AFO
Rapporto di Previsione 2009-2011
Sommario e Conclusioni
Dicembre 2009
Centro Studi e Ricerche
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AFO
ABI Financial Outlook
Rapporto di Previsione 2009-2011
Sommario e conclusioni
Dicembre 2009
Centro Studi e Ricerche - ABI
Il Rapporto è stato elaborato sulla base delle informazioni disponibili al 4 dicembre 2009 ed è stato
coordinato da Riccardo Benincampi, Vincenzo Chiorazzo e Gianfranco Torriero.
Ne sono autori:
Carola Achermann (gestione questionari e layout), Riccardo Benincampi (mercati monetari e attività
bancaria), Vincenzo Chiorazzo (sommario e conclusioni, finanza pubblica, riquadro sul credit crunch),
Vincenzo D’Apice (analisi macro), Daniele Di Giulio (gestione modello econometrico e questionari, analisi
congiunturale, riquadro sul credit crunch) e Carlo Milani (gestione modello econometrico, analisi macro).
Il panel di banche partecipanti all’AFO è costituito da:
Banca Carige, Banca delle Marche, Banca di Piacenza, Banca Monte Paschi di Siena, Banca Nazionale del Lavoro, Banca
Passadore, Banca Popolare di Bari, Banca Popolare Pugliese, Banca Popolare di Sondrio, Banco Desio e Brianza, Banco
Popolare, Credito Valtellinese, Cariparma, Deutsche Bank, Intesa San Paolo, UGF Banca, Unicredit.
AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Indice
Contenuto del Rapporto
Sommario e conclusioni
PARTE GENERALE
CAP. 1
Contesto macro e le politiche economiche
CAP. 2
L’andamento dell’attività bancaria
CAP. 3
La previsione nel triennio 2009-2011
RIQUADRI
A.
Impieghi al settore produttivo: nessun credit crunch in Italia
B.
I risultati economici del primo semestre del 2009 dei gruppi bancari italiani e prime
indicazioni sul terzo trimestre
C.
Evoluzione dei finanziamenti delle IFM per i principali settori di attività economica e
forme tecniche
D.
Le gestioni patrimoniali delle banche: tendenze recenti e prospettive per il 2009-2010
SCHEDE CONGIUNTURALI
S1.
I prezzi delle principali materie prime
S2.
Il Mercato dei cambi e gli indici delle condizioni monetarie
S3.
La congiuntura macroeconomica
negli STATI UNITI
S4.
“
in GIAPPONE
S5.
“
in CINA
S6.
“
in INDIA
S7.
“
nell’AREA EURO
S8.
“
in ITALIA
S9.
“
in GERMANIA
S10.
“
in FRANCIA
S11.
“
in SPAGNA
5
AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
Sommario e conclusioni
1. L’evoluzione ciclica più recente sembra finalmente indicare che tutte le principali economie
mondiali hanno invertito la rotta. I primi dati ufficiali sulla crescita del Pil nel terzo trimestre
mostrano un’incoraggiante ripresa, sia negli Usa che nell’Area Euro. In entrambe le aree il Pil è
tornato a crescere dopo ben 4/5 trimestri di contrazione, ponendo tecnicamente fine alla
recessione. Relativamente più significativa è stata la ripresa dell’economia americana: il Pil ha
evidenziato negli Usa una variazione del +0,7% t/t (-2,5% a/a); il complesso dell’Area Euro
ha, invece, mostrato una crescita del +0,4% t/t (-4,1% a/a). Tra i principali paesi
dell’Eurozona, in Italia il Pil è tornato a salire su base congiunturale dopo 5 trimestri di
riduzioni (+0,6% t/t; -4,6% a/a). In crescita si sono mostrati anche Germania (+0,7% t/t;
-4,8% a/a) e Francia (+0,3% t/t; -2,4% a/a). Tali dinamiche erano state ben previste dagli
indicatori anticipatori dell’Ocse che, negli ultimi 2/3 trimestri, hanno segnalato una forte fase di
recupero sia per quanto riguarda le economie sviluppate che quelle emergenti.
2. Anche il clima di fiducia nelle principali aree sviluppate sembra aver imboccato un sentiero
positivo, sia per quanto riguarda le imprese che le famiglie. Inoltre, il mercato immobiliare
statunitense continua a mostrare segni di ripresa: i dati sul prezzo delle case (Case-Shiller)
hanno fatto registrare ad agosto il quarto incremento mensile consecutivo (tra aprile e agosto
l’incremento complessivo è stato del +4,9%), sebbene i dati di settembre mostrino una lieve
riduzione delle licenze di costruzioni residenziali (-0,9% m/m), dopo il recupero dei mesi
precedenti.
3. In miglioramento sono risultati anche i principali mercati finanziari internazionali, così
come evidenziato dall’indice di turbolenza finanziaria (ITF) elaborato dal Centro Studi e
Ricerche dell’ABI (che fornisce un’indicazione sintetica del grado di perturbazione finanziaria
sulla base di una batteria di indicatori relativi a quattro diversi mercati: monetario,
obbligazionario, azionario e dei derivati su crediti). Negli ultimi mesi si è infatti registrato un
processo di convergenza tra Usa, Regno Unito, Germania, Francia e Italia, con un valore
dell’indice che ha segnato mediamente una distanza dal livello “normale” osservato prima dalla
crisi intorno ai 2 punti. E’ utile al riguardo rammentare che all’apice della crisi finanziaria l’ITF
aveva toccato, nei paesi anglosassoni, una quota superiore agli 8 punti.
4. Desta invece molta preoccupazione la situazione del mercato del lavoro: sia in Usa che
nell’Area euro si viaggia intorno a valori del tasso di disoccupazione del 10%. Particolarmente
evidente è la crisi del mercato del lavoro negli Usa, dove negli ultimi due anni il tasso di
disoccupazione è più che raddoppiato.
5. Questo Rapporto prende le mosse dagli sviluppi congiunturali appena accennati, analizza i
fattori strutturali che sembrano aver dato avvio ad una crisi finanziaria e reale internazionale di
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
proporzioni mai sperimentate in precedenza e delinea uno scenario di fondo in cui la ripresa
attesa per il biennio 2010-11 dovrebbe caratterizzarsi per un’intensità maggiore rispetto a
quanto previsto sei mesi fa. Stimiamo che in Italia il Pil arretrerà del 4,8% nell’anno in corso e
crescerà dello 0,6% nel 2010 e dell’1,6% nel 2011. Con l’intensificarsi della ripresa si tornerà a
tassi di inflazione più vicini a quelli di lungo periodo (+0,8% nel 2009, +1,6% nel 2010 e
+1,9% nel 2011), soprattutto per le maggiori spinte inflazionistiche derivanti da un petrolio
che nell’ultimo anno di previsione è atteso tornare su un livello di 80 dollari per barile. Dentro
un tale quadro le banche italiane mostrano una sostanziale tenuta anche se il nostro esercizio
conferma quanto già prefigurato nel Rapporto di luglio, ovvero un arretramento in termini di
conto economico: gli utili netti, dopo essersi dimezzati nel 2008, si ridurranno ancora del 40%
circa nel 2009, registreranno una leggera crescita nel 2010 e riprenderanno con più vigore
nell’ultimo anno di previsione riportandosi sui livelli nominali osservati nel 2008.
CRISI FINANZIARIA E RECESSIONE GLOBALE: SPUNTI DI ANALISI INTORNO ALLE CAUSE
6. Per analizzare l’attuale contesto macroeconomico internazionale e i suoi possibili futuri
sviluppi il Rapporto pone un interrogativo ed intorno ad esso offre alcune riflessioni: perché,
nell’ultimo anno circa, tutte le principali economie sviluppate si sono ritrovate in recessione?
Molti sarebbero propensi ad attribuire la causa della più grave crisi economica internazionale
dai tempi della Grande Depressione alla crisi finanziaria, anch’essa di proporzioni eccezionali,
che l’ha preceduta. In realtà, prendendo spunto da un recente paper del National Bureau of
Economic Research (NBER), si può invece sostenere la tesi opposta, ossia che la crisi
finanziaria è stata solo un sintomo e non la causa della recessione globale.
7. Le principali cause della crisi finanziaria vengono solitamente individuate: a) nelle carenze
della regolamentazione finanziaria statunitense, che non ha impedito alle banche domestiche di
assumersi rischi eccessivi nella prospettiva di massimizzare gli utili di breve termine; b)
nell’eccesso di risparmio dei paesi asiatici, in primo luogo la Cina, che ha fornito abbondanti
risorse per finanziare investimenti altamente speculativi. Ma perché le famiglie asiatiche hanno
deciso di risparmiare così tanto e tali flussi di capitali si sono riversati prevalentemente negli
Stati Uniti? Spiegare queste dinamiche attribuendole solo alle scelte comportamentali (le
famiglie asiatiche preferiscono risparmiare, quelle americane consumare!) sarebbe troppo
semplicistico. Si può invece individuare un fattore sottostante che ha messo in moto tutta
questa evoluzione: lo shock sull’offerta di lavoro nei paesi asiatici, ed in particolare in Cina,
derivante dal processo di globalizzazione.
8. Proprio la Cina è stato il paese che più ha beneficiato della globalizzazione. I progressi
tecnologici nei mezzi di comunicazione e di trasporto hanno infatti permesso ad una massa
enorme di popolazione di spostarsi dalle zone rurali ai centri urbani, dove sono più concentrate
le industrie che esportano in tutti i paesi occidentali. Dal 1990 al 2007 la popolazione nelle
aree urbane è passata da 300 a 600 milioni di abitanti.
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
9. La grande abbondanza di manodopera, a basso costo, ha permesso alle imprese cinesi di
inondare i mercati dei paesi occidentali di propri manufatti e semilavorati. I prodotti cinesi si
sono riversati soprattutto negli Usa – anche grazie ad una politica del tasso di cambio cinese
volta a mantenerne lo yuan su un valore artificiosamente deprezzato –, determinando in tal
modo un netto peggioramento della bilancia di parte corrente statunitense. Per bilanciare tale
deficit è stato necessario un massiccio afflusso di capitali, giunti per lo più proprio dalla Cina.
Infatti, lo sviluppo economico cinese non si è tramutato in un aumento relativo dei consumi per
le famiglie che si sono trasferite nei centri urbani, anzi è avvenuto esattamente il contrario,
con una quota dei consumi sul reddito disponibile di tali famiglie che è passata dall’83% del
1995 al 73% del 2007. Il connubio di una crescita economica eccezionale e di una restrizione
della propensione al consumo ha portato, quindi, ad una vera e propria esplosione dello stock
di risparmio cinese: pari a circa il 30% di quello Usa negli anni ‘90, esso è cresciuto a tal punto
che nel 2007 tale proporzione si è ribaltata ed il risparmio statunitense è diventato pari al 30%
di quello cinese.
10. Con un sistema bancario e finanziario scarsamente sviluppato, i risparmi cinesi non
potevano che defluire all’estero. La maggior parte degli investimenti finanziari cinesi si è
concentrata nei titoli governativi Usa. Il grande afflusso di risorse verso i titoli governativi Usa
ha evidentemente determinato una forte riduzione del relativo tasso d’interesse. Ciò ha avuto
due principali conseguenze: i) la diminuzione del costo opportunità del ricorso al debito
pubblico, che ha provocato deficit di bilancio fortemente crescenti; ii) la ricerca di investimenti
alternativi più remunerativi.
In una prima fase i capitali cinesi hanno quindi cominciato ad affluire sui mercati azionari Usa
dove le aspettative sulla New Economy avevano già gonfiato i corsi azionari. L’effetto finale è
stato quello di far esplodere la bolla speculativa azionaria nel 2000-01. Successivamente, la
politica estremamente espansiva della Fed, ha spinto i capitali provenienti dall’estero, e non
solo, a cercare investimenti alternativi più redditizi come, ad esempio, le tranche di mutui
cartolarizzati. L’ingente liquidità che si è riversata su questi segmenti di mercato ha
determinato una riduzione del costo di funding per gli intermediari che hanno così intensificato
le attività di erogazione di mutui, spingendosi soprattutto sul comparto subprime e Alt-A, da
una parte, e di cartolarizzazione sui mercati internazionali, dall’altra. Sul lato dell’economia
reale, l’abbondanza di credito a basso costo per l’acquisto di abitazioni ha spinto le famiglie
Usa ad accrescere la domanda di case, determinandone in tal modo la crescita dei prezzi.
11. Cosa ha interrotto questo meccanismo provocando, nell’agosto del 2007, la crisi dei mutui
subprime e il successivo concatenarsi di eventi oramai ben noti? Per risalire a tale causa si può
fare nuovamente riferimento all’eccezionale mutamento osservato in Cina. Tra gli effetti
dell’esponenziale crescita economica va infatti annoverato anche il forte aumento della
domanda di commodities, soprattutto energetiche, necessarie per far fronte ad una produzione
industriale fortemente crescente che, in ultima istanza, ne ha provocato l’aumento delle
quotazioni. L’aspetto rilevante da sottolineare è però che se tale crescita si è fortemente
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
traslata sui prezzi alla produzione, l’effetto sui prezzi al consumo è stato molto più contenuto.
Sui prezzi dei beni offerti ai consumatori ha infatti agito, probabilmente, proprio la concorrenza
dei prodotti cinesi. Le imprese occidentali, ed in particolare americane, si sono quindi ritrovate
costrette a contenere una delle principali voci di costo, cioè i salari. Ciò ha determinato un
crescente squilibrio per i bilanci delle famiglie che, sotto l’illusione di una crescita perpetua dei
prezzi degli immobili, hanno avuto un profilo di consumo estremamente elevato. Quando la
Federal Reserve ha mutato l’intonazione della politica monetaria, e le opzioni di reset presenti
in molti mutui subprime hanno iniziato a produrre rate via via crescenti, le famiglie a più basso
reddito non sono state più in grado di sostenere le rate sui debiti contratti e tutto il
meccanismo si è inceppato provocando la crisi finanziaria, prima, e quella reale, dopo.
IL QUADRO ESTERNO
Domanda mondiale, prezzi delle materie prime, tassi di cambio, politiche monetarie
12. Per quel che concerne l’andamento dell’economia mondiale valutiamo che il tremendo
shock occorso nei trimestri passati porterà, per la prima volta da quando esiste una serie
storica su questo aggregato, ad un riduzione del prodotto mondiale. Nello specifico, nel 2009 le
attese sono per una flessione dell’1%, a cui farà seguito una crescita del 3 e del 4% nel
successivo biennio. Queste tendenze si determinerebbero in un contesto in cui gli USA
registrerebbero, nel 2009, una caduta del Pil pari al 2,5% e nel 2010-11 una ripresa dell’1,9 e
del 2,2%, valori migliori rispetto a quanto previsto nel nostro Rapporto di luglio ma comunque
inferiori rispetto alla crescita potenziale stimabile prima della crisi. Per quel che riguarda i paesi
del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) si stima una crescita media dell’1,5% nell’anno in
corso, contro il 6,8% del 2008, soprattutto in conseguenza della performance ampiamente
negativa della Russia che dovrebbe subire i contraccolpi del crollo del prezzo del greggio. Per il
successivo biennio è invece attesa una ripresa che dovrebbe raggiungere il livello medio del
6,2% nel 2010. A questa ripresa darebbe un contributo fondamentale la Cina che nel biennio
2010-11 è attesa in crescita del 10% circa.
13. Sul fronte del prezzo delle materie prime, l’inversione di tendenza del ciclo
macroeconomico internazionale ha inevitabilmente comportato una crescita delle quotazioni dei
primari fattori produttivi. Nello specifico, il prezzo del petrolio, dopo aver raggiunto il suo punto
ciclico di minimo a fine dicembre 2008 (38 dollari al barile), si è riportato negli ultimi mesi su
valori compresi tra i 70 e gli 80 dollari al barile. L’esercizio di previsione assume che la
quotazione del Brent si attesti in media sui 62,5 dollari al barile nel 2009 (98,5 nel 2008), sui
76 nel 2010 e sugli 79 nel 2011. La quotazione media del 2009 dovrebbe dunque calare del
37% circa rispetto al 2008 e, successivamente, si dovrebbe registrare un recupero che in
media d’anno si misura nel 22% nel 2010 e nel 3,3% nel 2011.
14. Nel nostro esercizio fissiamo il tasso di cambio dollaro/euro a 1,40 nel 2009 (1,47 il valore
medio 2008) e a 1,48 nel 2010-11, con variazioni percentuali su base annua del -5%
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
quest’anno e del +6,2% il prossimo. La combinazione delle ipotesi in tema di prezzi in dollari,
da un lato, e cambio dollaro/euro, dall’altro, ci porta a delineare, per il triennio 2009-11, un
prezzo delle importazioni di petrolio in euro in sensibile riduzione nell’anno in corso (-33%) e
poi in accelerazione, del 14,9 e del 4% nel 2010 e nel 2011 rispettivamente. In un tale quadro,
e considerando l’evoluzione dei prezzi degli altri beni e servizi importati, prefiguriamo una
variazione del deflatore delle importazioni italiane pari al -5,8% nel 2009 (+6,9% nel 2008),
del +2% nel 2010 e del +3% nel 2011. La dinamica dei prezzi alle esportazioni italiane,
aumentati nel 2008 del 5%, è prevista diminuire dell’1,5% quest’anno, crescere dello 0,7% nel
2010 e del 2,1% nel 2011. Si prospetta, pertanto, data la dimensione della (dis)inflazione
importata, un significativo miglioramento delle ragioni di scambio (+4,4%, calcolate sul
complesso dei beni e servizi) per il 2009 ed un successivo peggioramento nel 2010-11, indotto
dal riemergere di leggere pressioni sui prezzi del petrolio.
15. Per quanto riguarda, infine, l’impostazione delle politiche monetarie l’ipotesi adottata è che
nell’Area Euro il livello dei tassi sarà rialzato, ma per appena 25 punti base, dopo la prima
metà del 2010, mentre un successivo intervento, di pari entità, è atteso entro la fine dello
stesso anno. L’inflazione, attesa in crescita dallo 0,2% del 2009 all’1% del 2010, dovrebbe
infatti spingere la BCE a procedere gradualmente verso il riassorbimento dell’ampia liquidità
iniettata nel sistema. Le esigenze di ancoraggio delle aspettative inflazionistiche di lungo
termine dovrebbero poi spingere la BCE ad un intervento più marcato nel 2011, con il tasso di
riferimento che dovrebbe portarsi al 2,75% entro la fine dell’anno.
16. Sul fronte della Federal Reserve, invece, si prevede che, dato il livello attuale prossimo
allo zero dei fed funds, e tenuto conto della più vigorosa ripresa economica prevista per il
prossimo anno, gli interventi di inversione dell’intonazione della politica monetaria potrebbero
verificarsi prima. Le attese sono per un tasso di policy che alla fine del prossimo anno
dovrebbe attestarsi all’1,25%, in crescita di un punto percentuale rispetto al 2009, per poi
toccare quota 2,25% a fine 2011. Il divario tra i tassi BCE e FED dovrebbe quindi passare dagli
attuali 75 punti base ai 50 punti base nell’ultimo anno di previsione.
17. Agli impulsi sui tassi a breve, i tassi d’interesse a lungo termine risponderanno con
lentezza: ne discenderà un appiattimento della curva per scadenza dei rendimenti, la cui
inclinazione era aumentata negli ultimi mesi a riflesso delle aspettative dei mercati su un rialzo
dei tassi nel medio termine. Alla fine del triennio di previsione lo spread tra tasso di policy e
tasso benchmark sarà pari a 2,8 punti percentuali in USA e 2 punti nell’Area euro.
IL QUADRO MACROECONOMICO NELL’AREA
EURO E IN ITALIA
18. Il Pil dell’Area euro, la cui caduta si era già sostanzialmente arrestata nel corso del
secondo trimestre, è tornato a crescere su base trimestrale nel terzo trimestre (+0,4% t/t;
-4,1% a/a). Indicazioni confortanti provengono anche dai principali indicatori congiunturali. La
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
produzione industriale, pur partendo da livelli molto bassi, è in continua risalita dallo scorso
maggio; anche gli indicatori di fiducia di consumatori e imprese stanno proseguendo il loro
recupero. Gli effetti negativi della recessione che abbiamo attraversato stanno però facendo
ora sortire i propri effetti sul mercato del lavoro: nel terzo trimestre il tasso di disoccupazione
è stato mediamente pari al 9,6%, e ha continuato a mostrare una tendenza alla crescita anche
successivamente (9,8% a ottobre).
19. Tra i principali paesi dell’Eurozona, va osservato come in Germania e Francia il Pil sia
tornato a crescere già dal secondo trimestre. La significativa ripresa dell’economia tedesca
(+1,2% in termini cumulati tra aprile e settembre) è tuttavia largamente spiegata nel terzo
trimestre dalla ricostituzione delle scorte, mentre nel secondo un ruolo importante lo ha svolto
la bilancia commerciale con una forte riduzione delle importazioni. A differenza di quanto sta
avvenendo per il complesso dell’Area euro, il mercato del lavoro non ha per ora presentato in
Germania indicazioni particolarmente allarmanti: il tasso disoccupazione è rimasto stabile negli
ultimi mesi (7,5% a ottobre). La Francia invece, pur avendo mostrato un andamento del Pil
meno negativo nella fase più acuta della crisi e anticipando (come in Germania) la ripresa del
Pil nel secondo trimestre, manifesta in questo momento maggiori elementi di preoccupazione
sul tema dell’occupazione (a ottobre il tasso di disoccupazione è andato oltre il 10%).
20. Per il complesso dell’Area Euro il nostro esercizio di previsione prefigura una caduta del Pil
pari al 4%, dopo l’incremento dello 0,6% registrato nel 2008. Si prevede una ripresa più
intensa rispetto a quella prevista per l’Italia: il prossimo anno potrebbe chiudersi con una
variazione del Pil dello 0,9%, mentre nel 2011 la crescita dovrebbe essere dell’1,9%. Il divario
di crescita a favore dell’Area euro previsto per il prossimo biennio, da imputare alla miglior
ripresa che si prefigura in Francia e Germania, è in parte ridimensionato dal prolungarsi della
recessione che sta caratterizzando l’economia spagnola, il cui Pil (caduto pure nel terzo
trimestre) potrebbe continuare a contrarsi anche nel prossimo anno secondo secondo le ultime
previsioni di OCSE e Commissione Europea.
21. Guardando al dettaglio delle voci della domanda aggregata, si prevede per i consumi
privati una contrazione dell’1,1% per l’anno in corso, una crescita di mezzo punto percentuale
per il 2010 e una ripresa più vigorosa nel 2011 (+1,8%). Per gli investimenti si stima una
severa contrazione per quest’anno (-10,1%), un rallentamento della caduta su base annua nel
2010 (-0,4%) e una graduale ripresa nel corso del 2011 (+3,4%). La flessione del prodotto
mondiale, e conseguentemente degli scambi commerciali internazionali, comporterà per l’anno
in corso una marcata contrazione sia per le esportazioni (-14,7%) che per le importazioni
(-13%). L’export e l’import dovrebbe comunque tornare a crescere già a partire dal 2010, per
poi consolidare l’incremento nel 2011.
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
L’attività economica in Italia
22. Per quanto riguarda l’Italia, così come avvenuto per il complesso dell’Area euro, i dati
ufficiali degli ultimi due trimestri hanno confermato i segnali di ripresa suggeriti dagli indicatori
congiunturali nei mesi scorsi. Il Pil italiano, la cui caduta si era già quasi arrestata nel secondo
trimestre (-0,5% t/t), è tornato a crescere su base congiunturale tra luglio e settembre
(+0,6% t/t; -4,6% a/a), dopo cinque trimestri consecutivi di contrazione. Con i primi dati
ufficiali del terzo trimestre, anche l’economia italiana è dunque tecnicamente uscita dalla
recessione. Data la pesante eredità negativa lasciata dai trimestri precedenti (con un effetto di
trascinamento del -4,8%), la contrazione del Pil del 2009 rimarrà comunque molto vicino alla
soglia del 5% prevista già la scorsa estate.
23. Il miglior quadro congiunturale del secondo trimestre discende dal contributo positivo della
spesa pubblica (+1,3% t/t), da una lieve ripresa dei consumi (+0,3% t/t) e dal rallentamento
della caduta degli investimenti (-2,9% t/t). Meno negativo rispetto ai trimestri precedenti è
stato inoltre il contributo alla crescita delle esportazioni nette (-0,1 punti percentuali): il
disavanzo delle partite correnti (in percentuale del Pil), in aumento nel corso del 2008 (4,6%
nel quarto trimestre), si è ridotto al 4% a metà 2009.
24. Le recenti indicazioni positive provenienti dai Leading Indicators dell’OCSE lasciano
addirittura spazio a una possibile espansione economica; il paese che ha registrato negli ultimi
mesi il valore più alto dell’indice è stato l’Italia, che è anche quello che mostra il maggiore
recupero su base annua. Gli ultimi dati congiunturali confermano - ma solo in parte - questi
segnali di ottimismo. Se da una parte gli indicatori di fiducia di consumatori e imprese
proseguono – pur con qualche piccolo rimbalzo - a salire (la fiducia dei consumatori è tornata
sui livelli pre-crisi del 2007, mentre la fiducia delle imprese si è ristabilita sui valori di
novembre 2008), più incerta si è mostrata la ripresa della produzione dell’industria italiana.
L’indice della produzione industriale, rimasto sostanzialmente stabile nei mesi di maggio e
giugno, ha mostrato una risalita a luglio e soprattutto ad agosto (quando ha manifestato su
base congiunturale un aumento del 5,8%). Con l’ultimo dato di settembre tuttavia l’indice è
tornato calare vistosamente (-5,3% m/m; -15,7% a/a) dopo il rimbalzo del mese precedente.
Modesti segnali di ripresa provengono anche dagli indicatori di domanda: il calo tendenziale
dell’indice generale del fatturato dell’industria si è ridotto nel terzo trimestre, pur rimanendo
ancora su livelli decisamente bassi (-17,4% a settembre, dal -25,4% di giugno).
Considerazioni simili si possono fare osservando l’andamento tendenziale degli ordinativi (dal
-32,2% a/a di aprile al -20,4% a/a di settembre). Permangono poi delle “ombre” sulle
prospettive dello scenario economico italiano che riguardano, oltre alla difficile situazione dei
conti pubblici e al dilemma delle “exit strategies”, anche il tema dei costi sociali della crisi: il
tasso di disoccupazione, è aumentato significativamente anche in questa seconda parte del
2009 (8% l’ultimo dato di ottobre).
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
Tavola A
Italia - Scenario di base: principali variabili
2008
2009
2010
2011
(var %)
Crescita reale Pil
Crescita reale investimenti
Deficit/Pil (in %)
Prezzi al consumo
Prezzo del petrolio (in $)
-1,0
-3,0
-2,7
3,4
98,5
-4,8
-12,3
-5,3
0,8
62,5
0,6
0,2
-5,1
1,6
76,2
1,6
2,5
-4,6
1,9
78,7
Tasso riferim. BCE (*)
Tasso sugli impieghi (**)
Tasso sulla raccolta (**)
2,50
6,3
3,1
1,00
4,4
1,9
1,50
4,4
1,8
2,75
5,0
2,4
Impieghi a residenti (***)
Sofferenze nette (***)
Depositi da residenti (***)
Obbligazioni in euro (***)
4,9
nd
7,9
20,4
1,9
34,4
5,6
14,5
4,1
26,8
4,3
9,4
3,9
9,1
6,9
7,7
Margine d'interesse
Margine d'intermediazione
Costi operativi
Risultato lordo di gestione
Utile netto
6,9
-7,7
1,8
-20,9
-53,6
-5,6
-0,8
-1,0
-0,4
-45,6
1,3
3,6
1,4
7,3
8,6
5,3
6,9
2,7
13,9
70,3
(*) dati di fine periodo. (**) relativo alle famiglie e alle società non finanziarie.
(***) var % sulle consistenze di fine periodo. Per impieghi e depositi sono escluse le IFM.
Fonte: Istat - Banca d'Italia - BCE e ns. previsioni
25. Sulla base di queste considerazioni si ritiene che, dopo il rimbalzo del terzo trimestre
2009, nell’ultimo trimestre dell’anno in corso il Pil dovrebbe continuare a crescere, anche se
con una minor intensità rispetto al trimestre precedente. Considerata la pesante eredità
negativa lasciata dal 2008 e dalla prima parte del 2009, valutiamo che la caduta complessiva
del Pil per il 2009 dovrebbe essere del 4,8%; si prevede quindi uno scenario di lenta ripresa
per il 2010 (+0,6%), mentre nel 2011 è attesa un’accelerazione fino all’1,6% (cfr. tavola A).
Rispetto all’Area Euro la performance cumulata dell’Italia, nel triennio 2009-11, sarebbe
inferiore di circa 1,5 punti percentuali.
26. I risultati del nostro esercizio di previsione prefigurano per l’anno in corso una contrazione
dei consumi delle famiglie in termini reali dell’1,7%, mentre per il biennio 2010-11 si prospetta
una ripresa che porterebbe il tasso di sviluppo all’1,4% in media nel 2011. Si tratta
nell’insieme di dinamiche che almeno fino a tutto il 2010 scontano, in un quadro di limitata
evoluzione del reddito disponibile reale, la riduzione della propensione al consumo. Come in
altri paesi industriali, Stati Uniti in testa, i consumi saranno inevitabilmente influenzati dagli
effetti ritardati del calo della ricchezza finanziaria e dal tendenziale processo di ricostituzione,
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
attraverso l’aumento della propensione al risparmio, del rapporto di lungo periodo tra ricchezza
e reddito disponibile.
Relativamente ai consumi pubblici si sconta uno scenario di crescita per quest’anno (+1,6%),
un rallentamento nel 2010 (+0,3%) e una restrizione nell’ultimo anno di previsione (-0,2%).
27. Per quanto riguarda gli investimenti, le attese sono per una flessione del 12,3% nell’anno
in corso, guidata soprattutto dalla dinamica negativa degli investimenti in macchinari e
attrezzature. Per il successivo biennio si prevede una ripresa degli investimenti, sia nella
componente costruzioni che in quella macchinari, con tassi di crescita rispettivamente dello 0,2
e del 2,5%.
28. Il tasso di disoccupazione, in aumento già nel 2008 (6,8% su media annua), è continuato
a salire nel corso del 2009 (8% a ottobre). Come previsto, la recessione economica sta dunque
incominciando ad influenzare significativamente e negativamente anche il mercato del lavoro,
anche se con un’intensità inferiore rispetto a quanto atteso e soprattutto con una minore
incidenza rispetto agli altri paesi europei. Tra i fattori che spiegano questo risultato vi è da un
lato la crescente diffusione del ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni, che evita ai lavoratori
di essere computati tra i non impiegati, nonché la strategia di molte PMI che preferiscono non
perdere le competenze professionali acquisite e tendono quindi a mantenere, per il possibile, la
loro forza lavoro. Stimiamo che il tasso di disoccupazione cresca al 7,6% nel 2009 e fino
all’8,6% nel 2010-11.
L’inflazione
29. Per quanto riguarda i prezzi, anche l’inflazione osservata negli ultimi mesi sembra
segnalare l’avvio di un’inversione di tendenza dopo i livelli minimi toccati nel luglio del 2009
(-0,1% a/a). La lieve ripresa della domanda, unita al venir meno del’effetto base che aveva
spinto verso il basso fino alla scorsa estate la variazione dell’indice dei prezzi, ha causato negli
ultimi mesi una leggera risalita del tasso d’inflazione. Va segnalato, comunque, che sia
nell’Area euro che, in misura maggiore, negli Stati Uniti, si è ancora in presenza di fenomeni
deflazionistici. In Italia, invece la variazione su base annua dell’indice generale dei prezzi al
consumo si è attesta, secondo gli ultimi dati disponibili, su valori positivi (+0,7% a novembre
secondo gli ultimi dati Istat). L’avvio della ripresa economica e la crescita delle quotazioni
petrolifere dovrebbero indurre ulteriormente la crescita dell’inflazione, che comunque, come
detto in precedenza, verrebbe contrastata dalle Banche Centrali nel timore che l’ingente
liquidità immessa sui mercati in questo periodo possa far perdere il controllo sulla stabilità dei
prezzi nel medio termine.
Per l’Italia, le attese sull’inflazione vedono un tasso allo 0,8% nell’anno in corso, per poi
crescere all’1,6 e all’1,9% nel biennio successivo. Ad incidere su tale crescita saranno
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
soprattutto i prodotti più volatili: la core inflation è infatti attesa in aumento, ma solo dall’1,7%
del 2009 al 2,1% del 2011.
La politica di bilancio
30. I dati relativi agli andamenti congiunturali della nostra finanza pubblica non ci offrono
notizie del tutto confortanti. I dati di cassa del settore statale evidenziano come il fabbisogno
cumulato dei primi undici mesi dell’anno in corso sia cresciuto a 88,4 miliardi dai 56,2 registrati
nello stesso periodo del 2008.
31. Per quanto riguarda le prospettive, il quadro di finanza pubblica che fuoriesce dall’esercizio
di previsione del Centro Studi e Ricerche ABI e degli Uffici Studi delle principali banche italiane
sconta tutte le difficoltà connesse all’attuale ciclo economico recessivo e non si distanzia
significativamente, per quanto riguarda il 2009, da quanto previsto in precedenza. Una ripresa
economica per il prossimo biennio migliore di quanto preventivato dovrebbe invece fornire uno
scenario di finanza pubblica lievemente meno cupo per il 2010-2011. Per l’anno in corso si
prospetta un rapporto deficit/Pil pari al 5,3% (2,7 per cento nel 2007); la moderata ripresa
economica prevista per il prossimo anno consentirà, secondo l’esercizio, di mettere a segno
risultati di finanza pubblica poco migliori nel 2010: prevediamo, infatti, che, sempre in termini
di Pil, l’indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni passi al 5,1%, per poi mostrare
invece un miglioramento più consistente nel corso del 2011 (4,6%). Il peggioramento del
disavanzo continua a riflettere quasi per intero la dinamica del saldo primario: quello a cui si
assiste è l’inversione di segno di questo importante indicatore, con il passaggio da un avanzo
pari al 2,4 per cento del Pil nel 2008 ad un disavanzo dello 0,4 per cento nel 2009; si
tornerebbe al segno + nel 2011 con uno 0,5 per cento di Pil. Il peso degli interessi sul
prodotto, che nel 2008 è stato stati pari al 5,1 per cento, dovrebbe infatti scendere nel 2009
(4,9%) e crescere (solo leggermente) nel prossimo biennio (al 5 e al 5,1 per cento
rispettivamente nel 2010 e nel 2011) a riflesso di una spinta verso l’alto che, in corrispondenza
con la ripresa ciclica, si determinerebbe anche sul fronte dei tassi di interesse a breve termine.
32. Il deterioramento dal saldo primario si determina in un quadro di lieve crescita della
pressione fiscale e contributiva (il rapporto tra totale entrate e Pil passa dal 46,6 al 47,1 per
cento nel 2009, al 47,3% nel 2010 e al 47,5% nel 2011) e di crescita significativa delle spese
al netto degli interessi (dal 44,1 per cento nel 2008 al 47,5 per cento nel 2009 e al 47 per
cento a fine periodo).
33. Valutiamo che possono essere imputati all’andamento del ciclo economico circa 1,6 punti
del rapporto deficit/Pil nel 2009 e nel 2010 e 1,2 punti nel 2011: ne deriva che l’indebitamento
netto delle Pubbliche amministrazioni depurato dall’effetto del ciclo dovrebbe risultare pari al
3,6% nel 2009 (era il 3,3% nel 2008) e scendere poi gradualmente al 3,4% nell’ultimo anno di
previsione. L’indebitamento “strutturale”, valutato cioè non soltanto al netto dell’effetto ciclico
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
ma anche degli effetti di entrate e spese non permanenti (stimate come nei documenti
ufficiali), passerebbe dal 3,5 per cento del 2008 al 3,8% nel 2009 per poi tornare al 3,3%
nell’ultimo anno di previsione.
34. Dentro il quadro sin qui descritto, il rapporto debito/Pil sale al 114,5% nel 2009 (105,7%
nel 2008) e poi ancora al 117,3% nel 2010 e al 117,8% nel 2011. Alla lievitazione del debito
contribuiscono pure elementi residuali, ovvero quei fattori che incrementano il debito senza
incidere sull’indebitamento (partite finanziarie ed altro).
L’INDUSTRIA BANCARIA ITALIANA: ANDAMENTI E PROSPETTIVE
La congiuntura creditizia
35. La congiuntura creditizia in Italia continua ad evidenziare segnali moderatamente positivi.
Ad evidenza delle scarse tensioni presenti sul mercato del credito si può osservare che
l’indicatore di intensità creditizia, dato dal rapporto tra impieghi e Pil, è passato dal 110% del
terzo trimestre del 2008 al 114% dello stesso periodo del 2009.
36. Nel dettaglio settoriale, si osserva che gli impieghi bancari complessivamente erogati a
famiglie e imprese, secondo i dati più recenti, risultano ancora in lieve aumento su base annua
(+0,3%). Dal confronto con gli altri principali paesi europei si rileva che il credito al comparto
produttivo e a quello delle famiglie cresce più in Italia che in Francia, Germania e nell’intera
Area Euro. Da notare, ancor più, che sia in Germania che nel complesso dell’Area Euro si è
osservata di recente una contrazione degli impieghi complessivamente erogati.
37. Quanto alla disaggregazione tra famiglie e imprese, si osserva che il credito alle società
non finanziarie ha subito, nel mese di settembre, una prima battuta di arresto con un tasso di
variazione su base annua per la prima volta negativo, seppur di poco (-0,2%), e comunque
con una performance migliore rispetto a quella dell’Area Euro (-0,4%). La minor domanda di
credito, soprattutto nel caso in cui questo sia destinato ad investimenti, sembrerebbe essere
alla base di questo risultato. Infatti, in base alla Bank Lending Survey, realizzata dalle Banche
Centrali nazionali del Sebc in collaborazione con la BCE, emerge che l’esigenza di fondi per
investimenti fissi abbia segnato in Italia, ancora nel terzo trimestre dell’anno in corso, un saldo
percentuale negativo pari al -37,5%, (-37,5% anche nel terzo trimestre del 2008 e -50% nel
secondo trimestre del 2009, dopo aver toccato il punto di minimo nel primo trimestre del
2009). Stessa dinamica si riscontra con riguardo alla domanda di finanziamenti per scorte e
capitale circolante, mentre risulta rilevante solamente la richiesta di prestiti a fini di
ristrutturazione del debito. Il credito alle famiglie risulta invece crescere a tassi che possono
essere considerati sostenuti, soprattutto se confrontati con quelli degli altri paesi europei
(+3,6% in Italia contro l’1,8% della Francia, lo 0,1% della Germania e il -0,2% dell’Area Euro).
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
38. Dalla scomposizione per durata dei finanziamenti, si osserva in Italia una forte
ricomposizione del credito che, stante l’attuale periodo di crisi, spinge imprese e famiglie ad
aumentare la durata media del proprio indebitamento. Secondo i dati più recenti, infatti, il
credito a breve termine ha subito una contrazione del 3,8%, mentre il credito a protratta
scadenza continua a mostrare una tendenza positiva (+2%).
Il dibattito sul credit crunch
39. La crisi finanziaria ed una tra le più severe recessioni conosciute nella storia economica
recente hanno spinto il mondo intero ad interrogarsi sul rischio che il processo di deleveraging
delle banche e il rapido deterioramento delle condizioni reddituali di famiglie e imprese potesse
generare un credit crunch, con conseguenti ulteriori risvolti avversi sull’attività produttiva
mondiale. Il dibattito ha interessato anche il nostro Paese e - in un contesto di effettivo
rallentamento degli impieghi bancari alle imprese e di forte presenza di PMI molto dipendenti
da fonti esterne di finanziamento - ha significativamente coinvolto analisti, governo e
soprattutto parti sociali e rappresentanze di impresa.
40. Secondo le definizioni disponibili in letteratura il credit crunch rappresenta una
contrazione dell’offerta di credito (spostamento verso sinistra della curva) di eccessiva e
anomala ampiezza in rapporto all’andamento del ciclo economico. Sulla scorta della letteratura
economica disponibile, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), nel World Economic Outlook
dell’aprile 2008, definiva il credit crunch come una severa flessione nel tasso di crescita
dell’indice di intensità creditizia ossia del rapporto tra credito bancario e PIL nominale, più
ampia rispetto a quanto sperimentato storicamente nelle normali fasi negative del ciclo
economico e determinata principalmente dal lato dell’offerta (altrimenti si parlerebbe di credit
squeeze). Lo studio empirico del FMI mostrava che, sulla base dell’esperienza storica del
periodo 1970-2007, per l’Italia si può parlare di credit squeeze/crunch quando si è in presenza
di una riduzione tendenziale annua dell’indice di intensità creditizia almeno pari allo 0,6%, cioè
il valore corrispondente al più basso decile della distribuzione dei tassi di crescita registrati
dall’indicatore in questione nei quasi quaranta anni di storia esaminata.
41. Come spiegato in un recente lavoro del Centro Studi dell’ABI (“Temi di Economia e
Finanza”, numero 1, novembre 2009), pur in presenza di un forte rallentamento della dinamica
degli impieghi, gli sviluppi della congiuntura creditizia si sono mostrati nell’ultimo anno e
mezzo relativamente positivi se paragonati alla profonda caduta dell’attività economica. Nel
2008 e nel primo trimestre del 2009 il tasso di variazione annuo dell’intensità creditizia,
relativo al totale dei prestiti erogati al settore produttivo, ha registrato in Italia una riduzione
ma si è sempre mantenuto nettamente positivo (dal +9,1% del primo trimestre dello scorso
anno al +3,8% del secondo trimestre di quest’anno), e ben al di sopra tanto della soglia
individuata dal FMI quanto dal valore minimo registrato nel corso degli ultimi nove anni
(+1,4% a fine 2004). Nel corso della crisi economico-finanziaria dell’ultimo biennio la dinamica
del credito per unità di Pil è dunque risultata migliore rispetto a quanto evidenziato nelle
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
precedenti fasi cicliche negative attraversate dall’economia italiana a partire dal 1970: stante
la definizione del FMI, ciò porta ad escludere la presenza di un credit crunch o di un credit
squeeze: se è, infatti, indubitabile che la crescita del credito ha rallentato, una vera e
rilevantissima caduta ha contrassegnato l’economia e di conseguenza l’ammontare degli
impieghi in rapporto al complesso dell’output è aumentato anche in questa fase di recessione
economica. C’è da augurarsi che questo aumento sia stato sufficiente a supportare imprese
meritevoli, che potranno giocare un ruolo di rilievo nella fase di ripresa appena iniziata.
Dalle analisi presentate nel citato paper dell’ABI emerge come la domanda di credito tenda
storicamente a crescere all’aumentare del valore aggiunto del settore privato e a diminuire
all’aumentare del costo del credito e al crescere della capacità di autofinanziamento delle
imprese. Sulla base delle relazioni che si sono stabilite tra queste variabili nel periodo pre-crisi
(tra il secondo trimestre del 1998 e il secondo trimestre del 2007), è stato quindi stimato quale
sarebbe stato lo stock di credito, nel periodo di crisi, se le banche si fossero attenute in modo
rigido a quelle relazioni e viene poi confrontato tale valore “teorico” al valore effettivo. I
risultati dell’esercizio mostrano che nel nostro Paese, a partire dal terzo trimestre del 2007 –
cioè dall’inizio della crisi finanziaria – la consistenza dei prestiti è stata significativamente
superiore a quella “compatibile” con un contesto macroeconomico segnato da un eccezionale
deterioramento. Con l’aggravarsi della crisi la distanza tra credito effettivo e credito teorico è
andata crescendo fino a superare gli 80 miliardi di euro (una sorta di “extra-credito” pari ad
oltre il 10% dello stock dei prestiti). Tale delta viene interpretato come il frutto di uno
spostamento verso destra della curva di offerta di credito, non verso sinistra come sarebbe
dovuto accadere in caso di credit crunch. A parità di altri fattori e in rapporto alle difficili
condizioni di contesto, l’accresciuta propensione a dare credito deve essere interpretata come
una maggior presa in conto, da parte dell’industria bancaria, di tutti quegli aspetti - diversi da
quelli tradizionali - che tendono a valorizzare le relazioni di medio/lungo termine con la
clientela (maggiore considerazione del reddito prospettico dell’impresa, relazione personale e
duratura con gli imprenditori, ecc.).
Le previsioni
42. L’esercizio di previsione condotto dal Centro Studi e Ricerche dell’ABI e dal Panel degli
Uffici Studi delle principali banche prende le mosse dagli sviluppi congiunturali fin qui descritti
e prefigura, per l’anno in corso, una continuazione delle tendenze in atto più sopra
commentate: a fine anno i prestiti complessivi a residenti dovrebbero risultare in aumento del
3,6% (7,5% nel 2008), mentre una lieve accelerazione è prevista per il biennio 2010-11
(+5,3/5,6%). Se si considera la componente più importante dei prestiti ai settori diversi dalle
istituzioni monetarie e finanziarie, ovvero quelli erogati a famiglie ed imprese, si vede che il
tasso di crescita è previsto mantenersi sullo 0,5% nell’anno in corso e crescere al 3,4% nel
2010 ed al 4,3% alla fine del periodo di previsione. Su tutto l’arco previsionale sarebbero più
vivaci i prestiti oltre 1 anno, che risulterebbero in crescita del 2,5% nel 2009 e del 4,5% circa
nel successivo biennio, mentre quelli a breve dovrebbero chiudere l’anno in corso, sull’onda
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
della dinamica fin qui registrata, con una flessione del 4,1%, per poi recuperare gradualmente
nel 2010 e nel 2011.
43. Il credito alle famiglie è atteso crescere del 3,5% nell’anno in corso, trainato soprattutto
dai mutui per l’acquisto di abitazioni (+4,2%) che nonostante le incerte condizioni del mercato
immobiliare dovrebbero tornare a crescere già a partire dal 2009 (-0,5% nel 2008). La scarsa
vivacità dei consumi porterebbe, invece, ad una sostanziale stabilità del credito al consumo.
Per il biennio 2010-11 le attese sono per un consolidamento della crescita dei finanziamenti
alle famiglie - in cui anche il credito al consumo tornerebbe ad offrire un importante contributo
- che dovrebbero crescere del 4,7 e del 6% rispettivamente.
44. Per quanto attiene alle imprese non finanziarie, le previsioni per il 2009 sono per una
flessione di poco superiore all’1% dovuta essenzialmente al crollo degli investimenti (-12,3% il
loro valore atteso, in termini nominali, nell’anno in corso). Già a partire dalla prima metà del
2010 è prevista, comunque, un’inversione di tendenza che dovrebbe portare i crediti alle
imprese a crescere del 2,6% nel prossimo anno e del 3,2% nel 2011.
45. Per quel che riguarda il lato del passivo, i depositi di residenti, che rappresentano circa il
50% delle passività complessive nell’accezione in cui vi si includono anche i depositi
interbancari, dopo essere cresciuti del 13% nel 2008 dovrebbero aumentare intorno al 6%
circa nel 2009, del 5,3% nel 2010 e del 7,5% alla fine del periodo di previsione. Dinamica
analoga dovrebbero avere i depositi diversi da quelli interbancari, mentre la componente
principale di quest’ultimo aggregato, ossia i conti correnti e gli altri depositi in euro, è prevista
una crescita del 10,5% nel 2009, del 3,6% il prossimo anno e del 6,5% nel 2011. Vivace,
seppur in rallentamento rispetto ai valori del 2008, il tasso di incremento delle obbligazioni:
+14,5% nel 2009 con tassi di incremento via via meno consistenti e fino al +7,7% nel 2011.
Per quanto riguarda, infine, la raccolta sull’estero, l’esercizio di previsione prospetta una
situazione in cui la flessione già sperimentata nel 2008 (-7,3%) continui nel 2009, pur a ritmi
meno intensi (-3,2%). Nel 2010 si tornerebbe ad una lievissima crescita (+0,7%), che si
consoliderebbe nel 2011.
46. Merita sottolineatura il fatto che la severità della recessione sta imprimendo una forte e
preoccupante spinta al rialzo alle sofferenze bancarie: prevediamo che, al netto delle
svalutazioni, esse segneranno una crescita del 34,4% nel 2009, del 27% circa nel 2010 e del
9% nel 2011. Valutate in rapporto agli impieghi, le sofferenze nette evidenzierebbero un
progressivo e graduale peggioramento fino a segnare il 2,1% nell’ultimo anno della previsione,
un valore di quasi un punto percentuale più alto di quello osservato nel 2008 (1,2%).
47. Se l’evoluzione delle quantità è quella fin qui delineata, i “prezzi” degli impieghi e dei
depositi e delle altre attività e passività creditizie saranno naturalmente condizionati dai
comportamenti della Banca Centrale Europea sui quali abbiamo più sopra commentato. Dentro
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
il quadro di ipotesi del tasso di policy e in uno scenario che sconta la progressiva
normalizzazione nel funzionamento della trasmissione della politica monetaria al settore
produttivo, si deve tener conto che, nel medio periodo, un ulteriore modesto effetto restrittivo
potrebbe provenire dal riapparire di un (contenuto) differenziale positivo tra tassi di interesse a
breve di mercato e tassi di policy. Dovrebbe agire invece nel verso di contenere la dinamica del
costo degli impieghi il restringimento del differenziale tra tasso interbancario non garantito
(Euribor) e quello garantito (Eurepo), che dovrebbe tendere a stabilizzarsi su un valore di circa
20 basis point, un valore ben inferiore rispetto ai massimi registrati all’apice della crisi
finanziaria, ma comunque superiore al valore medio osservato prima del turmoil. Nello
specifico, il livello medio annuo il tasso Euribor a 3 mesi è atteso collocarsi all’1,2% nell’anno
in corso, all’1,5% nel 2010 e al 2,5% nel 2011. Ciò implica che lo spread medio annuo rispetto
al tasso di policy dovrebbe attestarsi intorno ai 30 punti base, un valore comunque superiore
rispetto ai dati pre-crisi.
In un tale contesto stimiamo che lo spread tra tassi medi sugli impieghi e sulla raccolta
(depositi e obbligazioni), pari a 3,2 punti percentuali nel 2008, fletterà al 2,5% nel corrente
anno, per poi crescere, solo leggermente, fino al 2,7% dell’ultimo anno di previsione.
48. Il combinato disposto delle tendenze sulle quantità e di quelle sui prezzi genera
prospettive sui conti che se da un lato spingono a sottolinearne la tenuta dall’altro evidenziano
la necessità di politiche future molto accorte sia dal lato dei ricavi che dei costi. Per quel che
riguarda i numeri, dopo una riduzione del 54% nel 2008, l’utile netto delle banche dovrebbe
segnare nell’anno in corso un sostanziale dimezzamento (-45,6%); per il 2010 si prospetta
invece un’inversione di tendenza con una crescita dell’8,6%. Il definitivo superamento della
fase critica è previsto per il 2011, quando si potrebbe avere un rimbalzo grazie al quale l’utile
netto dovrebbe riportarsi su un livello pressoché identico a quello registrato nel 2008. Dentro
un tale quadro, il Return on Equity, passerebbe dal 4,4% nel 2008 al 2,4% nel 2009-10,
rispettivamente, mentre riprenderebbe la salita fermandosi però al 3,6% nel 2011.
49. I risultati appena evidenziati – che scontano naturalmente la legislazione vigente – sono il
frutto di dinamiche differenziate delle diverse poste dei ricavi e dei costi. Per il margine di
interesse si stima che il 2009 vedrà una contrazione del 5,6%. Il margine di interesse
riprenderebbe a crescere, dell’1,3 e del 5,3% rispettivamente nel 2010 e 2011. Gli altri ricavi
netti sono invece attesi in ripresa già a partire da quest’anno del 5,9%, crescita che verrebbe
sostanzialmente confermata anche nel 2010 e che poi accelererebbe a quasi il 9% nel 2011.
Tale dinamica sarebbe guidata essenzialmente dai ricavi da negoziazione, in crescita grazie alla
migliore intonazione dei mercati finanziari, e quelli da servizi, favoriti dalla ripresa economica.
Per il margine di intermediazione, che nel 2008 ha registrato una flessione del 7,7%, si
prospetta un ulteriore calo dello 0,8% per il 2009, una ripresa del 3,6% nel 2010 e nell’ordine
del 7% alla fine dell’orizzonte di previsione.
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
50. Tassi di crescita più pronunciati dovrebbero connotare il risultato lordo di gestione (-0,4%
quest’anno e poi +7,3% e +13,9% rispettivamente nel 2010 e 2011) grazie ad una dinamica
dei costi operativi che, stante il contesto generale non brillante, dovrebbe risultare
relativamente contenuta (-1% nel 2009, +1,4% nel 2010 e +2,7% nel 2011).
51. Rettifiche ed accantonamenti, dopo la forte accelerazione registrata nel 2008 (+74,1%)
sono attese ancora in aumento ma con un profilo di crescita più contenuto: rispetto al totale
attivo tale aggregato dovrebbe attestarsi allo 0,61/0,62% nel biennio 2009-2010 per poi
flettere leggermente nel 2011. Particolarmente importante sarebbe il contributo derivante dalle
rettifiche su crediti che alla fine del periodo di previsione dovrebbero quasi raddoppiare la loro
consistenza attestandosi a circa 19 miliardi di euro. Ovviamente tale dinamica risente delle
avverse condizioni macroeconomiche che indurranno le banche italiane ad avere un
atteggiamento particolarmente prudente sul fronte della gestione del loro portafoglio crediti.
LA RIPRESA È DURATURA O CI SONO RISCHI NEL LUNGO TERMINE?
52. Dal quadro macroeconomico congiunturale e previsionale illustrato sopra illustrato emerge
chiaramente che il contesto nel prossimo triennio è atteso orientarsi verso una ripresa
dell’attività economica nazionale e, soprattutto, internazionale. Ma tale ripresa può considerarsi
duratura, oppure i fattori di debolezza che hanno scatenato la crisi finanziaria internazionale,
prima, e la recessione globale, dopo, potrebbero tornare a mordere in un prossimo futuro?
Per rispondere a questa domanda è utile valutare a che punto sono alcuni dei grandi squilibri
internazionali e se questi siano indirizzati verso una normalizzazione.
Al riguardo, lo squilibrio delle partite correnti statunitensi è uno dei campanelli di allarme da
monitorare con maggiore attenzione. In base alle ultime informazioni disponibili, si rileva un
netto miglioramento del deficit di parte corrente Usa che dai 5,2 punti percentuali di Pil di metà
2008 si è portato sui 2,7 punti di giugno 2009. Specularmene si è ridotto anche l’avanzo della
Cina, a riflesso del rallentamento dell’intera economia globale, mentre va notato come si è
avuto anche un peggioramento del saldo dell’Area euro che da positivo si è portato su valori
negativi. Il miglioramento del saldo americano sembra quindi aver beneficiato della recessione,
attraverso il rallentamento dei consumi delle famiglie, ma anche dell’apprezzamento dell’euro
nei confronti del dollaro. Se quindi va interpretato positivamente il rientro dello squilibrio Usa,
desta qualche preoccupazione il fatto che tale miglioramento sia avvenuto, almeno in parte, a
spese dell’Area euro.
53. Fattore da valutare con molta attenzione è poi quello relativo all’andamento
dell’indebitamento pubblico e privato negli Usa e nell’Area euro. Sul primo piano, gli interventi
statali di salvataggio delle istituzioni finanziarie coinvolte nella crisi hanno incrementato
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
notevolmente l’indebitamento, che sia negli Usa che nell’Area euro è aumentato di circa 10
punti di Pil nell’arco di un anno portandosi, rispettivamente, al 60% e all’80% circa.
Dal lato dell’indebitamento privato, si rileva invece una situazione ben più critica per le famiglie
statunitensi, con un rapporto debito/Pil di poco inferiore al 100%, mentre per quelle europee
tale rapporto si aggira sui 70 punti percentuali. L’eccesso di indebitamento accumulato nel
tempo dalle famiglie costituisce, da un lato, un freno alla crescita, in quanto il debito contratto
ha permesso di anticipare i consumi che altrimenti sarebbero stati effettuati più avanti nel
tempo, e, dall’altro, determinare un fattore di criticità per la stabilità finanziaria. Infatti, una
potenziale crescita dei default delle famiglie costituirebbe, oltre che un problema sociale molto
rilevante, anche un grave problema per i già stressati bilanci delle banche americane. Al
riguardo va segnalato che il tasso di default sui mutui immobiliari è stato pari, nel secondo
trimestre dell’anno in corso, al 9,2%, in crescita rispetto all’9,1% del trimestre precedente e al
6,4% di un anno fa. La stessa dinamica crescente si rileva anche per il segmento dei mutui
subprime, il cui tasso di default ha superato il 25% nel primo semestre del 2009.
Al riguardo, gli ultimi dati di contabilità nazionale degli Usa possono paradossalmente essere
interpretati non proprio positivamente. Se, infatti, la ripresa del Pil è un fenomeno che va visto
con favore, il fatto che tale ripresa sia passata essenzialmente attraverso l’incremento dei
consumi privati, soprattutto di beni durevoli, può essere considerato con una certa criticità.
Infatti, per far sì che la crescita degli Usa sia duratura è importante che tale paese riveda il suo
modello di business privilegiando di più le esportazioni e puntando ad accumulare risparmio.
54. Per riconvertire la struttura produttiva statunitense è fondamentale che siano gli
investimenti a ripartire, soprattutto quelli in ricerca e sviluppo. Infatti, uno shock tecnologico
importante, quale potrebbe derivare, ad esempio, dalla Green Economy, permetterebbe alle
imprese statunitensi di riaffacciarsi sui mercati internazionali con un ritrovato vigore. Ciò,
inoltre, permetterebbe di riassorbire nel mercato del lavoro i molti disoccupati che altrimenti
rischierebbero di esserne tagliati definitivamente fuori in quanto la loro manodopera potrebbe
essere sostituita da quella a più basso costo dei paesi emergenti; in tal modo sarebbero i
lavoratori dell’economie avanzate ad assorbire lo shock di offerta avutosi nei paesi asiatici.
La riconversione statunitense probabilmente non sarebbe sufficiente a garantire che l’economia
globale si reindirizzi verso un profilo di crescita stabile e duraturo, in cui viga il binomio
crescita-risparmio e non quello crescita-debito. E’ infatti necessario che anche l’altra economia
portatrice di squilibri, cioè la Cina, riveda la sua struttura produttiva, incentivando la spesa
interna anche attraverso la rivalutazione dello yuan. Il rischio, infatti, che gli squilibri americani
si traslino sull’altra importante area economica, cioè l’Area Euro, è molto elevato e il
peggioramento delle partite correnti di quest’ultima potrebbe essere un primo sintomo di
questa tendenza.
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
Nel caso in cui, invece, gli Stati Uniti continuino a far trainare la loro crescita dai consumi
domestici è da attendersi che nel futuro ci potranno essere serie ricadute sull’economia
globale. Allo stato attuale, infatti, per mantenere il loro stile di vita le famiglie americane
saranno probabilmente costrette ad indebitarsi ulteriormente, e con esse anche il Governo
stesso nell’obiettivo di garantire un livello minimo di stato sociale. A lungo andare tale
situazione potrebbe sfociare in una crisi del debito pubblico statunitense, con riflessi
internazionali difficilmente quantificabili.
55. Determinante nel garantire la stabilità economica-finanziaria nel medio-lungo termine
saranno poi le exit strategies. Gli interventi di sostegno ai mercati finanziari e i pacchetti di
stimolo all’economia reale hanno infatti seriamente deteriorato i bilanci pubblici di molti Stati.
Per ciò che concerne la politica monetaria, per fronteggiare la crisi le maggiori Banche centrali
hanno utilizzato sia la riduzione dei tassi di policy (misure convenzionali) sia immissioni
straordinarie di liquidità e acquisti di titoli obbligazionari privati (misure non-convenzionali). Di
conseguenza, le opzioni attualmente a disposizione, per ritornare all’applicazione di politiche
monetarie più ortodosse e che guardino soprattutto alla stabilità dei prezzi nel medio-lungo
termine, vanno da un estremo di utilizzare solo la leva dei tassi, all’estremo opposto di ridurre
gli attivi delle Banche centrali. In particolare, la Bank of England ha dichiarato che, quando il
raggiungimento del suo target di inflazione richiederà una riduzione dello stimolo monetario,
seguirà entrambe le strade: l’aumento dei tassi e la riduzione dell’attivo. Al contrario, la
Federal Reserve è intenzionata, quando ce ne sarà bisogno, a interrompere gli acquisti di titoli
privati e aumentare i tassi d’interesse; solo successivamente provvederà a ridurre il suo attivo.
La Bank of Japan non ha fornito indicazioni chiare sulla sua exit strategy, ma nel 2006, in una
situazione analoga, ha optato per una riduzione del bilancio e solo in seguito ha utilizzato
anche la leva dei tassi. Infine, la BCE non sembra aver stabilito una sequenza di azioni nella
sua exit strategy, ma solo una serie di linee guida che saranno rispettate, all’interno delle quali
rimarrà prioritario assicurare la stabilità dei prezzi nel medio periodo.
Oltre agli aspetti tecnici, l’attenzione degli operatori è rivolta al timing delle exit strategies. La
preoccupazione principale è che queste strategie siano utilizzate troppo presto, soffocando la
ripresa sul nascere. Tuttavia l’esperienza storica suggerisce che il rischio maggiore è una uscita
ritardata e lenta dallo stimolo monetario. In tal caso, si creerebbero le condizioni per l’inizio di
un’altra bolla speculativa, il cui scoppio non potrebbe essere attutito dalle finanze pubbliche
rese fragili dall’ultima crisi finanziaria.
56. In definitiva, se da un lato sembra oramai che l’economia mondiale sia indirizzata verso
una ripresa, non vanno comunque sottovalutate le pesanti eredità lasciate dalla crisi. Le
macerie prodotte dal terremoto economico-finanziario che tutto il mondo ha vissuto – e che in
alcune parti del globo ancora si fa sentire con scosse di assestamento, come nel caso della crisi
in Dubai – non sono state infatti interamente rimosse e, soprattutto, mancano ancora quelle
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AFO–Rapporto di previsione – Dicembre 2009
Sommario e conclusioni
regole internazionali necessarie per costruire strutture solide e durature. Questa è la sfida che
le autorità di politica economica e monetaria dovranno affrontare, sfida che la comunità
internazionale potrà vincere solo se verranno messi da parte i troppi nazionalismi e si
comincerà a ragionare su un ordine di natura sovranazionale.
57. Un’ultima notazione riguarda il legame tra le politiche economiche e regolamentari ed il
(ri)disegno dei sistemi bancari. Mentre in molte parti del mondo si pensa a come ridisegnare
l’industria bancaria e la propria missione, alla luce delle macerie prodotte dalla crisi, in Italia
possiamo permetterci di affrontare altri temi. Quando terremoti terribili sconvolgono vasti
territori ed abbattono in considerevole numero le costruzioni che su di essi insistono, non si
può non riconoscere alle strutture che resistono una particolare qualità. La crisi finanziaria che
abbiamo vissuto ha rappresentato un terremoto di inusitata magnitudo; non è interesse di
alcuno disconoscere che l’edificio bancario italiano ha retto, che le nostre banche hanno, come
poche altre, ben resistito. Hanno potuto resistere perché praticano un modello di business
tradizionale, imperniato sulla raccolta tramite depositi e obbligazioni e sui prestiti a famiglie ed
imprese. E’ un modello semplice: congeniale al nostro sistema produttivo, fatto in prevalenza
da imprese piccole e medie.
58. A queste imprese le banche stanno dedicando molta attenzione: i dati aggregati non
mettono in evidenza un credit crunch, anche se è evidente che in una fase congiunturale così
difficile un rallentamento del credito non si è potuto evitare; le tensioni nella liquidità delle
imprese, soprattutto di quelle sub-fornitrici di grandi gruppi o fornitrici della pubblica
amministrazione hanno fatto sì che la psicologia degli operatori percepisse una restrizione del
credito che i numeri non comprovano. Molte sono le iniziative che sono state intraprese
dall’industria bancaria per dare ossigeno alle realtà più deboli in un contesto in cui il merito di
credito ha avuto tendenza, in media, a ridursi marcatamente. Il modo migliore per scoraggiare
la ricerca da parte delle banche di profitti puramente finanziari e per sostenere quindi il
sistema delle imprese è, per il policy maker, incoraggiare questo modello con buone politiche
economiche e regolamentari. Esse devono oggi riguardare la tassazione differenziale delle
banche, in particolare quella connaturata al trattamento delle perdite su crediti e prevedere –
per quel che attiene ai nuovi requisiti di capitale – un trattamento legato al modello di
business.
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