CRISI
ECONOMICO-FINANZIARIA
Nuove regole e impegno etico
Prof. Marco Mazzoli
Villa Elena, Affi (VR)
1
La Fondazione Elena da Persico,
ispirandosi particolarmente al pensiero di
Elena da Persico (1869 –1948), giornalista
e collaboratrice di Giuseppe Toniolo
in ambito sociale, ha, tra i suoi scopi,
“la promozione di iniziative sociali e culturali
per una crescita della società secondo i valori
della solidarietà cristiana”
Con piacere inviamo la relazione del
Prof. Marco Mazzoli, docente di
Economia monetaria-internazionale
all’Università Cattolica di Piacenza
e Direttore del Centro Studi
CESPEM “M.Arcelli”, a quanti
hanno partecipato all’iniziativa della
Fondazione e ai simpatizzanti della
stessa.
2
3
“Crisi economico-finanziaria”
Nuove regole e impegno etico
Affi, 28 marzo 2009
4
5
La crisi finanziaria: nuove regole e impegno etico
Sono molto felice di avere l’opportunità di intervenire in
questa iniziativa promossa dalla Fondazione “Elena Da
Persico” e lo dico in modo non formale: una struttura bella e
ricca di iniziative come questa vive e funziona grazie all’opera
instancabile e disinteressata di varie generazioni di persone
motivate da un forte spirito etico e da una fede profonda. Per
questo mi sento molto onorato di essere qui a parlare oggi
Quando ero studente, nei primi Anni Ottanta, durante i miei
corsi universitari di economia, mi capitava spesso di riflettere
su due passi biblici che avevano colpito particolarmente la mia
immaginazione. Il primo era il capitolo 25 del Levitico,; il
secondo era Apocalisse, 13:16-17. Nel primo brano si racconta
delle regole fissate per l’Anno Sabbatico, che aveva luogo ogni
sette anni. Una di queste regole prevedeva che tutti gli schiavi
appartenenti al popolo d’Israele dovevano essere liberati. Nel
mondo rurale e pastorale dell’antichità si poteva infatti
diventare schiavi per debito, ma, poiché gli schiavi appartenenti al popolo d’Israele dovevano essere liberati ogni sette
anni, questo implicava che il grado di sottomissione, per motivi
economici, di un essere umano nei confronti di un altro essere
umano non doveva superare il valore di sette anni di lavoro.
Nei due versetti dell’Apocalisse, invece, viene descritta la
bestia che sale dalla terra, che simboleggia il male e che
obbligava tutti gli esseri umani, grandi e piccoli, poveri e
ricchi, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano
destra o sulla fronte, Nella narrazione si dice che nessuno
poteva comprare né vendere se non portava il marchio della
bestia, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al
suo nome. Il pensiero evocato nella mia mente da questa forte e
suggestiva immagine era quella di un potere negativo che
6
sembrava imporre le sue regole a tutti, fino al punto da
escludere dall’attività economica chi non si asservisse a lui.
Questi passi biblici mi sono tornati alla mente in questi
tempi di crisi finanziaria.
Negli Anni Sessanta, in piena epoca keynesiana, nell’età
dell’oro del capitalismo “regolato” o del “capitalismo dal volto
umano”, un top manager di una grande impresa americana
poteva guadagnare fino a 20 volte lo stipendio di un operaio.
Alla vigilia del’attuale crisi finanziaria, un top manager di una
grande banca d’affari o di una grande società finanziaria (anche
una di quelle salvate dall’intervento pubblico) poteva arrivare a
guadagnare anche 300 volte lo stipendio di un operaio
statunitense. Nel frattempo, il welfare state è stato pesantemente ridotto, la sanità statunitense, privatizzata, e, secondo il
parere di molti ideologi dell’ultra-liberismo la nostra sanità
pubblica avrebbe dovuto seguire lo stesso destino.
Tutto questo prima della crisi finanziaria internazionale. La
sua gravità è data dal fatto che si è manifestata in una fase già
di per sé difficile per l’economia di tanti Paesi occidentali, a
causa delle forti tensioni politiche internazionali, dell’alto costo
delle fonti di energia e del petrolio e a causa del fatto che i
confini e le dimensioni del rischio sono, a tutt’oggi, ignote agli
operatori: nessuno sa infatti esattamente quale sia l’ammontare
complessivo dei mutui e dei titoli fasulli attualmente in
circolazione, né si conosce esattamente in quale misura varie
grandi banche, assicurazioni ed istituzioni finanziarie siano
state o siano tuttora esposte al rischio.
Tutto questo genera una situazione di forte incertezza: le
banche non osano prestare, gli investitori non osano investire e
le drastiche e salutari immissioni di moneta sui mercati
(effettuate dalla Federal Reserve e dalla BCE) per scongiurare
il tracollo del sistema, pur riuscendo, per il momento, ad
arginare parzialmente la crisi, generano un aumento solo
limitato di circolazione della liquidità, che tende invece ad
7
essere trattenuta e tesaurizzata da operatori finanziari
spaventati.
In questa situazione (che ricorda la cosiddetta “trappola
della liquidità” di keynesiana memoria) il premio Nobel Joseph
Stiglitz ha proclamato pubblicamente la fine dell’era del
capitalismo senza regole e l’inizio di una fase di “capitalismo
regolato”, in cui lo Stato deve tornare a giocare un ruolo di
supervisore del sistema e i mercati devono essere regolati.
Questa “nuova fase” si apre comunque con l’ennesima
redistribuzione di ricchezza a danno dei ceti più poveri e a
vantaggio dei ceti più ricchi: le perdite immense causate da
manager e affaristi senza scrupoli (e arricchitisi in anni di
speculazioni senza limite) saranno scaricate, con i forti ed
inevitabili interventi pubblici di salvataggio, sui contribuenti di
tutti i Paesi occeidentali, mentre le eventuali compensazioni a
favore delle famiglie “scottate” sono, nella migliore delle
ipotesi, aleatorie.
La crisi dei mutui americani ha tragicamente mostrato la
pericolosità e l’assenza di scrupoli di un certo modo aggressivo
e competitivo di fare affari nel mondo bancario e finanziario,
l’inaffidabilità dei dispositivi di controllo e vigilanza del
settore bancario statunitense ed internazionale e l’assenza di
governance nei mercati finanziari mondiali, soggetti
periodicamente a traumatiche crisi di cadenza decennale: dopo
il crollo di wall street del 1987, abbiamo assistito alla
cosiddetta crisi asiatica del 1997, a quella “russa” del 1998, a
un’altra caduta delle borse internazionali intorno all’anno 2000
e a quella attuale, di gran lunga la più grave di tutte.
In generale queste crisi sono precedute da fasi di “euforia
irrazionale” (per usare le parole di Alan Greenspan) in cui i
prezzi dei titoli azionari mostrano trend di crescita spropositati
ed eccessivamente ottimistici rispetto agli indicatori
dell’economia reale e in cui investitori eccessivamente
ottimistici ed inesperti vengono attirati sui mercati dalla
8
speranza di lauti guadagni, prima di essere scottati dalle
successive crisi.
Le teorie economiche e le pratiche manageriali, spesso
presentate all’uomo con la granitica (quanto usurpata) pretesa
di scientificità, hanno offerto alle lobby finanziarie
internazionali le argomentazioni ideologiche per indebolire e
svuotare il welfare state, diffondere in ogni Paese il precariato
tra i giovani lavoratori, rimuovere ogni forma di controllo sui
mercati finanziari internazionali e arrivare all’attuale regime di
globalizzazione in cui gli speculatori finanziari internazionali
sono più forti di molti governi sovrani Se veramente sta
nascendo un “nuovo capitalismo regolato” e se veramente
stiamo tornando ad una nuova (limitata) forma di intervento
pubblico, questo deve essere fatto in modo trasparente,
chiarendo bene chi paga e chi si avvantaggia da queste forme
di intervento.
In un intervento alle “Lezioni Arcelli” (tenutesi il 6 marzo
all’Università Cattolica, sede di Piacenza), il Prof. Paolo
Savona, ha sottolineato le gravi responsabilità delle politiche
economiche statunitensi in questa situazione, sottolineando
anche lo stretto legame tra scelte economiche e politiche.
Credo che non occorra perdere la memoria storica e non
stancarsi mai di ripetere e ricordare chi ha la responsabilità
politica dell’attuale quadro internazionale. Cominciamo dalle
tensioni politiche. Non bisogna mai stancarsi di ripetere che
Bin Laden è stato “creato” dai finanziamenti americani, al
tempo di Reagan (che lo preferì al più “laico” Massud al tempo
della lotta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan), dal
sostegno politico e logistico della CIA, fino alla prima guerra
dell’Iraq. Non bisogna mai stancarsi di ripetere e di ricordare
che Saddam Hussein è stato lungamente finanziato dagli Stati
Uniti al tempo della guerra con l’Iran, secondo la logica
spregiudicata e guerrafondaia del pensiero “neocon” che a tutto
9
antepone l’uso della forza e delle armi, per conseguire i propri
obiettivi (riassumibili negli interessi di alcune lobbies
finanziarie militari e petrolifere).
Forse giova ricordare che persino un grande presidente
conservatore come Eisenhower mise in guardia da quello che
chiamava “l’apparato militare-industriale” americano, in grado
di influenzare o, addirittura (come temeva lui per il futuro)
determinare le scelte politiche della più grande potenza
economica e militare del Pianeta.
Un altro elemento molto importante è che attualmente,
dopo la globalizzazione, il potere economico è concentrato in
pochissime mani e sfugga di fatto al controllo democratico
delle opinioni pubbliche, così come sfugge interamente al
controllo democratico dell’opinione pubblica e a qualsiasi
regola (e sanzione) che garantisca la correttezza dei contenuti
l’informazione mediatica dei grandi circuiti televisivi
internazionali. Nel sistema politico bipolare maggioritario di
stampo anglosassone (che caratterizza ormai molti Paesi
occidentali) l’altissimo costo di accesso ai media televisivi
garantisce visibilità pubblica solo alle forze politiche finanziate
da grandi lobby. Non a caso, il grande filosofo liberale Popper,
in uno dei suoi ultimi scritti (“Cattiva Maestra TV”, Trad. It.
Marsilio Editore, 2000), ha coraggiosamente affermato che
solo una TV pubblica, che offra spazio e pari trattamento per
tutte le idee possa garantire la democrazia.
Circa tre anni fa un quotidiano italiano (La Repubblica,
venerdì 18 agosto 2006) pubblicava in prima pagina un articolo
in cui il Premio Nobel Joseph Stiglitz rilevava come ormai
nessuno, neppure tra gli economisti ortodossi creda più alla
promessa di sviluppo e benessere per i paesi più poveri
associato alla maggiore apertura commerciale verso l’estero:
l’idea con cui nacque nel 1948 il GATT e, sulle sue ceneri, nel
1995 il WTO, l’organizzazione del Commercio Mondiale, a cui
10
aderiscono oggi 149 Paesi. Stiglitz osservava come questa
antica promessa liberista e capitalistica di un avvenire felice e
radioso sia sostituita nei documenti ufficiali, da più blandi
auspici di ventilati vantaggi economici per i Paesi che adottino
le misure di liberalizzazione.
Infine Stiglitz rilevava tristemente che mai come ora, nella
storia del mondo, pochi gruppi di lobby privilegiate (gli
agricoltori americani sussidiati dallo stato, alcune poche grandi
multinazionali dei Paesi ricchi) riescano ad imporre la loro
volontà politica ad enormi masse di umanità nell’Asia, Africa,
America Latina. Com’è possibile tutto questo?
Per capirlo occorre ricordare che nelle Istituzioni Economiche
Internazionali il meccanismo di voto è basato su indicatori
economico-finanziari: i Paesi più ricchi esprimono più voti, i
Paesi più poveri, anche se abitati dalla grande maggioranza
dell’umanità, esprimono solo una minoranza di voti.
Alla base di tutto il nostro sistema economico
internazionale vi è (o dovrebbe esservi in teoria) il pensiero
liberale e la sua dichiarata (e di per sé totalmente condivisibile
ed auspicabile) ricerca della “mobilità” sociale, ossia di una
situazione in cui il capitale umano e i talenti individuali
vengano sfruttati appieno e anche gli individui appartenenti ai
ceti sociali più poveri possano dunque raggiungere, se capaci, i
vertici della società e un elevato status sociale.
Inequivocabilmente a favore della mobilità sociale sono
stati i liberali europei ottocenteschi che lottavano contro
l’assolutismo e il feudalesimo, i primi movimenti socialisti e
socialdemocratici del Novecento che lottavano per garantire ai
lavoratori le opportunità che erano loro negate, i dissidenti e gli
oppositori dello spietato e monolitico regime sovietico.
Inequivocabilmente contro la mobilità sociale sono state le
forze restauratrici ottocentesche, i latifondisti latino-americani,
nonché i dirigenti e funzionari di partito nel regime sovietico.
11
Il lettore si potrà formare le proprie convinzioni su quanto
portatrici di mobilità sociale siano le grandi multinazionali, le
lobby, la grande finanza mondiale… oppure anche solo i
fautori della privatizzazione del sistema educativo, sul modello
statunitense, dove solo poche grandi università dal costo
proibitivo sono in grado di garantire un sicuro successo e
avvenire ad una esigua minoranza di rampolli di famiglie
ricche e ad una ancor più esigua minoranza di membri della
middle class baciati dalla benedizione delle poche borse di
studio abbastanza ricche da consentire l’educazione e la vita in
una delle top universities statunitensi.
Il sistema economico internazionale architettato nel 1944 a
Bretton Woods per i Paesi ad economia di mercato prevedeva
un sistema a cambi fissi, in cui tutte le valute erano convertibili
in dollari e il dollaro era l’unica valuta convertibile in oro.
Esisteva dunque, sia pure indirettamente, un legame certo tra le
varie valute nazionali e l’oro. Il sistema a cambi fissi (della cui
stabilità era investito il FMI, che aveva anche la funzione di
fornire credito ed assistenza finanziaria per la ricostruzione
postbellica e, successivamente, per i Paesi in via di sviluppo)
prevedeva che le svalutazioni e le oscillazioni delle monete
fossero fatti episodici, di solito negoziati tra le autorità: se
troppo frequenti avrebbero causato una perdita di credibilità da
parte delle autorità che le promuovevano. C’era libera
circolazione delle merci e delle persone e forti vincoli ai flussi
internazionali di capitali, a causa del timore di instabilità
finanziaria che questi potevano comportare.
La minore incertezza e maggiore stabilità dei cambi rese
stabili le economie, la presenza di regole relativamente
affidabili aveva permesso non solo una prodigiosa crescita
economica, ma, per la prima volta nella storia dell’umanità,
una sua diffusione tra tutti i ceti sociali e in tutte le regioni del
mondo. Anche i Paesi africani, asiatici e dell’America Latina
12
poterono raggiungere ritmi di crescita mai sperimentati e anche
le famiglie più povere riuscirono, a partire dagli Anni Sessanta
in Europa e nel mondo, ad offrire ai loro figli un’istruzione
superiore e di livello universitario.
Questo consentì, fino agli Anni Settanta, una forte mobilità
sociale, un benessere diffuso mai sperimentato prima e un
sistema di welfare che proteggeva le fasce più deboli ed era
consentito da due elementi: tassi di crescita delle economie più
alti dei tassi di interesse (cosicché la crescita delle entrate
fiscali, correlate alla crescita del reddito, fosse più marcata
della crescita degli interessi passivi sul debito pubblico,
correlati ai tassi di interesse) e forti vincoli ai flussi finanziari:
esportare capitali (legalmente) era complicato e costoso. In
questo modo i tassi di interesse interni potevano divergere dai
tassi di interesse medi a livello mondiale e le autorità monetarie
erano completamente libere di perseguire le politiche monetarie
desiderate, senza vincoli provenienti dall’estero.
Questa situazione “ideale” trovò il suo culmine negli Anni
Sessanta e trovava il suo fondamento teorico e scientifico nelle
teorie economiche keynesiane, basate su un capitalismo
“regolato” dove le brusche perturbazioni dei mercati erano
mitigate dal ruolo regolatore dello stato e da periodici
interventi redistributivi per impedire il crollo della domanda
(nelle fasi di recessione) dei ceti più poveri. Ma la fase del
capitalismo “dal volto umano” si interruppe bruscamente agli
inizi degli Anni Settanta per due fatti traumatici. A causa delle
altissime e persistenti spese militari statunitensi, causate dalla
prolungata guerra in Vietnam, la Federal Reserve aveva messo
in circolazione una massa enorme di dollari, insostenibile e
incompatibile con il sistema a cambi fissi di Bretton Woods
che prevedeva la convertibilità del dollaro in oro.
Di fronte a questa situazione, il giorno di Ferragosto del
1971, il presidente Nixon annunciò improvvisamente la
sospensione della convertibilità di dollari in oro, facendo
13
saltare tutto il sistema a cambi fissi e determinando una forte e
prolungata perturbazione nell’economia mondiale. Due anni
dopo, nel 1973, in occasione della guerra del Kippur, che vide
contrapposto Israele a Siria ed Egitto, si verificò l’embargo dei
Paesi Opec verso l’Occidente e la prima grande crisi
petrolifera, che fece esplodere il prezzo del petrolio e
dell’energia. In questa situazione di turbolenza, i modelli
keynesiani, fino ad allora utilizzati per attuare la politica
economica, diedero “previsioni” inattendibili, come forse
avrebbe fatto qualsiasi modello, in un tale terremoto strutturale.
Tuttavia ne seguì una critica ideologica e chiaramente
“interessata” da parte del pensiero neoconservatore a tutto il
pensiero keynesiano, non solo sul piano accademico, ma anche
sul piano della politica economica, del welfare state, del ruolo
dello stato e dei sistemi di protezione dei ceti più deboli. Le
politiche di Thatcher in Gran Bretagna e di Reagan negli Stati
Uniti, a partire dagli Anni Ottanta, portarono al graduale
smantellamento dei sistemi di protezione sociale nei loro Paesi
(che hanno in parte resistito maggiormente nell’Europa
continentale), a politiche monetarie restrittive caratterizzate da
alti tassi di interesse che, facendo alzare il livello medio dei
tassi di interesse a livello mondiale, hanno reso insostenibile
per i governi di tutto il mondo la spesa per interessi passivi sul
debito pubblico, costringendoli a drastici tagli sulla spesa
sociale. Ma fu soprattutto la deregulation finanziaria a
cambiare la faccia del mondo.
Accogliendo precise istanze degli ambienti finanziari,
vennero gradualmente eliminati negli USA, in Gran Bretagna
e, successivamente, in Europa (spesso da governi
“socialdemocratici” o socialisti, che avevano adottato in toto
politiche economiche ultra-liberiste) tutti i vincoli ai flussi
internazionali di capitale. A partire dagli Anni Novanta la
globalizzazione era dunque un fatto compiuto. In pochi secondi
si potevano spostare da una borsa all’altra del pianeta miliardi
14
di dollari. Il capitale era perfettamente mobile, mentre la
mobilità del lavoro, anche quando legale, era comunque lenta,
costosa e imperfetta. Mentre dal ’45 agli Anni ’80 le crisi
finanziarie furono poco frequenti e di portata molto limitata,
dall’87 a oggi (cioè dai primi ani della globalizzazione a oggi)
se ne contano già 4 catastrofiche e di dimensione planetaria.
Esiste dunque un drammatico problema di governance
delle Istituzioni Economiche Internazionali ed è lecito
domandarsi se sia lecito che la finanza conti di più del numero
di esseri umani nel decidere le politiche economiche mondiali?
Non esiste più il “contratto sociale”, la mediazione tra le parti,
poiché un ceto sociale, quello degli investitori finanziari e degli
speculatori, si è sottratto alla “polis” in cui avvengono i
confronti. I flussi finanziari non sono soggetti ad alcuna
sovranità poiché possono spostarsi istantaneamente da un
Paese all’altro. Se nel primo trentennio del Dopoguerra lo stato
si è reso più democratico e più partecipativo, il pensiero
neoconservatore ha radicalmente modificato la sua natura: da
incarnazione dell’autorità dello stato si è trasformato in
negazione del ruolo dello stato, in assertore dello svuotamento
delle funzioni dello stato: dall’economia, ai servizi sociali,
all’educazione, salvo poi recuperare (proprio in questi giorni)
l’intervento dello stato, con finalità di salvataggio e scaricando
i costi sui contribuenti (in generale soggetti a reddito fisso,
senza la possibilità di eludere o evadere il fisco). In una società
in cui la “nascita” sembra tornata a svolgere un ruolo
essenziale, in cui l’assistenza e la tutela hanno perso i connotati
etici del “dono e della “gratuità” (tanto presenti, se ci
pensiamo, nella nostra teologia cristiana), ma sembrano
piuttosto subordinate all’appartenenza ad un gruppo o ad una
lobby, stiamo assistendo, quasi impotenti alla drammatica
esclusione di enormi masse di persone dal meccanismo
economico e dalle forme più elementari di benessere.
15
La nuova fase economica del capitalismo “regolato”
(evocate da Stiglitz e, di fatto, già messe in pratica dai Paesi
anglosassoni con i pesanti ed inevitabili interventi statali di
salvataggio nel settore finanziario) deve avvenire con
trasparenza: non può e non deve sottrarsi al dibattito pubblico
almeno in Europa e nei Paesi dove ancora esiste una forma di
democrazia e di accesso ai media. Non può e non dveve essere
a solo uso e consumo di pochi managers senza scrupoli che
fino a ieri lanciavano anatemi contro ogni forma di intervento
pubblico regolatore.
Su quali principi e a quali finalità deve rivolgersi? Una
prima finalità, che sintetizza il principio dell’uguaglianza è
quello della mobilità sociale, verso l’alto e verso il basso: è un
principio che implica pari opportunità e uguali diritti di accesso
all’educazione, ai mezzi di informazione (di qui le importanti
prese di posizione di Popper sull’importanza di avere TV
pubbliche con regole precise), da attuare con principi di
“incentivo-compatibilità”: laddove c’è uso di denaro pubblico
ed intervento pubblico (che non va più demonizzato in nome
del dio profitto e dell’ideologia neocon), si devono individuare
precisi centri di responsabilità, meccanismi di monitoraggio
(preferibilmente attuati con la partepcipazione degli utenti) e
sanzioni in caso di inefficienza o di assenteismo. Chi crede
nelle politiche economiche attive e nell’importanza del ruolo
regolatore e riequilibratore dello stato non può accettare che lo
stato sia un’arma spuntata ed inefficiente: paradossalmente
dovrebbe essere (solo in questo) “più thatcheriano della
Thatcher”... Il resto dei propositi forse è ancora da costruire...
con l’aiuto delle scienze sociali e di una nuova economia, non
più ideologica, non più dogmatica, il cui linguaggio esoterico
deve essere maggiormente spiegato ai cittadini: in altre parole,
non possiamo più avere modelli matematici usati per finalità di
politica economica (e che quindi decidono sul destino di
miliardi di persone) dove, ad esempio, si ipotizza a priori che la
16
distribuzione del reddito non ha alcun effetto sull’economia, i
disoccupati, se sono tali, lo sono volontariamente e dove tutti
gli individui sono identici, senza alcuna differenza (descritti
con la metafora del cosiddetto agente rappresentativo) e
onniscienti (cioè, impossibilitati, in media, a formulare
previsioni sbagliate, in nome del principio delle cosiddette
“aspettative razionali”). Sembra impossibile, ma la scienza
economica e i modelli “ortodossi” di politica economica sono
proprio basati su questi principi, di cui è evidente la natura
idelogica.
Nell’attuale fase di crisi economica che sta colpendo il
nostro Paese esiste una grave emergenza sociale, che rischia di
esplodere nei prossimi mesi: mentre, da un lato, è in aumento il
fenomeno dell’evasione fiscale, cresce pericolosamente il
numero di disoccupati senza la protezione della cassa
integrazione. Ogni mese scadono infatti circa trecentomila
contratti di lavoro precari (qualche anno fa era di moda
definirli “flessibili”) di varia forma giuridica, ma che hanno in
comune il fatto di non prevedere ammortizzatori sociali per chi
perde il posto di lavoro. Si tratta in molti casi di lavoratori
giovani, altamente qualificati, con laurea o titoli di studio
avanzati e che nella maggior parte dei casi hanno famiglia e
figli. Poiché la maggior parte di questi contratti di lavoro
precario in scadenza non sono, di questi tempi, rinnovati, in
alcuni mesi alcune persone si troveranno senza lavoro e a
reddito zero, cioè senza cassa integrazione. Si tratta di una vera
e propria bomba sociale, che rischia di creare gravi emergenze.
Volendo fare una battuta provocatoria, potremmo dire che, così
come una legge approvata dal Parlamento sull’onda del caso
Englaro, sancisce il diritto all’alimentazione del malato privo
di conoscenza, allora occorre garantire il diritto
all’alimentazione dei disoccupati... Volendo invece trattare
l’argomento con la serietà e la gravità che merita, è importante
17
sottolineare che solo limitando il crollo della domanda dei ceti
sociali più deboli (che, come ci insegna la teoria economica
sono caratterizzati da una propensione al consumo maggiore
rispetto alle classi sociali più ricche, poiché utilizzano una
quota molto più alta del loro reddito per acquistare beni di
consumo) si riuscirà a mantenere un livello di domanda
accettabile, che permetterà alle imprese di continuare a vendere
parte dei loro prodotti e alla nostra economia di uscire più
facilmente dalla crisi. Ma come limitare il crollo della domanda
dei ceti sociali più deboli? Per rispondere, occorre considerare
un semplice fatto statistico oggettivo: basta un recupero di
pochi punti percentuali della scandalosa evasione fiscale che
caratterizza il nostro Paese (e che, purtroppo, risulta essere in
aumento negli ultimi mesi) per finanziare un limitato sussidio
di disoccupazione (circa 500 euro al mese) per tutti i lavoratori,
precari o non precari. Tale sussidio di disoccupazione dovrebbe
essere condizionato al fatto che il lavoratore non rifiuti nessuna
offerta di lavoro (neppure a basso reddito e neppure di bassa
qualifica), pena la perdita del sussidio stesso. Si tratta di un
provvedimento che risponde non solo a criteri etici e di equità,
ma anche a criteri di efficienza, poiché garantisce il sostegno
della domanda (e dunque la possibilità per le imprese di avere
ancora davanti a sé un mercato) e facilita l’uscita dalla crisi.
Non occorre poi dimenticare che uno dei problemi che agitava
l’industria italiana e l’economia italiana in generale già prima
della crisi era la scarsa capacità innovativa, l’eccessiva
concentrazione in settori produttivi tradizionali dove la
concorrenza di prezzo dei Paesi in via di sviluppo era
insostenibile. Una delle cause di questa situazione è la
persistente riduzione della spesa per ricerca e università, messa
in atto ormai da diversi anni da vari governi di diverso
orientamento politico. I tagli alla ricerca e all’università non
possono certo consentire di creare le basi per uno stabile
18
sviluppo dell’economia, poiché senza innovazione
impossibile crescere, in un mondo globalizzato.
è
In generale le linee guida di politica economica devono
essere ispirate dal principio della mobilità sociale. In altre
parole, le politiche economiche devono creare gli strumenti, i
dispositivi e le risorse affinché tutti gli individui, anche quelli
provenienti dai ceti sociali più deboli, possano avere accesso ai
servizi, alle opportunità, all’istruzione superiore ed
universitaria, in modo che, nella società, ogni persona possa
contribuire al meglio sulla base dei propri talenti. Quegli stessi
“talenti” che fanno funzionare la società in modo più efficiente
ma che danno anche significato etico pregnante alla vita di
ognuno, secondo l’accezione biblica della parola “talento”.
Credo che siamo chiamati ad una testimonianza difficile, che
prevede anche una critica sociale ed una critica agli stili di vita,
ai comportamenti consumistici e alla sottocultura di taluni
messaggi pubblicitari e modelli di comportamento (fatti propri
da grandi network televisivi privati) che hanno tra i loro punti
di forza la mercificazione del corpo della donna. E’ una
battaglia impari tra la propria individuale testimonianza eticoreligiosa e potentissimi strumenti di comunicazione mediatica.
Ma chi è motivato dalla fede o da forti valori etici non ha paura
delle battaglie impari.
Marco Mazzoli
19
SEGUONO
ALCUNI INTERVENTI DEL PUBBLICO (CORSIVO) E LE
RELATIVE RISPOSTE DEL RELATORE.
Da cosa deriva la sua ostilità verso la cultura americana?
L’America è responsabile della crisi, ma per ben due volte
in Europa ha sacrificato i suoi figli per darci la possibilità di
esprimere liberamente i nostri pensieri.
Ammiro molto la cultura americana. Per hobby suono il
piano pianista blues e jazz, amo la letteratura americana, amo i
grandi romanzieri americani. Mia mamma raccontava che il
giorno della liberazione da parte degli angloamericani era stato
il giorno più bello della sua vita (aveva 16 anni)... Beh, nei suoi
anni a venire immagino che avrà avuto altri “giorni più belli
della sua vita”....
Onestamente credo di non avere dei pregiudizi nè ostilità
verso l’America. Sono stato visiting fellow per un semestre
all’università di Princeton, ma purtroppo, se devo dar conto dei
fatti economici che hanno originato la crisi attuale, non posso
fare a meno di specificare le cause e le responsabilità della
finanza e delle politiche economiche statunitensi che ci hanno
portato a questa situazione.
Vero è che c’è un’altra America: composta da milioni di
persone, capaci di atti di generosità, di volontariato, da
Associazioni non profit, da persone che, come voi, sono dediti
ad atti di puro altruismo. C’è molta spiritualità negli Stati Uniti
di America.
Il mio non era un attacco all’America; ho anche detto che
dal 1945 al 1971 sono stati anni di grande prosperità, di pace e
di crescita, oserei dire sotto la vigilanza del ruolo che ebbero
gli Stati Uniti. Furono certamente anni non facili, almeno
inizialmente: c’era Stalin fino al 1953, quindi era un mondo
percorso da molte inquietudini. Il ruolo degli Stati Uniti fu
20
fondamentale per molto tempo, poi vi fu l’America del grande
sogno di Kennedy, Presidente cattolico irlandese, che pose fine
alla ignobile e vergognosa discriminazione dei cittadini
americani di colore. Quindi esiste un’altra America, fatta di
grande generosità, di cultura, di creatività artistica. Per queste
cose l’America è un paese fantastico. Ho anche detto che esiste
una piccolissima élite. Non i ricchi, ma i super ricchi, al di
sopra del livello di ricchezza così come lo immaginiamo. È
un’élite che non esiste solo in America, ma in tutto il mondo.
Anche nei paesi poveri c’è una piccolissima minoranza di
persone che detengono la quasi totalità delle risorse.
Oserei dire che, forse, se gli esseri umani fossero stati meno
egoisti nel passato, ci sarebbero stati anche meno eccessi
rivoluzionari: penso a certi paesi devastati dell’America Latina,
a volte percorsi da fremiti rivoluzionari, dove la mortalità
infantile è a livelli assurdi e dove 5 famiglie detengono tutta la
terra dell’intero paese, dove masse enormi di popolazione non
hanno accesso nemmeno all’educazione della scuola elementare e dove la sopravvivenza è precaria per tutti.
Quale può essere lo stato d’animo di una madre, di un padre
di famiglia che vede morire gran parte dei suoi bambini, perché
la mortalità è infantile? Non possiamo immaginare che abbia la
stessa serenità che abbiamo noi nel valutare gli eventi storici o
nel valutare la gravità delle cose.
A volte mi viene da pensare che certi movimenti estremistici
e rivoluzionari (che certamente hanno gravi colpe) avrebbero
avuto molto meno seguito se gli esseri umano fossero stati un
po’ più coerenti con la morale cristiana.
Volevo chiarire che non sono un antiamericano sul piano
culturale, faccio la distinzione tra pre-globalizzazione e postglobalizzazione. Esistono però dati economici oggettivi. I
mercati finanziari denominati in dollari rappresentano circa la
metà dei mercati finanziari mondiali. I mercati finanziari
denominati in euro rappresentano circa un quarto.
21
Quindi, quando le decisioni di politica monetaria della
Federal Reserve o i fenomeni finanziari negli Stati Uniti, si
irradiano in tutto il mondo. Tutto questo avviene a causa della
dimensione dell’economia americana. Anche senza volerlo.
Quello che invece io critico sono alcuni eccessi del pensiero
neoconservatore americano, britannico ed Europeo. Lo critico
perché tutti abbiamo memoria storica: pochi anni fa, quando si
parlava dei futures, chiunque parlava di difesa dello stato
sociale e di politiche economiche “attive” veniva considerato o
un visionario o uno statalista. Questa visione, che viene anche
dal mondo protestante americano (di per sé molto variegato,
poiché include anche esponenti vicini alla teologia della
liberazione), ha avuto un influsso negativo sulle scelte di
politica economica. Possiamo collocare l’inizio di questo
influsso culturale negli anni Ottanta, dopo la fine del sistema a
cambi fissi, quindi in un preciso periodo storico e in un preciso
ambiente.
Secondo me questo pensiero neoconservatore rispondeva
non agli interessi degli imprenditori, non dei produttori di beni
reali, ma agli speculatori finanziari professionisti. Si tratta di
una professione ben diversa da quella dell’imprenditore, ossia
di colui che produce beni materiali come tavoli, vestiti, beni
alimentari. Ebbene, esiste una piccolissima minoranza, una
élite finanziaria e di businessmen che, anche attraverso il
controllo dei mass media, ha potuto influenzare ampi settori
della società.
Quindi la mia critica non è assolutamente contro l’America
né tantomeno contro la sua cultura, ma verso alcuni problemi
etici insiti nel pensiero neoconservatore, che, per un’insieme di
cause, ha ottenuto forte seguito negli Stati Uniti, anche se non
solo negli Stati Uniti.
22
E il debito pubblico dell’Italia? Non è stato causato da una
mala gestione, come l’andare in pensione dopo pochi anni di
servizio?
È vero che l’Italia ha un gravissimo debito pubblico.
Questo è il problema fondamentale italiano.
La lotta contro il debito pubblico italiano ha avuto fasi alterne.
Sono pienamente d’accordo sul fatto che questo debito
pubblico è stato frutto di un certo malcostume generalizzato,
che non riguardava una sola parte politica. Esisteva certamente
una certa demagogia che consentiva sacche di inefficienza nel
settore pubblico, assenteismo e altri fenomeni negativi. Ma tra i
dipendenti pubblici non ci sono solo assenteisti, ci sono anche
persone di grandi capacità ed efficienza, ma la cui abilità non è
premiata. Esistono una serie di normative e di meccanismi
della pubblica amministrazione per cui è difficile sanzionare i
comportamenti scorretti ed è difficile premiare i comportamenti di onestà e di efficienza superiore alla media.
Su questo bisogna indubbiamente mettere mano e io lo dico da
economista keynesiano: proprio perché credo nell’intervento
regolatore (non nell’irruenza) dello Stato, non si può accettare,
sul piano logico, che lo stato sia inefficiente, o che sia un’arma
spuntata. Chi crede nelle politiche economiche attive, a
maggior ragione dovrebbe essere ancora più fermo e più severo
nel pretendere che determinati comportamenti inefficienti siano
colpiti: la mala sanità, l’assenteismo nella Pubblica
Amministrazione, all’inefficienza dei dirigenti.
L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori esiste, dovrebbe essere
applicato anche nel settore pubblico.
Episodi di assenteismo seri, le prime volte sanzionati se
reiterati, dovrebbero portare al licenziamento e al tempo stesso
bisogna premiare chi, nel settore pubblico, svolge
maggiormente il lavoro.
23
È un dato di fatto però che il debito pubblico italiano ha
avuto fasi alterne. Verso la fine degli anni Novanta (intorno al
1997-98) si era raggiunto l’avanzo primario, con politiche
molto oculate. Che cos’è l’avanzo primario? È una differenza
positiva tra spesa pubblica ed entrate: la situazione in cui le
entrate dello Stato sono più alte della spesa pubblica. Non c’era
l’avanzo complessivo, ossia il settore pubblico era in deficit
complessivamente, perché la spesa sugli interessi passivi, sul
debito pubblico accumulato era alta, tanto alta da più che
compensare l’avanzo primario (ossia la semplice differenza tra
entrate fiscali e spese).
Il debito pubblico è sceso in certe fasi e cresciuto in altre e
adesso è effettivamente un problema. È però probabile che
anche i vincoli del trattato di Maastricht, che pongono limiti
ben precisi alla dinamica sul debito pubblico, in questa fase di
crisi così severa, potranno essere leggermente allentati.
Personalmente, non sono per allentarli senza limiti, altrimenti
si rischiano derive demagogico-populiste o la perdita del
controllo del debito pubblico, come è avvenuto in Islanda,
Paese insolvente. Non bisogna eliminare i dispositivi di politica
economica di controllo del debito pubblico, però i vincoli posti
dal trattato di Maastricht potranno forse in futuro essere un po’
allentati, o quanto meno l’interpretazione di questi vincoli
potrebbe diventare un po’ più accomodante.
È vero il fatto però che il debito pubblico americano ha
avuto un’espansione senza freni, senza contenimento. La
politica monetaria della Federal Riserve dal 2007 ad oggi è
stata volta ad abbassare continuamente i tassi ufficiali di
sconto, mentre la nostra banca centrale faceva una politica più
restrittiva e più severa. In una prima fase aveva anche le sue
ragioni.
Ma perché faceva questo la Fed? Ha certamente economisti
brillantissimi e di grande statura, ma in quella fase la politica
faceva pressione sulle scelte economiche, come ha affermato
24
anche il Prof. Savona, proprio pochi giorni fa alle “Lezioni
Arcelli”, tenutesi presso la mia Facoltà, l’Università Cattolica –
sede di Piacenza.
Personalmente mi limito a osservare che dal 2007 alla fine
del 2008, l’agenda politica americana prevedeva scelte di
politica estera che implicavano un forte volume di spesa
militare, legata in gran parte alla guerra dell’Irak. Questo ha
generato un livello di debito pubblico molto alto. La Fed
avrebbe potuto monetizzare il debito pubblico (come ha
effettivamente fatto, continuando ad acquistare titoli di debito
pubblico, tenendo, di conseguenza, i tassi a un livello basso), o
non monetizzare il debito pubblico, lasciando che i tassi
crescessero. Ma se i tassi fossero cresciuti, la gente avrebbe
comprato meno case, i prezzi delle case sarebbero crollati e la
bolla speculativa “immobiliare” sarebbe scoppiata prima. La
crisi del mercato del subprime sarebbe scoppiato un anno o due
prima, allora perché solo posticiparla?
Il mio punto di vista, del tutto criticabile, è il seguente: il
grado di indipendenza del presidente della Federal Reserve è
inferiore rispetto al grado di indipendenza degli altri bancheri
centrali, poiché il Presidente degli Stati Uniti è l’autorità che
nomina il Presidente della Federal Riserve. Personalmente ho
molta ammirazione per Bernanke, essendo stato visiting fellow
a Princeton quando lui era direttore del dipartimento di
economia, però è un dato di fatto che Bernanke era un economista vicino a Bush e al suo entourage. Posto che la bolla sul
mercato immobiliare prima o poi sarebbe scoppiata, cercare di
ritardare il momento dello “scoppio” della bolla speculativa di
un paio di anni, dopo la crisi dei subprime del 2007, poteva
avere qualche significato politico. Non dimentichiamo che le
elezioni presidenziali americane si sono tenute nel novembre
2008.
Come economista non posso non rilevare, come peraltro
osservato dalla maggior parte degli economisti, che la politica
25
di tassi bassi, di basso costo del denaro e di facile
finanziamento per le banche, induceva le banche stesse ad
essere poco prudenti nel concedere credito alla clientela,
allentando il grado di rigore nel monitorare e distinguere i
clienti rischiosi da quelli meno rischiosi. Lo stesso Greespan ha
fatto pubblica ammenda. Diversamente dalla Federal Reserve,
la Banca Centrale Europea ha seguito una politica monetaria
molto più severa e rigorosa e il processo di nomina del
presidente della BCE e dei suoi organismi dirigenti la rende
molto più indipendente dal potere politico di quanto non sia la
FED.
Se uno va in banca e investe i titoli al 2% e qualcuno gli
dice che al 5% ci sarebbero altri titoli, perché non li compera?
La colpa non è solo di chi li proponeva, ma anche di chi li
accettava perché ne avrebbe avuto guadagni maggiori.
A fare questo errore sono stati molti, e qui c’è una
responsabilità delle nostre banche.
La banca presso la quale ho il mio conto corrente, nell’estate
del 2008, ha cercato di vendermi le obbligazioni Lehman
Brothers, dandomi qualche consiglio. Ho risposto di no,
dicendo che mi occupavoo un pochino di economia e ritenevo
avventato acquistare quei titoli in quel momento. Poco tempo
prima del fallimento di Lehman Brothers, “Patti Chiari”
assegnava la tripla A ai suoi titoli e molte delle banche aderenti
a “Patti Chiari” continuavano a collocare titoli “Lehman
Brothers” presso la loro clientela, composta anche di persone
anziane o che non si interessavano di economia e che in buona
fede si fidano dei consigli dati dai funzionari. E che facevano
questi funzionari? Ricevevano pressioni dai loro dirigenti per
26
collocare questi titoli e la loro stessa carriera dipendeva dal
fatto di riuscire a collocare questi titoli.
È tutto il sistema che è perverso. Anche io ho litigato con il
direttore di una filiale di banca che cercava di vendere ad una
mia zia molto anziana delle obbligazioni molto dubbie.
Quali sono gli stili di vita dominanti? Qual è il ruolo
dell’educazione? Che cosa pensa dell’industria della moda?
È un’industria importante per l’economia italiana.
Credo che forse però trasmetta dei valori discutibili sul
piano etico: che senso ha vendere a 5000 euro un vestito che
sarà acquistato e indossato solo per due o tre occasioni? Questo
ci dovrebbe portare a riflettere. Molte persone si ispirano a
questo stile di vita, anche per effetto dei modelli culturali
televisivi, che trasmettono una mentalità narcisistica, che esalta
solo l’immagine esteriore e l’apparenza di una persona.
Un libro che mi piace molto è Anatomia della distruttività
umana, che descrive il narcisismo individuale, la scelta di
“apparire” anziché “essere”, la scelta della superficialità come
modo di vita.
Credo che manchi una critica sociale.
La valutazione sociale e comune di ciò che era bello e di ciò
che era elegante, negli anni settanta, rispondeva a dei canoni un
po’ più accettabili sul piano etico: uno poteva essere bello con i
jeans, con vestiti più sobri e questo rifletteva uno stile un po’
meno mediato dall’immagine, dal voler apparire.
Sono completamente d’accordo sul fatto che ci debba essere
una riflessione sugli stili di vita e sul narcisismo e su quali sono
le origini anche psicologiche del narcisismo.
27
L’apparenza è diventato tutto: il riuscire ad avere un look da
quarantenne anche se si hanno 70 anni sembra la cosa più
importante per la vita di molte persone.
Spesso una persona soffre perché si sente insoddisfatta e se
non ha l’immagine di sé si sente persa. Bisogna fare in modo
che questa persona trovi altre gioie più genuine, più dirette,
legate all’essere, non all’apparire. L’educazione e il lavoro
costante degli educatori è insostituibile.
È stato dato un quadro un po’ pessimistico, che cosa
possiamo fare noi in questa situazione?
Sono d’accordo sul fatto che bisogna rimboccarsi le
maniche, bisogna avere non l’atteggiamento passivo
assistenzialista di chi aspetta la manna che venga dal cielo a
darci l’aiuto. Le forme di intervento a tutela di chi perde il
lavoro, di solidarietà devono essere organizzate in modo da
essere non delle distribuzioni a pioggia, ma di sussidi per
attività socialmente utili delle persone che li ricevono.
Tito Boeri afferma che a volte le attività di formazione per i
disoccupati non funzionano bene, perché si finanziano i
formatori più che i lavoratori disoccupati. Probabilmente è
meglio sussidiare i disoccupati facendoli lavorare su progetti
utili e condizionare il sussidio al fatto che non si possano
rifiutare offerte di lavoro, pena la perdita del sussidio.
Che cosa possiamo fare noi? Nella nostra attività quotidiana
vigilare, dare testimonianza, fare pressione contro tutti i
comportamenti non etici, scorretti sul piano della gestione del
denaro pubblico. Credo che questo sia difficile, ma parlo a
persone che sono motivate da valori etici forti: sapere che il
nostro compito morale è difficile e che siamo in pochi a
testimoniare i nostri valori non ci deve scoraggiare.
28
Le economie emergenti (Brasile, Cina, India)
Brasile, Cina e India diventeranno e sono già in parte delle
potenze economiche.
La Cina sta avendo un ruolo politico enorme nei paesi
africani (abbiamo visto il Sud Africa non ammettere il Dalai
Lama ad un’importante conferenza su pressione della Cina e,
personalmente, trovo aberrante quello che sta accadendo in
Tibet).
L’economia cinese è un’economia di comando, perché il
sistema comunista cinese si è trasformato in un sistema in tutto
e per tutto ultraliberista, con un liberismo più sfrenato, privo di
ogni vincolo.
L’India è un paese che ha moltissime contraddizioni. Ad
esempio, c’è ancora il peso delle caste, ma è un paese che ha un
grande avvenire. Presto questi Paesi saranno le nuove potenze
economiche.
Credo che in futuro ci sarà una riduzione del potere
economico mondiale degli Stati Uniti e dell’Europa, anche del
nostro, e un aumento del potere economico mondiale di questi
paesi.
Il ruolo dell’Italia in questo contesto
L’Italia, purtroppo, già da prima della crisi finanziaria non
versava in condizioni particolarmente felici, perché l’industria
italiana è poco presente nei settori altamente tecnologici e
innovativi. La stessa India è all’avanguardia nei settori come
l’informatica.
Questa è un po’ colpa nostra. L’Italia è un paese che
continua con tutti i governi di qualunque colore politico a
29
togliere risorse alla ricerca. E la ricerca non include solo studi
teorici ed astratti (che comunque hanno la loro funzione), ma
anche è la ricerca ingegneristica, per soluzioni tecnologiche,
nuovi macchinari.
Prima dell’euro molte imprese, anche di questa zona del
nord est, basavano la loro prosperità sulle continue svalutazioni
della lira, che voleva dire prodotti da vendere a buon mercato i
nostri prodotti ai tedeschi e agli altri Paesi europei, con cui la
nostra economia era fortemente integrata. Arrivato l’euro,
questo è finito. D’altra parte non ci fosse stato l’euro avremmo
pagato la benzina carissima e i tassi di interesse sarebbero
schizzati a livelli altissimi, quindi la situazione economica
sarebbe stata molto peggiore. Il ruolo dell’Italia era già un po’
problematico; io credo che bisogna anche qui investire nella
ricerca. E investire nella ricerca vuol dire investire nell’uomo,
nelle capacità umane di creare invenzione, di creare nuove
soluzioni. Su questo mi piacerebbe che ci fosse un accordo,
indipendentemente dal colore politico dei governi, per cui tutti
dovrebbero impegnarsi a non tagliare più risorse all’istruzione
e all’università e ad aumentarle.
Il ruolo dei fondi sovrani
Bisogna riscrivere le regole dei mercati mondiali. Secondo
me non lo si sta facendo. Il rischio è che si cambi tutto per non
cambiare nulla. I punti focali che ho cercato di esprimere erano
questi: bisogna impedire questa deregulation assoluta e
bisogna, se non altro, che non si concedano dei fondi pubblici a
chi ha avuto responsabilità in questo fallimento.
I modelli economici su cui si basavano le politiche
economiche erano modelli abbastanza ideologici. Un tempo
30
c’era il marxismo, un’ideologia di altra natura, oggi ci sono
delle ideologie magari più sofisticate, ma sono sempre delle
ideologie. Vi faccio un esempio: su cosa si fondano i modelli
neoliberisti di decisione della politica economica? Si descrive,
da un punto di vista matematico, l’economia con il cosiddetto
“agente rappresentativo”, l’italiano medio, l’americano medio,
ecc.. Poi si moltiplica per 57 milioni di volte l’individuo
medio, immaginando che il comportamento collettivo sia
rappresentabile in questo modo. Primo problema: seguendo
questo approccio si esclude l’eterogeneità. Si ipotizza a priori
che non esista differenza di comportamento né di bisogni tra i
poveri, tra chi è più amante del rischio, e chi è più avverso.
Secondo aspetto: si sosteneva che la semplice concorrenza
sarebbe stata sufficiente a impedire questi squilibri abnormi tra
redditi dei lavoratori e redditi dei grandi manager.
Credo che il fatto che in epoca keynesiana un top manager
potesse guadagnare 20 volte lo stipendio di un operaio potesse
essere giustificato da vari fattori, ma il fatto che pochi mesi fa,
alla vigilia della crisi, un top manager finanziario fosse pagato
300 volte lo stipendio di un operaio, è assurdo e non ha
giustificazione. Semmai dimostra che la convinzione degli
ultraliberisti, secondo la quale bastava la pressione competitiva
tra le grandi società per contenere le sperequazioni salariali è
pura ideologia o, nella migliore delle ipotesi, una pia illusione.
Così come non è vera la grande bufala ideologica secondo cui
si poteva eliminare il rischio di un portafoglio titoli
diversificandolo sufficientemente bene, per settori industriali,
per nazioni, per paesi. È stato sottovalutato il rischio di
sistema. Forse è stato addirittura ignorato.
31
Tutte le critiche al pensiero neoliberista prima non c’erano?
Molte delle cose che ho detto oggi le ho pubblicate in vari
articoli, su varie riviste, a partire dagli anni 2000. Posso
eventualmente darvi gli estremi di queste riviste.
Quando dicevo queste cose mi davano dello statalista, del
comunista. Io non credo di essere né statalista né comunista,
però queste cose le dicevo motivato da argomentazioni
tecniche di tipo economico.
Gli ammortizzatori vanno fatti in modo corretto
Sono d’accordo sul fatto che gli ammortizzatori sociali
devono essere fatti in modo corretto, compatibile con gli
incentivi, senza demagogia.
La crisi su chi graverà di più?
Mi rendo conto che una gran parte della crisi graverà sugli
stranieri e sui lavoratori stranieri, perchè sono i meno tutelati e,
spesso, meno consapevoli dei loro diritti e del modo con cui
difenderli. Quindi sono più deboli.
Vorrei richiamare il valore della gratuità
Questo ci ricollega al ragionamento che facevamo del
legame che ci deve essere tra etica ed economia.
32
Io credo che siano i principi cristiani ad averci insegnato il
valore del dono, della gratuità.
Gratuità non vuol dire essere ingenui e quindi dare a chi non
se lo merita: il principio della gratuità può suggerirci di
individuare delle fasce sociali che richiedono interventi
pubblici, non soggetti a controlli e a limiti sulla base di valori
etici; ad esempio rispetto dell’infanzia, diritto alla vita,
sostegno alle ragazze madri in situazioni famigliari ed
economiche disagiate, in modo da scoraggiare il ricorso
all’aborto. Per fare questo però occorrono politiche di Welfare
molto decise e di largo respiro . Non si può parlare di diritto
alla vita e non garantire l’intervento dello Stato per ragazze
madri, abbandonate in situazioni disagiate.
La gratuità è un fatto importante. Gli economisti ci
insegnano che debba essere conciliata (mi spiace fare
l’avvocato del diavolo) con il principio di incentivo di
compatibilità. Le risorse, il denaro pubblico devono essere
compatibili con gli incentivi di ognuno: se si è incentivati a non
impegnarsi, a non dare la propria produttività e si riceve denaro
senza nulla in cambio, non si può pensare di vivere in una
società efficiente e produttiva. Però una cosa che si può fare è
prevedere un ruolo delle fondazioni benefiche, delle
Associazioni di volontariato e del settore no profit. Quello che
lo Stato dovrebbe fare è dare maggiori risorse (sulla base di
“bilanci sociali” che rivelino gli obiettivi sociali raggiunti) al
settore no profit, al settore del volontariato, il quale, non
essendo titolare di politiche economiche universalistiche, può
intervenire ad personam col principio della gratuità cristiana.
Queste considerazioni dovrebbero indurci a richiedere che
lo Stato abbia un occhio particolare, che non tolga risorse al
settore no-profit in questa situazione di crisi, magari
sottoponendolo a degli standard di controllo, costituiti da
misuratori sociali del servizio offerto alla collettività.
33
I titoli tossici e il problema dei “futures”
C’è certamente un problema dei futures. Cosa sono i
futures? Con un future si acquista oggi non un titolo, ma il
diritto di comprare in futuro un titolo a un prezzo pattuito oggi.
Per esempio, se c’è un’azione che vale 100 e mi aspetto che
tra un mese valga 110, io compro il diritto di avere tra un mese
a un prezzo pattuito oggi. Tra un mese riceverò il titolo (al
prezzo complessivo, pattuito oggi, di 100) e lo rivenderò a 110.
Il future dunque è lo specchio delle aspettative che il mercato
formula sul prezzo di questa azione domani. Il future tuttavia
non è il prezzo intero dell’azione, ma il prezzo del solo diritto
di avere domani questa azione.
Comprando un futures, faccio una scommessa sulle
aspettative, sulle mie previsioni, quindi il mercato dei futures è
altamente volatile e oscilla tantissimo, così come oscillano
tantissimo le aspettative e la percezione degli individui sul
mercato futuro.
Il pensiero neoliberista (anche Keynes era liberista, anch’io,
che sono keynesiano, lo sono, ma essere liberisti non significa
affatto condividere il pensiero neoconservatore), prima della
crisi sosteneva che il mercato futures avesse la facoltà di
rendere il sistema finanziario più sicuro, facilitando la
diversificazione del rischio e permettendo agli operatori di
“assicurarsi” contro le oscillazioni dei prezzi dei titoli.
Tutte queste opinioni si sono rivelate profondamente
sbagliate, perché il sistema dei futures si basava implicitamente
sull’idea delle cosiddette aspettative razionali.
Cosa sono le aspettative razionali? Sono l’idea economica,
tipica del pensiero neoconservatore, secondo cui le previsioni
formulate dagli individui sul mercato non sono
sistematicamente sbagliate. Magari gli individui sbagliano le
previsioni, ma non sempre nella stessa direzione: a volte in
eccesso e a volte in difetto, ma mediamente le previsioni
34
saranno giuste. Di per sé questa può sembrare un’affermazione
ragionevole e condivisibile. Tuttavia, in termini matematici, nei
modelli teorici utilizzati per la politica economica, questa
ipotesi si è tradotta nell’ipotesi che gli individui non sbagliano
le previsioni, e che questo sia possibile semplicemente
diversificando in modo adeguato il rischio. Gli errori di
previsione in difetto dovrebbero compensarsi con gli errori di
previsione in eccesso e, di conseguenza, gli individui non
sbaglierebbero le loro previsioni... Dunque, stando a questa
interpretazione, l’aspettativa razionale degli individui si
avvicina all’idea che il mercato (ossia gli esseri umani nel loro
complesso e nel loro comportamento collettivo) formulino
previsioni perfette.
Sul piano della riflessione teologica ho più di una difficoltà
nell’accettare questa idea secondo cui che gli esseri umani, sia
pure nel loro complesso e nel loro comportamento collettivo,
facciano delle previsioni perfette.
Questo è un altro degli esempi, a mio avviso, della
debolezza, sul piano etico, di questo tipo di visione economica.
L’illusione secondo cui si potesse diversificare quasi sempre
adeguatamente il rischio, l’illusione di aspettative razionali
illimitate sono tipici elementi del pensiero neoconservatore,
caratterizzato da forti venature ideologiche. Erano questi i
principi teorici dell’ideologia dell’ultraliberismo, del profitto
fine a se stesso e del mercato fine a se stesso.
Premesso che nessuno mette in discussione il mercato, che
nessuno dubita del fatto che il mercato sia meglio di altre
organizzazioni sociali (come l’aberrante pianificazione
centralizzata), la cosa da richiedere è che si crei maggiore
controllo: occorre una governance internazionale e una
governance dei mercati finanziari, così come occorre dare un
ruolo maggiore ai paesi più poveri, che adesso hanno un peso
di voto bassissimo nelle organizzazioni finanziarie
internazionali.
35
Il risparmio eroso e l’evasione fiscale
Condivido la preoccupazione espressa dal sindaco di Affi
sul fatto che il risparmio sia stato eroso. Il comportamento
tipico degli italiani è un po’ cambiato, soprattutto per le
persone di queste zone, che un tempo erano più propense al
risparmio. Condivido anche il discorso sull’evasione fiscale.
Quello che ho detto nel mio intervento è che l’impatto
macroeconomico dell’evasione fiscale è molto forte e sono
pienamente d’accordo che l’evasione fiscale sia da combattere
con decisione.
Cosa è successo in Italia dopo il 2000?
L’Italia aveva già un’economia in rallentamento prima della
crisi, dovuta alla scarsità di innovazione delle nostre aziende e
anche alla scarsità di fondi destinati alla ricerca e allo sviluppo.
Il resto del mondo non era in recessione prima del 2007. Noi
non eravamo, strettamente parlando, in recessione ma avevamo
una crescita molto stentata e molto rallentata. La crisi
finanziaria, ovviamente, non ha fatto che aggravare questa
situazione di farci cadere in una grave recessione.
È importante il problema di chi fa le leggi sull’evasione
fiscale
La lotta all’evasione fiscale è un fatto di volontà politica.
Sarebbe auspicabile che questo fosse un impegno pubblico
“bipartisan”, indipendentemente dal colore politico di chi
governa. Chi governa però non deve mai strizzare l’occhiolino
36
agli evasori per cercare consenso in certe categorie sociali e
non deve mai più giustificare in alcun modo, diretto o indiretto,
l’evasione fiscale.
Si attuino concreti provvedimenti per avere, senza sforzi per
la guardia di finanza, una riduzione del fenomeno. Ad esempio,
è sufficiente reintrodurre la norma sulla tracciabilità degli
assegni bancari, abolita dal presente Governo, oppure
basterebbe rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi.
Questo richiederebbe solo alcune piccole modifiche sulla
normativa della privacy e, ripeto, basterebbero alcuni punti
percentuali di recupero dell’evasione fiscale per avere le risorse
per finanziare maggiori ammortizzatori sociali, come il
sussidio di disoccupazione generalizzato.
Il problema degli ammortizzatori sociali
È un problema grave. Già Biagi, quando aveva parlato della
sua proposta di legge, aveva ipotizzato di mettere mano al
meccanismo degli ammortizzatori sociali e purtroppo questo
non è stato fatto con la dovuta decisione da nessun governo di
nessun orientamento politico. Anche questo è un fatto
importante.
Può la crisi avere qualche aspetto educativo?
Penso di sì. Forse ci potrà aiutare a capire, se vogliamo
essere più vicini alla sofferenza delle persone che fanno parte
della comunità e che sono in difficoltà, e possiamo sentire di
più anche il valore del sacrificio, della rinuncia, e forse
potremo imparare ad apprezzare il dare come il ricevere.
37
Quale uomo, quale società, quale Chiesa stiamo servendo?
Sono completamente d’accordo sulla necessità di una
riflessione, sul cambiamento antropologico dell’essere umano
negli ultimi vent’anni e su quanto si sia enormemente ridotto il
peso dei rapporti umani. I giovani passano molto meno tempo
in compagnia di quanto ne passano davanti al computer e
davanti alla televisione. Questo sta avendo degli effetti molto
negativi sulla capacità di interagire.
In una delle sue lettere, l’apostolo Paolo affermava che il
nostro corpo è come il tempio di Dio, il tempio dello Spirito:
quindi è importante ascoltare la voce della coscienza se ci parla
e ci suggerisce quando è
giusto intervenire e dare
testimonianza pubblica, sul piano sociale o nei rapporti con gli
altri esseri umani o nell’impegno civile, sempre con molta
sincerità, a costo di apparire scomodi, o, magari, di suscitare
qualche controversia, tra le tante opinioni presenti anche
all’interno della Chiesa o della confessione religiosa di cui
facciamo parte.
Mi perdonerete se mi sono permesso di concludere così.
Credo che la sincerità di spirito e la chiarezza con cui si espone
il proprio pensiero non deve farci paura: perché, se anche
saremo criticati (magari qualche volta anche da fratelli della
nostra Chiesa, o della nostra confessione religiosa), se parliamo
con limpidezza, onestà, spiegando bene i sentimenti e le
ragioni alla base del nostro pensiero, ebbene, credo che la
nostra testimonianza meriti sempre di essere espressa.
38
Stampato in proprio ad uso interno
Eventuali imprecisioni nel testo (non rivisto dal relatore) dipendono dal
fatto che esso è stato trascritto direttamente dalla registrazione
39
Scarica

CRISI ECONOMICO-FINANZIARIA Nuove regole e impegno