“ARRIVANO
I NOSTRI ”
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Bollettino periodico dei
giovani da 8 a 98 anni
S . P i o X - Balduina
www.sanpiodecimo.it
Numero 46
FEBBRAIO 2012
Anno VI°
ACCUMULATE TESORI
IN CIELO!
RICCO MA BUONO:
BILL GATES
L’AVIDITÀ DEL
DENARO
IL DENARO
CI MISURA
DONNA DI DENARI
COME FUNZIONANO
LE BANCHE
LE MONETE DI
NONNO ERASMO
LA FOLLIA DEL
DENARO
BENE E DENARO:
GEORG SIMMEL
A proposito
dei soldi...
L’ORO, L’INCENSO
E LA MIRRA
Neve alla Balduina
Le foto !!!
STAZIONE SAN PIETRO
“ALZATI E VA’:
LA TUA FEDE
TI HA SALVATO !”
(Lc 17, 19)
a cura di Sandro Morici
Quest’anno per celebrare la XX
Giornata del Malato è stato scelto
il famoso brano del Vangelo di
Luca che descrive la guarigione
del lebbroso con un’icona tratta
dai meravigliosi mosaici custoditi
nel Duomo di Monreale: è solo
una piccola scena di quell’immenso arazzo di tessere vitree
che rivestono le pareti per oltre
6340 metri quadrati, capolavoro
unico al mondo dell’arte musiva arabo-normanna.
Il Papa nel Messaggio della ricorrenza dell’11 febbraio riprende le
parole di Gesù riferite dall’evangelista Luca, spiegando che esse
“aiutano a prendere coscienza dell’importanza della fede per
coloro che, gravati dalla sofferenza e dalla malattia, si avvicinano
al Signore. Nell’incontro con Lui possono sperimentare realmente
che chi crede non è mai solo! Dio, infatti, nel suo Figlio, non ci
abbandona alle nostre angosce e sofferenze, ma ci è vicino, ci
aiuta a portarle e desidera guarire nel profondo il nostro cuore
(cfr Mc 2 ,1-12)... Chi, nella propria sofferenza e malattia, invoca
il Signore è certo che il Suo amore non lo abbandona mai, e che
anche l’amore della Chiesa, prolungamento nel tempo della sua
opera salvifica, non viene mai meno.
La guarigione fisica, espressione della salvezza più profonda,
rivela così l’importanza che l’uomo, nella sua interezza di anima e
di corpo, riveste per il Signore... Il compito principale della Chiesa
è certamente l’annuncio del Regno di Dio, «ma proprio questo
stesso annuncio deve essere un processo di guarigione:
“... fasciare le piaghe dei cuori spezzati” (Is 61,1)», secondo
l’incarico affidato da Gesù ai suoi discepoli (cfr Lc 9,1-2;
Mt 10,1.5-14; Mc 6,7-13). Il binomio tra salute fisica e rinnovamento dalle lacerazioni dell’anima ci aiuta quindi a comprendere
meglio i «Sacramenti di guarigione».”
Benedetto XVI ricorda a noi tutti che i «Sacramenti di guarigione»
sono il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione e
quello dell’Unzione degli Infermi, che a loro volta hanno il loro
naturale compimento nella Comunione Eucaristica.
Il Messaggio prosegue quindi in una definizione più puntuale del
Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, particolarmente importante dal momento che «tutto il valore della
Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a
lui in intima e grande amicizia» (Catechismo della Chiesa
Cattolica, 1468). Un momento in cui Dio “ci attende per offrire ad
ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e
della gioia”. Il Papa spiega che: “Gesù, nella sua vita, annuncia e
rende presente la misericordia del Padre.
Egli è venuto non per condannare, ma per perdonare e salvare,
per dare speranza anche nel buio più profondo della sofferenza e
del peccato, per donare la vita eterna; così nel Sacramento della
Penitenza, nella «medicina della confessione», l’esperienza del
peccato non degenera in disperazione, ma incontra l’Amore che
perdona e trasforma (cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin.
Reconciliatio et Paenitentia, 31”.
L’altro Sacramento ha un significato diverso e complementare.
Dice il Papa: “Con l’Unzione degli Infermi, accompagnata dalla
preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati
al Signore sofferente e glorificato, perché allevi le loro pene e li
salvi, anzi li esorta a unirsi spiritualmente alla passione e alla
morte di Cristo, per contribuire cosi’ al bene del Popolo di Dio.
Tale Sacramento ci porta a contemplare il duplice mistero
del Monte degli Ulivi, dove Gesù si è trovato drammaticamente
davanti alla via indicatagli dal Padre, quella della Passione, del
supremo atto di amore, e l’ha accolta... Ma «l’Orto degli Ulivi è...
anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo
della Redenzione... Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è
anche sempre “attivo” nell’olio sacramentale della Chiesa... segno
della bontà di Dio che ci tocca»...
Nell’Unzione degli Infermi, la materia sacramentale dell’olio ci
viene offerta, per così dire, «quale medicina di Dio... che ora ci
rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che,
allo stesso tempo, al di là del momento della malattia, rimanda
alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr Gc 5,14)”.
Come sintesi finale il Santo Padre puntualizza che: “A proposito
dei «Sacramenti di guarigione» S. Agostino afferma: «Dio
guarisce tutte le tue infermità. Non temere dunque: tutte le tue
infermità saranno guarite... Tu devi solo permettere che egli ti
curi e non devi respingere le sue mani» (Esposizione sul Salmo
102, 5: PL 36, 1319-1320). Si tratta di mezzi preziosi della Grazia
di Dio, che aiutano il malato a conformarsi sempre più pienamente
al Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo.
Assieme a questi due Sacramenti, vorrei sottolineare anche
l’importanza dell’Eucaristia. Ricevuta nel momento della malattia
contribuisce, in maniera singolare, ad operare tale trasformazione,
associando colui che si nutre del Corpo e del Sangue di Gesù
all’offerta che Egli ha fatto di Se stesso al Padre per la salvezza di
tutti. L’intera comunità ecclesiale, e le comunità parrocchiali in
particolare, prestino attenzione nell’assicurare la possibilità di
accostarsi con frequenza alla Comunione sacramentale a coloro
che, per motivi di salute o di età, non possono recarsi nei luoghi
di culto.
In tal modo, a questi fratelli e sorelle viene offerta la possibilità di
rafforzare il rapporto con Cristo crocifisso e risorto, partecipando,
con la loro vita offerta per amore di Cristo, alla missione stessa
della Chiesa”.
In chiusura il Messaggio è rivolto a chi assiste in modo più o meno
diretto l’ammalato, recitando cosi’: “A quanti operano nel mondo
della salute, come pure alle famiglie che nei propri congiunti
vedono il Volto sofferente del Signore Gesù, rinnovo il ringraziamento mio e della Chiesa, perché, nella competenza professionale e nel silenzio, spesso anche senza nominare il nome di Cristo,
Lo manifestano concretamente”.
E proprio l’omelia del nostro parroco della V Domenica del Tempo
Ordinario si è conclusa così: “Il Signore non ti libera dal dolore,
ma sta con te nel dolore: nel passaggio da quel “dal” a quel “con”
si rinnova tutto il mistero della nostra fede”.
-2-
CEI - Giornata del Malato 2012
Padre, sorgente di ogni dono
a Te affidiamo la nostra vita,
nella certezza del Tuo amore.
Accresci la nostra fede
perchè possiamo riconoscere in Gesù
il nostro unico Salvatore.
La grazie del Tuo Spirito
risani le nostre ferite
e sostenga la nostra speranza.
Maria, Salute degli infermi
veglia sul nostro cammino
e intercedi per noi.
Amen !
ACCUMULATE
TESORI IN CIELO
don Paolo Tammi
Soldi,un’incredibile quantità di soldi ! Mi sta simpatico oltre misura il personaggio di Paperon de
Paperoni, creato da Walt
Disney. Certo, fa più pena e anche simpatia lo
sfigatissimo Paperino, non fosse che per il suo
ruolo di angariato e sottopagato (attualissimo
dunque).
Ma Paperone lo adoro, per la sua perseveranza,
la sua intelligenza lucida, la sua capacità di non
farsi sfuggire un’occasione. Credo tristemente
che la profezia di Gesù in qualche modo – certo
senza elevarlo a modello – si riferisse anche a
lui (“i figli di questo mondo verso i loro pari
sono più scaltri dei figli della luce” Lc 16,8). La
Bibbia è attraversata continuamente dalle citazioni del denaro. L’Antico Testamento raramente
la condanna, piuttosto esalta la generosità del
ricco verso il povero, anche se c’è povero
e povero: “Meglio un povero dalla condotta
integra di uno dalle labbra perverse e che è
stolto” (Prov 19,1).
Lo spregiudicato libro del Qoèlet che, letto d’un
fiato, sembra la negazione di ogni etica basata
sulla ricompensa finale, invece avverte: “Chi
ama il denaro non è mai sazio di denaro e chi
ama la ricchezza non ha mai entrate sufficienti.
Anche questo è vanità” (Qo 5,9). Siamo ben
lontani nel tempo – eppure vicini nello spirito dalla forte sveglia data dall’ebreo Gesù ai suoi
contemporanei: “Nessuno può servire due
padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro...
non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).
E ancora: “O uomo, stanotte stessa ti sarà
chiesto conto della tua anima” (Lc 12,19).
In genere, lo avverte la storia, sono ricordati i
ricchi che si fanno poveri e non i poveri che si
fanno ricchi. Quest’ultima possibilità tuttavia
non manca di esaltazioni onestamente prive di
grande fondamento. Quando morì Steve Jobs,
inventore di Ipod, Iphone e Ipad, lo stesso fu
celebrato come un piccolo fiammiferaio che
aveva – sopportando il peso della giornata, il
freddo e il caldo e per giunta un’emargina-zione
dalla Apple da lui stesso fondata - realizzando
una sorta di laica ma non meno santa resurrezione dai morti. Ci volle l’acuta analisi
di
Gennaro Carotenuto, docente di storia del giornalismo e storia contemporanea, per ricordarci
che la Apple era stata nel mondo una delle
imprese simbolo nel senso più deleterio possibile (basta pensare a orribili condizioni di lavoro
in molti paesi, tipo la Cina, e relativi suicidi). Ma
se parli ai ragazzi di Jobs è, per molti di essi un
mito inarrivabile eppur gradito. Se parli di san
Francesco, che invece poveri e lebbrosi li aiutò
per davvero vendendo le ricche stoffe del padre,
gli stessi lo rispettano ma lo vedono come
un UFO, cioè letteralmente un oggetto non
identificabile.
Gesù, il fondatore del cristianesimo, è stato
povero. Nel suo caso, almeno dal punto di vista
dei credenti, è stata una povertà scelta.
San Paolo dice: “Gesù, da ricco che era, si fece
povero” (II Cor 18,9).
La sua però non è stata una povertà acida, sessantottina. In poche parole Gesù non si metteva
alle manifestazioni i jeans sdruciti alzando il
pugno chiuso e poi tornava a casa facendosi
massaggiare i piedi dalla serva filippina. Ci
risulta dai Vangeli – e questo nemmeno Augias
ha avuto la ventura di negarlo – che andasse a
mangiare spesso dai ricchi. Da Matteo il pubblicano, raro caso di ricco mantenuto dal nemico.
Da Simone il fariseo, altra genìa di ricco ebreo
– stavolta di famiglia – che disprezzava poveri e
prostitute. Dal centurione romano, che povero
non era, Gesù provò ad andare ma in realtà gli
bastò ammirarne la fede, quando lo stesso – un
pagano politeista – gliela mostrò in maniera
ammirevole, dicendogli che gli bastava una
sua parola e il suo servo sarebbe guarito
(cfr. Mt 8,8).
Che la povertà sia una virtù lo afferma senza
remore il Vangelo. Che sia inoltre – quando è
abbracciata come stile e stato di vita – un
“consiglio evangelico”, l’ha sempre affermato la
saggezza della Chiesa. Che per povertà evangelica non considera la miseria ostentata con pari
orgoglio della ricchezza, ma la scelta sostanziale
di dipendere da altri, da una comunità,e non da
se stessi, calcolando dunque il meno possibile i
beni del proprio futuro e sapendo accettare, in
questo senso, la buona e la cattiva sorte.
Quest’ultima modalità – ovvero quella sobrietà
che non calcola o calcola poco ma apre ad una
generoso uso di ciò che è dono di Dio – è per
tutti. Non è solo per chi fa il voto di povertà
(neanche i preti lo fanno ma solo i religiosi),
poiché si tratta della risposta attualmente più
efficace all’impoverimento oggettivo del mondo
intero. Ove per mondo intero non si intendono i
pochi ricchi (sempre più pochi) ma la massa
della gente sempre più obbligata a fare i conti
(non i calcoli, ma i conti).
Possesso e denaro sono due cose diverse. Come
lo sono possesso e ricchezza. La Chiesa, quella
gerarchica, addirittura condannò come eretica
la posizione secondo la quale Gesù non avrebbe
mai posseduto alcunché (avvenne nel 1322
con papa Giovanni XXII che, seguito in ciò
da diversi teologi, argomentò che – se Giuda
teneva la cassa comune degli apostoli – voleva
dire che Gesù qualcosa possedeva). Gesù ha
sicuramente posseduto, se non altro perché si
lasciava assistere da facoltose donne con i loro
beni (cfr Lc 8,1-3) ma non ha bramato. Il confine
può sembrare labile eppure è chiaro. Il distacco
si vede dalla vita che fai, da chi prendi come
modello e da chi assolutamente non prendi
come modello, dall’apertura sincera delle tue
mani agli altri, dalle cause della tua allegria o
della tua tristezza. Cionondimeno i talenti sono
talenti e,anche se nella nota parabola (Mt 25,
14,30) sono sempre considerati come i carismi
che una persona ha ricevuto da Dio, nell’originale metafora di Gesù sono monete sonanti,
cioè soldoni. Per cui, saperli amministrare bene,
se si sono ricevute senza proprio merito,
aumenta i meriti e certo non deflora la virtù.
Siamo partiti da Paperone ma è meglio finire
con il Vangelo: “Accumulate per voi tesori in
cielo, perché dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il
tuo cuore” (Mt 6,19).
ARRIVANO I NOSTRI
Autorizzazione del Tribunale n°89
del 6 marzo 2008
DIRETTORE RESPONSABILE
Giulia Bondolfi
TERZA PAGINA
don Paolo Tammi
DIRETTORE EDITORIALE
Marco Di Tillo
COLLABORATORI:
Lùcia e Miriam Aiello, Bianca
Maria Alfieri, Renato Ammannati,
Alessandra e Marco Angeli,
Paola Baroni, Giancarlo e Fabrizio
Bianconi, Pier Luigi Blasi, Michele
Bovi, Leonardo Cancelli,
Alessandra Chianese, Monica
Chiantore, Cesare Catarinozzi,
Laura, Giuseppe Del Coiro,
Gabriella Ambrosio De Luca,
Giorgio Lattanzio, Massimo Gatti,
Paola Giorgetti, Pietro Gregori,
Giampiero Guadagni, Luigi Guidi,
Lucio, Rosella e Silvia Laurita
Longo, Lydia Longobardi, don
Nico Lugli, don Roberto Maccioni,
Maria Pia Maglia, Luciano e Luigi
Milani, Cristian Molella, Alfonso
Molinaro, Sandro Morici, Agnese
Ortone, Alfredo Palieri, Gregorio
Paparatti, Camilla Paris, Maria
Rossi, Eugenia Rugolo,
Alessandro e Maria Lucia
Saraceni, Elena Scurpa, Antonio
Stamegna, Francesco Tani,
Stefano Valariano, Gabriele,
Roberto e Valerio Vecchione,
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STAMPA TIPOGRAFIA
MEDAGLIE D’ORO
-3-
“AFRICA EXPRESS”
NOTIZIE E CURIOSITÀ
DAL CONTINENTE NERO
a cura di Lucio Laurita Longo
L’AFRICA È...
L’Africa è...
il grembo dell’umanità, la madre della Terra.
L’Africa è un grande spazio, un’immensità quasi senza
confini, un luogo infinito in cui, però, non perdi mai la
strada di casa, perché essa stessa è, sempre ed ovunque, la tua casa.
L’Africa è il luogo dove tutto è più grande, tutto ha più
sapore, tutto è più profumato, tutto ha più passione,
tutto è più calmo. La vita ti viene incontro più direttamente nella sua semplicità, nella sua essenzialità,
nella sua natura, nella sua originalità.
L’Africa è dove ti viene naturale sederti ed ascoltare:
ascoltare il battito della terra e del tamburo, le parole
del sole e del cielo, delle stelle e delle nuvole;
ascoltare il ritmo incessante della natura, la voce
silenziosa dei grandi fiumi e quella potente delle sue
foreste, le tribolazioni dei suoi uomini e la loro testarda
speranza nel nuovo giorno.
L’Africa è quella incredibile terra rossa sulla quale si
muovono milioni di piedi scalzi; sulla quale milioni di
persone nascono, crescono, soffrono tanto e gioiscono
poco, aspettano non si sa bene che, infine dove
muoiono in una perenne corsa per la sopravvivenza;
ma è anche la terra rossa dove vivono gli animali più
belli del mondo.
L’Africa è la terra dove cresce quell’incredibile albero
che è il baobab; suggestivo e misterioso nella sua
solitudine in mezzo alla terra rossa, estende i suoi
possenti rami solo per ombreggiare chi vi si rifugia
sotto: non importa se uomini o animali.
L’Africa è percorrere strade appena disegnate per
arrivare in villaggi di piccole case di fango con cortili
a forma di cerchio dove trovi di tutto: uomini, donne,
bambini, animali, cose, fuochi per cucinare e recipienti
per l’acqua.
L’Africa è la terra delle tante donne: donne bellissime
che in ogni momento appaiono piene di eleganza e
dignità, donne che sono sempre state la ricchezza
segreta e costante dei loro uomini e dei loro figli e
che, nonostante tutto, continuano a creare nuova
vita, a crescerla ed a custodirla in una terra che, in
apparenza, è senza speranza ma che, invece, è essa
stessa la loro speranza.
L’Africa è la terra dei tanti, tantissimi, bambini che
sono dappertutto, in strada, in campagna, nelle foreste e ovunque. Bambini che corrono, che sorridono,
che salutano senza alcun risparmio, che giocano con
un po’ di terra, con un vecchio copertone o con un
bastoncino e che sono felici di farlo. Bambini che sono
felici se li guardi, se li abbracci o li accarezzi e che
vorrebbero non smettessi mai di farlo. Bambini cui
basta il regalo di una caramella per non dimenticarti
più.
L’Africa è anche la terra dove i bambini, che non
hanno mai visto un medico o un ospedale, ancora
muoiono per malattie da noi ormai dimenticate; dove,
mentre i nostri bambini “giocano alla guerra e muoiono
per gioco”, loro “fanno la guerra e muoiono davvero”;
dove vengono venduti, mutilati, seviziati ed uccisi
senza che nessuno se ne accorga e li difenda.
L’Africa è la terra dove l’uomo viene visto per quello
che è, al di la di quello che fa, di quello che ha e del
Dio in cui crede.
L’Africa è la terra dove se vai ad inaugurare una
nuova piccola scuola, incontri maestri, maestre e
colori; bambini, anziani e colori; voci, canti e colori;
cesti di cibi, musica e colori; parole, sorrisi e colori;
gioia, festa e colori e dove, quando te ne vai, lasci il
cuore, tante lacrime e colori; dove i tuoi ricordi, tutti
indelebili, sono solo a colori.
L’Africa è la terra che chiede tempo, calma e pazienza,
soprattutto con se stessi.
Ma l’Africa è anche…
Un continente da saccheggiare da parte delle nuove
superpotenze, Cina in primo luogo.
Teatro di guerre di accaparramento di immense risorse
naturali, tra i quali il petrolio nigeriano e il rame
zambiano.
Popoli e culture millenarie a rischio estinzione.
Distruzione della foresta tropicale più grande del
mondo.
Terra della nuova emergenza ambientale, con i suoi
enormi mutamenti climatici.
Luogo di partenza della tratta di esseri umani: dal
commercio dei bambini al mercato mondiale della
prostituzione.
Traffico di armi, luogo di corruzioni e sanguinose
dittature.
Un continente di oltre 200 milioni di poveri e affamati
costretti ad emigrare nel nord del mondo.
Una piaga infernale: l’Aids, prima causa di morte in
Africa, che ancora uccide milioni di persone.
Terra per i crimini dell’industria farmaceutica mondiale che in questo continente ancora oggi esegue
sperimentazioni su cavie umane pagandole pochi
euro.
Rifugio del nuovo terrorismo internazionale, da
Al Quaeda alla Jihad islamica, pronto a sconvolgere
nuovamente il mondo.
-4-
Dr. Paolo
Gabrieli
Dottore Commercialista
Revisore dei conti
Viale Capitan Casella, 50
Roma
Tel. 06.64671016 - Fax 06. 56309567
e-mail: [email protected]
L’ORO,
L’INCENSO
E LA MIRRA
Giorgio Lattanzio
Sembrava un’Epifania,
come quelle di sempre. La Befana, immagine laica dei Re Magi,
i doni per i più piccoli,
la classica tombolata
in famiglia.
Invece le parole provocatorie del sacerdote all’omelia: “Potrebbe essere la festa degli atei, degli agnostici.”. Poi il tono era risalito a riflessioni più teologiche
sui doni dei Re Magi: l’oro, in riconoscimento della
regalità di Gesù, l‘incenso che si brucia dinanzi alla
Divinità e la mirra come anticipazione delle sofferenze e
della morte del Cristo.
Ma la mia mente era partita. Io mi sentivo come i Re
Magi, simile all’ateo, all’agnostico, continuamente
alla ricerca di una luce, di una guida, di una risposta
sicura. E così per tutta la vita. E poi l’incontro con
Cristo, anche Lui fonte di interrogativi, non soluzione
“magica” ai problemi dell’esistenza, ai dubbi che la
sofferenza pone, soprattutto quando colpisce la propria famiglia, i propri amici, i piccoli, le persone più
indifese. E pensavo alle notti dei terremotati, alle urla
dei sopravvissuti agli tsunami, ai pazienti legati dalla
malattia ai letti degli innumerevoli ospedali.
Cristo non è facile risposta al mistero del male del
mondo, alla cattiveria di cui l’uomo è capace. E penso
non solo alle guerre, vive ed attuali, anche intorno a
noi, al massacro di chi chiede giustizia o democrazia,
alle piccoli e grandi shoah sparse nel mondo.
Allora, per me, Cristo non è una “soluzione” ma una
proposta, un invito ad una scelta.
Ecco perché i Re Magi sono diventati, dopo quell’omelia, il simbolo, il modello della mia vita: come loro,
camminare sempre con l’occhio fisso ad una luce
“lontana” (la stella cometa), che rimanda però alla
speranza di un incontro decisivo. E così per tutta la
vita? Devo essere/sentirmi come un Re Magio, che
muove i suoi passi in terre sempre diverse, che dà le
sue risposte mai uguali. La mia visione del mondo, da
bambino, non era quella dei 18 anni, dei 30, dei 50 o
quella di oggi. Sempre alla ricerca, sempre con
l’occhio fisso non più alla luce di una stella ma ad una
persona che a volte mi consola, a volte diventa essa
stessa fonte di interrogativi: Cristo.
E poi i doni: l’oro, l’incenso, la mirra. Prima lo dicevo
in maniera diversa ma ora alle persone che quotidianamente incontro sul mio cammino e mi fanno entrare
nelle stanze più segrete della loro casa e che in
varie forme sono deluse, hanno perso la fiducia
o,semplicemente, si trascurano, suggerisco di
trattarsi ogni giorno come accoglierebbero un re,
in visita a casa loro. Nella visione della fede non
siamo figli di Dio? E un figlio di Dio non merita tutte
le attenzioni come e meglio di un re? Ecco perché
a Francesco, che mi confidava di lasciarsi un po’
andare il sabato e la domenica, suggerisco: “La barba
fattela anche il fine settimana, anche se non vai al
lavoro. Fallo per te, perché ti riconosci degno del più
grande rispetto.“
E ad Antonietta che da un po’ di tempo trascura la sua
casa e sé stessa, dico: “Anche se fai colazione da
sola, stendi sul tavolo una tovaglietta, prendi la
tazzina bella, siediti e gustati un buon caffè, perché
sei in buona compagnia: il Padre ti guarda.”
Questo esprime il dono dell’oro.
Poi, fin dai primi giorni di vita, ricevuto il battesimo,
non siamo diventati “templi dello Spirito Santo”, casa
di Dio? Allora chi si avvicina deve sentire sempre il
profumo dell’incenso. Il cristiano ha/dovrebbe avere
uno spirito diverso che lo muove.
E di questo tutti se ne dovrebbero accorgere! Ecco il
perché del secondo dono, l’incenso, che dovremmo
sempre tenere sul nostro tavolo. E la mirra? Se nella
vita vale per tutti la legge universale dell’economia
(costo-beneficio), per chi ha incontrato la luce di
Cristo c’è un modello davanti ai suoi occhi.
Chi non sa che ogni conquista (= beneficio) a cui
aspiriamo è sempre accompagnata da sofferenza,
impegni, costo? Chiedilo a qualunque genitore impegnato a tirar su dei figli, a chi cerca un lavoro in tempi
come questi, o si prepara ad una professione: chiedilo a chi è colpito da una brutta malattia! Cos’ha
allora di diverso un cristiano?
Il fatto di non rimanere ipnotizzato dal costo, dalle
difficoltà che ogni traguardo presuppone e che inviterebbero alla fuga. Il cristiano dice: “Guarda come
sono belle, senti come profumano queste rose!” e non
dice: “Accidenti a queste rose! Sono piene di spine!”
Tenere sul proprio tavolo, nella propria “casa”,
dentro si sé, sempre a disposizione l’oro, l’incenso e
la mirra, come i tre Re Magi, non è più solo conseguenza della parola destabilizzante del Sacerdote: è
l’impegno a vivere lo sforzo quotidiano, con il conforto
di una luce, con Cristo come modello, che quotidianamente ci provoca a scegliere, rimanendo sempre
uomini limitati e fragili, e per questo più buoni, più
veri.
-5-
SORRISI
a cura di Gregorio
Paparatti
Un turista entra in un modestissimo alberghetto e chiede una
stanza.
-Devo darle la 111 – dice il portiere, - poiché è l’unica
rimasta: le consiglio però di stare attento perché è
piena di formiche.
La mattina seguente,quando il turista va a pagare, il
portiere gli domanda:
-Come ha passato la notte? Ha avuto qualche problema con le formiche?
-Niente affatto! – esclama il cliente – Ne ho uccisa
una e tutte le altre sono andata al suo funerale.
DONNA DI DENARI
L’AVIDITÀ DI DENARO
Sandro Morici
In un lungo pomeriggio d’inverno chiudo
fortunosamente la mia partita a carte
facendo scopa con la donna di denari e,
con quella carta, vinco. Poi, passando ad
altro, vado a rovistare tra vecchi libri e
mi imbatto in un foglio tratto da un
taccuino di Gabriele D’Annunzio. Mi
metto a leggere: “Ella è bruna, dorata,
aquilina e indolente. Un’essenza voluttuosa, volatile e penetrante emana dal
suo corpo regale. Ella è svogliata e
ardente, con uno sguardo che promette e
delude. Non la volontà ma la natura l’ha
creata dominatrice. Ella ha nelle sue
mani d’oro tutto il bene e tutto il male”.
La pennellata dello scrittore si riferisce
chiaramente al ritratto di una bella donna, ma la mia mente, con
quella carta da gioco ancora negli occhi, è distratta e così, per
associazione di idee, l’immaginazione mi rappresenta un qualcosa che
noi siciliani denominiamo “a munita”, la moneta in senso lato,
anch’essa al femminile. Se poi vogliamo usare il plurale, diciamo
“i picciuli”, un termine al maschile perché deriva dai “piccioli”, monete
coniate nel 1720 da Carlo III d’Asburgo, re di Sicilia.
Nel bel libro “I siciliani” (ed. Laterza) Gaetano Savatteri afferma
che “nell’iconografia classica, le donne sono per i siciliani oggetto di
desiderio spasmodico...” Come il danaro, appunto.
Ma in realtà l’immagine oleografica della femmina siciliana, con
l’emancipazione dei tempi, e’ ormai stata superata, stravolta e seppellita dalla storia, mentre, per il denaro, non credo si possa dire lo
stesso. Anzi, più passa il tempo e più esso è “bello”, più è oggetto di
desiderio senza limiti, più è soggetto di conquista spietata.
Oggigiorno il quotidiano di ricchi e meno ricchi scorre rapido tra
vetrine di lusso, mercati e mercatini e alla fine un po’ tutti siamo
costretti a fare i conti (!) con i soldi.
E così, in sostanza, la storia dei nostri giorni viene fatta dai banchieri,
dai tesorieri, dai finanziatori, con poche (o nulle) regole deontologiche, che conoscono altrettante poche ma essenziali parole, quali
“profitto”, “interesse”, “speculazione”, “corruzione” (che ovviamente
non si pronunzia mai a voce piena). Tutto questo “giro” di soldi si
muove (tra economia reale ed economia virtuale) all’insegna dell’avidità, dell’ambizione, della ricerca del potere e nei campi più disparati
(vedi il calcio professionistico o le elezioni negli U.S.A.).
Credo che non si debba parlare tanto di immoralità quanto di disumanizzazione dell’umanità. Un cancro che dall’occidente si sta trasferendo
verso oriente e da nord verso sud. Un pianeta in frantumi, alla
deriva dell’irresponsabilità diffusa. Lo so, questa è un’analisi amara e
sconfortante, che forse dovrebbe richiedere una sorta di rivoluzione
culturale e spirituale dei popoli, che, partendo da una realistica presa
di coscienza, vada a colpire i cuori dei singoli, oltre che l’intelligenza.
A metà dell’800 ne “Il denaro” Lev Tolstoj affermava: “Il denaro non
rappresenta altro che una nuova forma di schiavitù impersonale, in
luogo dell’antica schiavitù personale”. E oggi, dopo due secoli, non vi
sembra che il processo di schiavizzazione vada avanzando ed estendendosi sempre più? Mi farete notare che i nostri tempi sono tuttavia
intrisi di contrasti paradossali, perché si parla anche di una grande
sete di spiritualità: ma quanto essa è vaga e indefinita?
Restiamo infine noi credenti che non vogliamo considerare irreversibile quel processo perverso: siamo pronti infatti a denunciarlo a voce
alta e, al tempo stesso, nutriamo la speranza e la voglia di una nuova
evangelizzazione. È una sfida difficile, da affrontare con tanto coraggio e tanta vitalità perché è in gioco la conquista di una vera giustizia
nei popoli. Ma noi non siamo soli: dalla nostra parte abbiamo il
Magistero di una Chiesa forte e determinata che ci ispira, ci sorregge,
ci indica “la via, la verità e la vita”.
Ora che ho terminato la mia riflessione, prendo dal cassetto il mazzo
di carte (siciliane) e ripesco la donna di denari: è davvero dipinta con
un viso così infido...
-6-
Leonardo Cancelli
“Quid non mortalia
pectora cogis auri
sacra fames” scriveva Virgilio, il
disincantato ribelle
Vasco Rossi cantava “conta sì il denaro, altro che chiacchiere,
me
ne
accorgo soprattutto quando non ne
ho”. Da sempre il
denaro, veicolo di compravendita è
oggetto dell’ avidità dell’uomo, sia
pure con enfasi diversa secondo le
epoche storiche, dalla rivoluzione
industriale, al materialismo marxiano
con la teoria del plusvalore, dal liberismo del laissez faire, allo statalismo
di keynes, al consumismo occidentale
contestato negli anni 60 e 70 e poi
esaltato negli edonistici e “colorati”
anni ’80, quelli dei “giovani rampanti
intraprendenti… sono yuppies o
yappies per chi mastica l’inglese”
(cantava Luca Barbarossa).
Con il declino dell’etica e l’enfasi del
successo, dell’autoaffermazione e del
consumismo, che si accompagna alla
crescita delle economie dei paesi
asiatici (tanto che dal Vaticano stesso il Santo Padre Benedetto XVI
avrebbe affermato che il consumismo
occidentale sfrenato è forse peggio
del comunismo) sono esplosi, solo
per citare l’Italia, gli scandali finanziari, si pensi al caso Parmalat,
ma perdurano anche fenomeni di
pratiche illecite reiterate quali
l’aggiottaggio, l’insider trading, la
depenalizzazione del falso in bilancio,
le false pensioni di invalidità, nonché
l’esportazione di capitali all’estero
da parte di Vip delle più disparate
estrazioni socio culturali, artisti,
politici, persone di destra e di sinistra, l’evasione fiscale. Tutti questi
fenomeni sono sintomi di una visione
individualista gretta, miope e particola-ristica della vita sociale, dell’esaltazione dell’avidità (wall street…
“greek is good”), veicolata anche dai
mass media, che fa muovere
l’economia e che antepone il privilegio al bene comune (pagare le tasse
per lo stato sociale). Tutto ciò
affonda le radici nel liberalismo
californiano che ispirò Reagan come
nel “familismo amorale” italiano.
La crisi di wall street dell’87 come nel
’29 e la grave recessione che perdura
dal 2008, rappresentano il collasso,
l’implosione di grette logiche liberiste e fanno sperare che la globalizzazione, sia pure con i suoi lati negativi,
incentivi un più etico, razionale,
sobrio e responsabile stile di vita.
IL SICOMORO
DI GIONA
Alfredo Palieri
Bel tipo, Giona.
Simpatico, anche nelle sue
stravaganze.
Recalcitrante agli ordini del
Signore, finisce per tre
giorni nella pancia della
balena. Poi si ravvede e
siccome predica molto
bene riesce a convertire i Niniviti che si ravvedono con penitenze e digiuni. Ma poi chissà cosa gli è frullato nel cervello! “Dio
deve essere Dio solo di Israele. Perché mi ha fatto convertire i
Niniviti?”
È rabbuiato e soffre per il caldo. Ma il Signore premuroso gli fa
crescere vicino un bell’albero di sicomoro alla cui ombra Giona
trova refrigerio. Ma per poco tempo. Un verme morde il sicomoro e lo fa seccare. Giona si arrabbia ma il Signore, ridendo, gli
dice. “Perché ti arrabbi? Il sicomoro è effimero. Oggi c’è ma
domani non c’è più. Invece rallegrati, perché con la tua predicazione hai fatto tornare a me i Niniviti”.
Il denaro è effimero come il sicomoro di Giona e mai questo è
vero come nel nostro mondo, il mondo del consumismo. I mass
media, con la loro propaganda, spingono ad acquistare l’ultimo
modello di televisore, di auto o di cellulare ultra moderno,
mentre invece i modelli che abbiamo in casa vanno ancora
benissimo. Spreco quindi di materiali e di risorse umane che
potrebbero essere utilizzate verso i paesi poveri. Aumento dei
prezzi e allora… inflazione! Nel 1943 un cavolo che prima
costava poche lire balzò nel prezzo a cento lire, tanto che si
disse: “Un cavolo costa cento lire! Il guaio è che cento lire valgono un cavolo!”. Su un piatto della bilancia metto diecimila
euro e sull’altro piatto ci metto un auto nuova. Ma può darsi che
domani, con il rincaro dei prezzi, quei diecimila euro varranno
soltanto un pezzetto di quell’auto. Il denaro è effimero.
Giovanni Reale, ricevendo di recente la laurea “honoris causa”
all’Università di Lublino, in Polonia, ha evidenziato che già
Eraclito, Socrate, Platone, Epicuro e Plotino avevano messo in
guardia dalla caducità del denaro e dei beni materiali e che la
bramosia del possedere rischia di far perdere la vera essenza
dell’anima che è l’unica a dare identità alla persona. Robinson
Crusoè, nell’isola deserta, trova il relitto di una nave piena di
monete d’oro ed esclama: “Biondo denaro, inutile ciarpame!”.
Ma a che gli serviva il denaro in quell’isola deserta? L’Utopia di
Tommaso Moro è invece un’isola dove tutti lavorano nei campi
agricoli oppure a costruire strade e case e hanno tutti diritto ad
andare nei grandi magazzini a prendere gratis cibo, vestiti o ciò
di cui hanno bisogno. La moneta serve solo per gli scambi
commerciali con le altre isole dove vige la mentalità del mondo
usuale. Bello ma, appunto… un’utopia. Ma a sintetizzare molto
bene il tutto ci ha pensato come sempre nostro Signore Gesù il
quale disse: ”Date a Cesare quel che è di Cesare”. Cioè vuol dire
che è saggio l’impiego del denaro. “Ma a Dio quel che è di Dio”.
Stringendo meglio: “Non si può servire a Dio e a Mammona!”. E
mammona, naturalmente, altri non è che il cattivo impiego del
denaro.
A buon intenditor...
well
di Nicoletta Palmieri
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DENARO,
SEDUZIONE DEL MONDO
Luciano Milani
La parola Denaro nasce dalla parola latina
Denarium, moneta d’argento del valore di
10 assi, derivata dall’aggettivo “deni-ae-a”
concordato col sostantivo “numus” e quindi
Moneta a 10 a 10. Nella protostoria, quando tra
gli umani incominciò ad instaurarsi la vera vita
di relazione col cessare del nomadismo, nacque
la necessità di acquisire da parte dei singoli
soggetti, ciascuno le cose di cui aveva bisogno. Tale necessità fu allora
soddisfatta mediante lo scambio di cose contro cose, ma ci si avvide
subito che il metodo non sempre si rivelava idoneo a soddisfare i bisogni
dei permutanti.
Si ricorse allora a qualcosa che fungesse da mezzo di intermediazione negli
scambi, che fu individuato in una cosa che in un’economia primordiale,
basata esclusivamente sulla pastorizia e su una primitiva agricoltura
poteva, risultare, all’epoca, d’interesse universale: il capo di bestiame.
Questo nel latino arcaico veniva indicato con la parola Pecus, donde il
termine Pecunia. Più tardi, nel periodo storico, l’oggetto di intermediazione
fu sostituito dalla moneta metallica coniata esclusivamente dallo Stato,
ormai costituitosi.
E quindi, cambiò anche la terminologia, da Pecunia a Denaro. Quanto sopra
per un breve accenno alla storia del Denaro nella nostra terra.
Ma la storia della monetazione italiana richiederebbe ben altri spazi per
essere narrata, soltanto a partire dal Principato romano, passando attraverso le varie monetazioni degli Stati preunitari fino alla Lira dell’Italia
unificata e quindi alle Amlire del Governo alleato 1943 – 1945 e da ultimo
fino all’Euro, tuttora in età infantile.
Fin dalla sua invenzione, tutti hanno ben compreso la grande importanza
del denaro, ed oggi costituisce ormai l’unico mezzo di intermediazione in
tutta l’attività economica. Per tale carattere universale ed esclusivo, tutto
deve essere valutato col metro del Denaro, perfino il valore della vita e
dell’integrità fisica e morale dell’uomo.
Ma qual è negli stati moderni la fonte primaria, da cui scaturisce il
denaro? È a tutti evidente che tale fonte è il lavoro dell’uomo. Da qui la
necessità che sia riconosciuta al denaro una valenza sociale e politica,
ponendolo al servizio dell’economia generale del Paese e quindi dell’uomo.
Ma la nostra società pare che in questo nostro tempo abbia proprio dimenticato questa sua funzione essenziale.
Pare proprio che al ruolo strumentale del denaro nei confronti dell’economia sia stato sostituito quello della speculazione finanziaria delle Borse
operanti a livello planetario e con la rapidità di movimento che consente i
moderni mezzi di comunicazione, i quali attuano il trasferimento di masse
ingenti di denaro da un capo all’altro del mondo in una manciata di secondi.
Chi non ricorda le gravissime ferite inferte dal fallimento di una grande
banca USA nel non lontano 2008 a tutta l’economia occidentale?
E chi di noi italiani non è seriamente preoccupato dalle turbolente operazioni speculative, che ci vengono raccontate ad ogni telegiornale?
È proprio di questi giorni l’autorevole richiamo del Presidente della CEI
Cardinal Bagnasco, il quale, facendo riferimento alla Caritas in veritate, ha
messo in guardia gli italiani dal pericolo della speculazione ormai immanente all’attività finanziaria anche nel nostro Paese. L’illustre porporato ha
parlato apertamente di una “…tecnocrazia transnazionale anonima che
potrebbe prevalere addirittura sulle forme della democrazia.
C’è una oligarchia operante nel settore finanziario – afferma il Cardinale
che comunica in segreto e impone le proprie scelte speculative fino a
mettere in discussione la stessa democrazia”.
In una parola, il denaro usato per produrre altro denaro soltanto a beneficio di pochi avidi finanzieri senza scrupoli, anziché per porlo al servizio
dell’economia generale, per aumentare posti di lavoro e creare una migliore distribuzione della ricchezza, specialmente in quelle regioni del pianeta
afflitte dalla miseria. Non sarebbe inutile agli attuali governanti fare una
rilettura attenta delle encicliche sociali più recenti, specialmente della
Laborem exercens e della Caritas in verirtate. Tale rilettura li aiuterebbe a
ricollocare il denaro nel posto che la Storia gli assegna, come frutto del
lavoro umano, inteso questo, nel significato cosmico di attività espletata
dalla persona umana. Ai sedotti dal denaro, che cercano di possederne la
massima quantità possibile, come quella promessa nelle scandalose riffe
di stato, vorremmo ricordare la massima del Libro dei proverbi: “Chi ha
fretta di arricchirsi non sarà esente da colpa”. E a coloro che già ne
possiedono enormi quantità vorremmo consigliare di rivolgere la loro
attenzione ai poveri prima che il Signore della storia faccia Egli stesso
giustizia, secondo la promessa del Magnificat: “Esaurientes implevit bonis
et divites dimisit inanes” (Il Signore ha colmato di ricchezza i poveri
togliendola ai ricchi).
-7-
GIUSTI O
SBAGLIATI
Maria Rossi
Devo confessare che il
“tema” proposto non mi
ha troppo entusiasmato.
Non mi interessa parlare di denaro, non mi
piace; ma ho dovuto
come tutti imparare ad
usarlo, a fare i conti con
le sue leggi e a studiare
un po’ di economia e di bilanci, familiari e scolastici.
Sono contenta di avere con il denaro un rapporto
veramente libero e molto distaccato.
Ho cominciato a lavorare e a guadagnare presto, ma
più per il desiderio e la smania di autonomia che la
mia generazione si portava dentro che per necessità
o perché i miei me lo chiedessero. Diventare autonomi
era per noi un punto quasi d’onore, significava diventare “grandi” e poi sposarsi e creare una famiglia.
Sogni e desideri molto normali, direi quasi banali,
quaranta anni fa. Non ho mai speso molto per me, né
per macchine, né per vestiti, né per gioielli.
Mi piace invece, e molto, regalare, aiutare, far sorridere. Penso di essere generosa, ma non è certo
merito mio. Sono nata così e ho avuto buoni esempi
in famiglia. Il denaro, però, è necessario, serve a
vivere serenamente, dà dignità, toglie ansie e timori
per il futuro, non deve però assolutamente diventare
lo scopo di una vita. A che serve averne moltissimo?
A generare tormenti e preoccupazioni.
Pensiamo al giovane ricco che non ha il coraggio di
seguire Gesù perché non vuole abbandonare i suoi
tanti averi (Mt. 19). Oppure allo stolto che ammassa
nei granai e la morte se lo porta via la notte stessa
(Lc. 12). Pensiamo alla vita triste di Eugénie Grandet
di Balzac oppure a Mazzarò o Gesualdo di Verga, che
tutti abbiamo studiato. Il mito della roba, del possedere, dell’accumulare fa loro perdere gli affetti e
l’amore e muoiono soli e abbandonati. È vero!
Anche D’Andrè cantava che “quando si muore, si
muore soli” ma penso che si muoia e si viva ancora
più soli se l’unico verbo coniugato nella vita è stato
il possedere. Preferisco altri due verbi: amare e
donare (beh! anche essere amato non è male!).
“Mamma, tu compri soltanto profumi per te…” era il
verso di una canzone che papà cantava negli anni ’60
facendosi la barba. “Papà, siamo ricchi o poveri?”,
chiedeva una delle mie sorelle da piccola e si rispondeva tutta contenta, quando papà la faceva riflettere
su quante cose avevamo avuto in dono, “noi siamo
giusti”! Questa sua fissazione infantile sul “giusto”
l’aveva portata a battezzare perfino una delle sue
tante bambole “Giustina”, né grande, né piccola. Io
A ROMA LA NEVE
27 ANNI FA
Maria Rossi
Abitavamo, naturalmente, alla Balduina e fu una nevicata straordinaria.
Non ne ricordavamo una simile da
anni. Silenzio, bianco soffice, macchine coperte, alberi piegati e tanti, tanti
pini a terra.
Era la Befana dell’Ottantacinque.
che di bambola ne ho amata una sola, con lunghe
trecce, una bambola che, quando si ruppe, (era di
porcellana!) non volli sostituire – ma in effetti con
tante sorelle più piccole non avevo desiderio di
bambole e bambolotti – pensavo che “giusti” poi non
eravamo. Andavamo in vacanza in campagna in una
bella casa per tre mesi, e poi c’era il mare, avevamo
casa, giocattoli, scuole, vestiti ecc.
Per questo probabilmente non sono mai stata attaccata al denaro, l’ho ritenuto sempre uno strumento
utile per fare qualcosa quando le banconote erano
grandi come lenzuola, con la vecchia lira e poi con
l’euro. Nella mia famiglia nonni e bisnonni appartenevano certamente ad una borghesia più che agiata
di professionisti e proprietari terrieri nell’Italia di
fine Ottocento e dei primi del Novecento, i genitori
sono stati benestanti e colti, noi siamo assolutamente
nella media della società italiana di questi anni.
E i nipoti? I nipoti come buona parte dei giovani
laureati in questi anni, in una realtà ben diversa da
quella dei nonni e trisnonni ingegneri e avvocati,
faticano a trovare lavoro e molto probabilmente sono
destinati ad andare all’estero. La mia famiglia non è
altro che uno spaccato della società italiana con una
middle class che va scomparendo tra ricchi sempre
più ricchi e poveri sempre più poveri.
La nostra generazione sta consumando quello che ha
avuto in eredità e a volte penso che i nostri giovani
continueranno a consumare, fino ad annullare, quanto
gli altri hanno raccolto.
È vero che ci sono poi i nuovi ricchi: speculatori
fortunati, eroi del calcio, del cinema e della televisione
che spesso sperperano in pochi anni quanto hanno
guadagnato.
Si pensi per quante donne e uomini di spettacolo è
stato chiesto il contributo della legge Bacchelli, nata
per un grande scrittore finito sul lastrico e utilizzata
poi per tanti altri artisti.
Penso che il più grande tradimento che possiamo
fare ai ragazzi di oggi è il non consentire loro di
guadagnare quanto è giusto, quanto meritano, quanto
serve per vivere con dignità, crearsi una famiglia e
fare progetti per il futuro, sentendosi autonomi.
Ma se è colpa della nostra generazione non aver
garantito loro tutto questo, penso anche che – spesso - alcuni di loro hanno pretese e aspettative sproporzionate rispetto a quello che solo nel tempo e con
il tempo si può raggiungere.
Ci vogliono pazienza
e costanza, perchè
non si può pensare di
avere tutto subito,
ma anche una grande
speranza e tanto ottimismo
per
poter
costruire qualcosa.
Sì proprio il 6 gennaio.
Una delle mie sorelle finiva il tempo
per partorire e sarebbe nata Giulia,
una bellissima bambina.
In attesa che si liberasse la loro casa,
abitavano a via Taggia e la loro R4
non partiva, sommersa dalla neve.
Ricordo che l’andammo a prendere;
fu una piccola avventura, e la portammo da quest’altra parte della valle in
un paesaggio bianco e stupendo.
Giulia però preferì aspettare al calduccio e nacque… dieci giorni dopo!
-8-
RICCO MA BUONO:
BILL GATES
Marco Di Tillo
Chi non conosce quei
vecchi stortignaccoli ma
meravigliosi biscotti che
si chiamano “brutti ma
buoni”?
Io personalmente li adoro,
soprattutto affogati nel caffèlatte bollente.
Per la persona di cui voglio
parlare oggi direi invece
che la frase giusta da usare
è “ricco ma buono”, poiché l’uomo più ricco del
mondo con un patrimonio stimato intorno ai 56
miliardi di dollari è diventato negli ultimi dodici anni
il più grande benefattore del mondo stesso.
Non è un film di Frank Capra né un romanzo
d’appendice d’altri tempi, ma si tratta semplicemente
di una bella favola moderna, il cui protagonista
si chiama Bill Gates. Si proprio lui, il fondatore
di Microsoft, quello che insieme a Steve Jobs ha
cambiato per sempre le nostre vite, realizzando con
internet ciò che oggi, ai più giovani, sembra normale
ma che per quelli di noi più in là con gli anni, sembra
proprio di vivere in un presente da fantascienza a cui
riusciamo ancora a stento ad abituarci.
Nel 2000 Gates ha fondato insieme a sua moglie la
Bill & Melinda Gates Foundation, organizzazione
umanitaria privata. Dopo qualche anno, il 27 giugno
2008, Gates ha dato ufficialmente le dimissioni da
presidente della Microsoft dopo 33 anni, lasciando il
suo posto a Steve Ballmer. Da allora il creatore di
Windows ha deciso di dedicarsi a tempo pieno alla
sua Fondazione che oggi vanta un patrimonio di
ben 28 miliardi di dollari e che ha come presidente
onorario William H. Gates, papà di Bill.
Nel corso degli anni la Fondazione, che ha sede in un
gigantesco Campus da dodici acri a Seattle, ha variegato la sua azione e oggi è presente in più settori
operativi.
Ha iniziato da principio ad occuparsi principalmente
di combattere molte delle grandi malattie del terzo
mondo, quali l’Aids, la malaria, la poliomelite.
Ma oggi si occupa, tra le tantissime cose, anche di
sviluppo agricolo per i paesi del terzo mondo, di
servizi finanziari per i poveri, di problemi idrici legati
all’acqua infetta che uccide attualmente circa 1,6
milioni di bambini ogni anno. Un progetto costato fin
ora 1,7 miliardi di dollari è quello per combattere la
povertà in Africa. Un progetto a lungo termine partito
ben 5 anni fa e che mira a investimenti in campo
agricolo al fine di migliorare le tecniche e soprattutto
di incrementare la produttività nei paesi sottosviluppati. Secondo i dirigenti dell’organizzazione i margini
di tempo per cui ottenere dei risultati tangibili
potrebbero aggirarsi intorno ai 20 anni.
La fondazione no-profit del fondatore di Microsoft
ritiene di poter contribuire con 150 milioni di dollari
ad aiutare il continente Africano a uscire da condizioni
di povertà estrema entro il 2025. Nella speranza che
questo possa essere un obiettivo concretamente
realizzabile un dato su cui riflettere: più del 70 per
cento dei poveri del mondo dipendono dall’agricoltura
sia per il loro cibo che per il reddito.
Un impegno a breve termine, attraverso cibo o donazioni, non costituisce una soluzione definitiva ai gravi
problemi di queste popolazioni, questo è quanto ritie-
ne Roy Steiner, il vice direttore della fondazione per
lo sviluppo globale di “Gates Foundation”, che ha
dichiarato: “Dare cibo alle persone è certamente
necessario quando c’è una crisi“.
La fondazione Gates ha investito milioni nella ricerca
di semi, nell’acquisto e la distribuzione di fertilizzanti,
migliorando l’educazione degli agricoltori e facendo
pressione morale sui governi per fare in modo che
investano di più nell’agricoltura. Una continua cooperazione con i governi dei paesi coinvolti risulta decisiva perché questi interventi mirati non restino dei
miraggi di sviluppo per realtà del cosiddetto terzo
mondo.
Il 30 gennaio scorso Gates e la sua fondazione erano
presenti in un grande convegno organizzato a Londra
insieme alle 9 più grandi compagnie farmaceutiche e
ai rappresentanti dei maggiori governi del mondo
per combattere insieme le malattie tropicali ancora
presenti nei paesi del terzo mondo.
La Fondazione si occupa principalmente di distribuire
denari ai vari beneficiari e, cosa a mio avviso ancora
più importante, di organizzare al meglio le risorse in
dotazione, con corsi di formazione, aggiornamento
ed organizzazione pratica sul campo.
Così, se sono stati distribuiti ben 5 bilioni di dollari in
beneficienza sia nel 2010 che nel 2009, tra le tante
attività pratiche in via
di realizzazione c’è il
miglioramento della
produttività
del latte nel
Bangladesh,
la microirrigazione dei
campi agricoli in india
e i corsi di
formazione
per i neocoltivatori di
caffè africano.
Con partner pubblici e privati, inoltre, si sta contribuendo ad incrementare la micro finanza e a favorire
conti di risparmio accessibili alle persone povere.
Nel mondo ci sono oggi circa 1 miliardo di persone
che vivono con meno di un dollaro al giorno.
I poverissimi sono diminuiti rispetto a 50 anni fa,
quando ce n’erano il 25% in più.
Ma una persona su sette in tutto il mondo vive ancora oggi sull’orlo della fame. Sono ancora troppi.
Gates è convinto che bisogna fare ancora tanto e
soprattutto negli investimenti innovativi in quei settori di aiuto ai piccoli agricoltori per produrre più
cibo, che è il modo migliore per combattere la fame e
la povertà.
-9-
INCONTRO CON LA
CHIESA ANGLICANA
IL BENE E IL
DENARO
Cesare Catarinozzi
Roberto Vecchione
Seguendo una tradizione ormai
consolidata anche quest’anno,
in occasione della settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani, la Fraternità di S. Antonio in
via Merulana ha promosso un
incontro ecumenico. L’ospite di
turno è stato l’anglicano dr.
Daniele Rizzo, della comunità
anglicana di All Saints in Roma.
-Ciò che pochi sanno- ha esordito il dr. Rizzo- è che la Chiesa
Anglicana ha una lunga tradizione di comunione con la
Chiesa Cattolica. Nel 1500 papa
Gregorio Magno mandò in
Inghilterra S. Agostino di
Canterbury per approfondire
l’evangelizzazione.
Nel 1534 Enrico VIII volle il divorzio da Caterina d’Aragona, con cui
era imparentata, per sposare Anna Bolena.
Il divorzio gli venne ovviamente negato. Allora il re proclamò con un
atto la sua supremazia. Ma per consumare lo scisma da Roma c’erano
altri motivi. L’Inghilterra cominciava ad essere una potenza marittima
e temeva la supremazia della Spagna, con cui voleva allora rimanere
unita; inoltre un terzo dei beni ecclesiastici fino ad allora era andato
alla Chiesa Cattolica e per gli altri due terzi andavano pagate ingenti
tasse al papa. Importante era poi nella Chiesa Anglicana una profonda
esigenza di rinnovamento, esigenza che faceva anche suoi alcuni temi
di S. Francesco (esistono ancor oggi gli anglicani francescani, c’è
anche un nucleo ad Assisi). Ma il vero momento in cui nasce la Chiesa
Anglicana, con una sua autonomia ed una sua libertà, è con la regina
Elisabetta I. La sovrana infatti cercò di conciliare l’anima cattolica con
quella protestante, dopo numerosi bagni di sangue, eliminando tra
l’altro le indulgenze e le superstizioni riguardanti le reliquie.
La sintesi venne realizzata con “Il libro delle preghiere comuni”,
mirabile sintesi di spiritualità protestante e cattolica.
Richard Huker, verso la fine del 1500, scrisse un mirabile trattato sulla
struttura della Chiesa d’Inghilterra; Huker affermò che la differenza
con la Chiesa Cattolica non è tanto dottrinale, quanto appunto nella
struttura: nella Chiesa di Roma al vertice c’è il Papa, nella Chiesa
Anglicana c’è una struttura sinodica, con una camera di vescovi, una
del clero ed una dei laici, sia pure coordinate dall’arcivescovo di
Canterbury. Molti ritengono a torto che il capo della Chiesa Anglicana
sia il sovrano. È presente nella Chiesa Anglicana il culto mariano: alla
Madonna sono dedicate molte chiese e cappelle, così come esiste il
culto dei santi, con cui pregare insieme Dio. Con la colonizzazione
l’Inghilterra ha creato molte Chiese di natura anglicana, tra cui particolarmente importante quella in Nigeria. Da un fatto episodico è nata
negli anni novanta la donna sacerdote, che però non è ben vista da
tutti gli anglicani. I sacerdoti anglicani possono sposarsi. L’incontro si
è concluso con un appello a tutti coloro che credono in Dio, di qualunque religione, a fare fronte comune per difendersi dal laicismo dilagante.
Si è infine pregato insieme ed è stata offerta al dr. Rizzo ed alla sua
comunità, il libro delle Fonti Francescane.
L e N. de
Liguori s.r.l.
A g enzi a Ge ner al e H D I
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00195 Roma- Via Timavo, 3
Tel. 063759141 (r.a.) - Fax 0637517006
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- 10 -
Il denaro apparentemente è quella
cosa che consente
all’uomo di essere
e di sentirsi libero
dalle
necessità
materiali, ma che
in qualche modo
può condizionare il giudizio che le persone possono formulare su chi di denaro ne
possiede tanto. Infatti, chi ne ha molto,
può esercitare più facilmente il potere,
avere successo, aumentare le proprie
possibilità di conquista dell’altro.
Il denaro può dunque contribuire al
raggiungimento di obiettivi ambiziosi e
aumentare il carisma ed il fascino.
Il filosofo tedesco ebreo, convertito al
cristianesimo, Georg Simmel (18581918) (nella foto, ndr.) nella sua opera
”Filosofia del denaro” lo considerava un
simbolo dell’epoca moderna, nella quale i
valori qualitativi vengono sostituiti da
quelli quantitativi e lo spirito oggettivo
domina su quello soggettivo fino a condurre l’uomo all’alienazione.
Secondo Simmel pur di possedere denaro,
l’uomo ormai ha acquisito un atteggiamento pragmatico nell’affrontare qualsiasi situazione e quindi il prossimo ha
senso se è fonte di profitto e la vita delle
persone viene misurata, programmata e
monetizzata. Lo scrittore francese
Charles Peguy (1873-1914) riteneva
allarmante che l’uomo si fosse “fatto Dio”
e non si rendesse conto che Dio ha voluto
l’uomo; nel suo libro “Denaro” mette in
evidenza come la società moderna sia
ormai plasmata e pervasa dal denaro che
ha sostanzialmente modificato il modo
stesso di intendere la vita, per cui il lavoro, la morale ed il rispetto sono condizionati ed assorbiti dal profitto. Una visione
della vita e delle relazioni umane incentrata sul possesso e sul mantenimento
dei beni materiali, può avere effetti devastanti sulla psiche umana; se invece considerassimo il denaro solo un mezzo per
vivere decorosamente e non un idolo da
adorare, a cui chiedere la vita e a cui
sacrificare la vita stessa, riusciremmo a
vivere cristianamente, a non violare il
comandamento NON RUBARE e a considerare il denaro come una manifestazione
Provvidenziale grazie alla quale poter
aiutare concretamente il nostro prossimo
più bisognoso.
IL DENARO
CI MISURA
Francesco Tani
Il denaro è un mezzo di
cui ci serviamo per scambiare beni, anche se talvolta vi sono situazioni
patologiche in cui il
mezzo diventa il fine,
come avviene per l’avaro
o anche per lo scialacquatore. Tra le tante considerazioni che la parola denaro mi fa venire in
mente ne scelgo una: il denaro può essere visto
anche come uno strumento di misura dei valori.
Non, però, del valore oggettivo del bene che si
acquisisce o che si cede in cambio del denaro:
rispetto al denaro non ritengo che esista una
oggettività del valore del bene. Che è, infatti,
variabile, dipende dalle leggi di mercato, dalle condizioni socioeconomiche, dai rapporti di forza, per
cui uno stesso bene oggi ed in un luogo viene
scambiato con una quantità di denaro diversa da
quella con cui è stato o sarà scambiato in un altro
tempo o in un altro luogo. Penso invece al fatto che
il denaro o, meglio, il modo in cui usiamo il denaro,
sia una misura dei valori che ciascuno dà alle cose,
un indicatore della scala di valori che ogni persona
porta in sé come risultato della sua formazione,
delle sue esperienze, delle sue condizione e dei
suoi desideri. Un esempio evidente di questo è il
collezionista di francobolli: è disposto a spendere
molto denaro per un francobollo raro senza alcun
riferimento al valore intrinseco dell’oggetto (un
pezzetto di carta colorata ha un valore di produzione assai basso), mentre altri non prendono neppure in considerazione un acquisto del genere.
Osserviamo allora come alcuni impiegano consistenti somme di denaro, talvolta a costo di rinunce, per acquistare capi di abbigliamento griffato od
un orologio particolare, mentre altri sono soddisfatti, spendendo assai meno, di abiti normali e di
un orologio che sia semplicemente adatto a farci
conoscere l’ora. Alcuni impiegano il denaro per
divertimenti vuoti di contenuto ed altri per un
libro, per ascoltare musica o per andare a teatro. Vi
è chi pensa al denaro come una forma di sicurezza
e lo impiega per beni durevoli e lo risparmia, e chi
invece lo spende per banalità. Interessante è
anche l’uso del denaro per l’acquisto del cibo:
compro ciò che mi è necessario o mi faccio invogliare da tante cose o da quantità non necessarie
con il rischio poi di buttare via ciò che non consumo. Ed ancora il denaro può essere impiegato
per aiutare e sostenere chi ha bisogno (ad es. le
adozioni a distanza) oppure per soddisfare il desiderio del superfluo. Questa incompleta e stringata
carrellata di esempi rivela come, osservando il
modo in cui una persona utilizza il denaro, si possa
capire, si possa misurare, la scala di valori che la
stessa dà alle cose.
Questa scala di valori viene trasmessa a chi ci è
vicino, a chi ci osserva, a chi ci prende a modello e
ad esempio, con una forza persuasiva molto maggiore delle parole con le quali, talvolta in contraddizione con i comportamenti, cerchiamo di comunicare modelli teorici di riferimento. È quindi importante fermarci ogni tanto a fare un esame di
coscienza su come usiamo il denaro e, se necessario, modificare i nostri comportamenti, convertirci
ad un uso dello stesso che sia più sobrio, più aderente a quanto ci chiede la Parola, magari meditando sull’incontro di Gesù con il giovane ricco.
MA COME FUNZIONANO
LE BANCHE?
Gregorio Paparatti
Le banche moderne sono il risultato del
processo evolutivo che si è sviluppato nei
secoli. La testimonianza sull’esistenza di
istituzioni bancarie, la troviamo nel
Vangelo (Matteo XXV 14.30), nella parabola dei “talenti”, dove il padrone che ritorna
da un lungo viaggio loda i servi che hanno
messo a frutto le somme loro affidate, e
castiga il servo che le aveva tenute nascoste dicendogli:” dovevi dare il mio denaro
ai banchieri, che ti avrebbero dato gli interessi.” La vera attività bancaria
trova le sue origini presso quei popoli che, dediti al commercio, regolavano
i loro affari attraverso lo scambio dei prodotti. Gli inizi di una vera e propria
attività di intermediazione si possono datare all’epoca del Rinascimento;
dove i grandi mercanti, avendo rapporti di affari in tutto il mondo allora
conosciuto, costituirono una rete di corrispondenti con i quali operavano a
mezzo di “lettere di cambio”. I biglietti banca fecero la loro prima comparsa
in Svezia nel 1661, per iniziativa della Banca di Stoccolma; il sistema poi si
diffuse definitivamente nel 1694 quando venne fondata la Banca
d’Inghilterra. Successivamente, viene sviluppandosi un processo evolutivo
volto ad una sempre più specializzazione delle banche nelle diverse attività
collaterali, rimanendo ferme quelle istituzionali di: raccolta del risparmio e
concessione di prestiti. La banca esplica le sue funzioni attraverso una continua opera di raccolta e di impiego del risparmio, nel rispetto delle disposizioni previste dall’Organo di Vigilanza (Banca d’Italia), per la tutela
dei depositi e l’esercizio del credito. Tutte queste operazioni formano dei
gruppi con caratteristiche omogenee, che possiamo così suddividere: Le
Operazioni Principali attraverso le quali la banca svolge la classica funzione
di intermediazione del credito si dividono in:
1) Operazioni di raccolta: primaria (con la clientela), derivata (con altre
banche), indiretta (custodia titoli).
2) Operazioni di impiego: per cassa (mutui, scoperto c/c, anticipazioni su
titoli, sconto effetti, etc), di firma (fidejussioni, aperture di credito documentario, accettazioni bancarie).
3) Operazioni di investimento (acquisizione di valori mobiliari ed immobiliari).
Ci sono poi :
4) Operazioni Complementari chiamate anche servizi che la banca, attraverso la
sua organizzazione, mette a disposizione dei clienti: cassa continua, cassette
di sicurezza, emizzione di assegni circolari, carte di credito, bancomat, pagamento utenze, travellers cheques, servizio incasso effetti.
5) Operazioni Collaterali dette parabancario, con le quali la banca soddisfa le
esigenze della propria clientela, servendosi di società esterne specializzate nei
settori di intervento: leasing, factoring, fondi comuni di investimento, consulenze, gestione fiduciaria di patrimoni, studi economici.
- 11 -
COME IL DENARO E LA
POLITICA STANNO
CAMBIANDO IL MONDO
Renaro Ammannati
Toni Negri e Michael Hardt pubblicarono
nel 2000 un saggio che fece molto scalpore sia in Italia sia all’estero, dal titolo
Impero. Il mondo aveva appena varcato
la soglia del primo decennio dalla caduta del muro di Berlino e si apprestava a
vivere una nuova epoca, quella della
globalizzazione. Gli Stati Uniti parevano
essere diventati i padroni del mondo e
questo ruolo, pianificato o assunto per
forza di cose, sembrava ridisegnare
irreversibilmente i rapporti politici ed
economici fra nazioni e continenti.
Le pagine di Impero sono caratterizzate
da una densa e complessa filosofia, talvolta di difficile comprensione a causa
del registro linguistico adottato (Negri,
infatti, appartiene a quella sinistra radical-chic che fa del marxismo una religione esoterica, per pochi, obbligata a
dialogare con le masse solo perché strumento per le loro rivoluzioni personali –
un po’ quello che Orwell racconta ne La
fattoria degli animali).
Al di là di questa critica, non può essere
nascosto il valore profetico di certe
pagine del saggio. Per profetico intendiamo qui la capacità di Negri e Hardt
nell’individuare le tendenze del mondo
avvenire.
La globalizzazione ha determinato
l’espansione planetaria della logica del
libero mercato, ossia la mondializzazione della produzione e degli scambi economici. Uno degli effetti più dirompenti
è stato ad esempio la rilocalizzazione
delle attività industriali e produttive nei
paesi più poveri, dove la manodopera è
sottopagata e sottoposta a massacranti
turni di lavoro. Ciò ha comportato una
diminuzione sensibile della produzione
industriale nei paesi occidentali, con
immancabili ricadute sui tassi di disoccupazione. La globalizzazione ha offerto
poi ai mercati finanziari la possibilità di
operazioni prive di verifiche e limiti,
sottraendoli, di fatto, al controllo politico. Questo è il segnale che la sovranità
politica degli Stati-nazione è entrata
ineluttabilmente in declino: le decisioni
politiche vengono ora prese altrove,
mettendo in discussione le basi democratiche della vita politica. Il cittadino
diventa un mero strumento e non un
attore della politica e dell’economia.
La sovranità popolare è oramai ricordo
del passato, sostituita ora da una nuova
entità, che Negri chiama Impero. Il termine potrebbe tuttavia risultare fuorviante, inducendo a credere di essere
alle soglie di una riedizione degli imperi
ottocenteschi. Per Negri siamo invece di
fronte a una forma per certi aspetti inedita di impero, poiché esso non è confinato dentro spazi geografici: esso appare
essere senza centro né periferie:
“Impero” è ovunque, potremmo sintetizzare. Nella sua costituzione, questo
mostro che emerge dagli abissi della
storia umana polarizza le tre diverse
forme del potere attorno a soggetti ben
identificati: la forza militare, che si
manifesta attraverso gli Stati Uniti e
altre organizzazioni militari ad essi collegate come la Nato.
Il potere politico, incarnato dagli organismi di controllo dei flussi finanziari
come la Banca mondiale o il Fondo
monetario. L’aristocrazia, infine, identificata nelle grandi multinazionali (che
organizzano la produzione e la distribuzione dei beni), nelle potenti società
finanziarie (che amministrano enormi
fondi) e, più in generale, in tutte quelle
compagnie e società che hanno accesso
al capitale. Gli sviluppi di questo nuovo
e inquietante rapporto fra mondo della
finanza e dell’economia da un lato e
della politica dall’altro (dagli esiti finali
al momento imprevedibili) sono evidenti dentro i confini dell’Unione Europea,
in Grecia e Italia. In particolare, in
Italia, la grave crisi economica ha
sospeso la democrazia. Il governo dello
Stato è stato sottratto ad una maggioranza eletta dal popolo sovrano e consegnato ad una personalità, la quale,
benché autorevole, era completamente
estranea alla vita politica del paese
(Monti ha avuto accesso alle Camere
parlamentari grazie ad una nomina a
senatore a vita prima di assumere la
Presidenza del Consiglio). Si obietterà
forse che questa prassi è vecchia quanto il mondo. Anche anticamente si
sospendevano certe libertà nei momenti di pericolo e si ripristinavano una
volta superati. In questi casi a Roma si
eleggeva un dittatore: molti ricorderanno certamente Lucio Quinzio Cincinnato,
cui il Senato romano diede pieni poteri
nel 458 A. C.. Scrive Tito Livio a proposito di quell’avvenimento: “Accorse in
massa anche la plebe, la quale però
non era altrettanto lieta di vedere
Cincinnato,
sia
perché
giudicava
eccessiva l’autorità connessa alla dittatura sia perché, grazie a tale autorità,
quell’uomo rappresentava per loro
un’accresciuta minaccia: fu per tale
ragione che quella notte, a Roma, tutti
vegliarono”. Certo, Cincinnato non
approfittò della sua posizione. Una volta
compiuta la missione, riconsegnò il
potere e l’autorità al Senato. Ma quella
era, forse, una situazione differente
dalla nostra presente. La repubblica era
stata proclamata a Roma pochi decenni
prima. Il ricordo doloroso della monarchia era ancora fresco. Oggi il mondo e
l’Europa stanno al contrario facendo
ingresso in una nuova età imperiale,
come suggerisce Negri. Dunque è più
probabile che, piuttosto che all’epoca di
Cincinnato, il momento attuale sia
comparabile all’epoca di Ottaviano
(Augusto), qualche secolo più tardi.
- 12 -
I PIU’ RICCHI DI
TUTTI I TEMPI
Paperon de’ Paperoni
Aristotele Onassis
John Rockefeller
Re Mida
Andrew Carnegie
Cornelius Vanderbilt
Bill Gates
Carlos Slim Helu
LA RUBRICA
DELLA VITA
GUARDANDO
LA NEVE
Luigi Guidi
DENARO PUBBLICO CONTRO LA VITA
Giuseppe del Coiro
Da qualche tempo il Ministero dell’Economia e l’Agenzia
delle Entrate hanno promosso una campagna radio-televisiva contro l’evasione fiscale.
I messaggi vogliono comunicare che senza entrate non è
possibile fornire servizi pubblici: «Se tutti pagano le tasse,
le tasse ripagano tutti», inoltre mettono in giusta luce
l’evasore fiscale definendolo parassita della società.
Tale campagna pubblicitaria, che ha come obiettivo di
ridurre il fenomeno dell’evasione anche grazie ai comportamenti attivi dei cittadini e di renderli consapevoli che
senza entrate, non è possibile fornire servizi pubblici, mi
sembra che offra il fianco ad alcune precisazioni.
Innanzitutto, ci sarebbe da rivedere la pressione fiscale
che nel nostro Paese ha raggiunto percentuali eccessivamente elevate. In secondo luogo, sarebbe opportuno
analizzare meglio e più in profondità il motivo per cui lo
Stato richiede al contribuente entrate sempre più alte e le
modalità dell’amministrazione dei soldi pubblici: quali
servizi rende ai cittadini.
Si potrebbero elencare la carenza e la precarietà di molti
servizi di pubblica utilità come i trasporti, l’assistenza
sanitaria, l’istruzione e via dicendo, oltre allo sperpero di
denaro utilizzato per erogare servizi non solamente inutili
e costosi ma soprattutto dannosi e immorali come, ad
esempio, la pratica dell’aborto legalizzato. In sostanza: è
giusto pagare le tasse ed ottenere i servizi pubblici, ma
come esprimere il mio disappunto e la mia frustrazione
quando mi rendo conto che i miei contributi finanziano
anche attività che non condivido come l’aborto, sia pure da
tempo legalizzato?
Dall’entrata in vigore (1978) della legge 194 i cittadini
italiani pagano di tasca loro l’uccisione dei bambini nel
grembo materno e mai nessun governo fino a ora ha osato
mettere in agenda quantomeno l’eventuale taglio della
spesa pubblica con la quale si finanzia il genocidio dei non
nati. Si richiedono sforzi economici da parte di tutti per
affrontare il difficile momento di crisi attraverso contributi
di solidarietà, prelievi straordinari e balzelli di ogni tipo,
eppure il presunto diritto di uccidere l’innocente a spese
della collettività non può venire meno, nemmeno in parte.
Proviamo a fare qualche calcolo: ogni aborto costa in media
1.300 euro e grazie alla legge 194 ogni giorno, solo in
Italia, si fanno circa 315 interruzioni di gravidanza con un
costo giornaliero di circa 410.000 euro e annuo di circa
149.650.000 euro. Se prendiamo in considerazione il
trentennio di applicazione della norma con i suoi 5 milioni
di aborti arriviamo alla cifra astronomica di 6.500.000.000;
tutti soldi dei contribuenti utilizzati dallo Stato che, con
leggi inique e contrarie alla legge naturale, perde la sua
autorità e legittimità morale.
Oltre ai soldi spesi per impedire la nascita di nuove vite, si
devono aggiungere quelli dovuti per far fronte ai danni
causati a quelle madri che hanno abortito.
Infatti, come è ampiamente documentato, la cosiddetta
“sindrome post aborto” è molto diffusa tra le donne che
hanno fatto ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza e si manifesta con sintomi psichiatrici molto rilevanti
e duraturi: ansia cronica, forti stati depressivi, tendenze
suicide, propensione all’alcolismo e alla tossicodipendenza.
Tutto ciò si ripercuote sulle casse dello Stato togliendo
risorse altrimenti impiegabili.
A questo punto c’è da chiedersi chi è il vero parassita che
impedisce alla società di crescere e svilupparsi?
Le recenti nevicate su
Roma hanno avuto,
come si sa, effetti disastrosi da ogni punto di
vista. Questa è una città dove il traffico si blocca e diventa
di una lentezza esasperante in tempi normali: figuriamoci
quando vengono giù trenta centimetri di neve.
Molta gente è stata costretta a sopravvivere due o tre
giorni con una minestrina e un tozzo di pane raffermo.
Avevano creduto che si sarebbe trattato di una nevicatina da
quattro soldi, come sempre nel recente passato, e non si
sono preoccupati di fare qualche provvista.
Il Pronto Soccorso degli ospedali si è affollato a causa delle
fratture provocate dalle cadute di anziani, adulti e anche
bambini che giocavano a palle di neve. Sono a conoscenza di
dializzati che sono rimasti bloccati dentro casa e hanno
rischiato di morire; e può anche darsi che qualche dializzato
sia morto davvero.
E via discorrendo, disagi a non finire.
Tutto ciò mi ha dato modo di riflettere, con il naso schiacciato
sul vetro gelido della finestra mentre guardavo i fiocchi
scendere incessantemente, sulla precarietà della nostra
condizione su questa terra, visto che basta un niente per
ridurci all’impotenza o per alterare il normale corso della
nostra vita.
Questa precarietà è un fatto oggettivo. Non ci mettiamo al
mondo da soli e il mondo in cui siamo messi non l’abbiamo
fatto noi, stentiamo a comprenderne le leggi che lo regolano, e siamo continuamente spiazzati dalla sua imprevedibilità. Di fronte a tanto, che cosa fare? Sono convinto che
risolvere questo problema in maniera sbagliata può portare
alla rovina, ed alla rovina eterna.
Dovremmo forse abbandonarci al pessimismo? O cercare
magari di accumulare beni, ricchezze, denaro e tesori per
ogni evenienza? Certo, la tentazione di pensare di poter
risolvere tutti i problemi con le ricchezze di questo mondo,
compreso il denaro, è forte e terribilmente fuorviante. Chi vi
cade si allontana in maniera davvero critica dalla verità.
Passare la vita ad accumulare ricchezze – di qualunque ricchezza si tratti – distoglie l’anima dalla fede in Dio e nella
Sua provvidenza e rende insensibili alle necessità del prossimo, facendoci chiudere in noi stessi e nel nostro egoismo,
cosa quest’ultima che è l’esatto contrario di ciò che Dio è:
carità, dono di Sé.
Il ricco epulone, che banchettava ogni giorno e a cui non
mancava proprio nulla, fu condannato all’inferno proprio
per aver sempre ignorato le necessità del povero Lazzaro
(Lc. 16, 20-31).
La soluzione al problema è semplice, ma richiede più la comprensione del cuore e l’intuizione che l’intelligenza, trattandosi di materia di fede. “In principio era il Verbo, e il Verbo
era presso Dio, e il Verbo era Dio... tutto è stato fatto per
mezzo di lui... e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in
mezzo a noi” (Gv. 1, 1-14). Significa in sintesi che l’unica
realtà necessaria è Dio, poiché Egli non ha mai avuto inizio
e non avrà mai fine, e che quindi tutto il resto, noi compresi, è opera di Dio ed è nelle sue mani. Per questo la Bibbia
afferma che il giusto vive di fede (Abacuc 2,4), che è maledetto chi confida in un altro uomo e pone nella carne il suo
sostegno (Geremia 17, 5), mentre è benedetto chi confida
nel Signore (Geremia, 17, 7). La nostra roccia è Dio (2 Sam
22,2).
Se poi vogliamo avere un’idea precisa su chi è Dio, chi è
Colui nelle cui mani siamo, basta che diamo uno sguardo a
Gesù crocifisso, crocifisso per i nostri peccati, per ottenerci
il perdono e darci la vita eterna. Egli stesso, tra le altre cose,
ci ha insegnato a chiamare Dio con il nome di Padre.
Poniamoci di fronte a Lui con lo spirito dei veri figli, ed
avremo da Lui tutto ciò che ci è necessario.
- 13 -
LE MONETE DI
NONNO ERASMO
Antonio Stamegna
Quando ero ragazzino e
vivevo a Gaeta, la domenica, prima di andare a
messa, io e i miei due fratelli più piccoli passavamo da casa dei nonni materni che
abitavano sulla strada per la chiesa dei SS. Cosma e
Damiano. Andavamo da soli, sembra incredibile a pensarlo
oggi che facciamo fatica a concedere a figli già più grandi
di quanto non lo fossimo noi di tornare da soli da scuola.
Salivamo al primo piano della casa che, come la maggior
parte delle abitazioni dell’antica via Indipendenza, si
sviluppava su due piani, con due stanze e il bagno al piano
superiore e la cucina, la sala da pranzo e il bagnetto al
piano terra.
Al primo piano, nella piccola cameretta con il minuscolo
balcone pieno di gerani, ci attendeva nostro nonno Erasmo,
già vestito da elegante contadino alla domenica, con la
camicia rigorosamente bianca e allacciata in gola senza
cravatta e la giacca grigia, seduto pesantemente su una
sedia antica con i braccioli che lo aiutavano ad alzarsi, la
barba già fatta dalla nonna, che lo accudiva dopo l’ultimo
attacco di gotta, e con addosso l’odore del dopobarba.
Aveva superato gli ottant’anni, era sofferente ma non
aveva mai perso la sua aria elegante di gentiluomo di
campagna e, quando si metteva in piedi, era ancora imponente. Entravamo nella stanza in ordine di grandezza e,
così, a turno, andavamo ad abbracciarlo ed era allora che
l’odore di dopobarba si faceva più intenso e mi accorgevo,
dalla pelle liscia del suo volto, che la mano di nonna Maria
era ancora fermissima, quando lo radeva.
A volte mi sembrava che i suoi occhi fossero lucidi, mi
sembrava felice ed avevo la sensazione che quel momento
rappresentava qualcosa di importante anche per lui. Forse
soprattutto per lui. Come ho capito poi negli anni, certamente era molto più importante per lui che per noi tre.
Eppure noi avevamo il nostro interesse: nonno Erasmo, in
rigoroso ordine crescente ci richiamava a lui e ci depositava nella mano rispettivamente 100, 200 e 300 lire già predisposte sul comodino. Trecento lire! Mi sembravano una
cifra enorme, ci vivevo di rendita per tutta la settimana tra
caramelline del tipo dieci lire dieci caramelle, bustine di
figurine, gomme da masticare che se eri fortunato ne
vincevi altre, ghiaccioli al limone e, quando c’era la giostra,
qualche giro sull’autoscontro.
Sentirmi quelle tre monete in tasca mi faceva sentire ricco
e soprattutto non dovevo darne conto a mia madre come
invece avveniva per i soldi delle strenne, banconote da
cinquantamila lire che vedevo solo passare dalla mano
dell’altra nonna Maria, la nonna paterna proprietaria di una
bottega di alimentari a quelle di mia madre, a Natale.
La sensazione che mi dava il possesso di quelle tre monete
non me la dava la vista di una banconota che ne valeva
oltre centocinquanta volte di più ma che andava a depositarsi in un anonimo libretto di deposito. Anche di questo
avrei avuto modo negli anni di apprezzarne i vantaggi.
Racconto questo episodio con la voglia di ricordarlo a me
stesso e ai miei figli, nella speranza di poter tramandare
loro la capacità di sentirsi felici anche con poco. Ma,
nell’epoca del consumismo e dei danni del suo eccesso, di
telefonini a dieci anni e di paghette consumate in favore di
aziende di telecomunicazione, con la difficoltà di giustificare
un no dinanzi alla frase “ma tutti gli altri ce l’hanno”, non
è facile.
Sono passati solo quarant’anni ma è come se fossero
trascorsi quattro secoli. Eppure oggi, dopo tanto benessere,
tutto è reso più difficile dalla precarietà del momento e,
forse, le monete di nonno Erasmo, oggi sono sostituite da
assegni che i nonni, pensionati più fortunati, emettono a
favore di nipoti precari.
Quello che non potrò mai dimenticare sono gli occhi di mio
nonno quando ci donava le sue monete.
E CHI NON CE L’HA?
Giancarlo Bianconi
“Il denaro non porta la felicità”. Almeno così si diceva un tempo, o molto
probabilmente anche tuttora, non saprei dire. E forse è anche vero. “Pensa
un po’ chi, in questa valle de lacrime, manco ce l’ha!”, faceva giustamente osservare qualcuno con aria sorniona un po’ di tempo fa.
Ma chi l’ha detto poi - domando io - che compito del denaro a questo
mondo debba essere necessariamente anche quello di procurare felicità?
Nessuno, a quanto mi è dato di sapere. Un risultato del genere il denaro
può forse ottenerlo unicamente con Paperon de’ Paperoni che si fa la
doccia con getti di monete d’oro ovvero, con espressione beata e tutto
elegantemente vestito, cilindro in testa compreso, si tuffa a nuotare in una
piscina ricolma di pepite d’oro.
Ma Paperon de’ Paperoni però, come tutti sanno, è semplicemente un
personaggio da fumetto, simpatico quanto si vuole ma pur sempre solo un
personaggio da fumetto. Poi..., poi, però, riflettendoci bene a proposito
dell’assunto d’apertura, quanto meno un piccolo dubbio prima o poi
potrebbe anche porsi, come si è posto a me, e cioè: come mai sempre più
gente è disposta a compiere, e all’occorrenza compie effettivamente,
azioni di ogni genere, anche se non propriamente... come dire... oneste e
trasparenti, pur di procurarsi sempre ulteriori mezzi finanziari?
Esempi del genere, e neanche tanto pochi purtroppo, non si può certo
dire che manchino: sono proprio sotto gli occhi di tutti. Non passa giorno,
infatti, come ognuno avrà avuto modo di osservare, che dai numerosi
mezzi d’informazione non si venga bersagliati con notizie concernenti personaggi che hanno compiuto gravi illeciti (e con i quali peraltro da anni
mantengono una tranquilla consuetudine) per procurarsi sempre ulteriori
capitali. E la considerazione inquietante è che si è talmente abituati a tale
consuetudine che una persona qualunque che si comporti semplicemente
in modo corretto viene considerata alla stregua di un eroe ovvero di un
santo o quasi, e in ogni caso degno di essere pubblicamente presentato
come eccezionale e fulgido esempio di virtù. E quel che più rattrista - e
indigna pure, diciamocelo francamente - è che individui del genere (malavita e delinquenza comune a parte, per le quali occorrono considerazioni
di altra natura peraltro non pertinenti in questa sede) appartengono ad
ogni settore della vita sociale, non solo cioè della politica ma anche della
finanza, della sanità, dell’amministrazione pubblica e privata e persino
dello sport il quale, almeno in linea di principio, dovrebbe essere quello più
lontano da tal genere di comportamenti, “il più puro” cioè. Personaggi, in
altri termini, indubitabilmente abbienti di per sé o, quanto meno,
certamente non disagiati o in stato di assoluta necessità.
E allora? E allora altre motivazioni, diverse dalla pura e semplice, e
anche se più che legittima, aspirazione a raggiungere la felicità spingono
tal genere di soggetti a compiere ignobili azioni.
Per tentare allora di comprendere il fenomeno, un pista da percorrere
potrebbe essere quella di avere preliminarmente cognizione del significato che da parte di ognuno viene attribuito al termine “felicità”. È evidente
che se per felicità ognuno intende, tanto per fare solo qualche banale
esempio, solo quella di possedere un elegante appartamento magari con
vista sul Colosseo e magari - perché no? - anche regalato da qualcuno a
propria insaputa (chissà, dalla Befana per esempio, per il motivo di
essere stato buon per tutto l’anno), ovvero una fantastico yacht per
averlo a disposizione durante l’estate allo scopo di trascorrervi le vacanze
e possibilmente anche un SUV (che qualcuno ha simpaticamente chiarito
essere l’acronimo di Sempre Unicamente Villani) per compiere viaggi di
piacere, ovvero ancora ...
Ecco! Se per felicità s’intende tutto ciò, non è chi non veda che, per
poter raggiungere tale stato emotivo, soprattutto avendone l’opportunità
ma più spesso creandosela al momento adatto, unitamente alla personale convinzione di essere più astuto di chiunque altro, pochi o, forse,
nessuno si asterrebbe dal compiere atti anche illeciti. Del resto anche il
proverbio lo dice: l’occasione fa l’uomo ladro. E qualcun altro ha malignamente aggiunto a guisa di completamento: “Dipende solo dall’ammontare”. Diverso, però, è il caso se per “felicità” s’intenda la piena coscienza di
aver operato e di continuare ad operare correttamente e senza danneggiare nessuno o, meglio ancora, per il bene altrui. Basti pensare, anche se
solo per un istante, a tutti coloro che, religiosi e laici, ai quattro angoli del
mondo operano quasi sempre con personali disagi, fatiche, e spesso anche
con sofferenze e rischi, al solo ed unico scopo di recare sollievo a gente
peraltro del tutto sconosciuta. Ma anche a tutti coloro che, anche senza
muoversi dalla propria città e senza grandi sforzi o sacrificio e senza alcun
rischio, svolgono attività di qualsiasi genere in favore e sollievo del prossimo. A tutti costoro, sono più che certo, non potrebbero mai presentarsi
le opportunità sopra descritte né, del resto, sarebbero in grado di riconoscerle. È però fuori di dubbio che meglio sarebbe se si potesse disporre
anche di un appartamento magari donato, o di uno yacht o di un SUV o
...O mi sbaglio?
- 14 -
Lettere in redazione
SEMPRE A PROPOSITO DI
CONVERSAZIONE
Qualcuno ha scritto “La conversazione è l’arte di
raccontare agli altri un po’ meno di quanto vogliono
sapere”. Be’, è sicuramente meglio restare con la
curiosità piuttosto che essere costretti ad ascoltare
quelle persone che invece di comunicarti subito sensazioni, opinioni, sentimenti, si dilungano a spiegarti
ogni cosa per filo e per segno tipo non solo la trama
del film che hanno visto, compreso il curriculum del
regista e di tutti gli interpreti, ma anche l’anno di
costruzione del cinema, il percorso automobilistico
fatto per raggiungerlo, inclusi sensi unici, deviazioni
obbligate e semafori e, se sanno che hai la metro bus
card, anche l’elenco degli autobus che si fermano lì
vicino. Risultato: smetti di ascoltare e non ha più
importanza sapere se per loro quel film valeva la pena
di essere visto, tanto hai già deciso che tu non andrai
mai a vederlo. Al contrario quando ti trovi con una
persona intelligente puoi pure conversare a monosillabi o anche solo con lo sguardo. Con gli amici o le
persone care, poi, conversare diventa parlare a cuore
aperto senza paura di sbagliare o di essere giudicato
perché sai comunque di essere amato ed accettato
per quello che sei. Ma a volte ti restano nell’animo
anche quelle strane conversazioni imbastite in treno,
in aereo, in autobus, all’estero con perfetti sconosciuti in un’atmosfera percepita da entrambi sincera e
disarmante forse perché non vi vedrete mai più e per
lo spazio di qualche ora o anche di pochi minuti
si incontrano e convivono serenamente universi
lontanissimi.
Maria Pia Zamparelli
NEGOZI CHE CHIUDONO,
BANCHE CHE APRONO
Molti piccoli negozi del nostro quartiere stanno
chiudendo un po’ per mancanza di clientela, in questo
tempo di crisi, un po’ perché i proprietari delle mura
aumentano troppo la richiesta per l’affitto mensile.
L’ultimo a lasciarci è stato il negozio-edicola di piazza
della Balduina, storico venditore di giornali, libri, giocattoli e Dvd.
Se ne vanno uno dopo l’altro. Abbassano le vetrine,
lasciando spazi vuoti che spesso rimangono tali per
anni. Un enorme spazio vuoto e triste è stato l’ex
negozio di elettrodomestici di via delle Medaglie d’oro
421, quello vicino al giornalaio, che ha chiuso alcuni
anni fa. Ci accorgiamo che proprio negli ultimissimi
tempi ha preso il suo posto il Gruppo Immobiliare
Toscano che vende case.
Ma in questo momento di crisi la gente ce l’ha i soldi
per comprare case ? Speriamo di si, se no chiude pure
quello tra un po’. Ci appelliamo a tutti i proprietari
affinché in questo difficile momento storico frenino le
loro richieste economiche per gli affitti, non costringendo ad impossibili sacrifici commercianti e venditori e evitando a noi abitanti della zona di vivere in un
quartiere fatto solo di negozi dalla saracinesca abbassata per sempre oppure in un quartiere fatto solo di
banche che alla fine fanno sempre incetta di immobili.
Avete visto quante banche ci sono nel nostro
quartiere?
Fabiana Conte
INSIEME PER IL PINETO
CHI SIAMO
L’Associazione Onlus “Insieme per il Pineto”
nasce grazie all’iniziativa di alcuni cittadini del
quartiere preoccupati per il degrado in cui verte
l’area del Parco Regionale del Pineto adiacente
al quartiere Balduina, in special modo dal lato di
via Damiano Chiesa.
Nella sua storia recente quella zona del Parco ha
subito vari incendi, e l’assenza di controllo ha
portato spesso all’insediamento nel suo interno
di campi abusivi che hanno reso il parco una discarica a cielo aperto e
costretto più volte le forze dell’ordine ad intervenire e a rimuovere i materiali depositati, con grandi spese per la comunità intera. Tutto ciò non ha
reso possibile la fruizione e l’utilizzo responsabile da parte degli abitanti del
quartiere. Nello svolgimento della sua attività l’Associazione in particolare
attua e promuove iniziative e progetti volti alla tutela e valorizzazione del
Parco naturalistico urbano del Pineto, con particolare attenzione alla zona
confinante con la Balduina, per la salvaguardia, la fruizione sociale, la partecipazione alle attività del Parco e al controllo della gestione dello stesso,
nell’ottica di incrementare lo sviluppo di interessi culturali in campo biologico, botanico, ludico-recreativo, sportivo connessi con l’uso corretto del
Parco. L’Associazione attua e promuove ogni altra iniziativa e/o progetto
finalizzato alla valorizzazione, alla tutela, alla promozione della salvaguardia e della fruizione sociale delle aree verdi urbane. Per lo sviluppo di questi obiettivi, l’Associazione promuove e diffonde la cultura e l’informazione,
contribuisce alla formazione, anche presso le istituzioni scolastiche, sui temi
della qualità dell’aria e dell’ambiente, della tutela e valorizzazione
degli habitat nazionali, dello sviluppo sostenibile, anche attraverso
l’organizzazione di seminari e incontri, la promozione, la pubblicazione e la
divulgazione di studi e ricerche; l’ideazione e la realizzazione di progetti sui
temi anzidetti. Nell’ambito delle sue finalità l’Associazione si propone di
intervenire nella realizzazione di impegni ed attività associative tramite la
formazione di commissioni o gruppi di studio o di lavoro specializzati nei vari
campi di interesse; nell’organizzazione del dopolavoro, favorendo l’incontro
tra i soci per fini solidaristici di reciproco scambio di esperienze, nel convincimento che la partecipazione ed il coinvolgimento dei cittadini sono
fondamentali per il raggiungimento di intenti comuni sulla base di comuni
sensibilità.
Associazione Onlus Insieme per il Pineto
Presidente: Roberto Conforti
Sede: Via Romeo Rodriguez Pereira, 211
00136 - Roma (RM)
Email: [email protected]
Telefono: 392 8174595
www.insiemeperilpineto.it
I NOSTRI
BENEFATTORI
Hanno contribuito
a questo numero:
Radio Elettrica Balduina, via de Carolis 107
Caffè Carloni, via Friggeri 149-151
Centro Estetica di via Lattanzio 1/A
Erboristeria di via Seneca 69
dal 1966 alla Balduina
STAMPA A RILIEVO - OFFSET - DIGITALE
Edilelectric di Fabrizio Di Demetrio
Power Point, via D. Galimberti 41
L. & N. de Liguori srl
- 15 -
Belsito Sport, p.le Medaglie d’Oro
Tipografia Medaglie d’Oro, via Appiano 36
Made in Italy srl
dott. Paolo Gabrieli, Commercialista
Maria Pia Maglia
Cesare Catarinozzi
Alfredo Palieri
Anonimo Pochintesta da Porchiano
Anonima “Continuate così”
Maria Rossi
Giulia e Marco
LA NEVE NEL NOSTRO QUARTIERE
Il tema del prossimo numero è:
“Incontrarsi”
La casualità di un incontro, l'incontro cercato,
il destino che pilota un incontro.
Incontrarsi per sempre nella vita oppure soltanto
al bar, alla stazione, sul treno.
Incontri di gusti, di esperienze, di abitudini, di sogni.
Incontrarsi sul web.
Incontrarsi dopo tanto tempo.
Incontrarsi dopo un dissidio.
Incontrarsi per poco e poi perdersi di nuovo fino al
prossimo incontro. L' incontro con Dio.
Termine per la consegna: 17 marzo 2012
[email protected]
Foto di Alessandra e Marco Angeli, Maurizio e Maria Luisa Degol,
Gregorio Paparatti, Lùcia Aiello, Alfonso Molinaro,
Pier Luigi Blasi, Paola Baroni.
Parchetto di piazza Giovenale
La chiesa San Pio X
Piazza della Balduina
Via Damiano Chiesa
Via Ugo de Carolis
Parco del Pineto- lato via Appiano
Ragazzi dell’oratorio
Parco del Pineto- lato via Papiniano
Piazza della Balduina
Via delle Medaglie d’oro
Largo Maccagno
Via Ugo de Carolis
Via della Balduina
- 16 -
Via Rodriguez Pereira
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A proposito - Parrocchia San Pio X