Eugenio Montale
Spesso il male di vivere
Contesto
Testo
Livello metrico e
sistema delle rime
Rielaborazione
Personale
Tematiche
Livello
semantico
Livello
fonico
Area
lessicale
Sinalefe
Enjambement
Anafora
Spazio
e tempo
Male
Bene
Struttura spaziale
Struttura temporale
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Il testo
Spesso il male di vivere
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
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Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
4
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa,
5
era il cavallo stramazzato.
6
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
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Livello metrico e sistema delle rime
La struttura prevede due quartine:
strofe di quattro versi endecasillabi
(tranne l’ultimo verso che si compone di due settenari)
1
2
3
4
5
6
7
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A8
Sinalefe
indicata con il segno, è la fusione in un’unica
sillaba metrica della vocale finale di una parola
con la vocale iniziale della parola successiva,
con conseguente riduzione di una sillaba.
Es.: «erail rivo»
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Enjambement
o inarcatura o spezzatura verticale, indicata con la barra /,
si verifica quando la frase non termina con la fine del verso,
ma prosegue nel verso successivo.
Si crea una tensione tra la pausa di fine verso e la tendenza
ad accelerare la lettura per giungere alla fine della frase: ne
deriva una dilatazione del ritmo.
Es.:
« foglia / riarsa…»
« prodigio / che …»
« sonnolenza / del meriggio...»
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Anafora
consiste nella ripetizione di una o più parole
all’inizio di versi successivi.
Es.: «Era…
era…
era…»
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Tematiche
L’io-lirico parla in prima persona («ho incontrato», «Bene non seppi»), ma la sua esperienza
diventa generale, estensibile a tutta l’umanità: il male di vivere è un dato collettivo, ineliminabile
della condizione umana.
Questa accettazione di una situazione immodificabile presenta forti connotazioni di tipo
etico: l’uomo deve prendere atto di questa drammatica situazione e affrontare con coraggio
l’esperienza del male.
L’atteggiamento da adottare consiste nella «divina Indifferenza» e cioè nella presa di distacco,
nel non lasciarsi coinvolgere nei ritmi alienanti della vita, ma nel conservare un proprio distacco
metodico, il solo che possa consentire all’uomo di superare le miserie dei mala mundi e di volgere lo
sguardo verso l’alto alla ricerca di valori positivi: ma nel mondo laico di Montale la sola speranza è
quella stoica di una vita solitaria, spesa nell’ansiosa ricerca del «varco», della salvezza difficile da
conseguire.
I temi fondamentali della lirica possono essere così individuati:
il male di vivere è visto come progressivo «svuotamento» di risorse vitali, come dissonanza e
rovesciamento: acqua libera, foglia verde e cavallo vivo e forte si trasformano in penoso gorgoglio,
in foglia accartocciata e inaridita nel deserto dell’esistenza e nel cavallo che precipita
improvvisamente a terra (il «colpo» improvviso della sorte);
si può solo scampare al male, che rappresenta la condizione «istituzionale» dell’esistenza; è
una posizione «stoica» di distacco e di indifferenza, il rifiuto di lasciarsi coinvolgere
sentimentalmente nella pena esistenziale.
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Livello semantico
Male
il rivo strozzato
l’incartocciarsi della foglia
il cavallo stramazzato
Bene
la statua
la nuvola
il falco alto levato
Il testo montaliano è costruito sulla dicotomia
Male vs Bene,
voci poste in posizione strategica e che costituiscono le parole-chiave.
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Male
La prima quartina è incardinata su correlativi oggettivi
accomunati dal sema della negazione-privazione.
Il male è ineludibile negatività che impedisce, di fatto, alla
vita di manifestarsi appieno, la morte è implicita
nell’esistenza.
Ne deriva l’equivalenza vita = morte, tradotta nei motivi
dell’impedimento («il rivo che gorgoglia»),
dell’inaridimento (la foglia che si accartoccia, si
ripiega dolorosamente su se stessa)
e della fine improvvisa e violenta («il cavallo
stramazzato»).
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Bene
La dicotomia è resa evidente dalla funzione dei tre
corrispondenti correlativi oggettivi del Bene, simboli del
prodigio che schiude la divina Indifferenza (il miracolo,
impossibile ma tenacemente inseguito, cioè della speranza
di uno scampo contro l’invivibilità del vivere):
la sonnolenza della statua, che sta per torpore,
insensibilità,
la nuvola nella sua altezza e leggerezza,
e il falco nella sua solitudine che configura, nel
complesso, il tema dell’allontanamento dalla vita.
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Spazio e tempo
La dicotomia si espande anche in
un’opposizione di tipo spaziale e si
traduce nella formula
basso vs alto
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Struttura spaziale
I primi tre correlativi oggettivi[i]
«il rivo strozzato»,
«l’incartocciarsi della foglia »,
«il cavallo stramazzato »
sono tutti riferibili al basso, all’esperienza esistenziale: è il motivo
dell’ineludibile accettazione della drammaticità dell’esperienza umana, del
contatto fisico con i mala mundi, gli eventi che trasformano la vita in male.
Nella seconda quartina, al contrario, prevale il motivo dell’ascesa, del
distacco: tutti e tre i correlativi oggettivi
«la statua »,
«la nuvola »,
«il falco alto levato »
sono accomunati dall’idea del movimento verso l’alto.
[i] correlativo oggettivo: consistente in un oggetto che fa scattare un ricordo
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Struttura temporale
«Spesso il male di vivere ho incontrato»
Spesso, avverbio di tempo, si riferisce all’iteratività della condizione umana; ha la
funzione di connotare il sintagma fondamentale, «il male di vivere», posto in posizione
centrale, strategicamente rilevante.
Il tempo verbale tipico della lirica montaliana, l’imperfetto, con la sua iteratività
allude a una dimensione esistenziale: di qui la serie anaforica degli imperfetti, costruita
col verbo «era».
Il passato prossimo («ho incontrato») classifica l’accorato testo montaliano come
amaro «bilancio» di una dolorosa esistenza: la sua valenza durativa esprime il concetto,
tipico in Montale, della vita che lascia tracce indelebili, della vita che consuma (gli
uomini ridotti a «ossi di seppia»).
Il passato remoto «seppi» ha valore di esperienza acquisita: l’io-lirico ha saputo e
quindi «conosce» ora l’amara verità della propria situazione umana.
È chiaro il tempo dell’enunciazione: “Ossi di seppia” è la raccolta di cui fa parte
questa lirica e quindi “Spesso il male di vivere” rientra all’interno dell’amara
«diagnosi» della disarmonia e dell’inadeguatezza che rappresentano i temi portanti
della prima raccolta montaliana.
Il tempo dell’«avventura» diventa metafisico-esistenziale: i motivi di fondo che lo
percorrono si riferiscono a una dimensione concretamente storica, ma largamente
esistenziale; affrontano la crisi dell’uomo che vive nella società contemporanea,
proiettato nella più universale prospettiva dell’esistenza.
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Area lessicale
Le paroles sono raggruppabili in due grandi categorie:
Voci del lessico quotidiano
Voci del lessico «filosofico»
Per le prime si nota che i correlativi oggettivi esprimono riferimenti al mondo della realtà:
Rivo strozzato: l’aggettivazione connota l’idea di soffocamento proprio perché implica una
notazione semantica antropomorfica;
Gorgoglia: parola onomatopeica, in cui è l’implicazione semantica del lamento di una persona;
Foglia riarsa: voce onomatopeica (incartocciarsi) con il correlativo oggettivo che esplicita il
campo semantico dell’«arsura», della consunzione operata dai mala mundi.
Per le seconde si evince con chiarezza che:
Male di vivere è sintagma ormai classico che unisce in maniera indissolubile l’esistenza al
male;
La divina Indifferenza è l’«indifferenza», la presa di distanza dalle emozioni superficiali.
L’«indifferenza» si espande come leit-motiv nella statua insensibile nel sonnolento meriggio,
nella nuvola e nel falco che si staglia alto nel cielo: sono simboli filosofici che esprimono una
perplessa ricerca di allontanamento dal mondo del male. Leopardianamente, essa spinge
l’uomo a resistere ai colpi della misera sorte riservata a tutta l’umanità.
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Il livello fonico
• Anche le scelte linguistiche e retoriche sottolineano la radicale opposizione delle due quartine:
– nella prima sono presenti parole dal suono aspro (strozzato, gorgoglia, incartocciarsi,
stramazzato), evidenziate da fenomeni di consonanza (incartocciarsi, riarsa) e dalla rima
interna per giunta arricchita di fonemi aspri (incontrato, strozzato, stramazzato), sottolineate dalla
presenza di un‘anafora (era) e di un forte enjambement (foglia/ riarsa) che isola un aggettivo di
grande rilevanza tematica;
– nella seconda c'è una struttura discorsiva abbastanza simile che si conclude con un effetto di
maggiore musicalità grazie alla ripetizione della congiunzione "e" che lega le tre immagini
affidate a parole più dolci e fluide.
• Ricca presenza di fonemi raddoppiati o geminati del tipo: spesso, strozzato, incartocciarsi, cavallo,
stramazzato, geminazione che allude alla presenza ineludibile dei mala mundi: la vita dell’uomo è
connotata come sforzo, fatica, pena esistenziale.
• Vocalismo medio: mancano suoni decisamente cupi, si afferma, invece, un timbro medio che
privilegia vocali chiare (a) o medie (o), per esprimere il tono eroico che l’io-lirico usa, in relazione a
una vigorosa e serena accettazione del proprio destino che esclude qualsiasi dimensione di lamento.
• Significante: diffusa presenza di suoni aspri, dissonanti, funzionali all’espressione della tormentata
esperienza umana dell’io-lirico; ad esempio si nota la ricorrenza di
– sibilante (/s/, /z/): SpeSSo, riarSa, StramaZZato, Seppi, Schiude, Statua, SonnolenZa
– vibrante (/r/) e dentale (/t/), in forte allitterazione: eRa il Rivo sTRozzato, eRa l’incaRTocciaRsi, RiaRsa, eRa,
sTRamazzaTo.
– Assonanze: merIggIo / prodIgIo, fAlco, Alto levAto.
• Disseminazione del significante. Ricca la disseminazione di gruppi fonici: /AR/ e /RA/, /OR/ e /RO/.
Es.: riARsa, stRAmazzato, eRA; stROzzato, pROdigio, gORgoglia.
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Contesto
Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981), fu punto di
riferimento costante, poeta protagonista e figura centrale nel panorama
letterario del Novecento, le cui ragioni vanno cercate nella poetica del
negativo, nel diffuso disagio etico-esistenziale nei confronti del fascismo
e poi anche del comunismo e delle avanguardie. «La materia della mia
ispirazione – ha scritto nel ’51 – non poteva essere che “quella”
disarmonia» propria del mondo moderno.
Il mondo montaliano è un universo di sconfitta e disillusione.
L’incontro con il «male di vivere» è il punto d’inizio per riformulare
un’etica del risentimento stoico, opposto agli ottimismi idealistici e
pragmatistici, e della ricerca attenta del «varco» verso un mondo
possibile, autentico. Il soggettivismo metafisico montaliano si innesta
nella linea simbolista; individua negli oggetti l’equivalente di una
condizione soggettiva e si avvicina alla teoria di Eliot del correlativo
oggettivo, cercando la chiave per «far capire quel quid al quale le parole
sole non arrivano».
Di estrazione sociale borghese (famiglia di notai poi impegnata nel
commercio), cadetto di cinque figli, Eugenio soffrì di salute cagionevole
e il suo cursus studiorum (studi di ragioneria) fu certamente anomalo per
la sua carriera letteraria. Ma da buon autodidatta (come si legge nel
Quaderno del ’17, pubblicato nel 1983, nel quale si manifesta un giovane
dalla vita interiore ricca fino al tumulto, esigente di aprirsi in un
ambiente che non lo consente) si dedica a letture di poesia e di filosofia.
Nel 1925 pubblica “Ossi di seppia”; colpisce il linguaggio insolito,
marezzato di termini liguri, la secchezza di formule che a volte rischiano,
per la loro concisione, l’oscurità, ma la novità è presentata con metri e
ritmi tradizionali. Il titolo della raccolta descrive una vita morta e reietta
dalle onde sulle spiagge, oggetti prosciugati e disidratati, privi di palpito,
un’aridità interiore, una chiusa angoscia, il senso di un atroce «male di
vivere».
Nelle successive raccolte: Le occasioni, La bufera e altro, Satura
continua il suo esame di un mondo che avverte estraneo. Col passare
degli anni, il suo distacco si fa più acuto e rifiuta la civiltà industriale
perché in essa vede la morte dell’arte. Si rende conto che l’unica poesia
possibile è la poesia della propria assenza.
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La rielaborazione personale
La lirica montaliana, che risale al 1923, fa parte della raccolta «Ossi di seppia», esprime compiutamente, nel consueto e
caratteristico stile fortemente assertivo che è tipico di Montale, una dichiarazione di poetica che acquista un forte
spessore di carattere filosofico-morale.
Il poeta cerca di cogliere il «male di vivere», visto come ineludibile situazione esistenziale
La poesia è una sommessa ma fortemente assertiva enunciazione di un’esperienza che, partendo da una situazione
personale («ho incontrato», «Bene non seppi»), arriva a individuare i simboli, per lo più negativi, del disagio
esistenziale dell’uomo contemporaneo.
L’intenso testo montaliano si presenta, a prima vista, caratterizzato da cordiale colloquialità. L’io-lirico montaliano detta
la sua amara filosofia; la vita è un incontro sistematico (avverbio iniziale «spesso») col male, che viene identificato in
tre correlativi oggettivi:
«il rivo strozzato che gorgoglia», con chiaro riferimento alle difficoltà dell’esistenza costretta a un penoso gorgoglìo;
«l’incartocciarsi della foglia» che abbina alla gentilezza della foglia = uomo la crudele violenza dell’esistenza; il prefisso
in-, più raro della forma comune accartocciarsi, esprime con più forza l’idea del doloroso ripiegamento;
«il cavallo stramazzato», che chiude in climax o gradatio l’elenco dei correlativi oggettivi, con un significato di profonda
e irrimediabile violenza, determinata dal verbo, in participio, stramazzato.
Di contro i simboli del Bene sono visti in maniera nettamente meno pronunciata e si identificano con:
«la divina Indifferenza» con la maiuscola che riferisce questo stato di grazia, peraltro precario, a una dimensione divina,
non umana;
«la statua nella sonnolenza del meriggio», che implica uno stato di atonia, di disarmonia spirituale;
«la nuvola e il falco» che si libra nel cielo, con riferimento appunto a una dimensione spaziale che sovrasta quella
esistenziale dell’individuo.
Grazie all'indifferenza l'individuo può assumere un atteggiamento di insensibile immobilità, di lontananza che cancella la
coscienza del dolore.
Ma il male di vivere è anche l'incapacità dell'uomo di comunicare, è isolamento, frattura, vita strozzata. E' il male
dell'"essere", in quanto ci impedisce di avere delle certezze, di conoscere la realtà e noi stessi.
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