“Ricordi e suoni
della Prima Guerra
Mondiale”
La mia ricerca prende spunto dalla lettura di alcuni taccuini olografi ed inediti, scritti dal mio bisnonno, De Felice Domenico, tra la
fine del 1800 ed il primo ventennio del 1900. Il mio bisnonno dal 1888 fu arruolato nell’esercito in Artiglieria e visse in prima
persona, se pur non in prima linea per problemi di salute, la Prima Guerra Mondiale. Arrivò ad ottenere il grado di Maggiore e fu
insignito di varie medaglie:
Croce per anzianità di servizio militare istituita con Regio Decreto l’8 novembre 1900.
Medaglia commemorativa istituita con Regio Decreto il 20 febbraio 1911 per l’opera di
soccorso prestata nei luoghi devastati dal terremoto di Messina del 28 dicembre 1908.
Croce d’Oro per anzianità di servizio militare istituita con Regio Decreto dell’ 11 luglio
1914 .
Croce di Cavaliere dell’Ordine della Corona
Determinazione Sovrana il 31 maggio 1918.
D’Italia
Distintivo istituito con Regio Decreto il 21 maggio 1916.
in
dipendenza
della
Questi suoi scritti contengono argomenti molto diversi tra loro.
Ripropone in lunga parte notizie tecniche inerenti la sua carriera costellata da vari congedi obbligati da motivi di salute (già nel 1904
proprio per le sue condizioni di salute è giudicato esclusivamente idoneo a servizio direzionale; in seguito al terremoto di Messina,
che provocò il crollo anche della sua abitazione, riportò ferite ed escoriazioni in varie parti del corpo in seguito a colpi di macerie);
riporta numerose trascrizioni di leggi e circolari che regolavano l’arruolamento;
vari carteggi intercorsi tra lui ed il Ministero della Guerra per problemi di conteggi di anzianità, grado e relativi avanzamenti di
stipendio. Per esempio sappiamo che nel 1911, col grado di capitano, il suo stipendio era di 4.000 lire all’anno mentre nel 1918, col
grado di maggiore, era di 6.000 lire;
ci sono anche delle curiosità riprese da articoli di giornale come per esempio la notizia, purtroppo non datata, “A New York fu finito
testè di costruire un altro “sky-scraper” od edificio di altezza eccezionale. Trattasi di un fabbricato, ad uso uffici ed abitazioni, di 48 piani, alto 197
m.”;
altri ritagli di giornale sono consigli pratici su come pulire oggetti di paglia o macchie di ruggine.
Ma i più divertenti riguardano i rapporti tra mariti e mogli:
“MERAVIGLIOSA ORDINANZA MUNICIPALE CONTRO I PETTEGOLEZZI DELLE DONNE”: proclama del sindaco di un paese
tedesco che, per mettere un freno alle querele per controversie ed ingiurie tra gli abitanti, secondo lui causata dalle donne, decreta
che verranno pubblicate liste delle donne che hanno frequentemente provocato questo genere di litigi, rese note e, tale loro
comportamento, verrà annotato sui certificati di condotta.
“…qual è l’origine di queste querele? Mentre gli uomini accudiscono al loro pesante lavoro, le donne perdono tempo a ciarlare, a intrigare, a
sparlare del prossimo….Per le mogli di costoro sono parole vuote di senso quelle auree massime secondo le quali la donna non deve avere altro
pensiero che quello della casa e del benessere del marito e dei figli.”.
“10 COMANDAMENTI AD USO DELLA MOGLIE IDEALE” redatto dal Sig. Root: “….4. Non tenterai in nessun caso d’indossare i
calzoni del marito, che proclamerai tuo padre e tuo signore…10. Onorerai tuo marito per non disonorare te stessa.”.
“10 COMANDAMENTI DELLA BUONA MOGLIE” scritti questa volta da una sposa affettuosissima: Carmen Sylva: ”…2. Non
dimenticare che ti sei maritata con un uomo e non con un dio. Non ti meraviglino dunque le sue fralezze….5. Di tanto in tanto, ma non sovente,
fa che l’ultima parola rimanga a tuo marito…7. Anche litigando non offendere il tuo sposo. Non obliare mai che egli fu il tuo semidio.”.
Un’altra cosa che mi ha colpito è stata la brutta copia della lettera che aveva inviato in data 6 febbraio 1915 al Ministero della
Guerra per chiedere l’autorizzazione per potersi sposare.
In altre parti si prolunga nella descrizione delle armi, delle richieste di rifornimento, nei materiali di equipaggiamento in dotazione
durante la Prima Guerra Mondiale.
”Il servizio di artiglieria ha il compito di provvedere al rifornimento e sgombero delle munizioni, delle armi, del carreggio e dei quadrupedi per
tutti i comandi, corpi e riparti e servizi mobilitati, ed al rifornimento degli istrumenti. Provvede inoltre alla riparazione delle armi e del
carreggio.”.
Nel maggio 1915 si trovava in territorio di guerra a Messina nella sezione distaccata di Villa S. Giovanni ed era responsabile del
rifornimento di tutta la costa calabra e sicula. Successivamente venne trasferito a Piacenza alla direzione dell’Artiglieria ma qui patì
molto il cambiamento di clima e, ammalatosi, fu costretto a chiedere un’aspettativa per motivi di salute. Alla fine di ottobre del 1916
è a Napoli sempre nella direzione dell’Artiglieria. Riporta sui suoi taccuini circolari di richieste di materiali:
Circolare 7897/117 del 3 febbraio 1916 RICHIESTE DI MATERIALE TELEFONICO
Spesso nelle richieste assieme a materiali telefonici da campo sono compresi materiali telefonici per linee fisse e materiali telegrafici
di competenza della Direzione Generale del Genio. Siano fatte sempre richieste separate per materiali che debbano essere
provvedute da Direzioni Generali diverse.
Circolare 21770/170 del 3 agosto 1916 DOTAZIONI DI MUNIZIONI
Comunica che sono stati mutati i criteri che stabiliscono la dotazione di munizioni in base a 15 giornate di fuoco. Quindi invita le
intendenze a richiedere ai rispettivi comandi di armata i dati relativi alla dotazione di sicurezza stabilita per l’armata, e di limitarsi
nelle situazione a venire, a segnalare le deficienze o eccedenze rispetto a tale dotazione senza bisogno di fare speciali richieste. Sarà
cura dell’Intendenza Generale provvedere settimanalmente ai rifornimenti.
Le richieste comprendono oltre ad armamenti anche piccozze, seghe, scalpelli, fiammiferi, borracce, briglie, chiodi di ferro per i muli,
suole, fibbie ecc.
Dalla trascrizione di parte delle richieste si evince una certa disorganizzazione e una difficoltà a provvedere alle necessità degli
eserciti.
30 novembre 1916: arrivati dalla Direz. Artig. di Torino diretti Direz. Artig. Napoli bombe a mano tipo P2-6270, petardi a percussione OP12860. Di cui 182 casse bagnate. Di chi sono? Noi invece dobbiamo ricevere: granate a mano P2, torpicini esplodenti, bombe a carbone.
16 dicembre 1916: avvertire Comando Corpo Salonicco appena Ministero avrà assegnato 4.000 ferri da ghiaccio e l’Intendenza Generale i 900
inneschi richiesti.
Si parla non solo di guerra, di armamenti ma anche di ideali, di patriottismo, amore e onore alla bandiera:
in una lettera del 3 settembre 1916, in quel periodo ancora in congedo per malattia, scrive al Ministero della Guerra: “…poiché in
questo momento la PATRIA ha bisogno del massimo dell’opera di tutti i suoi figli, il sottoscritto credesi in dovere di mettere a disposizione
l’esperienza acquisita nei suoi 27 anni di servizio, ma esclusivamente in lavori d’ufficio, non potendo camminare”.
Riporta il discorso fatto in occasione della consegna della medaglia al valor civile per un ragazzo caduto in guerra:
“…il sacrificio di questa giovane vittima immolatasi con entusiastica fede per la grandezza della patria brilla fra gli eroismi della giornata come
una luce vivissima…Valga il mirabile esempio di questo prode giovane a incitamento alle giovani generazioni educate al culto della nostra cara
patria…”.
E dal discorso del cappellano maggiore Mons. Beccaria in occasione della benedizione della bandiera:
“…come una è la patria, una è la bandiera che ne incarna l’immagine, ne simboleggia l’idea, ne compendia la storia, ne auspica le vittorie e le
glorie…”.
“GLORIA ALLA BANDIERA”: “…questa fede, dico, è quella che ritempra gli animi e li sovrumana, che rinsalda i muscoli e ne centuplica le
forze, che impone i sacrifizii e ne fa prodigiosi effetti, che magnifica gli ostacoli e li converte in trionfi, che abbatte i pericoli e plasma gli eroi, che
consacra e santifica ogni nobile impresa e fa lieti e coraggiosi affrontare la morte come un dovere, come un premio, con il nome santo della patria
in bocca, con l’aspirazione di Dio nel cuore.
GLORIA, DUNQUE, IN OGNI LUOGO E SEMPRE ALLA BANDIERA D’ITALIA, AUSPICE IL CIELO”.
La letteratura durante la Prima Guerra Mondiale
Abbiamo molte testimonianze dirette della Prima Guerra Mondiale nella letteratura: diari, romanzi, poesie.
Essi nascono dall’unione tra la Storia, con la s maiuscola, e la storia dei singoli uomini che sono stati costretti ad arruolarsi.
Diari e romanzi hanno molte caratteristiche in comune tra loro: per lo più rappresentano una denuncia antimilitaristica e
antiretorica, in contrapposizione alla retorica dei giornali che diffondevano un’ideologia militarista e guerrafondaia;
la tensione dialettica tra la ricerca della verità e la consapevolezza della difficoltà di raggiungerla.
La testimonianza è comunque e sempre un atto parziale rispetto a ciò che si è vissuto;
la scrittura di guerra è caratterizzata da uno stile apocalittico;
c’è una nuova percezione del tempo e dello spazio determinata dal fatto che la Prima Guerra Mondiale è, per lo più, una guerra di
trincea e non di movimento.
Il tempo viene percepito come un flusso senza inizio né fine, perde la sua caratteristica di successione di passato, presente, futuro;
la Prima Guerra Mondiale è la prima guerra tecnologica: in essa vengono usate mitragliatrici, granate, sottomarini, aerei, carri
armati. La descrizione di queste nuove armi è un tema ricorrente in diari e romanzi.
La sostanziale differenza tra i diari ed i romanzi sulla prima guerra mondiale è che i diari sono scritti “a caldo”, durante il conflitto,
mentre la narrativa ha avuto bisogno di un periodo di “distanziazione”. I primi romanzi europei sulla Grande Guerra, infatti,
appaiono dopo circa dieci anni dalla fine del conflitto.
La scrittura dei diari è quindi caratterizzata dall’immediatezza mentre quella dei romanzi nasce da una riflessione e dal tentativo di
dare un’interpretazione dei fatti di cui si è stati testimoni.
Leggendo i diari di guerra si rimane colpiti dalle descrizioni di corpi mutilati che presentano particolari agghiaccianti. Essere in
trincea non voleva dire solo non potersi muovere ma anche essere a contatto fisico con i corpi dei compagni morti. Nelle pagine dei
diari lo scrittore si sforza di dare a chi legge le percezioni sensoriali e visive che suscitano gli ordigni di guerra.
La guerra nelle trincee aveva invertito il ritmo diurno con quello notturno perché gli attacchi avvenivano soprattutto di notte. Questo
causò profonde turbe nella psiche dei soldati che sfociarono in molte nevrosi. Gli psicoanalisti studiarono negli ospedali di guerra
casi di soldati traumatizzati dalle immani carneficine di cui erano stati testimoni e forme di isteria che li spingevano a simulare finte
malattie perché avevano paura di combattere e non volevano tornare al fronte.
I diari sono stati scritti in condizioni molto disagiate, nei cunicoli delle trincee, a lume di candela. I manoscritti sono talvolta difficili
da decifrare, molte parole risultano illeggibili a causa dell’inchiostro bagnato dalla pioggia che cadeva sulle trincee. Cosa spingeva
uno scrittore in guerra a tenere un diario?
Una delle possibili risposte è che nelle condizioni estreme, proprie della guerra di trincea, scrivere un diario aiutava a mantenere il
senso della propria identità, era una sorta di aggancio con la realtà.
Per molti intellettuali i diari segnano anche una presa di coscienza che l’essersi arruolato è stato un evento tremendo: molti di loro,
come per esempio il poeta inglese Sassoon, entrarono in guerra con l’idea che la guerra costituisse un’impresa eroica, un evento
capace di rigenerare un’Europa decadente. Ben presto, come mostrano i diari, a contatto con gli orrori e le carneficine si resero conto
di quanto falsa fosse la retorica dell’interventismo che inneggiava alla guerra.
Sassoon scrisse nel 1917 in “Dichiarazione di un soldato” una denuncia contro la guerra: “…penso che la guerra venga volontariamente
prolungata da coloro che avrebbero il potere di porle termine. Sono un soldato e credo di poter parlare a nome dei soldati: ritengo che questa
guerra, cominciata come guerra di difesa e di liberazione, si sia trasformata in guerra di aggressione e di conquista…. Ho visto e patito sulla mia
pelle le sofferenze delle truppe e non posso più accettare di rendermi complice di chi prolunga questi patimenti per fini che ritengo malvagi ed
ingiusti.”…
Anche in Italia abbiamo esempi illustri di intellettuali che parteciparono alla guerra.
Io ho preso in considerazione Giuseppe Ungaretti e Gabriele D’Annunzio poiché mi sono sembrati esempi di due diversi modi di
affrontare e di scrivere della guerra.
Giuseppe Ungaretti
Ungaretti, convinto interventista, partì come soldato semplice di fanteria per il fronte del Carso. Ma la vita di trincea si presentò
totalmente diversa rispetto alle aspettative e da quanto idoleggiato dalla retorica dannunziana o dalla propaganda futurista che
inneggiava alla guerra come “sola igiene del mondo”.
Le lacerazioni provocate dalla realtà della guerra lo portano alla coscienza della propria solitudine e alla scoperta della precarietà
della condizione umana in tale situazione (poesia “Soldati”: si sta /come d’autunno/sugli alberi /le foglie) e della fraternità che quella
comune esperienza riporta alla luce (poesia “Fratelli”: di che reggimento siete /fratelli?/).
Ungaretti quindi non si sente un poeta–vate (come tutti gli autori che cercano di interpretare e guidare i sentimenti delle masse)
come D’Annunzio e nella sua prima raccolta di liriche dettata dall’esperienza della guerra, “Il porto sepolto” del 1916 (confluita poi
in “Allegria di naufragi” del 1919), per dare forma e riuscire a verbalizzare sia il proprio dolore individuale sia la tragedia collettiva,
rifiuta ogni artificio retorico. Così, per lo stretto legame ed il reciproco condizionamento tra poesia ed esperienza autobiografica, la
forma del componimento rispecchia l’animo dell’uomo-poeta, più precisamente, alla frantumazione del verso corrisponde la
lacerazione intima di Ungaretti.
Le sue poesie sono come delle pagine di diario ed è evidente una marcata presenza biografica visibile nell’uso frequente
dell’aggettivo dimostrativo e possessivo e nell’indicazione precisa di luoghi e date di molti componimenti. Esse non presentano
descrizioni, bensì un insieme di versi brevi concentrati su sensazioni ed emozioni concrete.
Ungaretti riscopre la parola essenziale, quotidiana, il valore della pausa e, attraverso l’analogia, riesce a far nascere nuove
suggestioni come nella poesia “San Martino del Carso” incentrata sullo strazio che la guerra ha provocato nel mondo esterno e
nell’animo dell’uomo e del poeta (è il mio cuore/il paese più straziato).
Comunque Ungaretti, come espresso nel titolo della raccolta, oppone al “naufragio”, inteso come mancato approdo, crisi di valori,
consapevolezza di dolore e delusione, l’“allegria”, ovvero, l’attaccamento alla vita e la volontà di ricominciare (e subito riprende/il
viaggio/come/dopo il naufragio/un superstite/lupo di mare).
Fratelli
Mariano il 15 luglio 1916
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
San Martino del Carso
Valloncello dell'Albero Isolato
il 27 agosto 1916
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese più straziato
Allegria di naufragi
Versa il 14 febbraio 1917
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare
Soldati
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie.
Gabriele D’Annunzio
Letterato già affermato, raffinato esteta, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si trovava in Francia, ritiratosi in volontario esilio
a causa dei molti debiti contratti in Italia. Proprio da Parigi iniziò a caldeggiare l’interventismo italiano a fianco dell’Intesa con
articoli sui giornali e, nel maggio 1915, venne invitato dal governo italiano ad inaugurare a Quarto il monumento ai Mille.
La campagna interventista lo occupò quasi ogni giorno con discorsi che verranno poi raccolti in “La più grande Italia” dall’editore
Treves.
Sul “Corriere della Sera”, fin dal 1911, per il suo incessante bisogno di denaro, pubblicò “LE FAVILLE DEL MAGLIO”, che definì
“giornale saltuario”. Sono una serie di scritti autobiografici, il cui nome si rifà al fatto che “sono faville schizzate sotto i colpi del maglio
mentre l’artiere forgia opere più importanti”, che nascono dalla ristrutturazione di prose scritte in precedenza o, il più delle volte, sono
la rielaborazione di pagine dei suoi Taccuini. Parecchie sono le faville interventiste pubblicate : “…ogni mattina si aspetta l’annunzio
del grande evento, come la guarigione di tutti i mali, la condonazione di tutti i falli, la rinnovazione della giovinezza e della potenza….”.
La guerra rappresentò per lui l’occasione di decantare il suo divismo proiettandolo sul grande schermo della storia.
Cinquantaduenne si arruolò volontario e Cadorna lo inserì come ufficiale dei Lancieri di Novara nella 3° armata al comando del
Duca d’Aosta.
Anche durante la guerra D’Annunzio restò sempre se stesso: esibizionista, sempre disposto al gesto spettacolare, sempre portato al
lusso e alla dissipazione economica, sempre dedito ad un’intensa attività amatoria, agevolata ora dalla fama di eroe.
Partecipò a molte missioni navali ed aeree ardite e nel corso della guerra venne decorato con 6 medaglie d’argento, 2 medaglie d’oro,
1 medaglia di bronzo, la Croce di Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia ed ottenne tre promozioni per meriti di guerra,
congedandosi con il grado di tenente colonnello.
I “DIARI DI GUERRA” sono i taccuini scritti negli anni 1915-1918. D’Annunzio stesso ci dà notizia diretta circa l’esistenza di note
ininterrotte, stese giorno dopo giorno durante tutto l’arco della vita in taccuini. Si spazia da diari nel senso proprio del termine, cioè
narrazione degli eventi del giorno, o appunti rapidi o talora promemoria di spese sostenute. Spesso sono la preparazione per la
composizione di un’opera ma, in tempo di guerra, più spesso il quadernetto è destinato alla circolazione immediata quale
testimonianza della vita eroica di D’Annunzio.
Tutti gli autografi dei taccuini sono conservati presso l’Archivio Personale del Vittoriale degli Italiani.
A livello espressivo vi troviamo le caratteristiche della produzione celebrativa e propagandistica ma anche nuovi espedienti come il
ricorso alla mitologia.
Il discorso risulta quasi frammentario e lirico, privo di una regolare struttura logica e sintattica (dal testo del 25/8/1915 “…Siamo su
Grado, Volo librato, La terra gira, I gabbiani a volo, Il verde dell’acqua e il campanile di Aquileia…).
Il superomismo è derivato da un’acquisizione parziale del pensiero di Nietzsche.
D’Annunzio infatti fa suoi gli aspetti che più si adattano alla sua sensibilità; privilegia gli aspetti che gli permettono di giustificare
teoricamente l’alto concetto che ha di sé come artista e dell’artista in genere, come l’esaltazione del vitalismo e del sensualismo più
esasperati; il concetto di libertà d’azione dell’uomo superiore, il quale è sempre in ogni suo atto aldilà di ogni giudizio; esalta la fede
nel culto della bellezza.
Dal punto di vista sociale e politico fa propria la polemica antidemocratica e l’esaltazione della violenza e della guerra.
Nei diari di guerra ritroviamo il superomismo, specie nei discorsi: “Asiago, 19 settembre 1915….Io sarei molto lieto se oggi fossi
considerato non più come un parlatore bellicoso ma come un soldato in servizio di guerra. Non è più tempo di parole. La parola era santa quando
valeva a propagare quella verità che oggi è il nostro sole spirituale, che oggi è la luce novissima dell’Italia. Mentre parlo il sangue sgorga dal
Corpo della Patria, bagna profondamente il suolo liberato, e si trasmuta in fermento sublime della nostra vita futura…. Non v’è oggi luogo che per
l’azione silenziosa, condotta all’estremo limite dell’efficacia. E il ritmo non può che essere segnato dalla bocca rotonda del cannone…. Il fucile, la
baionetta, la mitragliatrice, il cannone, tutti gli strumenti e gli arnesi di guerra sono oggi facitori della parola. E, sopra tutti, i meravigliosi soldati
d’Italia…Sia fatta la più grande Italia. Perché questo si compia ogni volontà sia tesa ogni colpo vada a segno…”.
L’ entusiasmo superomistico subisce però in questi diari un’attenuazione dovuta al progressivo ripiegamento su se stesso e al fatto
che l’impegno e la fatica sono ora affrontati personalmente e non solo predicati.
Il 16 gennaio 1916 durante un atterraggio di fortuna nelle acque di Grado, con un idrovolante in ricognizione, restò ferito sbattendo
la tempia contro la mitragliatrice di prua: perse irrimediabilmente l’occhio destro e, dal febbraio al maggio, fu obbligato a rimanere
immobile a letto al buio.
In questo periodo compilò alcuni cartigli ma non sicuramente i diecimila che vorrebbe far credere.
E’ più probabile che, lontano dal fronte, abbia risistemato il materiale accumulato nei diari dell’ultimo biennio che confluirà nella
“Licenza“ e nel “Notturno”, definito “libro della memoria” edito però nel 1921.
I diari degli ultimi anni di guerra riguardano quasi esclusivamente le sue grandi imprese.
Combattè in fanteria e partecipò in ottobre all’attacco del monte Veliki e del Faiti.
“12 ottobre 1916 ore 4. Ci sono già molte perdite prima dell’attacco. Passano i carri dell’ambulanza …alle 5,50 si sferra l’attacco. Il ticchettio della
fucileria”.
Nell’agosto del 1917 partecipò al raid su Pola, in Istria, per bombardare postazioni militari nemiche. Avviandosi a quest’impresa
sostituì il grido d’incitazione Ip Ip Urrah! con Eia Eia Alalà ripreso da Pindaro ed Eschilo, autori classici.
A fine agosto 1918 appoggiò dall’alto le truppe che avanzavano verso Gorizia . Il 4 e 5 ottobre 1917 partecipò come osservatore al
bombardamento delle Bocche di Cattaro dopo lo spostamento della base operativa da Venezia in Puglia. La ”litania francescana di guerra“
salutò la partenza di 14 aerei.
“Per Frate Vento che non ci avverserà,/eia eia eia! Alalà!/Per Frate Focu che non ci arderà,/eia eia eia! Alalà!/Per Suor Acqua che non ci
affogherà,/eia eia eia! Alalà!”.
Nei suoi diari più volte, in occasione di questa incursione, lamentò la mancanza di bombe che provocarono il differimento della
partenza prevista.
“25 settembre 1917 … Intanto si sa già che i bombardieri non hanno bombe. I carri di bombe non sono arrivati. Non sono arrivati i rifornimenti.
Impreparazione. Disordine… Vado al Comando per notizie degli apparecchi non giunti. Uno per mancanza di benzina.
26 settembre Nessuna notizia delle bombe.
27 settembre Si ha la tentazione di gridare al tradimento. I bombardieri senza bombe! Sono in uno stato di furore e di disgusto che non riesco a
dissimulare. Viene finalmente l’avviso che il ritardo nella spedizione delle bombe dipende dalla mancanza di detonanti . E non c’è nessuno che
denunci questa manovra vergognosa dei ‘sedentarii’.”.
E’ un’altra testimonianza diretta sulla difficoltà di rifornimenti, come già testimoniato negli appunti del mio bisnonno.
Durante la disfatta di Caporetto, il 24 ottobre 1917, rincuorò le truppe con la sua oratoria incitandole alla riscossa.
Partecipò il 10 e 11 febbraio 1918 alla Beffa di Buccari, che lui stesso definì come la sua impresa più ardita. A bordo di motosiluranti
entrò nel golfo lanciando siluri e soprattutto gettò tre bottiglie contenenti il messaggio:
“Il nemicissimo venuto a beffarsi della taglia (che l’Austria aveva posto sulla sua testa) e con i marinai d’Italia si ride d’ogni sorta di reti e di
sbarre”.
Se i siluri non scoppiarono, la beffa ebbe un forte valore deterrente.
Quando iniziò l’offensiva finale contro le truppe austriache sul Piave, D’Annunzio fu instancabile.
“23 giugno 1918. La notte del 21, la notte del solstizio, bombardai tre volte di seguito il ponte San Donà-Musile e sempre con fortuna. I giorni
duri non sono passati, ma il cuore si placa nell’orgoglio, l’azione mi ringiovanisce, e non ho neppure il tempo di dormire”.
Il 9 agosto 1918 compì il tanto sognato volo su Vienna con una squadriglia di 11 aerei. Lo scopo della spedizione era il lancio di
miriadi di volantini che invitavano i viennesi alla resa.
“Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non siamo venuti se non per la gioia di
quel che potremo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo”.
Tale impresa fu fotografata e filmata ma solo più avanti, nel “Libro Segreto”, racconterà del ritorno al campo di San Pelagio facendo
riferimento ai taccuini.
La fine della guerra non segnò la fine della sua attività militare. Si fece infatti promotore del mito della “vittoria mutilata”,
assumendo il ruolo di difensore dei diritti dei fiumani che volevano l’annessione all’Italia.
Ma questo non faceva parte delle rivendicazioni fatte dall’Italia e accettate dagli alleati.
D’Annunzio parlava alla folla dell’italianità di Fiume e della vittoria mutilata scagliandosi contro il potere costituito che riteneva
colpevole di vigliaccheria.
Prese quindi il comando di un gruppo composto da sette sottoufficiali e da molti volontari e il 12 settembre 1919 occupò Fiume in
nome dell’Italia contro gli impegni presi dal governo.
Non avendo piani o progetti precisi la situazione gli sfuggì di mano anche se cercò di tenere accesa la fiamma dell’entusiasmo. Tutto
però si ridusse a pura esteriorità.
D’Annunzio dichiarò l’indipendenza di Fiume ma a dicembre Giolitti, in obbedienza al Trattato di Rapallo che non permetteva
l’annessione di Fiume all’Italia, la rendeva città libera e ordinò di soffocare nel sangue l’avventura fiumana.
Il 18 gennaio 1921 D’Annunzio lasciò Fiume e si ritirò sul lago di Garda dove allestì la fastosa dimora del Vittoriale concepita quale
sacrario della Grande Guerra e qui scrisse le sue memorie: Notturno 1921, Faville del Maglio 1924, Libro Ascetico della Giovane
Italia 1926, Libro Segreto 1935.
Qui morì il 1 marzo 1938.
There were many english or american writers that partecipated in world war I and wrote novels and poetries about theirs
experiences.
Mario Isnenghi and Paul Fussell, critics about the Big War, thought that was above the literature in english to give a contribute rich
in testimonies and novels because the english soldiers had a larger culture than italian soldiers, often illitterates.
We can remember, for example, the english poets Owen and Sassoon.
I have considered Ernest Hemingway and his novel “A farewell to arms”.
Hemingway was born on 1899 near Chicago.
In 1918 he voluntereed to serve as an ambulance driver on the italian front near the Piave. He was involved in the retreat of
Caporetto and was seriously wounded. His courage saved many of his companions’lives and was decorated for that.He was taken to
the Military hospital of Milan, where he met a british nurse, Agnes von Kurowsky. It was great love from both sides but Agnes, who
was older, refused to marry him. On january 1919 he came back to America and he resumed his job as a journalist and writer but the
war had left in him a sense of loss and disilluionment.
He wrote a novel “A farewell to arms” in 1928 and was issued on “Scribner’s Magazine” in instalments on may 1928 and ended in
october 1929. The book, published in settember 1929, had an immediate success and was translated into different languages, but not
in italian because the fascist regime banished it also for its references to the retreat of Caporetto. In 1948 was published also in Italy
but it was already translated in 1943 by Fernanda Pivano and for this reason she was arrested in Torino. She also thought that
Hemingway didn’t described the retreat of Caporetto but a Smirne’s defeat.
Hemingway was a war corrispondent in the Spanish civil war but soon he fought with the antifascists. The result of this experience
is “For whom the bell tolls”. He wrote many important novels so ”The old man and the sea”, “The sun also rises” and some shorts
stories as “The snows of Kilimangiaro”.
He died in 1961 shooting himself.
“A farewell to arms” is a semi autobiographical novel.
Friederic Henry is an american soldier who drives the ambulance during the World War I on the Italian front. Here he meets and
seduces Catherine Barkley, a british nurse. Henry is wounded by a mortar shell and sent to a hospital in Milan. Also Catherine
arrives in the same hospital and they fall in love. When Henry is healed Catherine is pregnant. He returns to his unit, but not long
after, the Austro Germans break through the Italian lines in the battle of Caporetto and the italian retreat. During the retreat he is
taken to place by the battle police and executed for the trechery but he escapes by jumping into a river. Henry and Catherine reunite
and flee to Switzerland. Here they live quietly until delivery’s moment. Their son is stillborn and Catherine dies for haemorrhage
leaving Henry to return to their hotel in the rain.
In this novel we can see the development of Hemingway’s philosophy of life.
He believed that the universe is indifferent, sometimes even hostile, to man’s plight. In this book, this indifference is best
exemplified by the war an ultimately futile struggle of man against man.
There are no winners in a war and there is no reasoning behind the lives which are taken.
There is no God and there are no universal moral codes, no need for moral conventions.
The code hero rejects these but imposes order upon his life through personal values-integrity, dignity, courage. Catherine
exemplifies the traits of the Hemingway code hero throughhout the novel. She is characterized primarily by her disregard for social
conventions as well as an unfaltering devotion to Henry. He learns this in the course of war. The hero learns that he, himself, is a
crucial source of meaning. He must accept the finality of death. Disillusionment is not part of being hero. The true hero endures the
paints of life without complaint, knowing them to be a part of life. He adheres to his personal values. There is no victory which
awaits the hero but what matters is his eroism. Henry’s fights the meaningless of live through his love affair with Catherine. Henry
serves the function of a character who becomes initiated in Hemingway’s philosophy of an indifferent universe and man’s struggle
against it.
This novel represents the mood of Lost Generation that losts the trust in the traditional values so as patriotism, work, middle-class’s
respectability, victorian’s moralism but can’t find anothers. We can see the Catherine’s death as the simbol of incapacity to create
something in a dried up world as that after the Big War.
“Farewell to arms” is also an anti-war novel, as the vivid descriptions of its brutality and futulity attest to.
We can see the antimilitarism into the soldiers dialogue :
“...many of the soldiers were beaten when they took them from their farms and put them in the army.”.
“ ...it doesn’t finish. There is no finish to war...War is not won by victory...One side must stop fighting. Why don’t we stop fighting?”.
“...Well, I knew I would not to be killed. Not in this war. It did not have anything to do with me.”.
He was first of all a great journalist and this is one of the starting points of his literary style: he uses short sentences, simple words,
makes a constant use of direct speech. He never describes his characters’feelings, but he reveals them through their actions, their
dialogues and their silences.
The italian writer Alberto Moravia into an article published on “Mondo” in 1950 compared Ernest Hemingway with Gabriele
D’Annunzio because he manteined that in both we can see the same conception of a life energetic, volitive, violent and proud,
exaltation of heroism for itself in American key.
According to Giovanni Di Benedetto “A farewell to arms” is like a poetry of Ungaretti from his collection “L’Allegria” where the war
is an immense and terrible scenography in which the characters play their’s own silent soliloquy as an unheard prayers.
Canti di trincea e canzoni patriottiche
La prima guerra mondiale è la prima dell’età moderna che ha viste coinvolte masse di combattenti di quasi ogni continente.
Ma non fu una guerra dettata dall’odio di un popolo verso l’altro: fu voluta da una classe dirigente che aveva alte mire di espansione
economica e territoriale.
I canti legati ad essa formano due tipi di repertorio:
1.
retorico interventista che esalta il valore dei soldati e le giuste cause della guerra contro l’oppressione austriaca;
2.
canzoni di trincea nelle quali è descritta con grande semplicità la vita del soldato. Sono vere e proprie canzoni pacifiste: non la
guerra ma la vita pacifica è il loro ideale.
In alcuni CANTI DI TRINCEA emerge una condanna esplicita della guerra come per esempio in “Fuoco e mitragliatrici” mentre “Addio
padre e madre” è un canto d’addio ed insieme di protesta del soldato obbligato a partire per la guerra.
In altre, da una descrizione lineare dei fatti, emerge con chiarezza un giudizio severo sull’inutilità del sacrificio di tante giovani vite.
“Ta-pum” è una canzone che si riferisce ai combattimenti avvenuti nel 1917 sull‘altopiano di Asiago.
Racconta la dura vita di trincea, nel fango, nell’attesa dell’ordine di assalto che avrebbe lasciata inalterata la situazione e, sul campo,
migliaia di caduti in più.
Ta-pum è il suono del fucile di precisione dei cecchini austriaci ed è diventato il titolo di una nota canzone. In altre, pur nella
tragicità del contesto, vengono presentati valori nobili e commoventi come i dolci sentimenti per l’amata lontana.
Ne è un esempio “Era una notte che pioveva” dove sono messi in risalto tre aspetti dolorosi della vita militare:
• i disagi,
• la paura dell’assalto,
• la lontananza.
Fuoco e mitragliatrici
Addio padre e madre
Non ne parliamo di questa guerra
che sarà lunga un'eternità;
per conquistare un palmo di terra
quanti fratelli son morti di già!
Addio padre e madre addio,
che per la guerra mi tocc di partir,
ma che fu triste il mio destino,
che per l'Italia mi tocca morir.
Fuoco e mitragliatrici,
si sente il cannone che spara;
per conquistar la trincea:
Savoia ! - si va.
Trincea di raggi, maledizioni,
quanti fratelli son morti lassù!
Finirà dunque 'sta flagellazione?
di questa guerra non se ne parli più.
Quando fui stato in terra austriaca
subito l'ordine a me l'arrivò,
si dà l'assalto la baionetta in canna,
addirittura un macello diventò.
E fui ferito, ma una palla al petto,
e i miei compagni li vedo a fuggir
ed io per terra rimasi costretto
mentre quel chiodo lo vedo a venir.
«Fermati o chiodo, che sto per morire,
pensa a una moglie che piange per me»,
ma quell'infame col cuore crudele
col suo pugnale e morire mi fé.
Ta-pum
Venti giorni sull'Ortigara
senza cambio per dismontà:
ta-pum ta-pum ta-pum
ta-pum ta-pum ta-pum.
Quando poi siamo scesi al piano
battaglione non ha più soldà.
Ta-pum ta-pum ecc.
Battaglione di tutti morti
a Milano quanti imboscà!
Ta-pum ta-pum ecc.
Dietro al ponte c'è un cimitero,
cimitero di noi soldà.
Ta-pum ta-pum ecc.
Quando sei dietro a quel muretto,
soldatino, non puoi più parlà.
Ta-pum ta-pum ecc.
Cimitero di noi soldati
forse un giorno ti vengo a trovà.
Ta-pum ta-pum ecc.
Era una notte che pioveva
Era una notte che pioveva
e che tirava un forte vento,
immaginatevi che grande
tormento per un alpino
che stava a vegliar.
A mezzanotte arriva il cambio,
accompagnato dal capoposto.
Oh! Sentinella ritorna al tuo posto
sotto la tenda a riposar.
Quando fui stato sotto la tenda
sentii un rumore giù per la valle,
sentivo l'acqua giù per le spalle,
sentivo i sassi a rotolar.
Mentre dormivo sotto la tenda
sognavo d'esser con la mia bella,
e invece ero di sentinella
a fare la guardia allo stranier
Possiamo trovare almeno tre funzioni nei canti di trincea:
• Evasione – distrazione (la musica serve per far dimenticare dove si sta)
• Solidarietà (sentire il conforto fraterno di che vive le tue stesse sofferenze)
• Riaffermazione della propria identità (è la funzione più importante. In una situazione in cui il soldato è ridotto a macchina
per uccidere, c’è un solo modo per sentirsi ancora se stessi : riandare col pensiero alla propria storia privata,ricordarsi della vita
provvisoriamente abbandonata).
La musica di queste canzoni ha gli stessi ritmi, gli stessi andamenti melodici, delle canzoni dei tempi di pace. Il soldato la richiama
qui per rendere meno insopportabile la realtà della trincea. La musica “riporta a casa”.
Le canzoni di trincea sono canzoni popolari che il popolo ama perché le ha create lui e rappresentano il punto di vista di chi la
guerra l’ha subita.
Tra le CANZONI PATRIOTTICHE “La leggenda del Piave” non è una canzone popolare ma una vera e propria marcia.
La musica è abbastanza lunga e complessa rispetto alle canzoni di trincea. Rappresenta il punto di vista di chi la guerra l’ha voluta.
Non è nata dal popolo ma fu scritta nel 1919 da Giovanni Gaeta, più noto con lo pseudonimo E. A. Mario, autore di canzoni di
cabaret.
Diventata una delle più affermate canzoni patriottiche italiane, non incita alla guerra che è già finita, ma esalta la vittoria, vuole far
dimenticare le atrocità, i lutti, nascondere le ragioni economiche che avevano fatto scoppiare la guerra dietro la bandiera dell’ideale
patriottico.
I fatti storici che la ispirarono risalgono al giugno 1918 quando l’Austria-Ungheria decise di sferrare un grande attacco sul fronte del
Piave per piegare definitivamente l’esercito italiano, già reduce dalla sconfitta di Caporetto. L’esercito austrungarico fu costretto a
fermarsi a causa della piena del fiume. Ebbe così inizio la resistenza delle forze armate del Regno d’Italia che costrinsero i nemici a
ripiegare.
Tra il 2 e il 6 luglio 1918 la 3° Armata del Regio Esercito Italiano si attestò sul Piave dove si svolse la Battaglia del Solstizio, durante
la quale morirono 84.600 militari italiani e 149.000 austroungarici.
In occasione dell’offensiva finale italiana, la battaglia di Vittorio Veneto, dell’ottobre 1918, il fronte del Piave fu nuovamente teatro di
scontri ma ormai l’esercito nemico si era disgregato e gli italiani poterono tranquillamente sfondare le linee nemiche.
La canzone è composta da 4 strofe che trattano :
1.
la marcia dei soldati verso il fronte presentata nella canzone come una marcia a
tecnicamente fu l’Italia ad aggredire l’esercito asburgico;
2.
la ritirata di Caporetto;
3.
la difesa del fronte sulle sponde del Piave;
4.
l’attacco finale e la conseguente vittoria;
difesa delle frontiere italiane anche se
Questi versi, densi di amor patrio, e la solenne rievocazione storica, fecero sì che da più parti si levasse la richiesta di adottarlo come
inno nazionale, cosa che avvenne solo dal 1943 al 1946 quando la Canzone del Piave divenne l’inno nazionale della Repubblica
Italiana.
La melodia fu poi sostituita da “Il Canto degli Italiani” di Goffredo Mameli.
Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il ventiquattro maggio;
l'esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera!
Muti passaron quella notte i fanti,
tacere bisognava andare avanti.
S'udiva intanto dalle amate sponde
sommesso e lieve il tripudiar de l'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero.
il Piave mormorò: "Non passa lo straniero!"
Ma in una notte triste si parlò di un fosco evento
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento.
Ahi, quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto,
poiché il nemico irruppe a Caporetto.
Profughi ovunque dai lontani monti,
venivano a gremir tutti i tuoi ponti.
S'udiva allor dalle violate sponde
sommesso e triste il mormorio de l'onde.
Come un singhiozzo in quell'autunno nero
il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero!"
E ritornò il nemico per l'orgoglio e per la fame
voleva sfogar tutte le sue brame,
vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora!
No, disse il Piave, no, dissero i fanti,
mai più il nemico faccia un passo avanti!
Si vide il Piave rigonfiar le sponde
e come i fanti combattevan l'onde.
Rosso del sangue del nemico altero,
il Piave comandò: "Indietro va', straniero!"
Indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a Trento
e la Vittoria sciolse l'ali al vento!
Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon visti
risorgere Oberdan, Sauro e Battisti!
Infranse alfin l'italico valore
le forze e l'armi dell'impiccatore!
Sicure l'Alpi, libere le sponde,
e tacque il Piave, si placaron l'onde.
Sul patrio suol vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!
BIBLIOGRAFIA
Storia
• tre taccuini di D. De Felice
Italiano
• "Guida al '900" S. Guglielmino
• "La scrittura come testimonianza nella letteratura europea della prima guerra mondiale" V. Fortunati
• "L' impresa di Fiume" P. Deotto
• "Diari di guerra" G. D'Annunzio
• "Allegria di naufragi" G. Ungaretti
• "La grande guerra raccontata da G. Ungaretti" (www.spigolature.net)
Inglese
• E. Hemingway (Wikipedia)
• " Farewell to arms" E. Hemingway
• "Un' erede di D'Annunzio" A. Moravia da "Paralleli-Hemingway“
Musica
• "La canzone del Piave" ( Wikipedia)
• " Progetti sonori" C. Del Frati
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Arianna De Felice