Oncologia Sperimentale di
laboratorio
IL PROCESSO METASTATICO
4° S. Beninati
Metastasi
• Per metàstasi si intende la disseminazione di
un processo evolutivo dalla sua sede di origine
ad altri organi dell'individuo. Le metastasi
possono avere natura infettiva (dunque,
metastasi settiche), ma più spesso con questo
termine si indicano le metastasi tumorali: in
questo caso, derivano dalla crescita di cellule
tumorali individuabili da alcune caratteristiche
tipiche del tessuto originario ma non del sito
di impianto.
• La capacità di dare metastasi è la principale
peculiarità che hanno i tumori maligni rispetto
ai tumori benigni, e sono quasi sempre
proprio le metastasi quelle che provocano la
morte dell'organismo, raramente il tumore
primitivo.
• Ciò è dovuto anche al fatto che le metastasi
sono formate da cellule molto più resistenti,
aggressive ed efficienti di quelle presenti nel
tumore primitivo.
• La gran parte delle neoplasie maligne si
accresce, invade i tessuti circostanti e si
dissemina nell’organismo ospite dando origine
ad altre formazioni neoplastiche, separate e
distanti dal tumore primario. Questo processo
è noto come metastatizzazione, e le
formazioni neoplastiche secondarie sono
dette metastasi .
Modalità di Diffusione
• Un tumore diffonde per diffusione continua o
locale oppure per propagazione a distanza.
Entrambe le modalità possono coesistere, ma la
seconda implica la presenza di discontinuità fra la
sede primitiva e i focolai secondari. Quindi le
neoplasie metastatizzano allorquando alcune
cellule neoplastiche abbandonano il sito di
origine e si diffondono nell’organismo attraverso i
canali preesistenti (vasi ematici e linfatici), gli
spazi connettivali e le grandi cavità.
Disseminazione per via ematica
• La disseminazione per via ematica è caratteristica di molti
sarcomi, di qualche carcinoma, del corioepitelioma e di
tumori che insorgono in distretti privi di vasi linfatici.
• Per la crescita metastatica è fondamentale il contributo
della rete vascolare formata da neoangiogenesi che
circonda il tessuto neoplastico e si spinge al suo interno.
• le pareti di questa rete vascolare sono strutturate male
(sono povere di periciti e di cellule muscolari lisce) e
relativamente permeabili, rappresentando quindi un facile
accesso al circolo ematico per cellule che rilasciano enzimi
proteolitici (metalloproteasi) in grado di lisare la membrana
basale periendoteliale.
endotelio
Le pareti capillari, a differenza di
quelle venose ed arteriose, non
sono costituite da tre tonache
concentriche, ma da un singolo
strato di cellule endoteliali appiattite
che poggia su una membrana
basale; la parete capillare è quindi
priva di fibre muscolari, elastiche e
fibrose. Questa peculiarità
morfologica ha lo scopo di facilitare
lo scambio di sostanze con il liquido
interstiziale. Molti capillari sono
associati a cellule, dette periciti, che
regolano la permeabilità
dell'endotelio, opponendosi a tali
passaggi; tanto maggiore è il
numero di periciti e tanto minore è la
permeabilità capillare.
Tumore primario
proliferazione
Ingresso nel circolo
Cellule
metastatiche
capillare
neutrofili
Migrazione transendoteliale
Tumore secondario
Angiogenesi
• La formazione di nuovi vasi comporta l’attivazione
di un processo proliferativo e differenziativo nelle
cellule endoteliali dei capillari dell’ospite, dai
quali originano gettoni cellulari solidi che
successivamente si canalizzano e si strutturano in
formazioni vasali più o meno regolari. Per
l’innesco e il mantenimento di questo processo è
necessario che una sottopopolazione delle cellule
neoplastiche del tumore primitivo assuma il
fenotipo angiogenico.
Angiogenesi
• Le cellule tumorali con questo fenotipo possono
attivare la secrezione di uno o più fattori positivi,
oppure mobilizzarli dalla matrice extracellulare o,
anche, reclutare cellule dell’ospite (come ad
esempio i macrofagi, i quali producono proprie
proteine angiogeniche).
• I fattori angiogenici più comunemente presenti
nei tumori sono il basic fibroblast growth factor
(bFGF) e il vascular endotelial growth factor
(VEGF).
Angiogenesi
• Dal punto di vista morfologico, la vascolarizzazione tumorale è
composta da vasi di tipo capillare e precapillare che originano dalle
venule dell’ospite.
• può assumere un aspetto periferico (vasi di maggior calibro che
circondano il focolaio e che inviano capillari verso il centro della
neoplasia), oppure un aspetto centrale (vaso centrale maggiore al
centro del tumore con ramificazioni alla periferia).
• Una volta penetrate all’interno di un vaso ematico, le cellule
neoplastiche circolano sotto forma di aggregati omotipici o
eterotipici (emboli neoplastici) e vengono intrappolate nei principali
distretti capillari, dove si arrestano, permeano gli endoteli e si
riversano nei tessuti extravascolari dando luogo alla formazione di
focolai metastatici.
Globuli rossi
tumore
sezione di un vaso sanguigno che irrora un
melanoma
• Sebbene alcune cellule neoplastiche possano
invadere i tessuti passivamente, cioè
attraverso un meccanismo di crescita ed
espansione cellulare, il ruolo principale
dell’invasione locale è giocato dalla motilità
cellulare: alcune cellule tumorali secernono
esse stesse fattori di motilità autocrini, ma in
generale il movimento è stimolato da fattori
esogeni paracrini solubili (chemiotattici) e
insolubili (aptotattici).
• Il numero delle cellule neoplastiche che si riversano nel
torrente circolatorio è di gran lunga superiore a quello
delle cellule in grado di formare focolai metastatici.
• La scarsa differenziazione (anaplasia) del tumore primario e
la presenza di fenomeni necrotici al suo interno sono le
caratteristiche che sembrano favorire maggiormente il
passaggio in circolo di emboli neoplastici.
• In ogni caso l’indice di mortalità tra le cellule neoplastiche
è molto elevato: di tutti gli elementi neoplastici che
penetrano nel torrente circolatorio, meno dello 0,01% è in
grado di dare luogo allo sviluppo di focolai metastatici.
Disseminazione per via linfatica
• La disseminazione per via linfatica è caratteristica
dei carcinomi, molti dei quali sintetizzano e
secernono fattori, come il VEGF-C e il VEGF-D, che
promuovono la formazione di nuovi capillari
(linfangiogenesi), o incrementano il diametro di
quelli esistenti, interagendo con specifici recettori
(VEGF-R3). Le cellule neoplastiche penetrano nei
vasi linfatici, ove assumono un aspetto a cordoni
solidi (permeazione) o ad aggregati cellulari
(embolizzazione), con meccanismi identici a quelli
adoperati per l’ingresso nel circolo ematico.
• La diffusione sotto forma di emboli è la
principale modalità di disseminazione dei
tumori primari nei linfonodi regionali e, via
via, lungo le altre stazioni linfatiche.
• Una volta che le cellule neoplastiche siano
giunte nei linfonodi regionali possono
verificarsi varie evenienze:
Linfonodi Sentinella
Disseminazione per via linfatica e/o ematica
Linfonodo regionale
• 1.
esse proliferano e sostituiscono
progressivamente le cellule linfoidi locali; il
flusso della linfa efferente viene quindi
circuitato o convogliato all’indietro
trascinando con sé le cellule neoplastiche nate
nel linfonodo, cellule che si vanno a
depositare in stazioni linfatiche situate più a
valle (il linfonodo regionale si comporta in
pratica da sorgente di ulteriori metastasi, le
metastasi secondarie)
• 2. le cellule neoplastiche muoiono in loco, o
in seguito a qualche deficienza metabolica o
per azione degli elementi immunocompetenti
presenti nel linfonodo;
• 3. le cellule neoplastiche sopravvivono nel
linfonodo, ma in uno stato di latenza, e non
generano metastasi secondarie.
Capsula linfonodale
• La tendenza al superamento più o meno precoce
della capsula linfonodale dipende essenzialmente
dall’istotipo, ma quando l’adenopatia supera la
dimensione di circa 5 cm la rottura capsulare con
estrinsecazione delle cellule tumorali è
praticamente costante per tutte le neoplasie.
• La funzione barriera dei linfonodi regionali è
quindi parziale e può essere ulteriormente
compromessa in seguito a procedimenti
diagnostici (linfoangiografia) o terapeutici
(irradiazione locale, trattamento con steroidi).
Disseminazione per contiguità
• La disseminazione per contiguità o per cavità non è
inconsueta:
• i carcinomi dello stomaco, del colon e dell’ovaio
possono metastatizzare in cavità peritoneale;
• i carcinomi della mammella, del polmone e
dell’esofago diffondono nella cavità pleurica e/o
pericardica;
• i tumori del plesso corioideo, gli ependimomi, i
pinealomi e i medulloblastomi possono diffondere
lungo la cavità cerebro-spinale, anche se la formazione
di metastasi al di fuori del sistema nervoso centrale è di
eccezionale riscontro.
Meccanismi del processo metastatico
• La composizione cellulare delle neoplasie
maligne è eterogenea e soltanto alcune cellule
tumorali sono in grado di formare metastasi.
• La comparsa di focolai metastatici è quindi il
risultato di un drastico processo di selezione
che interviene nelle varie tappe del processo
di disseminazione neoplastica:
Fasi del processo metastatico
•
•
•
•
•
invasività locale;
passaggio nel circolo ematico o linfatico;
arresto nel distretto capillare;
permeazione degli endoteli;
colonizzazione di tessuti eterotipici.
Fenotipo metastatico
• Le cellule che sono in grado di superare tutti i
passaggi elencati hanno il fenotipo metastatico e
costituiscono una sottopopolazione del tumore
primitivo emergente accanto ad altre
sottopopolazione di cellule incapaci di generare
metastasi (fenotipo non metastatico).
• La comparsa del fenotipo metastatico è un caso
particolare del processo di diversificazione
prodotto dall’instabilità genetica
• Infatti, malgrado l’origine monoclonale, ampiamente
accettata per la maggioranza dei tumori e le loro
metastasi, la popolazione neoplastica diviene
notevolmente eterogenea a causa di un’intrinseca
instabilità genetica delle sue cellule.
• Mentre fenotipicamente emergono le molteplici
proprietà cellulari necessarie per produrre metastasi in
molti tipi diversi di tumore, genotipicamente non
sembra esservi un singolo gene specifico (gene
metastatico) che regola tali proprietà in tutti i tumori.
• In ogni caso è certo che il fenotipo metastatico è
indipendente dal fenotipo tumorale e appare
verosimile che il processo metastatico venga
regolato mediante l’attivazione e/o la
disattivazione di molti geni specifici.
• Si ritiene che ogni fase della cascata metastatica
possa essere regolata da cambiamenti transitori o
permanenti a livello del DNA o RNA in geni
differenti, e differenti geni regolatori potrebbero
essere coinvolti nei diversi tipi di tumori.
Il gene KiSS-1
• Un gene umano anti-metastatico, il KiSS-1, è stato
recentemente localizzato nella regione
cromosomica 1q32-41.
• Esso codifica per una proteina, presumibilmente
coinvolta nella trasmissione di segnali di
membrana e/o nell’organizzazione delle strutture
citoscheletriche, che è presente nei melanociti
normali e nelle cellule di melanomi a basso
potenziale metastatico ed è invece assente nelle
cellule melanomiche invasive e metastatizzanti.
Meccanismi di difesa dell'ospite
• Le cellule tumorali, una volta penetrate nel circolo sanguigno,
ricevono un attacco da parte del sistema immunitario dell’ospite:
infatti solo un piccolissima parte delle cellule tumorali sopravvive ed
è in grado poi di creare tumori secondari.
• I possibili meccanismi di morte cellulare includono:
• stress meccanici in vasi sanguigni di piccolo calibro,
• cattiva nutrizione, tossicità dovuta agli elevati livelli di ossigeno nel
sangue,
• azione di cellule effettrici immunitarie specifiche o aspecifiche
come linfociti T, polimorfonucleati, macrofagi o cellule natural killer
(NK), le quali sembrano essere molto efficaci contro le cellule
tumorali veicolate dal sangue mentre mostrano un effetto limitato
contro cellule tumorali che hanno già formato piccoli focolai
metastatici.
Migrazione e crescita
• Una volta uscite dal torrente ematico, le
cellule neoplastiche isolate evidenziano un
fenomeno migratorio intraparenchimale che
le porta ad addossarsi al sistema arterioso
dell’ospite.
• La successiva evoluzione proliferativa
interessa una minoranza delle cellule migrate,
molte delle quali rimangono isolate.
• È verosimile che una quota di queste ultime sia
destinata a morire e che altre restino quiescenti
per periodi di tempo indeterminati.
• Le cellule neoplastiche che proliferano danno
luogo a localizzazioni microscopiche che si
dispongono a guisa di manicotto intorno ai vasi o
di sottile superficie tra i vasi contigui vicini.
• La maggior parte di tali formazioni, in assenza di
fenomeni angiogenici, raggiunge presto una
dimensione limite di qualche centinaio di micron
e cessa di crescere volumetricamente
Linfonodi
neoplasia con
diametro massimo
maggiore di 3 cm
linfonodi
neoplasia con diametro
massimo inferiore a 3 cm
regione peribronchiale
Control
psg5
(TG-overexpression)
Copyrigth “Lab. Biochim. Cell.” Univ. Tor Vergata
Copyrigth “Lab. Biochim. Cell.” Univ. Tor Vergata
Copyrigth “Lab. Biochim. Cell.” Univ. Tor Vergata
quiescenza clinica
• Un’analisi cinetica di queste micrometastasi
avascolari mette in evidenza la presenza di un
equilibrio dinamico in cui proliferazione e
morte cellulare per apoptosi sono equivalenti.
• Questo stato micrometastatico può essere
considerato di “quiescenza clinica”, essendo le
dimensioni interessate decisamente al di sotto
di quelle clinicamente significative.
Fattori di crescita
• La proliferazione delle singole cellule insediate
nell’organo bersaglio avviene in risposta a fattori
di crescita paracrini che possono essere espressi
in modo differente nei vari organi.
• Epidermal growth factor (EGF), IGF, growth factor
\beta (TGF-\beta) sono alcuni dei fattori
identificati.
• Vi sono anche elementi che suggeriscono l’ipotesi
che alcune neoplasie, soprattutto quelle con
maggior capacità metastatizzante, posseggano
meccanismi autocrini di sostegno della crescita.
neovascolarizzazione.
• Una piccola percentuale delle micrometastasi ,in cui
evidentemente vi sono cellule che esprimono il
fenotipo angiogenico, mostra il fenomeno della
neovascolarizzazione.
• Nel momento in cui nuovi vasi vengono creati dalla
proliferazione delle cellule endoteliali a partire dai vasi
dell’ospite, si registra una drastica riduzione della
apoptosi
• mentre la proliferazione prosegue a livelli pressoché
invariati, e la metastasi inizia a crescere per espansione
della popolazione neoplastica e di quella endoteliale
associata.
• Solo queste ultime metastasi raggiungono un livello
dimensionale clinicamente significativo.
• La selettività per specifiche sedi vascolari è legata:
• ai meccanismi di adesione alle pareti vasali,
• al tipo di enzimi degradativi prodotti dalla cellula
neoplastica e di enzimi inibitori presenti nel tessuto invaso,
• ai fattori chemiotattici e aptotattici che guidano
l’insediamento della singola cellula nei siti ottimali per la
proliferazione,
• ai fattori di crescita autocrini e paracrini e alla possibilità di
iniziare e mantenere il processo angiogenico.
Localizzazione delle metastasi
• Nel 1889 Paget formulò l’ipotesi del “terreno e seme”,
in cui egli postulò che possono verificarsi interazioni
differenziali cellula tumorale- organismo ospite, con
aspetti più o meno favorevoli allo sviluppo metastatico.
• Un’ipotesi alternativa è che la cosiddetta “organopreferenza” si possa spiegare sulla base di
considerazioni emodinamiche :
• il numero di metastasi che si sviluppano in un organo è
relativo al numero di cellule rilasciato all’organo dal
flusso ematico ed al numero di cellule che si arrestano
nei capillari.
Organi bersaglio
• Quindi per i tumori la cui rete vascolare drena
nel circolo venoso sistemico, l’organo di primo
passaggio dovrebbe essere il polmone;
• mentre per i tumori il cui drenaggio venoso
avviene nel sistema portale (tumori
gastrointestinali), questo dovrebbe essere il
fegato.
Sistema Portale
•
•
•
•
•
•
•
La vena Porta raccoglie circa l’80% del sangue
proveniente dagli organi addominali e lo conduce
al fegato, dove ne vengono estratte delle sostanze
dannose
Successivamente, il sangue così “ripulito”, viene
riversato nella circolazione sistemica attraverso la
vena cava.
• In ogni caso le metastasi, generalmente, compaiono a livello dei
linfonodi regionali o degli organi il cui letto capillare è il filtro dei
principali sistemi venosi:
• il polmone per il sistema delle cave, il fegato per quello portale.
• Alcune neoplasie, a causa della loro sede anatomica,
metastatizzano di preferenza in determinati distretti.
• Il carcinoma polmonare, ad esempio, forma frequentemente
metastasi cerebrali poiché le sue cellule invadono le vene
polmonari, raggiungendo il ventricolo sinistro e penetrano poi nelle
arterie carotidi;
• i carcinomi della mammella, invece metastatizzano
frequentemente in corrispondenza delle vertebre raggiunte
attraverso il plesso o sistema venoso di Batson
• L’organotropismo selettivo di alcune cellule metastatiche
potrebbe anche essere dovuto alla proprietà di queste
cellule di sopravvivere e di moltiplicarsi esclusivamente o
preferenzialmente in un dato distretto anatomico.
• Lo sviluppo di un focolaio metastatico richiede la
formazione di uno stroma di supporto, che deve essere
necessariamente costruito a spese della matrice
extracellulare dell’organo sede della colonizzazione
neoplastica.
• La composizione di questa matrice varia da tessuto a
tessuto: il polmone è ricco di collageno di tipo IV, laminina
ed elastina; il fegato di eparan solfato; l’encefalo di mielina
e di glicoproteine mielina-associate.
• È quindi possibile che la selettività d’impianto
delle metastasi di alcune neoplasie umane in
determinati organi sia in parte condizionata dal
tipo di enzimi idrolitici che la cellula metastatica è
in grado di sintetizzare e rilasciare nel mezzo
esterno, e dal tipo di molecole che la matrice
interstiziale esprime: se capaci o meno di fungere
da ligandi per le integrine neoplastiche
promuovendo (nel primo caso) o impedendo (nel
secondo) la sopravvivenza delle cellule
metastatiche.
Studio del processo metastatico
in vitro
Metastasi sperimentali
• E’ possibile riprodurre parte del processo
metastatico in vitro.
• In particolare l’adesione e la migrazione
possono essere studiate per mezzo di apparati
che mimano il processo stesso.
• La procedura utilizza le cosidette ”Camere di
Boyden”
Camere di Boyden
• La camera di Boyden è un contenitore di
pexiglass diviso in due scompartimenti da un
filtro con pori di sezione nota.
• La parte superiore agisce da contenitore del
mezzo di coltura contenente le cellule
tumorali da saggiare.
• La parte inferiore mima l’organo bersaglio e in
genere contiene un estratto di questo
CAMERA DI BOYDEN
Mezzo di colture con
cellule tumorali
Matrigel
filtro
Estratto d’organo
MATRIGEL
• Il filtro poroso è ricoperto da una miscela di
proteine contenute in un gel e mima la
membrana basale.
• Tale gel è denominato Matrigel
• Le cellule tumorali producono metalloproteasi
che proteolizzano il matrigel attraversando il
filtro e disponendosi nella parte inferiore di
esso.
COMPONENTI DEL MATRIGEL
•
•
•
•
Laminina
Collagene IV
Entactina
fattori di crescita
56 %
31 %
8%
5%
Analisi del filtro
• Dopo l’esperimento di metastasi, i filtri sono
rimossi e lavati per allontanare le cellule non
adese.
• I filtri sono quindi analizzati al MO e le cellule
adese nella parte inferiore contate con un
analizzatore d’immagine computerizzato.
• Tanto più alto sarà il numero di cellule che
hanno attraversato il filtro tanto più alto sarà il
potere metastatico delle celule esaminate
Control
48h
72hr
Dal numero di cellule del controllo
(non trattato con antineoplastico) e
delle cellule trattate si costruisce un
grafico dal quale si può evincere se
il farmaco possiede attività
antimetastatica
120
100
% invasion
80
60
Riduzione del 30%
40
Riduzione del 50%
20
0
Control
48h
72h
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4._IL_PROCESSO_METASTATICO - Università degli Studi di