbero stati effettuati più avanti nel tempo, e, dall’altro, determinare un fattore di criticità per la stabilità finanziaria. Infatti, una potenziale crescita dei default delle famiglie costituirebbe, oltre che un problema sociale molto rilevante, anche un grave problema per i già stressati bilanci delle banche americane. Al riguardo va segnalato che il tasso di default sui mutui immobiliari è stato pari, nel secondo trimestre dell’anno in corso, al 9,2%, in crescita rispetto all’9,1% del trimestre precedente e al 6,4% di un anno fa. La stessa dinamica crescente si rileva anche per il segmento dei mutui subprime, il cui tasso di default ha superato il 25% nel primo semestre del 2009. Al riguardo, gli ultimi dati di contabilità nazionale degli Usa possono paradossalmente essere interpretati non proprio positivamente. Se, infatti, la ripresa del Pil è un fenomeno che va visto con favore, il fatto che tale ripresa sia passata essenzialmente attraverso l’incremento dei consumi privati, soprattutto di beni durevoli, può essere considerato con una certa criticità. Infatti, per far sì che la crescita degli Usa sia duratura è importante che tale paese riveda il suo modello di business privilegiando di più le esportazioni e puntando ad accumulare risparmio. 54. Per riconvertire la struttura produttiva statunitense è fondamentale che siano gli investimenti a ripartire, soprattutto quelli in ricerca e sviluppo. Infatti, uno shock tecnologico importante, quale potrebbe derivare, ad esempio, dalla Green Economy, permetterebbe alle imprese statunitensi di riaffacciarsi sui mercati internazionali con un ritrovato vigore. Ciò, inoltre, permetterebbe di riassorbire nel mercato del lavoro i molti disoccupati che altrimenti rischierebbero di esserne tagliati definitivamente fuori in quanto la loro manodopera potrebbe essere sostituita da quella a più basso costo dei paesi emergenti; in tal modo sarebbero i lavoratori dell’economie avanzate ad assorbire lo shock di offerta avutosi nei paesi asiatici. La riconversione statunitense probabilmente non sarebbe sufficiente a garantire che l’economia globale si reindirizzi verso un profilo di crescita stabile e duraturo, in cui viga il binomio crescita-risparmio e non quello crescita-debito. E’ infatti necessario che anche l’altra economia portatrice di squilibri, cioè la Cina, riveda la sua struttura produttiva, incentivando la spesa interna anche attraverso la rivalutazione dello yuan. Il rischio, infatti, che gli squilibri americani si traslino sull’altra importante area economica, cioè l’Area Euro, è molto elevato e il peggioramento delle partite correnti di quest’ultima potrebbe essere un primo sintomo di questa tendenza. 22 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni Nel caso in cui, invece, gli Stati Uniti continuino a far trainare la loro crescita dai consumi domestici è da attendersi che nel futuro ci potranno essere serie ricadute sull’economia globale. Allo stato attuale, infatti, per mantenere il loro stile di vita le famiglie americane saranno probabilmente costrette ad indebitarsi ulteriormente, e con esse anche il Governo stesso nell’obiettivo di garantire un livello minimo di stato sociale. A lungo andare tale situazione potrebbe sfociare in una crisi del debito pubblico statunitense, con riflessi internazionali difficilmente quantificabili. 55. Determinante nel garantire la stabilità economica-finanziaria nel medio-lungo termine saranno poi le exit strategies. Gli interventi di sostegno ai mercati finanziari e i pacchetti di stimolo all’economia reale hanno infatti seriamente deteriorato i bilanci pubblici di molti Stati. Per ciò che concerne la politica monetaria, per fronteggiare la crisi le maggiori Banche centrali hanno utilizzato sia la riduzione dei tassi di policy (misure convenzionali) sia immissioni straordinarie di liquidità e acquisti di titoli obbligazionari privati (misure non-convenzionali). Di conseguenza, le opzioni attualmente a disposizione, per ritornare all’applicazione di politiche monetarie più ortodosse e che guardino soprattutto alla stabilità dei prezzi nel medio-lungo termine, vanno da un estremo di utilizzare solo la leva dei tassi, all’estremo opposto di ridurre gli attivi delle Banche centrali. In particolare, la Bank of England ha dichiarato che, quando il raggiungimento del suo target di inflazione richiederà una riduzione dello stimolo monetario, seguirà entrambe le strade: l’aumento dei tassi e la riduzione dell’attivo. Al contrario, la Federal Reserve è intenzionata, quando ce ne sarà bisogno, a interrompere gli acquisti di titoli privati e aumentare i tassi d’interesse; solo successivamente provvederà a ridurre il suo attivo. La Bank of Japan non ha fornito indicazioni chiare sulla sua exit strategy, ma nel 2006, in una situazione analoga, ha optato per una riduzione del bilancio e solo in seguito ha utilizzato anche la leva dei tassi. Infine, la BCE non sembra aver stabilito una sequenza di azioni nella sua exit strategy, ma solo una serie di linee guida che saranno rispettate, all’interno delle quali rimarrà prioritario assicurare la stabilità dei prezzi nel medio periodo. Oltre agli aspetti tecnici, l’attenzione degli operatori è rivolta al timing delle exit strategies. La preoccupazione principale è che queste strategie siano utilizzate troppo presto, soffocando la ripresa sul nascere. Tuttavia l’esperienza storica suggerisce che il rischio maggiore è una uscita ritardata e lenta dallo stimolo monetario. In tal caso, si creerebbero le condizioni per l’inizio di un’altra bolla speculativa, il cui scoppio non potrebbe essere attutito dalle finanze pubbliche rese fragili dall’ultima crisi finanziaria. 56. In definitiva, se da un lato sembra oramai che l’economia mondiale sia indirizzata verso una ripresa, non vanno comunque sottovalutate le pesanti eredità lasciate dalla crisi. Le macerie prodotte dal terremoto economico-finanziario che tutto il mondo ha vissuto – e che in alcune parti del globo ancora si fa sentire con scosse di assestamento, come nel caso della crisi in Dubai – non sono state infatti interamente rimosse e, soprattutto, mancano ancora quelle 23 AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009 Sommario e conclusioni regole internazionali necessarie per costruire strutture solide e durature. Questa è la sfida che le autorità di politica economica e monetaria dovranno affrontare, sfida che la comunità internazionale potrà vincere solo se verranno messi da parte i troppi nazionalismi e si comincerà a ragionare su un ordine di natura sovranazionale. 57. Un’ultima notazione riguarda il legame tra le politiche economiche e regolamentari ed il (ri)disegno dei sistemi bancari. Mentre in molte parti del mondo si pensa a come ridisegnare l’industria bancaria e la propria missione, alla luce delle macerie prodotte dalla crisi, in Italia possiamo permetterci di affrontare altri temi. Quando terremoti terribili sconvolgono vasti territori ed abbattono in considerevole numero le costruzioni che su di essi insistono, non si può non riconoscere alle strutture che resistono una particolare qualità. La crisi finanziaria che abbiamo vissuto ha rappresentato un terremoto di inusitata magnitudo; non è interesse di alcuno disconoscere che l’edificio bancario italiano ha retto, che le nostre banche hanno, come poche altre, ben resistito. Hanno potuto resistere perché praticano un modello di business tradizionale, imperniato sulla raccolta tramite depositi e obbligazioni e sui prestiti a famiglie ed imprese. E’ un modello semplice: congeniale al nostro sistema produttivo, fatto in prevalenza da imprese piccole e medie. 58. A queste imprese le banche stanno dedicando molta attenzione: i dati aggregati non mettono in evidenza un credit crunch, anche se è evidente che in una fase congiunturale così difficile un rallentamento del credito non si è potuto evitare; le tensioni nella liquidità delle imprese, soprattutto di quelle sub-fornitrici di grandi gruppi o fornitrici della pubblica amministrazione hanno fatto sì che la psicologia degli operatori percepisse una restrizione del credito che i numeri non comprovano. Molte sono le iniziative che sono state intraprese dall’industria bancaria per dare ossigeno alle realtà più deboli in un contesto in cui il merito di credito ha avuto tendenza, in media, a ridursi marcatamente. Il modo migliore per scoraggiare la ricerca da parte delle banche di profitti puramente finanziari e per sostenere quindi il sistema delle imprese è, per il policy maker, incoraggiare questo modello con buone politiche economiche e regolamentari. Esse devono oggi riguardare la tassazione differenziale delle banche, in particolare quella connaturata al trattamento delle perdite su crediti e prevedere – per quel che attiene ai nuovi requisiti di capitale – un trattamento legato al modello di business. 24