Unita’ didattica 3
“La storia
attraverso le
canzoni”
Nelle lunghe marce verso il fronte, nelle
attese estenuanti in trincea, nei rari
momenti di riposo nell’accampamento,
i soldati cantano. Non c’è stata guerra
o impresa militare, di qualsiasi
nazione, che non abbia visto fiorire, tra
i lutti e le macerie, i suoi canti militari
e patriottici. Così la storia politicomilitare di un popolo si può ricostruire
attraverso i suoi canti.
Prima guerra mondiale: la vita nelle trincee
La vita nelle trincee logorava i combattenti nel morale
e nel fisico. I soldati restavano in prima linea senza
ricevere il cambio anche per intere settimane e vivevano
in mezzo al fango o alla sporcizia senza potersi lavare
né cambiare, continuamente esposti al tiro dei cannoni
nemici e dei cecchini. Gli assalti erano preceduti da un
intenso tiro di artiglieria che aveva come risultato
principale quello di eliminare ogni effetto di sorpresa.
Pochi mesi di guerra nelle trincee furono sufficienti a far
svanire l'ardore patriottico con cui molti combattenti
avevano affrontato il conflitto.
Inoltre gran parte dei soldati semplici non aveva idee
precise sui motivi per cui combattevano. Il soldato che
tornava dal fronte dopo un anno di guerra per
trascorrere a casa poche settimane di licenza, avvertiva
disagio e un senso di estraneità al mondo che lo
circondava. In molti di loro era radicata la sensazione
che in pochi erano consapevoli dello sforzo immane che
al fronte, e in particolar modo nei fangosi cunicoli delle
trincee, essi stavano affrontando. La vita dei loro luoghi
d'origine sembrava scorrere, davanti ai loro occhi, in
modo sempre più eccitato quasi a voler esorcizzare così
il trauma della guerra.
I canti di trincea della prima guerra
mondiale
L’unità d’Italia si completò nel 1918, quando il
paese uscì vittorioso dalla prima guerra
mondiale. Fu una guerra logorante, trascorsa in
gran parte con le truppe a fronteggiarsi
immobili nelle opposte trincee. Per mesi e mesi
i soldati vivevano con i piedi e le gambe nel
fango, affamati, in attesa dell’ordine di assalto,
che avrebbe lasciata inalterata la situazione e
sul campo migliaia di caduti in più.
Possiamo trovare almeno tre funzioni nei canti di trincea:
Evasione-distrazione: “canta che ti passa”, dice il
proverbio. La musica è serena e serve per “far dimenticare”
il posto dove si sta, la trincea.
Solidarietà: non sentirsi soli; sentire il conforto fraterno di
chi vive le tue stesse sofferenze e difenderà il commilitone
come difenderà se stesso.
Riaffermazione della propria identità: è la funzione più
importante. In una situazione di alienazione totale, di
violenza pura com’è quella della trincea, in cui il soldato è
ridotto ad una macchina per uccidere, c’è un solo modo per
sentirsi di nuovo se stessi, esseri umani con la propria
inconfondibile individualità: riandare col pensiero alla
propria storia privata, ricordarsi della vita, della realtà civile
provvisoriamente abbandonata.
Guerra e pace
La cosa singolare dei canti di trincea è che sono vere e
proprie canzoni pacifiste: non la guerra, ma la vita pacifica
è il loro ideale. Non solo le loro parole, ma anche la musica
serve alle tre funzioni elencate prima: a distrarsi, a sentirsi
amici dei compagni di trincea, soprattutto sentirsi ancora
legati alla propria vita privata, ai propri cari, al proprio
paese. Infatti la musica di queste canzoni è la stessa
musica, cioè ha gli stessi ritmi, gli stessi andamenti
melodici, delle canzoni dei giorni di pace: quelle che il
soldato cantava all’osteria, in chiesa, per la serenata alla
fidanzata, quelle che servivano per far festa e per ballare…
La musica che si canta in trincea è ancora quella del paese:
il soldato la richiama qui per rendere meno insopportabile
una realtà disperante come la trincea: la musica riporta a
casa.
Canti della prima guerra mondiale
“TA-PUM”
La prima guerra mondiale è la prima dell’età moderna
che ha visto coinvolte masse di combattenti di quasi
ogni continente. Quando non si andava all’assalto si
viveva nell’angoscia della granata nemica o della
pallottola del cecchino. I cecchini austriaci avevano un
micidiale fucile di precisione, che non sparava mai
invano: “ta-pum, ta-pum, ta-pum…”, e fortunato chi
dopo ogni “ta-pum” si sentiva ancora vivo! Così Tapum è diventato il titolo di una canzone.
TA-PUM
1. Venti giorni
2. Quando sei 3. E domani 4. Dietro il
sull’Ortigara
dietro a quel
si va
ponte c’è un
senza cambio
muretto,
all’assalto:
cimitero,
per dismontà,
soldatino non
soldatino
cimitero di
ta-pum, tapuoi più
non farti
noi soldà,
pum, ta-pum…
parlar,
ammazzar,
ta-pum…
Quando poi
ta-pum, tata-pum…
Cimitero di
discendi al
pum, taHo lasciato
noi soldati,
piano
pum…
la mamma
presto un
battaglione non
Quando
mia, l’ho
giorno vi
hai più soldà,
portano la
lasciata per
vengo a
ta-pum, tapagnotta
fare il
trovà, tapum, ta-pum…
il cecchino
soldà, tapum…
ta-pum, tacomincia a
pum…
pum, ta-pum…
sparar, tapum…
MONTE PASUBIO
Inno nostalgico degli Alpini impegnati sul fronte,
ormai lontani dalla propria casa.
Sulla strada del Monte
Sulla cima del Monte
Sulla strada del Monte
Pasubio
Pasubio
Pasubio
Bom borombom.
Bom borombom
Bom borombom
Lenta sale una lunga
Soto i denti che ze 'na
è rimasta soltanto una
colonna
miniera
croce
Bom borombom.
Bom borombom.
Bom borombom.
L'è la marcia di chi non Son gli Alpini che scava
Non si sente mai più
torna
e che spera
una voce,
di chi si ferma a morir
di tornare a trovar
ma solo il vento che
lassù.
l'amor.
bacia i fior.
Ma gli Alpini non hanno Ma gli Alpini non hanno
Ma gli Alpini non
paura
paura
tornano indietro
Bom borombom.
Bom borombom.
Bom borombom, bom
borombom,
bomborombà.
IL CAPITAN DELLA COMPAGNIA
El capitan de la compagnia
e l’è ferito e sta per morir
el manda dire ai suoi alpini
perché lo vengano a ritrovar
I suoi alpini ghe manda a dire
che non han scarpe per camminar.
“O con le scarpe o senza scarpe
I miei alpini li voglio qua”.
“Cosa comanda sior capitano
che noi adesso semo arrivà?”
“E io comando che il mio corpo
In cinque pezzi sia taglià.
Il primo pezzo alla mia Patria,
secondo pezzo al Battaglion,
e il terzo pezzo alla mia Mamma
che si ricordi del suo figliol.
Il quarto pezzo alla mia bella
che si ricordi del suo primo amor.
L’ultimo pezzo alle montagne
che lo fioriscano di rose e fior…
C’è una canzone famosa di quegli anni che ha un
carattere completamente diverso dalle canzoni di
trincea che abbiamo conosciuto finora.
Ascoltiamo “La leggenda del Piave”.
1. Il Piave mormorava
calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il ventiquattro maggio.
L’esercito marciava
per raggiunger la frontiera,
per far contro il nemico una barriera!
Muti passaron quella notte i fanti,
tacere bisognava e andare avanti.
S’udiva intanto dalle amate sponde
sommesso e lieve il trepidar dell’onde;
era un presagio dolce e lusinghiero.
Il Piave mormorò: “Non passa lo straniero!”
3. E ritornò il nemico
per l’orgoglio e per la fame:
volea sfogare tutte le sue brame…
vedeva il piano aprico ,
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora…
“No!” disse il Piave. “No!” dissero i fanti,
“Mai più il nemico faccia un passo avanti!”
Si vide il Piave rigonfiar le sponde!
E come i fanti combattevan l’onde…
Rosso del sangue del nemico altero,
Il Piave comandò: “Indietro và, straniero!”
2. Ma in una notte trista
si parlò di tradimento
e il Piave udiva l’ira e lo sgomento…
Ahi, quanta gente ha vista
venir giù, lasciare il tetto,
poi che il nemico irruppe a Caporetto!
Profughi ovunque! Dai lontani monti,
venivano a gremir tutti i suoi ponti.
S’udiva allor dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorio de l’onde:
come un singhiozzo, in quell’autunno nero.
Il Piave mormorò: “Ritorna lo straniero!”
4. E indietreggiò il nemico
fino a Trieste, fino a Trento,
e la vittoria sciolse l’ali al vento.
Fu sacro il patto antico:
fra le schiere furon visti
risorger Oberdan, Sauro, Battisti…
Infranse alfin l’italico valore
le forche e l’armi dell’impiccatore.
Sicure l’Alpi… libere le sponde…
E tacque il Piave, si placaron le onde.
Sul patrio suolo, vinti i torvi imperi,
la pace non trovò né oppressi né stranieri.
Sono parole guerresche, cariche di spirito eroico: ben diverse
da quelle così pacifiste delle canzoni precedenti. Anche la
musica è diversa: è una vera e propria marcia. Questa
canzone non rappresenta più il punto di vista di chi ha subito
la guerra; rappresenta piuttosto il punto di vista di chi la
guerra l’ha voluta. La Leggenda del Piave infatti non è nata
dal popolo, è nata a tavolino nello studio di un musicista
napoletano, Gioviano Gaeta, più noto sotto lo pseudonimo di
E.A. Mario.
Mario era l’autore delle canzoni di
maggior successo di quegli anni.:
Profumi e balocchi, Vipera, Le rose
rosse, Santa Lucia luntana. E le aveva
scritte perché fossero cantate in
occasioni non certo patriottiche: gli
spettacoli di varietà. Mario non avrebbe
immaginato che la sua canzone sarebbe
diventata un inno ufficiale, da cantare
nelle cerimonie patriottiche.
Di questa canzone, nata nel piccolo mondo del
cabaret, s’impadroniscono i “signori della guerra” e
ne fanno una delle più affermate canzoni
patriottiche italiane. Allora il suo senso cambia
completamente: non incitare ad una guerra che non
c’è più, ma esaltare la vittoria; dimenticare le
atrocità, le sofferenze, i lutti; nascondere le ragioni
profonde che avevano fatto scoppiare la guerra – le
ragioni economiche – dietro la bandiera dell’ideale
patriottico
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La storia e le canzoni