UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET
ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF
BRUXELLES - BELGIQUE
THESE FINALE EN
“ART THERAPIE”
IN VIAGGIO TRA LE ISOLE
Costruzione e sperimentazione di un setting di Arteterapia
per bambini in situazione di disagio
Esperienza al Servizio Età Evolutiva
Dr.ssa Francesca Polverini
Matr. 2163
Bruxelles, Novembre 2009
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA
UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
FRANCESCA POLVERINI – SST EN ART THERAPIE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009
ASSOCIATO
Indice dei Contenuti
Introduzione ..................................................................................................................... 6
Parte prima – Inquadramento teorico
1. Quadro teorico di riferimento delle Arti Terapie..................................................... 10
1.1 Presupposti teorici e metodologici…………………………………………………10
1.1.1 Le competenze relazionali e comunicative nei contesti di aiuto e
il linguaggio non verbale…………………………………………………………………… 11
1.1.2 Il setting, i metodi e le tecniche in Arteterapia………………….………….…....12
1.1.3 La figura dell’Arteterapeuta e il suo ruolo……………………………………..…...14
1.1.4 L’Arteterapia con i bambini……………………………………………………….…..15
1.2 I principali modelli di riferimento delle Arti Terapie………………………….….16
1.2.1 Modello psicoanalitico…………………………………………………..………...…16
1.2.2 Modello fenomenologico………………………………………………………..18
1.2.3 Modello analitico immaginale……………………………………………….…19
1.2.4 Modello riabilitativo cognitivo…………………………………………………20
1.2.5 Modello sistemico-relazionale………………………………………………….21
1.2.6 Modello polisegnico…………………………………………………………….23
1.3 Tecniche e materiali delle Arti Terapie grafico-pittoriche…………………….….24
1.3.1 Tecniche………………………………………………………………….….…..24
1.3.2 Materiali……………………………………………………………..……....….36
2. I disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza nel DSM-IV............................................ 43
2.1 Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali: il DSM-IV …….…….43
2.2 I disturbi dell’Infanzia, della Fanciullezza e dell’Adolescenza……..………..….. 44
3. I meccanismi di difesa................................................................................................... 55
3.1 La funzione adattiva dei meccanismi di difesa …………………………….…. …55
3.2 I meccanismi di difesa nell’infanzia ……………………………………….……. 56
3.3 I principali meccanismi di difesa ……………………………………....……....... 57
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4. Il disagio scolastico nell’infanzia.................................................................................. 62
4.1 Il disagio scolastico: definizione e strumenti di valutazione ……………………. 62
4.2 Il sistema scolastico e il sistema familiare in un’ottica sistemica ……………….. 64
4.2.1 Un’applicazione dell’approccio sistemico nel contesto classe:
le Costellazioni Familiari………………………………………………………………….…..65
4.2.2 La Teoria delle Intelligenze Multiple (IM) di Howard Gardner e le sue
implicazioni in ambito didattico-educativo…………………………………………….65
4.3 La qualità delle relazioni nel gruppo classe: il Sociogramma di Moreno ………...66
5. Teoria e analisi del disegno infantile............................................................................. 68
5.1 Le fasi espressive del bambino ………………………………………….…….…. .68
5.2 Analisi del disegno …………………………………………………………….…. 69
5.3 I disegni test proiettivi: la figura umana, la famiglia, l’albero, la casa ……………72
5.3.1 Un esercizio: “Il paesaggio di montagna”………………………………………….…81
5.4 Il significato dei colori e il test di Luscher …………………………………….….. 83
Parte seconda – Esperienza pratica di Project Work
6. Il contesto del Project Work: il Servizio Unità Multidisciplinare Età Evolutiva
(UMEE)................................................................................................................................ 88
6.1 Organizzazione del Servizio UMEE …………………………………………….. 88
7. I laboratori di Arteterapia............................................................................................90
7.1 La costruzione del setting ……………………………………………………...…. 91
7.1.1 La strutturazione del tempo………………………………………………………….…..92
7.1.2 La strutturazione dello spazio…………………………………………………………...93
7.1.3 La struttura degli incontri del primo anno …………………………………....….97
7.2 L’evoluzione del setting ……………………………………………………….…. 98
7.2.1 Materiali e tecniche…………………………………………………………...…101
7.2.2 La struttura degli incontri del secondo anno……………………………………104
7.3 La relazione paziente-terapeuta attraverso l’immagine………………………..…105
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8. I bambini seguiti e i laboratori di Arteterapia....................................................... 107
8.1 I casi seguiti nel primo anno: i bambini, la famiglia, l’analisi
della richiesta e del bisogno, gli incontri di Arteterapia…………………….……...107
8.1.1 La valutazione del caso da parte dell’UMEE e il passaggio
di consegne………………………………………………………………………….…….….132
8.2 I casi seguiti nel secondo anno: i bambini, la famiglia, la diagnosi,
i laboratori espressivi…………………………………………………………….…..134
Conclusioni…………………………………………………………… …………….…191
Bibliografia…………………………………………………………………………......193
Discografia………………………………………………………………………..…….196
Un ringraziamento davvero speciale va alla dottoressa Flavia Sabbatini, responsabile del Servizio UMEE di Osimo, a
cui si dedica con dedizione e passione. Grazie a lei è stato per me possibile fare un’esperienza di valore inestimabile,
per la mia vita e per la mia professione. Ho potuto apprendere tanto grazie alla sua professionalità, che ha messo a mia
disposizione e grazie alla sua umanità, che mi ha permesso di apprendere tanto, con la mente e con il cuore.
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“L’isola che non c’è è un luogo fatato
in cui solo i bambini possono accedervi,
grazie alla loro immaginazione,
seguendo la seconda stella a destra
e poi dritto fino al mattino”…………
“Nel mio villaggio, in Africa, c’è un’unica strada asfaltata.
Il resto è tutta terra, rossa e sottile, dove ognuno lascia le
proprie impronte. Se uno passa di là e si volta indietro,
può vedere il cammino che ha fatto.
Qui invece c’è solo cemento. Se ti perdi o
sbagli strada sei finito: nessuno ti troverà mai!”.
Elisabetta Jankivic “Un regalo per Goumba”
“Ho coltivato nel mio spirito un giardino di rose.
L’ho nascosto dentro una scorza dura.
Fuori ho messo un cartello
per vietare l’ingresso ai cattivi”…
Giovanni Allevi
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INTRODUZIONE
Penso che una delle maggiori potenzialità delle Arti Terapie sia proprio quella di facilitare
enormemente la riscoperta “di quel giardino di rose” presente in ognuno di noi, riscoperta
che può aiutare a ritrovare o scoprire la serenità e l’armonia nella propria vita. Ognuno di
noi crea una “scorza dura” dentro alla quale difendersi, difendere i propri sentimenti e il
proprio fragile Sé. Credo fermamente che l’arte, in tutte le sue espressioni e la creatività in
generale, possa dare un contributo di fondamentale importanza alla guarigione e a maggior
ragione se si tratta di bambini, che hanno naturalmente sviluppati al massimo grado queste
capacità e desideri, ma a volte purtroppo non hanno lo “spazio” per esercitarle e poterne
così trarre beneficio.
Ho avuto modo di scoprire l’importanza del lasciare una propria traccia, segno del nostro
passaggio nel mondo, della nostra esistenza e per questo unica e irripetibile.
Grazie a questa bellissima esperienza fatta con i bambini, ho scoperto davvero un luogo
fatato, a cui solo loro riescono ad accedere, grazie alla loro immaginazione ed in cui è
difficile per un adulto entrare, a meno che non si riesca a trovare la giusta porta d’ingresso e
così avere il privilegio di fare insieme a loro un indimenticabile viaggio.
Ciò che mi ha spinto ad intraprendere la strada dell’Arteterapia sono stati la mia passione
per l’espressività, la creatività, “il fare” con materiali e colori, la musica, che mi ha sempre
accompagnato fin da bambina e della quale, crescendo ho saputo scoprirne sulla mia pelle le
valenze terapeutiche ed è stato anche il bisogno di dedicarmi agli altri ed essere di sostegno
e aiuto nelle situazioni di sofferenza e disagio.
La decisione di iniziare ad occuparmi dei bambini in situazione di disagio (e non), è stata
maturata a partire dalla convinzione che tutto ciò che di buono si trasmette loro contribuirà a
formare gli adulti di domani, che potranno essere così più felici o infelici, più sani o più
malati. Quindi è importante, soprattutto in questa società, competitiva, complessa e nella
quale il disagio assume sempre di più forme asintomatiche, trasmettere ai bambini il valore
che assume l’espressione delle proprie emozioni e sentimenti, del proprio vissuto interiore e
sentire profondo, perché questo li accompagnerà nella vita, contribuendo a renderli persone
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più serene. Inoltre il bambino che siamo stati, è sempre in noi ed è bello (anche se talvolta
difficile, ma comunque sempre utile) riscoprirlo attraverso quello che riescono a trasmette i
piccoli.
Questo lavoro costituisce la naturale prosecuzione di quello del primo anno, che aveva preso
in esame, a livello teorico, il ruolo della creatività nello sviluppo psico-affettivo del
bambino, elaborando solo delle idee di laboratori di Arteterapia con i bambini, dunque nella
seconda parte di questa tesina descriverò il concretizzarsi di quelle idee e l’esperienza fatta
nel corso degli ultimi due anni con bambini eccezionali, grazie ai quali sono riuscita a
strutturare un setting funzionale e coerente con l’obiettivo terapeutico, in quanto sono stati
fonte di stimolo, di ispirazione e di gioia.
Nello stesso periodo, ho avuto altre esperienze, che si sono svolte al di fuori dell’ambito di
tirocinio e formazione in Arteterapia, ma che hanno rappresentato dei contesti privilegiati di
osservazione di bambini in situazione di disagio e che mi hanno fatto trovare un filo rosso
tra tutte queste esperienze, un pattern wich connects (Bateson).
Mi riferisco in particolare ai centri estivi “Aquilone”, realtà in cui ho lavorato durante il
periodo estivo, e che mi hanno dato modo di stare a contatto con bambini affetti da disturbi
di varia natura (quali ritardo mentale medio-grave, disturbo pervasivo dello sviluppo,
disturbo oppositivo provocatorio) e al sostegno scolastico che ho fatto ad alcuni bambini
con disturbi di apprendimento che mi sono stati inviati dall’UMEE.
Nella prima parte di inquadramento teorico, ho scelto di trattare, alcuni temi che ritengo
molto importante conoscere quando ci si trova ad operare con l’infanzia in un contesto
terapeutico.
Quindi, dopo un’introduzione generale sui modelli, tecniche e materiali delle Arti Terapie
plastico-figurative, farò una breve descrizione del sistema di classificazione internazionale
delle malattie mentali con particolare riferimento alla categoria dei Disturbi dell’Infanzia e
dell’Adolescenza, approfondendo solo alcuni dei disturbi che rientrano in questo capitolo, in
quanto riguardano i bambini che ho seguito presso l’UMEE o con i quali sono entrata a
contatto ai centri estivi o in occasione del sostegno scolastico.
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Passo poi a descrivere i principali meccanismi di difesa, in quanto sono modalità normali di
funzionamento a livello adattivo e che qualora diventino disadattive, possono diventare
patologiche.
Tratterò poi il tema del disagio scolastico, in quanto si accompagna sempre alle situazioni di
sofferenza del bambino e farò un breve cenno a due teorie che applicate al contesto
scolastico, hanno entrambe il merito di porre al centro il bambino, nella sua specificità e
nella peculiarità del suo contesto familiare e sociale di riferimento: l’approccio sistemico e
la Teoria delle Intelligenze Multiple.
Concludo la parte di inquadramento teorico trattando alcuni aspetti dello sviluppo del
disegno nel bambino e l’analisi dei suoi elementi principali, concentrandomi soprattutto su
alcuni disegni test proiettivi utilizzati dagli psicologi a scopo diagnostico (la figura umana,
la famiglia, l’albero e la casa), descriverò un esercizio che li ricomprende tutti ed infine
tratterò il tema del colore, il suo significato e un test che si basa su di esso: il test di Luscher.
Nella seconda parte del lavoro descriverò il contesto del Project Work, cioè il Servizio
Unità Multidisciplinare Età Evolutiva (UMEE) della ASL di Ancona, Distretto Sud OsimoOffagna, a partire dalla sua organizzazione e dalle sue funzioni, descriverò poi i bambini
che ho seguito, la loro situazione e la problematica che li ha fatti arrivare al Servizio, come
avviene la presa in carico congiunta tra la psicologa referente e me, e la definizione degli
obiettivi. Infine descriverò come ho strutturato gli incontri e come si è andato definendo il
setting di Arteterapia.
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Parte prima
Inquadramento teorico
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1. Quadro teorico di riferimento delle Arti Terapie
1.1 Presupposti teorici e metodologici
I principi base dell’Arteterapia si identificano nella compresenza di:
 ambiente relazionale;
 materiali artistici come mediatori;
 processo creativo;
 risorse emotive e relazionali.
Uno degli obiettivi generali dell’Arteterapia consiste nel favorire forme di integrazione, sia
tra l’individuo-persona e il gruppo e sia tra i tre livelli dell’esperienza, l’emozione, l’azione
e il pensiero.
Tra gli obiettivi specifici dell’Arteterapia troviamo:
 fornire strumenti per gestire le proprie emozioni, paure e desideri;
 condivisione delle esperienze;
 favorire fiducia e autostima;
 sviluppare le risorse creative, espressive e relazionali;
 favorire il dialogo mente-corpo;
 favorire l’integrazione attraverso la valorizzazione delle differenze;
 prevenire l’insorgere di psicopatologie e le condizioni di emarginazione sociale.
L’essenziale in Arteterapia, non sta nel prodotto, ma nel processo creativo, che coinvolge
globalmente la persona e le sue emozioni. Con processo creativo si intende tutto quello che
avviene nel corso della produzione artistica, compreso quali materiali usiamo, che cosa
avviene nel tempo, come siamo presenti nella situazione, se ci sentiamo bloccati, in
difficoltà o se viceversa ci sentiamo in una situazione piacevole.
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Quindi sono molti gli aspetti che l’arteterapeuta deve osservare mentre il processo si sta
svolgendo, ad esempio l’approccio ai materiali, il loro utilizzo, come viene affrontato lo
spazio del foglio, dove è stato lasciato il primo segno, quale forma è emersa, quali colori
sono stati usati, con quale stato d’animo si affronta l’esperienza.
Familiarizzare con questo processo e con i livelli di coscienza che convivono in esso è il
nostro primo compito e vale come presupposto della capacità di sentire e sensibilizzarsi ad
una diversa forma di comunicazione pre-verbale.
L’Arteterapia deve contribuire a costruire una nuova narrabilità di sé stessi traducendo le
emozioni in immagini, le immagini in metafore e le metafore in nuove narrazioni del
proprio vissuto emotivo ed esperienziale.
Una delle importanti funzioni dell’espressione artistica è quella di dare corpo al proprio
sentire, tenendo conto del fatto che il sapere e la conoscenza sono, in primis, di tipo visivo e
sensoriale. Tra noi e il mondo fisico c’è sempre un “filtro creativo” e dunque l’Arteterapia
si basa anche sulla consapevolezza che la fantasia non rinnega la realtà, ma anzi la
completa.
1.1.1 Le competenze relazionali e comunicative nei contesti di aiuto e il linguaggio
non verbale
Le competenze relazionali e comunicative rivestono un’importanza cruciale in ogni
relazione di aiuto. La comunicazione non si può imporre, essa deve instaurarsi
spontaneamente e sarà compito del terapeuta creare i presupposti che favoriscano il suo
nascere.
Le Arti Terapie si collocano nell’ambito della comunicazione non verbale, analogica.
Secondo teorie ormai consolidate, gran parte della comunicazione tra individui viaggia sul
canale analogico. La componente non verbale della comunicazione riveste un ruolo
predominante rispetto allo svolgersi dell’interazione e all’efficacia della comunicazione.
La presa in carico del paziente comporta un’assunzione di responsabilità e l’accettazione di
prendersi cura della sua interiorità.
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1.1.2 Il setting, i metodi e le tecniche in Arteterapia
E’ importante per prima cosa definire cosa si intende per setting in attività di psicoterapia e
quali elementi fondamentali lo compongono. Infatti esso non comprende solo elementi
“strutturali” e materiali, ma anche le relazioni che si instaurano tra il terapeuta e i pazienti.
Dunque l’elemento comunicativo e relazionale viene ad essere essenziale e caratterizzante
un setting terapeutico. Possiamo immaginarlo come un contenitore, che accoglie quanto sta
avvenendo nello spazio-tempo, una cornice contenitiva degli stati emotivi che si sviluppano
durante le attività e nella relazione tra paziente e terapeuta. I rituali di inizio e fine hanno la
funzione di delimitare il tempo, contribuendo così a creare quella cornice e fanno parte
integrante del setting.
Entrando più nello specifico di un setting
di Arteterapia, questo è caratterizzato dai
materiali presenti, dalla loro disposizione nello spazio e dalle regole del gioco in parte
stabilite in partenza ed in parte contrattate di volta in volta. L’utilizzo di materiali creativi ha
la finalità anche di gettare un ponte comunicativo tra le parti e vengono ad assumere la
funzione di oggetti transizionali (Winnicott, 1974), oggetti mediatori, né del tutto interni né
esterni, ma aventi valore simbolico e attraverso i quali è più facile esprimere un senso del
proprio Sé e del proprio vissuto emotivo, quando tale esperienza non si presta ad essere
verbalizzata.
I materiali e le attività che vengono svolte hanno l’importante funzione di mediare nella
comunicazione paziente-terapeuta, evitando il confronto troppo diretto e facilitando sia
l’uscita del paziente dal suo isolamento che la crescita della sua fiducia nei confronti del
terapeuta, creando un clima di prevedibilità, rassicurante per il soggetto fragile. Occorre che
il terapeuta sia consapevole della lentezza con cui può avvenire il processo, in quanto spesso
si rende necessaria la ripetizione prolungata delle attività, per creare un clima di familiarità.
A volte, naturalmente si presentano periodi di regressione, che poi scompaiono.
Ciascun materiale ha un suo linguaggio e caratteristiche specifici, che possono avere
valenza di contenimento o di facilitazione. Importante osservare l’approccio ai materiali, ad
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esempio capiterà che qualcuno abbia paura di sporcarsi e rifiuti l’idea di dipingere con le
mani.
Ad esempio i materiali fluidi hanno un potenziale di espansione e facilitano la regressione,
soprattutto se bagnati o usati senza strumenti, mentre i materiali resistenti, che richiedono
nel loro utilizzo un maggior impiego di energia, aiutano a rinforzare la consapevolezza dei
confini corporei, la struttura, il proprio Io.
Anche le diverse tecniche hanno lo scopo di favorire alcuni processi mentali ed emotivi e
rispondono a specifici bisogni, ad esempio la tecnica del collage permette di lavorare sulla
frammentazione e ricomposizione ed aiuta a sviluppare una maggiore flessibilità, in quanto
gli oggetti possono essere riciclati ed osservati da altri punti di vista. Nelle situazioni più
complesse l’offerta di stimoli deve essere graduale.
In una seduta di arte-terapia è interessante osservare ogni movimento, a partire dalla scelta
del materiale, soprattutto quando ce ne sono molti a disposizione, anche se non tutte le
situazioni si prestano ad esperimenti del genere, in quanto in alcune particolari circostanze,
soprattutto relative a determinate condizioni patologiche, non è opportuno mettere a
disposizione molti materiali troppo presto e creare una sovrabbondanza di stimoli. Infatti
nelle situazioni complesse, patologiche, che spesso si esprimono graficamente attraverso le
stereotipie, cioè ripetizione ossessiva degli stessi oggetti, dovuta anche alla povertà di
risorse espressive, una sovrabbondanza di materiali può risultare destabilizzante.
E’ fondamentale (soprattutto nelle sedute di gruppo), dare delle regole precise da rispettare.
E’ bene mettere in evidenza, qualora vi siano presenti degli accompagnatori che non si tratta
di attività di intrattenimento, ma di attività con precise regole, contenuto ed obiettivi.
La valutazione delle caratteristiche estetiche ed espressive deve essere usato dal terapeuta al
solo fine di individuare lo stile e le tendenze di ciascuno e stimolare nuove e possibili
esplorazioni del linguaggio espressivo.
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Il setting in Arteterapia ha anche la funzione di “risvegliare” il processo creativo che è
strettamente connesso con il processo terapeutico, in quanto è un processo di trasformazione
e di elaborazione della propria esperienza. Affinché si realizzi questa trasformazione è
fondamentale l’esperienza del piacere, che sta alla base della motivazione. E’ molto
importante che l’arte terapeuta sappia favorire la motivazione anche nei soggetti con
maggiori difficoltà di espressione e per fare questo deve riuscire a coinvolgere la persona, il
bambino nel processo artistico e rendere l’esperienza artistica adattabile e percorribile. Il
piacere che si prova facendo, è fattore di motivazione essenziale, ciò fa sì che l’esperienza
artistica abbia un enorme potere di motivare le persone a superare i propri limiti,
coinvolgendole emozionalmente.
Ci muoviamo sempre in un contesto di complessità, in cui non si può controllare il processo,
ma lo si può solo osservare e descrivere.
Nella conduzione degli incontri di Arteterapia, ci sono alcuni principi base a cui attenersi,
quali:

la definizione precisa dei limiti di spazio-tempo;

l’analisi del proprio stato d’animo ed essere presenti nella seduta, ascoltando,
osservando e facendo da specchio;

la risposta a quello che viene portato dal paziente, accettando, incoraggiando,
rassicurando e gratificando;

la flessibilità, incoraggiando la creatività e l’indipendenza.
1.1.3 La figura dell’Arteterapeuta e il suo ruolo
Durante la seduta, l’arteterapeuta non può essere neutrale, nessuno di noi può esserlo in
quanto parte del contesto in cui si sta svolgendo il processo creativo, ma può e deve far sì
che il processo nel suo insieme lo sia, creando le condizioni perché le risonanze che sente in
sé vengano trasformate in empatia e non in proiezione. E’ necessario che sia ben
consapevole di queste risonanze e dei pregiudizi che ognuno di noi inevitabilmente porta
con sé, così da poter osservare il processo in maniera neutrale.
Il ruolo dell’arteterapeuta consiste principalmente nel:
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difendere il setting ogni qual volta emergano elementi di conflitto/ giudizio, al fine di
rendere sempre possibile l’ascolto reciproco non dare soluzioni al paziente, ma aiutarlo a
vedere, discriminare, pensare (Bion)
porre attenzione a tutto ciò che si sta svolgendo, le storie ci dicono qualcosa nell’hic et nunc
(Bateson).
L’arteterapeuta possiede specifiche competenze attinenti sia la dimensione più prettamente
artistica, sia quella relazionale e psicodinamica, che riguardano gli stadi dello sviluppo
evolutivo, la comunicazione non verbale, le componenti emotive e relazionali del processo
creativo e le metodologie artistiche e relazionali.
1.1.4 L’Arteterapia con i bambini
Le sedute di Arteterapia si fondano sui principi teorici che riguardano gli stadi dello
sviluppo del bambino e i benefici terapeutici del fare e del creare.
E’ dunque fondamentale che l’arteterapeuta abbia sufficienti conoscenze sullo sviluppo
psicologico del bambino, sulle dinamiche del comportamento, sulle caratteristiche
dell’ambiente sociale, al fine di integrare gli aspetti cognitivi con quelli affettivi, durante il
processo artistico.
Man mano che il bambino costruisce una relazione di fiducia con il terapeuta, inizierà anche
a comunicare le sue difficoltà e potrà essere aiutato:
- ad imparare ad accettare i propri prodotti artistici, “belli o brutti” che siano, accettando
così le parti “buone e cattive” di sé, senza che queste ultime debbano essere negate in
quanto possono annullare gli aspetti positivi;
- ad aprirsi all’universo simbolico, imparando a riconoscere ed accettare la differenza tra
fantasia e realtà.
Nella fase iniziale è bene incentrare le sedute sull’esplorazione dell’ambiente e dei
materiali, attraverso esperienze tattili (usando materiali e tecniche diverse) e visive (di
colore e di luce).
Il fatto di lasciare la libertà nella scelta dei materiali, nella sperimentazione e nella scelta del
tema del proprio disegno è fondamentale per rafforzare la motivazione e l’autonomia del
bambino.
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Quando ci si trova in presenza di una creazione che disturba “esteticamente” o di un
comportamento distruttivo (come la perdita di controllo e distruggere o rovesciare i
materiali) li si può riorganizzare e far loro acquisire nuova forma e significato, creando così
una nuova narrazione.
1.2 I principali modelli di riferimento delle Arti Terapie
In questo capitolo viene fatta una breve panoramica dei principali orientamenti e modelli di
riferimento delle Arti Terapie.
Una questione di fondo consiste nel rapporto che esiste tra “arte” e “terapia” ed in
particolare nel grado di autonomia che si riconosce all’Arteterapia rispetto alle psicoterapie
classiche. Esistono due posizioni fondamentali, l’una che vede l’Arteterapia come del tutto
autonoma e l’altra che la considera come un’ancella delle psicoterapie tradizionali.
In Italia le terapie artistiche si sono principalmente sviluppate non a partire da un modello
teorico generale e condiviso, ma nel contatto con l’utenza, nell’esperienza quotidiana dei
servizi, appartenenti ai diversi ambiti, quelli della prevenzione, socio-educativo e
psicoterapeutico.
I modelli di riferimento delle Arti Terapie provengono dalla psicoanalisi, dalla psicologia
relazionale, cognitiva e dalla psicosomatica, ma sta emergendo un orientamento diverso che
vede la radice principalmente nel processo creativo e dotata di paradigmi teorici incentrati
sui codici artistici.
Di seguito una breve descrizione di questi modelli, che in sintesi possiamo suddividere in
due categorie principali, quelli a matrice psicodinamica o psicoanalitica e quelli a matrice
psicosistemica o psicorelazionale (Molteni, 2007).
1.2.1 Modello psicoanalitico
I concetti di base di questo modello si rifanno alle teorie psicoanalitiche e si basano sui
concetti alla base di queste. In particolare la psicoanalisi ha dato una definizione di
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inconscio come sede delle pulsioni, ha introdotto il concetto di interpretazione dei simboli
ed ha permesso di evidenziare il carattere terapeutico in sé della produzione artistica.
Le Arti Terapie che si fondano su questo modello sono definite ad orientamento
psicodinamico. Secondo tale approccio la creazione artistica esprime il bisogno psichico
che ha l’individuo di tradurre i contenuti interni in oggetti reali esterni e quindi l’obiettivo
primario è quello di espressione del proprio vissuto interiore. Il contributo maggiore della
teoria psicoanalitica alle Arti Terapie è quello aver dato alla produzione artistica un
significato nuovo, per cui quello che interessa non è più il prodotto artistico in sé, bensì la
relazione che si stabilisce tra la vita interiore dell’autore e il prodotto artistico.
Secondo Freud, la funzione primaria dell’arte è quella di oggettivare desideri e contenuti
rimossi attraverso la loro rappresentazione e perciò il compito del terapeuta è quello di
interpretare tali desideri e contenuti.
Per Winnicott, altro esponente di questo approccio, la produzione artistica nasce
dall’esperienza maturata nella prima infanzia e introduce il concetto, centrale in tutte le
terapie espressive, di oggetto transizionale (quello di cui ha bisogno il bambino nella fase di
separazione dalla madre), che non è semplicemente un oggetto interno o una costruzione
mentale, perché esiste anche come oggetto del mondo esterno ed ha quindi allo stesso
tempo una natura reale e simbolica, tale da non poter essere tenuto sotto controllo.
Secondo Edith Kramer l’arte diventa una zona franca, che rende possibile l’espressione di
nuovi atteggiamenti e risposte emotive prima che si concretizzino nella vita quotidiana.
Secondo Margaret Naumburg il processo dell’Arteterapia orientata dinamicamente è basato
sul riconoscimento che i pensieri e sentimenti fondamentali dell’uomo derivino
dall’inconscio e per questo raggiungono la loro massima espressione nelle immagini più che
nelle parole.
Il linguaggio creativo utilizza il simbolo come mezzo per consentire il passaggio
dall’interno all’esterno, facilitando il superamento delle difese. Una caratteristica del
modello psicoanalitico sta nel fatto di operare una continua traduzione delle immagini dal
codice analogico che è loro proprio, ad un codice verbale tipico del modello teorico.
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Il modello psicoanalitico si applica soprattutto nelle terapie individuali e il ruolo del
terapeuta, coerentemente con tale modello, è quella di specchio, per cui egli non partecipa
attivamente alla produzione di immagini, ma assiste al lavoro fornendo dei rimandi perlopiù
verbali, ma a volte anche non verbali, attraverso la restituzione di immagini (vedi tecnica
del Disegno Speculare Progressivo di Benedetti)
1.2.2 Modello fenomenologico
Le radici filosofiche di questo modello si rifanno alla fenomenologia di Husserl, alla
filosofia esistenzialista di Heiddeger e alla corrente psichiatrica detta “Nuova Psichiatria”.
Secondo questo approccio è essenziale la relazione dell’individuo con il mondo circostante
e questo “essere nel mondo” è specifico di ciascuno ed è il modo di essere costitutivo
dell’uomo.
L’essere umano è quindi costituito dalle relazioni concrete che ha con le cose e con gli altri
e in ragione di questo può essere conosciuto e studiato solo attraverso queste relazioni. Ha
quindi bisogno di sentirsi parte di un mondo comune e condiviso con gli altri e l’Arteterapia
(soprattutto le esperienze di gruppo) può facilitare questa esperienza di apertura e
condivisione.
Il modello fenomenologico non va inteso come una teoria o una tecnica psicoterapeutica
specifica, ma piuttosto come un particolare modo di guardare i vissuti del paziente ed è
quindi trasversale ai vari approcci. Questo sguardo particolare deriva dalla capacità
dell’osservatore di essere presente in maniera discreta e di non farsi condizionare da idee
preconcette e modelli teorici.
Questo nuovo approccio al malato implica una diversa impostazione nella conduzione delle
attività di Arteterapia, il cui scopo principale diventa il sostegno all’attività creativa del
paziente, alla quale si attribuisce un valore terapeutico in sé e non più lo stimolare una
produzione di materiale a scopo diagnostico e clinico. Le immagini del paziente vanno
considerate come espressione del suo specifico e unico modo di essere-nel-mondo.
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Dato che viene individuato come scopo centrale delle Arti Terapie la possibilità di scoprire
un mondo comune che consenta di superare la propria solitudine, questo implica nella
pratica, a livello di tecniche e di metodo di conduzione delle sedute, che vi sia un gruppo
non gerarchico al quale anche il conduttore partecipa attivamente alla produzione al pari
degli altri e che non si pone come detentore di una verità, ma come custode del gruppo.
.L’atteggiamento da tenere durante le sedute è quello della non intrusività, ragione per cui il
terapeuta non dovrebbe tentare di penetrare il mondo interno del paziente
attraverso
l’interpretazione diretta, né verbale né analogica, delle sue produzioni, consapevoli del fatto
che nelle produzioni artistiche del paziente non ci sono verità nascoste da svelare, ma solo
modi di essere nel mondo, che cercano di emergere e prendere forma, per questo tutti hanno
pari valore e significato.
1.2.3 Modello analitico immaginale
Le radici di questo modello si trovano nel pensiero Junghiano e nella sua rielaborazione
archetipico-immaginale dovuta in particolar modo ad Hillmann. Questo è un modello di tipo
psicodinamico, ma rispetto agli altri modelli psicoanalitici ha posto come centrali due
concetti, quelli di metafora e guarigione, e questo lo rende particolarmente adattabile alle
Arti Terapie.
Il concetto di metafora richiama il fatto di esplorare un oggetto tramite il riferimento
all’immagine o ad un altro oggetto. Secondo il presupposto junghiano la psiche umana
ragiona e procede per immagini e l’equivalente razionale più vicino ad essa è la metafora o
l’analogia.
La distinzione fondamentale è quella tra mondo interno/psichico, che è analogico,
immaginale, archetipico, senza tempo e il mondo esterno/reale che è digitale, costruito per
categorie opposte (come buono/cattivo, bello/brutto, utile/inutile, prima/dopo, ecc.).
Le Arti Terapie sono analogiche.
Riguardo al concetto di guarigione, i sintomi del paziente e le sue immagini possono essere
considerati, non solo sotto l’aspetto psicopatologico, ma anche come tentativi di guarigione.
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La possibilità di guarigione è legata all’individuazione delle proprie potenzialità e si
definisce rispetto al soggetto e non “a priori”.
Secondo la visione della psicologia immaginale, le immagini non debbono essere spiegate,
interpretate e razionalizzate, ma debbono essere esperite, accolte, assecondate, invertite, e
infine sentite, quindi fatte oggetto di relazione.
Il modello immaginale presuppone l’esistenza di una porzione di psiche non conscia,
popolata di contenutici arcaici, che non sono mai stati nella sfera della coscienza e che
riflettono processi archetipici (l’inconscio collettivo), non conoscibili in sé ma solo
attraverso le loro immagini. Gli archetipi definiscono il modo specifico in cui ciascuno
percepisce il mondo e si mette in relazione con esso.
L’arteterapeuta si pone come il “guaritore ferito” e quindi non come un soggetto “sano”
detentore di verità e utilizza molto il controtransfert, esprimendosi insieme e in unione con i
pazienti, condividendone l’esperienza e il suo rapportarsi alle proprie immagini può fungere
da esempio per i pazienti.
Il modello immaginale ispira tutte le tecniche di Arteterapia in cui la conduzione non appare
distante e asettica, ma partecipativa e il concetto di dialogo tra immagini (anche tra paziente
e terapeuta) diventa fondamentale alla costruzione del setting.
1.2.4 Modello riabilitativo cognitivo
In questo modello si collocano alcune tecniche di Arteterapia applicate ai disturbi di tipo
cognitivo, che compromettono quindi le funzioni e i processi cognitivi.
Partiamo dalla premessa che i deficit neurologici vanno ad intaccare le abilità comunicative
fondamentali e i disturbi di tipo cognitivo in generale portano disturbi della comunicazione.
Un possibile modo per superare questo deficit è quello di attivare le strutture cognitive
deficitarie con una diversa modalità espressiva e attraverso l’utilizzo di meccanismi
espressivi formalmente meno complessi, che permettono di sviluppare strategie
comunicative alternative, meno frustranti sul piano emotivo e più adeguate e recupero di
funzioni relazionali.
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Un obiettivo dell’Arteterapia nel caso di trattamento di soggetti con gravi deficit
neurologici, è quello di consentire di migliorare il riconoscimento dei propri stati d’animo e
la manifestazione e comunicazione di questi.
L’Arteterapia è come un ponte tra il mondo interno del paziente e le esperienze da lui
vissute e consente all’operatore di conoscere le sue modalità di comprensione ed
elaborazione e al paziente di esprimere in modo meno formalizzato e con regole
comunicative meno rigide, i propri vissuti.
L’Arteterapia permette di attivate le meta rappresentazioni e appare molto adatta per
riattivare capacità comunicative attraverso la stimolazione di diversi canali sensoriali
(sinestesia). Le Arti Terapie rafforzano il senso del sé e il riconoscimento della propria
individualità.
1.2.5 Modello sistemico-relazionale
I presupposti teorici fanno riferimento alla teoria dei sistemi, alla cibernetica (di secondo
ordine) e alla teoria della comunicazione e tra gli esponenti più illustri da menzionare
Gregory Bateson e Paul Watzlawick con il gruppo di Palo Alto nel panorama internazionale
e la scuola di Milano (Milan Approach) di Selvini Palazzoli, in quello italiano.
L’approccio Sistemico-Relazionale si distingue per una particolare attenzione all’insieme
delle relazioni che ogni individuo crea interagendo con l'ambiente e con gli altri (sistema).
Per sistema si intende un insieme dai confini ben delineati e composto da elementi
interdipendenti tra loro, che tende al raggiungimento di un obiettivo, producendo una serie
di attività. La famiglia è un sistema di cui i vari familiari, con le loro caratteristiche
individuali ed i loro ruoli, costituiscono gli elementi interdipendenti. Come gli elementi del
sistema, i membri di una famiglia sono collegati tra loro da una rete di relazioni, a volte
implicite a volte esplicitate in scambi comunicazionali. I vari membri di un sistema sono
considerati interdipendenti fra di loro, ed è pertanto facile comprendere come i vissuti ed i
significati di un suo membro possano essere condivisi dagli altri.
Scegliere la relazione come oggetto e luogo dell’osservazione implica il considerare l’uomo
all’interno dei rapporti più importanti per la sua evoluzione. L'approccio sistemico21
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relazionale ha costruito la sua metodologia clinica intorno all'idea che il disagio psichico
può essere colto attraverso l'osservazione delle relazioni umane, in particolare quelle che
vengono a costituirsi all'interno del nucleo familiare. Il paziente, allora, non è colui che
subisce ed esibisce un sintomo, ma, è esso stesso un sintomo: quello di una famiglia
disfunzionale.
Il sintomo psicopatologico o psichiatrico acquista valore nel suo significato comunicativo e
relazionale e va considerata la funzione che svolge nell’ambito delle dinamiche familiari.
L’epistemologia sistemica si basa sull’idea di complessità e dunque di verità molteplici e
poggia sull’idea che è il contesto, fatto dalle relazioni e dalle comunicazioni, a dare senso al
comportamento umano (secondo Bateson il contesto va considerato quale matrice dei
significati). Un ulteriore elemento che caratterizza tale approccio è il passaggio da una
lettura lineare degli eventi (causa-effetto) ad una circolare e retroattiva, che si basa dunque
sul calibrare la nuove comunicazioni sui feedback che si ricevono e ragionare in un’ottica di
complessità. Nell’ottica della complessità io non posso controllare il processo, ma posso
solo osservarlo e percepirsi all’interno di una realtà complessa significa essere consapevoli
che essa può essere colta solo attraverso un allargamento del campo di osservazione.
Un altro concetto centrale, riguarda il quello di osservazione e di osservatore. L’idea di
osservatore esterno viene considerato ormai un errore epistemologico, in quanto non può
essere altro che parte del sistema che osserva (osservatore partecipante) ed in quanto tale
influenzante tale sistema (cibernetica di secondo ordine). Mentre la cibernetica di primo
ordine separa ancora il sistema osservato, da quello osservante, la cibernetica di secondo
ordine supera tale distinzione. L’osservatore è parte attiva nel processo di costruzione della
realtà, e questo rientra nel paradigma della complessità. Portando questo ragionamento al
contesto terapeutico, il terapeuta è esso stesso parte della terapia.
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1.2.6 Modello polisegnico
Alla base del modello polisegnico non sta la matrice psicologica, ma quella artistica e fa
riferimento alle regole che governano l’arte considerata come un linguaggio (è questo lo
specifico dell’arteterapia rispetto alle altre forme di terapia verbale e dalla psicoterapia a
mediazione artistica). Secondo tale approccio il medium artistico non costituisce un
espediente per accedere al verbale e agevolare la comunicazione, ma per facilitare il flusso
di coscienza e la validità comunicativa delle produzioni del paziente va ricercata
nell’evoluzione (o involuzione) del suo idioma artistico. La relazione arteterapeutica e la
decodifica devono essere interne all’arte.
Secondo questo approccio l’arte viene ad acquisire un ruolo del tutto autonomo e si giunge a
questo risultato nel momento in cui si riesce a capire il suo messaggio intrinseco, senza
ricorrere ad interpretazioni, a spiegazioni e a verbalizzazioni chiarificatrici.
In questa ottica, la lettura delle immagini si avvarrà esclusivamente di elementi del
linguaggio visivo e plastico, considerando le regole proprie della costruzione delle
immagini, quali linea, colore, forma, luce e ombra, spazio, combinate insieme secondo le
altre regole del ritmo, del peso, dell’equilibrio, della simmetria e del movimento. Tutto
questo costituisce la “grammatica” dell’arte e ciò che avviene durante la creazione artistica.
Secondo questo approccio l’arteterapeuta deve fare una diagnosi di arteterapia utilizzando
gli strumenti propri del codice artistico. Non può instaurare una relazione con il paziente
basandosi sulle intuizioni degli invianti, né sulle diagnosi e le indicazioni fatte da altri
professionisti. No si dovrebbe aver bisogno di una diagnosi psicologica o psichiatrica, né
cadere nell’abitudine interpretativa e descrittiva, ma occorre saper leggere l’immagine.
Di Gregorio, ideatore del metodo, descrive sei funzioni fondamentali del linguaggio visivo:
1. funzione strumentale: è propria della produzione che ha una funzione di catarsi, di
sublimazione e di superamento dei meccanismi di difesa da parte della scarica pulsionale,
come la action painting o il dripping;
2. funzione regolatoria: si ha quando la modalità privilegiata dal paziente mira all’attività
riparativa dell’oggetto interno distrutto, manipolando e dipingendo il suo sostituto;
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3. funzione immaginativa: si ha quando il paziente crea con le immagini un mondo illusorio,
basato su icone, simboli e metafore;
4. funzione interattivo/comunicativa: l’arte è utilizzata per esplorare la realtà e per entrare in
contatto con il mondo esterno cercando un’affermazione in esso e un riconoscimento
sociale;
5. funzione personale: viene utilizzata quando è il prodotto che dà autostima e gratificazione
al soggetto, che ricompone, attraverso il processo artistico, il confine del sé;
6. funzione conoscitiva: si ha quando è presente più una necessità di tipo culturale, di
conoscere nuovi strumenti per guardare in modo diverso alla realtà circostante ed
impossessarsene.
1.3 Tecniche e materiali delle Arti Terapie grafico-pittoriche delle Arti Terapie
1.3.1 Tecniche
Tutte le numerose tecniche e i materiali utilizzati in Arteterapia hanno la funzione di
stimolare il potere creativo e auto rigenerativo presente in ogni persona e di migliorare la
comunicazione tra corpo e mente.
Nella società attuale si sono nettamente privilegiati gli aspetti cognitivi e razionali, legati
quindi all’emisfero sinistro, con il risultato di impoverire, fino ad atrofizzare le risorse
legate a quello destro, sede della fantasia, della creatività, dell’intuizione.
Lo scopo dell’Arteterapia è primariamente quello di risvegliare questo potenziale bloccato,
rendendo il paziente/utente consapevole della sua presenza in ciascuno e del suo potere
terapeutico. Per questo motivo deve conoscere il significato psicologico degli strumenti e
delle tecniche che utilizza, per poterle proporre in maniera adeguata a favorire quelle
modificazioni che costituiscono l’obiettivo del suo intervento terapeutico.
Il panorama delle tecniche utilizzabili è ampissimo e la loro scelta dipende dal tipo di
contesto, di utenza e dagli obiettivi specifici.
La descrizione che presento non può e non vuole essere esaustiva, ma frutto di una scelta
del tutto personale di chi scrive, basata su proprie preferenze e attitudini.
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Una possibile distinzione da fare è tra le tecniche che utilizzano il mezzo artistico come
puro ausilio alla psicoterapia tradizionale (vedi Sand-play therapy, Disegno Speculare
Progressivo, Squiggle game) e tecniche che si collocano in modo specifico nel campo
dell’Arteterapia perché sperimentate per lunghi periodi in setting specifici e con particolari
categorie di pazienti (vedi Closelieu).
Un’altra distinzione che ritengo opportuno fare, nel campo delle tecniche di Arteterapia, è
tra quelle che utilizzano il medium artistico primariamente come tramite alla comunicazione
e all’instaurarsi della relazione paziente-terapeuta e quelle che vedono l’atto artistico come
pura e libera espressione dell’animo, che non necessita di interpretazione, di parole e di
interventi esterni.
Alcuni autori, distinguono tra esercizi orientati in senso psicologico, attività di tipo
puramente artistico ed attività che favoriscono l’espressione emozionale e la crescita
personale attraverso le arti visive (Nadeau, 1993).
Di seguito descriverò alcune tecniche utilizzate in Arteterapia, suddividendole tra quelle più
utili a sbloccare il processo creativo e quelle di gruppo, utili a stimolare e rafforzare
dinamiche relazionali e comunicative.
A) Espedienti per sbloccare il pensiero creativo
Molte persone, forse la maggior parte, non sono abituate ad usare l’immaginazione e spesso
sperimentano un vero e proprio blocco quando tentano di farlo, cosicché in molti casi
l’obiettivo principale degli incontri di Arteterapia consiste proprio nel superare tale blocco.
Vediamo alcuni espedienti che si possono utilizzare per sbloccare l’immaginazione
ingabbiata e dare avvio al processo creativo.
Un sistema molto efficace è quello di scegliere una fiaba da raccontare che sia ricca di
immagini visive e leggerla in modo da esprimere dinamismo ed entusiasmo. Si consegna a
ciascuno un foglio di carta e vari materiali per disegnare e colorare e si dà la consegna di
realizzare un disegno che raffiguri le immagini mentali o le emozioni suscitate dal racconto.
Altri sistemi, sui quali vale la pena dilungarsi un po’, sono le tecniche del collage, dello
scarabocchio, del disegno aereo gestuale e della digitopittura, solo per elencarne alcuni.
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Il Collage
Interessante il significato del termine “collage”, che in francese significa ambiguità,
insieme. Infatti la tecnica consiste nel realizzare opere composte da materiali diversi
incollati su di un supporto e viene adottata agli inizi del ‘900 dai movimenti avanguardisti
(cubismo, futurismo).
Le riviste sono una eccezionale fonte di ispirazione, infatti, al di là dei contenuti, che
possono essere insulsi o di nessun interesse per noi, se le si sfoglia allo scopo di trovare
immagini evocative, divengono una fonte ricchissima e in questo modo sensibilizziamo il
nostro pensiero. Veniamo catturati da forme, colori e immagini, che vengono ritagliate e
inserite in una nuova storia, e si riscopre l’aspetto giocoso del fare senza un senso specifico.
E’ una tecnica liberatoria, in quanto non ci sono regole da seguire, e le proporzioni non si
considerano più e anche gli accostamenti tra oggetti di dimensioni diverse sono leciti,
semplicemente si ritaglia e si incolla tutto ciò che in qualche modo ci colpisce. E’ uno
strumento utile per lavorare sulla realtà, infatti si estrapolano immagini dal loro contesto e le
si inserisce in un altro, si strappa, si stropiccia e si incolla, si combinano tanti pezzi diversi
che non devono però incastrarsi tra loro come nel puzzle, ma vengono collocati liberamente.
E’ una tecnica che si rivela molto utile da proporre nei momenti di impasse del paziente,
quando si trova in difficoltà nel proseguire il percorso grafico, in quanto viene vissuto come
un momento in cui non si deve iniziare niente di nuovo e di proprio. L’atto di sfogliare una
rivista ed osservare immagini allenta l’ansia e solleva dal peso di dover entrare nella propria
interiorità. Il fattore protettivo di questa tecnica consiste nel dare l’impressione di tenere le
proprie emozioni a distanza, essendoci un coinvolgimento minore per il fatto che le
immagini vengono “prese in prestito”, ma in realtà i collage possono avere un significato
molto profondo, includono sempre delle parti importanti di sé e ad un occhio attento dicono
sempre cosa c’è che non va. Rappresenta il desiderio di modificare le cose, in quanto non si
limita ad essere la narrazione di un evento, ma il racconto di come un evento potrebbe
essere altrimenti. E’ un ottimo strumento di comunicazione, ma una possibile
controindicazione è il sovraffollamento delle immagini nella testa, perché il fatto di vedere
molte figure crea un senso di confusione, quindi al termine del lavoro bisognerebbe creare
uno spazio di distacco dalla propria creazione. Può essere uno strumento di comunicazione
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molto utile, soprattutto nei casi di problemi fisici del soggetto che gli impediscono l’utilizzo
della voce e delle mani per esprimersi.
La tecnica del collage si presta anche molto al lavoro di gruppo dato che si struttura in varie
fasi in cui le persone possono avvicendarsi (ad esempio la scelta del tema, ritagliare le
immagini, disporle nello spazio, incollarle, ecc.). Queste operazioni mettono alla prova le
competenze relazionali, dato che richiedono (ma altresì facilitano) l’interazione tra i membri
del gruppo.
Questa tecnica, come altre viste, serve a contenere la paura del confronto e della creazione
diretta dell’immagine, dando allo stesso tempo la possibilità di esprimersi. E’ molto utile
nelle situazioni molto coartate, in cui una tendenza eccessiva all’isolamento crea forti
difficoltà di comunicazione con l’esterno.
Si dovrebbero selezionare immagini con bei colori vivaci e mettere a disposizione vari tipi
di carta con grana diversa. Se si desidera lavorare con gli accostamenti di colori e non con le
immagini, si possono sminuzzare le pagine prima di offrirle al gruppo così che vengano
ricreate nuove immagini dai pezzettini di carta. Si metteranno inoltre a disposizione fogli di
carta molto robusta e vasetti di soluzione di gomma, molto comoda da usare perché una
volta asciutta permette di togliere le parti in eccesso dal collage, ma occorre accertarsi che
nessuno abbia problemi con le esalazioni. E’ meglio non utilizzare le colle comuni perché
possono raggrinzire il foglio rovinando il collage.
Si può creare un collage semplice utilizzando solo immagini di riviste e sviluppando un
tema, ad esempio “la bellezza”, “la pace”, “la natura” oppure, utilizzando materiale povero
come stoffe e altri oggetti vari, si può lavorare sul tema “ruvido e liscio”.
Disegno aereo gestuale
Questa tecnica, sperimentata da Grignoli nell’Artelieu (Grignoli, 2008), consiste
nell’eseguire un disegno con liberi movimenti del braccio senza riferirsi a uno schema
precostituito. Il soggetto “finge” di dipingere qualcosa che ha in mente, aiutandosi con i
movimenti del corpo, magari seguendo il ritmo di una musica di sottofondo. E’
un’esperienza molto rilassante che si presta bene a far esprimere stati emotivi non
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facilmente rappresentabili nei termini di una figurazione più tradizionale. Ad esempio un
vissuto di rilassamento- tensione è meglio esprimibile attraverso una tecnica che coinvolge
l’elemento corporeo in maniera più globale, come appunto fa quella del disegno aereo
gestuale.
Gli elementi che l’arteterapeuta dovrebbe osservare e cogliere sono: il ritmo teso o rilassato,
veloce o lento con cui si dipinge, se c’è un coinvolgimento di tutto il corpo nell’atto del
dipingere, se il paziente riesce a lasciarsi andare. Questa tecnica è molto utile con soggetti
eccessivamente rigidi e schematici, perché consente un facile superamento delle resistenze,
dando la possibilità di sperimentare delle capacità motorie che non si pensava di possedere.
La caratteristica di questa tecnica, cioè dare la possibilità di esprimersi liberamente, senza
dover elaborare qualcosa di definito, riduce la paura di essere giudicati. Può capitare che
pazienti ossessivi, con manie persecutorie o che utilizzano difese di razionalizzazione dei
vissuti emotivi, scelgano il disegno geometrico. Questa tecnica può essere utile come forma
di auto contenimento e rilassamento nel caso di pazienti che attraversano un periodo di
ansia, depressione o disorganizzazione del pensiero.
Questa tecnica parte dallo stesso principio di quella dello scarabocchio, in cui nel disegnare
non ci si fa guidare dalla razionalità, immaginando qualcosa di reale, ma ci si affida a liberi
movimenti del corpo e alle sensazioni.
Un esercizio che utilizza la tecnica dello scarabocchio consiste nello stare ad occhi chiusi e
toccare con le mani il foglio, sentendone consistenza, ruvidità, sensazioni che riceviamo (è
troppo ruvido? troppo liscio? troppo piccolo o grande? che sensazione? fastidio nell’essere
guidati con la voce?). Sempre restando ad occhi chiusi, la voce dell’arteterapeuta guida
mentre si esegue lo scarabocchio, cercando di rimanere in contatto con la propria immagine.
Lo scarabocchio rappresenta il primo tentativo che fa il bambino per rendere concreto quello
che prova e che sente.
La digitopittura
Questa tecnica è molto efficace nel trattamento sia dei bambini piccoli che dei pazienti con
psicosi, in quanto favorisce la regressione e stimola la disinibizione. Questa tecnica, che
consiste nel creare effetti pittorici mettendo il colore direttamente sulle mani, si è diffusa
come mezzo terapeutico ed educativo negli ultimi venti anni. E’ stata ideata da Shaw allo
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scopo di aiutare i bambini a superare i problemi scolastici e si dimostrò molto utile per
aiutare a superare le inibizioni.
La digitopittura ha molte analogie con il gioco con la creta e sono molti gli specialisti che
riconoscono a questa tecnica pittorica il merito di offrire la possibilità di espressione libera
del proprio Io. Viene inoltre utilizzata come metodo diagnostico di tipo proiettivo e in
psicoterapia con i bambini per stimolare la fantasia e favorire le libere associazioni. Uno dei
vantaggi di questa tecnica è il fatto di richiedere un minimo di coordinazione muscolare che
interessa i gruppi di muscoli più complessi e ciò fa sì che possa essere impiegata con
successo anche con soggetti dai movimenti impacciati, minimizzando le probabilità di
insuccesso e quindi il senso di frustrazione conseguente. Inoltre permette al soggetto di
disegnare senza sentirsi condizionato da schemi indotti, non è necessario infatti l’utilizzo di
uno stile particolare e di conseguenza non ce n’è uno peggiore e migliore. In questa tecnica
è molto accentuata la caratteristica ludica e il soggetto sente meno il timore di rivelare sé
stesso.
Questa tecnica riceve un risposta positiva a tutte le età, anche per la sua caratteristica di
essere esente da pressione sociale e da possibili insuccessi. Nel disegno fatto con la
digitopittura non si pone il problema della forma equivalente quando si chiede al soggetto di
ripetere l’esperienza, infatti ogni volta il risultato è diverso e le forme ci sorprendono ogni
volta perché nel realizzarle ciò che prevale è il puro senso del piacere.
Gli atteggiamenti manifestati durante l’esperienza possono essere raggruppati in due
categorie, quella di “distacco” e quella di “implicazione”.
Gli elementi da osservare durante l’esercizio sono in particolare: la posizione, la velocità dei
movimenti, il ritmo del respiro, le parole spontanee che vengono dette, i tratti, che sono
espressione diretta delle dinamiche interne, soprattutto in questo tipo di tecnica in cui
l’elemento gestuale e il coinvolgimento corporeo è predominante.
B) Esperienze di gruppo
Il lavoro di gruppo è un’esperienza fondamentale in Arteterapia, perché consente di uscire
dal proprio spazio-foglio, collaborando ad un progetto comune.
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Nel gruppo si può confrontare la propria visione delle cose con quella degli altri, così da
scoprire la distinzione che c’è tra la realtà oggettiva e soggettiva (relatività e soggettività dei
vari modi di leggerla). E’ molto utile per comprendere, sperimentandolo su di sé, che le cose
possono essere osservate da tante angolazioni e così è possibile accettare i diversi punti di
vista degli altri.
All’interno del gruppo circolano emozioni, percezioni, immagini ed affetti che attivano
dinamiche personali e complicate risonanze, su aspetti sia del mondo interno, che di quello
esterno. Nel contesto del gruppo il ruolo dell’arteterapeuta è fondamentale per contenere
l’aggressività dell’uno e stimolare la passività dell’altro, per arginare eventuali agiti, per
assegnare i ruoli in modo adeguato affinché non siamo gravosi, frustranti o semplicistici e
per dosare gli interventi affinché ciascuno possa intervenire sul lavoro comune, sentendosi
attivo e partecipe. Nel lavoro di gruppo simbolicamente si fondano le emozioni de
partecipanti.
Esercizi “di fiducia”
Molto belli da fare a coppie o in gruppo, sono “gli esercizi di fiducia”, di cui esistono
innumerevoli varianti da fare con diversi materiali (disegno, creta, e altro).
Vediamo un esempio di esercizio da fare a coppie con i seguenti materiali: fogli di carta e
matite colorate o pastelli di gesso o a olio. Dopo aver consegnato il foglio si danno le
istruzioni ai due partecipanti: il primo inizia a disegnare e l’altro osserva attentamente
cercando di capire quali possono essere i suoi pensieri e il suo stato d’animo, dopo un certo
tempo ci si scambia il foglio (e si ripete lo scambio diverse volte) e a questo punto è il
primo ad osservare mentre l’altro disegna la propria risposta alle immagini che sono già
sulla carta. Il prodotto finito verrà poi appeso nella stanza, oppure se ne ripeterà un secondo
durante un altro incontro, cosicché entrambi ne abbiano uno da tenere.
Una variante può essere quella di far sedere le due persone una di fronte all’altra e mentre
entrambi disegnano se uno dei due vuole aggiungere un particolare o un colore nel foglio
dell’altro allunga il braccio e lo fa. Alcune persone possono provare molto disagio e
resistenza ad intervenire nel foglio dell’altro e viceversa può capitare di non riuscire a
tollerare l’intrusione di un altro sul proprio lavoro. Gli scopi di un esercizio come questo
sono quelli di promuovere la fiducia e la comprensione, di percepire lo scambio con l’altro
come fonte di nuove idee, di incoraggiare un atteggiamento di pazienza nei confronti del
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compagno e di guardare le cose da un altro punto di vista, dato che il foglio del compagno
lo si vede a rovescio e quindi sempre in un’altra prospettiva.
Vediamo ora un esercizio da fare in gruppo, con l’utilizzo del disegno oppure della creta.
Questo esercizio riesce molto bene con l’utilizzo della musica, che dovrebbe essere molto
vivace, per creare un’atmosfera di allegria. Ciascun membro del gruppo deve munirsi di un
grande foglio e scegliere il mezzo che preferisce per disegnare. Ci si dispone in cerchio e
per prima cosa si scrive il proprio nome sul retro del foglio. Si inizia a disegnare da quando
inizia la musica fin quando non si interrompe e a quel punto ciascuno consegna il proprio
foglio alla persona seduta a destra e quando ricomincia la musica si riprende a disegnare sul
nuovo foglio. Si va avanti fino a quando tutti i fogli hanno completato il giro e ciascuno
ritorna in possesso del proprio foglio di partenza. E’ interessante osservare l’espressione
delle persone quando rivedono il loro disegno e le loro reazioni. Alcuni saranno soddisfatti e
si sentiranno arricchiti dall’esperienza, altri potrebbero sentirsi violati e manifestare il
proprio disagio continuando a guardare il loro foglio finché passa da una mano all’altra.
Questo è un esercizio di condivisione molto valido come attività cooperativa e la sua
riuscita dipenderà molto dalla capacità del conduttore di trasmettere al gruppo il piacere
della condivisione ed eventualmente poter conservare un lavoro fatto da tutti i partecipanti
all’incontro.
Si può fare un esercizio di gruppo analogo a questo, ma con la creata anziché con il disegno.
La dinamica è la stessa, seduti in cerchio si inizia a manipolare un pezzo di creta fino a farne
una palla liscia, prendendo confidenza con il materiale ed ascoltando il proprio respiro che
si sintonizza. Poi si fanno girare le palle di creta ponendola nelle mani del vicino e ciascuno
aggiunge un particolare. Sarebbe interessante che l’arteterapeuta ponesse alcune domande al
termine del giro, ad esempio:
-
com’è stata l’esperienza di lasciare la propria palla nelle mani del vicino?
-
cosa hai provato nel ricevere la palla di un’altra persona?
-
qual è stato l’intervento fatto sulle forme degli altri?
-
è stato facile o difficile?
-
hai lavorato guardando la palla o altrove?
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-
quali sono stati i tuoi pensieri durante il lavoro?
-
cosa hai provato nel ricevere la tua palla dopo che è stata modificata da tutti gli altri?
Un altro esercizio molto bello da fare in gruppo riguarda il gesto e serve a riflettere su
quanto, sia un colore, che un gesto, ci appartengono e appartengono a noi soltanto.
Si realizza come una sorta di passaggio di testimone, costituito da un colore e da una parola,
infatti stando seduti in cerchio, si prepara un colore e intanto si pensa una parola da
abbinare. Poi ciascuno fa sul foglio un gesto a cui ha pensato spalmando il colore e dice una
parola, passa il colore al vicino che ripete la parola e il gesto in modo identico, utilizzando
quello stesso colore. Alla fine si otterrà un bel dipinto collettivo, in cui si potranno
ammirare tanti segni simili, ma comunque diversi e si potrà riflettere sulla nostra unicità:
per quanto ci sforziamo di creare qualcosa di identico ad un’altra persona, il risultato sarà
sempre unico ed irripetibile.
Questo esercizio si può proseguire creando un percorso dal gesto, al simbolo all’immagine
tridimensionale. Osservando l’opera collettiva ottenuta nella prima fase, ciascuno cerca di
individuare una forma da riprodurre e la disegna su un altro foglio. In questa fase di
osservazione è importante posizionarsi in punti diversi e magari guardare il disegno
capovolto, così da avere diversi punti di vista che possono rivelare particolari differenti.
Infine si creerà una forma tridimensionale dell’immagine che si è individuata nel disegno
collettivo e riprodotta nel disegno individuale.
Un altro esercizio che coinvolge molto il gruppo consiste nella costruzione collettiva di
un’isola, utilizzando tutti i materiali e suddividendo i compiti tra i membri del gruppo.
Ciascuno sceglie dei materiali e si decide se confrontarsi o creare in solitaria un proprio
spazio da condividere poi con gli altri. All’inizio si concorda lo spazio comune, cioè il
supporto e le dimensioni che costituirà l’isola. Poi si possono dividere i compiti, in modo
tale che uno si occupi dell’accoglienza, uno della ristorazione, uno di tutte le cose che si
ritengono necessarie. Ciascuno denomina i luoghi dell’isola, con libertà.
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Altre possibili proposte tematiche da realizzare in gruppo sono, il puzzle, il disegno
collettivo e lo sfondo.
Nel puzzle il conduttore ritaglia un grande foglio in tante forme quanti sono i partecipanti,
in modo che ciascuna si incastri con le altre. Ciascun partecipante prende un pezzo e vi
esegue un disegno e alla fine il foglio viene ricomposto come un puzzle, creando un grande
disegno di gruppo.
Nel disegno collettivo, a differenza del puzzle, tutto il gruppo lavora contemporaneamente
per produrre un’opera comune, disegnando simultaneamente sullo stesso grande foglio.
Lo sfondo è un esercizio di gruppo in cui inizialmente ciascuno fa un disegno di piccole
dimensioni che verrà incollato su grande foglio comune, e il lavoro collettivo consiste nel
creare uno sfondo comune per tutti i disegni che li accolga e li colleghi tra loro.
Un ultima nota che voglio inserire riguarda l’esercizio del ritratto o della sagoma. Quella
del ritratto è un’esperienza che può essere molto carica emotivamente, sia per chi ritrae che
per chi viene ritratto ed è bene usarla quando esiste già una buona coesione di gruppo e di
accettazione reciproca. In alternativa si può lavorare sulla sagoma a coppie e ciascuno
disegna i contorni del proprio compagno disteso a terra su un grande foglio di carta da
pacchi.
Vorrei concludere, accennando ad alcuni metodi sperimentati per lungo tempo in setting
specifici, uno di questi, il Closelieu si colloca nel campo dell’Arteterapia e utilizza il
medium artistico per favorire il fluire della libera espressione creatrice e liberatorie in sé,
altre due (la Sand-play therapy e il Disegno Speculare Progressivo), sono invece applicate
in ambito psicoanalitico.
C) Alcune tecniche consolidate
 Il Closelieu di Arno Stern
L’idea del Closelieu è stata messa a punto e sperimentata da Arno Stern con i bambini
orfani dopo la seconda guerra mondiale, in un periodo in cui il materiale a disposizione era
molto scarso. Il luogo in cui si dipingeva è stato chiamato il Closelieu, proprio perché si
tratta di uno spazio chiuso e protetto in cui entrare a contatto con le proprie immagini
interiori e lasciare che fluiscano. Nel Closelieu è prevista la presenza di un Praticien, un
facilitatore, che ha il compito di facilitare appunto, aiutando a prendere i colori, ad
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appendere i fogli e a ripulire i dipinti da eventuali scolature di colore. In questo setting si
dipinge senza seguire una consegna, ma lasciando che i temi emergano dall’interno, durante
la pittura stessa, e ci si basa sull’idea che è meglio far sì che un’immagine agisca su di noi
piuttosto che parlarne.
Il setting consiste in una stanza vuota con quattro pareti sulle quali si dipinge appendendoci
i fogli e nel mezzo un tavolo-tavolozza con 18 colori, ciascuno dei quali ha il suo bicchiere
con l’acqua e tre pennelli, uno grande e due più piccoli. La tavolozza è unica e tutti i
partecipanti vi si recano per prendere il colore e poi vanno a dipingere sul proprio foglio
appeso. Si dipinge in piedi ed in movimento e questo favorisce la relazione con il proprio
corpo e la libera espressione. Nella stanza sono presenti anche scalette e banchetti per dare
modo di dipingere in un foglio molto grande o posizionato in alto.
Questo setting è molto semplice ed immediato e consente un accesso alla pittura molto
facile per tutti. Il paziente può arrivare, dipingere ed andare via, senza preparare niente e
senza dover riordinare.
L’opera finita è vista solo come una parte del tutto, di un processo in continua evoluzione,
dunque le immagini non vengono mai interpretate né valutate.
Arno Stern è considerato il primo esperto di educazione creatrice, una pratica da lui
inventata nel 1946, nell’immediato dopo guerra, in Francia, una pratica che continua tutt’ora
ad esercitare. Dopo essere stato educatore in un istituto per orfani di guerra, apre a Parigi nel
1949 un suo Atelier di pittura per bambini, il Closlieu, che si caratterizzò subito per la
formula inedita in quel tempo e per l’allestimento del tutto originale nel quale si trova
ancora a lavorare. Si occupa ancora di divulgare il più possibile la propria pratica avviando
al suo lavoro dei praticiens attraverso appositi stages di formazione.
All’interno del Closlieu Arno Stern ha fatto una straordinaria scoperta, la Formulazione.
Attraverso tale scoperta ha permesso di prendere una distanza dalla credenza che il disegno
infantile fosse esclusivamente il prodotto di una fervida immaginazione ed introdurre il
concetto che in realtà esso deriva da una necessità di natura organica e si compie secondo
delle specifiche leggi.
Il disegno serve a raccontare storie?. Questo è ciò che generalmente si pensa ed ecco perché
si chiede ai bambini di illustrare storie. In questo ambito le buone idee non servono e non
hanno molto senso, perché per disegnare non servono “buone idee”, in quanto non dovrebbe
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essere la mente, o la razionalità a guidare la nostra espressività, anzi sarebbe bello
esercitarsi a disegnare con la parte destra del cervello, cioè con la parte estranea al
ragionamento logico, ma attinente alla sfera espressiva e sensoriale.
Arno Stern fa una distinzione tra il Gesto, la Traccia e la Formulazione, che corrispondono
a specifiche fasi che si vivono durante l’esperienza nel Closelieu.
Un’altra evoluzione da osservare nel disegno infantile è quella che va dalla rappresentazione
di Figure Primarie a quella di Oggetti e poi di Immagine ed infine di Figure Essenziali.
Questa tecnica è stata ripresa in ambito psicoanalitico, denominandola Soul-painting (Hayoz
Kalff, 2005) e può prevedere, dopo un periodo di circa tre mesi e solo se il paziente lo
desidera, di prendere visione del processo che si è sviluppato nelle immagini e di solito le
persone, rivedendo l’insieme delle loro produzioni, rimangono piacevolmente stupite della
loro creatività e produttività.
Un utile esercizio da fare all’inizio del percorso in atelier è quello di dipingere con un solo
colore, quello preferito, così da poter avvertire uno stato d’animo particolare o un problema,
provando gioia ed emozione per ciò che fluisce.
 La Sand-play therapy
La Sand-play therapy, o gioco della sabbia è una terapia non verbale di stampo
psicoanalitico ideata da Dora Kalff, allieva di Emma Jung e su ispirazione del “gioco del
mondo” della dottoressa Lowenfeld. Il gioco consiste nel creare con alcuni oggetti delle
immagini tridimensionali dentro a delle cassette azzurre di particolari dimensioni contenenti
sabbia. Questo gioco attiva un processo di trasformazione psichica producendo effetti
benefici. Il ruolo del terapeuta è quello di condividere con il paziente il momento creativo,
garantendo uno spazio accogliente, protetto e libero da pregiudizi o interpretazioni.
 Il Disegno Speculare Progressivo Terapeutico (DSP)
Questa tecnica nasce a metà degli anni ’80 (Peciccia e Benedetti, 1996, 1998) ed
inizialmente viene applicata nelle psicoterapie individuali di tipo psicodinamico con
pazienti borderline e psicotici, con disturbi della comunicazione verbale. Successivamente il
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suo impiego viene esteso a pazienti psicotici senza disturbi della comunicazione e verso la
metà degli anni ’90 a pazienti non psicotici, in setting sia individuali che di gruppo.
Tale tecnica consiste in uno scambio d’immagini tra paziente e terapeuta basato sul
principio della specularità simbiotica e della separazione trasformatrice. Nello stesso
momento ciascuno produce un disegno su un foglio, in un tempo di circa 20 minuti, senza
guardare il disegno dell’altro. Al termine del tempo si scambiano i disegni e ognuno
posiziona sopra il disegno dell’altro un foglio bianco semitrasparente e ricalca il disegno
sottostante in modo libero, modificando forme, colori, aggiungendo o eliminando immagini.
Quindi l’immagine è configurata in comune e nel disegno reciproco entra in gioco anche la
componente della motricità che può assumere una valenza comunicativa molto importante.
Quindi in questa tecnica, utilizzata nelle tradizionali psicoterapie psicodinamniche, la
reciprocità è un aspetto fondamentale che significa per il terapeuta rispondere al paziente
attraverso una dimensione sensoriale, ad un livello pre-concettuale, oltre che verbalmente.
1.3.2 Materiali
In un atelier di Arteterapia la disponibilità di diversi materiali è essenziale, dato che esiste
un psicologia dei materiali e la loro scelta ed utilizzo da parte dell’utente ha significati ed
implicazioni diversi.
E’ importante che vengano scelti materiali di buona qualità, che possano soddisfare le
esigenze e stimolare il potenziale creativo e che aiutino ad evitare esperienze frustranti (la
carta su cui si sta dipingendo si strappa, il pennello lascia le setole sul disegno, i colori sono
smorti, ecc.) a persone che, avendo già difficoltà proprie di tipo psico-fisico, si approcciano
all’esperienza artistica per la prima volta, con i timori che questo può comportare.
Vediamo alcuni dei principali materiali da avere a disposizione in un atelier di Arteterapia:
matite classiche morbide e dure, colorate, acquerellabili, di Conté, grafite, carboncini,
gessetti polverosi e non polverosi, pastelli a cera, a olio, di gesso, chine, tempere, acrilici,
acquerelli in pasticche e tubetto, colori a olio, creta (con disco rotante), carta comune di
varie dimensioni (21x27, 25x30, 50x60), carta da pacchi, carte di qualità, cartoncini
colorati, carta velina e crespa, carta argentata, riviste da ritagliare, materiale di recupero,
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stoffe, nastri, reti e veli, fili, tappi, bottoncini, ferretti, materiali naturali (foglie, rami, petali
di fiori essiccati, bucce di cipolla e aglio, semi, conchiglie, sassi, sabbia, farine,…),
materiale da bricolage.
Una prima distinzione da fare è quella tra materiali secchi e ad acqua. I materiali secchi non
sporcano né le mani, né la superficie su cui si lavora, consentono un buon controllo,
rassicurano e mantengono una certa distanza tra chi disegna e chi osserva. Hanno il pregio
di essere veloci da utilizzare, anche se allo stesso tempo rallentano il lavoro quando si
devono coprire grandi superfici.
I materiali ad acqua richiedono più dimestichezza per essere utilizzati senza sporcarsi
completamente
Sarebbe opportuno dividere il materiale in due tavoli, inserendo oltre ai materiali secchi e ad
acqua, anche il necessario per fare il collage. Dopo aver fatto usare materiali più comuni
come matite e pennarelli, a cui tutti sono più abituati, può essere opportuno spiegare gli
altri strumenti e dimostrarne l’uso. E’ un momento che serve per calmare l’eventuale ansia
dei pazienti di fronte a materiali nuovi e al foglio bianco da riempire.
Il lavoro con i diversi materiali ha implicazioni molto diverse, per questo è necessario
conoscere le loro caratteristiche e le influenze che possono avere a livello psicologico ed
emotivo. Ad esempio la creta è un materiale primordiale e arcaico, che va a toccare i
sentimenti e ricordi più antichi, data questo suo potere di far regredire, è sconsigliato
l’utilizzo con pazienti che presentano già da sé questo problema, in quanto lo si potrebbe
accentuare. Il lavoro con la creta richiede una maggiore presenza, e si pensi anche che, a
differenza del disegno, richiede l’uso delle due mani e quindi un maggiore coinvolgimento
corporeo. Consente due tipi di movimento, con significati simbolici ed implicazioni
psicologiche molto diverse: l’aggiungere (mettere, dare, completare, ristrutturare, occupare
uno spazio) e il togliere (scavare, portar via, fare spazio, accogliere, ricevere, essere
disponibili). L’esperienza tipica che si vive nel modellare la creta consiste nel non riuscire a
realizzare quello che si ha in mente e questo può essere molto utile per imparare a gestire la
frustrazione e ad accettare quello che viene. Un atteggiamento positivo da tenere quando ci
si avvicina ad un pezzo di argilla è quello di tenere la testa lontana, per non dar modo alla
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razionalità di prevalere e per non pensare a quello che si vuole realizzare, lasciando che
emerga da solo.
Si può considerare l’atto di modellare come terapeutico in sé, in quanto il creare forme
dispone il corpo a rimettersi in forma, per questo tale tecnica è indicata soprattutto per
questi soggetti che tendono a fare esperienza di processi di disgregazione, siano essi fisici
(es. ulcere) o psichici (es. psicosi). Utile nel trattamento della schizofrenia e dell’isteria.
Lavorando con l’argilla si debbono avere alcuni accorgimenti, come aggiungere dell’acqua
sulle superfici che devono essere unite comprimendo e levigando gli spigoli se l’impasto è
troppo duro e coprire il pezzo con uno straccio umido o una busta di plastica per mantenerlo
morbido tra una seduta e un’altra.
Per creare una scultura si può scegliere un tema su cui lavorare, come ad esempio un sogno
o un autoritratto ed esporre in un angolo della stanza tutti i materiali poveri che si hanno a
disposizione (plastica, ritagli, pezzi di legno, tubi di cartone, viti, conchiglie, ecc),
sceglierne alcuni con cui si desidera lavorare e creare una scultura usando come punto di
partenza i materiali scelti.
Il disegno è propedeutico alla pittura, ma per la sua caratteristica di marcare i contorni, è
molto vicino al modellaggio. La tecnica del disegno in bianco e nero tratteggiato, ha come
caratteristica di svilupparsi in direzione discendente, da destra verso sinistra, direzione che
richiama il gesto euritmico dell’”I” nella sua forma classica, cioè il braccio destro alzato e il
sinistro rivolto verso il basso. Tale tipo di orientamento si rivolge all’Io, concentra le forze
presenti nell’essere umano e le indirizza ad uno scopo. Questa tecnica in Arteterapia
produce un rafforzamento dell’Io. Il disegno è un’attività non imprigionata nel tempo
lineare, e può quindi combinare le correlazioni più difficili riguardanti passato, presente e
futuro. I disegni possono mostrare queste complesse correlazioni in una sola immagine, a
differenza delle parole che debbono seguire un ordine sequenziale.
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La pittura a pennello (tempere, acrilico, acquerello, olio, gouache1) è una tecnica che
cattura molto chi la esegue e richiede una notevole capacità di tollerare lo scarto che c’è tra
l’intenzione che si ha e il risultato che si ottiene. Sperimentare l’uso del colore è
un’esperienza molto piacevole e coinvolgente, perché il colore si spande oltre il segno della
matita e se ci si lascia andare a questa esperienza si può riuscire a vivere con molta più
serenità e con curiosità, l’incertezza del risultato finale. Molte delle sensazioni suscitate
dall’uso del colore si ripropongono con l’uso dei materiali malleabili (come argilla, creta,
pongo, resina).
Si possono proporre i colori a partire dai tre primari (rosso, blu, giallo), per proseguire con i
secondari (arancione, verde, viola) e i complementari (ciascuna delle tre coppie di
complementari è formata da un primario e dal secondario ottenuto dalla mescolanza degli
altri due primari).
Ad ogni incontro si esplora un solo colore utilizzando diversi materiali, osservandone
luminosità e opacità e completando il lavoro con l’esplorazione delle emozioni e sentimenti
che esso provoca.
Dei piccoli esperimenti che possono essere fatti con le tempere o gli acquerelli consistono
nell’applicare strati di colore diluito con l’acqua, fare dei puntini di colore, ad esempio i
colori primari (rosso, blu, giallo) che affiancati sulla carta formano i colori secondari
(arancione, porpora e verde) o provare a mescolare i colori, applicandone prima uno e poi
aggiungendone gradualmente un altro in quantità maggiore.
Si possono fare alcune semplici esperienze con i pastelli a olio, a cera e gessetti morbidi,
provando a disegnare sia con la punta, sia con tutta la lunghezza tenendoli orizzontalmente
sul foglio di carta e sia provando con diverse pressioni (leggera, pesante o stratificata).
1 Il gouache (parola che deriva dall’italiano ‘guazzo’) è una tecnica pittorica basata sul colore a tempera a cui viene
aggiunto un pigmento di colore bianco, come ad esempio il gesso, e nella quale, alla colla animale è sostituita la
gomma; l’effetto finale è un colore più pesante ed opaco del normale colore a tempera, con maggiori proprietà
riflettenti. Di esecuzione rapida e per questo di largo impiego in scenografia.
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Un primo esercizio che si può fare è il graffito, applicando vari strati di colore a pastello
sulla superficie di lavoro, e poi servendosi della pinta di una matita o un ago spuntato fare
un disegno sugli strati di colore.
Un altro esercizio da fare è il dipinto con i colori a cera, facendo prima un disegno con i
colori a cera premendo parecchio sulla superficie di lavoro e applicando poi sopra della
vernice.
Come terzo esercizio si può giocare con i gessetti, prima provando a creare varie texture,
usando poi una gomma per disegnare su una parte del foglio, usando le dita o la mano per
sfumare il colore dei gessetti e creare tonalità miste, provando infine a mescolare i colori.
Matite (grafite)
Le matite per uso artistico hanno diverse durezze e vanno da quelle a mina molto dura (tipo
HB) a quelle a mina molto morbida (fino a 10B), ma è consigliabile utilizzare matite HB,
2B, 4B o 6B, infatti una mina troppo morbida non è adatta in quanto il lavoro si imbratta
facilmente. Tuttavia una mina mediamente morbida è utile perché consente di tracciare
segni anche con la minima pressione e quindi sarà di facile utilizzo anche per la persona più
inibita, che non avrà molta difficoltà a maneggiarla.
Carboncino
Anche i carboncini sono disponibili in diversi pesi, grandezze e gradi di durezza. E’
consigliabile utilizzare carboncini grandi, facili da tenere in mano e morbidi, che
permettono di tracciare facilmente segni molto belli e particolari. L’esperienza con il
carboncino può essere utile perché consente di pasticciare e poi avere la prova che tutto
ritorna a posto e sentirsi rassicurati da qualcuno che ti dice che non hai fatto niente di
sbagliato. Con il carboncino si possono ottenere degli effetti grafici molto belli e nuove
dimensioni, utilizzando una gomma per asportare le parti scure; lavorando in un grande
spazio nero si possono realizzare le immagini in “spazio positivo” (l’area effettiva del
disegno). Lo “spazio negativo” indica lo spazio che circonda il disegno principale. Questo
crea un elemento di magia e risulta molto efficace mettere in evidenza l’elemento magico, in
quanto favorisce l’ispirazione e l’esplorazione.
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Matita di Conté
La matita di Conté è un bastoncino che somiglia in parte ad un pastello ed in parte ad un
carboncino. E’ disponibile in diversi gradi di durezza e in quattro colori: nero, bianco, terra
di Siena naturale e terra d’ombra bruciata. Una delle sue caratteristiche è la sensazione di
setosità sulle dita ed offre la possibilità di creare una grande varietà di tratti, linee e forme e
si possono usare anche in senso orizzontale dando vita ad ampi nastri di colore. Si può
sfumare o variare di intensità sia con le dita che con uno straccetto ed è più facile da pulire
rispetto al carboncino.
Pastelli
I pastelli possono essere a cera, a olio o di gesso. E’ necessario assicurarsi che i colori siano
brillanti e che il pigmento aderisca facilmente alla superficie su cui si lavora. I pastelli di
gesso sono morbidi e al tatto somigliano al gesso, mentre i pastelli a olio e a cera ricordano
più le matite, inoltre danno possibilità di intensità cromatica, sono di facile utilizzo e si
possono mescolare usando le dita o uno straccetto.
Pittura (tempere, olio, acrilici e acquerelli)
La pittura è un’esperienza che può dare molta gioia e soddisfazione, e per questo è
importante capire qual è il momento giusto per proporla, così da evitare possibili
frustrazioni e non compromettere i benefici che se ne possono trarre. Anche in questo caso
si raccomanda la scelta di colori brillanti, toni intensi e buona qualità. La tempera in tubetto
è da preferire a quella in tavoletta perché garantisce effetti più spettacolari.
I colori ad olio vanno utilizzati con più cautela, in quanto necessitano per la pulitura di
acqua ragia, che essendo molto velenosa potrebbe creare problemi di allergia, così per le
persone che vogliono passare ad un pittura più densa si può consigliare quella acrilica.
L’acquerello, soprattutto in tubetto, è molto versatile. Se si vogliono ottenere delle
gradazioni di colore si deve prendere con il pennello della pittura pura, passarla sulla carta e
intingendo poi il pennello nell’acqua, il colore diventerà via via più leggero (vedi tecnica
steineriana - l’esercizio del blu).
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Pennelli
E’ importante scegliere pennelli di buona qualità, per evitare che le setole rimangano sul
dipinto e che il tentativo di rimozione porti alla distruzione dell’opera. Meglio se larghi
almeno 10 o più e con impugnature adeguate (non verniciate), per evitare che risultino
scivolosi. La maggiore dimensione dell’impugnatura consente anche che il movimento del
dipingere allenti la tensione muscolare. E’ bene esplorare in prima persona la grande varietà
di utilizzi che il pennello offre: stendere, picchiettare, tirare e trasportare il colore muovendo
la punta.
Inchiostri
Ce ne sono di diversi colori possono essere applicati con la penna o il pennello. Come i
colori ad olio, richiedono una supervisione molto attenta e l’opportunità di utilizzarli con
particolari pazienti va valutata molto attentamente. Comunque, può essere un’esperienza
molto emozionante e “magica”
quella di usare inchiostri resistenti all’acqua e poi
dipingerci sopra con acquerello o pastello.
Una classificazione utile dei materiali, fatta da alcuni autori (Palazzi Trivelli e Taverna,
2000), ne mette in evidenza, oltre le caratteristiche e l’uso, anche il tipo di utenza a cui
ciascun materiale si adatta meglio e il luogo in cui può essere adoperato. Nello stesso testo,
si trova un’altra classificazione dei materiali che ne evidenzia le modalità di comunicazione
e dell’espressione artistica.
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2. I disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza nel DSM- IV
2.1 Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali
Il DSM-IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali)2 è un sistema di
classificazione dei disturbi mentali di tipo multiassiale, ossia comporta la valutazione su
diversi assi, ognuno dei quali si riferisce ad un diverso campo di informazioni che può
aiutare il clinico nel pianificare il trattamento e prevedere l'esito. La classificazione
multiassiale del DSM-IV comprende cinque assi:
Asse I - Disturbi Clinici/ Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica.
Asse II - Disturbi di Personalità/ Ritardo Mentale.
Asse III - Condizioni Mediche Generali.
Asse IV - Problemi Psicosociali ed Ambientali.
Asse V - Valutazione Globale del Funzionamento.
I Disturbi diagnosticati nell’ Infanzia, nella Fanciullezza e nell’Adolescenza fanno parte
dell’Asse I, eccetto il Ritardo Mentale che viene ricompreso nell’Asse II. Di seguito
vengono riportate le categorie in cui vengono raggruppati tali disturbi:
1. Ritardo Mentale.
2. Disturbi dell’Apprendimento.
3. Disturbo delle Capacità Motorie.
4. Disturbi della Comunicazione.
5. Disturbi Pervasivi dello Sviluppo.
6. Disturbi da Deficit di Attenzione e da Comportamento Dirompente.
7. Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione dell’Infanzia e della Prima Fanciullezza.
8. Disturbi da Tic.
9. Disturbi della Evacuazione.
10. Altri Disturbi dell’Infanzia, della Fanciullezza e dell’Adolescenza.
2 American Psychiatric Association (2000), DSM-IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Fourth
Edition, Text Revision. Edizione Italiana: Masson, Milano.
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1.2 I Disturbi dell’Infanzia, della Fanciullezza e dell’adolescenza
Negli ultimi anni ha assunto un rilievo sempre maggiore il problema dei disturbi cognitivi in
età evolutiva e un numero crescente di bambini con disabilità intellettiva o con disturbi
specifici di apprendimento giungono ai servizi territoriali per un approfondimento
diagnostico o per una terapia riabilitativa specifica. Si è imposta così la necessità di definire
meglio la natura della disabilità, le sue caratteristiche, le possibilità di recupero e gli
strumenti di intervento riabilitativo.
Di seguito descriverò alcuni di questi disturbi diagnosticati durante l’infanzia e
l’adolescenza, precisando che il criterio di scelta seguito si basa sulla conoscenza diretta che
ho avuto di tali disturbi in quanto presentati (in maniera reale o presunta) dai bambini che
ho seguito.
A) Disturbi da Deficit di Attenzione e da Comportamento Dirompente
Il Disturbo da Iperattività o Deficit di Attenzione (ADHD – Attention Deficit Hyperactivity
Disorder) è un disturbo neuropsichiatrico dello sviluppo che inizia nell’infanzia
caratterizzato da deficit di attenzione, impulsività e iperattività. Si è in presenza di un
disturbo nei meccanismi di controllo dell’attenzione, che secondariamente porta ad un
insufficiente controllo dell’attività motoria. Il DSM III (Manuale Diagnostico e Statistico
dei Disturbi Mentali) definisce l’ADHD come una vera e propria sindrome e ne descrive le
caratteristiche cliniche (criteri diagnostici).
La diagnosi i questo disturbo risulta problematica in quanto si basa per lo più sulla storia
del paziente ottenuta da colloqui con i familiari ed insegnanti e non su valutazioni oggettive
ed indagini strumentali. L’importanza di una diagnosi accurata è stata sottolineata
dall’American Academy of Pediatrics, la quale raccomanda di utilizzare i criteri compresi
nel DSM-IV, di raccogliere l’anamnesi in almeno due ambienti, quello familiare e quello
scolastico e di ricercare condizioni di comorbidità che possono rendere più difficoltosa la
diagnosi.
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Per la diagnosi del disturbo si possono utilizzare, oltre ai criteri stabiliti nel DSM-IV, quelli
appartenenti alla classificazione ICD-10 (Classificazione Internazionale delle Malattie).
Mentre il DSM-IV distingue tre sottotipi del disturbo (disturbo con prevalente disattenzione,
disturbo con prevalente iperattività/impulsività e disturbo misto), l’ICD-10 utilizza criteri
più rigidi per la diagnosi del disturbo che viene definito ipercinetico e richiede la
compresenza di disattenzione e iperattività/impulsività e la causa principale della diversa
prevalenza del disturbo riscontrata nei diversi paesi sta proprio nell’utilizzo dell’uno o
dell’altro dei due criteri3. In media il disturbo mostra una prevalenza del 4% circa e colpisce
maggiormente i maschi. Il DSM-III-R e il DSM-IV sovrastimano il problema in quanto lo
ricomprendono nel più ampio capitolo dei disturbi della condotta.
L’ADHD non è un problema marginale che si risolve con l’età e la condizione può
persistere in età adulta, infatti secondo la letteratura persiste fino all’adolescenza in due terzi
dei casi e fino all’età adulta in circa un terzo dei casi. In ogni caso, anche qualora non si
rientri più nella diagnosi di ADHD, questo disturbo rimane significativamente associato a
disturbi di adattamento sociale (personalità, antisociale, alcolismo), basso livello di
istruzione ed occupazionale, problemi psichiatrici e viene considerato uno dei migliori
predittori, in età infantile, del cattivo adattamento psicosociale in età adulta.
B) Mutismo selettivo
Il Mutismo Selettivo (MS)4 è un disturbo d’ansia infantile, denominato “elettivo” nella
precedente versione del DSM, è stato cambiato in selettivo, in quanto consiste in un disturbo
che si manifesta in alcune circostanze specifiche. Consiste nell’incapacità di parlare in una o
più importanti situazioni sociali, come a scuola, nonostante eloquio, sviluppo e
comprensione del linguaggio siano adeguati, anche se possono essere usati altri mezzi di
comunicazione non verbale. Tale incapacità non deriva da ritardo mentale, ma da paura ed
ansia.
3 Swanson J.M., Sergeant J.A., Tailor E. et al., Attention deficit hyperactivity disorder and hyperkinetic disorder.
Lancet 1998; 351: 498-433.
4 Scorpiniti M. (2008), Un disturbo d’ansia dell’età evolutiva: il Mutismo Selettivo, Rivista di Scienze Psicologiche,
Roma, 18/11/2008, http://web.i2000net.it/mscorpinitipsicologo/articoli.htm (ultima visita 18/3/2009).
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La gran parte dei bambini affetti da tale disturbo rispondono ai criteri diagnostici del DSMIV della fobia sociale, che è la paura persistente delle situazioni e prestazioni sociali.
L’esordio di solito si colloca tra i 3-5 anni, in coincidenza dell’ingresso alla scuola materna
e vengono colpite più le femmine, anche se la prevalenza sul totale della popolazione è di
circa lo 0,1%.
I criteri diagnostici indicati dal DSM-IV-TR sono:
A)
persistente incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche (per es. a scuola, coi
compagni di gioco) quando ci si aspetta che si parli, mentre in altre situazioni parlare
risulta possibile;
B)
l’anomalia interferisce con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione
sociale;
C)
l’anomalia deve durare per almeno 1 mese e non è limitata al primo mese di scuola
(durante il quale molti bambini possono essere timidi o riluttanti a parlare);
D)
non dovrebbe essere diagnosticato se l’incapacità di parlare del soggetto è dovuta
soltanto al fatto che non conosce o non è a proprio agio col modo di parlare richiesto
nella situazione sociale;
E)
non viene neppure diagnosticato se l’anomalia è meglio attribuibile all’imbarazzo
relativo all’essere affetti da un Disturbo della Comunicazione (per es. Balbuzie) o se si
manifesta esclusivamente durante un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, Schizofrenia,
o un altro Disturbo Psicotico.
Si ipotizzano diverse cause, sia genetiche che ambientali. Studi epidemiologici hanno
mostrato un’alta incidenza di ansia sociale e/o depressione nei familiari di soggetti colpiti da
MS.
Essendo quindi una fobia del linguaggio, i bambini colpiti da MS resistono in modo ostinato
ai tentativi di farli parlare e reagiscono con stati ansiosi paralizzanti alle situazioni in cui ci
si aspetta da loro che parlino, per questo bisognerebbe consentire loro di esprimersi e
comunicare non verbalmente.
Le manifestazioni associate al Mutismo Selettivo possono includere eccessiva timidezza,
timore di imbarazzo sociale, isolamento sociale e ritiro, appiccicosità, tratti compulsivi,
negativismo, accessi di collera, o comportamenti di controllo oppure oppositivi, specie a
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casa. Può esservi grave compromissione del funzionamento sociale e scolastico. È comune
che questi soggetti siano presi in giro o usati come capro espiatorio dai coetanei.
Invece di comunicare con una normale verbalizzazione, i bambini affetti da questo disturbo
possono comunicare con gesti, annuendo o scuotendo il capo in segno di diniego, o
spingendo o tirando l’interlocutore o, in alcuni casi, con emissioni di suoni monosillabici,
corti, o monotoni, o con una voce alterata.
Per quanto riguarda la Diagnosi differenziale il MS dovrebbe essere distinto dalle anomalie
del linguaggio che sono meglio attribuibili ad un Disturbo della Comunicazione, come un
Disturbo della Fonazione, Disturbo dell’Espressione del Linguaggio, Disturbo Misto
dell’Espressione e della Ricezione del Linguaggio, o Balbuzie. Diversamente dal Mutismo
Selettivo, l’anomalia del linguaggio in queste condizioni non è ristretta ad una situazione
sociale specifica. I bambini con famiglie che sono immigrate in paesi dove si parla un’altra
lingua possono rifiutare di parlare la nuova lingua per mancanza di conoscenza della lingua.
Se la comprensione della nuova lingua è adeguata, ma il rifiuto di parlare persiste, può
essere giustificata una diagnosi di Mutismo Selettivo. I soggetti con Disturbo Pervasivo
dello Sviluppo, Schizofrenia o un altro Disturbo Psicotico o Ritardo Mentale grave possono
avere problemi di comunicazione sociale ed essere incapaci di parlare adeguatamente in
situazioni sociali. Al contrario, il Mutismo Selettivo dovrebbe essere diagnosticato solo in
un bambino che ha acquisito la capacità di parlare in alcune situazioni sociali (per es.
tipicamente a casa).
L’ansia sociale e l’evitamento sociale della Fobia Sociale possono essere associati col
Mutismo Selettivo. In tali casi, possono essere fatte entrambe le diagnosi.
C) Disturbo bipolare in età pediatrica
La depressione bipolare è una malattia mentale molto seria che colpisce circa il 3-7% della
popolazione. Spesso la patologia inizia già durante l’infanzia e l’adolescenza e in questi casi
è frequente un ritardo di diagnosi e trattamento. L’esordio in età pediatrica (e una
conseguente malattia più lunga) e la ricorrenza degli episodi sembrano peggiorare il decorso
della malattia.
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Uno studio retrospettivo, associato a un breve studio prospettico, effettuato su 480 pazienti
adulti con diagnosi di disordine bipolare (età media 42,5 anni) che aveva l’obiettivo di
valutare se l’età di inizio della depressione bipolare fosse associata ad un peggiore decorso
della patologia. Tale studio ha analizzato il rapporto tra l’età di esordio della malattia, l’età
in cui è stata avviata la terapia farmacologia e il successivo decorso della malattia, valutato
anche in maniera prospettica per un anno. I risultati hanno messo in evidenza che nel 14%
dei pazienti la malattia era iniziata nell’infanzia (12 anni o meno), nel 36% durante
l’adolescenza (tra 13 e 18 anni), nel 32% in età adulta precoce (tra 19 e 29 anni), e nel 19%
in età adulta più tardiva (dopo i 30 anni). Un inizio precoce della malattia bipolare era
associato con lunghi ritardi nell’inizio della prima terapia, che in media superavano i 16
mesi. I pazienti con malattia iniziata durante l’infanzia o l’adolescenza hanno riportato più
episodi di malattia, maggior co-morbidità e cicli rapidi (predittivi di outcome peggiore).
Nella componente prospettica dello studio questi soggetti hanno presentato episodi più gravi
di mania, di depressione e meno giorni di benessere.
Gli autori concludono che l’inizio del disturbo bipolare durante l’infanzia è comune ed è
associato con una maggior latenza nel trattamento. La diagnosi nel bambino è meno
standardizzata in quanto le caratteristiche di inizio della patologia sono diverse da quelle
degli adulti. Gli estremi dell’attivazione (impulsività, irritabilità e rabbia) possono essere
inoltre confusi con i sintomi dell’ADHD. Vi può essere poi una resistenza da parte dei
medici a porre una diagnosi così pesante per il bambino/adolescente. Va ancora sottolineato
che, ad eccezione del litio, la terapia farmacologia non né stata studiata nei bambini. E’
importante tenere conto di tali risultati, in quanto il disturbo bipolare sembra iniziare in età
pediatrica in circa la metà dei casi ed è quindi auspicabile che il pediatra abbia conoscenze e
strumenti per poterne sospettare la presenza. La diagnosi non è semplice in quanto molte
volte i pazienti si rivolgono ai medici per la componente depressiva mentre viene trascurata
quella maniacale, la quale, senza domande dirette e precise, può rimanere “nascosta” al
medico per anni. La diagnosi corretta e precoce della condizione è fondamentale, come
abbiamo visto, per avviare un trattamento adeguato e forse migliorare gli outcomes avversi
di tale patologia. Le linee guida sul trattamento prodotte dal National Institute for Health
and Clinical Excellence (NICE)5 del Sistema Sanitario inglese, contengono anche i criteri
5 http://www.nice.org.uk/guidance/index.jsp?action=byID&r=true&o=10990
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diagnostici per il bambino e l’adolescente e sono consultabili on-line. Da segnalare inoltre le
linee guida del Canadian Network for Mood and Anxiety Treatments6 che riportano i criteri
diagnostici definiti dal DMS-IV.
D) Disturbo Oppositivo – Provocatorio
Il DSM-IV-TR indica per il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) i seguenti criteri
diagnostici, che si considerano soddisfatti solo se il comportamento si manifesta più
frequentemente rispetto a quanto si osserva tipicamente in soggetti paragonabili per età e
livello di sviluppo.:
A. modalità di comportamento negativistico, ostile, e provocatorio che dura da almeno 6
mesi, durante i quali sono stati presenti 4 (o più) dei seguenti atteggiamenti:
1. spesso va in collera;
2. spesso litiga con gli adulti;
3. spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare la/le richieste o regole degli adulti;
4. spesso irrita deliberatamente le persone;
5. spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento;
6. è spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri;
7. è spesso arrabbiato e rancoroso;
8. è spesso dispettoso e vendicativo.
B. Anomalia del comportamento che causa compromissione clinicamente significativa
del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
C. Comportamenti che non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un
Disturbo Psicotico o di un Disturbo dell’Umore.
D. Non vengono soddisfatti i criteri per il Disturbo della Condotta, e, se il soggetto ha
18 anni o più, non risultano soddisfatti i criteri per il Disturbo Antisociale di
Personalità.
La diagnosi di DOP si applica a bambini che manifestano livelli di rabbia persistente ed
evolutivamente inappropriata, irritabilità, comportamenti provocatori e oppositività, che
causano problemi nell’adattamento e nella funzionalità sociale. Una storia precoce di DOP è
6 Canadian Network for Mood and Anxiety Treatments (CANMAT) Guidelines for the management of patients with
bipolar disorder: consensus and controversies. Bipolar Disorders, 2005, 7 (suppl. 3), 5-69.
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spesso presente in bambini che vengono successivamente diagnosticati come Disturbo della
Condotta (DC). Il DOP ha il suo esordio mediamente intorno ai 6 anni, mentre l’età di
esordio del DC si colloca intorno ai 9 anni.
E) Disturbo Pervasivo dello Sviluppo
I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS), che attualmente sono più spesso definiti come
Disturbi dello Spettro Autistico, sono caratterizzati da una compromissione grave,
generalizzata e anomala rispetto al livello di sviluppo o all’età mentale del bambino, in 3
diverse aree dello sviluppo: nella capacità di interazione sociale reciproca, nella capacità di
comunicazione, e nell’area degli interessi e delle attività. Fanno parte dei DPS le seguenti
cinque patologie: Disturbo Autistico, Disturbo di Rett, Disturbo Disintegrativo della
Fanciullezza, Disturbo di Asperger e Disturbo Generalizzato dello Sviluppo NAS. Questi
disturbi si evidenziano di solito nei primi anni di vita e sono accompagnati da un certo grado
di ritardo mentale (che se presente dovrebbe essere rappresentato sull’Asse 2).
I Disturbi dello Spettro Autistico possono essere diagnosticati in modo attendibile per lo
più entro il terzo anno d’età, alcuni studi suggeriscono che in molti bambini il disturbo può
essere individuato con precisione fin dall’età di un anno, o addirittura più precocemente.
Studi condotti in alcuni stati degli USA, nel Regno Unito, in Europa ed in Asia, stimano la
prevalenza dei DPS in un range da 2 e 6 casi su 1000 bambini. Si stima che soltanto il 50%
dei bambini affetti da DPS riceva la diagnosi prima dell’ingresso alla scuola materna.
F) Ritardo Mentale
Stando ai dati statistici, il 30%-40% dei soggetti colpiti dal Ritardo mentale, presenta
un’eziologia sconosciuta. I fattori etiologici possono essere primariamente biologici o
primariamente psicosociali, o una combinazione di entrambi. Tra i principali fattori
predisponenti si possono annoverare:
- ereditarietà (circa il 5%);
- alterazioni precoci dello sviluppo embrionale (circa il 30%);
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- problemi durante la gravidanza e nel periodo perinatale - malnutrizione del feto,
prematurità, ipossia, infezioni virali o altre infezioni, e traumi - (circa il 10%);
- condizioni mediche generali acquisite durante l'infanzia o la fanciullezza -infezioni, traumi,
e avvelenamenti - (circa il 5%);
- influenze ambientali e altri disturbi mentali - mancanza di accudimento e di stimolazioni
sociali, verbali, o di altre stimolazioni, e disturbi mentali gravi - (circa il 15-20%).
Il Ritardo mentale è caratterizzato da uno scarso adattamento all’ambiente, il soggetto
presenta un incompleto sviluppo della psiche nonché un mancato raggiungimento del
pensiero logico-astratto, ha scarsa coscienza di sé e poco senso di responsabilità. La stima
della prevalenza del Ritardo mentale sulla popolazione è di circa dell’1% e ne sono affetti
prevalentemente i maschi. Nonostante il più delle volte il Ritardo mentale risulti una
patologia cronica, esso è guaribile se è di tipo lieve.
Il rischio di sviluppare psicopatologia per le persone colpite da Ritardo mentale è di 3 o 4
volte superiore rispetto alla media della popolazione.
Spesso ci si trova nella situazione di doppia diagnosi, infatti il Ritardo mentale, è
caratterizzato da una disturbata comunicazione, in quanto deficit del funzionamento
cognitivo accompagnato da disturbi che intaccano l’attenzione e la memoria. Le patologie
associate al Ritardo mentale sono di solito: disadattamento con iperattività, disturbi
dell’umore (atteggiamenti depressivi, maniacali o bipolari), disturbi della sfera motoria,
disturbi generalizzati dello sviluppo.
Il Ritardo mentale si suddivide in quattro gradi: lieve, medio, grave e gravissimo.
Inizialmente esisteva un quinto grado, vale a dire il borderline, oggi definito Funzionamento
intellettivo minimo il quale non è propriamente un Ritardo mentale nella vera accezione della
parola poiché il soggetto ha un quoziente intellettivo che tende ad avvicinarsi alla norma.
Come è stato precedentemente detto, il Ritardo mentale è diagnosticabile mediante la
misurazione del quoziente intellettivo ottenibile tramite una divisione fra Età Mentale (E.M.)
ed Età Cronologica (E.C.) e moltiplicando il risultato per 100, l’Età Cronologica è l’effettiva
età del soggetto, l’Età Mentale invece, è quella che viene attribuita al soggetto dopo che
questi ha risolto dei problemi o delle prove attitudinali risolti già con esito positivo dai
soggetti della sua stessa età. Per misurare le capacità intellettive vengono utilizzate diverse
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Scale di sviluppo fra le quali la WPPS e la WISC-R, che rappresenta uno dei principali test
usati per una misura globale dell’intelligenza. Uno dei suoi maggiori pregi e’ quello di
indagare e di testare una per una tutta una serie di abilità cognitive considerate di base,
fornendo sia una misura generale dell’intelligenza, il QI globale, sia una serie di misure
singole grezze dalle quali e’ possibile ricavare un profilo generale delle abilità psicologiche
del soggetto.
G) Disturbi dell’apprendimento
Un numero considerevole di alunni della scuola di base presenta problemi di
apprendimento che incidono in modo rilevante sul rendimento nelle varie discipline,
causando spesso un vero e proprio disadattamento scolastico.
Numerosi studi e ricerche effettuati nel corso di questi ultimi anni hanno infatti
evidenziato che oltre il 20% della popolazione scolastica presenta rallentamenti nei processi
di apprendimento che richiedono interventi individualizzati. I disturbi dell'apprendimento
rappresentano oggi uno dei problemi più rilevanti con cui si confrontano bambini, famiglie,
educatori, psicologi e pediatri. Sintomi come le difficoltà di lettura e scrittura, il disturbo
dell'attenzione, le difficoltà nelle prove matematiche sono largamente diffusi e sono spesso
associati ad un severo disagio con risvolti emotivi, cognitivi e sociali importanti.
Le difficoltà generiche dell’apprendimento sono solitamente dovute ad un ritardo di
maturazione, ad uno scarso bagaglio di esperienze o ad uno scarso investimento
motivazionale a cui spesso si aggiungono errori di tipo pedagogico che i docenti compiono
sia nelle prime proposte didattiche relative all’approccio alla lingua scritta che,
successivamente, negli itinerari di recupero conseguenti all’accertamento delle difficoltà
I disturbi specifici (DSA) sono invece strettamente legati a deficit di natura percettiva o
linguistica, che non sono stati individuati precocemente e riguardano un gruppo di disabilità
in età evolutiva caratterizzate da significative difficoltà nell’acquisizione e nell’utilizzazione
della lettura, della scrittura e del calcolo. Questi comprendono la dislessia, la disortografia,
la disgrafia e la discalculia. E' presente un DSA quando esiste una significativa discrepanza
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tra le capacità intellettive del bambino e le sue prestazioni scolastiche, in assenza di
problemi di disagio familiare e di scarsa qualità d'insegnamento.
La diagnosi di dislessia, disgrafia, disortografia, di discalculia, viene fatta in seguito ai
risultati di test specifici riguardo la lettura, la scrittura e il calcolo; a volte ci può essere
un’associazione tra deficit (disturbo di lettura e di calcolo). I problemi di apprendimento,
ovviamente incidono in modo negativo con gli esiti scolastici e con le attività quotidiane che
richiedono l’abilità di leggere, scrivere e fare calcoli.
La prevalenza dei DSA nella popolazione in età scolare, secondo la maggior parte degli
studi, è tra il 2-5%. Tra le cause sono state principalmente indagati i fattori genetici e quelli
acquisiti (sofferenza cerebrale precoce, lesioni di varia natura, ritardi maturativi, ecc.). In
una percentuale di casi che va dal 25% al 50%, si può osservare che il disturbo specifico
dell’apprendimento si presenta associato ad un disturbo psicopatologico (deficit di
attenzione e iperattività, disturbo oppositivo-provocatorio, disturbi della condotta, disturbo
depressivo, disturbi di ansia), con importanti implicazioni soprattutto dal punto di vista
clinico.
La disgrafia è una difficoltà di scrittura che riguarda la riproduzione dei segni alfabetici e
numerici. La disortografia è la difficoltà a tradurre correttamente i suoni che compongono
le parole in simboli grafici. La discalculia è una difficoltà specifica nell’apprendimento del
calcolo che si manifesta nel riconoscimento e nella denominazione dei simboli numerici,
nella scrittura dei numeri, nell’associazione del simbolo numerico alla quantità
corrispondente, nella numerazione in ordine crescente e decrescente, nella risoluzione di
situazioni problematiche. La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento della
lettura che si manifesta come una particolare difficoltà a riconoscere e discriminare i segni
alfabetici contenuti nelle parole, ad analizzarli in sequenza e a orientarsi sul rigo da leggere.
Le cause possono essere così sintetizzate:
- difficoltà percettivo-motorie e meta fonologiche;
- difficoltà di attenzione, di concentrazione, di memorizzazione;
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- ritardo cognitivo;
- difficoltà di linguaggio;
- problemi relativi alla sfera affettiva e comunicazionale (dai quali possono derivare scarsi
livelli di autostima, atteggiamenti e comportamenti inadeguati, senso di inadeguatezza di
fronte alle richieste scolastiche, demotivazione ad apprendere).
Ciò che caratterizza il bambino con disturbo specifico di apprendimento è la presenza di
un impaccio considerevole nello svolgimento di tutte quelle attività che richiedono
un’integrazione di più competenze di base ed è proprio l’intreccio di capacità diverse che
mette a dura prova il soggetto nel suo processo di apprendimento scolastico. Sia
l’osservazione precoce all’interno della scuola dell’infanzia che l’osservazione diagnostica
successiva, dovranno quindi tendere all’individuazione di queste lacune di base.
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3. I meccanismi di difesa
3.1 Funzione adattiva dei meccanismi di difesa
I meccanismi di difesa sono processi psichici, spesso seguiti da una risposta
comportamentale, che ogni individuo mette in atto più o meno automaticamente per
affrontare le situazioni stressanti e mediare i conflitti che si generano dallo scontro tra
bisogni, impulsi, desideri ed affetti da una parte e proibizioni interne e/o condizioni della
realtà esterna dall'altra.
Sebbene ormai siano un costrutto trasversale ad ogni modello ed ogni approccio
psicologico, i meccanismi di difesa nascono nel contesto della Psicologia dell'Io, che si
occupa principalmente dei punti di forza, delle debolezze e delle funzioni dell'Io.
La scuola psicoanalitica fondata da Anna Freud7, denominata appunto la Psicologia dell’Io,
si è occupata prevalentemente ed in maniera estesa di descrivere i meccanismi di difesa di
cui dispone l’Io per rapportarsi con la realtà. Secondo la teoria psicoanalitica un
meccanismo di difesa, è una funzione propria dell’Io, inteso come struttura psichica che
gestisce il contatto con la realtà sia interna che esterna, organizzando gli stimoli ambientali
e le relazioni oggettuali, una sorta di “gestore centrale”.
I meccanismi di difesa entrano in funzione come strategie che l’Io inconscio attua per
affrontare eventi che generano stati ansiosi nel soggetto, con lo scopo di escludere dal
livello cosciente qualcosa di inaccettabile e che minaccia l’identità stessa.
Sono funzioni fondamentali per l’adattamento in quanto servono a gestire le richieste
pulsionali interne o provenienti dall’ambiente esterno. Si sviluppano in età infantile, come
modalità naturale di affrontare la realtà, quindi non possono essere mai considerati
patologici, anche se possono venire impiegati dal soggetto in modo disadattivo. In questo
caso si possono riscontrare le più comune forme di disturbo mentale.
Esistono due correnti di pensiero diverse a proposito della concettualizzazione e della
classificazione dei meccanismi di difesa , una segue un criterio per così dire "orizzontale", e
un'altra uno "verticale" . Il primo prevede lo sviluppo e la comparsa dei meccanismi di
7 Freud A. (1936), L’Io e i meccanismi di difesa, Ed. Martinelli.
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difesa in base ad un ordine cronologico (A. Freud, J. Piaget, P. Cramer). Il secondo ipotizza
una loro organizzazione gerarchica basata su caratteristiche intrinseche quali, ad esempio, il
grado di complessità o il livello di distorsione della realtà (lo stesso S. Freud, R. Shafer, G.
Vaillant, C. Perry). Va detto però che, nonostante le classificazioni gerarchiche spesso si
riferiscano a una linea temporale di sviluppo secondo il registro maturo-immaturo, esse non
implicano che il livello di utilizzazione della difesa sia legato all'età o alla fase di sviluppo,
quindi individui della stessa età possono usare difese prese da qualsiasi livello della
gerarchia.
Questo secondo approccio è attualmente il più diffuso e utilizzato, ad esso inoltre si ispirano
le classificazioni più complete, e più diffuse attualmente, tra cui anche il DSM-IV-TR, che
nella sua appendice sui meccanismi di difesa (Asse per il Funzionamento Difensivo) fa
riferimento a questo modello, classificando i singoli meccanismi di difesa secondo i
seguenti livelli:
1. Alto Livello Adattivo.
2. Livello delle Inibizioni Mentali (funzioni di compromesso).
3. Livello di Distorsione dell’Immagine.
4. Livello di Disconoscimento.
5. Livello grave di Distorsione dell’Immagine.
6. Livello dell’Azione.
7. Livello di Sregolatezza Difensiva.
3.2 I meccanismi di difesa nell’infanzia
Già nel corso dell’infanzia si attuano i meccanismi di difesa, e il bambino comincia ad
utilizzarli in presenza di minacce, interne o esterne, dovute a pulsioni che lui non riesce in
qualche modo ad accettare. E così, già dai primi mesi di vita, il bambino attiva delle difese
per proteggersi dal dolore. Una prima difesa che il bambino attiva, aiutato in ciò dagli
adulti, è quella che si riferisce alla vita; il bambino, non avendo ancora gli strumenti per
padroneggiare e tollerare la realtà, se la inventa, la trasforma e la “nega” con la fantasia,
attraverso le favole.
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Senza dubbio, queste invenzioni hanno un valore difensivo e adattivo. In questi casi, non si
può parlare di conflitto: il bambino, non solo accetta la favola, ma pretende che sia sempre la
stessa, che non venga cambiata neanche una virgola tutte le volte che è raccontata.
Altre comuni difese come l’isolamento, la razionalizzazione, la rimozione e la proiezione
(su persone o cose del mondo esterno) sembrano tutte poter essere di aiuto al bambino per far
fronte alla sua realtà, mentre alcuni meccanismi di difesa sembrano danneggiare lo sviluppo
della personalità , come ad esempio la regressione, il meccanismo di fuga dalla realtà e
l’isolamento, portando da un lato a comportamenti più infantili e dall’altro ad una
limitazione dei suoi interessi e dei rapporti sociali.
Il bambino è un individuo in evoluzione, per cui sintomi, inibizioni ed ansie non hanno lo
stesso significato che nell’adulto. Alcuni possono rappresentare l’inizio di disturbi che
permarranno, mentre altri possono essere solo l’apparire transitorio di uno stress evolutivo.
In ogni caso, se si lavora con bambini in contesto terapeutico, occorre conoscere quali
meccanismi di difesa possono essere messi in atto e quali potrebbero avere valenza
disadattiva ed essere predittori di potenziali problemi psichici futuri. Di seguito un elenco
dei principali meccanismi di difesa e una loro breve descrizione.
3.3. Principali meccanismi di difesa
Il ritiro primitivo
Tendenza a sostituire lo stimolo del proprio mondo interiore alla tensione della relazione
con gli altri (es. il bambino sovra stimolato che si addormenta).
Il diniego
E’ un meccanismo di difesa che abolisce dalla coscienza desideri, pensieri e situazioni
traumatizzanti e dolorose. Il bambino affronta le cose spiacevoli rifiutando di accettare che
accadono.
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Il controllo onnipotente
L’onnipotenza è la tipica modalità di pensiero infantile che consiste nella convinzione che
pensare o desiderare qualcosa abbia effetti nel mondo esterno e si traduca in effetti reali.
Per il neonato la fonte di tutti gli eventi è interna; se ha fame e riceve il latte il neonato ha
un esperienza preverbale di aver magicamente inventato il latte e non percepisce l’esistenza
di altri da se che agiscono in modo indipendente da lui.
L’idealizzazione e la svalutazione
L’idealizzazione è il bisogno di attribuire un valore e un potere speciale alle persone da cui
dipendiamo emotivamente e che possono aiutarci a battere il terrore interno che proviamo di
non farcela, di sentirci imperfetti. Il bambino piccolo ha bisogno di credere che mamma e
papà siano in grado di proteggerlo da tutti i pericoli della vita.
La svalutazione
E’ l’opposto del bisogno di idealizzazione. Quanto più un oggetto è stato idealizzato tanto
più viene svalutato.
La rimozione
E’ un meccanismo di difesa automatico inconscio che consiste nel disconoscere le proprie
immagini mentali spiacevoli, istinti aggressivi, che hanno particolare carica emozionale.
Il blocco degli affetti
Simile al meccanismo della rimozione, avviene a livello più superficiale e preconscio.
Il ritiro emotivo
Avviene di solito in reazione ad intense o persistenti frustrazioni, come ritiro emotivoaffettivo-interpersonale, per timore di ulteriori eventuali frustrazioni (es. tossicomania,
alcolismo, sogno ad occhi aperti, dedizione esclusiva ad un interesse di lavoro).
La proiezione
Avviene quando qualcosa di interno viene considerato proveniente dall’esterno (es. pensare
che se non vado bene a scuola è colpa dei professori che fanno preferenze e ce l’hanno con
me).
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L’introiezione
Avviene invece quando si fa proprio e si porta all’interno qualcosa che è esterno, che sia
desiderabile o meno (es. i bambini che introiettano, fanno propri atteggiamenti, affetti e
comportamenti che appartengono ai loro genitori).
L’interiorizzazione
Consiste in una trasformazione di una relazione interpersonale in una di tipo intrapsichico.
(es. la relazione figlio-padre autoritario, interiorizzata come relazione – conflittuale - tra Io e
Super-Io.
La scissione dell’Io
Viene messa in atto per soddisfare l’assoluto bisogno di separare gli aspetti buoni da quelli
cattivi, in quanto l’idea della coesistenza di entrambi all’interno di ciascuna persona risulta
insopportabile ed inaccettabile (es. sviluppare l’idea di un nemico esterno, del bene contro il
male).
La fissazione
Rappresenta un arresto nello sviluppo evolutivo emotivo-affettivo, per cui l’individuo
rimane immobilizzata (“fissata”) ad una precedente fase evolutiva, per la necessità inconscia
di proteggere il proprio equilibrio psicologico (es. figlio iperprotetto e non abituato
all’impegno e alle frustrazioni e neppure alle eccessive gratificazioni, rimane fissato allo
stadio infantile (orale).
La regressione
E’ un meccanismo che si instaura nelle normali situazioni quotidiane, allo scopo di ritrovare
un momento di gratificazione personale o di sollievo, se pur transitorio, vissuto nell’età
adolescenziale. Si presenta come un meccanismo di difesa finalizzato inconsciamente o
meno ad un recupero degli equilibri psichici. Può presentarsi come episodico o può
diventare un meccanismo permanente (es. nelle crisi di adattamento dell’individuo
caratterizzate da personalità debole i ipotrofia dell’Io o, nell’ambito della patologia, in
situazioni di schizofrenia o decadimento cognitivo senile.
L’identificazione proiettiva
Consiste nel riporre nell’altro le parti di sé buone, per la necessità di non percepirlo come un
pericolo per la propria persona (es. umanizzare il proprio aggressore – vedi Sindrome di
Stoccolma).
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L’isolamento 
Consiste nel separare l’aspetto affettivo di un’esperienza o un’idea, dalla sua dimensione
cognitiva. La persona che utilizza questo meccanismo racconta con distacco emotivo
situazioni che in genere suscitano sentimenti forti nella maggioranza delle persone.
E’ l’unità operativa di base in meccanismi come l’intellettualizzazione e la
razionalizzazione.
L’intellettualizzazione
La persona che la utilizza parla dei sentimenti senza sentimento. Un esempio consiste nel
parlare di una cosa che fa rabbia con un tono distaccato, ciò indica il fatto che l’idea di
provare rabbia è accettata ma viene inibita l’espressione concreta della rabbia. Può avere un
valore adattivo quando non ci si lascia coinvolgere dall’emotività e dell’impulsività, ma
diventa disadattiva nel momento in cui impedisce all’individuo di farsi coinvolgere
emotivamente e di gioire delle situazioni che si vivono.
La razionalizzazione
Consiste nel circondare le proprie decisione di buone ragioni. Entra in gioco quando non
riusciamo ad ottenere qualcosa e diciamo che non era poi così importante o quando
cerchiamo di farci andare bene qualcosa che non ci piace, creando giustificazioni di fronte a
sé stessi e agli altri.
La compartimentalizzazione
La sua funzione è permettere a due condizioni in conflitto di esistere senza creare
confusione, sensi di colpa, vergogna, angoscia sul piano cosciente. La persona abbraccia
due idee, due atteggiamenti che sono in conflitto ma non ne coglie la contraddizione. E’
indistinguibile dall’ipocrisia (es. persone molto umanitarie nella sfera pubblica e in privato
picchiano i figli, deplorare il pregiudizio e fare battute razziste).
La sublimazione
Consiste nello spostare le proprie pulsioni primitive verso mete socialmente accettabili.
La svalutazione
Il soggetto si sente incapace di realizzare ciò che desidera (il contrario dell’onnipotenza).
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L’annullamento
Avviene attraverso lo sforzo inconscio di controbilanciare un affetto, di solito un senso di
colpa o di vergogna, con un atteggiamento e un comportamento che magicamente lo
cancelli. Alla base vi è il non riconoscimento del senso di colpa e il desiderio di espiare (es.
i rituali religiosi, il genitore che si sente in colpa perché lavora troppo e quando torna a casa
porta regali ai figli, il marito che porta un regalo alla moglie per compensare il litigio della
sera precedente).
Spostare da un oggetto esterno verso il Sé un affetto o atteggiamento negativo. Se si critica
un’autorità la cui benevolenza sembra essenziale per la nostra sicurezza e se si pensa che
l’altro non può tollerare la critica ci si sente più sicuri dirigendo all’interno le idee critiche.
Es: i bambini nei confronti dei genitori inaffidabili.
Lo spostamento o traslazione
Questo meccanismo fa in modo che avvenga uno spostamento degli affetti verso un’altra
persona, verso animali o oggetti, a causa di frustrazioni subite in passato. Ogni pulsione,
emozione, preoccupazione o comportamento viene diretto da un oggetto iniziale verso un
altro perché la direzione originaria per qualche ragione provoca ansia (es. l’uomo
strapazzato dal capo che torna a casa e inveisce contro la moglie, che a sua volta sgrida i
figli, che prendono a calci il cane, trasformazione di energia aggressiva in attività creativa).
La formazione reattiva
Può essere considerata come un desiderio inconscio che viene espresso attraverso il suo
opposto, una trasformazione di un affetto negativo in positivo. E’ presente già tra il terzo o
quarto anno (es. trasformare l’odio in amore, il desiderio in disprezzo, l’invidia in attrazione
(es. il bambino che dichiara amore per il fratellino trasformando i sentimenti di rabbia e
gelosia, il bambino che culla con forza, che stringe troppo forte il fratellino che gli dà i
pizzicotti...).
La psicosomatizzazione
Meccanismo di difesa caratterizzato dal convogliare per via neuro-umorale le emozioni, i
pensieri e i comportamenti penalizzanti, su funzioni fisiologiche, quindi sul corpo.
L’autismo
Meccanismo di fuga dalla realtà con cui si teme di confrontarsi, vivendo in un mondo
distaccato da quello reale.
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4. Il disagio scolastico nell’infanzia
I bambini di cui parlerò sono tutti accomunati da problematiche che emergono in maniera
più importante in ambito scolastico. Sono bambini segnalati ai servizi dagli insegnanti, che
vorrebbero per loro un sostegno scolastico, in quanto lamentano il fatto di non riuscire a
gestirli in classe, perché troppo irrequieti, disattenti, fonte di disturbo o che manifestano
comportamenti aggressivi in maniera imprevedibile. Sono quindi bambini a rischio di
diagnosi di iperattività o a rischio di segnalazione (L. 104/92, artt. 12-13).
Per questo motivo, vorrei parlare del disagio, in particolare di quello scolastico. Vorrei
inoltre accennare ad uno strumento utile a valutare la qualità delle relazioni sociali
all’interno della classe (il Sociogramma di Moreno), nella convinzione che l’aspetto
relazionale abbia importanza fondamentale nel determinare tale disagio. Vorrei infine
trattare brevemente due teorie
che hanno avuto o potrebbero avere importanti e utili
implicazioni in ambito educativo (la teoria delle Intelligenze Multiple e l’approccio
sistemico).
Non esiste una definizione di disagio precisa ed univoca, tuttavia possiamo considerare la
situazione di disagio, non come una condizione patologica specifica, bensì come una
situazione di malessere psicologico, che può assumere diverse intensità, avere le più svariate
cause ed interessare contesti eterogenei.
4.1 Il disagio scolastico: definizione e strumenti di valutazione
La vita scolastica costituisce il primo contatto e la prima esperienza prolungata degli
individui con un’istituzione formale e l’occasione di iniziare a comprendere che le relazioni
interpersonali non si fondano solo su legami di tipo naturale e affettivo. Nel contesto
scolastico, il bambino sperimenta con i coetanei e con gli adulti di riferimento, rapporti di
competizione e cooperazione e la qualità delle relazioni, nonché il modo in cui gli
insegnanti trattano gli alunni, hanno implicazioni importanti e a lungo termine sulla
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formazione della personalità e sul modo in cui organizzano la propria rappresentazione
dell’autorità formale.
Alcuni autori aggregano le difficoltà che si possono incontrare nel contesto scolastico, in
due categorie principali: una che comprende le difficoltà relative all’esperienza scolastica in
quanto tale (come le difficoltà di apprendimento) e un’altra relativa alla sfera relazionale
con i compagni ed insegnanti. Sebbene le difficoltà scolastiche siano le più frequenti, quelle
che compromettono le relazioni interpersonali e l’immagine di sé sono percepite come le
più gravi e problematiche per lo sviluppo dell’identità e dell’adattamento sociale. Da qui,
l’importanza di riconoscere e fronteggiare il disadattamento scolastico sin dalla comparsa
dei primi sintomi.
Esistono diverse definizioni per il disagio scolastico, una delle quali8 lo descrive come:
“una sindrome di malessere psicologico causato da un’esperienza scolastica insoddisfacente
da vari punti di vista, a volte assai negativa, provocata da una molteplicità di fattori:
- scarso rendimento scolastico;
- insofferenza derivante dall’incapacità di adattarsi al regolamento scolastico;
- una percezione negativa di sé che deriva sia dal confronto con gli insegnanti
(asimmetrico), sia da quello con i propri compagni (simmetrico)”.
Gli autori Mancini e Gabrielli, ideatori del test di Valutazione del Disagio e della
Dispersione Scolastica (1998)9, definiscono il disagio scolastico come "uno stato emotivo,
non correlato significativamente a disturbi di tipo psicopatologico, linguistici o di ritardo
cognitivo, che si manifesta attraverso un insieme di comportamenti disfunzionali (scarsa
partecipazione, disattenzione, comportamenti prevalenti di rifiuto e di disturbo, cattivo
rapporto con i compagni, ma anche assoluta carenza di spirito critico), che non permettono
al soggetto di vivere adeguatamente le attività di classe e di apprendere con successo,
utilizzando il massimo delle proprie capacità cognitive, affettive e relazionali".
Tale definizione mette in luce che il disagio è da considerarsi risultato dell’interazione di
fattori individuali (caratteristiche cognitive, affettive comportamentali e socio-cultutali
dell’alunno) e ambientali (caratteristiche didattiche, organizzative, socio-relazionali della
scuola). Per intervenire sul disagio scolastico quindi si deve agire sul rapporto studentescuola senza scindere il binomio.
8 Polmonari A. (2001), Gli adolescenti, Il Mulino, Bologna.
9 Mancini G., Gabrielli G. (1998), Test TVD – Valutazione del disagio e dispersione scolastica, Ed. Erickson, Trento.
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4.2 Il sistema scolastico e il sistema familiare in un ottica sistemica
Scuola e famiglia sono due grandi sistemi in cui il bambino è inserito e che si occupano
della sua educazione e crescita ed oggi, rispetto al passato, hanno dovuto riconsiderare i loro
rapporti, alla luce delle trasformazioni sociali e del sistema scolastico (riforma della scuola)
avvenute in questi ultimi decenni. Questa situazione può essere osservata in un’ottica
sistemico-relazionale, in quanto riguarda la complessa interazione tra due macro-sistemi che
hanno un’influenza fondamentale nello sviluppo, intelletivo e psico-affettivo del bambino.
Osservare la scuola secondo un’ottica sistemica significa guardarla sia come sovrasistema
(apparato burocratico, differenze gerarchiche e generazionali), sia come sottosistema (la rete
di relazioni che crea la realtà di quella specifica scuola). Secondo quest’ottica il singolo
individuo (insegnante, allievo, genitore) non viene più considerato come una monade, ma va
osservato nel contesto scolastico, come appartenente ad uno o più sistemi relazionali10.
A differenza di altri sistemi, che tendono naturalmente all’equilibrio, il sistema scolastico
vive naturalmente in una condizione di continua instabilità, in quanto si ha il cambiamento
continuo di una parte dei suoi membri e i membri che si succedono agli altri introducono al
suo interno, con estrema rapidità, aspettative, idee, orientamenti e valori di un sistema
sociale in continuo movimento. Così il sistema scolastico, come quello familiare, in quanto
lontani dall’equilibrio, per essere studiati e conosciuti, richiedono concetti dinamici ed
evolutivi.
Scuola e famiglia, pur partendo da regole e finalità educative diverse, dovrebbero integrarsi
ed entrare in contatto in forma collaborativa per poter essere utili allo sviluppo della
personalità del bambino. Tuttavia, spesso le loro ottiche sono molto differenti e genitori ed
insegnanti non riescono a trovare le forme di un’“alleanza educativa”. E’ importante per
l’insegnante, affinché possa conoscere meglio i propri alunni, potersi confrontare con i loro
genitori, anche in ragione del fatto che i bambini dovrebbero essere educati in ottica globale
e non settoriale.
10 Si definisce sistema relazionale l’insieme costituito da una o più unità collegate tra loro in modo che un
cambiamento nello stato di una unità sarà seguito dal cambiamento nello stato delle altre unità.
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4.2.1 Un esempio di applicazione dell’approccio sistemico in classe: le Costellazioni
Familiari
La visione e la pedagogia sistemica, permettono nuove possibilità nel lavoro con gli allievi,
nell’interazione con i colleghi insegnanti e nell’approccio con i genitori, così da poter
osservare da una diversa prospettiva difficoltà e conflitti.
Un interessante testo di Marianne Franke-Gricksch (docente elementare e psicoterapeuta
nella terapia sistemica familiare), descrive l’esperienza delle Costellazioni Familiari da lei
fatta in classe con i suoi alunni, che le ha consentito di vedere problemi quali il
comportamento provocatorio, l’iperattività, il disinteresse o il fallimento scolastico, non
solo come comportamenti da correggere, ma come espressioni di una lealtà e amore
inconscio che lega il bambino ai destini della sua famiglia di origine.
Si descrive l’approccio sistemico come possibile chiave di lettura per comprendere il
colorato mondo dei bambini e favorirne la metamorfosi. Seguendo tale approccio nel
contesto classe, si è in grado di concepire ciascun bambino nella sua unicità e di
comprendere che la sua specificità è data anche (e soprattutto) dall’insieme delle relazioni
familiari, in quanto queste, siano esse fonte di sicurezza o di sofferenza, sono parte di
ciascuno e il proprio benessere non può prescindere da una loro comprensione e
accettazione.
4.2.2 La Teoria delle Intelligenze Multiple (IM) di Gardner e implicazioni in ambito
educativo
La teoria IM ha riscosso molto interesse motivato soprattutto dal fatto di aver svincolato il
concetto di intelligenza dal Quoziente di intelligenza (QI). Mentre questo approccio la
intende come un costrutto unico e misurabile, la teoria delle IM individua 8 tipi di
intelligenze: oltre a quelle linguistica e logico-matematica (misurate dal QI), anche quelle
musicale, spaziale, corporeo-cinestesica, intrapersonale, interpersonale e naturalistica [1].
Le implicazioni a livello didattico consistono nel riconoscere uno stile di insegnamento più
flessibile, attento ai diversi “stili di apprendimento” e che riesca ad individuare ed utilizzare
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potenziandola, la tipologia di intelligenza predominante (nel senso di “maggiormente
utilizzata”) in ciascun allievo, quale canale privilegiato di apprendimento.
La teoria, elaborata da Howard Gaedner negli anni ’80 ed implementata nei successivi venti
anni è stata in parte messa in discussione negli anni recenti, infatti il suo autore non è
riuscito a dimostrare a livello sperimentale l’esistenza di tali intelligenze, ma il suo punto di
partenza sembra essere una teoria sociale.
Questa rimane tuttavia una teoria che ha avuto un grande riscontro in ambito didattico e ha
stimolato moltissimi progetti educativi (vedi progetto Spectrum)11.
A mio parere, tale teoria può presentare dei pericoli se la si intende in modo rigido per
categorizzare le diverse intelligenze e di conseguenza etichettare “tipi di allievi”. Può altresì
avere notevoli potenzialità, se la si concepisce come uno strumento in più per poter
potenziare metodi di insegnamento e apprendimento alternativi a quelli tradizionali, spesso
limitanti per molti, in quanto basati su due soli tipi di abilità (linguistiche e logicomatematiche).
Interessante la possibilità di utilizzare abilità musicali o cinestesiche ai fini
dell’apprendimento
4.3 La qualità delle relazioni nel gruppo classe: il Sociogramma di Moreno
Il Sociogramma di Moreno (1964): uno strumento rivolto alle insegnanti di scuola primaria
per permettere loro di analizzare le relazioni sociali all’interno di un gruppo classe.
Una tecnica che conduce ad una rappresentazione grafica delle relazioni interpersonali
all’interno di un gruppo. Può essere utile per evidenziare la posizione di ognuno nel gruppo
e, quindi, comprendere più facilmente quale debba essere l’azione dell’insegnante per
sviluppare un maggior equilibrio interno e per aiutare alcuni bambini a risolvere i loro
problemi di socializzazione.
Si utilizza principalmente nei contesti scolastici, in particolare quando si verificano alcune
specifiche situazioni, quali: relazioni conflittuali, presenza di sottogruppi, soggetti esclusi,
mancanza di collaborazione nei gruppi di lavoro.
11 Gardner H. et al. (1998), Cominciare a costruire dalle potenzialità dei bambini. L’esperienza del progetto Spectrum,
trad. it. Edizioni Junior, Azzano San Paolo (Bg), 2001.
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Questo può rivelarsi utile in quanto la conoscenza gli insegnanti hanno dei componenti di un
gruppo classe si limita spesso alle sole manifestazioni esterne e può non essere sufficiente a
cogliere l’effettiva struttura psicosociale del gruppo e le relazioni esistenti tra le persone. Si
procede attraverso la costruzione e somministrazione del questionario che deve contenere
domande che fanno parte della loro esperienza quotidiana, come ad esempio “chi sono per te
i due o tre bambini più simpatici della classe?”, “se dovessi fare un gioco, quali sono i due o
tre compagni che vorresti in squadra con te?”, “tra i tuoi compagni di classe chi è il tuo
migliore amico?”. Alla fine emergono 5 tipi:
- isolato: soggetto privo di qualsiasi riconoscimento dai compagni e quindi non nelle
condizioni di instaurare alcun tipo di legame all’interno della classe;
- marginale: la cui presenza all’interno della classe non è fondamentale. La sua posizione
non è centrale nella rete delle relazioni;
- emarginato: non è considerato positivamente dai suoi compagni;
- popolare: viene riconosciuto da molti compagni, ma non ha necessariamente legami,
- leader: è il più riconosciuto dal gruppo ed ha molti legami con i compagni.
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5. Teoria e analisi del disegno infantile
5.1 Le fasi espressive del bambino
L’evoluzione del disegno nel bambino segue le fasi del suo sviluppo psichico e fisico. Nel
bambino piccolo l’attività del disegnare è esclusivamente un esercizio motorio ed ha la
funzione di scaricare l’energia. Si passa quindi dallo stadio dello scarabocchio, a quello
preschematico, schematico e del cosiddetto realismo nascente. La maturazione nell’atto del
disegnare riguarda diversi aspetti, quali la motricità, il coordinamento dei movimenti, la
lateralizzazione destra- sinistra, per giungere poi alla funzione simbolica del linguaggio e
quindi del disegno.
Nel dettaglio possiamo distinguere le seguenti fasi in relazione all’età:
A. fase pre-figurativa (scarabocchio)
1° livello: motorio - dai 16 ai 20 mesi
2° livello: percettivo- dai 2 anni ai 2 anni e mezzo
B. fase rappresentativa (passaggio scarabocchio disegno) - dai 2 anni e mezzo ai 3
manifestazione grafica essenziale intorno ai 3 anni è la chiusura del cerchio
C. fase figurativa o comunicativa-sociale
realismo intellettuale – dai 4 ai 7 anni
realismo visivo – dagli 8 agli 11 anni
Gli schematismi negli scarabocchi possono essere osservati in tutti i bambini che hanno uno
sviluppo nella norma e le eventuali divergenze possono costituire dei segnali di problemi
nello sviluppo, ovviamente non sufficienti a formulare diagnosi, ma da interpretare come
campanelli d’allarme e guida per le successive osservazioni. Tali schematismi sono:
1. tracciati: elementi semplici, perlopiù punti e linee;
2. diagrammi: segnali legati gli uni agli altri;
3. combinazioni: somma di più diagrammi;
4. aggregati: somme complesse di segni semplici;
5. immagini: hanno aspetto definito e complesso e una intenzionalità più chiara a chi
osserva.
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5.2 Analisi del disegno
E’ importante proporre il disegno al bambino in forma di gioco, precisando sempre che non
si tratta di un compito, né di una gara e che quindi non ci sarà alcun giudizio e può sentirsi
libero di tracciare tutto quello che vuole.
Se consideriamo i disegni con valore di test proiettivi, è utile osservare la produzione
grafica spontanea dei bambini, al di fuori di consegne precise e possibilmente senza
correzioni, in quanto dopo il primo impulso a produrre ciò che sente può subentrare la
razionalità che può portarlo a negare l’emozione immediata che aveva espresso.
L’atteggiamento migliore da tenere è quello di osservatore passivo. Dopo aver predisposto il
materiale e aver dato le consegne è bene limitarsi ad osservare da uno stesso punto della
stanza e rispondere alle domande che vengono fatte dai bambini dicendo di “fare come si
preferisce”.
E’ bene intervenire in modo cauto, solo nel caso in cui il bambino abbia evidente difficoltà
ad iniziare; in quel caso si può tentare di stimolarlo, suggerendo un inizio, dimostrando una
tecnica o, se in presenza di una forte inibizione (peraltro non così comune nel bambino),
proponendo di ricalcare un disegno.
Ora passerò a descrivere alcuni degli elementi principali da osservare per fare un’analisi del
disegno (e del processo), facendo però una doverosa premessa. L’idea che più si avvicina
alle mie convinzioni è che l’obiettivo principale non sia quello di dare un’interpretazione
del disegno del bambino e di prendere alcune sue caratteristiche come indicatore certo di
sue tendenze caratteriali e/o problematiche personali e familiari.
E’ necessario ribadire che non si può basare alcuna valutazione su di un solo disegno e solo
nel momento in cui alcuni tratti emergano in maniera molto accentuata o si ripetano per
molte volte, è possibile attribuire loro un significato più preciso.
In ogni caso, quello che osserviamo nel disegno del bambino e soprattutto nel “processo che
conduce al prodotto finito” serve a darci sicuramente informazioni importanti, che possono
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servirci per costruire ipotesi, per farci delle domande le cui risposte possono essere
accennate solo dopo un lungo e attento processo di osservazione.
Prima ancora di iniziare ad osservare l’approccio del bambino al foglio e ai materiali,
dobbiamo già prestare attenzione al suo umore, all’eventuale imbarazzo, alla postura che
può darci elementi sul suo stato emotivo.
Nel momento in cui il bambino si appresta ad iniziare il disegno, si inizia già ad osservare la
posizione rispetto al foglio (frontale, laterale), successivamente se l’impugnatura della
matita o pennarello è rigida o sciolta (è importante consentire l’utilizzo della mano destra o
sinistra a seconda della lateralizzazione fisiologica e spontanea del bambino). Un’altra cosa
da osservare è la pressione esercitata sul foglio, indicatore del potenziale energetico, della
forza vitale disponibile del bambino, valutando se prevalgono linee deboli o troppo sottili,
linee forti o esageratamente marcate, linee assottigliate o pressione discontinua a tratti
interrotti. Si ricorda che la linea ha un altissimo valore emotivo nel disegno, e fornisce
importanti informazioni sullo stato emotivo del soggetto: rilassamento (movimenti “fluidi”),
vitalità (tratti ricchi, abbondanti e spinti verso l’alto), disagio e malessere (linee contratte,
appuntite), aggressività (linee spezzate), sensibilità (alternanza di linee curve e rette,
piacevoli chiaroscuri), equilibrio interiore (tracciato vario e armonico, alternanza armonica
tra pieni e vuoti, chiari e scuri), ritardo evolutivo (tracciati brevi, miseri, dispersivi,
disarmonici).
Si può osservare se i tratti tendono ad essere regolari o irregolari, se il gesto (che fornisce
importanti informazioni sulla capacità di adattamento del soggetto, sul temperamento, sulle
predisposizioni cognitive alla sintesi o all’analisi) tenda ad essere curvo o angoloso,
attaccato o staccato.
E’ bene prendere sempre nota del punto di partenza, se si colloca sulla parte sinistra, destra
o centrale, soprattutto in che lato si sviluppa tutto il disegno. Il lato sinistro è legato al
passato, alle età precedenti, è il lato regressivo, della passività (madre). Chi tende, non solo
ad iniziare a sinistra ma a mantenersi sbilanciato in tutto il disegno, potrebbe far pensare alla
paura di crescere e di andare verso le novità. Si tratta di una situazione che si osserva di
frequente nei bambini timidi ed introversi, o che hanno genitori iperprotettivi che tendono a
bloccare i tentativi di autonomia. Mentre invece il bambino che, pur partendo dalla sinistra,
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tende poi ad espandersi verso destra e a produrre un disegno centrato, è maggiormente
proiettato verso il mondo, verso le novità, è il lato del futuro, della curiosità, dell’iniziativa
(padre). Il disegno ben centrato esprime il naturale egocentrismo del bambino piccolo. Un
disegno che si sviluppi tutto nella parte centrale lasciando molto spazio ai margini o è molto
piccolo o potrebbe essere eccessivamente centrato su sé stesso.
Occorre tener presente che lo spazio-foglio indica la modalità con cui l’individuo si pone
nei confronti di sé stesso e in funzione dell’ambiente, esprimendo la capacità di percezione e
collocazione dell’Io, inteso nella sua dimensione corporea, psichica, emotiva e cognitiva.
Possiamo quindi considerare la scelta di un determinato spazio come la proiezione di un
bisogno interiore ed il modo in cui viene utilizzato lo spazio-foglio, ci dà informazioni
utilissime sulle modalità individuali di approccio all’ambiente circostante.
La parte alta del foglio rappresenta l’idealità e il mondo della fantasia, mentre la bassa
indica la realtà, il presente. Chi si mantiene eccessivamente in alto evitando la parte bassa,
tende a sfuggire dalla realtà rifugiandosi nella fantasia e potrebbe manifestare incapacità di
prendere decisioni e tendenza a rimandare a domani, non accorgersi delle potenzialità di cui
dispone e rimanere bloccato nell’azione contingente. La parte bassa del foglio al contrario,
rappresenta la zona degli impulsi, delle istanze primarie e della costrizione al dovere. Chi si
mantiene prevalentemente nella parte bassa potrebbe essere una persona più portata
all’attività pratica che alla teoria e molto realista. Se questa tendenza si presenta all’eccesso,
con disegni di piccole dimensioni schiacciati verso il bordo inferiore, potrebbe esprimere un
sentimento di sentirsi oppresso dall’ambiente circostante e impossibilitato a manifestare le
sue potenzialità. Lo spostamento verso sinistra indica tendenza alla sfiducia, alla chiusura e
alla malinconia, come lo spostamento verso destra può associarsi più frequentemente con un
atteggiamento positivo, di fiducia verso sé stessi e il mondo e aspettative positive per il
futuro.
Un altro elemento da osservare sono i margini del disegno, che rappresentano i limiti interni
ed esterni di una persona, quindi il fatto che siano più o meno ampi indica quanto spazio si
tende a mantenere per sé e quanto se ne concede agli altri.
Se il foglio è riempito interamente, quasi a voler uscire dai limiti del foglio, potrebbe essere
interpretato come sintomo di insicurezza e bisogno di rassicurazione, in quanto il bambino
può sperimentare la difficoltà a porsi dei limiti e quindi la necessità di essere contenuto.
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Anche rispetto alle dimensioni del disegno, si può notare che l’eccessivamente grande
potrebbe stare ad indicare un senso di sé stesso troppo grande e la tendenza ad imporre il
proprio modo di essere ed il proprio punto di vista, come l’eccessivamente piccolo potrebbe
indicare un senso dell’Io carente e un senso di inferiorità, se in più il disegno tende ad essere
anche molto centralizzato in mezzo al foglio, potrebbe indicare tendenza ad autodelimitarsi.
5.3 I disegni test proiettivi: la figura umana, la famiglia, l’albero, la casa
Di seguito presenterò i disegni test proiettivi maggiormente utilizzati dagli psicologi a scopo
diagnostico, descrivendo utilizzo e significato generale. Per approfondire gli aspetti relativi
all’interpretazione dei singoli elementi dei disegni si rimanda al testo della Federici
(Federici, 2005).
Il test della figura umana
La figura umana rappresenta l’identificazione dell’autore, è l’immagine soggettiva del suo
Io.
Molti autori hanno compiuto tentativi di utilizzare questo test come test quantitativo per una
valutazione del QI del bambino, effettuando ricerche comparate, tra questi:
- Florence Goodenough che ha trovato correlazioni con la Stanford Revision di Terman
(contare numero di particolari per calcolare l’età mentale del bambino).
-
Jaqueline Royer che ha correlato il test con le scale WISC.12
La consegna va fatta chiedendo al bambino di “disegna una figura umana così come gli
viene in mente”.
Una volta terminato il disegno si chiederà al bambino di dare un nome alla figura e di
indicarne l’età, inoltre si deve evitare l’ambiguità sessuale, accertandosi di quale sia il
genere e se corrisponde a quello del bambino che disegna, per valutare il livello di
identificazione. Occorre comunque tener conto del fatto che l’ambiguità sessuale è la norma
nel bambino in età prescolare e a volte può arrivare fino ai 6-7 anni.
12 Per informazioni statistiche sui risultati si veda Royer J. (1977), La personalità del bambino attraverso il disegno
della figura umana, OS, Firenze.
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Se il bambino cancellasse la figura iniziata, questo ci dà un’informazione molto importante
ed è importante sapere di chi si tratta.
Dopo che il bambino avrà terminato la prima figura si prende un altro foglio e si chiede di
disegnarne una seconda, di sesso opposto alla prima. In genere il sesso della prima figura
dovrebbe essere quello dell’autore e approssimativamente anche l’età13. La prima figura
dovrebbe mostrare il lato sociale del bambino, mentre la seconda dovrebbe rappresentare la
parte più intima e profonda.
Occorre osservare e annotare gli eventuali contrasti relativi al sesso e all’età, tenendo
presente però che fino ai 9 anni non deve risultare preoccupante l’incapacità manifestata dal
bambino a differenziare la figura. Il fatto di disegnarsi di età molto inferiore potrebbe essere
dovuto ad una sorta di identificazione con un fratellino piccolo per cui magari si prova
gelosia, o il fatto che una bambina si disegna maschio potrebbe essere dovuto al fatto di
vivere tra fratelli tutti maschi, solo per fare qualche esempio.
Infine va controllato che le figure vengano curate allo stesso modo in tutti i particolari. Se
una delle due lo è molto di più, sia nei particolari che nell’ambientazione, può significare
che il bambino si sente più vicino a quella parte di sé (sé sociale vs. sé interno).
Dopo che il bambino ha terminato il disegno delle due figure, si può chiedere di inventare
una storia sul personaggio rappresentato dalla figura preferita tra le due. In genere i bambini
tendono a scegliere la prima figura (il proprio modello di identificazione). Per aiutarlo e
stimolarlo si possono porre alcune domande, quali:
- chi hai disegnato?
- quanti anni ha?
- come si chiama?
- cosa sta facendo adesso
- con chi vive?
- va a scuola o a lavorare?
- che classe frequenta/ che lavoro fa?
- è sposato? ha figli? (porre la domanda solo se l’età del personaggio lo consente)
- come si trova con gli amici? ne ha tanti? è contento?
13 Dalla letteratura (Royer, op. cit.) sappiamo che all’età di 10 anni il 75% sia dei maschi che delle femmine adegua
l’età del disegno alla propria.
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- dimmi tre qualità di questo personaggio (assicurandosi che il bambino abbia ben
compreso il significato della parola “qualità”)
- adesso dimmi tre difetti o le tre abitudini peggiori
- quali sono i suoi tre più grandi desideri?
- la cosa più bella che gli è mai capitata?
- la più brutta?
- ti ricorda forse qualcuno?
- ti piacerebbe somigliargli?
- per quale motivo? per qualcosa di particolare?
In genere si chiedono tre qualità/ difetti/ desideri, in quanto, di solito il primo può essere
facilmente una maschera, una difesa, mentre gli altri possono essere più autentici.
Di fronte alla domanda se gli ricorda qualcuno può capitare che il bambino non faccia
resistenza ammettendo facilmente di essere se stesso, un amico o un cugino più grande che
ammira o al contrario può accadere che si inibisca e che opponga una rigida resistenza
affermando “non lo so”, “non è nessuno”, “è uno di fantasia, un personaggio che ho
immaginato”, in questo caso possiamo sospettare qualcosa di non troppo positivo legato a
quella figura e annotarlo.
Il disegno della figura umana subisce un’evoluzione a seconda dell’età mentale del bambino
e del livello di sviluppo cognitivo ed è un test utile per valutare lo sviluppo psicologico,
emotivo e cognitivo del bambino. Vediamo quali sono le fasi principali:
1. l’uomo girino (2-3 anni): è sostanzialmente un cerchio chiuso, il bambino si
percepisce come testa e occhi;
2. gli arti (3-4 anni): appaiono gli arti attaccati direttamente alla testa, tratti uguali simili
a tentacoli, in quanto in questa fase dello sviluppo il bambino ha acquisito
l’esperienza del prendere e mantenere la cosa afferrata;
3. il tronco (4 anni): compare il tronco molto schematico;
4. il naso (4 anni e mezzo): viene aggiunto il naso come prolungamento di sé nel
mondo. Se a questa età il bambino rifiuta di disegnare il volto si potrebbe ipotizzare
qualche problema di adattamento;
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5. l’omino completo (5 anni): compaiono gli arti attaccati al punto giusto del tronco e
anche piedi, bocca e capelli e orecchie, spesso molto grandi. Nell’occhio compaiono
le pupille, il tronco si allunga e allarga e compare il doppio tratto per gambe e
braccia, a volte compare il vestiario;
6. schema mentale completo (6-7 anni): viene aggiunto il collo, riesce a fare i contorni a
matita a distinguere la gonna dai pantaloni. A 7 anni disegna anche le dita e verso gli
8 anni è più frequente la figura di profilo;
7. schema corporeo completo (8-10 anni): occhi più evoluti, compaiono ciglia e
sopracciglia, braccia, gambe e testa sono più proporzionate compaiono anche dei
particolari nuovi come cintura, spalle, movimento e flessione delle gambe, con un
atteggiamento più differenziato.
Per ogni disegno vanno osservati sia gli aspetti globali, che quelli analitici. Tra i primi
vanno indagati:
-
la disposizione del disegno;
-
le dimensioni e le proporzioni della figura;
-
il tipo di tracciato;
-
la posizione e la simmetria;
-
l’atteggiamento corporeo (il profilo, la posizione delle braccia e delle gambe);
-
il movimento (la posizione del tronco, la posizione diversa di due arti omologhi,
l’aggiunta di oggetti che evocano movimento;
-
la personalizzazione (età, sesso, identità);
-
il carattere (emotivo, razionale, ansioso, gioioso, ecc.);
-
il colore (realismo nell’uso del colore, la scelta dei colori, il numero dei colori
utilizzati, intensità, lineare o a macchie, localizzazione, estensione delle parti
colorate);
-
l’espressione (le emozioni comunicate);
-
il realismo d’insieme della figura;
-
l’ambiente e il paesaggio (solo il 20% circa dei bambini disegna spontaneamente un
paesaggio circostante se la consegna è quella di disegnare una figura umana e lo
fanno maggiormente i più piccoli. A partire dai 10 anni il fatto che ci sia un
paesaggio non richiesto può indicare insicurezza).
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Per le principali simbologie nel disegno del paesaggio, vedere il “test del paesaggio di
montagna”.
Il test della famiglia
Il test della famiglia può essere associato a quello della figura umana e ci fornisce
indicazioni su come il bambino percepisca le relazioni all’interno del suo nucleo familiare e
la sua posizione all’interno di esso.
La consegna del disegno va fatta chiedendo al bambino di disegnare “una famiglia qualsiasi
che sta facendo qualcosa” ed è importante ribadire “una qualsiasi” per diversi motivi, in
particolare perché il bambino avrà più facilità a proiettare le proprie sensazioni e i propri
impulsi. Questo disegno ci dà importanti informazioni sulla vicinanza o lontananza dei
componenti nella percezione del bambino ed è importante osservare anche l’ordine con cui
vengono disegnati i diversi personaggi, nonché la cura che viene messa. Ovviamente
occorre chiedere al bambino chi sono i personaggi e di annotarlo.
Come per il test della figura umana è importante predisporre un questionario da
somministrare a disegno ultimato, non anticipando la richiesta al bambino, che non deve
sapere che alla fine del disegno dovrà rispondere a delle domande.
Si chiederà al bambino:
- che cosa sta facendo la famiglia disegnata?
- chi è il più felice tra loro? perché?
- chi è il meno felice? perché?
- chi è il più buono o bravo? perché?
- chi è il meno buono o bravo? perché?
- la famiglia ha deciso di andare a fare un pic nic, però in macchina c’è posto per tutti meno
uno, chi rimane a casa? perché?
- di questa famiglia tu chi vorresti essere?
E’ molto importante spiegare e ribadire che le domande non si riferiscono alla propria
famiglia, ma alla famiglia del disegno.
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Quello che va osservato rispetto al contenuto è, anzitutto di che famiglia si tratta, quali
sentimenti prevalgono e se c’è equilibrio tra senso di realtà e principio di piacere, cioè se la
famiglia rappresentata è quella reale oppure se è immaginaria.
Nel disegno della famiglia è facile vedere proiettate le difese del bambino ed accorgersi se
possono considerarsi normali o patologiche, perché eccessive per la sua età.
E’ importante riuscire a cogliere i segnali di valorizzazione e svalorizzazione dei personaggi
disegnati. Come segnali di valorizzazione si può osservare se il personaggio viene disegnato
per primo, se occupa il primo posto a sinistra, se è più grande degli altri, in posizione
centrale o disegnato con più cura nei dettagli. Come segnali di svalorizzazione possiamo
individuare invece la soppressione del personaggio (spesso un fratello per gelosia, o un
genitore per rapporto conflittuale o sé stesso), o il personaggio disegnato per ultimo, più
piccolo e con meno cura.
Quando si analizza il disegno della famiglia di un bambino è bene conoscere la vera
composizione, in quanto è certamente diverso interpretare la situazione emotiva di un figlio
unico, piuttosto che di un primogenito, per fare un esempio.
Il test dell’albero
Autore del test è Karl Koch. A lui si deve la sistematizzazione dei dati e la raccolta di una
vasta casistica utile ad avere le conferme delle primitive intuizioni.
Perché il test abbia un valore significativo occorre che il bambino abbia almeno 4 anni,
prima di questa età esso non assume valore rilevante a livello proiettivo.
L’albero ha come significato simbolico l’immagine di sé.
La consegna del test va fatta chiedendo al bambino di “disegnare un albero da frutto (o un
altro albero) come meglio puoi”, oppure “per favore disegna una casa e un albero”. Una
volta finito , dare un altro foglio bianco e chiedere di disegnare un altro albero. Infine si
chiederà di scegliere fra i due e di colorare quello preferito.
Il primo albero rappresenta l’immagine sociale che il soggetto vuole dare di sé agli altri e
il secondo albero la parte più interiore del soggetto.
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Alberi simili indicano spontaneità nel soggetto, che non teme molto il giudizio degli altri.
La preferenza per il primo albero, indica apprezzamento per l’immagine sociale che si è
costruito, ma anche la percezione che ancora qualcosa dentro di sé non va.
La preferenza per il secondo albero indica che il bambino si piace così com’è, ma non ha
accettato a livello di sé il suo modo di presentarsi agli altri.
L’albero a livello simbolico rappresenta l’immagine del Sé. Diviso in tre parti principali, le
radici, il tronco e i rami/chioma, che hanno un diverso significato simbolico. Le radici sono
costituiscono la parte che affonda nel terreno e dà nutrimento, simboleggiano l’origine, i
rapporti con la famiglia, l’inconscio e le emozioni profonde. La linea del suolo ha il
significato di censura, rappresenta una linea divisoria che filtra le pulsioni (radici). Il tronco
è la parte più stabile dell’albero ed esprime le caratteristiche permanenti e stabili della
personalità, ed è il momento di passaggio tra l’origine (quello che si è: radici) e il futuro (gli
ideali che si intendono realizzare: chioma). La chioma o i rami rappresentano la zona di
passaggio tra l’oggi (tronco) e il domani e ci informano sulla modalità di interazione con del
bambino con il mondo. Un tronco lungo, per fare un esempio, è tipico dei bambini in età
prescolare e se presente in età successive è spesso associato con un ritardo nello sviluppo
intellettivo, mentre il tronco breve può indicare narcisismo, orgoglio e forti ambizioni. Allo
stesso modo una chioma chiusa e compatta può indicare tendenza al ripiegamento su sé
stessi e scarsa propensione ai cambiamenti, mentre rami diversificati possono indicare
apertura al mondo , inclinazione a recepire gli stimoli ambientali, capacità comunicativa e di
adattamento.
Fino ai 3-4 anni, il bambino alla richiesta di disegnare un albero disegna un fiore, infatti è
l’ultima cosa che rappresenta dopo aver disegnato la figura umana, gli animali, le case, le
piante, il sole e le nuvole. Solo dopo i 4 anni è in grado di rispondere alla richiesta di
disegnare un albero.
Di seguito l’elenco delle più comuni tipologie di albero disegnate dal bambino:
- albero con fusto ad un solo tratto: compare come limite massimo fino ai 6 anni e se
permane anche in seguito è un indicatore importante per determinare disturbi evolutivi;
- albero con rami ad un solo tratto: è abbastanza frequente fino ai 10 anni e lo è di più nelle
femmine rispetto ai maschi;
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- albero con rami a tratto doppio: corrisponde all’aspetto naturale dell’albero ed è il tipo di
esecuzione nella norma;
- albero con rami a tratti dritti: prevale nell’età della scuola materna e fino ai 6-7 anni, per
scomparire intorno agli 11 anni;
- albero con collocazioni inadeguate: con foglie, fiori o frutti posizionati sul fusto o in
contrasto con la legge di gravità, dovrebbe scomparire con l’età scolare;
- albero con rami collocati nella parte inferiore del fusto: se persiste oltre gli 8 anni può
indicare ritardo di sviluppo, situazioni affettive poco armoniche o regressioni;
- albero con fusto saldato: il tronco è chiuso in alto senza quasi nessuna ramificazione, è
segno di immaturità;
- albero con base del tronco appoggiata sull’orlo inferiore del foglio: necessità tipica del
bambino più piccolo, dovrebbe scomparire intorno ai 10 anni;
- albero con base del tronco a tratti paralleli: è accettabile fino ai 10-11 anni, dopo il
bambino tende a curvare i bordi inferiori;
- rapporto tronco-chioma: dato che per il bambino piccolo dà importanza al presente e non
sa fare progetti, disegna un fusto enorme ed una chioma piccola e man mano che cresce il
tronco darà maggiore spazio alla chioma raggiungendo le stesse dimensioni.
Sia l’altezza dell’albero che il rapporto tra le varie parti varia secondo l’età del bambino. In
età prescolare (3-5 anni) prevale l’altezza del tronco, che infatti rappresenta il tempo
presente, ma se continua a predominare sulla chioma anche oltre i 7 anni, ciò può indicare
un’irrequietudine a livello motorio o un’emotività poco controllata. Tra i 7 e gli 11 anni il
tronco ha più o meno la stessa dimensione della chioma e dai 12 anni in poi la chioma ha la
prevalenza, ad indicare un’acquisita capacità progettuale. Se la chioma prevale nettamente
sul tronco può indicare una fantasia molto vivace e scarsa capacità di concretizzare gli
obiettivi, se al contrario la chioma e molto piccola e schiacciata può indicare che il bambino
occupa poco il suo ambiente e ha timore di porsi obiettivi troppo elevati per sfiducia in sé
stesso.
L’albero nella norma ha una chioma che è circa 2/3 del tronco e l’altezza della chioma circa
i 7/10 della sua larghezza.
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Il test della casa
Il disegno della casa è uno di quelli che i bambini fanno più volentieri e fornisce
informazioni sul contenuto emotivo-affettivo del piccolo autore, sul modo di vivere i
rapporti familiari (con i genitori in primo luogo) e i rapporti sociali, in senso più ampio. La
casa è un simbolo molto importante in quanto rappresenta il luogo fisico e psicologico dove
il bambino vive, cresce e struttura la propria personalità ed anche il contenitore delle sue
emozioni positive e negative, delle paure ed entusiasmi. La casa e il “clima familiare” che vi
regna, fatto dalle relazioni interpersonali con genitori, fratelli, nonni, zii, amici, fornisce
importanti informazioni sul nucleo originario in cui il bambino vive e del quale, positivo o
negativo che sia, non può liberarsi. Questo test ci indica come il bambino vive la sua
famiglia e come vede sé stesso.
La consegna va data come una semplice richiesta di disegnare “una casa qualunque” e come
sempre, alla richiesta di indicazioni del bambino, rispondere di procedere come crede
meglio. Si può anche variare la consegna, soprattutto se il bambino ha un’età di 6 anni e
oltre, chiedendo di effettuare due disegni, uno della casa reale ed un altro della casa dei suoi
sogni. E’ consigliabile procedere con una richiesta alla volta e finita la prima casa gli si
chiede di disegnare la seconda. Questa variante è utile per raccogliere informazioni ulteriori
sul vissuto del bambino e sui suoi desideri e si può alla fine farlo verbalizzare chiedendogli
di descrivere le due case, così da poter osservare quanto il principio di realtà corrisponda al
principio del piacere e quanto il Sé reale corrisponda all’ideale dell’Io. Può capitare che i
due disegni si differenzino molto quanto a contenuto e vissuto e ogni volta che si osservano
differenze sostanziali fra le due case, ciò indica una discrepanza tra lo stato emotivo che il
soggetto sta vivendo e i desideri che vorrebbe realizzare.
I vari elementi della casa ci danno delle indicazioni particolari:
- il tetto rappresenta la parte fantastica della produzione mentale comprese le fantasie
proibite e pericolose;
- il comignolo rappresenta il senso di appartenenza alla famiglia e il fumo ha un significato
simbolico legato al clima affettivo della famiglia del bambino;
- le pareti rappresentano l’espressione della forza dell’io, ed è importante valutarne la
consistenza;
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- la porta rappresenta la modalità con cui il bambino realizza il contatto con l’ambiente;
- le finestre rappresentano un’altra modalità di entrare in contatto con l’ambiente ed anche
un mezzo per guardare fuori di sé e allo stesso tempo per essere visti dagli altri, divenendo
così un importante indicatore di eventuali condizionamenti subiti dal bambino, sulle regole
di comportamento acquisite e i divieti imposti dalla famiglia;
- lo scalino rappresenta la volontà del bambino di comunicare una chiusura a livello
familiare, la non facile accoglienza all’interno della casa.
Infine si osservino anche i particolari del paesaggio circostante:
- gli alberi collocati intorno alla casa indicano il bisogno di sentirsi protetti;
- le stradine e i viottoli, se giungono fino alla porta rappresentano il canale di
comunicazione con l’esterno;
- i recinti intorno alla casa indicano una situazione di isolamento che il bambino sta vivendo
o di divieti educativi eccessivamente pesanti.
5.3.1 Un esercizio: “Il paesaggio di montagna”
E’ un utile esercizio perché contiene tutti gli elementi appartenenti ai diversi test, ed è
generalmente ben accettato in quanto risulta rilassante e mette a proprio agio.
Va sottolineato che tutti questi test che rappresentano per gli psicologi degli strumenti di
diagnosi, sono per l’arteterapeuta un punto di partenza per la costruzione di un percorso, in
quanto forniscono molti elementi utili per capire come proseguire e spunti per formulare
ipotesi.
La consegna va fatta chiedendo al bambino di “disegnare un paesaggio con le montagne, gli
alberi, le case, le strade, le persone e altri particolari che ritiene doverci star”. Si può evitare
di menzionare il sole (simbolo paterno) per osservare se viene inserito spontaneamente dal
bambino).
Questo esercizio può essere proposto chiedendo di immaginare di fare una foto o di pensare
ad una cartolina ricevuta. Può essere utile dire al bambino di ricordarsi tutti gli elementi
elencati da disegnare, perché potrebbero emergere delle difficoltà a livello scolastico, ad
esempio se il bambino le scrive e le cancella man mano che le ha disegnate.
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Se si vuole fare un esercizio più completo partendo dal disegno del paesaggio di montagna,
una volta completato il disegno si possono fare delle domande sullo stesso e dare poi altre
consegne. Si può chiedere al bambino dove si collocherebbe nel disegno, quale albero o
strada vorrebbe essere, e così via. Infine si può chiedere di scegliere un particolare del
disegno che si vorrebbe cambiare o che al contrario piace in modo particolare, estrarlo,
disegnarlo in un altro foglio e farlo diventare il protagonista di una storia inventata.
Per la valutazione complessiva del disegno, vanno osservati i seguenti elementi:
-
le montagne: rappresentano a livello simbolico la madre. Le cime appuntite possono
indicare un rapporto conflittuale e la neve può considerarsi un ulteriore indicatore di
rigidità e freddezza nella madre, mentre cime arrotondate indicano un rapporto più
positivo e sereno;
-
il sole: a livello simbolico rappresenta il padre e compare molto spesso nei disegni
dei bambini, in quanto svolge una funzione fondamentale per la vita, esprimendo
sicurezza, benessere e calore. Un immagine brillante può indicare un buon rapporto
con il padre, se scompare o è pallido può indicare un rapporto non molto positivo, se
è rosso acceso o nero, potrebbe indicare timore provato verso un padre
eccessivamente autoritario;
-
nuvole: si interpretano di solito come un segnale di dubbio ed inquietudine, anche se
sono rosate o comunque di aspetto piacevole. Se sono scure e minacciose potrebbero
indicare un vissuto oppressivo;
-
stelle: esprimono un certo bisogno di essere valorizzati, di “brillare” agli occhi degli
altri;
-
acqua: esprime i desideri repressi del bambino ed è legata all’immagine materna;
-
fiori: disegnati prevalentemente dalle bambine, esprimono predominanza del gusto
estetico;
-
uccelli: sono simboli di affezione e di libertà. Se numerosi e molto evidenti
potrebbero esprimere l’insoddisfazione del soggetto per il suo desiderio di libertà
compresso o ostacolato;
-
animali
domestici:
se
disegnati
potrebbero
esprimere
compensazione ad un senso di solitudine ed abbandono;
-
casa: finestre, porta, maniglie, persiane (vedi “test della casa”);
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un
sentimento
di
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-
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strade: se conducono alla casa, rappresentano la via d’accesso e di evasione dal
contesto familiare. Se sono aperte indicano serenità, se sono chiuse indicano blocco
emotivo, se multiple e intersecate possono indicare la situazione di una famiglia
dissociata o complessi di abbandono sofferti dal bambino;
-
albero: vedi “test dell’albero”;
-
persone: chi sono, dove si collocano (vedi “test della figura umana”);
-
suolo: simbolo del bisogno di sicurezza e nutrimento, anche affettivo. Osservare se si
presenta verdeggiante e fiorito o scuro, irto di punte ed ostacoli.
In sintesi, gli elementi da valutare (ed annotare in una scheda) sono i seguenti:
-
stagione scelta e motivazione;
-
da quale parte del foglio è iniziata l’immagine;
-
montagne (arrotondate, appuntite, innevate);
-
alberi (qual è stato scelto, dov’è posizionato);
-
casa (in quale parte ci si identifica);
-
figura umana (quale viene scelta –se ce ne sono diverse- , dov’è posizionata e vicino
a cosa);
-
strada (quale viene scelta – se ce ne sono diverse-, da dove parte, quali le
dimensioni);
-
sole (dov’è posizionato, vicino a cosa, quali le dimensioni);
-
cosa devo sostenere e rinforzare;
-
cosa devo indagare.
5.4 Il significato dei colori e il test di Luscher
Ogni colore ha un preciso significato sia fisiologico che psicologico e viene ad assumere un
significato universale, solo in parte legato a influenze culturali o geografiche. Per queste
ragioni la teoria dei colori è stata utilizzata e da più parti accettata per aiutarci a capire lo
stato interiore delle persone e il colore rappresenta una vera e propria esperienza, un mezzo
di espressione e di comunicazione, tanto da poter parlare di un “linguaggio del colore”.
Il bambino ha un senso immediato del colore che lo rende capace di esprimere la propria
personalità attraverso di esso, con un’abilità del tutto spontanea e guidato da un senso
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dell’istinto. Per questo i bambini sono immediatamente attratti dai colori e le attività che
implicano l’uso del colore provoca in loro un senso di libertà e di soddisfazione che ci viene
facilmente comunicato.
La preferenza per un colore piuttosto che per un altro indica in parte un modo di essere
generale ed in parte degli stati transitori, essendo influenzata da diverse variabili quali il
senso di sicurezza provato, il modo di rapportarsi agli altri, il livello di apertura al mondo, lo
spirito d’iniziativa, il senso di adeguatezza provato, ecc. Per questo dal test dei colori si
possono ricavare delle importanti informazioni sulla vita emotiva del bambino, tenendo
conto del fatto che la scelta di determinati colori è influenzata anche dall’età.
Prima dei 3 anni il bambino non si preoccupa dei colori e il loro utilizzo è fine a sé stesso, in
quanto l’esperienza del disegno, a questa età è connessa soprattutto all’attività motoria. Dai
3 ai 6 anni, i bambini sono attratti più dal colore che dalla forma e tendono a preferire colori
decisi e toni molto forti e solo verso i 6-7 anni iniziano a porre attenzione alle sfumature,
preferendo perlopiù colori intensi e caldi. A 7-8 anni inizia ad emergere in vero interesse per
i colori stimolato dai primi tentativi di rappresentazione della realtà e a questa età sono
molto utili anche i disegni spontanei che il bambino fa e si possono utilizzare come veri e
propri test. Tra gli 8 e i 10 anni il bambino inizia a cogliere le relazioni tra i colori e gli
oggetti, ma inizialmente si limitano agli oggetti che hanno per lui valore emotivo (ad
esempio disegnare tutte le donne con gli occhi azzurri perché così li ha la mamma). E’ verso
gli 11-12 anni che il bambino scopre che gli stessi oggetti hanno colori diversi e inizia a
rappresentare sul foglio la realtà. E’ importante però che il passaggio alla ricerca realistica
non venga forzato, proprio perché nell’uso spontaneo del colore sono implicati non solo
fattori di maturazione intellettiva ma fattori emotivi profondi.
Il test dei colori di Max Luscher
I significati dei diversi colori sono stati sperimentati e sistematizzati dallo svizzero Max
Luscher che ideò questo test psicologico che dal 1923 trovò una rapida diffusione in Europa
e nel mondo.
Esiste una versione semplificata del test adatta per essere proposta ai bambini sotto forma di
gioco ed è composta da otto carte di diverso colore, cioè i 4 colori fondamentali (blu, verde,
giallo, rosso) e 4 colori ausiliari (viola, marrone, grigio e nero). Per eseguire il test sono
necessari dieci minuti circa e lo si deve fare in forma individuale, cercando di suscitare la
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curiosità del bambino e proponendo di “fare un bel gioco dei colori”. Si posizionano le otto
carte davanti a lui sparse e si procede come segue:
-
si chiede qual è il colore che preferisce; questo sarà il primo colore preferito e lo si
lascia sul tavolo girato sul dorso;
-
poi si chiede di scegliere un altro colore che gli piace tra quelli rimasti e si procede
così fino alla scelta dei primi 4 colori preferiti, che dovranno essere lasciati in ordine
sul tavolo girati sul dorso; si chiede poi di scegliere tra le 4 carte rimaste, il colore
che non ti piace per niente, che non si sopporta; questo sarà il primo colore
rifiutato;
-
dopo aver girato sul dorso la carta rifiutata, si chiede di sceglierne ancora un’altra che
non piace; questo sarà il secondo colore rifiutato;
-
a questo punto rimangono due carte sul tavolo e questi sono i due colori indifferenti.
E’ importante non influenzare in nessun modo le scelte del bambino, non mettergli fretta ed
evitare di fare paragoni con oggetti di uso quotidiano nel caso il bambino sia indeciso. Di
seguito vediamo il significato delle posizioni delle carte, mentre per i significati dei diversi
colori (e coppie di colori) si rimanda al testo della Federici (Federici, 2000):
- i primi due colori scelti indicano come il bambino vorrebbe essere, il comportamento che
vorrebbe avere e che si pone come obiettivo;
- il terzo e quarto colore indicano come il bambino si sente, come si vive, come si
comporta, il suo presente e la sua attuale disposizione d’animo;
- i due colori rifiutati indicano i bisogni che ha represso per necessità, ciò da cui fugge;
- i due colori indifferenti indicano le potenzialità che il bambino potrebbe prima o poi
utilizzare.
In generale i 4 colori primari non dovrebbero mai essere rifiutati e se accade ciò può
indicare che il bambino sta vivendo una situazione di ansia, tensione o di frustrazione
perché un suo desiderio fondamentale (rappresentato dal colore che ha rifiutato) non viene
appagato. I colori ausiliari invece, non dovrebbero mai apparire tra le preferenze (ai primi
tre posti) e se accade ciò può indicare che il bambino si sta ponendo con un atteggiamento
negativo verso la vita. E’ opportuno ripetere il test a distanza di tempo in quanto quasi
sempre le risposte del bambino cambiano.
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Parte seconda
Esperienza pratica di Project Work
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Di seguito descrivo l’esperienza fatta nei due anni in cui ho frequentato il Servizio Unità
Multidisciplinare Età Evolutiva (UMEE) della ASL. Un’esperienza per me molto formativa,
anche perché ho frequentato il Servizio in maniera continuativa, avendo modo di partecipare
a diverse situazioni, oltre ai casi che ho seguito attraverso i laboratori espressivi. Ho
partecipato ad incontri d’équipe, a colloqui che la psicologa referente faceva con le famiglie,
i bambini e gli insegnanti, alla somministrazione di testistica.
I casi che ho seguito, sono bambini in età prescolare e scolare (dai 5 agli 8 anni), con
diverse problematiche. Durante il primo anno, due bambini tra i 5 e i 6 anni (Emanuele “il
piccolo” ed Emanuele “il grande”) a rischio di diagnosi di iperattività, in situazione di
disagio scolastico e nel momento del passaggio dalla scuola dell’infanzia a quella
elementare. Una bambina di 5 anni (Noemi) con sintomi di mutismo selettivo, crisi isteriche
e sospetto disturbo bipolare, che ho seguito insieme a suo fratello gemello (Leo). Durante il
secondo anno una bambina di 8 anni di origine tunisina (Greta) che ha un fratello
disprassico di un anno più grande e che viene segnalata dalla scuola per presunti problemi di
apprendimento. Un bambino di 7 anni (Mattia) con lieve ritardo mentale di tipo borderline
ed un bambino di 5 anni affetto da artrite reumatoide, una rara patologia ossea di tipo
cronico e progressivo.
Nel presentare i casi seguiti nei due anni, seguirò un stile espositivo leggermente diverso,
volutamente mantenuto in quanto riflette i cambiamenti intercorsi nel tempo, relativamente
al metodo di osservazione durante i laboratori e alla successiva sistematizzazione delle
informazioni raccolte. Così nel presentare i bambini seguiti durante il secondo anno di
tirocinio metterò maggiormente in evidenza alcuni aspetti, quali: materiali disponibili,
materiali scelti, approccio ai materiali, utilizzo dello spazio-stanza e dello spazio-foglio,
consegna, tecniche, restituzione e osservazioni conclusive.
Descriverò la strutturazione del setting, l’evoluzione nel tempo e la struttura generale degli
incontri. In entrambi i casi, farò una descrizione del bambino e della famiglia e un’analisi
della richiesta e del bisogno. Infine farò la descrizione più dettagliata del percorso fatto
insieme ai bambini e degli incontri di Arteterapia.
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6. Il contesto del Project Work: il Servizio Unità Multidisciplinare Età
Evolutiva (UMEE)
Il Project Work è stato svolto presso il Servizio Unità Multidisciplinare Età Evolutiva della
ASL di Osimo-Offagna e l’esperienza, iniziata nel giugno 2007, a tutt’oggi prosegue.
Nel presente capitolo descriverò l’organizzazione del servizio (funzioni, composizione
dell’équipe, utenza), come avviene la presa in carico dei casi e la condivisione degli
obiettivi tra la psicologa referente e me.
Descriverò i bambini che ho seguito e le loro problematiche, mettendo in rilievo l’analisi
della richiesta e del bisogno espressi dalla famiglia.
Passerò poi a descrivere come ho impostato gli incontri e come si è andato strutturando il
setting.
6.1 Organizzazione del Servizio UMEE
Questo servizio rivolto ai minori si colloca a livello di Distretto Sanitario e le sue funzioni,
definite dalla L.R. n. 18/96, sono quelle di:
-
informazione ed educazione sanitaria;
-
attività di prevenzione;
-
consulenza e sostegno, anche psicologico, della famiglia;
-
collaborazione con enti e istituzioni;
-
interventi per la cura e riabilitazione precoce della persona disabile;
-
individuazione dell’handicap e compilazione della Diagnosi Funzionale (DF);
-
collaborazione con gli operatori della scuola e i genitori per l’elaborazione del
Profilo Dinamico Funzionale (PDF) e del Piano Educativo Individualizzato (PEI);
-
verifica del progetto educativo ai fini dell’inserimento sociale, scolastico e nelle
strutture che favoriscono l’integrazione dei soggetti disabili, anche mediante la
definizione della necessità di un’assistenza scolastica e/o educativa domiciliare;
-
presa in carico delle situazioni di handicap di particolare gravità, in collaborazione
con i Servizi Sociali del Comune di riferimento, che si occupano delle relative
provvidenze economiche.
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L’utenza è nella fascia d’età 0-18 anni e si tratta di soggetti in situazioni di disabilità (e delle
loro famiglie) e di soggetti con disturbi dello sviluppo psicofisico nell’infanzia e
nell’adolescenza. L’équipe è di tipo multiprofessionale e ne fanno parte lo psicologo, il
neuropsichiatra infantile, il logopedista e l’assistente sociale. La modalità di accesso al
servizio può essere diretta, quando la famiglia stessa prende contatti o mediata, quando altri
professionisti o istituzioni segnalano il caso al servizio (PLS, scuola, Comune, Servizi
sanitari, reparti ospedalieri o altre strutture).
La presa in carico da parte dell’équipe prende avvio con la compilazione di una scheda
d’ingresso contenente i dati generali e con l’informazione alla famiglia sul percorso
diagnostico e sulle modalità relative alla presa in carico. Quando il caso viene inviato dalla
scuola, questo avviene tramite apposito “modulo di richiesta di intervento” con eventuale
specificazione circa il sospetto di handicap. L’assistente sociale raccoglie i dati generali, dà
informazioni sul servizio e sul percorso valutativo e nella riunione d’équipe si condividono
le informazioni raccolte e si individuano gli operatori che saranno coinvolti nella fase
diagnostica. Da qui può emergere la necessità di effettuare una valutazione multidisciplinare
che coinvolge più operatori, dopodiché si procede alla individuazione del percorso che può
prevedere: piani di trattamento riabilitativo, percorsi psicoterapeutici o di sostegno,
attivazione
di
interventi
socio-assistenziali,
consulenze
periodiche
alla
scuola,
coinvolgimento di altri servizi o strutture, individuazione dello stato di handicap e
predisposizione di DF, PDF, PEI.
In accordo con la psicologa che supervisiona il mio lavoro, ho preso in carico casi di
bambini con problemi comportamentali, di adattamento (a rischio di diagnosi di iperattività)
dovuti ad un disagio di tipo emozionale, con patologie fisiche potenzialmente invalidanti o
con lieve ritardo mentale.
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7. I laboratori di Arteterapia
L’idea che mi ha guidato nel progettare e condurre i laboratori di Arteterapia con i bambini
è stata quella di creare per loro un ambiente in cui sentirsi accolti, ascoltati, in cui esprimersi
senza paura del giudizio, un ambiente protetto in cui non si sente il peso di aspettative altrui
e il dovere di fornire una prestazione. Ho scoperto che tutto questo è terapeutico in sé.
Ho quindi cercato di favorire la massima libertà di espressione, senza giudizio di valore
sull’operato. Il messaggio che ho cercato costantemente di comunicare è che tutto quello
che avviene durante l’incontro viene accolto, e non classificato nelle tradizionali categorie
di giusto/sbagliato, bello/brutto, che valgono e vengono applicate abitualmente nei diversi
contesti di vita dell’individuo.
I modelli teorici che mi hanno guidato, sono quello sistemico relazionale e quello bio-psicosociale. Seguire un approccio di tipo sistemico-relazionale significa considerare l’individuo
come parte di un contesto fatto di relazioni e valutare il suo comportamento nei diversi
contesti. Il sintomo va considerato come avente una funzione precisa nell’ambito delle
dinamiche e delle relazioni familiari. Questa prospettiva implica anche l’essere consapevoli,
in quanto terapeuti, di avere un ruolo di osservatore partecipante e di influenzare quindi il
contesto di intervento, riconoscendosi come parte attiva nella relazione e che in quanto tale
introduce elementi di perturbazione nella stessa. Occorre osservare il processo in un’ottica
di complessità, che preclude la possibilità di controllarlo e cogliere le diverse connessioni
tra gli eventi (patterns wich connect).
Il modello bio-psico-sociale, presuppone il considerare la malattia non come determinata
esclusivamente da fattori biologici e genetici, come nel modello medico classico, ma come
influenzata da una serie di aspetti che riguardano sia la dimensione psichica dell’individuo,
sia la dimensione socio-culturale, in termini di contesto entro cui è inserito, inteso non solo
come ambiente fisico, ma come ambito di relazioni.
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In generale, i laboratori dello scorso anno mi sono serviti per sperimentare un setting e
durante i vari incontri con i bambini lo ho strutturato progressivamente, mentre i laboratori
di quest’anno, mi sono serviti soprattutto per sperimentare l’utilizzo di materiali e tecniche
diversi e di nuove modalità di osservazione.
7.1 La costruzione del setting
All’inizio della mia esperienza non avevo un’idea ben precisa di quello che sarebbe dovuto
essere il setting.
Sapevo solo di avere a disposizione una bella stanza, luminosa, silenziosa e
sufficientemente accogliente, nonostante gli armadi grigi (in progetto di dipingerli). Al suo
interno diverse scatole colorate con dentro i vari materiali, un piccolo tavolino e piccole
sedie, un tappeto, uno specchio. Nel complesso quindi ho cercato di sistemare tutte queste
cose in modo da creare una stanza accogliente.
In seguito, proprio grazie ai bambini, al problema che portavano, alla loro personalità e agli
obiettivi che via via mi ponevo rispetto alla loro situazione, si è strutturato un setting che ho
sperimentato, arricchito e di cui ho valutato l’efficacia.
Con i primi due bambini con cui ho lavorato, l’obiettivo di fondo coincideva e cioè,
predisporre un ambiente, che fosse il più strutturato possibile, con un sistema di regole da
rispettare, nel quale lasciarli sperimentare possibilità creative e giocose.
La consegna della psicologa referente era quella di far loro rispettare “la tabella di marcia”,
dato che si trattava di bambini a rischio di diagnosi di iperattività, magari facendo ricorso ad
una tabella vera e propria da appendere al muro sulla quale annotare le attività che si
sarebbero svolte ed i relativi tempi, condividerla con loro e farla rispettare.
Dato che entrambi avevano tra i 5 e i 6 anni e non sanno leggere né il tabellone, né
l’orologio, ho pensato ad un modo per coinvolgerli nel controllo del tempo e sono ricorsa a
simboli e disegni, procurandomi, per prima cosa, un orologio da muro, scegliendone uno
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con disegni in corrispondenza dei quarti d’ora, così da poter più facilmente coinvolgere i
bambini nel controllo/rispetto dei tempi.
7.1.1 La strutturazione del tempo
Attraverso l’orologio di Winny the Pooh è stato facile trasmettere ai bambini il senso del
tempo. Per scandire i momenti delle varie attività che si svolgevano durante l’ora e
coinvolgerli, ho utilizzato gli animaletti presenti, dicendo ad esempio:
-
si disegna fino alla lumaca;
-
fino alla farfalla inventiamo la storia del disegno.
L’orologio di Winny the Pooh per dare senso al tempo
L’orologio ha suscitato l’interesse di tutti i bambini che sentendosi partecipi, hanno
imparato a controllarlo indicando loro stessi il momento di interrompere o riprendere
l’attività.
Ho continuato a constatare la sua efficacia anche in seguito, e credo sia una cosa positiva
fornire a bambini piccoli dei riferimenti temporali riconoscibili e la possibilità di
valutare in prima persona la durata delle attività in riferimento al tempo che trascorre.
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7.1.2 La strutturazione dello spazio
Ho organizzato lo spazio in modo da dare una chiara delimitazione alle diverse attività,
creando tre “isole”, che consistono in tappetini di plastica ovali: l’isola del colore, l’isola del
suono e l’isola del creare. Sopra ciascuna isola sono appoggiati i materiali e la loro funzione
è quella di contenere la libera espressione dei bambini entro uno spazio fisicamente limitato,
ma denso di significato.
Cosa avviene nelle isole
Ogni incontro, dopo il primo momento di accoglienza, inizia dall’isola del colore e fino a
circa il quarto incontro sono io a stabilire l’ordine delle isole.
Nel presentare le isole la prima volta, chiarisco che quello è uno spazio di cui avere cura, è
il nostro spazio dedicato alle attività e spetta a noi tenerlo in ordine per poter sempre
ritrovare le cose come le abbiamo lasciate.
Nel tempo che abbiamo a disposizione di solito si riescono a fare non più di 2 isole, così il
bambino quando verrà introdotta la terza isola, dovrà sceglierne solo due e rimanere fedele a
tale scelta, casomai tenendo l’altra isola per la volta successiva. Però non si può escludere
sempre sistematicamente la stessa isola.
L’Isola del colore
Sopra l’isola del colore c’è posizionata la “scatola del colore” e tutto il materiale occorrente
per disegnare:
- pennarelli;
- matite colorate;
- pastelli a cera;
- tempere;
- acquerelli;
- pennelli di diversa dimensione;
- spugnette;
- fogli bianchi A3 e A4;
- carta da pacchi;
- fogli colorati.
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“L’Isola del Colore”
Quando i bambini iniziano a colorare con le tempere, lo fanno in modo ordinato e
muovendosi con estrema cautela. Di solito, nel giro di pochi minuti vengono completamente
travolti ed iniziano a spargere colori, acqua e pennelli dappertutto, fino a sporcarsi dalla
testa ai piedi.
Dato l’entusiasmo incontenibile dei bambini, capisco che non si può interrompere in modo
brusco la loro libera espressione che li coinvolge così tanto, così ho suggerito un “rito di
chiusura”, che consiste nel dare il titolo all’opera, fare la firma dell’artista ed infine
appendere insieme il disegno alla parete per osservarlo.
L’isola del suono
Sono presenti piccoli strumenti, per consentire al bambino di familiarizzare con uno
strumentario molto semplice e allo stesso tempo dare delle informazioni sul nome e l’uso,
osservare in che modo il bambino stabilisce un rapporto con questi oggetti sonori e come si
evolve il rapporto con il suono. Gli strumenti presenti sono:
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- xilofono;
- maracas;
- flauto;
- armonica a bocca;
- tamburello;
- triangolo;
- noci;
- nacchere;
- bastone della pioggia;
- raschiatoio.
In seguito vorrei introdurre le tastiere e iniziare un ascolto di musiche registrate di vari
generi.
“L’Isola del Suono”
Anche in questo caso è necessario mettere in atto un “rito di chiusura”, altrimenti è molto
difficile chiudere l’incontro in maniera ordinata. Dopo aver giocato con gli strumenti allora
cerco di coinvolgere il bambino nel riordino, dicendo che così non perdiamo nulla per la
prossima volta. Come varianti ho provato a riporre gli strumenti nominandoli, oppure a
nominare lo strumento e farmi passare dal bambino quello giusto.
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L’isola del creare
E’ stata l’isola sicuramente meno frequentata e dunque quella da arricchire. Ha comunque
rappresentato anch’essa un importante approdo, suscitando la curiosità dei bambini e
stimolando la loro fantasia. Le attività che vi si possono eseguire sono:
- modellare plastilina;
- costruzioni in legno;
- collage/ bricolage;
- racconto favole;
- rappresentazione storie con pupazzi;
- giochi di vario genere.
“L’Isola del Creare”
Tra le attività che abbiamo svolto su questa isola, il modellaggio della plastilina è stata
quella che più è piaciuta ai bambini e li ha tenuti impegnati e divertiti per molto tempo.
Avrò modo di osservare questa preferenza dei bambini anche nel secondo anno, quando il
settino si è arricchito di altro materiale soprattutto dedicato al bricolage.
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7.1.3 La struttura degli incontri del primo anno
Ogni incontro ha inizio con il rito del saluto, un momento di racconto seduti a tavolino, in
cui chiedo al bambino come si sente, cosa è successo dall’ultima volta che ci siamo visti,
cosa gli è piaciuto di più tra le cose che abbiamo fatto la volta scorsa.
La funzione della scrivania è quella di segnare l’inizio e la fine di ogni incontro, è uno
spazio di riflessione.
Poi descrivo le attività che faremo, raccogliendo impressioni e concordando il tutto insieme
al bambino.
Al primo incontro facciamo il test di Luscher semplificato, lo presento come un gioco di
carte e questo diverte il bambino. In seguito, oltre a compilare la scheda con risultati,
osservo se le scelte successive di colori per fare disegni, confermano o meno la scelta delle
carte.
Si fa molta attenzione ai tempi e al loro rispetto. Dato che i bambini hanno tra i 5 e i 6 anni
non sanno ancora leggere l’orologio, sono ricorsa ad un orologio da muro con dei disegni di
animaletti in ogni quarto d’ora (ape, lumaca, farfalla, coccinella) indicando che si farà
un’attività fino alla lumaca e un’altra fino alla farfalla, momento in cui ci dovremo salutare,
così da poter sistemare la stanza prima dell’arrivo di un altro bambino.
Data l’esigenza di dare una strutturazione alla seduta il più precisa possibile, sia riguardo al
tempo, che allo spazio, mi sono avvalsa di quelle che ho chiamato “le isole”, per delimitare
lo spazio (e il tempo) in cui svolgere ciascuna attività. Così il setting si sta strutturando e
abbiamo tre isole, create fisicamente da tre tappetini ovali disposti in tre punti della stanza,
“l’isola del colore” dove si disegna, “l’isola del suono” dove si gioca con gli strumenti e
“l’isola del creare” dove si plasma la creta o il pongo, dove si costruisce con carta, stoffa,
legno, e altri materiali.
Di solito i bambini hanno scelto le tempere e fogli grandi e il lavoro con le tempere li ha
coinvolti totalmente (a parte rari casi) e dunque anche se all’inizio erano ansiosi di finire il
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disegno e passare agli strumenti, in realtà poi la mezz’ora da dedicare al disegno scorreva
via senza che se ne accorgessero.
Per questo motivo ho pensato fin dal primo giorno ad un “rito di chiusura” del disegno, 5
minuti prima dello scadere del tempo dico di vedere cosa manca che dobbiamo finire prima
di arrivare alla lumaca, dobbiamo dare un titolo all’”opera” e fare la firma dell’artista.
Questo rito funziona, perché stimola il bambino a darsi da fare per finire e dando un titolo lo
racchiudiamo in una cornice di senso. Così io scrivo il titolo che il bambino mi dice e poi lui
stesso fa la firma.
L’ultima cosa che si fa prima di passare al suono consiste nell’appendere insieme il disegno
alla parete con le puntine ed ammirarlo. Di solito si faceva più fatica a tenere l’attenzione in
quel momento, così richiamavo i bambini più volte dicendogli che mi serviva il loro aiuto,
cosicché partecipassero attivamente all’operazione. Ho capito che è importante mostrare ai
bambini i loro disegni da un diverso punto di vista, così alzandolo in verticale ho visto nei
loro occhi espressioni stupite e soddisfatte.
Al momento di salutarci faccio scegliere un post-it del colore che si preferisce per scrivere
l’appuntamento successivo.
Ogni volta annoto che materiali vengono scelti, la grandezza del foglio e dei pennelli, il tipo
di colore, la sequenza di colori scelti, la posizione del foglio, dove si inizia disegno, come si
sviluppa, dove il bambino eventualmente si posiziona nel disegno.
7.2 L’evoluzione del setting
Gli incontri del secondo anno si svolgono in una stanza dedicata presso l’ambulatorio del
Servizio UMEE, diversa da quella dello scorso anno. Nella stanza, anche questa molto
luminosa, è presente una scrivania grande, due più piccole con 4 sedie “a misura di
bambino” e intorno diversi scaffali e scatole in cui sono riposti tutti i materiali, alcuni in
vista e altri chiusi.
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Quest’anno, dato che anche che le problematiche dei bambini sono diverse e dunque anche
gli obiettivi, non mi avvalgo della struttura del setting a isole, ma le utilizzo solo in alcuni
momenti.
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7.2.1 Materiali e tecniche
I materiali presenti nel setting sono diversi:
- pennarelli, matite colorate, pastelli a cera, gessetti, colori a tempera e a dito, acquerelli;
- fogli bianchi A4, A3, carta da pacchi;
- carte colorate di vari tipi e dimensioni (carta velina, crespa, da collage, bristol);
- plastilina;
- perline, paillettes, bottoni colorati, foglie d’oro da bricolage;
- conchiglie, sassi, pezzi di legno;
- nastri colorati;
- scatole di cartone di varie dimensioni e fogli di polistirolo;
- piccoli strumenti musicali;
- stereo e cd di musica classica.
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Sono state utilizzate diverse tecniche: disegno libero e a tema, collage e bricolage, plastilina
e gessetti. Ho utilizzato la fotografia a scopo di documentazione, ma poi è venuta a far parte
del setting stesso e in un’occasione ho permesso a G. di scattare alcune foto.
In alcuni incontri ho lasciato la massima libertà di scelta sia dei materiali che del tema, in
altri sono stata maggiormente direttiva indicando con precisione materiali e temi. Ho quindi
utilizzato un metodo di conduzione semi-direttivo e partecipativo.
La modalità utilizzata è stata individuale o in gruppo aperto.
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Durante i laboratori, in particolare, osservo e valuto:
-
utilizzo dello spazio, dove si posiziona il bambino rispetto allo spazio della stanza e
rispetto allo spazio-foglio;
-
approccio ai materiali;
-
colori scelti per primi;
-
dove inizia il disegno e come si sviluppa (faccio uno schizzo del disegno sul mio foglio
annotando l’ordine progressivo degli elementi, cosa viene fatto prima e di seguito, in
successione e nominandoli);
-
il tempo di attenzione/concentrazione;
-
l’umore;
-
la postura (rilassata, impacciata, tesa, ecc.) e il grado di coinvolgimento emotivo;
-
l’atteggiamento inibito o la presa di iniziative;
-
le pause riflessive e silenziose (concentrarsi, guardarsi attorno, guardare l’orologio);
-
cambiamenti nel tempo dello stile grafico;
-
puntualità agli appuntamenti;
-
restituzioni date dai genitori.
7.2.2 La struttura degli incontri del secondo anno
L’incontro comincia e si chiude sulla scrivania grande, che ha la funzione di momento di
incontro e riflessione. Dopo un primo momento dedicato all’accoglienza, durante il quale
chiedo al bambino come sta e se desidera raccontarmi qualche cosa che è accaduto da
quando non ci vediamo, propongo il tema dell’incontro, dando la consegna e presentando i
materiali a disposizione.
E’ molto importante esplicitare chiaramente le regole de setting e i tempi e condividerli fin
dall’inizio.
Dopo la fase dell’accoglienza, prima di iniziare facciamo un breve esercizio di rilassamentovisualizzazione, si chiudono gli occhi, si respira profondamente e si immagina un odore.
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Faccio scegliere la posizione che il bambino sente più comoda e lo lascio fare per tutto il
tempo che vuole, senza interruzioni, fino a dieci minuti prima del termine dell’incontro, che
si conclude con una breve restituzione del lavoro fatto e con il riordino della stanza.
Durante il lavoro io sto in un angolo ad una certa distanza, osservo ed annoto in maniera
discreta ed intervengo solo nei momenti in cui si deve risolvere un problema “tecnico” per
facilitare il lavoro, suggerire una tecnica o insegnare il corretto uso di un materiale (come un
Praticien, sul modello del Closelieu di Arno Stern), in alcuni casi anche per facilitare il
superamento di un momento di impasse, attraverso una parola di incoraggiamento o di
stimolo.
In alcuni casi metto un sottofondo musicale, dei brani di musica classica arrangiati per
bambini.
Al termine del lavoro, il disegno viene appeso nella bacheca e successivamente alle pareti,
mentre nel caso in cui il bambino desidera riporlo al sicuro, lo si mette nella cartellina e poi
dentro l’armadio.
L’incontro si conclude sulla scrivania grande, con un momento di restituzione finale e con
la scelta del post-it colorato in cui scriverò l’appuntamento successivo e che il bambino
consegnerà al genitore.
7.3 La relazione paziente-terapeuta attraverso l’immagine
Durante i laboratori di Arteterapia con i bambini ho potuto sperimentare le potenzialità e il
valore dell’immagine, in funzione di oggetto mediatore nella relazione paziente-terapeuta.
Questa relazione che si svolge attraverso il medium artistico viene esemplificata molto bene
dal “triangolo della Luzzatto”, in cui si può osservare che sia il paziente o gruppo, che
l’arteterapeuta si rapportano direttamente con l’immagine ed attraverso essa si relazionano
reciprocamente. Ciò significa che nella relazione terapeutica io non mi rivolgo direttamente
al paziente, ma lo faccio sempre riferendomi all’immagine da lui prodotta o agendo su di
essa. Inoltre l’arteterapeuta non deve interpretare l’immagine, perché questa sarebbe il
riflesso dei suoi pregiudizi e delle sue premesse epistemologiche, ma deve sempre ascoltare
quello che il paziente racconta della sua immagine e quale significato le attribuisce.
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Il triangolo della Luzzatto
Materiali e
Immagine
▬▬▬▬ ▬▬▬▬▬▬▬
Persona -Gruppo
Arteterapeuta
Luzzatto (2009)
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8. I bambini seguiti e i laboratori di Arteterapia
8.1 I casi seguiti nel primo anno: i bambini, la famiglia, l’analisi della richiesta e del
bisogno, gli incontri di Arteterapia
Emanuele “il piccolo”
Emanuele è un bambino di 5 anni e i nostri incontri iniziano durante l’estate, ad agosto
2007. In quel momento i genitori stavano decidendo se mandarlo in prima elementare o
farlo restare ancora un anno alla scuola materna.
E’ un bambino molto gracile, ma maturo per la sua età e mostra da subito una spiccata
intelligenza (il suo QI è di 124). E’ molto curioso, ha un vocabolario ricco e come riferisce
la mamma al ritorno dalla scuola materna “si mette a fare i compiti”, è desideroso di
apprendere cose nuove, ama guardare alla televisione i documentari.
Emanuele è figlio unico, sua madre è un’infermiera impiegata alla Asl e suo padre è
fisioterapista impiegato alla Asl anche lui.
Sono entrambi molto presenti ed attenti alla vita del figlio, la mamma manifesta un
atteggiamento ansioso e il padre tende ad avere scatti d’ira “a scopo difensivo” verso
persone che ritiene si comportino in modo ingiusto verso il figlio. Entrambi hanno un
atteggiamento di delega completa e ci affidano Emanuele in toto. Le altre persone
significative sono i nonni e una “tata” che si occupa spesso di lui.
Il comportamento di Emanuele nei diversi contesti:
- a scuola viene descritto come aggressivo, incostante, iperattivo, elemento di disturbo;
- in famiglia viene descritto come bravo, buono, educato, a volte “eccessivamente vivace”;
- durante il laboratorio di Arteterapia è bravo, gentile, pacato, intelligente, curioso,
entusiasta.
La psicologa nel presentarmi il bambino mette in evidenza che Emanuele dimostra maggiori
capacità verbali più che manuali e che il disegno non lo entusiasma affatto, mentre lo
affascina la musica. Così si stabilisce che uno degli obiettivi è quello di favorire la libera
espressione, la creatività attraverso l’uso di materiali diversi, utilizzando la musica come
elemento di gratificazione. Il suo livello massimo di attenzione è di 10 minuti, dopodiché
deve essere stimolato altrimenti perde interesse per ciò che si sta facendo e si chiude fino a
diventare irascibile (da qui i suoi problemi a scuola, in quanto necessita di attenzione e
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stimoli continui e non potendoli avere diventa elemento di disturbo). Un altro obiettivo che
viene definito durante i colloqui con la psicologa è che Emanuele dovrebbe essere aiutato a
prendere coscienza dei suoi limiti e delle sue potenzialità e che queste possono essere
espresse in molte maniere diverse, che lui ancora non conosce o pensa che non gli
piacciano.
Analisi della richiesta e del bisogno
Emanuele arriva al servizio portato dalla famiglia a seguito di un episodio avvenuto alla
scuola materna, che ha destato la loro preoccupazione e a seguito del quale le lamentele
fatte dalle maestre sono diventate molto pressanti. Infatti Emanuele, che è solito dare
fastidio ai compagni fino ad alzare le mani, un giorno arriva a tirare una sedia ad un
bambino.
La richiesta che viene fatta è quella di effettuare una valutazione per capire da cosa derivi
questa aggressività e soprattutto capire se ci sono i presupposti per avere un sostegno
scolastico, dato che le maestre lo richiedono con insistenza e si teme per l’imminente
inserimento di Emanuele alla scuola elementare.
Il bisogno che emerge sembra nascere dal rapporto con il padre e dalla pressione delle
elevate aspettative che Emanuele sente su di sé da parte delle persone di riferimento. Per lui
è importante “essere un bravo bambino”, come da tutti richiesto, ma reagisce alle
frustrazioni e alle ingiustizie che subisce con aggressività (su modello del padre). Viene
etichettato dalle maestre come “elemento di disturbo” e soggetto che va costantemente
seguito e tutto ciò non fa che renderlo più aggressivo, tanto che di fronte alle prese in giro e
alle provocazioni dei compagni tende a “farsi giustizia da solo” e questo alimenta e rafforza
il giudizio negativo delle maestre.
Durante un colloquio con i genitori al quale sono presente anche io, emerge che il padre
trasmette un modello di comportamento “da maschio forte, che non deve subire da nessuno”
e che i giochi tra di loro si basano spesso su lotta e competizione per vedere chi prevale.
Quando la psicologa fa notare questo al padre, lui sembra riconoscersi e riferisce un
episodio avvenuto a tavola quando lui per scherzo ha fatto finta di dare una forchettata sulla
mano di Emanuele, infatti Emanuele un giorno ha colpito un suo compagno con una
forchetta, per fortuna senza conseguenze.
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Gli incontri di Arteterapia
Al primo incontro, dopo aver fatto il test di Luscher, gli faccio scegliere i materiali. Mostro
la “scatola dei colori” con pennarelli, matite colorate, pastelli a cera, colori a tempera e
colori a dito e lui subito decide per le tempere chiedendo però cosa sono i colori nei vasetti,
glielo spiego ma lui non vuole usarli e sembra non gradire il fatto di sporcarsi. Mostro poi
fogli A4, A3 e carta da pacchi e lui sceglie la carta da pacchi.
Gli chiedo poi dove vorrebbe mettersi a colorare e lui risponde di voler restare lì dov’è, cioè
sulla scrivania. Quando vede le spugnette viene preso dall’entusiasmo e inizia ad usarle,
utilizzando diversi colori e pulendo con cura la spugnetta ogni volta, infine mescola i colori
tutti insieme, per ultimo prende il giallo e lo spreme direttamente sul foglio. Nel disegno
risalta una grossa superficie nera e lo intitolerà “I mostriciattoli” (Fig. 1).
Fig. 1 - I mostriciattoli
Il cambiamento che osservo nell’atteggiamento di Emanuele dall’inizio alla fine è netto e
dopo la reticenza iniziale viene preso totalmente dal colorare. Prima di salutarci gli ho
mostrato la “scatola del suono” e abbiamo passato in rassegna gli strumenti.
Al secondo incontro si rende necessario dare una maggiore strutturazione al tempo
precisando che ci sono tempi da rispettare ed introduco l’orologio di Winny the Pooh.
Preparo solo i colori primari (verde, blu, rosso, giallo e bianco) sistemando ordinatamente i
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5 colori, 5 pennelli, 5 bicchieri per colore e 5 bicchieri d’acqua e lui è rimasto molto attento
durante tutta l’operazione. Ha scelto per primo il blu, ha poi mescolato rosso e verde, ha
scelto poi il verde e dopo averlo mescolato con il bianco mi ha chiamato tutto soddisfatto
per mostrarmi il risultato. Alla fine ha messo il rosso nelle mani e ha fatto le impronte di
elefante (Fig. 2). Ha usato carta da pacchi e pennelli grandi e si è sistemato per terra. Il
livello di attenzione è stato buono.
Fig. 2 – I mostriciattoli e l’elefante
Al nostro terzo incontro Emanuele mi dice che andrà in vacanza a Ponza così dò come
consegna quella di disegnare una famiglia che va in vacanza, lui annuisce e inizia a
disegnare, ma non rappresenta affatto una famiglia e nonostante i miei ulteriori tentativi,
non avrò mai un disegno della famiglia fatto da Emanuele.
Emanuele chiama fratelli e sorelle quasi tutte le persone che frequenta, anche adulte. Gli
chiedo se vorrebbe un fratellino o una sorellina e lui risponde “un fratellino! Le femmine le
odio un po’ perché non vogliono giocare alla lotta!”.
Al quarto incontro Emanuele è appena tornato dalla vacanza all’isola di Ponza ed è
entusiasta. Così gli chiedo di raccontarmi le cose belle della sua vacanza e di disegnarle. Il
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risultato è un bel disegno, in cui prevalgono i colori giallo e azzurro, su foglio grande di
carta da pacchi e fatto con pennelli grandi (Fig. 3).
Fig. 3 - Emanuele a Ponza tanto felice
A settembre Emanuele inizia la scuola elementare e da subito emergono problemi
comportamentali e di attenzione, che ovviamente si ripercuotono sul rendimento. Inoltre,
essendoci stato un passaggio di consegne ed informazioni tra le maestre della materna e le
nuove, purtroppo Emanuele si porta appresso una pesante eredità e l’etichetta di elemento di
disturbo e di difficile gestione.
Da un incontro con i genitori vengono messi a fuoco ulteriori obiettivi ed emerge il peso che
Emanuele porta delle aspettative che tutti hanno su di lui, il desiderio di essere un “bravo
bambino” e la consapevolezza di non riuscirci, il bisogno di calma e quiete e di essere
guidato con regole ferme ma serene.
Su indicazione della psicologa, decido di lavorare prima sui contrasti (Fig. 4), dato che
Emanuele ha mostrato dall’inizio delle difficoltà e successivamente tento di farlo aprire
riguardo ai problemi che ha a scuola con i compagni e le maestre, dato che il suo desiderio
di essere un “bravo bambino” e quindi approvato, gli impedisce di raccontare il disagio che
sente e di cui i genitori comunque si accorgono. Infatti, nel primo disegno in cui chiedo di
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rappresentare alcune cose belle e alcune brutte della sua scuola. Il disegno che ne esce
rappresenta dei bambini sorridenti e ha come titolo “I bambini e la scuola felicissima di
Campocavallo” (Fig. 5).
Fig. 4 – I contrasti
Fig. 5 - I bambini e la scuola felicissima di Campocavallo
La svolta avviene nell’incontro successivo, quando Emanuele, spontaneamente, senza
aspettare alcuna consegna, fa un disegno che rappresenta la sua scuola e le relazioni con
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compagni ed insegnanti, da cui emerge tutto il disagio che prova, le brutte parole che gli
rivolgono i compagni, una “riga che uccide il male”, il bene che vince il male, i bambini che
non devono fare i cattivi perché si vogliono bene fra loro, oltre al caos completo che
caratterizza tutto il disegno. Alla fine taglia uno spigolo del foglio dicendo che quelle sono
le brutte parole che non devono dire (Fig. 6).
Fig. 6 – Disegno spontaneo di Emanuele fatto mentre raccontava della scuola
Negli incontri successivi, continuano ad emergere delle cose negative sia nei disegni che
Emanuele fa e sia nei giochi che facciamo e questo viene interpretato come un segnale
positivo dalla psicologa, in quanto il nostro nuovo obiettivo era quello di farlo aprire ed
esprimere il suo disagio. Ad esempio in un’occasione facciamo una scenetta con dei pesci
pupazzi ed Emanuele ne sceglie tre celesti e uno nero che dice “fatemi giocare con voi!
perché siete cattivi con me?”, poi prende il pesce martello che va a difendere il pesciolino
nero. In un racconto fatto precedentemente da Emanuele, lui difende due compagni deboli a
cui vengono fatti dei dispetti.
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Fig. 7 - La scimmietta
Fig. 8 - Cibo-Cibo il robot ragno
Fig. 9 - Tommaso
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Conclusione del percorso e valutazione
Il percorso fatto con Emanuele si interrompe in modo non programmato, perché la
psicologa, di fronte alla pretesa delle maestre di avere una diagnosi che assegni il sostegno
ad Emanuele e sentendosi triangolata nel rapporto tra scuola e famiglia, decide di inviare il
caso ad un altro servizio, come richiesta della scuola stessa. La diagnosi fatta dal nuovo
servizio però, conferma quella fatta inizialmente, cioè Emanuele non aveva problemi né di
iperattività, né di apprendimento, né di altra natura, tali da giustificare l’assegnazione di un
sostegno scolastico.
La nostra valutazione fu positiva, in quanto Emanuele aveva compiuto grandi progressi. E’
riuscito a rispettare tempi e spazi, esprimendosi pienamente, liberamente e con gioia. I
genitori riferivano che Emanuele traeva tanta pace e serenità dagli incontri, tanto che
espressero la richiesta (che non poté essere accolta) di continuare gli incontri privatamente.
Ad un anno e mezzo di distanza la madre ci ha informato che Emanuele ha risolto i suoi
problemi a scuola, è ben inserito nella classe ed ha un ottimo rendimento scolastico.
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Emanuele “il grande”
Emanuele è un bambino di 6 anni, iniziamo gli incontri quasi contemporaneamente a quelli
con Emanuele “il piccolo” e come lui dovrà andare in prima elementare.
La madre è imprenditrice e il padre operaio e la loro è una situazione di coppia conflittuale.
Analisi della richiesta e del bisogno
Emanuele arriva al servizio portato dai genitori che lamentano un’eccessiva vivacità a
scuola come a casa, che ritengono interferisca con le “performances” scolastiche e manifesta
un atteggiamento egocentrico e poco cooperante.
Gli obiettivi che definiamo con la psicologa riguardano la chiara strutturazione dello spazio
e del tempo, il rispetto di regole e il mantenimento dell’attenzione su un compito. Al primo
incontro con la famiglia è presente anche una maestra che apprezza molto Emanuele e ne
mette in risalto non solo i limiti, ma le molte qualità e potenzialità.
Alla fine degli incontri di Arteterapia (il percorso è stato molto breve), durante un incontro
tra la psicologa, i due genitori e me, viene fuori che la madre non accetta il rapporto
esclusivo tra il figlio e il marito.
L’inserimento a scuola di Emanuele è stato positivo e senza problemi, per questo il rapporto
con il servizio è stato sospeso e di conseguenza i nostri incontri. Il riscontro avuto dalla
famiglia è stato molto positivo.
Gli incontri di Arteterapia
Al nostro primo incontro, capisco subito che Emanuele mi metterà a dura prova. E’
incontenibile, parla tantissimo, non mantiene più di un minuto di attenzione su una proposta
e faccio davvero molta fatica a contenerlo. Non appena inizia a fare una cosa già si mette a
parlare di quello che faremo dopo, l’approccio con la scatola degli strumenti musicali è
traumatico, in tre secondi l’ha svuotata e in mezzo minuto ha suonato tutti gli strumenti,
facendo un fracasso infernale!
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Grazie a questo incontro, capisco che devo strutturare molto meglio lo spazio, per delimitare
le attività e dare loro un contenitore. Da qui mi nasce l’idea delle isole e così all’incontro
successivo faccio trovare due delle tre isole, quella del colore e quella del suono (vedi § 7.1)
ed inizio ad utilizzarle in modo permanente nel setting.
L’idea risulta subito efficace, perché il fatto di avere uno spazio fisico ben delimitato per
ciascuna attività fa sì che tutto si svolga in maniera più ordinata ed inoltre richiama l’idea
del viaggio da un’isola all’altra e questo stimola molto la fantasia dei bambini.
Così all’incontro successivo faccio trovare nella stanza le due isole e la novità viene accolta
molto positivamente, con interesse e curiosità. Si inizia dall’isola del colore e dico subito
che si resterà lì fino alla lumaca (che indica la mezz’ora) e poi si passerà all’isola del suono
e ci si resterà fino alla farfalla (che indica i tre quarti d’ora). Emanuele prova spesso a
contrattare i tempi ed i luoghi delle attività, ma io resto ferma e alla fine lui accetta tutto
serenamente. Ogni volta che dico qualcosa lui obietta, ad esempio dice che è troppo stare
mezz’ora sul disegno, mentre poi il tempo scorre via senza che se ne accorga. Infatti, si
sofferma sull’isola del colore per tutto il tempo stabilito, sperimentando vari effetti con i
colori a tempera, in parte usando pennelli piatti molto grandi, in parte le spugnette tonde ed
in parte le mani (Figg. 10-11).
Fig. 10 - Emanuele 6 anni
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Fig. 11 - Emanuele 6 anni
Una volta ho capito che stava scegliendo il foglio più piccolo per finire prima il disegno e
passare ad altro, così gli ho detto che comunque, si sarebbe disegnato ugualmente fino alla
lumaca e così ha preso il foglio più grande. Oppure dice di voler usare il pongo quando si è
deciso invece di usare il colore, così gli dico che la prossima volta possiamo iniziare dal
pongo, ma oggi no.
L’idea delle isole l’ha presa molto sul serio e per la prima volta senza obiettare, il risultato è
stato quello che lui stesso controllava i tempi nell’orologio e alla fine del disegno è stato lui
a dire che era ora di dare un titolo all’opera (Figg. 12-13). Gli è piaciuto molto rivedere tutti
i disegni fatti, scegliendo tra tutti il più bello. Inoltre ha inventato un gioco per fare il
passaggio da un’isola all’altra, facendo finta di andarci in barca, ha preso una sedia, la
scimmietta mascotte e ha iniziato a remare. Così io sono stata al gioco e ho fatto finta di
andarci a nuoto, suscitando ilarità da parte di Emanuele.
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Fig. 12 – La sfortuna diventa fortuna
Fig. 13 - La grandissima onda sulla bella spiaggia
Un altro passaggio importante è stato l’approdo all’isola del suono. A differenza della prima
volta, dove il caos ha fatto da padrone, nei successivi incontri si è fatto tutto con molta
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calma, esplorando tutti gli strumenti serenamente. Io nominavo gli strumenti uno ad uno, lo
xilofono, il flauto, l’armonica a bocca, le maracas, il tamburello, il triangolo, le noci, fino ad
arrivare ad uno strumento di legno di cui non ricordavo il nome (il “raschiatoglio”) e che lui
ha battezzato “il chiassino” e ha notato che somiglia ad uno squalo. Inizia un bel dialogo
sonoro, scegliamo due strumenti ciascuno e a turno facciamo una sequenza ritmica che
l’altro ripete con i propri strumenti.
Alla fine del tempo, quando è ora di riporre le cose, lui obietta e dice di voler continuare,
ma io faccio presente che dobbiamo avere rispetto dei bambini che arrivano dopo di lui a cui
non possiamo rubare tempo e che dobbiamo avere cura dei materiali che utilizziamo.
Emanuele pare convinto e sistema tutto allegramente.
Conclusione del percorso e valutazione
Con Emanuele ho capito chiaramente quanto è importante che il bambino si senta
contenuto. Ho capito che al nostro primo incontro mi ha voluto chiaramente mettere alla
prova, e quando successivamente ho messo paletti e regole, pur facendolo esprimere
liberamente e in un’ottica di ascolto ed accoglimento senza giudizio, il suo rispetto per il
setting e per me aumentavano, e allo stesso tempo aumentava la sua creatività, proprio
perché finalizzata e regolata.
Il percorso fatto con Emanuele è stato molto breve, anche perché iniziato immediatamente
prima dell’inserimento a scuola, momento che si temeva. Dato che invece è andato tutto
molto bene ed Emanuele si è subito inserito egregiamente nel nuovo contesto, la psicologa
ha deciso di sospendere, abbiamo fatto un ultimo incontro con i genitori, durante il quale la
psicologa ha messo a fuoco il problema della mancata accettazione del rapporto padre-figlio
da parte della madre. Il discorso è stato compreso ed accettato dai coniugi che si sono
dichiarati soddisfatti dei risultati ottenuti fino a quel momento e disposti a seguire i consigli
dati dalla psicologa sul comportamento da tenere in futuro nei confronti di Emanuele.
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Noemi e Leo
Noemi è una bambina di 5 anni ed ha un fratello gemello, Leo.
Entrambi frequentano la scuola materna e i nostri incontri hanno inizio a Gennaio 2008.
La madre di Noemi e Leo è casalinga e si occupa dei figli a tempo pieno, non è del posto e
la sua famiglia vive a Milano, non ha la patente e dunque dipende dal marito per ogni
spostamento, dato che inoltre abitano in campagna. Il padre è avvocato e aveva avuto
precedentemente contatto con i servizi per dei problemi di natura psichiatrica avuti dalla
nipote.
Come riferitomi dalla psicologa la coppia ha avuto problemi molto importanti e una storia di
grossa conflittualità, sfociata un giorno in una lite in cui sono arrivati a picchiarsi e per
questo, a seguito dell’intervento dei carabinieri c’è stata una denuncia ed una segnalazione
del caso ai servizi. La nascita dei gemelli non era stata accolta in maniera positiva, non
essendo stata programmata la nascita di ben due bambini insieme e dato che non si
sentivano pronti per l’evento.
Noemi arriva al servizio portata dai genitori un anno prima del nostro incontro, perché la
bambina aveva avuto delle crisi isteriche il cui elemento scatenante era il tentativo fatto
dalla madre di toglierle il ciuccio. Poi è trascorso del tempo senza che la psicologa li
vedesse e li ha incontrati di nuovo poco prima che li conoscessi anche io. Durante il primo
incontro tra la psicologa, Noemi, la madre e me, ho assistito ad una crisi di Noemi, iniziata
all’improvviso mentre noi stavamo parlando e lei non ha proferito parola ogni qualvolta ci
rivolgessimo a lei. La crisi è durata circa tre quarti d’ora, nessuno riusciva a placarla e fu
talmente forte che delle persone dagli altri piani dello stabile vennero a vedere che
succedeva, richiamati dalle atroci urla di Noemi.
Riguardo al rapporto tra i gemelli, ho riscontrato al primo incontro una predominanza di
Leo sulla sorella, dato che lei, benché molto partecipe, non proferiva parola e naturalmente
Leo tendeva a riempire lo spazio dedicato alla comunicazione verbale.
La psicologa mi comunica che il problema fra loro era stato l’opposto e cioè che Leo era
l’ombra di Noemi. Alla fine però, con l’ingresso alla scuola elementare viene confermata la
mia osservazione e l’ipotesi iniziale, e cioè che è Leo a soccombere alla sorella e me lo
comunica la psicologa stessa.
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Analisi della richiesta e del bisogno
Il padre lamentava il fatto che Noemi alla scuola materna si isolava dai compagni e
presentava problemi di socializzazione, inoltre entrambi i genitori riferivano di lunghissimi
periodi di mutismo della bambina che si rifiutava di parlare soprattutto con il padre. Il fatto
che a 5 anni Noemi pretendesse ancora il ciuccio non veniva portato come un problema
rilevante, nonostante un anno prima la psicologa lavorò con successo per farglielo togliere,
e quindi si presentava una recidiva.
Noemi manifestava molti problemi nella verbalizzazione e in un primo momento si pensò
ad un problema di mutismo selettivo. In alcune circostanze però al contrario, iniziò a
presentare umore euforico e parlantina.
I nostri incontri si sono interrotti durante l’estate e nel frattempo a settembre Noemi e Leo
sono andati in prima elementare, frequentando la stessa classe, nonostante fosse stato
fortemente sconsigliato dalla psicologa. Nei mesi successivi all’ingresso a scuola, Noemi,
che continuava a manifestare atteggiamenti tirannici e crisi isteriche verso la madre (la quale
durante un colloquio con la psicologa riferì di “avere la sensazione di impazzire e di non
accettarla più”), ebbe una crisi più violenta del solito e fu ricoverata in psichiatria e in
seguito a questo episodio le fu data una cura farmacologia (antiepilettici). A seguito del
ricovero, la psicologa sospetta che ci siano i presupposti per sviluppare disturbo bipolare
(posto che a questa età non è possibile diagnosticare con precisione un disturbo dell’umore)
e la invia ad una neuropsichiatria infantile che ha iniziato a seguirla privatamente.
Gli incontri di Arteterapia
La psicologa ha ritenuto opportuno far partecipare anche Leo agli incontri e per me è stata
un’ottima occasione per osservare due bambini di sesso opposto e della stessa età. Feci
presente che la presenza di Leo rendeva più difficoltoso il raggiungimento dell’obiettivo di
far parlare Noemi, in quanto lei tendeva a delegare al fratello e ogni volta che ponevo delle
domande lei rimaneva zitta e mordendosi le labbra guardava ansiosa il fratello che occupava
tutto il tempo parlando tantissimo. Comunque valutammo che un altro importante obiettivo
da raggiungere era quello di contenere l’estrema volubilità ed instabilità di umore di Noemi
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e questo fu raggiunto, in quanto Noemi venne a tutti gli incontri volentieri, contenta e
manifestando entusiasmo nell’espressione artistica.
L’atteggiamento di Noemi e di Leo, una volta ascoltata la consegna, si differenziava molto.
Infatti Leo si distraeva molto facilmente e tendeva a farmi diverse domande sul modo di
procedere, mentre Noemi si posizionava davanti al foglio appoggiato per terra e rimaneva
china e concentratissima per almeno un quarto d’ora, mettendo molta cura nei particolari del
disegno. Per tutto il tempo non alza mai la testa dal foglio, non guarda mai il fratello e non
bada al tempo che passa. Cambia spesso colore, riempie gli spazi e rifinisce molto bene le
figure. In molti dei suoi disegni compaiono delle bambine dai grandi occhi, figure molto
evolute rispetto alla sua età e che rivelano una tendenza della bambina alla vanteria,
confermata anche dalla mamma che riferisce di dover discutere sempre con la figlia su come
vestirsi ed acconciarsi.
E’ molto interessante per me, comparare i disegni che i due bambini fanno seguendo la
stessa consegna. Noto subito quanta differenza c’è tra i loro disegni dell’albero e della casa
(Figg. 14-15). Osservo che mentre la consegna era il disegno dell’albero, entrambi, senza
guardarsi disegnano anche la casa, ma questo accade spesso in bambini della loro età.
Noemi disegna anche la figura umana (come al solito una bella principessa) e Leo no.
Gli alberi sono molto diversi tra loro, anche se entrambi con grosso fusto e frutti sui rami,
quello di Noemi ha una chioma rigogliosa, mentre quello di Leo ha dei rami esili.
Inoltre la casa di Noemi è tridimensionale, inusuale per un bambino di 5 anni e quasi
sicuramente frutto di imitazione di un adulto, mentre quella di Leo è piatta, stretta e molto
alta, a due piani. Da entrambi i comignoli esce del fumo, e nel cielo splende il sole, ma in
quello di Leo ci sono delle nuvole, anche se non troppo minacciose.
Tendono a mantenere questo stile anche in disegni successivi e spesso in quelli di Noemi gli
oggetti “volano” e non poggiano in una superficie consona (Figg. 16-17-18-19-20-21).
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Fig. 14 - Noemi 5 anni – L’albero
Fig. 15 - Leo 5 anni – L’albero
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Fig. 16- Noemi 5 anni – La primavera
Fig. 17- Leo 5 anni – La primavera
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Fig. 18 - Noemi 5 anni - Babbo Natale
Fig. 19 - Leo 5 anni - Babbo Natale
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Fig. 20 - Noemi 5 anni – Natale
Fig. 21- Leo 5 anni – Natale
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Noemi tende a mettere nei disegni molti particolari fantastici, che vengono sistematicamente
notati e messi in discussione da Leo, molto più realista nei suoi disegni. Ad esempio durante
un incontro do come consegna quella di disegnare un paesaggio di montagna, con case,
strade, alberi, persone e tutto quello che ritengono doverci stare (Figg. 22-23). Alla fine
propongo di usare la plastilina per mettere in evidenza dei particolari per loro rilevanti.
Quando entrambi mi portano il loro disegno, come al solito Leo osserva quello della sorella
e fa notare che “una sirena non esiste in montagna”. Chiedo dove si vorrebbero posizionare
e Noemi risponde che vorrebbe stare dentro la casa o dentro l’albero.
Un giorno Noemi arriva ed è completamente un’altra persona. Parla, canta ed è euforica.
Penso che sia la prima volta che la sento parlare in modo più articolato e non a monosillabi
e infatti mi accorgo che parla come una bambina di tre anni. La mamma riferisce delle prese
in giro che i compagni le fanno a causa di questo fatto.
Un giorno decido di iniziare leggendo una fiaba, “la lampada di Aladino” e per rendere
l’atmosfera porto una piccola riproduzione di lampada. La cosa è accolta con entusiasmo
soprattutto da Noemi, che come sempre manifesta una maggiore tendenza a fantasticare
rispetto al fratello, che invece vuole sempre sapere se una cosa detta è vera e reale o è
invece un sogno o una fantasia. Alla fine della storia chiedo loro di disegnarla e mentre Leo
mette nel disegno gli elementi della fiaba, Noemi disegna una farfalla (Figg. 24-25). Le
chiedo che cosa le ha fatto venire in mente una farfalla e mi risponde che è stata la forma
della lampada.
Finalmente ad uno degli ultimi incontri arriva l’approvazione di Leo. Propongo di giocare
con la plastilina, attività che in generale i bambini apprezzano molto. Noemi è molto felice,
ride mentre manipola la plastilina provandone durezza e malleabilità. Fa tutti pezzetti
piccoli di colore celeste, li attacca e poi li stacca. Mentre Leo fa una rappresentazione
realistica, Noemi fa una serie di pallini di colore fucsia, verde e giallo. Questa volta, per la
prima volta, Leo guardando la creazione della sorella dimostra entusiasmo e apprezzamento
e non la solita critica, esclamando “ma Noemi l’ha fatto bellissimo!”.
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Fig. 22 - Noemi 5 anni – Il paesaggio di montagna
Fig. 23 - Leo 5 anni – Il paesaggio di montagna
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Fig. 24 - Noemi 5 anni – La lampada di Aladino
Fig. 25 - Leo 5 anni – La lampada di Aladino
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Conclusione del percorso e valutazione
La conclusione del percorso con Noemi è stata condizionata dalla discontinuità del rapporto
con la psicologa. Infatti la gestione del caso è stata molto complessa, è stato difficoltoso
individuare il problema della bambina e un ruolo importante era giocato dal conflitto tra i
genitori, per cui la psicologa stava facendo un percorso di terapia di coppia con loro. Si
decide di sospendere per un periodo la terapia e così anche i nostri incontri, in questo
periodo di tempo interviene la crisi di Noemi e il sospetto di disturbo bipolare, che la
conduce in trattamento da una psichiatra e quindi il rapporto con l’UMEE si interrompe.
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8.1.1 La valutazione del caso da parte dell’UMEE e il passaggio di consegne
La presa in carico da parte mia avviene dopo un incontro con la famiglia del bambino e la
psicologa referente. Successivamente con la psicologa fissiamo gli obiettivi da raggiungere
e lei “mi consegna” il caso attraverso una metafora disegnata (ad indicare il caso e
l’obiettivo da raggiungere). E’ stato effettuato un monitoraggio periodico delle attività
svolte e dei risultati raggiunti.
La metafora di Emanuele “il piccolo”
“Emanuele è come un’esplosione ed è meraviglioso, ma gli elementi di questa esplosione
vanno definiti e finalizzati”
Obiettivo: contenere ed indirizzare la sua esuberanza.
Quando gli presento la sua cartellina, dicendo che è stata fatta per lui e per conservare tutto
quello che verrà fatto come un tesoro prezioso e chiedendogli cosa gli sembra, lui risponde
che gli sembra una corona, una corona per re Emanuele.
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La metafora di “Emanuele il grande”
Tratto da un racconto della mamma: ”un giorno a scuola Emanuele si trova a dover
rappresentare con i suoi compagni un grande pesce, tutti i bambini devono fare le squame,
lui però vuole fare l’occhio, finché non lo si convince che l’occhio è il posto riservato alle
maestre”
Obiettivo: ridurre egocentrismo (simbolizzato dall’occhio) e condurre il bambino a capire
che la collaborazione con gli altri non svilisce, bensì arricchisce.
La mia metafora per Noemi e Leo
Capito ormai come funziona, questa cartellina l’ho disegnata io: “Noemi e Leo gemelli
siamesi”.
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8.2 I casi seguiti nel secondo anno: i bambini, la famiglia, la diagnosi, i laboratori
espressivi
Durante questo secondo anno di frequenza del servizio UMEE, ho svolto i laboratori di
Arteterapia con tre bambini, Greta una bambina tunisina di 8 anni, Mattia un bambino di 7
anni con lieve ritardo mentale ed Damiano un bambino di 5 anni che soffre di una rara
patologia ossea.
E’ stato molto bello e formativo lavorare con questi bambini, anche perché avevo due
obiettivi principali per quest’anno: lavorare con un bambino appartenente ad un’altra cultura
e fare un’esperienza di gruppo.
Per quanto riguarda il primo punto, progettare un intervento rivolto a bambini stranieri è
stato un compito che ha implicato una serie di riflessioni particolari, riguardanti l’incontro
tra culture diverse e le implicazioni di tale situazione sullo sviluppo psico-affettivo del
bambino.
Secondo le mie ipotesi, il bambino non può non risentire in qualche modo delle differenze,
se non addirittura di un vero e proprio attrito tra le due culture, entrambe ugualmente
importanti per lui e per il suo mondo interiore, la cultura di origine e quella che lo “ospita”.
E questo gap si fa sentire anche se il bambino è nato in Italia, in quanto in famiglia,
soprattutto se questa è di religione musulmana, vengono mantenute abitudini e stili di vita
appartenenti alla propria cultura di origine. Questi stili sono a volte molto diversi rispetto a
quelli con in quali il bambino si confronta al di fuori del proprio contesto familiare, nei
rapporti con i propri coetanei, a scuola o in altri ambienti di socializzazione.
Pensiamo solo al ruolo della donna in una tipica famiglia musulmana, la sua ridotta
autonomia al di fuori dell’ambiente casalingo, al modo di coprirsi il capo, al fatto che spesso
e volentieri ha una scarsa conoscenza della lingua italiana in quanto ha ridotte occasioni di
confronto al di fuori della propria famiglia o della cerchia di connazionali.
Nel progettare i laboratori e nel definire gli obiettivi degli incontri, la psicologa ed io
abbiamo tenuto conto di tutti questi fattori, anche perché la bambina presentava dei segni di
disagio che, secondo le nostre ipotesi, in parte risentivano di questi fattori problematici
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dovuti all’incontro/scontro tra culture, ai diversi modelli di riferimento e alla povertà di
esperienze dovute ad un ambiente familiare troppo chiuso e limitante.
Per quanto riguarda invece il secondo punto, cioè l’esperienza del gruppo, è stata realizzata
solo in parte, ma con risultati per me ugualmente importanti.
Infatti il gruppo è stato di tipo aperto e più che altro costituito da una coppia, che in alcuni
casi è diventato un singolo. Infatti non ho applicato in modo rigido le regole che stanno alla
base dei laboratori di gruppo, come ad esempio che questo sia composto da almeno 3
partecipanti, altrimenti, se uno solo è assente e i partecipanti sono due, si è costretti, o a fare
una seduta individuale o a rimandare l’incontro.
La cosa per me interessante era far incontrare i due bambini, Mattia e Damiano, perché
nonostante i due anni di differenza, li vedevo molto affini e complementari.
Entrambi molto minuti rispetto alla loro età, con bisogno di esperienze socializzanti, Mattia
fisicamente sano ma con QI basso (74, dalla valutazione fatta due anni prima dei nostri
incontri) e Damiano con grave patologia fisica (anche se non ancora invalidante, eccetto che
nelle fasi acute) e QI sopra la media (124).
In qualche caso la coppia-gruppo si è aperto anche a Greta, quindi vorrei definire questa
esperienza, più che come esperienza di gruppo, come intersezione di traiettorie individuali.
Non sono riuscita a fare un gruppo tradizionale, però ho potuto osservare diverse interazioni
tra i tre bambini che ho seguito, scoprendo diversi meccanismi e modalità relazionali.
Test VMI di Mattia
Test VMI di Damiano
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Presentazione del caso: Greta
G. ha 8 anni è di origine tunisina, ma nata in Italia, in quanto suo padre vi si è trasferito
circa 15 anni fa. Ha un fratello di 9 anni ed entrambi frequentano la terza elementare (stessa
classe), perché lui ha perso un anno, in quanto è disprassico e per questo in carico al
Servizio e con sostegno scolastico. Suo padre fa il pizzaiolo, sua madre va a servizio presso
altre famiglie e sono in attesa del terzo figlio.
Struttura della famiglia - genogramma:
P
M
F1
F2
P = origine Tunisina, arriva in Italia circa 15 anni fa, riferisce di aver compiuto studi di
sociologia, pizzaiolo; meccanismi di funzionamento psicologico: tralascia le cose e poi
accusa gli altri.
M = origine Tunisina, lavora a servizio nelle case dove fa le pulizie, molto silenziosa, i soldi
che guadagna lei costituiscono l’entrata economica più stabile e concreta.
F1 = Alberto, primogenito, 9 anni, terza elementare (perso un anno) disprassico, sostegno
scolastico; portato al servizio dalla famiglia, senza la segnalazione della scuola; sempre in
ritardo, ha difficoltà nell’alimentazione, incapace di correre, saltare e rotolarsi, difficoltà nel
vestirsi e nel lavarsi; riesce ad eseguire i compiti, ma non a programmarli ed organizzarli
(come suo padre, disprassico anche lui).
* F2 = Greta, 8 anni, terza elementare (in classe con il fratello).
G. viene segnalata dalla scuola perché presenta difficoltà di lettura, scrittura e calcolo,
scarsa attenzione, concentrazione e memorizzazione, difficoltà nella pronuncia di alcune
parole e nel riconoscimento di lettere simili dal punto di vista grafico e fonetico.
Dato il problema del fratello, in presenza di queste difficoltà mostrate da G., le insegnanti si
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allertano immediatamente e si rivolgono al servizio per la segnalazione del caso.
Si attiva l’Unita di Valutazione Multidisciplinare composta da neuropsichiatra, psicologo,
logopedista e assistente sociale.
Il primo contatto è con l’assistente sociale che fa una prima valutazione sugli
apprendimenti, e al momento della presa in carico da parte del servizio, la bambina è stata
sottoposta alla testistica di routine. In particolare la WISC-R un test per la misurazione
dell’intelligenza generale, sintetizzata in tre punteggi che forniscono una valutazione delle
abilità intellettive: QI verbale (QIV), QI di performance (QIP) e QI totale (QIT). La LeiterR, una scala sviluppata per fornire una misura non verbale dell’intelligenza, indipendente
dal livello culturale è composta da 20 subtest che nell’insieme misurano l’intelligenza e le
abilità non verbali di bambini ed adolescenti di età compresa tra i 2 anni e i 20 anni e 11
mesi. La VMI (Visual-Motor Integration) consiste in una prova di tipo visuo-costruttivo,
molto utilizzata in psicodiagnostica, composta da 24 figure stimolo (disegni geometrici) di
complessità crescente e il compito consiste nel copiare ciascun disegno. Questo strumento
consente di valutare il livello di sviluppo di diverse abilità quali la percezione, la
rappresentazione mentale, la pianificazione motoria e la riproduzione grafica. Può essere
somministrato dai 2 ai 16 anni.
I test sono effettuati dalla neuropsichiatria e la somministrazione del test intellettivo (WISCR 3) dà buoni risultati (QIT (totale) pari a 94, QIV (verbale) pari a 82 e QIP (performances)
pari a 94. Emergono buone potenzialità intellettive, ma rimangono difficoltà scolastiche, nel
fare analogie, nel vocabolario e sul sociale. Rispetto a questo ultimo punto, nello specifico
emergono scarse esperienze, scarsa comprensione nel sociale, scarso adattamento
all’ambiente e basso livello di memoria. L’organizzazione percettiva è buona e anche la
velocità.
Dalla valutazione del logopedista emerge, una buona comprensione di messaggi con
informazioni usuali e struttura frasica lineare e riguardo alla produzione, presenta
malocclusione dentale, ma il repertorio fonetico è completo. La frase è sufficientemente
strutturata, denomina e descrive in maniera semplice ma corretta. Legge con tempi
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lievemente rallentati. La competenza ortografica è adeguata nelle prove di auto dettato ma
dimentica le regole grammaticali.
Emerge una difficoltà di letto-scrittura ma questo non comporta diagnosi di handicap in
quanto non viene diagnosticato un disturbo specifico di apprendimento (dislessia o
disgrafia) e non sussistono quindi i presupposti per un sostegno scolastico. Esiste una
normativa del Ministero dell’Istruzione, riguardante iniziative relative alla dislessia, in cui si
stabilisce che questo tipo di disagio deve essere gestito dalla scuola e non può comportare
segnalazione e sostegno scolastico specifico, a tale proposito si parla di meccanismi
compensativi e dispensativi14.
La richiesta: arriva dalla scuola, in quanto le insegnanti non riescono a gestire le difficoltà
nell’apprendimento manifestate da G. Riferiscono che la bambina rimane molto indietro sul
programma, ha difficoltà a comprendere i concetti più elementari e presenta segnali di
regressione rispetto all’anno precedente. Tutto ciò le causa crisi di sconforto e pianto per il
fatto di sentirsi inadeguata.
Il bisogno: G. vive in un ambiente familiare culturalmente molto povero, con scarsa
possibilità di fare esperienze e all’ombra del fratello maschio, che presentando anche un
problema accertato, riceve, agli occhi di G., maggiori attenzioni.
L’ipotesi di partenza è che nel caso di Greta, è l’ambiente che non le permette di mettere in
gioco e sviluppare le sue potenzialità, in quanto troppo povero, limitante e tale da
comportare una carenza esperienziale.
Si è così deciso di proporre a G. il laboratorio espressivo, ritenuto adatto a lei, anche alla
luce delle sue difficoltà nel sociale, dei problemi ad aprirsi, dovuti anche ad un senso di
inadeguatezza e ad un basso livello di autostima.
14 Tra gli strumenti compensativi essenziali vengono indicati: tabella dei mesi, dell’alfabeto e dei vari caratteri, tavola
pitagorica, tabella delle misure e delle formule geometriche, calcolatrice, registratore, computer con programmi di
video-scrittura con correttore ortografico; tra gli strumenti dispensativi, vengono indicati: dispensa dalla lettura ad alta
voce, scrittura veloce sotto dettatura, uso del vocabolario, studio mnemonico delle tabelline, dispensa dallo studio della
lingua straniera in forma scritta (se necessario), programmazione di tempi più lunghi per prove scritte e per lo studio a
casa, organizzazione di interrogazioni programmate, valutazione di prove scritte e orali con modalità che tengano conto
del contenuto e non della forma. (Circolare Ministeriale su iniziative relative alla Dislessia).
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Sono stati individuati i seguenti obiettivi:
- fare esperienze nuove;
- ampliare il vocabolario;
- fornire stimoli attraverso mezzi espressivi;
- confrontarsi con modelli diversi;
- esercitarsi nella manualità, sperimentando l’utilizzo di materiali nuovi e diversi (questo
ultimo punto è risultato particolarmente importante, dati i problemi del fratello);
- esercitare la coordinazione visuo-motoria, la motricità fine e lavorare sull’organizzazione
dello spazio grafico, (muovere mano, braccio, lavorare nell’orientamento sin/dx, dato
anche che nel sistema di scrittura arabo si va da dx/sin e lei passa ogni anno un lungo
periodo di full-immertion in Tunisia);
- esprimersi nella visione fantastica;
- stimolare la comunicazione dei vissuti;
- favorire il confronto con altre figure in contesti diversi da quello familiare (che vede la
figura femminile in posizione marginale);
- tirarla fuori da un contesto (familiare) e portarla in un altro (laboratorio), che fosse meno
richiestivo nei confronti della donna;
- arricchire la comprensione sociale;
- rafforzare l’autostima.
Il laboratorio le ha offerto uno spazio espressivo e un diverso modello e punto di
riferimento.
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Gli incontri di Arteterapia con Greta
Greta è una bambina molto allegra e solare ed arriva agli incontri sempre piena di
entusiasmo ed euforia. Di solito è accompagnata dal padre, ma di tanto in tanto la viene a
prendere sua madre, che arriva in ambulatorio con il capo coperto e le pantofole ai piedi.
Entrambi i genitori sono gentili e affabili.
Al nostro primo incontro, come faccio di solito, cerco di fare una semplice valutazione del
livello di sviluppo grafico e di sondare la preferenza dei materiali senza proporli
direttamente, così la consegna è fare un disegno libero e la scelta è tra pennarelli e matite e
tra fogli A3 e A4.
La scelta cade sui pennarelli e sul foglio A3 e i primi colori utilizzati sono il viola, il rosso e
il celeste, che dice di apprezzare “perché non è scuro”.
Noto subito che lo spazio della scrivania le va stretto, infatti mi chiede se dovremo stare
sempre lì o se ci potremo spostare. Io di solito lascio la massima libertà nella scelta del
posto, anche perché questo mi dà alcune informazioni utili, eccetto nel caso di bambini che
necessitano di essere contenuti in maniera più decisa (vedi isole).
I protagonisti di questo primo suo disegno sono lei in compagnia di due amiche di scuola,
tengono in mano delle borsette e palloncini i cui colori sono alternati, in modo che ciascuna
abbia addosso gli stessi colori delle altre diversamente combinati.
Mette molta cura nei particolari e riempie lo spazio foglio. Noto che la casa è sospesa in aria
e la porta non ha una maniglia, l’albero dapprima spoglio, viene poi arricchito con chioma,
foglie e frutti (mele), ma solo dopo avermi domandato se un albero a primavera poteva
essere così spoglio.
Ogni volta che si termina un disegno, chiedo di dare un titolo e di scriverlo, insieme al
nome dell’artista, poi lo sollevo facendolo ammirare da un altro punto di vista, così faccio e
il risultato le piace molto.
Anche l’immagine che le restituisco le piace e cioè che i palloncini sembrano andare verso il
sole. Il titolo del disegno è “Le sette farfalle in passeggio”, ma poi scrive le “tre farfalle”,
quindi noto che le farfalle sono diventate le protagoniste, ma poi vengono identificate con le
tre bambine (Fig. 26).
Alla domanda “dove ti vorresti mettere”, indica un punto in basso a destra: “qui vicino alle
due farfalle e vorrei essere una bambina che ha appena comprato un giocattolo”.
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Fig. 26 - Le tre farfalle in passeggio
Al termine di questo primo incontro le dico che i disegni che facciamo lì insieme rimangono
un nostro segreto e non si deve né prendere un voto, né vincere un concorso ed introduco il
tema del prossimo incontro, cioè costruire una cartellina per conservare i disegni che
faremo, una cosa preziosa dove riporre tutto quello che ci rende felici o tristi. Per il
momento li appendiamo in bacheca se vogliamo che vengano ammirati o li mettiamo
nell’armadio se vogliamo che stiano al sicuro.
Laboratorio 1: “La lunga storia della cartellina-libretto”
All’incontro successivo G. arriva piena di entusiasmo come sempre e chiedendo subito della
cartellina.
Consegna: costruire la cartellina di cartone ed abbellirla, perché si tratta di un oggetto
prezioso che ci servirà per conservare un tesoro.
Materiali:
- supporto: copertina di cartone di album da disegno A3 senza fogli;
- cartoncini e carte colorate (carta per collage, velina, crespa);
- nastri di varie dimensioni e colori;
- paillettes;
- foglie d’oro per decoupage (vedere come si chiamano);
- plastilina;
- colla stick, colla a caldo, forbici.
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Obiettivo: dare il senso dell’importanza e della preziosità di tutto ciò che si crea durante i
laboratori e che merita di essere conservato con molta cura.
E’ stato molto interessante osservare con quale delusione G. ha accolto la proposta di
utilizzare come supporto la copertina di un album da disegno di formato A3 senza fogli e un
po’ stropicciato per l’usura. Di sicuro questa immagine contrastava molto con quella che si
era fatta di “un oggetto prezioso”.
Quindi è stata un’occasione importante per mostrarle come si possono recuperare vecchi
oggetti e materiali che solitamente si buttano e farli diventare nuovi oggetti pronti da
utilizzare per altri scopi.
Infatti la delusione è passata quando le ho mostrato tutto il materiale che poteva utilizzare
per la creazione, carte colorate di tutti i tipi, nastri, paillettes e altro.
Si sono dovuti affrontare diversi momenti di frustrazione dovuti all’incapacità di realizzare
quello che aveva in mente, ma con l’aiuto di alcuni miei piccoli interventi siamo riusciti a
superarli facilmente e con soddisfazione.
Il lavoro la impegna per diversi incontri e già da questo primo lavoro si manifestano le
tendenze “trasformiste” di Greta, cioè cambia l’oggetto in itinere, rispetto a quello che si era
deciso in partenza. Così la cartellina per conservare i disegni si trasforma in un libretto.
Negli incontri successivi si prosegue con la costruzione della cartellina, perché l’utilizzo di
molti materiali e della tecnica del collage richiede tempo e pazienza e tutto questo è utile per
dare il senso della preziosità ed importanza di quello che stiamo facendo insieme. Inoltre G.
si mostra ancora molto presa dal lavoro ed ansiosa di utilizzare tutti i materiali scelti,
soprattutto carte, paillettes e nastri. E’ anche un’ottima occasione per lavorare insieme,
collaborare e allo stesso tempo parlare.
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La cartellina/libretto di Greta: il fuori La cartellina/libretto di Greta: il dentro
La cartellina diventa libretto
Ad uno degli incontri le faccio trovare una piccola cartellina che ho fatto per lei, con
disegnata una grossa caramella colorata. Avevo già avuto esperienza della felicità che
provoca ai bambini trovare un regalo fatto apposta per loro, in particolare un disegno e il
senso di complicità e di soddisfazione quando si chiede loro di completarlo con i particolari
che vogliono. L’atteggiamento insicuro di G. emerge di frequente durante gli incontri,
infatti dice spesso che vorrebbe fare una cosa ma non ci riesce, è sufficiente però
rassicurarla per farle superare l’impasse.
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Questa è stata un’occasione per iniziare a trasmetterle un’idea: che agli errori c’è sempre
rimedio.
Infatti G. scrive il suo nome e 8 anni con l’”h”, e quando le faccio notare con molta
delicatezza l’errore le suggerisco di disegnare un fiorellino sopra l’h e lei appare molto
sollevata e contenta.
Cerco di trasmettere questo messaggio ogni volta che ce n’è l’occasione, anche perché G.
mostra molto disagio quando compie un errore e anche le maestre riferiscono di vere e
proprie crisi di pianto quando a scuola sbaglia o non comprende e per questo tra gli obiettivi
che ci siamo posti c’è quello di lavorare sull’autostima per cercare di rafforzarla.
Quindi quando compie un errore o qualcosa che ritiene tale, le mostro con semplicità come
correggere, la rassicuro fino a che si tranquillizza e percepisce la situazione come
un’occasione per migliorare e cerco di dare un rinforzo positivo.
Proseguendo con l’esplorazione dei materiali, l’approccio con la plastilina, materiale nuovo
per lei, è stato molto positivo. All’inizio appare molto impacciata nel manipolarla, ma poi il
lavoro la appassiona e vi si sofferma parecchio tempo, mantenendo concentrazione e senza
dire continuamente “fatto! fatto!”, come è solita fare.
Inizia a fare delle sagome (cuore, fiore) e poi vuole fare il tridimensionale. Fa cose molto
minute e riesce a superare facilmente la frustrazione quando il risultato non è come vorrebbe
e i pezzi si staccano.
Ad un certo punto esprime il desiderio di fare un ponte, ma dato che sta lavorando ancora
sul supporto costituito dalla cartellina e che si deve aprire, si rende conto che non può farlo,
così le dico che può farlo ugualmente, poi troveremo una soluzione.
Quindi prendo un altro supporto, un cartoncino abbastanza rigido e le propongo di
trasportare lì le sagome di plastilina che stava creando e magari di disegnarci uno sfondo
che le piace.
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Fig. 27- Il giardino delle persone “addormentate”
Resta impegnata per almeno 20 minuti, ogni tanto mi guarda, forse per capire se il tempo sta
finendo e deve sbrigarsi, poi chiede se può prendere altra plastilina, dato che aveva
utilizzato solo il giallo.
Quando le chiedo cosa sta rappresentando inizia a raccontare una storia e indicando il ponte
dice che quella è la porta che serve ad andare da quelli che sono (esita)… addormentati…
cioè… non proprio addormentati, ma quella parola che non si dice e che comincia per m…
(morti). Io le chiedo il perché non si può dire e lei risponde “perché no… perché non la
volevo dire…”. Così le chiedo perché sono così (morti) e lei “perché dovevano morire”. Le
chiedo chi sono e lei “come chi sono?”, io insisto “ chi sono queste persone che hai
raffigurato?”… lei “ehm… sono due maschi, però vecchi e si chiamano… uno Marco e
l’altro Lorenzo, e questo (indicandone un terzo) è uno piccolo piccolo, non so perché l’ho
fatto, comunque è una femmina e la chiamo Sara”.
Poi descrive altri elementi, un’altalena, uno scivolo, due piscine, degli animali e un’asta che
“serve ad avvertire quando si deve andare a pregare”.
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Ritorniamo su questo lavoro con la plastilina in un incontro successivo e anche questa volta
mostra lo stesso interesse della scorsa, concentrata, silenziosa, mi chiede attrezzi per
tagliare. Mette un cuore sopra il ponte dicendo: “qui vuol dire che ci sono i morti e hanno
l’amore”.
Ripete la stessa storia, ma stavolta nomina “i morti” chiamandoli così, senza tergiversare.
Dice che si tratta di un giardino molto particolare e strano, un giardino molto speciale. Noto
che questa idea di particolare/ strano/ fantasioso ricorre spesso.
Questa opera che rappresenta la storia del “Giardino delle persone addormentate”, presenta
un simbolismo molto forte e diversi richiami alla religione della sua famiglia. G. introduce
elementi che ritengo importanti e tipici della sua cultura, quali il tema del culto dei morti e
del richiamo alla preghiera. Un altro elemento che ricorrerà spesso è il tema di genere, la
distinzione tra maschi e femmine.
Arrivati ad un certo punto del percorso, decido di spostare l’attenzione dalla
rappresentazione di oggetti concreti a quella delle emozioni, data anche la difficoltà di
introspezione mostrata da G.
Così propongo un laboratorio basato sull’elaborazione di immagini per esprimere quattro
diversi sentimenti.
Laboratorio 2: ”Le emozioni in cornice”
Consegna: visualizzare immagini per esprimere Felicità/Tristezza/Rabbia/Paura. Si hanno a
disposizione 4 cornicette e all’interno di ciascuna fare un disegno che rappresenti ciascuno
dei 4 sentimenti.
Materiali:
- fogli bianchi;
- pennarelli;
Propongo solo questi materiali, in quanto l’obiettivo di questo laboratorio non è quello di
consentire la massima espressività attraverso materiali diversi, ma quello di mettere a fuoco
quello che si prova, attraverso un’immagine ben precisa e definita.
G. fa moltissima fatica ad eseguire la consegna, infatti non riesce né a scegliere
un’emozione da raffigurare, né ad individuare una modalità di rappresentazione.
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Alla fine la decisione, molto sofferta e cade sulla rabbia. G. fa un disegno utilizzando il solo
pennarello nero e la scena rappresenta sé stessa che riordina la cameretta raccogliendo i
giochi che lascia in giro suo fratello, e lui che fa di nuovo confusione. Lei urla, lui ride
divertito e alla fine si picchiano (Fig. 28). Chiedo cosa potrebbe mettere nel disegno per far
passare la rabbia e lei proprio non lo sa, ci pensa e ci ripensa ma non le viene in mente
niente. Le chiedo dove metterebbe il fratellino/sorellina non ancora nato e risponde che lo
metterebbe “nel carrello” (che ha disegnato).
Quindi osservo che G., che di solito utilizza colori diversi e toni caldi, riempiendo per intero
lo spazio foglio, questa volta utilizza solo il nero, eccetto che per la bocca di un pupazzo ai
piedi del fratello, che fa in rosso. Inoltre il disegno si sviluppa sulla parte bassa del foglio,
lei si posiziona sulla sinistra e tutto il resto è ammassato sulla destra.
Dagli incontro fatti con la psicologa è emerso il tema della gelosia che G. prova per il
fratello, si ipotizza sia dovuta al ruolo preferenziale che potrebbe avere nel contesto
famiglia, in quanto uomo. Non aiuta il fatto che siano nella stessa classe e che lui ha il
sostegno, fatto che G. interpreta come ulteriore segno di maggiore attenzione nei confronti
del fratello, a suo discapito.
Il tema del ruolo di “donnina di casa” che G. assume in famiglia a differenza del fratello
sembra emergere dal disegno, infatti la scena descrive come fonte di rabbia il fatto che lei
riordina e suo fratello mette in disordine ridendo divertito.
Fig. 28 - La rabbia
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G. mostra estrema difficoltà nel pensiero fantasioso e quando le si chiede di raffigurare
qualcosa o di raccontare una storia sui disegni che fa, lei non ha idee. Così nelle sue
produzioni lei è stimolata soprattutto dai materiali che sceglie, che le piacciono e che
sperimenta con discreta disinvoltura. Di solito prima di iniziare un disegno si guarda attorno
in cerca di idee e poi compone opere perlopiù astratte dicendo che non sa cosa sta facendo,
perché disegna di fantasia. A volte ricopia qualcosa che vede in giro, uno stemma disegnato
su una scatola o i motivi disegnati sulle tovagliette/isole.
Osservo come utilizza lo spazio foglio e noto due elementi principali che ricorrono: la
tendenza a riempirlo e la ricerca di simmetrie.
Nel corso dei laboratori espressivi fatti con G. ho potuto vedere come si è sviluppata la sua
capacità espressiva, la curiosità e la disponibilità a sperimentare nuovi materiali.
L’approccio con i colori liquidi è stato per lei entusiasmante e liberatorio, come si può
vedere bene anche dai due disegni presentati qui di seguito, che rappresentano il suo primo
esperimento con acquerelli e colori a dito, che ha scelto di usare su un grande foglio di carta
da pacchi. In quell’occasione l’ho lasciata libera di scegliere tra tempere, acquerelli, colori a
dito, gessetti, pastelli a cera e fogli di varie dimensioni.
Fig. 29 - La fontana Arcobaleno
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Dopo aver completato il primo disegno (Fig. 29), utilizzando colori tenui e tratti delicati,
prende subito un altro foglio di carta da pacchi ed inizia un secondo disegno, dapprima
tracciando forme sottili sullo stile del precedente, fino a che qualcosa accade.
Inizia a prendere grosse quantità di colore utilizzando le mani e si esprime con molta foga.
La lascio stare per tutto il tempo necessario, dato che è totalmente immersa nel lavoro. Non
si preoccupa minimamente del senso estetico, né delle simmetrie, fatto insolito per lei,
sull’onda di una vera e propria scarica pulsionale.
All’inizio i colori rimanevano distinti e riconoscibili, ma poi ha iniziato a mescolare tutto
con le mani fino a che non ha riempito completamente il foglio, creando un’enorme chiazza
di colori mescolati.
Terminato il disegno sembrava riemersa da una specie di trance, così ha recuperato un
minimo di distacco dall’opera e si è resa conto che il risultato era un gran “pastrocchio”!.
Tuttavia non se ne è preoccupata più di tanto, come se sentisse che comunque con quel
lavoro ha assecondato un’esigenza molto più profonda rispetto a quella di realizzare un bel
disegno, carino da vedere.
Il titolo l’ho dato io in un secondo momento, riassumendo tutto il processo che ho osservato,
dall’inizio alla fine e dandone il senso: “Dalla forma all’informe” (Fig. 30).
Fig. 30 - Dalla forma all’informe
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Laboratorio 3: “Il paesaggio di montagna”
Consegna: disegnare un bel paesaggio di montagna con le montagne, gli alberi, le case, le
strade, le persone e tutto quello che si pensi ci debba stare.
Stimolo: Ne hai presente uno? Sei mai stata in montagna? Magari cerca di immaginare una
cartolina che hai ricevuto o che hai solo visto!
Materiali disponibili:
- fogli A3/ A4;
- matitoni colorati;
- pennarelli;
- pastelli a cera.
Materiali scelti:
- foglio A3;
- colori a cera e pennarelli (forse li sceglie quando si sente più insicura?).
Obiettivi: avere in un unico disegno tutti gli elementi dei disegni-test principali che si
utilizzano con i bambini (test dell’albero, della casa, della figura umana).
Quando le do la consegna del paesaggio di montagna, come spesso succede, mi risponde
“non so fare! non lo ha mai visto!”, così le chiedo come sono le montagne e lei mi risponde
che sono bianche e piene di neve e da lì si sblocca.
Nel primo disegno, quando arriva alla casa (centrale) esclama con rammarico “no! l’ho fatta
troppo grande!” e si rifiuta di continuare, anche dopo le mie sollecitazioni. Così le consento
di rifarlo. Quando si presentano queste situazioni, a volte cerco di far correggere “l’errore “
e incoraggio, con successo, a proseguire, altre volte, se mi accorgo che la cosa è troppo
dolorosa, lascio che si prenda un nuovo foglio e ovviamente conservo il primo e tengo nota
(Figg. 31-32).
Quando ha terminato le pongo alcune domande sul disegno: “che stagione è?, è giorno o
notte?, piove o c’è il sole?, è freddo o caldo?, dove ti collochi?, in quale albero?, in quale
strada?, in quale casa?, c’è qualcosa che cambieresti?, come ti fa sentire immaginare di
essere lì?”.
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G. mi chiede: “posso fare tre persone così?” (e mi fa vedere disegnando a matita sul primo
foglio).
Poi indicandomi le figure che ha disegnato mi dice, puntualizzandolo: “qui (sopra) sono
tutte femmine, qui sotto sono tutti maschi”. Noto che sono divisi dalla linea nera e netta
della strada.
Capita spesso che ripete e puntualizza questa netta distinzione tra femmine e maschi.
Poi mi chiede: “posso farmi pure io?”. Mi ha colpito molto questa domanda che ho
percepito come una sorta di “posso esistere?”.
Mi anticipa che farà una cosa che dovrà essere una sorpresa e mi chiede come si chiamano
la mia migliore amica e il mio migliore amico?”.
Alla fine entusiasta mi svela la sorpresa: “anziché farmi io, ho fatto te!” e ha disegnato i
miei amici e me dentro ad un cuore.
Data la sua resistenza a materializzare la sua persona nel contesto del disegno e a
collocarvisi, insisto chiedendole dove vuole stare. G. in un primo momento si colloca nella
valle tra due montagne, poi alla destra del cuore e dice: “posso stare qui? a guardarvi!”.
Anche questa ultima frase mi impressiona molto, il suo voler stare in disparte ad osservare
qualcosa o qualcuno di caro, in una sorta di adorazione a distanza.
Fig. 31 - Prima prova di paesaggio di montagna
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Fig. 32 - Il paesaggio di montagna
Laboratorio 4: “L’isola che non c’è”
Consegna:
- costruire un’isola con il polistirolo, scatole di varie dimensioni e rotoli carta scottex,
pensando ad un bel luogo dove vivere e giocare, mettere tutte le cose importanti (casa,
scuola, parco giochi, luoghi dove si incontrano gli amici, strade, alberi, fontane, animali….);
- assegnare ad ogni luogo un colore e colorare le scatole con quei colori;
- per costruire le cose più piccole (strade, fontana, fiori, animali e altro), si può usare la
plastilina colorata e la carta velina, ma solo dopo aver costruito le strutture maggiori.
Stimolo:
Per introdurre il laboratorio ho preso spunto dalla storia di “Peter Pan e l’isola che non c’è”,
dicendo che era stata portata da Mattia che era venuto prima di lei e ho letto un breve brano.
Brano: “l’isola che non c’è è un luogo fatato in cui solo i bambini possono accedervi, grazie
alla loro immaginazione, seguendo la seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino”.
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Materiali:
- pezzi di polistirolo;
- scatole di varie dimensioni;
- rotoli di carta scottex;
- carte colorate (velina, crespa, da collage);
- plastilina colorata;
- forbici, scoch, colla stick, colla a caldo.
Obiettivi:
- esercitare la manualità;
- utilizzare materiali semplici e di recupero;
- immaginare un luogo che corrisponda ai propri desideri, in cui piacerebbe vivere;
- riconoscere i propri desideri e quali sono le cose a noi più care;
- memorizzare colori (alla luce del fatto che le maestre hanno detto che ha difficoltà a
riconoscerli);
- raggruppare oggetti in base ad una qualità comune;
- impiegare tempo e cura nella costruzione di una dimora in quanto simbolo di ciò che ci
accoglie e ci protegge.
L’idea è piaciuta a G. che ha voluto far precedere il lavoro vero e proprio da uno “studio su
carta”, facendo prima un disegno su di un foglio A3 (Fig. 33), in cui l’isola è circondata dal
mare, al centro una casa enorme, per “contenere una famiglia molto numerosa e tante altre
persone”, diversi alberi che fanno da sfondo alla casa e due sirene celesti ai lati, che stanno
adagiate sulla spiaggia.
Terminato il bozzetto, sceglie il pezzo di polistirolo più grande e poi i colori a tempera,
verde brillante, blu, rosso, giallo (Fig. 34).
Prima parliamo del mare che circonda l’isola e poi del prato e dei fiori, è molto presa dalla
pittura quindi la lascio fare e riempie tutto il pezzo di colori, così diventa un bel quadro e
non si costruisce più con le scatole. Ecco che si ripropone la sua attitudine “trasformista”.
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Osservazioni:
La descrizione fatta sopra, riguarda il laboratorio così come era stato progettato, ma poi le
cose sono andate diversamente. G. si è fatta coinvolgere dal colore e ha dimenticato tutta la
consegna, perdendo interesse anche per le costruzioni con le scatole, che in un primo
momento sembrava contenta di fare.
Proporrò di nuovo questo laboratorio quando riprenderanno i nostri incontri dopo le vacanze
estive, ma enfatizzerò di più l’aspetto della costruzione con cartoni e scatole, e solo dopo
presenterò i colori. Questo con l’obiettivo di farle mettere tempo e cura nella costruzione di
una dimora, in quanto simbolo di ciò che ci accoglie e ci protegge e di farla focalizzare sulle
cose che più le sono care e che quindi porterebbe nell’isola.
Fig. 33 - Studio dell’isola
Fig. 34 - L’isola che non c’è
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Il risultato è comunque un bellissimo disegno fatto con colori a tempera e su supporto di
polistirolo.
“La storia del Non ti scordar di me”………….
G.: “perché questo fiorellino si chiama così?”
Io: “tu che dici? Proviamo ad inventare una storia noi…”
G.: “…perché vuole che nessuno si scordi!”
Io: “perché così si sente importante?”
G.: “no…perché si sente solo…”.
Mi è sembrato importante lasciare una traccia di questa piccola storia, nata in un giorno di
sole, mentre stavamo disegnando un fiore e che dice molto sul grande cuore di questa
bambina e sul velo di solitudine e malinconia che si nasconde dietro al suo bel sorriso, così
sincero e solare.
Un giorno entrando in stanza mi dice che non va bene lasciare le cose incompiute e che
dovevamo terminare il libretto e l’isola di Peter Pan.
Io avevo già preparato il necessario per lavorare sul libretto, anche perché i nostri incontri
volgevano al termine e avevo piacere che lasciasse un ricordo dentro al suo libretto, che
avrei conservato con cura fino al suo ritorno.
Le consegno fogli bianchi A3 e pennarelli, dicendole di scrivere qualcosa che le piaceva
ricordare dell’esperienza fatta insieme.
G. nello scrivere si blocca in modo drastico, prova a chiedermi di dettarle e cade nello
sconforto, così io cerco di alleggerirla, ricordandole che qui non c’è giudizio, non c’è giusto
o sbagliato, bello o brutto, che tutto quello che dice e che fa va bene (ovviamente entro i
limiti di educazione e rispetto, ma questo messaggio lo calibro sempre al tipo di bambino
che ho davanti, chiaramente se il bambino è iperattivo e presenta un atteggiamento
distruttivo, lo esplicito con i dovuti chiarimenti).
La incoraggio a provare da sola e casomai di disegnare qualcosa. Si mette a scrivere molto
concentrata senza chiedere più.
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Per proseguire, le propongo di fare un gioco di fantasia: “il gioco del se fossi”, e di
scriverlo nel libretto. Ho potuto constatare spesso che proporre le attività in forma di gioco
incuriosisce e stimola molto i bambini.
“Il gioco del se fossi”
Se fossi un animale sarei… un cavallo
se fossi un frutto sarei… un’arancia
se fossi un fiore sarei… una violetta
se fossi un albero sarei… un albero di mele
se fossi un colore sarei… l’arancione
se fossi una stagione sarei… l’estate
se fossi uno strumento musicale sarei… il pianoforte, la tromba, il violino, il flauto
se fossi un cartone animato sarei… le Braz
se fossi un Paese sarei… l’Africa
se fossi un profumo sarei… il profumo di fragola
se avessi un altro nome vorrei che fosse… Sara - Jusra.
Mi è parso molto carino fare questo gioco, perché ha incuriosito G. e lo ha fatto senza timori
e divertendosi, anche perché impostato in modo da favorire una certa proiezione.
Io leggevo la prima parte e lei rispondeva scrivendo sul foglio/ libretto. In seguito vorrei
prendere spunto da questo gioco e svilupparlo, lavorandoci ulteriormente con G., perché
credo che potrebbe essere fonte di altre importanti informazioni.
Mi ha colpito in particolare il fatto di scegliere l’Africa come Paese, dopo averci riflettuto
un po’ su, come se non si trattasse di una risposta scontata ed ho riflettuto sul fatto che
avesse scelto il suo Paese d’origine.
All’incontro successivo G. vuole ancora terminare il lavoro dell’isola di Peter Pan, ma poi
riguardandolo stabilisce che va bene così. Allora le propongo di scegliere i materiali che
vuole e fare un disegno libero.
Sceglie fogli di carta da pacchi e acquerelli e per la prima volta fa la richiesta di mettere un
po’ di musica. Così mettiamo un cd di musica classica, che sembra apprezzare.
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Si posiziona a terra e inizia a dipingere completamente coinvolta nel lavoro, schizzando il
colore con il pennello, dicendo che glielo ha insegnato la maestra C., che è un’importante
figura di riferimento.
G. pensa prima di iniziare…
G. all’opera…
G. ammira l’opera compiuta…
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Terminata l’opera dice di aver copiato i motivi della tovaglietta sulla quale stava appoggiata
per dipingere (l’isola del colore). Noto che G. appare più rilassata e soddisfatta di quello che
fa, senza esprimere continui dubbi, timore di aver sbagliato e richieste di approvazione.
Ripete ancora una volta che disegna a fantasia e non riesce a dirmi cosa ha fatto, così la
rassicuro dicendole “va bene così, non è che tutto deve avere per forza un nome!” (Fig. 35).
Fig. 35 - I quadri a puntini
Terminato il primo disegno, si precipita a prendere un secondo foglio e inizia a dipingere. Il
cuore è un elemento che ricorre spesso nei suoi disegni e disegnando i due palloncini viola
che si toccano, con al centro un cuore commenta: “i palloncini sono innamorati, carini
vero?”. Noto che questa volta viene meno la ricerca di simmetrie e che mette moltissima
cura nel disegnare il sole tra le due nuvole (Fig. 36). Mentre le disegna mi dice: “questa
musica mi fa esprimere le nuvole!” e osservo che ha messo in evidenza l’esperienza
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sinestesica che stava vivendo. Così le chiedo se pioverà, cercando un ulteriore indicatore del
suo umore, che mi pare molto sereno, e infatti G. mi risponde che c’è il sole e rimarrà
sereno!
Fig. 36 - Il paesaggio colorato
All’ultimo incontro prima della pausa estiva è presente anche Mattia. I due si conoscevano,
perché già in un’altra occasione erano stati assieme.
La consegna era che ciascuno doveva fare un disegno che avremmo poi e appiccicato in un
foglio più grande, per comporre un grande disegno collettivo. Però, come spesso accade,
l’incontro è andato in maniera diversa e questa volta lo stimolo è venuto dal materiale
scelto, cioè i gessetti, che ha aperto nuove possibilità impreviste.
L’avvio della sperimentazione fa sì che la consegna venga persa di vista e io lascio che sia
così, perché mi pare molto bello quello che sta avvenendo con i gessetti.
Greta inizia a disegnare su un primo foglio e ovviamente, strusciando con il braccio sopra il
disegno, il foglio si sporca tutto. Lei guardandolo si mostra molto delusa così le spiego che
il gessetto fa questo effetto e che anzi si può utilizzare come tecnica quella della sfumatura,
sfumando il colore con le dita o con una spugnetta.
Suggerisco a Greta delle soluzioni, quella di ritagliare il disegno, oppure cambiare colori e/o
cambiare foglio.
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Lei decide di cambiare foglio, ma la avverto che avrà lo stesso risultato del precedente e si
sporcherà tutto, così lei domanda che soluzione può esserci e le ribadisco che deve o
cambiare tipo di colore, o provare a non sporcare facendo più attenzione ai movimenti delle
braccia, oppure può semplicemente accettare il risultato! Lei sembra felice di sentire questa
ultima alternativa ed esclama entusiasta di voler accettare. Riproduce un disegno e poi prova
a sfumare. Si tocca il viso con le mani sporche, noto che mi sembra consapevole del fatto
che si stia sporcando e anche la scorsa volta sembrava compiaciuta dal fatto di avere il viso
sporco.
Poi io suggerisco di provare insieme gli effetti che si possono fare con il gesso orizzontale,
puntini e trattini (Fig. 37). Greta dice di non riuscire a fare una linea sottile, così le indico
come fare e sceglie un gessetto con il lato più sottile. E’ incantata dalla tinta azzurro/blu, in
effetti anche a me piace molto quel colore così brillante.
Fig. 37 – Effetti con i gessetti
Ho avuto modo di provare quanto è importante dare dei suggerimenti tecnici e aiuti, perché
riuscire ad utilizzare i materiali in modo corretto o in maniere diverse ed avere diversi
effetti, ha effettivamente influenza sugli stati emotivi.
Così faccio sempre osservazioni sulla bellezza di certi colori/tonalità, che effetto fa uno
stesso colore più trasparente o più denso, gli effetti dei diversi tipi di colore, come usare i
pennelli, come pulirli per non mescolare i colori (sequenza acqua – colore – spugna straccetto).
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Guardando la produzione di Greta e il modo di procedere, faccio una considerazione che mi
rende molto soddisfatta e penso che non poteva esserci evento più piacevole in occasione
del nostro ultimo incontro, prima dei saluti. Noto che G. ha accettato il fatto di sporcare i
disegni e non se ne è più preoccupata, anzi ha anche esclamato: “non importa se è sporco,
..ha ugualmente la sua dignità!”. Mi fa molto felice perché ho cercato in più occasioni di
trasmetterle questo messaggio, per me importante.
Inoltre, quando sul disegno raffigurante le mani colorate (Fig. 38) scrive “Mani multicolor”
e sbaglia a scrivere la seconda parola, questa volta non va in crisi esclamando delusa e
sconfortata di aver sbagliato, ma da sola si mette a sfumare il colore con il dito correggendo
così l’errore. Così penso soddisfatta che quello che le volevo trasmettere è arrivato:
correggere certi sbagli è semplice, non bisogna demoralizzarsi di fronte agli errori e cercare
invece una soluzione creativa!
Fig. 38 -Le mani multicolor
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Considerazioni conclusive
G. mostra spesso un atteggiamento insicuro e un forte timore di sbagliare. Commettere un
errore la fa soffrire e io ho cercato di lavorare molto su questo, cercando in diverse
occasioni di trasmetterle il messaggio che non c’è nessun errore irreparabile, che non c’è
niente di totalmente sbagliato. L’attività espressiva ha consentito di fare questo in maniera
molto efficace, proprio lavorando attraverso la mediazione dell’immagine. E’ sull’immagine
che venivano commessi gli “errori” (che G. percepiva come tali) e sull’immagine che le
mostravo come un errore si potesse trasformare in qualcosa di bello, come quando una
macchia sul disegno può trasformarsi in un bel fiore.
Nei momenti di impasse, in cui si mostra bloccata o impacciata, è sufficiente una parola di
incoraggiamento perché il processo creativo si attivi.
G. mostra difficoltà di introspezione e di pensiero fantasioso, e diverse attività si sono
concentrate su questi punti. Di frequente la bambina dichiara di non sapere cosa stia
facendo, perché “disegna di fantasia”, mostrando quindi tendenza al disegno astratto o
riproduzione di motivi che vede attorno a sé.
Emerge spesso il tema della netta divisione tra maschi e femmine, infatti spesso nei disegni
ci sono strade, muri o linee che li separano. Mostra spesso difficoltà a rappresentare sé
stessa nel disegno e a collocarsi.
Mostra un forte attaccamento ad alcune figure per lei di riferimento, come una delle maestre
o a volte anche me, lasciando trasparire la sua ricerca dell’approvazione altrui.
Sia dai disegni, che dalle cose dette, emerge un velo di solitudine e malinconia che
coesistono affianco ad uno spirito solare, allegro, delicato e socievole.
G. ha mostrato una preferenza abbastanza netta per i seguenti materiali: plastilina,
acquerelli, gessetti, colori a dita, fogli grandi (carta da pacchi) ed un approccio ai materiali
molto disinvolto. In particolare ho osservato: curiosità e disponibilità a sperimentare nuovi
materiali e tecniche (colla a caldo, collage, plastilina, pittura ad acquerello), utilizzo di tutto
lo spazio-foglio, utilizzo di tutti i colori, ricerca di simmetrie, coinvolgimento nel disegno
con colori a dita senza il timore di sporcarsi e un approccio con i colori liquidi entusiastico e
liberatorio.
Si sono avuti confronti in itinere sia con i genitori, che con le maestre. Soprattutto la
discussione con le maestre ha permesso di mettere a fuoco alcuni problemi specifici di G.,
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che però andranno approfonditi dopo la pausa estiva, momento in cui riprenderemo gli
incontri. Il progetto è quello di seguire la bambina nel momento della ripresa della scuola, in
una fase presumibilmente critica data la lunga permanenza estiva in Tunisia. Sono previsti
altri due incontri con le insegnanti, uno poco dopo la ripresa delle lezioni, per raccogliere
informazioni su eventuali tendenze regressive di G. ed un altro a distanza di due/ tre mesi
dall’inizio dei laboratori, per monitorarne e valutarne gli effetti sulla resa scolastica. Le
insegnanti si sono dimostrate molto disponibili a collaborare con il servizio, per affrontare le
difficoltà scolastiche di G. e il conseguente disagio che ne deriva.
Sono previsti inoltre incontri con i genitori, anche per seguire la situazione familiare in
occasione della nascita del terzo figlio/a.
Nel complesso, la situazione alla fine del primo ciclo di incontri è stata valutata
positivamente, in quanto la bambina è sempre venuta volentieri agli incontri, i genitori si
sono dichiarati soddisfatti e si ritiene di aver raggiunto l’obiettivo del rafforzamento
dell’autostima.
Ho infatti potuto osservare una maggiore fiducia in sé stessa e nel suo operato, meno timore
di sbagliare e una maggiore sicurezza nella gestione delle situazioni.
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Presentazione del caso: Mattia
Mattia è un bambino di 7 anni che arriva al servizio all’età di 3 anni. Frequenta la prima
elementare ed ha un fratello gemello che frequenta la seconda elementare, infatti Mattia è
rimasto un anno in più alla scuola materna a causa di un ritardo mentale di tipo borderline
(QI = 74).
Struttura della famiglia- genogramma:
P
M
F1
F2
F3
P = padre, 45 anni, operaio
M = madre, 42 anni, casalinga
F1 = sorella 13 anni
F2 = fratello gemello, 7 anni, frequenta la classe seconda elementare
* F3 = Mattia, 7 anni, frequenta la classe prima elementare (trattenuto un anno in più alla
materna).
Il problema di Mattia è stato individuato grazie ad un dépistage effettuato dal servizio
UMEE nelle scuole d’infanzia attraverso la somministrazione del test VMI, quando lui
aveva 3 anni. E’ stato poi chiamato al sevizio per ulteriori approfondimenti che hanno
accertato un disturbo del linguaggio abbastanza serio e hanno dato avvio alla presa in carico
e alla segnalazione del caso.
Dalle prime valutazioni fatte attraverso numerosi test (primo vocabolario, secondo
vocabolario, McArthur, ecc.) risulta un grave ritardo del linguaggio. Riporto di seguito
l’esatta diagnosi stilata dal Servizio.
Diagnosi: grave ritardo di linguaggio, difficoltà di separazione, difficoltà relazionali.
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Si rilevano (conseguenze funzionali): difficoltà di apprendimento, di relazione, di
autonomia, di comunicazione.
Previsioni dell’evoluzione naturale: necessita di sostegno individuale per recuperare le
difficoltà attuali.
Descrizione funzionale
Area cognitiva
Livello competenze cognitive: non adeguato all’età. Il disegno è a livello di scarabocchio.
Integrazione competenze: carente.
Area affettivo-relazionale
Autostima, area de sé: difficoltà di separazione dalla figura materna, difficoltà di relazione
con adulti e coetanei, scarsa consapevolezza del sé, non sostiene lo sguardo.
Motivazione, resistenza alla frustrazione: carente.
Rapporto con gli altri: difficoltà relazionali.
Area linguistica
Comprensione: comprende messaggi molto semplici e contestuali.
Produzione: praticamente assente, grave deficit di comunicazione a tutti i livelli.
Linguaggi alternativi/integrativi: indica e conduce l’adulto verso l’oggetto.
Area sensoriale
Vista: apparentemente n.n.
Udito: apparentemente n.n.
Area motorio-prassica
Motricità globale: impaccio globale.
Motricità fine: non adeguata.
Neuropsicologia
Memoria: non valutabile.
Attenzione: non focalizzata, né sostenuta. Non sostiene lo sguardo.
Organizzazione spazio-temporale: non valutabile.
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Descrizione funzionale redatta in forma conclusiva
Grave ritardo di linguaggio, difficoltà di separazione, difficoltà di relazione.
Al momento dell’arrivo al Servizio il bambino non era affatto collaborativo, non faceva il
gioco simbolico, ma solo il gioco esplorativo (prendeva l’oggetto, lo teneva 2 secondi e lo
gettava via), quindi si mostrava molto carente nel gioco, con notevole scarto con i coetanei.
Oggi è molto più sintonico.
L’obiettivo che ha guidato i professionisti del servizio è stato quello di ampliare le
conoscenze dei termini, anche se non venivano utilizzati dal bambino nell’immediato.
Dato il ritardo del linguaggio emerso a 3 anni, Mattia ha continuato ad essere seguito dal
servizio, in quanto avrebbe potuto portare a problemi di apprendimento.
Sono stati individuati i seguenti obiettivi:
- ampliare le conoscenze e possibilità di fare scelte diverse;
- partire da uno stimolo generale, per arrivare a concretizzare tanti particolari (es. cosa ci
mettiamo dentro la casa e alle finestre? E vicino all’albero e nel cielo? …).
Si è deciso con la psicologa, di coinvolgere nei laboratori espressivi un altro bambino,
Damiano, in quanto si è valutato che i due potessero compensarsi alla perfezione. Mattia è
un bambino fisicamente sano ma che presenta un lieve ritardo mentale, e Damiano un
bambino affetto da una grave patologia fisica, ma con un QI al di sopra della media.
Entrambi dimostrano un’età inferiore a quella che hanno. L’incontro tra i due si è
dimostrato positivo e riuscito, dando buoni risultati per entrambi.
Per quanto riguarda quindi i laboratori con Damiano, l’idea è stata quella di mettere insieme
due bambini che potessero scambiarsi idee, creare regola comune, fare cose insieme,
individuando quindi uno scopo socializzante. A Mattia occorreva dare un mondo più
grande, a Damiano uno più piccolo.
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Gli obiettivi del laboratorio con Damiano: favorire lo scambio di informazioni, promuovere
il gioco, fornire nuovi stimoli, offrire un alter ego di un coetaneo, passando dall’adulto al
bambino.
Gli incontri di Arteterapia con Mattia
Mattia è un bambino molto minuto per l’età che ha e piuttosto taciturno. La prima volta che
lo vedo c’è anche la psicologa e fanno un disegno insieme. Come al solito la psicologa lo
incita a riempire il disegno con diversi particolari, ad esempio le foglie sull’albero, le tende
alle finestre, il lampadario dentro che si vede dalla finestra della casa, tanti animali diversi.
M. mostra subito una grande capacità nella copia dei disegni e riproduce con molta abilità la
lumaca, lo scoiattolo e il picchio.
Terminato il disegno fatto insieme, M. ne esegue uno da solo che mi sorprende subito per la
piccola dimensione, per la povertà di particolari e per l’immensità dello spazio lasciato
bianco (Fig. 39).
Fig. 39 – Primo disegno
Al nostro primo incontro, lo accolgo mostrandogli il disegno che aveva fatto Greta prima
che arrivasse lui (“La fontana arcobaleno”) chiedendogli cosa gli sembrava. M. lo osserva
attentamente e con fare riflessivo risponde che gli sembra un vulcano. Così prendo spunto
da questa sua immagine e gli chiedo di disegnare un vulcano.
Mattia ha difficoltà nella verbalizzazione e parla come un bambino di età inferiore. Quando
gli si rivolge una domanda è solito chiudere gli occhi e concentrarsi per poter formulare una
risposta.
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E’ molto sorridente e a suo agio, non mostra eccessive resistenze di fronte a nuove
esperienze, anche se manifesta una certa cautela nelle sue scelte.
Inizio ad osservare dove cadono le sue preferenze riguardo ai materiali, gli propongo matite
colorate, pennarelli, fogli A3 e A4 e lui fa scelte molto caute, decidendo per le matite e per i
fogli piccoli. Il disegno lo impegna molto, anche perché vuole riempire di colore grosse
superfici e con la matita il compito richiede diverso tempo e pazienza. M. è molto calmo e
paziente ed impiega tutto il tempo necessario, senza distogliersi dal lavoro e senza
preoccuparsi di cosa si farà dopo.
Quando ha finito a disegnare il vulcano e a colorarne la prima metà, gli chiedo se è giorno o
notte e dopo avermi risposto che è notte, si mette a disegnare il cielo stellato.
Fig. 40 - Il vulcano di notte e lo scoiattolo che dorme
Sulla destra disegna un albero dal grande fusto e dalla piccolissima chioma e sul tronco la
tana dello scoiattolo, elemento che ricorre sempre nei suoi disegni. Lo scoiattolo è fuori
dalla tana, ma sta dormendo e lo si vede dal fumetto sopra la testa (zzzzzzzzzzz….). Un
elemento che mi pare molto particolare è la galleria che parte dall’albero, attraversa il
vulcano e sbuca dalla parte opposta. M. dice che si tratta del passaggio per lo scoiattolo e
per indicargli la direzione disegna anche una freccia (Fig. 40).
Alla fine del disegno, dato che M. ha raffigurato la notte, girando il foglio gli propongo di
disegnare il paesaggio di giorno.
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Fig. 41 - Dalla notte al giorno
L’albero rimane sulla destra, con il suo tronco imponente, la chioma molto piccola e la tana
dello scoiattolo, il sole piccolo e sorridente splende sempre nell’angolo a sinistra e al posto
del vulcano sono spuntati tre fiorellini, sopra una lieve collinetta di terra e prato.
Un altro elemento da notare e che ricorre spesso nei suoi disegni è lo spazio bianco che
lascia nella parte centrale del foglio (Fig. 41).
Un giorno arrivando M. porta una storia che stava leggendo a casa, quella di Peter Pan e
l’isola che non c’è. Da questa prendo spunto per proporre il tema del disegno, dapprima
facendolo raccontare e chiedendogli informazioni sui personaggi della storia, dato che uno
degli obiettivi che ci eravamo posti con Mattia era quello di arricchire il suo vocabolario e
stimolarlo a raccontare, in quanto il suo lieve ritardo gli causava difficoltà nella
verbalizzazione. M. ha difficoltà a ricordare i nomi dei personaggi e intervalla le poche
parole con lunghe pause riflessive, durante le quali però non si mostra preoccupato o teso
per il fatto di non ricordare, anzi stando ad occhi chiusi per concentrarsi, sorride.
Inizia il disegno dal mare, impegnandosi molto a colorare tutto di celeste e sopra la linea
della terra, che rappresenta l’isola, come dichiara lui. Poi disegna spontaneamente Peter
Pan, il protagonista della storia e del suo disegno. Il resto lo aggiunge quando inizio a
chiedergli se manca qualcosa, così si accorge che Peter Pan non ha i capelli e poi aggiunge
le piume e poi, quando insisto ancora su quello che eventualmente manca esclama: “Ah! Gli
amici!” e ne disegna tre, mettendo molta cura nel colorare gli abiti (Fig. 42). Alla domanda
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che faccio sempre se siamo di giorno o di notte, risponde come in precedenza, di notte.
Osservo che ricorrono spesso i temi della notte e del sonno.
Fig. 42 - Peter Pan e i suoi amici… nell’isola che non c’è
Spesso quando gli faccio una domanda o gli chiedo di fare qualcosa mi risponde che non lo
sa o non lo sa fare, così io ridendo ribatto che non ci credo e anche lui ridendo mi dice che
scherzava e mi dà l’impressione che colga degli elementi rassicuranti nell’interlocutore e
riesca così a lanciarsi nell’impresa, riuscendo a fare ironia sull’incapacità dichiarata un
attimo prima.
Cerco di stimolarlo a dire che cosa porterebbe nell’isola, sempre con l’obiettivo di fargli
focalizzare quali sono le cose a lui care, ma non riesce a rispondere e alla domanda su che
cosa farebbe una volta arrivato lì, risponde testuali parole: “Peter Pan mi ha chiesto e io ho
detto sì”!
Ogni disegno (Fig. 43) M. lo inizia partendo dal sole in alto a sinistra, è molto piccolo ma
sempre sorridente. Questo disegno è spontaneo, gli faccio scegliere il materiale e lui decide
per il foglio A3 e per i colori a cera. M. propende sempre per i colori secchi, ma spazia e
sperimenta, passando dalle matite, ai pennarelli, ai colori a cera. Mi stupisce la cura che
mette nei particolari e nella precisione con cui disegna i piccoli animali, il picchio, la
tartaruga, la lumaca, dimostrando una vera abilità nei disegni minuti.
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Fig. 43 - Disegno libero: il picchio, la tartaruga e la lumaca
Io:” la chioma inizia a primavera e c’è in estate, poi ci sono i fiori che diventano…”
M.: “farfalle!”, poi disegna dei fiori a terra dicendo: “i bruchi diventano farfalle!”.
Prendendo spunto da questo disegno libero fatto da M., introduco il disegno della famiglia
proponendogli un gioco e dicendogli che, avendo a disposizione quel bel prato, potremmo
mandarci una famiglia a fare un pic-nic (Fig. 44 ).
Fig. 44 - La famiglia che fa un pic-nic nel prato
Ho notato che è molto utile trovare diverse varianti per proporre il disegno della famiglia,
affinché la consegna non sia troppo direttiva con il rischio di suscitare resistenze, perché in
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effetti i bambini sembrano percepire abbastanza chiaramente che dietro alla nostra richiesta
c’è un intento investigativo e vogliamo in realtà sapere qualcosa sulla loro famiglia.
La famiglia che disegna M. ha soli tre componenti, a differenza della sua che ne ha cinque,
il babbo, la mamma e il “figliolo” (come lo chiama lui). In compenso c’è un cagnolino, che
invece non fa parte della famiglia, perché non hanno animali domestici (anche se M.
desidererebbe tanto un gatto che alla fine viene preso dai suoi genitori come regalo!). Il
figliolo è separato dai genitori da “un panino”, come dichiara M.
Vedendo che manca il suo fratello gemello e la sorella maggiore, chiedo se la famiglia è al
completo e M. mi risponde che ci sono altri, ma che sono rimasti a casa a dormire.
Infine gli chiedo: ma in tutto questo spazio bianco non c’è niente? M. ci pensa un po’ e
risponde: “no non c’è niente, perché l’albero sta laggiù (e indica un punto indefinito, poi
indica il disegno precedente e dice: “ecco sta qui!”. Mi dimostra così che nella sua mente è
ben presente il collegamento fatto prima tra i due disegni.
Finalmente un giorno avviene la vera esplosione di Mattia! Infatti sceglie per la prima volta
colori liquidi, gli acquerelli e fogli grandi di carta da pacchi e inizia a disegnare con umore
molto allegro e rilassato, canticchiando: Trallallà! Trallallà!
Fig. 45 - La pioggia che nasce i fiori
Per la prima volta il sole e sulla destra e riempie tutto il foglio (Fig. 45). Mattia disegna
spesso le nuvole e io gli chiedo sempre se pioverà, ma lui di solito mi risponde di no.
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Stavolta però, dopo aver risposto di no alla domanda, ci pensa un po’ e mi dice: “anzi
pioverà! Perché deve annaffiare i fiori, ma solo questo (a sinistra) e questo (a destra) – e li
indica- i più bassi (che devono crescere), se no quello al centro diventa alto fino al cielo!”.
Così nasce la sua prima opera ad acquerello: “La pioggia che nasce i fiori”.
In questa occasione do a M. alcuni consigli tecnici e gli mostro come si usa l’acquerello e la
sequenza da compiere per non mescolare tra loro i colori: bagnare il pennello, asciugarlo,
bagnarlo di nuovo un pochino e prendere il colore. Dapprima M. mette troppa acqua e
rimane perplesso vedendo il colore così sbiadito e “sfuggente”, poi gli mostro come
prendere più colore per renderlo più intenso e lui si mostra molto soddisfatto.
Durante questo incontro M. è davvero molto disinvolto e spumeggiante, infatti appena
terminato questo primo disegno subito si precipita a prendere un altro foglio esclamando:
“ora ne faccio un altro!”.
Le abitudini che mantiene costanti sono quelle di andarsi a lavare le mani appena si sporca e
quella di disegnare seduto a tavolino e mai per terra, nonostante di tanto in tanto io glielo
proponga.
Sceglie ancora un foglio grande che riempie tutto di colore, prima il rosso nella parte alta,
poi le onde azzurre e la coda del delfino. Gli chiedo cosa sia il rosso e mi dice che è il prato
dove mangiano i delfini. Il titolo di questa bella opera è: “Oltremare di Riccione” (Fig. 46).
Fig. 46 - Oltremare di Riccione
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Fig - 47 - Oltre il mare
Osservando tutta la produzione grafica di M. si nota moltissimo l’evoluzione che ha avuto,
passando da disegni in fogli piccoli e a matita, fino ad arrivare a fogli di carta da pacchi e
acquerelli. E’ arrivato a riempire tutto lo spazio foglio e in questi ultimi disegni finalmente
il sole non è più sempre e sistematicamente in alto a sinistra. Io lo interpreto come un
segnale di evoluzione in positivo, in quanto quella del sole in alto a sinistra era una forma
profondamente radicata e che ho preso come indicatore di un qualcosa di cristallizzato e
bloccato in lui, oppure al contrario una certezza rassicurante, ma sicuramente qualcosa di
fermo e statico che ora si sta evolvendo.
Anche nell’ultimo incontro M. si
è cimentato in una sperimentazione di un nuovo
materiale, i gessetti. In questo incontro era insieme a Greta e come ho già descritto
precedentemente l’incontro si è svolto in maniera completamente diversa rispetto a quella
che era la consegna. Avevo infatti esordito dicendo che avremmo fatto un gioco, ciascuno di
noi (compresa io) avrebbe fatto un disegno, poi li avremmo ritagliati e appiccicati in un
foglio più grande. Nel frattempo G. ha scoperto i gessetti e l’entusiasmo ha prevalso a tal
punto da far dimenticare la consegna.
Però M. non si è inserito subito nel vortice di G., ed è rimasto in disparte a disegnare con i
pennarelli in un foglio piccolino ed io l’ho lasciato fare. Così è tornato a fare un disegno
piccolissimo in un foglio lasciato perlopiù bianco, come all’inizio, osservando nel frattempo
la produzione entusiastica di G.
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Quando M. dichiara di aver finito il suo disegnetto e dopo essersi chiaramente
tranquillizzato ed incuriosito rispetto all’utilizzo del nuovo materiale, gli chiedo se anche lui
vuole provare con i gessetti. Aver aspettato i suoi tempi ha dato un risultato, infatti tutto
contento risponde di voler provato e così ho potuto assistere ad un’altra esplosione di
entusiasmo: la sperimentazione di M. con i gessetti.
Mattia: La mano e il tatuaggio-ragnetto
Greta: La mano e il tatuaggio-farfalla
I gessetti costituiscono un materiale particolare e il loro utilizzo o al contrario il rifiuto di
utilizzarli ci dà diverse informazioni. Anzitutto sono polverosi ed è praticamente
impossibile non sporcarsi. Anzi l’utilizzo delle mani è quasi indispensabile per ottenere dei
particolari effetti e il contatto con questa polvere può risultare piacevole, come molto
fastidioso. Guardandoli disegnare così presi, riflettevo proprio sul mio rapporto
“conflittuale” con i gessetti, infatti se da un lato mi piacciono tantissimo gli innumerevoli
effetti che si possono fare, dall’altro non riesco proprio a sopportare il contatto della polvere
sulle mani, né tanto meno di graffiarli con le unghie. Questo rapporto di amore-odio mi dà
diversi spunti di riflessione.
M. prende come primo colore il giallo ed inizia a disegnare il suo solito sole, così gli faccio
vedere come usare il gessetto in orizzontale e lui riempie tutto il foglio di giallo, dicendo
che è tutto sole!
A questo punto, vista la sua coazione a ripetere, vorrebbe andarsi a lavare le mani, ma
quando gli propongo di pulirsi con uno straccetto, anziché andare in bagno, accetta.
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Continua a disegnare sullo stesso foglio, mette la mano sopra, ne disegna i contorni e sopra
ci disegna un ragno appeso ad un filo. Il primo titolo che dà è “Non ho paura dei ragni”, ma
poi dice di aver sbagliato e dà come secondo titolo: “La ragnatela di Carlotta”.
Confrontandolo con lo stesso disegno fatto da G., noto che M. ha raffigurato le unghie in
maniera più realistica rispetto a G., nonostante abbia due anni di meno.
Insomma, l’esperimento con i gessetti è stato davvero bello e divertente e ha consentito la
massima espressività da parte di entrambi.
G. è la prima ad andare via, così M. mi chiede qual’era il gioco che dovevamo fare e che
avevo proposto all’inizio. Visto che avevamo ancora del tempo decido di farlo e così
iniziamo entrambi a disegnare. Mentre M. riproduce lo stemma disegnato sulla scatola di
gessetti, io disegno un fiore, corolla e petali. M. mi osserva ed inizia ad imitarmi,
disegnandone uno uguale ma più piccolo. Infine li ritagliamo e li incolliamo su un foglio e a
questo punto chiedo a M. cosa possiamo aggiungere, lui esita e così disegno gli steli che si
uniscono nella stessa pianta, mentre M. guarda soddisfatto. Gli dico: “vedi, ora fanno parte
della stessa pianta!” e credo davvero che non gli si potesse restituire un’immagine più bella
e significativa di questa da portare con sé come ricordo dei nostri laboratori (Fig. 48).
Un’immagine non pensata, non studiata, ma nata lì per caso, come le tante altre magie che
avvengono attraverso l’Arteterapia e grazie ad essa.
Fig. 48 - I fiori si uniscono
Ho avuto diversi ed importanti feedback da parte della mamma, ad esempio alla fine di uno
dei primi incontri quando M. è uscito dalla stanza lei gli ha detto che era proprio un
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chiacchierone e lo sentiva parlare a fiume da lì fuori, così le ho risposto che infatti di solito
parla molto, e lei mi ha detto che non è cosa usuale che faccia così.
Invece, alla fine del nostro ultimo incontro prima della pausa estiva, mentre guardavamo
tutti insieme (Mattia, la mamma, la psicologa ed io) i disegni fatti durante i laboratori la
mamma con un’espressione di evidente stupore ed incredulità ha esclamato: “ma siamo
sicuri che li ha fatti proprio M.?”, aggiungendo che di solito non si esprime così nel disegno
e che è molto svogliato.
Considerazioni conclusive
Con M. ho fatto anche dei giochi creativo-didattici, come ad esempio proporgli delle figure
di giornale ritagliate a cui avevo eliminato una parte che lui doveva completare disegnando,
oppure tracciare un primo segno che lui doveva completare con un disegno. Questo era
stato deciso con la psicologa anche in base agli obiettivi che ci eravamo fissati, collegati al
suo lieve ritardo mentale. Ma credo che il risultato più importante, anche in questo caso, sia
stato il progressivo sblocco di M. in quanto ad espressività, che ha consentito il fluire della
vena creativa. Ho potuto avere conferma di quanto quelle modalità di espressione fossero
inusuali per M. dalle reazioni sia della psicologa, che della mamma. Così un bambino che
aveva bisogno di essere fortemente stimolato anche solo per fare un piccolo disegnetto a due
colori, si è trasformato in un artista immerso in lavori su fogli giganti e che sperimenta
diversi tipi di colori e molteplici effetti grafici. Nel suo caso l’evoluzione che c’è stata
emerge chiaramente dall’esame della sua produzione grafica, esposta in ordine cronologico,
proprio per rendere evidente i vistosi cambiamenti. Un ulteriore importante riscontro l’ho
ricevuto da M. stesso, quando in uno degli ultimi incontri mi ha chiesto di poter vedere tutti
i disegni fatti, che conservavo in una bella cartellina fatta artigianalmente e chiusa da bei
nastrini colorati. Ricorderò sempre l’espressione di stupore di M., misto a soddisfazione nel
vedere le sue opere, quasi incredulo di essere stato proprio lui l’artefice. In seguito mi ha
chiesto altre volte di vedere i suoi disegni e abbiamo ripetuto il rito anche nel nostro ultimo
incontro, alla presenza della mamma e della psicologa. Abbiamo deciso di affidare uno dei
disegni a M. come ricordo dell’esperienza e mi ha fatto un enorme piacere che fosse stato
scelto proprio il fiore-collage fatto insieme. Un saluto davvero significativo, preludio di un
proficuo prosieguo dell’avventura.
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Presentazione del caso: Damiano
Damiano è un bambino di 5 anni che frequenta la scuola materna. I genitori sono originari
della Puglia ed ha un fratello di 4 anni.
Struttura della famiglia-genogramma:
P
M
F1
F2
P = 37 anni, impiegato di banca
M = 35 anni, casalinga
* F1= Damiano, 5 anni
F2 = fratello, 4 anni
Arriva al servizio all’età di 3 anni e sulla base degli accertamenti condotti e della
documentazione sanitaria esibita dai genitori, viene rilevato un problema di salute, nello
specifico di tratta di artrite reumatoide, una forma molto rara di degenerazione del tessuto
osseo.
Si tratta di una malattia invalidante di difficile recupero, cronica, progressiva e
cortisonedipendente.
Il bambino è sottoposto periodicamente a cicli di chemio e a cure di cortisone, con l’effetto
di un blocco nella crescita.
E’ soggetto ad episodi infiammatori recidivanti in varie sedi articolari, che determinano
forte dolore e limitazione del movimento.
Le terapie in atto possono produrre gravi effetti collaterali sia nell’area fisica che psichica, e
perciò debbono essere monitorati.
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Damiano è stato seguito dall’esordio della malattia fino ad un anno fa circa, dal Gaslini di
Genova.
Viene segnalato al servizio a causa di difficoltà nell’autonomia, infatti a seguito delle
valutazioni effettuate si rilevano esclusivamente difficoltà in questa sfera, tali da richiedere
assistenza. Al bambino viene assegnato il sostegno scolastico.
Riporto di seguito l’esatta diagnosi stilata dal Servizio.
Diagnosi: artrite reumatoide, a etiologia autoimmunitaria.
Conseguenze funzionali. Episodi infiammatori recidivanti in varie sedi articolari che
determinano forte dolore e limitazione del movimento; le terapie in atto possono produrre
gravi effetti collaterali nell’area fisica e psichica che debbono essere monitorati.
Previsione dell’evoluzione naturale: andamento cronico.
Descrizione funzionale
Area cognitiva
Livello competenze cognitive: adeguato.
Integrazione competenze: adeguata.
Area affettivo-relazionale
Autostima, area de sé: il bambino generalmente sereno, può presentare periodi di ridotta
disponibilità o franco disagio in relazione alle terapie mediche che in modo periodico deve
affrontare.
Motivazione, resistenza alla frustrazione: alta.
Rapporto con gli altri: il bambino cerca i pari con i quali instaura dei buoni e piacevoli
rapporti di scambio; va monitorato e talora gestito nei rapporti ludici mediati dal corpo, si
debbono evitare, per quanto possibile, scontri fisici che possano danneggiare l’apparato
osteo-articolare particolarmente vulnerabile (fragilità ossea).
Area linguistica
Comprensione: adeguata.
Produzione: adeguata.
Linguaggi alternativi/integrativi: nessuno.
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Area sensoriale
Vista: da monitorare gli effetti collaterali delle terapie sull’apparato visivo.
Udito: ndr
Area motorio-prassica
Motricità globale: adeguata sebbene risenta dell’iposomatismo dei corticosteroidi.
Motricità fine: adeguata.
Neuropsicologia
Memoria: adeguata.
Attenzione: adeguata.
Organizzazione spazio-temporale: non valutabile
Autonomia
Personale: adeguata.
Sociale: nei momenti di benessere va incoraggiato a dei rapporti con i pari armonici, che gli
permettano di sperimentarsi evitando pericoli fisici, per quanto possibile; nei momenti di
malattia l’adulto deve essere più presente nella gestione dell’interazione con i pari.
Il suo stile cognitivo è intuitivo, analitico e visuale (si ricorda di quello che vede e che
sente).
Le capacità cognitive sono al di sopra della norma (QI = 120), durante gli incontri con la
psicologa si stancava facilmente, si sentiva inadeguato, è stato scelto materiale leggero, che
non appesantisse la mano (mina morbida, ecc) e altri accorgimenti per farlo sentire comodo,
come il cuscino sulla sedia.
Quindi la segnalazione al servizio avviene perché c’è necessità di un intervento continuo per
favorire e mantenere l’autonomia del bambino e monitorare la situazione nel tempo, anche
perché la patologia è cronica e progressiva, e potrebbe comportare un peggioramento delle
condizioni fisiche del bambino e della sua condizione di autonomia.
La fragilità ossea provoca grave rischio di fratture.
I risultati dei test (WPPSI) sono stati molto buoni e tutti i punteggi sono maggiori di 10
(fino a 19), tranne la comprensione generale15 che era pari a 2.
15 Definizione di comprensione generale: “il contenuto della prova oltre che a richiedere risposte intellettive, fa ampio
riferimento ai rapporti sociali e alle comuni esperienze di vita. Il test indaga la capacità di acquisire informazioni.
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Mentre nel caso di Greta questo basso punteggio nella comprensione (sociale) era causato
dall’ambiente di vita e dal ruolo della donna in esso, nel caso di Damiano è causato dall’iper
protezione.
Si è deciso quindi con la psicologa di lavorare soprattutto su questo aspetto (scarso livello di
comprensione)
Sono stati individuati come obiettivi: esercitare la coordinazione, favorire l’utilizzo di
strumenti, promuovere attività insieme agli altri, offrire accoglienza in un contesto di
normalità, facilitare l’apertura ad una comunicazione spontanea, offrire l’inserimento in un
contesto sociale, farlo giocare con un altro bambino, in un ambiente calmo e normale.
Gli incontri di Arteterapia con Damiano
L’accoglienza di Damiano al laboratorio espressivo, richiede particolari precauzioni, così
per prima cosa mi accerto che non soffra di particolari intolleranze ai materiali.
Damiano è in cura con cortisone e chemioterapia, inoltre fa un’iniezione ogni sera in quanto
sta facendo una cura sperimentale, infatti il Gaslini di Genova, che lo ha seguito dall’esordio
della malattia, lo tiene in osservazione, trattandosi di un caso molto raro.
La mamma appare e ammette di essere molto in ansia per lui e quindi molto protettiva. Mi
dice che è allergico alla polvere, e perciò dobbiamo fargli trovare un ambiente ben areato,
ma non ai materiali e che se lo vedo in affanno si tratta di problemi al cuore.
Chiedo se è d’accordo che Damiano stia insieme ad un altro bambino (Mattia) quando viene
agli incontri, lei acconsente senza problemi e mi dice che di solito è contento di stare in
compagnia.
Damiano è un bambino graziosissimo, un piccolo folletto con un grandissimo sorriso. Molto
minuto per la sua età, infatti di statura molto più piccola di suo fratello che ha un anno di
pratiche della vita quotidiana e di utilizzarle in modo appropriato, secondo criteri di buon senso. Essenziali a questo
riguardo le capacità di senso pratico e di tenere sotto controllo le proprie reazioni impulsive, di proiettarsi per intero la
gamma di possibilità esistenti e scegliere quelle socialmente appropriate, utilizzando un metro di giudizio morale.
Risposte condizionate dai valori del soggetto e dagli stili di vita dell’ambiente”.
Padovani F. (1993), CFR – Interpretazione psicologica della WISC-R, Marinelli Editrice, Milano, p.123.
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meno. A vederlo nei momenti in cui non sta male sembrerebbe impossibile che soffre di un
malattia tanto terribile e potenzialmente invalidante.
Parla molto e noto subito che articola i discorsi in maniera molto più corretta e
comprensibile di Mattia, che pure ha due anni in più e penso subito che sarebbero una
coppia perfetta. Entrambi dimostrano nel fisico meno della loro età, il più piccolo con
un’intelligenza sopra la media e sofferente di una grave patologia a livello fisico e il più
grande sano nel fisico ma con lieve ritardo mentale. Credo che si compenserebbero alla
perfezione e infatti così è stato.
Al nostro primo incontro non c’è M. e come consegna do subito il disegno della famiglia.
Faccio scegliere D. tra fogli A3 e A4 e tra le matite colorate e i pennarelli. Sceglie un foglio
piccolo e i pennarelli (scelta che ripeterà in seguito, non osando mai scegliere fogli grandi,
se non quando sperimenterà con entusiasmo l’acquerello). Mostra una preferenza per i
colori caldi, in particolare rosso e giallo.
Disegna per primo suo padre, per secondo lui stesso, per terzo suo fratello e per ultima la
mamma. Infine aggiunge un cagnolino (di fantasia) che chiama Safi e dichiara essere di
colore bianco e beige.
Conosce benissimo i colori e le diverse tonalità (beige, lilla, ecc) e mi fa notare che nei
vestiti dei personaggi disegnati ci sono i colori alternati (Fig. 49).
Noto che è molto sicuro nell’esplorazione dello spazio e nella presa di iniziative, ad
esempio terminato il disegno va da solo a prendere un gioco, una tavoletta di legno con le
formine da togliere e rimettere al posto giusto e dice che gli piacciono tantissimo.
Fig. 49 - La famiglia
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Al momento di fare “la firma dell’artista” vedo che è mancino e che scrive molto bene
considerato che è in età prescolare e frequenta ancora l’asilo.
All’incontro successivo c’è anche Mattia, fanno conoscenza e stringono amicizia entrando
subito in sintonia, infatti insieme si precipitano sugli strumenti musicali ed iniziano a
suonare insieme. Nonostante si fosse creato un momento di confusione li lascio stare,
perché mi sembrava importante che ci fosse un’occasione di socializzazione spontanea.
Dopo un po’ sono intervenuta prendendo anche io degli strumenti e tentando di stimolare un
minimo dialogo sonoro.
Una volta riposti gli strumenti, ho preso spunto da questo per dare la consegna: “adesso,
ispirati da questo momento musicale, facciamo un bel disegno!”.
Entrambi si siedono nei tavolini piccoli e scelgono di disegnare con i pennarelli, ma mentre
M. sceglie un foglio A4, D. non si sposta dalla scelta del foglio piccolo. Damiano tutto
contento esclama: “facciamo l’albero musicale!” e disegna un alberello con una chioma
minuscola.
La caratteristica della chioma piccola accomuna entrambi, forse ad indicare una scarsa
fiducia nelle proprie capacità ed una tendenza ad occupare poco il loro ambiente di vita.
Quando hanno terminato il disegno, chiedo loro di inventare un piccolo racconto, che poi
scrivo su un foglietto a parte.
Il disegno di Mattia si intitola: “Il maialino e il gatto e il lupo e l’albero” (Fig. 50).
Racconto: L’albero che canta, il maialino che ascolta, il gatto che beve, e il lupo che ha sete
e aspetta.
Il disegno di Damiano si intitola: “Albero cantava” (Fig. 51).
Racconto: L’albero che suona, il cane che ascolta e poi va a bere.
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Fig. 50- Mattia: L’albero che canta, il maialino che ascolta, il gatto che beve,
e il lupo che ha sete e aspetta…
Fig. 51 - Damiano: L’albero che suona, il cane che ascolta e poi va a bere…
Un giorno al suo arrivo gli faccio trovare esposto tutto il materiale presente nella stanza e mi
rendo conto più tardi che è stata un’idea felice, infatti lui guardandolo meravigliato mi dice
che a Genova (all’ospedale) c’è tutto e che lì ha sei amici (informazione che annoto con
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l’intenzione di indagarla in seguito). Mi sembra positivo il fatto che si sia trovata una
somiglianza con l’ospedale e che abbia dato l’occasione di far emergere il tema, così da
poter capire in che maniera lo vive.
Un altro elemento che osservo è che molto spesso cerca di trovare tra gli oggetti il più
piccolo e il più grande (pennelli, bottiglie tempera, ecc…). Capito questo, mentre
osserviamo le bottiglie di tempera di varie dimensioni, gli dico “vedi quella grande/verde è
il papà, quella media/gialla e la mamma, e quelle piccole/ bianco e nero sono i figlioli” e lui
ride soddisfatto. In quel momento riesco a provare la sensazione di quando ero piccola e
cercavo di ritrovare in tutti gli oggetti che vedevo i componenti della famiglia, e rifletto
ancora una volta sull’importanza del saper cogliere le nostre risonanze emozionali.
D. vive il suo momento di esplosione creativa in un giorno in cui M. non c’è. Gli propongo
diversi materiali, tutti i tipi di colori e fogli bianchi di diverse dimensioni. Come al solito va
per scegliere il foglio più piccolo, così decido di fargli un giochino per tentare di divertirlo
un po’ e magari di stimolarlo ad una scelta diversa. Prendo un foglio piegato di carta da
pacchi e lo ingrandisco gradualmente, prima formando un A4, poi un A3, poi il doppio, poi
ancora il doppio infine tutto aperto! Lui mi guarda molto divertito e alla fine sceglie un A3.
È già un risultato!
Prende poi i colori a tempera e un pennello a goccia medio, uno piatto medio, una spugnetta
tonda e il rullo.
Inizia a dipingere un astratto utilizzando il nero ed il verde chiaro/ brillante. Mentre dipinge
nota che i due colori hanno tempi di asciugatura diversi e il nero si asciuga prima. E’ molto
preciso nell’eseguire i contorni, e si sporca tutte le mani. Mentre dipinge canta e appare
molto rilassato e contento. Il dipinto è molto bello e faccio tra me e me una considerazione e
cioè che se non avessi visto l’autore non avrei detto che si potesse trattare di un bambino
così piccolo. Il titolo dell’opera è: “Con il verde e il nero” (Fig. 52) e mi dice che raffigura
due prati e il cielo d’Egitto (il nero intorno) che ha visto in cartolina.
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Appena concluso si precipita a prendere un secondo foglio ed inizia a dipingere con il
giallo, schiarendolo con un po’ di bianco. Il titolo dell’opera è: “Giallo bianchino” (Fig. 53)
e quando gli chiedo cosa raffigura, mi risponde “il sole”.
Fig. 52 - Con il verde e il nero
Fig. 53 - Giallo bianchino
Vorrebbe fare un terzo disegno e questo mi fa molto piacere, perché si vede chiaramente che
si è sbloccato e che si sta divertendo, però gli faccio vedere l’orologio e concorda con me
che non c’è tempo per un altro, così opta per le perline colorate. Mi dice che anche a
Genova ce le hanno, così gli dico che allora Genova è un posto con tante belle cose!!
Vuole fare una collana e mi chiede di infilargli le perline, io lo incoraggio a farlo da solo, gli
faccio vedere come si fa e lui inizia ad infilare tutto concentrato per più di 5 minuti, poi
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guarda l’orologio per controllare se ha tempo, vede che non è ancora arrivata la farfalla e
riprende…
Considero con piacere che l’orologio di Winny the Pooh funziona con tutti i bambini!
Quando ha preso il barattolo di perline in mano, me lo ha subito passato perché glielo
aprissi, così io gli ho detto di provare lui stesso, che ce l’avrebbe fatta. Gli ho preso la mano
e fatto vedere come fare e quando ci è riuscito ha sorriso felice.
Ho avuto spesso l’impressione che D. si rifiutasse di provare a fare cose nuove e mi è
sembrata
abbastanza
plausibile
l’ipotesi
che
questa
resistenza
fosse
causata
dall’atteggiamento eccessivamente protettivo della mamma.
D. sta male da quando aveva appena tre anni ed ovviamente ha vissuto la sua breve vita al
riparo da tutto, anche dalle esperienze più normali e quotidiane per un bambino della sua
età. Il suo piccolo mondo, che ha potuto scoprire solo in minima parte è interamente
occupato dalla sua mamma, la “mamma tigre” come la definisce la psicologa, che difende il
suo cucciolo da tutto e da tutti e suo malgrado lo chiude in uno spazio ristrettissimo in cui
ogni minima, semplice esperienza diventa una pericolosa minaccia.
In diverse occasioni D. manifesta la sua riluttanza a fare qualcosa che non sia espressamente
autorizzato dalla mamma, anche quando ad esempio gli chiedo se vuole accompagnarmi a
prendere l’acqua per i pennelli e mi risponde di no, con un sorriso. Osservo il suo
atteggiamento insicuro e bloccato anche di fronte a queste piccole iniziative. O quando gli
ho chiesto se voleva provare i gessetti e mi ha risposto che la mamma non vuole perché non
deve sporcarsi le mani (probabilmente per il fatto che è allergico alla polvere).
All’incontro successivo arrivando la mamma mi dice che D. le ha detto che deve finire la
collana iniziata la scorsa volta così la prendo dall’armadio dove l’avevo riposta, per
conservarla con cura. Gli do la collana e il barattolo di perline, chiedendo se lo vuole aprire
lui, come sempre risponde di no così lo incoraggio a provare e ci riesce! Una notevole prova
di forza che lo gratifica!
Come al solito di primo acchito, si sottrae alle cose nuove e ciò conferma la mia ipotesi, che
la madre, iperprotettiva, lo esoneri dai compiti e gli vieti di compiere esperimenti.
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Per quell’incontro, a cui partecipa anche M., ho predisposto il setting in modo che i due non
fossero vicinissimi, perché ho visto che tendono a distrarsi molto, toccandosi e ridendo di
continuo.
Mattia (2)
Damiano
Mattia (1)
All’arrivo di Mattia però, si dispongono al tavolino affiancati e interpretando questo gesto
spontaneo come una loro esigenza, li ho lasciati in quella posizione senza dire niente.
Prima si dilettano un po’ con le perline, dato che D. stava già facendo la sua collana, poi
propongo gli acquerelli e si inizia a dipingere. M. esclama: “io faccio un bel mare!” e D.: “e
io faccio un bel fuoco!”. Entrambi inizino a divertirsi mescolando i colori e provano diverse
combinazioni. Io do loro qualche consiglio tecnico e alcune informazioni sui colori primari
e secondari, che sembrano apprezzare. D. si diverte moltissimo a mescolare i colori e ad
ammirare il risultato, mostrandolo orgoglioso anche a Mattia. Noto che il vecchio timore di
sporcarsi e di eccedere in qualche manifestazione in assenza della sua mamma-tigre, viene
meno.
Entrambi nominano spesso la bacheca e non vedono l’ora di poterci appendere i loro
disegni, per poterli ammirare da un’altra prospettiva e per vederli valorizzati. Capisco che la
bacheca è diventata un elemento importante del setting, che svolge una precisa funzione nel
rituale di chiusura.
D. passa molto tempo nella sperimentazione della mescolanza di colori e dopo aver iniziato
con il rosso fuoco crea un turbine di tinte e infatti il suo bellissimo disegno si intitolerà:
“Arcobaleno” (Fig. 54).
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Fig. 54 - Arcobaleno
Considerazioni conclusive
Il percorso fatto con D. è stato breve, perché i nostri incontri sono iniziati poco prima
dell’estate e anche perché diverse volte non è potuto venire a causa di problemi di salute. In
questo breve periodo ho potuto osservare come anche per lui, analogamente a quanto
avvenuto con gli altri bambini, ci sia stato un progressivo sblocco di creatività. D. veniva
agli incontri molto allegro e sereno e pur non dispiacendosi più di tanto quando capitava di
trovarsi solo, grazie alle maggiori attenzioni che sentiva su di sé, era felice di trovare il suo
amico e di socializzare.
Come pensavo all’inizio, l’incontro tra i due bambini è stato positivo e la differenza di età
non si notava neanche più di tanto. A settembre D. andrà alle elementari e questo sarà pere
lui un passaggio molto importante, perché soprattutto per un bambino che ha passato gran
parte del suo tempo tra ospedali e medici ed ha un vissuto di malattia, ogni passaggio della
vita acquista un importanza cruciale. D. avrà il sostegno scolastico a causa della sua
malattia, ma essendo un bambino così intelligente e maturo, di sicuro se ne avvantaggerà
qualche altro bambino della sua classe meno attrezzato di lui, a livello intellettivo. Di sicuro
D. avrebbe bisogno di ampliare il suo raggio d’azione, il suo mondo fatto di poche,
essenziali esperienze.
La cosa che fa più male pensare è che potrebbero arrivare periodi davvero difficili, perché la
patologia ossea di cui soffre, lo potrebbe condurre a forti limitazioni nei movimenti e ad una
riduzione importante di autonomia.
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Penso che i laboratori espressivi siano una grossa opportunità e ho constatato con piacere
che anche la mamma, inizialmente molto diffidente, è parsa poi soddisfatta dell’esperienza e
mi ha dato diverse conferme di portarlo molto volentieri.
A settembre riprenderemo gli incontri e a seconda di quelle che saranno le sue condizioni di
salute ed autonomia, si valuterà come proseguire il percorso e gli eventuali nuovi obiettivi,
mantenendo però la modalità socializzante di gruppo, che di sicuro è quella più adatta alla
sua condizione e quella più utile ad arricchire la sua vita di nuove esperienze, semplici ma
importanti.
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Conclusioni
Il riscontro più importante di tutta l’esperienza l’ho ricevuto dai bambini stessi. Bambini in
situazione di disagio e disadattamento e che ho visto pieni di gioia, di entusiasmo, di risorse
e di potenzialità. Risorse che tutti vedevano, famiglia, scuola, servizi, ma che non riuscivano
ad emergere sotto il peso delle continue richieste di prestazioni che la società attuale fa a
tutti, anche ai piccoli. Presi da mille impegni, si trovano a condurre una quotidianità che non
è più a ritmo di bambino. Perché essere bambini significa spensieratezza e la nostra società
consente difficilmente questo stato, anche da piccoli.
Bambini che sentono il peso delle aspettative degli adulti, e che si sentono inadeguati e
senza gli strumenti per poter esprimere questo senso di inadeguatezza, tanto da sviluppare
un sintomo per riuscire ad esternare ciò che non riescono a fare altrimenti.
Ho visto bambini venire agli incontri pieni di entusiasmo e io mi sono fatta l’idea che il
fatto di sentirsi accolti e lasciati esprimere senza giudizio (cosa che loro sentono
perfettamente), abbia un effetto benefico in sé.
Il riscontro che ho avuto dai genitori in più di un’occasione, ha in parte rafforzato questa
mia idea, in quanto riferivano di osservare nei loro piccoli segnali di rasserenamento ed
inusuale entusiasmo.
Sono sempre più convinta che questi effetti positivi possano trasmettersi alle altre sfere di
vita (rapporti in famiglia, scuola e gruppo di pari). Per questi motivi riveste un’importanza
fondamentale il feedback ricevuto dalle persone significative e di riferimento, in primis,
genitori ed insegnanti.
Ho cercato di seguire i casi da vicino, sfruttando la preziosa opportunità che mi veniva
offerta dalla psicologa che mi ha ospitato e accolto in modo davvero caloroso e da cui ho
potuto apprendere tanto, nonostante i limiti imposti dagli impegni pressanti.
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Ho avuto la grande opportunità di incontrare i genitori dei bambini che ho seguito,
confrontarmi con loro in più occasioni e in alcuni casi anche le maestre, altre figure
fondamentali e da cui si può ricevere un feedback essenziale.
Ho cercato anche di approfondire alcuni aspetti teorici attinenti ai casi, quali la
classificazione medica dei principali disturbi dell’infanzia, i meccanismi di difesa e il
disagio scolastico, in quanto li ritengo temi di fondamentale importanza per muoversi
nell’ambito del disagio dell’infanzia.
Mi sono chiesta più volte se il fatto di riproporre ai bambini disegni ed attività simili o
uguali a quelle fatte a scuola fosse utile o meno e alla fine ho capito che la risposta è sì,
perché tutto quello che accade durante l’incontro di Arteterapia ha un significato diverso e
unico, in quanto si inserisce in un contesto “terapeutico” e all’interno di una particolare
relazione.
Ho sperimentato l’importanza di contestualizzare il disegno del bambino, di saper ascoltare
ed accogliere la narrazione da lui fatta, di fornirne una alternativa o di fornire gli elementi
per crearsene una nuova e diversa.
Ho infine capito che una delle qualità più importanti che l’Arteterapeuta deve sviluppare
consiste nella pazienza, nella capacità di ascolto silenzioso, nel saper attendere superando il
senso di inutilità che spesso si avverte, avendo fiducia nel fatto che, prima o dopo, la magia
si compirà.
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Costruzione e sperimentazione di un setting di