6. L’efficienza informativa del mercato dei capitali
I prezzi espressi dal mercato rispecchiano il reale valore di una impresa?
Secondo Fama se le informazioni rilevanti per la definizione del prezzo di un titolo
sono quelle storiche sull’andamento degli stessi e quelle di pubblico dominio, allora
il mercato è efficiente da un punto di vista informativo, ossia i prezzi espressi dal
mercato rispecchiano il reale valore delle imprese e gli investitori non possono
ottenere dei profitti superiori a quelli attesi.
L’ipotesi di efficienza informativa è contestata da diversi autori che per sostenere le
proprie tesi evidenziano l’esistenza di diverse “anomalie”.
A tal riguardo:
PRIMA ANOMALIA: Partendo dal presupposto che se un mercato è efficiente da un
punto di vista informativo allora il prezzo di mercato di un'azienda coincide con il
valore attuale dei dividendi futuri della stessa, Schiller ha evidenziato attraverso
una analisi a ritroso che molte aziende hanno presentato in passato dei prezzi di
gran lunga diversi al valore attuale dei dividendi che le stesse sono state in grado di
generare successivamente.
prezzi
VA dividendi
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Se il mercato fosse efficiente dal punto di vista informativo non vi dovrebbe essere
nessuna differenza tra le due curve.
II° ANOMALIA: Uno studio americano ha dimostrato che le che le aziende che
presentano un price to earnings molto alto (dette aziende growth – ritornando
all’esempio precedente BG GROUP) rispetto alla media del mercato nell’arco di un
anno sono meno remunerative delle imprese con un price to earning basso ( dette
aziende value – ritornando all’esempio precedente Royal Dutch) sempre rispetto
allla media del mercato.
Ciò presuppone che le aziende con un price to earning basso in realtà siano state
sottovalutate dal mercato. Quando il mercato si accorgerà di ciò l’aumento della
domanda delle azioni value spingerà il prezzo delle stesse verso l'alto permettendo a
chi già detiene tali titoli di conseguire dei rendimenti superiori a quelli attesi.
Tale studio dimostra così l'esistenza di una regola che governa il mercato e che
permette di conseguire dei rendimenti superiori a quelli attesi. Ciò sarebbe
impossibile in un mercato dei capitali effiviente.
III° ANOMALIA: studiando l'andamento dei prezzi delle azioni di alcune azionde nei
3-5 anni precedenti s'è visto che:
- le imprese che hanno dei redditi molto inferiori rispetto alla media storica degli
stessi riescono successivamente a conseguire dei profitti migliori vedendo
aumentare il proprio valore;
- le aziende che registrano degli utili di gran lunga superiori alla media storica
degli stessi successivamente tendono a stabilizzarsi verso livelli di reddito più
bassi vedendo diminuire il proprio valore.
Quindi c'è un “ritorno al valore medio” dei titoli che permette, a chi è a conoscenza
di tali andamenti, di battere il mercato.
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6.1 Il modello FED (federal reserve)
L'esistenza delle precedenti anomalie hanno spinto la Federal Reserve verso l’inizio
degli anni ‘90 a cimentarsi in uno studio volto a verificare se e quando il mercato dei
capitali è efficiente da punto di vista informativo.
Gli studiosi della FED sono arrivati alla conclusione che un mercato valuta
correttamente i titoli quando il rapporto price to earnings (P/E) del mercato - ossia
di tutti titoli presenti nel mercato o che appartengono a un determinato indice - è
pari al reciproco dei tassi privi di rischio decennali, ossia dei titoli di Stato.
𝑃 1
=
𝐸 𝑖1
Dove:
i1 è il tasso decennale dei titoli di Stato
Normalmente si considera il price to earning di indici di mercato come lo S&P500 o il
MIB. In tali casi più lunga è la serie storica considerata tanto più l’indice di mercato
considerato ben approssima il moltiplicatore dell’intero mercato.
Dimostrazione del modello
supponendo che il mercato sia efficiente da un punto di vista informativo l'ipotesi
che si va a porre è che il prezzo dell'impresa espresso dal mercato rispecchi quello
che è il valore del capitale economico della stessa:
𝑃=𝑊
Ma a quanto è pari W?
Rifacendosi alla dottrina aziendalistiche italiana secondo la quale il valore del
capitale economico è pari all'attualizzazione dei flussi reddituali attesi e supponendo
per semplicità che:
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- l'impresa abbia durata tendente all'infinito, per cui:
- il reddito dell'impresa cresce a un tasso costante pari a “g” (Modello di gordon):
allora:
𝑊=
𝑅
𝐸
=
𝑖−𝑔 𝑖−𝑔
Dove:
R è pari a R0(1+g);
g è il tasso di crescita costante dell'impresa;
i è il tasso di congrua remunerazione.
Essendo P = W, per quanto si è detto precedentemente vale allora la seguente
identità:
𝑃=
𝐸
𝑖−𝑔
il tasso di congrua remunerazione in dottrina viene generalmente scomposto in due
parti:
𝑖 = 𝑖1 + 𝑖2
Dove:
- i1 è il tasso privo di rischio: due somme identiche, ma disponibili in tempi
differenti, hanno valori tanto più differenti quanto maggiore è il valore
riconosciuto alla risorsa tempo;
- i2 è il premio per il rischio (risk premium): il premio che un investitore richiede
per sostenere il rischio associato alla volatilità di un investimento. Per i fornitori
del capitale di credito rappresenta, quindi, il rischio che il debitore non sia in
grado di far fronte parzialmente o totalmente ai propri impegni. Per il
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proprietario dell’impresa rappresenta il rischio che l’azienda non sia in grado di
generare dividendi pari a quelli attesi. Tali rischio dipenderà, evidentemente, da
diverse variabili come: il grado di indebitamento dell’impresa; il rischio settore; il
rischio dimensionale; struttura dei costi dell’impresa.
Mentre i1 può essere desunto facilmente ed è uguale per tutte le imprese rimane il
problema di determinare i2 che, date le componenti che lo determinano, varierà da
impresa a impresa. Adottando il metodo del CAPM (vedremo dopo in che consiste):
𝑖2 = 𝛽 ∙ (𝑅𝑚 − 𝑖1 )
La differenza tra parentesi prende il nome di premio per il rischio di mercato ed è
pari alla differenza tra i rendimenti del mercato - considerato nella sua totalità - e il
tasso privo di rischio. In media in Italia questo premio oscilla tra il 4 e il 5%.
Sostituendo i valori così espressi si ottiene:
𝑃=
𝐸
𝐸
=
𝑖 − 𝑔 [𝑖1 + 𝛽 ∙ (𝑅𝑚 − 𝑖1 )] − 𝑔
Essendo per definizione il beta del mercato pari a 1 si ottiene:
𝑃=
𝐸
𝐸
𝐸
=
=
𝑖 − 𝑔 𝑖1 + 𝑅𝑚 − 𝑖1 − 𝑔 𝑅𝑚 − 𝑔
Dato che nel lungo periodo vale la relazione:
𝑔 = 𝑅𝑚 − 𝑖1
Si ottiene:
𝑃=
𝐸
𝐸
=
𝑖1 + 𝑔 − 𝑔 𝑖1
Essendo:
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𝑃=
𝐸
𝑖1
Si ottiene immediatamente:
𝑃 1
=
𝐸 𝑖1
Oppure:
𝐸
= 𝑖1
𝑃
Tali relazioni permettono di verificare se i prezzi di mercato delle aziende riflettono
il reale valore del capitale economico delle stesse.
Qualora tale uguaglianza non valga possiamo distinguere due diverse ipotesi:
𝑃
𝐸
𝑃
𝐸
>
<
1
𝑖1
1
𝑖1
il mercato sta sopravvalutando il valore delle imprese.
viceversa.
6.11 Limiti del modello FED
Il modello FED non vale quando non vi è un trend in crescita dell’inflazione. In un
momento come oggi dove il tassi di inflazione vanno al ribasso (fase deflattiva) la
validità del modello è minata dal fatto che, nel mercato azionario, la riduzione dei
prezzi contrae gli utili, nel mercato obbligazionario invece la diminuzione di i1 alza il
1
rapporto .
𝑖1
6.1.2 Applicazione del modello FED
Il price to earnings delo S&P500 (pacchetto formato dalle 500 imprese statunitensi a
maggiore capitalizzazione) al 16 aprile 2003 è pari a: 17,11. Quindi:
𝑃
= 17,11
( )
𝐸 500
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Nello stesso giorno i bond del tesoro americano a 10 anni erano quotati 3,26.
Quindi:
1
1
=
= 30,6
𝑖1 0,0326
essendo:
30,6 > 17,11
Il mercato azionario è sottovalutato rispetto a quello obbligazionario. Quindi le
aziende quel giorno sono state mediamente sottoquotate.
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Efficienza informativa dei mercati e modello FED