Sesta lezione
Mercoledì 24 febbraio 2010
dott.ssa A. Decataldo
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Sussiste un’apparente forte continuità del pensiero di Max
Weber (1864-1920) con quello dei Neocriticisti (di
Rickert in particolare), consistente nella ricerca della
possibilità di garantire che i giudizi formulati nelle
scienze storico-sociali siano espressione di una verità
universale.
Forti sono, però, i punti di distacco di Weber rispetto a
Rickert; Weber infatti:
 rinuncia all’assolutezza e all’universalità dei valori;
 dà corpo alla problematica della spiegazione causale;
 realizza esperienze di ricerca empirica e con essa
sostanzia le proprie osservazioni metodologiche;
 distingue nettamente la storia (la storia rappresenta per i
tre autori appena visti la regina delle scienze dello spirito
in quanto disciplina primariamente orientata allo studio
dell’unicità) dalla sociologia.
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Secondo Weber, infatti, la sociologia elabora
concetti di tipi e cerca regole generali del
divenire, in antitesi alla storia, la quale mira
all’analisi causale di azioni, formazioni,
personalità
individuali
che
rivestono
un’importanza individuale.
L’elaborazione concettuale della sociologia trae il
suo materiale ─ in forma di modelli ─ dalle
medesime realtà dell’agire che sono rilevanti
anche dal punto di vista della ricerca storica.
Pertanto, i rapporti tra sociologia e storia sono:
1) di reciproco, indispensabile sostegno;
2) di antecedenza sul piano logico.
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Per Weber la scienza è la sede in cui si cerca la verità,
conoscenza
oggettiva
e
indubitabile,
universalmente e incondizionatamente valida.
Data per scontata la natura certista delle scienze
naturali, il tentativo weberiano è precisare le
possibilità, l’autonomia, l’oggettività conoscitiva
della scienza sociale.
L’indagine scientifica individua il proprio oggetto
attraverso scelte di valore.
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Tutti gli individui storici sono connessi a «idee di valore»:
«Noi siamo esseri culturali, dotati della capacità e volontà di
assumere… posizione nei confronti del mondo… Ciò ci
condurrà a valutare nella vita determinati fenomeni della
coesistenza umana… e ad assumere nei loro confronti una
posizione (positiva o negativa) … Quale che sia il
contenuto di tale presa di posizione, questi fenomeni
hanno per noi un significato culturale, e su questo
significato soltanto poggia il loro interesse scientifico.
Allorché si è qui parlato… del condizionamento della
conoscenza della cultura da parte di idee di valore, non si
è però voluto aprire il cammino a fraintendimenti… come
quello rappresentato dall’opinione che debba essere
attribuito significato culturale soltanto ai fenomeni forniti
di valore.
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La prostituzione è un fenomeno culturale al pari della
religione o del denaro; e tutti e tre lo sono in quanto e
solamente in quanto, e nella misura in cui, la loro
esistenza e la forma che storicamente assumono tocchino,
direttamente o indirettamente, i nostri interessi culturali,
ed in quanto essi suscitino il nostro impulso conoscitivo
sotto punti di vista orientati in base a idee di valore, le
quali rendono per noi significativo il settore di realtà
pensato in quei concetti».
«Sebbene sempre ricorra l’opinione che sia possibile
“assumere dalla materia stessa” quei punti di vista, ciò
deriva dall’illusione ingenua dello specialista, il quale non
riflette che egli ha dapprima isolato, in virtù delle idee di
valore con cui si è inconsapevolmente accostato alla
materia un ristretto elemento di una assoluta infinità
come quello che solo lo riguarda per la sua trattazione».
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«Egli [lo studioso] deve imparare a riflettere i processi
della
realtà
–
consapevolmente
o
inconsapevolmente – a “valori culturali” …, e quindi
a porre in luce le connessioni che sono per noi
significative».
«Questa scelta di singole parti… ha luogo sempre e
ovunque, in forma sia consapevole sia
inconsapevole…».
Rispetto alla questione dei valori, quindi, Weber dice:
 no al giudizio di valore e alla «profezia
professorale»;
 sì alle «idee di valore» (non ammissibilità, ma
inevitabilità);
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 no
all’attribuzione «oggettiva», impersonale, di
rilevanza ai fenomeni culturali;
 no al primato della «materia» sulle «idee di valore»
(impossibilità di una validazione empirica delle «idee di
valore»);
 no all’oggettività delle premesse conoscitive, ma si
all’oggettività delle conclusioni.
Il significato della nozione di «avalutatività»:
«Di tutti i tipi di profezia la profezia professorale… è la
sola realmente insopportabile. È una situazione senza
confronto quella di numerosi profeti accreditati dallo
Stato, i quali non predicano per le strade o nelle
chiese…,
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oppure, privatamente, in conventicole personalmente
scelte che si dichiarano tali, ma si permettono invece
di esprimere “in nome della scienza”, nella quiete che
si suppone oggettiva, ma che è poi incontrollabile,
priva di discussione, e soprattutto protetta da ogni
contraddittorio, di un’aula accademica privilegiata
dallo Stato, delle decisioni direttive su questioni di
intuizioni del mondo».
L’avalutatività rappresenta la condizione irrinunciabile
dell’oggettività della conoscenza scientifica.
In sostanza, l’indagine deve seguire, come unico
criterio di riferimento, l’accertamento empirico delle
proprie asserzioni.
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«Quelle idee di valore sono, fuori da ogni questione,
“soggettive”… Da ciò non discende ovviamente che
la ricerca delle scienze della cultura possa dar luogo
soltanto a prodotti i quali siano “soggettivi” nel
senso che valgono per l’uno e non per l’altro. Ciò che
cambia è piuttosto il grado in cui interessano l’uno e
non l’altro. In altri termini, ciò che diventa oggetto
dell’indagine, ed in quale misura questa si estenda
nell’infinità delle connessioni causali, è determinato
soltanto dalle idee di valore che dirigono il
ricercatore e la sua epoca; nel “come?” vale a dire nel
metodo della ricerca,… il punto di vista a cui si ispira
è determinante per l’elaborazione degli strumenti
concettuali che egli impiega – mentre nel modo
della loro applicazione il ricercatore è di certo
vincolato, qui come ovunque, alle norme del nostro
pensiero. Poiché verità scientifica è soltanto ciò che
esige di valere per tutti coloro che vogliono la
verità».
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«Nel campo delle scienze sociali…, la possibilità di
una conoscenza fornita di senso… appare vincolata
al costante impiego di punti di vista di carattere
specifico, i quali da parte loro possono essere
empiricamente constatati e vissuti…, ma non già
fondati validamente in base al materiale empirico.
L’ “oggettività” della conoscenza sociale dipende
piuttosto da questo, che il dato empirico è
continuamente indirizzato in vista di quelle idee di
valore che sole gli forniscono un valore
conoscitivo…, ma tuttavia non diventa mai
piedistallo per la prova, empiricamente impossibile,
della loro validità. E la fede, che sempre è in qualche
forma presente in noi, nella validità sovraempirica
delle ultime e supreme idee di valore, non esclude
ma reca in sé l’incessante mutabilità dei punti di
vista concreti da cui la realtà empirica deriva un
significato».
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Definizione weberiana di sociologia:
La sociologia deve designare una scienza la quale si
propone di intendere in virtù di un procedimento
interpretativo l’agire sociale, e quindi di spiegarlo
causalmente nel suo corso e nei suoi effetti.
Weber distingue due forme distinte di “intendere”:
l’intendere attuale e l’intendere esplicativo (o
motivazionale).
L’intendere attuale (Aktuelles Verstehen) si riferisce ai
contenuti (al che cosa) di un’azione, di un
atteggiamento o di una affermazione.
L’intendere esplicativo (Erklärendes Verstehen) si riferisce
alle motivazioni che risiedono alla base (al perché) di
quell’azione, atteggiamento o affermazione.
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Due questioni sono implicite nella definizione di
sociologia riportata sopra:
 in primo luogo, da un punto di vista metodologico,
la definizione di sociologia proposta da Weber
accosta due modalità conoscitive (la comprensione e
la spiegazione) che nella tradizione di pensiero
storicista venivano presentate come distinte e
alternative, appartenenti rispettivamente alle
Scienze cosiddette dello Spirito (la comprensione) e
alle Scienze della Natura (la spiegazione).
A tal proposito, nella seconda parte del saggio del
1906 Studi critici intorno alla logica delle scienze
della cultura, dedicata al tema della Possibilità
oggettiva
e
causazione
adeguata
nella
considerazione della storia, Weber scrive:
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«Il più semplice giudizio sopra il “significato storico” di
un “fatto concreto”, ben lontano dall’essere una mera
registrazione di qualcosa che si sia “trovato innanzi”,
rappresenta piuttosto un quadro concettuale formato
categorialmente, e di fatto [tale giudizio] acquista
validità solo in quanto aggiungiamo alla realtà “data”
l’intero tesoro del nostro sapere di esperienza a
carattere nomologico» (tr. it. p. 218).
Dal brano appena riportato emergono due istanze
precise:
 insufficienza dei processi interpretativi a dare validità
ai giudizi di fatto;
 necessità del sostegno di conoscenze:
(a) basate sull’esperienza;
(b) espresse in forma nomologica;
(c) collegate ad un quadro concettuale (teorico) a
monte.
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Emerge in Weber la necessità di distinguere un
contesto della scoperta da uno della giustificazione.
Weber sottolinea l’insufficienza dell’Erlebnis ed evidenzia
la necessità di analisi più attendibili i cui risultati
possano
acquisire
una
valenza
oggettiva
o
intersoggettiva:
«Bisogna infrangere l’opaca uniformità dell’“Erleben” …
Quando si dice che quella “esperienza vissuta” [Erlebnis]
è perfettamente certa, è ovvio che si intende dire che noi
abbiamo fatto un’esperienza. Ma di che cosa realmente
abbiamo fatto esperienza, ciò può divenire accessibile
all’“interpretazione” solo se si abbandona lo stadio
dell’“Erlebnis” stessa e si fa del vissuto l’“oggetto” di un
giudizio, il cui contenuto, a sua volta, non può essere
“esperimentato” [vissuto a livello interiore] nella sua
uniforme opacità, ma va riconosciuto come “valido” »
(Roscher e Knies e i problemi logici della scuola storica
dell’economia, tr. it., p. 99).
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La seconda questione emergente dalla definizione di
sociologia fornita da Weber è la seguente:

che rapporto esiste tra la spiegazione causale e i
due scopi fondamentali della sociologia:
(a) la formulazione di concetti di tipi;
(b) la ricerca di regole generali del divenire?
Scrive Weber:
«La spiegazione causale designa pertanto la
constatazione che a un dato processo (interno o
esterno) osservabile fa seguito un altro processo
(oppure si presenta insieme con esso), secondo
una regola di probabilità in qualche modo
determinabile, e nel caso ideale ─ che si verifica
raramente ─ formulabile in termini quantitativi»
(Economia e società, I vol., tr. it., p. 11).
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“Tizio ha compiuto l’azione Y perché spinto dal motivo
X” costituisce pertanto «un’asserzione causale
corretta soltanto nella misura in cui viene dimostrata
la sussistenza di una possibilità (in qualsiasi modo
determinabile) [una legge probabilistica a prescrivere]
che l’agire assuma di solito, con una data frequenza o
approssimazione (in media o nel “caso puro”) un
corso effettivo identico a quello che appare adeguato
in base al senso» (ibid.).
La connessione di senso dell’agire sociale deve
essere innanzitutto “interpretata”, individuando
il possibile motivo che sta alla base dello stesso
agire.
L’“interpretazione”, tuttavia, rappresenta solo una
condizione necessaria, ma non sufficiente, di un
corretto procedimento conoscitivo.
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«La nostra questione specifica è però di stabilire
mediante quali operazioni logiche cogliamo, e
possiamo giustificare dimostrativamente, che
sussiste una siffatta relazione causale tra quegli
elementi “essenziali” dell’effetto e determinati
elementi entro l’infinità dei momenti determinanti».
Ovviamente non mediante la semplice “osservazione”
del processo ─ in ogni caso non in tale modo, se per
“osservazione” si intende una “fotografia spirituale”,
“priva di presupposti”, di tutti i processi fisici e
psichici che cadono nella sezione di spazio e di
tempo in esame, supposto che ciò sia possibile. Ma
l’imputazione causale si compie nella forma di un
processo concettuale che implica una serie di
astrazioni» (Possibilità oggettiva e causazione
adeguata nella considerazione causale della storia,
tr. it., pp. 213-4. corsivo aggiunto).
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Giudizi di possibilità e ragionamento controfattuale
«Ciò [la formulazione di un corretto giudizio di
possibilità] significa anzitutto, in ogni caso, la
creazione ─ diciamolo pure tranquillamente ─ di
quadri fantastici, formati prescindendo da uno o da
vari elementi della “realtà” esistenti di fatto, e
mediante la costruzione concettuale di un processo
mutato in rapporto ad una o ad alcune “condizioni”.
Già questo primo passo trasforma pertanto la
“realtà” data, allo scopo di farne un “fatto” storico [il
giudizio di possibilità], in un quadro concettuale:
nel “fatto” è appunto implicita per dirla con Goethe,
la “teoria”» (ibid., pp. 216-7).
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«Se si considerano però in maniera ancora più precisa
questi “giudizi di possibilità” ─ cioè le asserzioni su
ciò che “sarebbe” avvenuto nel caso di un’esclusione
o di un mutamento di certe condizioni ─ e se ci si
chiede in primo luogo come noi perveniamo ad essi,
non può sussistere alcun dubbio che si tratti senza
eccezioni di procedimenti di isolamento e
generalizzazione; ciò vuol dire che noi
scomponiamo il “dato” in “elementi”, finché ognuno
di questi può venir inserito in una “regola
dell’esperienza” e si può quindi stabilire quale effetto
vi “sarebbe” stato da “aspettare” da parte di ognuno
di essi, sussistendo gli altri come “condizioni”,
secondo una regola dell’esperienza» (ibid.)
La formulazione di un giudizio di possibilità che abbia
il carattere della validità è necessariamente legata a
regole generali dell’esperienza:
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«Un “giudizio di possibilità” … implica di continuo il
riferimento a regole dell’esperienza. La categoria della
“possibilità” non viene qui impiegata nella sua forma
negativa, cioè nel senso in cui essa è un’espressione della
nostra ignoranza, o dell’incompiutezza del nostro sapere;
al contrario, essa qui significa riferimento ad un sapere
positivo concernente “regole del divenire”, cioè al nostro
sapere “nomologico” , come si suole dire».
Nozioni di:
 fattore causalmente rilevante: fattore che, escluso «dal
complesso dei fattori determinanti, oppure mutato in un
determinato senso», avrebbe potuto determinare «in
base a regole generali dell’esperienza», un corso degli
eventi diversamente configurato rispetto a quello atteso;
 fattore causalmente irrilevante: fattore che, escluso o
mutato, non potrebbe determinare alcuna variazione nel
corso degli eventi attesi.
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Il grado di determinatezza del giudizio di possibilità
viene massimizzato mediante:
 analisi delle condizioni la cui presenza incide
positivamente, facendo aumentare il «grado di
favoreggiamento» (il grado di probabilità) che si
verifichi
proprio
quella
«conseguenza»;
ovviamente, nell’ambito delle scienze sociali tale
probabilità è solo stimabile in termini di maggiore o
minore ma non calcolabile con precisione;
 analisi delle condizioni neutrali o irrilevanti, la cui
presenza non altera in alcun modo quel livello di
probabilità;
 analisi delle condizioni la cui presenza incide
negativamente, facendo diminuire la probabilità
che si verifichi proprio quella «conseguenza».
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La causazione accidentale:
«Parliamo di causazione “accidentale” laddove sugli
elementi dell’effetto… hanno agito fatti i quali
hanno prodotto una conseguenza che non era…
“adeguata” ad un complesso di condizioni connesse
concettualmente in unità».
La formulazione di concetti di tipi:
Weber assegna un carattere di indispensabilità
all’elaborazione teorica nella costruzione di
resoconti esplicativi dei fenomeni storico-sociali
(«Per comprendere le connessioni causali reali, noi
procediamo a una costruzione irreale»).
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«La sociologia si distacca dalla realtà. Affinché [questi
concetti] possano designare qualcosa di univoco, la
sociologia deve formulare tipi puri (cioè tipi ideali)…
[i quali] mostrano in sé l’unità conseguente della
più completa adeguazione di senso, ma appunto
perciò non si presentano, in questa forma
assolutamente e idealmente pura, forse più di
quanto nella realtà si presenti una reazione fisica
calcolata in base al presupposto di uno spazio
assolutamente vuoto».
Perché la sociologia deve fare ricorso alla
formulazione di tipi ideali?
 Per l’alto grado di articolazione dell’oggetto di
studio (il numero totale di elementi che
intervengono ed interagiscono a costituire segmenti
di realtà dotati di senso);
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 per l’alto dinamismo che contraddistingue i processi
attraverso i quali una determinata realtà sociale viene a
costituirsi per poi modificarsi sotto l’effetto di quegli
stessi processi.
 «Allorché cerchiamo di riflettere sul modo in cui essa
[la realtà sociale] si presenta immediatamente a noi, la
vita ci offre una molteplicità, senz’altro infinita, di
processi che sorgono e scompaiono in un rapporto
reciproco di successione e contemporaneità, “in” noi e
“al di fuori” di noi. E l’assoluta infinità di questa vita
molteplice non diminuisce anche quando noi
prendiamo in considerazione un singolo “oggetto”
isolatamente – ad esempio un concreto atto di scambio
– e intendiamo studiarlo con serietà allo scopo di
descrivere questo “oggetto” singolo in maniera
esaustiva, in tutti i suoi elementi individuali, per non
dire poi nel penetrarlo nel suo condizionamento
causale».
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Che cosa non è un tipo ideale:
 non è un concetto osservativo;
 non è un concetto emanatistico (di essenza);
 non è un concetto normativo.
Che cosa è un tipo ideale:
«Esso è ottenuto mediante l’accentuazione unilaterale
di uno o alcuni punti di vista, e mediante la
connessione di una quantità di fenomeni particolari
diffusi e discreti, esistenti qui in maggiore e là in
minore misura, e talvolta anche assenti,
corrispondenti a quei punti di vista unilateralmente
posti in luce, in un quadro concettuale in sé unitario.
Nella sua purezza concettuale questo quadro non
può mai essere rintracciato empiricamente nella
realtà; esso è un’utopia».
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La duplice funzione del tipo ideale:
 1) euristica;
 2) espositiva.
Quando il “tipo ideale” esaurisce le sue funzioni?
La realtà sociale, per sua natura, appare difficilmente
imbrigliabile in uno schema astratto; il numero e la
qualità delle discrepanze tra quanto stabilito in una
dimensione tipico-ideale e quanto invece accade
nella realtà, costituiscono un criterio di valutazione
della funzionalità dello strumento concettuale
“tipico-ideale”.
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