Dall’Agricoltura –all’Intercultura
PACHINO – NUCET parlano la stessa lingua
Scriviamo queste pagine per quelli che non hanno vissuto
la nostra esperienza.,per quelli che, come noi, studiano la
storia dai libri sui banchi di scuola. Confessiamo: non è
stato facile! Però abbiamo lavorato, con passione, spinti
dal desiderio di aiutare i nostri compagni a scoprire dai
nostri occhi e dai nostri cuori la verità della storia e far
luce nelle leggende.
Ci ha fatto piacere scriverla, pensando che i nostri amici
sentiranno, così come abbiamo sentito noi, che Romania e
Italia hanno una storia di lavoro, di creazione, di lotta ed
eroismo, che dobbiamo conoscere e amare, così come
amiamo noi stessi. Perchè l'amore per il Paese deve
essere lo stesso con i sentimenti con i quali siamo nati e
con i quali dobbiamo crescere: profonda, seria, degna,
nobile.
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La Lupa Romana
La leggenda di Roma
Si racconta che molto tempo fà, quando i lupi erano
fratelli con gli agnelli e giocavano insieme, viveva un
imperatore e una imperatrice. Ed erano molto anziani, che
appena potevano camminare per come erano gobbi .
Avevano due bambini. Erano molto orgogliosi di loro e li
amavano tantissimo perchè erano coraggiosi, forti e buoni
con tutta la gente.
E arrivò per i ragazzi il tempo di sposarsi. Trovarono due
spose belle e fecero due matrimoni grandiosi, la loro
notizia arrivò molto lontano. Dopo un po’ di tempo
l'imperatore e l’imperatrice morirono, lasciando l'impero
ai loro figli. Prima di morire consigliarono loro di essere
buoni e perdonare la gente, di non discutere fra di loro e
condurre l'impero a turno: un anno un fratello, l'hanno
prossimo l'altro e così via.
Il primo anno fu il turno del fratello maggiore. Comandò
con gentilezza e giustizia un anno però, quando arrivò il
turno del fratello minore, non glielo permise e mandò in
prigione lui e sua moglie. Loro avevano una bimba.
Rimasta senza genitori la bimba crebbe a casa di un
buttero e quando divenne grande si sposò con il figlio
delbuttero. Dopo un anno vennero alla luce due gemelli,
bellissimi e carini come due perle. La loro mamma li
amava come i suoi occhi, li coccolava e giocava con loro
con tanto amore e gentilezza.
Però quando l'imperatore, loro zio, sentì della loro
nascita, mandò un servo di notte per rapirli e ucciderli e
mandare in prigione la loro mamma. Però il servo non
ebbe il coraggio di ammazzarli e li mise in una cesta e poi
li posò lungo le rive del fiume.
L'acqua li trascinò per molto tempo finche la cesta si
fermò ….
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Il posto era deserto, lontano da dove viveva la gente, solo
animali selvaggi vivevano lì. Svegliatesi ed affamati, i
bambini incominciarono a gridare. Si avvicinò loro una
lupa e, come li vide, si ricordò dei suoi cuccioli che erano
stati uccisi dai
cacciatori i
giorni scorsi.
Al posto di
mangiarli lei si
mise intorno a
loro come una
madre e diede
loro da
mangiare.
E cosi passò il
tempo....
I bambini divennero abbastanza grandi per correre in giro
con i lupi. Un giorno alcuni pastori vennero a prenderli e li
portarono in un ovile.
Però non fu facile
domarli, perchè i bambini
erano forti, veloci nei
movimenti e se venivano
avvicinati cominciavano a
gridare e mordere così come la
lupa aveva insegnato. A loro
non piaceva il latte o la carne
cotta. Volevano solo carne
cruda, senza sale e il latte
fresco. Dormivano fuori, sulla
terra fredda, non volevano
dormire in casa, nel letto. Dopo
molto tempo i pastori
riuscirono ad abituare i bambini alla vita degli uomini.
Impararono a parlare e a vestirsi come loro. E i nipoti del
l’imperatore crebbero belli e forti come le fate delle favole.
Furono chiamati Romulus e Remus.
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La notizia della loro bravura, forza e bellezza andò molto
lontano. E camminando loro nell’ impero scoprirono di
essere i nipoti dell’ imperatore e che il loro nonno e la
loro mamma erano in prigione. In quel momento, presi
dalla furia,
chiamarono
tutti i
pastori,
presero
l'imperatore
e lo
mandarono
in prigione,
e rimisero il
loro nonno
sul trono
dove era il
suo posto.
Per
ringraziarli il nuovo imperatore regalò ai suoi nipoti metà
dell’ impero. Sul posto dove la lupa li aveva incontrati
costruirono un palazzo grandissimo e bellissimo. E poiché
non sapevano che nome dargli, decisero di mettersi alla
prova: chi avrebbe avvistato più aquile insieme,avrebbe
dato il proprio nome al palazzo.
Remus vide sei aquile e Romulus dodici. E il palazzo si
chiamò Roma, il nome di chi lo governò con pace e
giustizia per molto tempo.
La statua "La Lupa di Roma", simbolo della latinità del
popolo romeno, è una presenza emblematica della
capitale e di altre città del Paese
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Dal 1997 a Bucarest, la troviamo ad aspettarci passando
da Piazza Romana, all’ inizio del Bl.d Lascar Catargiu.
Realizzata in bronzo, alta di 0.80m e messa su un
basamento di pietra alto di 2.50 m, "La Lupa Romana"
mantiene viva la legenda di coloro che hanno fondato
Roma, Romulus e Remus, che sono stati salvati dalla
morte, quando erano piccolini dalla lupa, che diede loro
da mangiare il suo latte. Quest’anno, "La Lupa Romana"
compia 100 anni.
La statua è stata portata a
Bucarest, come dono dello stato
italiano, durante l'esposizione
giubiliana "Carol 1-40 anni di
signoria e Romania - 25 anni di
regno", e sul suo basamento di
pietra si può leggere "Regalo di
Roma - 1906".
In un primo tempo la statua fu nel Parco Carol I, dove fu
esposta , poi un anno più tardi
fu nel Museo Militare, che era
situato nello stesso parco. Non
rimase per molto tempo
nemmeno li, nel 1908 fu portata
nella ex Piazza di Roma, che si
trova all’ entrata della via
Lipscani, vicino al posto dove
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oggi c’e il Magazzino Bucarest.
Nel 1932, "La Lupa Romana" fu portata sul colle della
Mitropolia. Dal 1946, quando i comunisti la spostarono di
nuovo e fino al 1997, la statua è stata
nella Piazza delle Confederazioni degli
Stati Balcanici, posto conosciuto oggi
come Parco Constantin Brancusi della
Piaza Dorobanti. Questi movimenti della
"Lupa Romana" ci fanno vedere che
nell’arco di un secolo, in Bucarest non si è
trovato un posto speciale per questo
simbolo della latinità del popolo romeno e
che il "regalo di Roma" è stato più un
"inquilino" nella capitale della Romania che “un padrone di
casa”. Il posto dove si trova oggi la rende accessibile per
quelli che la vogliono vedere, è all’incrocio di Piazza
Romana ed è stato rischioso per noi raggiungerla quando
abbiamo voluto scattare delle foto, però è bene per la
statua, perché è protetta. "La Lupa Romana" ha subito
tre accidenti, il suo basamento di pietra è danneggiato.
Però tranne questo, quest’anno "La Lupa Romana" compie
100 anni.
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Sicilia : Magna Grecia
Attirati dalle bellezze naturali dell'isola, i greci si
stabiliscono nel 735 a.C. circa lungo la costa orientale
fondando, diversamente dai fenici, colonie di popolamento
(colonie agrarie) e semplici empori. Allora la Sicilia era
coperta da fertili terre vulcaniche, aree boscose e zone
molto più ricche di risorse naturali: questo spinse i
mercanti calcidici, venuti dall'Eubea, a fissare la loro
dimora a Nasso, alle falde dell'Etna, e a fondare Leontini
(attuale Lentini), come città prevalentemente agricola e
Catania come città dedita ai commerci.Numerose altre
colonie nascono poco dopo: Zancle (attuale Messina),
Milazzo e Imera.
Siracusa diviene la principale colonia greca nel 734 a.C.
ad opera dei Corinzi venuti dopo i Calcidesi. Una serie di
città elleniche si estende così lungo la costa insieme a
Megara Iblea che, fondata dai megaresi, colonizza
Selinunte, che successivamente fonda Eraclea Minoa.
Circa un secolo dopo gli abitanti di Rodi e Creta avanzano
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lungo la costa meridionale della Sicilia per fondarvi Gela
da cui ha origine Agrigento nel 582.
Tra i governi tirannici che si instaurano all'interno del
paese hanno lunga durata quelli di Panenzio a Leontini, di
Falaride ad Agrigento, di Ippocrate a Gela e di Gelone a
Siracusa.
Quando, intorno al 480 a.C., si delinea la minaccia
cartaginese, le città greche (o siciliote) si coalizzano
guidate dai rispettivi capi e riescono a resistere all'attacco
dei nemici. Lo scontro decisivo coinvolge Siracusa e
Agrigento presso Imera, sulla costa settentrionale, e si
risolve con la vittoria sul generale cartaginese Amilcare
Magone. Questa vittoria completa quella di Temistocle su
Serse e contribuisce in gran parte a salvare la civiltà
ellenica dalla minaccia barbara. Alla battaglia di Imera
segue il periodo più florido dal punto di vista culturale ed
artistico: Agrigento conosce il suo apogeo già al tempo del
tiranno Falaride (571-554), uomo tanto potente quanto
crudele, che faceva arrostire i suoi nemici in un toro di
bronzo ma
che ha
reso
Agrigento
temibile
per i
cartaginesi
e prospera
nelle
scienze e
nella
poesia;
persino
Pitagora era ospitato presso di lui. Anche Siracusa
risplende dopo la vittoria di Imera sotto Gerone,
successore di Gelone, al quale si deve la costruzione
dell'istmo che ancora oggi unisce la terraferma all'isola di
Ortigia, separando i due porti. Questo è il momento più
proficuo anche per la corte che ospita artisti di ogni
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genere: da Eschilo, a Simonide, a Pindaro ecc.La forza
marina e mercantile di Siracusa aumenta: si esportano
cereali, bestiame, tessuti e manufatti in genere fino alla
Sardegna e alla Corsica. Si assiste ad un aumento
demografico pari a quello di Atene e lo stesso sviluppo nei
commerci adombra l'espansione delle altre colonie.
Siracusa diventa la capitale della Sicilia greca alla morte
di Dionigi il Vecchio. Sotto il figlio di quest'ultimo, Dionigi
il Giovane, si conclude la pace con Cartagine e
successivamente il potere della città raggiunge l'Italia
meridionale; le città di Agrigento e Gela rifioriscono nelle
arti e nella vita pubblica.L’apogeo di Suraka (Siracusa)
termina alla morte del tiranno Timoleonte, quando
succede Agatocle. Anni dopo sarà la volta di Pirro, re
dell'Epiro, chiamato dai siracusani assediati da Cartagine;
seguiranno dure battaglie che non portaranno a
cambiamenti decisivi e si dovrà aspettare la tirannide di
Gerone II, il quale, alleatosi con Roma dopo le lotte contro
i Mamertini (285 a.C.), mercenari campani, aprirà il
momento delle guerre puniche.
LE TESTIMONIANZE GRECHE
L'interessante storia archeologica della Sicilia greca è
testimoniata da singoli centri straordinariamente ricchi di
monumenti, sculture, ceramiche e serie numismatiche
risalenti all'arcaismo dorico.
Tra l'VIII e il V sec. a.C. fioriscono infatti grandi centri
quali Tindari, Milazzo, Palermo, Solunto, Siracusa,
Agrigento, Megara, Enna ecc. che conservano, ancora
oggi, l'antica pianta regolare - con strade che si incrociano
ad angolo retto, tagliate al centro da un'arteria maggiore con resti delle mura di cinta: sono esemplari Selinunte,
Agrigento e Tindari. l processo di ellenizzazione accelera le
ambizioni delle opolazioni che, vivendo un rapporto più
armonioso con il territorio, eternano la loro cultura
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attraverso i segni dell'arte noi noti.Alcune delle colonie
greche conservano i fratelli dei templi dorici di Atene,
Olimpia e di Paestum, pari a questi per eleganza ed
armonia. Splendida
l'architettura dorica
del Tempio della
Concordia del V
sec. a.C. ad
Agrigento, e il
Castello di Eurialodi
Siracusa, famoso
per essere il
sistema di
fortificazioni più vasto in Sicilia, comprendente mura,
trincee e gallerie sotterranee. In ogni città era presente
una piazza centrale, l'agorà, tipicamente greca, con teatri,
visibili ancora oggi, come quello immerso tra i solitari
monti di Se gesta o quello di Tindari, che domina
sull'infinità del mare. Caratteristica di tutti i templi sicelioti
è la decorazione della loro
parte alta, insieme alle
cornici, al frontone, agli
acroteri (ornamenti della
parte superiore
dell'edificio).Molto diffusa,
tra l'altro, la grande
plastica in terracotta o in
pietra, come quella di
Gela.Nelle metope scolpite
spesso nella stessa pietra
del tempio sono trattati
temi religiosi e i miti più
conosciuti in Sicilia e nella Magna Grecia; interessante, ad
esempio, il gruppo di Selinunte dove si presume essere
nata una vera e propria scuola di scultura.
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LA TRINACRIA
Tre: numero perfetto e finito.
Tre come le punte che
delimitano la Sicilia, terra
fertile, ricca, al centro del
Mediterraneo.Il nome
“Sicilia” è legato al popolo
indoeuropeo dei siculi che si
stanziarono in Sicilia nel II
millennio a.c.. Furono i Greci
i primi a chiamare l’isola
Sikelia, dal nome dei suoi
abitanti, o Trinakria, per la
sua forma triangolare. La stessa forma triangolare ispirò il
nome con cui i romani chiamarono l’isola: Triquetra.Anche
il simbolo che rappresenta la Sicilia, la testa di Gorgone
circondata da tre gambe piegate all’altezza del ginocchio,
che si rincorrono, simbolo del sole nelle sue tre forme (dio
della primavera, dell'estate e
dell'inverno); o della luna o più
semplicemente del movimento.
Il nuovo nome dell'isola, Sicilia
(e l'ipotesi più probabile vuole
che significhi fertile), non ha
però oscurato quest'immagine
così evocativa, che ancora oggi
sembrerebbe rifarsi alla sua
forma. O comunque è questo il
significato col quale il simbolo è
stato assunto. Si tratterebbe in
realtà di un antico simbolo
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solare di matrice orientale. Non a caso la Sicilia è
denominata da sempre isola del sole. Storicamente, il
toponimo Trinacria venne riesumato nel 1302, col trattato
di Caltabellotta che assegno il titolo di “Re di Trinacria”
agli Aragonesi.
CARTAGINESI, GRECI E
ROMANI IN SICILIA
La storia della cultura occidentale vive un momento di
svolta nel III sec. a.C., quando la civiltà greca entra per la
prima volta in contatto con Roma.
Il dialogo tra queste due culture non ha generato, in
campo artistico e letterario, ciò che oggi indicheremmo
come nuovo, tanto i cittadini di Roma erano concentrati
nel governo dello stato e nelle lotte contro chi li
minacciava.
Quando i romani arrivano in Grecia, sono già i
rappresentanti di uno stato forte ed unitario capace di
assorbire al suo interno nuovi popoli, imporre loro la
propria legge, lasciando comunque libertà di espressione
negli usi e nelle tradizioni.
In questo modo l'abilità nel conquistare il vinto si potenzia
naturalmente, incidendo anche sulla forza di
espansione.Roma incominciò a intervenire in Sicilia in
occasione degli scontri tra i Mamertini di Messina e i
Siracusani, durante la prima guerra punica
Ripercorrendo le tappe delle principali vicende storiche
che hanno inciso sulle trasformazioni della civiltà
mediterranea, in questo momento storico, non possiamo
non tenere conto del periodo in cui opera Pirro, re
dell'Epiro, nella Grecia nord-occidentale.
Passato alla storia come uno dei più grandi condottieri
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greci, Pirro si rivela in tutta la sua abilità di capo contro
Roma, nel 280 a.C., Nel 278 a.C. Pirro giunge in Sicilia, e
precisamente a Taormina, dove caccia i cartaginesi.
Soltanto nel 276 a.C. i romani lo sconfiggono
definitivamente a Benevento, ponendo fine al suo
desiderio di espansione. Ma già nel 285 a.C. Gerone II,
attaccato e sconfitto dalla flotta cartaginese, si è alleato
con i romani fornendo loro l'occasione tanto attesa di
penetrare nell'isola. Inizia, in questo modo, il grande
scontro tra le due potenze per la supremazia sul
Mediterraneo.Le battaglie sconvolgono l'intera isola e si
combattono per mare e per terra.
La prima guerra punica - perché i cartaginesi erano anche
chiamati Puni - scoppia così per interessi in campo
marittimo, e il senato comincia a preoccuparsi dei risvolti
futuri del controllo incondizionato sui mari.
A tal proposito risulta chiarificatore il detto dei cartaginesi
che "i romani in quel mare (il Tirreno) non potevano
neppure lavarsi le mani senza il loro permesso". Su
richiesta degli abitanti di Messina, in attrito con Siracusa,
Cartagine invia in città un piccolo presidio militare nel 265
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a.C., ma ciò suscita il malcontento dei cittadini, iquali, a
loro volta, richiedono una guarnigione romana che
occuperà Messina l'anno successivo.
In questo modo si arriva alla prima guerra punica (264241 a.C.), che mette l'una contro l'altra le due grandi
potenze del Mediterraneo: Roma ha la meglio nello
scontro a terra e costringe gli avversari a ritirarsi nel
Lilibeo e a Trapani, vero e proprio porto franco data la
totale inesperienza marittima dei romani, la cui lingua era
carente persino di vocaboli nautici. Nel 262 a.C. sono
conquistate anche Segesta e Agrigento.
Soltanto a Milazzo (Mylae), nel 260 a. C., il console Caio
Duilio riesce ad ottenere un successo imprevisto grazie
anche al fatto che i cartaginesi avevano sottovalutato del
tutto l'ingegnosità del nemico: un esempio delle
straordinarie capacità belliche dei romani dato dall'uso
dei cosiddetti corvi, i ponti mobili muniti di raffi a becco di
corvo, con i quali si agganciavano le navi nemiche, per
permettere all'equipaggio di attaccare l'avversario come
sulla terraferma. Soltanto sotto il console Caio Lutazio
Catulo (241 a.C.) Roma riesce a sconfiggere
definitivamente i cartaginesi di Annone, alle isole Egadi
arriva così al 218 a.C, anno della
seconda guerra punica. Le basi di
appoggio romane sono Messina e
Lilibeo, ma tutta la Sicilia viene
coinvolta, e gli abitanti si dividono
tra gli avversari. Parecchi si
ribellano alla potenza romana, ma
senza successo; questo forte
sentimento anti-romano si
diffonde anche a Siracusa, che
viene attaccata dal console
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Claudio Marcello. Alla difesa di Siracusa contribuisce
l'ingegno di Archimede, che induce una forte frustrazione
nei romani, incapaci di
prevederne le mosse in
guerra. Tuttavia Claudio
Marcello si esprime in tutta
la sua brutalità,
distruggendo Megara e
domando la rivolta di Enna.
Siracusa invece viene
conquistata nel 212, quando
muore lo stesso Archimede.
A tal proposito è noto il
malcontento generale dei
siciliani nei confronti di
questo console, per la
grande quantità di tesori
d'arte che quest'ultimo fece portare a Roma, oltre al solito
bottino.
Meravigliose pitture e inestimabili sculture sono state
letteralmente strappate dai muri dei templi, per essere
imbarcate.Nel 201 a.C. termina la seconda guerra punica,
con la sconfitta di Annibale a Zama (nord Africa).
La nuova realtà trasforma radicalmente la vita sociale e
politica del paese: si forma il latifondo come fenomeno
economico e strutturale, mentre piccoli appezzamenti
riempono gli spazi esistenti tra i "latifundia" e i pascoli.
Scavi archeologici e riferimenti letterari dimostrano anche
che i romani apportavano migliorie apprezzabili alle vie di
comunicazione interne e alle strade più importanti, in
Sicilia e nei territori di conquista.
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Roma signora del mediterraneo
La Sicilia
“prima provincia romana”
La presenza romana si consolida nell'isola al termine della
terza guerra punica (146 a. C.) e dopo la distruzione di
Cartagine. La Sicilia
Divenne così la prima
provincia territoriale di
Roma una delle più
prospere e tranquille,
sebbene la sua storia
sia stata turbata da due
gravi episodi di rivolta servili.
La prima rivolta degli schiavi si fa risalire al 139 a. C. e
interessa la città di Enna. La classe degli schiavi è
piuttosto eterogenea: prigionieri di guerra, uomini e
donne liberi di alto rango che parlano il greco, agricoltori e
pastori, lavorano i latifundia e vivono in miseria.La rivolta
di Enna è capeggiata da un certo Ennio, proclamato re
dopo che il ricco padrone Damofilo viene ucciso. Analoga è
la ribellione che si scatena nella zona dell'agrigentino e
che si estende a Taormina e Morgantina; Sotto il console
Rupilio P. la parte orientale dell'isola era soffocata, ma l'
eco delle lotte raggiunge la parte occidentale, dove altri
due leaders emergono dalla massa degli schiavi - Salvio
nella regione di Alicie ed Eraclea, Atenione tra Segesta e
Lilibeo - per essere repressi dall'abile comandante
Aquilino.
Le due rivolte causano danni notevoli, ma la Sicilia
ricostituisce presto le sue ricchezze . Il governo isolano fu
riorganizzato sotto la guida di un pretore coadiuvato da
duequestori, uno a Siracusa e l'altro a Lilibeo e da un
consiglio provinciale che però non aveva poteri effettivi.
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Durante il governo repubblicano romano, tutte le città
godevano di una certa autonomia ed emettevano monete
di piccolo taglio, ma si diversificavano tra loro per il tipo di
organizzazione amministrativa. Ad esempio Messina
Tauromenio e Netum (=Noto) erano civitates foederatae,
in quanto già alleate di Roma, se gesta e Palermo erano
liberae ac immunes; altre erano civitates decumanae, cioè
pagavano la decima secondo il sistema già in uso ai tempi
di Gerone II fornendo così a Roma un tributo annuo di
circa 2 milioni di moggi di grano (un quinto del
fabbisogno dell'Urbe). Altre città ancora erano le civitates
censoriae, comunità la cui terra era stata confiscata e resa
ager publicus e per la quale dovevano pagare un affitto,
oltre alla decima.La Sicilia fa da sfondo anche nella
guerra civile tra Bruto e Cassio, e i triunviri Antonio,
Ottaviano e Lepido, quando a Sesto, figlio di Pompeo,
viene riconosciuto, dai triunviri, il potere sull'isola, sulla
Sardegna e sulla Corsica (39a. C.). Ma l'accordo non dura
a lungo e si giunge alla battaglia di Anzio (31 a. C.) con
Ottaviano capo incontrastato dell'impero. Consolidatosi il
regime augusteo, la Sicilia tornò a prosperare come
prima, mentre cultura greca e latina continuavano a
coabitare. Augusto sostituì la vecchia decima con una
nuova imposta fissa e cambiò l'organizzazione
amministrativa delle comunità locali, ancora legata ai
vecchi schemi organizzativi greci, concedendo la
cittadinanza romana a Messina e alcune altre città,
fondando colonie di veterani in varie località della Sicilia
(Siracusa, Tauromenio, Palermo, Catania,Tindari e
Termini) con Ottaviano capo incontrastato dell'impero. Per
tutta l'età imperiale, in Sicilia nessuno aveva avuto la
volontà di farsi avanti e iniziare la carriera amministrativa,
ma ciò nonostante le classi medie e alte si distinguevano
nella ricchezza e nello sfruttamento delle terre. Questa
prosperità era la base per attività quali il commercio, le
industrie navali e l'esportazione.
Per quanto riguarda il commercio in Sicilia, sono stati
rinvenuti oggetti di terracotta che attestano gli
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spostamenti e i contatti con Africa, Spagna e Gallia. Un
esempio è dato dalla necropoli di Sabucina.
IL COMPORTAMENTO DI
ROMA NEI CONFRONTI
DELLE CIVITATES DI
SICILIA
L'organizzazione provinciale –
"Siciliae civitates sic in amicitiam fidemque accepimus ut
eodem iure essent quo fuissent, eadem condicione populo
Romano parerent qua suis antea paruissent. Perpaucae
Siciliae civitates sunt bello a maioribus nostris subactae;
quarum ager cum esset publicus populi romani factus,
tamen illis est redditus; is ager a censoribus locari solet.
Foederatae civitates sunt duae, quarum decumae venire
non soleant, Mamertina et Tauromenitana, quinque
praeterea sine foedere immunes ac liberae, Centuripina,
Halaesina, Segestana, Halycensis, Panhormitana;
praeterea omnis ager Siciliae civitatum decumanus est,
itemque ante imperium populi Romani ipsorum siculorum
voluntate et institutis fuit."
(A. KLOTZ, F. SCHOELL, O. PLASBERG, M. Tullius Cicero.
Orationes in Verrem, III 6, 12-13 Leipzig 1923-1949²)
"Noi accogliemmo le città della Sicilia in amicizia e fides in
modo che esse restassero con gli stessi diritti di prima e
obbedissero al popolo romano nella stessa condizione, in
cui prima avevano obbedito ai propri governanti.
Pochissime città della Sicilia sono state sottomesse con la
guerra dai nostri antenati; il loro territorio, benché
divenuto proprietà del popolo romano, fu tuttavia
restituito loro; di consueto la riscossione dell’imposta su
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questo terreno è data in appalto dai censori. Ci sono due
città federate, non sottoposte di norma al sistema di
aggiudicazione delle decime, Messina e Taormina, e inoltre
cinque città non federate immuni e libere, Centuripe,
Alesa, Segesta, Alicie, Palermo; tutto il resto del territorio
delle città siciliane è sottoposto al versamento della
decima, e così era anche prima del dominio del popolo
romano, per volontà dei Siciliani stessi e secondo le
norme da loro stabilite."
(Trad. di G. BELLARDI, Le orazioni di M. Tullio Cicerone, III, 6, 12-13, Torino, I,
1978)
IL COMPORTAMENTO DI
ROMA NEI CONFRONTI
DELLE CIVITATES DI
SICILIA
Le civitates immunae ac liberae
–
I meriti ed i privilegi
che Roma concesse
alle città della Sicilia
non furono che la
conseguenza
immediata della loro
deditio in fidem p.R.
Attraverso tale atto,
che aveva le
caratteristiche di un
“contratto verbale”,
con scambio
contestuale di
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domande e risposte, generalmente si poneva fine alla
guerra. I suoi effetti giuridici consistono nel trasferire al
potere romano tutti gli elementi giuridici della sovranità e
della collettività politica. La deditio è stata definita da S.
Calderone “un atto stipulato liberamente… tra due
comunità pubbliche in quanto tali, concluso con la
partecipazione formale della volontà dell’una e dell’altra
delle parti contraenti, sostenuto dall’assunzione di
obbligazioni reciproche”. Essendo, comunque, la
volontaria sottomissione di una città al potere romano
differente dalla resa in guerra, ben diversamente poteva
concepirsi il rapporto che si istituiva tra la comunità
dediticia e Roma. I Romani si erano resi conto che
sicuramente più proficuo sarebbe stato per loro
considerare le città dell’isola non come nemici da
annientare, ma come elementi potenziali del loro stato. La
città che se dedit in fidem p.R. doveva essere fisicamente
risparmiata e giuridicamente lasciata in stato di libertà. La
sua posizione giuridica e il suo assetto tributario erano
fissate in ragione del suo comportamento verso Roma
nelle guerre precedenti.
da Francesco Cristiano
Economia
In seguito alle guerre puniche si erano avuti grandi
accaparramenti di terre e ciò portò alla formazione di
grandi latifondi lavorati da manodopera servile, le cui
cattive condizioni di lavoro portarono alle rivolte. In questi
latifondi fu incoraggiata soprattutto la coltura del
frumento e ciò fece dell'isola uno dei granai di Roma e una
delle province romane più ricche. Ciò dette impulso anche
ad altre attività nell'isola, principalmente l'industria navale
che sfruttava le dense foreste isolane e il commercio,
soprattutto con la Spagna e l’ Africa. Con l'avvento del
regime imperiale il latifondismo rimase la principale forma
di conduzione fondiaria, ma nonostante il declino della
coltura cerearicola cotinuarono a fiorire villaggi e piccoli
possedimenti e non si ebbe alcuna diminuzione della
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popolazione. La situazione economica dell'isola cominciò a
decadere durante il governo degli Antonini e fu
compromessa con le invasioni barbariche e il successivo
dominio bizantino.
Ltto nel V secolo nella grande Villa del Casale, nei pressi di
Piazza Armerina.
Bibliografia :Cicerone, Il processo di Verre, BUR, Milano
2003 -
Le vestigia romane
Le vestigia romane risultano meno numerose e
spettacolari di quelle ritrovate durante la dominazione
greca, dato lo scarso interesse che Roma mostra per la
Sicilia rispetto agli altri territori da lei conquistati. Infatti,
una volta passato il pericolo di una potenziale invasione
cartaginese, l'isola perde il suo carattere strategico e
viene unicamente apprezzata per le sue risorse agricole.
Questo "magazzino romano del grano" è quindi per molti
secoli una delle tante province occupate da Roma, senza
alcuna particolare attrattiva per i suoi amministratori.
Malgrado ciò, i ricchi proprietari terrieri edificano
splendide ville in riva al mare, come testimoniano le
rovine della villa patrizia di Patti nei pressi di Tindari. Solo
alla fine del III sec. d.C., sotto Diocleziano, questa
provincia romana viene eletta al rango di regio
suburbicaria, divenendo una delle regioni più ambite
dall'aristocrazia romana, che vi acquista grandi proprietà
fondiarie. Durante i sette secoli d'occupazione, Roma non
offre alla Sicilia prestigiosi monumenti, ma costruisce vari
edifici pubblici tipicamente romani (anfiteatri, terme,
odeon ... ) ed un'efficace rete stradale utilizzata per scopi
prima militari e poi semplicemente economici. Alcune zone
pubbliche urbane (come ad esempio i fori) non sono
ancora oggi completamente conosciute.
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La costruzione romana
L'evoluzione delle tecniche di costruzione spiega in parte
la scarsa quantità di resti ritrovati. A differenza dei Greci, i
Romani conoscono e usano il cemento con grande
maestria, innalzando muri, volte e colonne con piccoli
mattoni, nel cui interno viene colato il cemento. Le
rifiniture sono costituite da rivestimenti marmorei (o
realizzati con pietre di nobile aspetto), mentre per gli
interni gli artisti adoperano addirittura lo stucco, che dà
l'illusione di splendidi muri in pietra. Con il passare degli
anni, o più verosimilmente a causa dell'avidità delle
generazioni successive, i monumenti romani e i loro
preziosi ornamenti si trasformano purtroppo in fragili
rovine.
I monumenti romani
Durante questo periodo i teatri greci, come quelli di
Taormina e di Catania, subiscono notevoli trasformazioni:
l'orchestra circolare
(riservata ai cori greci) viene
ridotta ad un semicerchio,
mentre viene aggiunto un
muro di scena
per accogliere i macchinari
necessari agli effetti scenici.
In questi teatri si può
assistere sia a spettacoli di
circo che a combattimenti di
belve, grazie alla presenza di
un muro situato ai piedi della
cavea (in parte ancora
visibile a Taormina), eretto
per proteggere gli spettatori.
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Tra i monumenti di creazione romana, degni di particolare
nota sono l'Anfiteatro di Siracusa, in cui si svolgono i
combattimenti fra
gladiatori o belve,
quello di Catania, gli
odeon di Taormina e di
Catania ed infine le
Naumachie di Taormina
(estremamente
deteriorate), un
immenso ginnasio
costruito in mattoni e
adorno di nicchie, lungo
122 m. A parte le creazioni
inerenti allo spettacolo,
l'architettura civile romana
non lascia alla Sicilia resti
di grande valore: la bella
basilica con portici di
Tindari costituisce tuttavia la prova dell'introduzione da
parte dei Romani dell'arte della volta (sconosciuta dai
Greci), anche in
cittadine lontane dai
grandi centri.
Architettura
domestica –
L'abitazione romana
siciliana è molto legata alla
tradizione ellenistica. La
casa urbana con peristilio
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fa la sua apparizione verso la fine dei sec. III-II a.C. (Morgantina), ma
solo a
Marsala ed
Agrigento
sono
edificati
modelli di
case con
atrio e
cortile a
peristilio
(nati in
Campania)
. Le
creazioni
più ricche
si ritrovano invece nel campo delle ville di campagna, come testimonia la
magnifica Villa del Casale nei pressi di Piazza Armerina: le terme
private confermano l'estrema raffinatezza del luogo, noto soprattutto per
la sontuosa decorazione musiva. I mosaici, che rivestono la quasi totalità
dei pavimenti, risalgono presumibilmente al III o al IV sec. e si
estendono su 3500 mq. Essi costituiscono per la loro ricchezza, il loro
realismo e la loro
diversità, la più
grande opera d'arte
romana giunta ai
giorni nostri.
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Le radici della Romania e i
Daci
La Dacia è
un'area
dell'Europa
Centrale che è
delimitata a nord
dai Carpazi, a sud
dal Danubio e ad
est dal Mar Nero,
corrispondente
all'attuale
Romania e
Moldova. Con il
suo clima temperato ed il variegato ambiente naturale, il
territorio della Dacia è stato abitato fin dal Paleolitico
Inferiore (1.000.000 a.C. - 120.000 a.C.).
Le popolazioni locali vennero soppiantate da tribù di
origine Indo-Europea tra la fine del Neolitico ed il tardo
Paleolitico. All'inizio dell'Età del Bronzo (3300 a.C.) la
popolazione Indo-Europea dei Traci si stabilì nella regione
Carpato-Balcanica. Nella prima metà del primo millennio
a.C., le tribù trace dei Daci e
dei Geti si stabilirono
rispettivamente in
Transilvania in ValacchiaMoldavia.I Greci incontrarono
inizialmente i Geti nelle
colonie sorte sulla costa del
Mar Nero nel VII secolo a.C., come Istros (Ìstria), Callatis
(Mangalia) e Tomis (Constanţa), usando poi il loro nome
per l'intera popolazione a nord del Danubio. Un primo
contatto dei Daci con i Romani si ebbe nel 48 a.C., quando
Burebista prese parte nella disputa tra Cesare e Pompeo,
offrendo il suo supporto militare a Pompeo, che però fu
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sconfitto da Cesare.Dopo la morte di Burebista,
assassinato dai suoi stessi nobili, il regno dei Daci fu
diviso in più parti sotto regni distinti, dato che le colonie
greche sul Mar Nero e le tribù celtiche non accettavano
più l'autorità di uno stato dei Daci.
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Marco Ulpio TRAIANO
"Optimus
princeps,
Traiano
fu
un
sovrano
assoluto capace di usare il potere senza abusarne.
Non a caso viene ricordato come
uno dei più grandi imperatori.
Durante il suo periodo, l'impero
raggiunse
la
sua
massima
estensione"
Generalità
Soldato ed Amministratore, uomo forte
e giusto: queste le caratteristiche
salienti del grande Imperatore Traiano.
Con lui inizia il periodo di maggiore
splendore dell’Impero. Sotto la sua
guida Roma raggiunse la sua massima
espansione.
Governò Roma per 20 anni, ma per oltre 10 fu impegnato
all’estero per combattere guerre difensive e di espansione.
Già dopo due anni dalla sua elezione, per la prima volta
nella storia romana, il Senato gli attribuì l’appellativo di
“Optimus”, il migliore, ma lui ne proibì l’inclusione fra i
titoli ufficiali per circa 15 anni.
Era nato il 18 settembre ’53 d.C. ad Italica, una cittadina
spagnola, vicina all’odierna Siviglia, fondata da Scipione
l’Africano. Il padre era stato Senatore, Console e poi
proconsole d’Asia. La madre era spagnola.
Nel ’97 , l’Imperatore Nerva l’associò al potere,
nominandolo suo erede, non era suo parente, Nerva lo
designò soltanto perché lo considerava “il migliore”.
Nerva moriva tre mesi dopo senza neanche aver rivisto il
figlio adottivo.
Fu il primo Imperatore nato fuori d’Italia. Il dominio
romano rivelava, così, il suo carattere supernazionale.
Aveva un senso di dirittura morale che ne faceva un
ottimo amministratore della cosa pubblica. E riconobbe
sempre la supremazia della legge, anche di fronte alla
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volontà dell’Imperatore. Il potere non gli diede mai alla
testa. Interpretò il ruolo di Imperatore conferendogli
innanzitutto il carattere di un servizio. Abolì subito i rituali
onorifici connessi con la regalità: il palanchino
ondeggiante con i battistrada, l’abbraccio al piede
dell’Imperatore, il bacio della mano e tutti quei degradanti
simboli caratteristici di una monarchia orientale. Con la
sua apertura di cuore e con la naturalezza delle maniere si
guadagnò l’affetto delle due classi più influenti nello Stato:
i soldati ed il Senato. Era un formidabile lavoratore. Le
sue idee politiche erano quelle di un conservatore
illuminato che credeva più alla buona amministrazione che
alle grandi riforme.
Una politica estera e militare offensiva
Se, a giudizio degli storici, il principale merito di Traiano
verso Roma deriva dalla sua attività amministrativa, la
sua fama plurisecolare è dovuta soprattutto alle sue
imprese militari.
Escludeva la violenza, ma sapeva ricorrere alla forza. Abile
stratega, saggio amministratore, uomo giusto, soldato con
mentalità da soldato, riteneva che la miglior difesa fosse
l’attacco.
In politica estera, infatti, abbandonando la linea difensiva
seguita dai suoi predecessori, organizzò nuove guerre di
conquista; di nuovi territori aveva bisogno per sostenere
la sua politica interna d’assistenza ai bisognosi e per
risolvere
la
crisi
economica
che
procedeva
irreversibilmente, con un livello di tassazione molto
elevato. Le nuove terre, inoltre, avrebbero assicurato
nuove masse di schiavi e la possibilità di insediare coloni
italici nelle regioni conquistate.
Per fare questo aveva bisogno di un Esercito affidabile. E
fu questa la sua prima cura. Creò nuove Legioni, ma,
soprattutto, impose un nuovo senso della disciplina con un
serrato programma d’addestramento e con un nuovo
rapporto fra Soldati, Comandanti ed Imperatore. Credeva
fortemente nel valore dell’esempio. Condivideva le fatiche
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e le ansie dei suoi Soldati, con cui familiarizzava
chiamandoli per nome e che redarguiva se necessario. Il
suo ascendente sui Soldati gli procurò una dedizione, una
fedeltà ed un rispetto ogni giorno più alti. Un dato è
sicuro: la reciproca lealtà fra l’Esercito e Traiano fu
assoluta e forse nessun altro Imperatore seppe, come lui,
ottenere dai propri Soldati risultati altrettanto fruttuosi.
Le principali guerre di Traiano furono due: quella dacica e
quella armeno-partica. Da ricordare, inoltre, anche la
conquista dell’Arabia nord occidentale.
La conquista della Dacia (101 – 105)
Nei mesi trascorsi sul fronte germanico dopo la sua
elezione, Traiano ebbe il tempo di pensare ad una politica
estera
il
cui
scopo
fondamentale era quello di
riprendere in mano il problema
della Dacia (attuale Romania).
Il possesso di questa regione
consentiva,
infatti,
il
raggiungimento di una stabile
linea difensiva per sbarrare il
passo
alle
infiltrazioni
di
barbari verso occidente. Essa
avrebbe consentito, inoltre, un
tranquillo
sviluppo
delle
adiacenti regioni romane della
Mesia (odierna Bulgaria) e
della Tracia (Grecia orientale).
La
Dacia
era
stata
un
problema per i Romani anche negli anni precedenti. Era
un vicino sempre pericoloso, un faro per l’unione di tutti i
popoli del medio e basso Danubio. Nell’85-86, Domiziano
aveva pensato di risolvere la difficile situazione con il
pagamento di somme di danaro, date in sussidio per
ottenere la collaborazione delle tribù più civili o la
neutralità di quelle più turbolente lungo i propri confini. La
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scelta appariva incomprensibile e vergognosa per i
contemporanei. La politica di Domiziano rappresentava
l’espediente provvisorio più saggio, ma non poteva essere
considerata una soluzione definitiva. Essa poteva aver
successo solo nei casi in cui i beneficiari erano troppo
deboli o disuniti per costituire un pericolo per le vicine
province romane. I daci, invece, erano un popolo unito,
conscio della propria nazionalità e ben organizzato, agli
ordini di un principe geniale, Decebalo, che nutriva un
odio indomabile verso l’Impero e che tentava di
coinvolgere sia le tribù vicine sia i lontani Parti (Estremo
Oriente) in una guerra congiunta contro i romani.
La conquista della Dacia, oltre che dalla sicurezza dei
confini, era dettata anche da altri motivi eminentemente
pratici: le miniere d’oro e la possibilità di procurarsi una
grande massa di schiavi. Con l’oro, Traiano, poteva
costruire opere pubbliche in mezzo impero.
La conquista della Dacia si realizzò con due guerre:
•
la prima, dal 101 al 102;
•
la seconda, dal 104 al 105.
La prima guerra dacia fu iniziata, nel marzo del 101, dallo
stesso Traiano il quale temeva un’invasione della Mesia,
regione romana confinante con la Dacia, da parte di
Decebalo approfittando del fatto che il Danubio era gelato.
Decebalo era ormai giunto al culmine del suo prestigio e
Traiano valutò che il procrastinare l’impresa avrebbe reso
più difficoltoso il successo.
In realtà, già dal 98-99, Traiano aveva realizzato una
serie di predisposizioni tattiche fra cui la costruzione di
una nuova strada che sarà utilizzata per l’avanzata.
Traiano fece gettare sul Danubio due grandiosi ponti sui
quali transitarono due colonne per un totale d’ottantamila
legionari romani.
Decebalo si ritirò nel tentativo di trascinare i romani in
zone impervie, allungare le loro linee di comunicazione ed
isolarli nelle montagne della Transilvania. Ma, durante
l’avanzata, Traiano costruiva campi base e fortezze
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(Lederata, Tibiscum) per consolidare le conquiste e
rendere possibile l’afflusso di rinforzi e di rifornimenti..
Decebalo impiegò tutte le sue forze per soccorrere le
fortezze e, quando l’ultima di queste fu espugnata, la
strada per la capitale era ormai da considerarsi aperta e la
guerra ormai vinta. Decebalo per risparmiare gli orrori di
un inutile assedio capitolò, presentandosi nel campo di
Traiano.
La pace fu realizzata nel 102 ed accordata da Traiano in
termini abbastanza miti.
A Decebalo rimanevano, infatti, i monti della Tracia con le
loro miniere d’oro. Varie sono le motivazioni che possono
aver suggerito questa clemenza da parte di Traiano:
- l’eccessiva fiducia nella portata del successo
realizzato;
- la difficoltà di mantenere in Dacia, per tutto un
inverno, un Esercito per la conquista dell’intera regione;
- il riconoscimento del valore personale dello
stesso Decebalo, che poteva diventare un fedele alleato
di Roma.
Tuttavia, entrambi i condottieri conservavano la riserva
mentale di prepararsi meglio ad un’eventuale nuova
guerra. Traiano, infatti, non spostò dall’area nessuna delle
Legioni che avevano preso parte alla campagna.
Dopo qualche anno, nell’autunno del 105, Decebalo passò
all’azione invadendo la Mesia e sorprendendo inizialmente
Traiano.
Aveva
così
inizio
la
seconda
guerra
dacia.
Traiano si
rendeva ben conto
che il problema
dacio si sarebbe
risolto solo con la
morte del re
Decebalo.
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Questi, infatti, aveva tentato di ritirarsi verso il nord per
riordinare le proprie forze e per chiamare alla rivolta
nuove tribù. Ma la caccia romana fu spietata. Decebalo si
diede alla fuga, ma incalzato e raggiunto dalla cavalleria
romana, per non cadere prigioniero dei soldati di Traiano,
si tolse la vita. I romani gli mozzarono la testa e la
mandarono a Roma come trofeo.
La capitale Sarmizegetusa da allora in poi fu chiamata
Ulpia Traiana. La Dacia fu ordinata in Provincia. Una
popolazione poliglotta sostituì quella indigena. Fra essi,
numerosi coloni romani che iniziavano, in tal modo, una
radicale latinizzazione della zona i cui effetti si risentono
ancora oggi.
Le opere pubbliche
Pur essendo celebrato per
la sua modestia e pur
essendo d’indole
pragmatica, Traiano si
rendeva ben conto che i
monumenti celebrativi e,
soprattutto, le opere
pubbliche erano necessari
per accrescere il consenso
popolare.
Per quanto riguarda i suoi
principali monumenti,
Traiano si avvalse del
grande architetto
Apollodoro di Damasco. A questi si deve il Foro traiano, il
più grande ed il più splendido dei fori imperiali. Grande
quanto tutti gli altri Fori imperiali messi insieme. Si tratta
di uno dei monumenti più fastosi di tutti i tempi, racchiuso
in un complesso di straordinaria imponenza cui si
accedeva attraverso un marmoreo arco trionfale. Per
ricordare la conquista della Dacia, nell’ambito del
complesso architettonico del Foro traiano fu inserita anche
la Colonna traiana, alta circa 30 metri, larga 4 metri e
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sormontata da una statua dell’Imperatore. Essa era
originariamente colorata e nasconde all’interno una scala
a chiocciola di 185 gradini. Attorno alla Colonna si
avvolge, per 23 giri, un fregio di marmo a spirale, alto un
metro e lungo 200 metri, su cui, con circa 2500 figure
sono raccontate le vicende della conquista della Dacia
(può essere considerata l’antenata dei moderni
sceneggiati televisivi). E’ un’incisione troppo gremita per
essere bella, ma dal punto di vista documentario è molto
interessante. Per espressa volontà dell’Imperatore, ai lati
della colonna traiana, furono costruite due biblioteche,
una per i testi latini ed una per i volumi in lingua greca.
Le opere sociali, finanziarie e politiche
Per mantenere la prosperità in Italia e permetterle di
conservare il suo primato all’interno dell’Impero, erano
necessari provvedimenti ben più drastici del puro e
semplice miglioramento delle vie di comunicazione.
Pertanto la caratteristica principale delle iniziative
promosse
da
Traiano
nel
campo
sociale
fu
l’interessamento per le nuove generazioni.
Sui Plutei che ora sono conservati nella Curia (sede del
Senato, ubicata all’interno dell’area del Foro romano), si
vede Traiano che brucia i registri delle tasse e che
instaura “l’istitutio alimentaria”. Quest’istituto era stato
introdotto dal predecessore Nerva, ma sotto Traiano trovò
la sua piena realizzazione.
Grazie ai soldi della conquista della Dacia, Traiano ripopolò
di contadini liberi l’Italia, fornendo loro terra, sementi,
attrezzi e casa, chiedendo in cambio un moderato
interesse annuo. In tal modo risollevò le condizioni
dell’agricoltura.
Con gli interessi istituì collegi per ragazze e ragazzi poveri
e per gli orfani dei suoi legionari cui erano elargiti sussidi
mensili (16 sesterzi per i ragazzi e 12 per le ragazze). In
tal modo, garantendo loro cibo ed istruzione, assicurò
all’Impero una classe di tecnici e militari che costituirà
l’ossatura dei futuri regni d’Adriano ed Antonino.
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Traiano aveva ereditato da Nerva, se non un deficit,
almeno la prospettiva di difficoltà finanziarie. La situazione
fu fronteggiata sia con economie sia con la conquista delle
miniere d’oro ed argento della Dacia. e.
La morte (117)
Nel luglio del 117, durante il viaggio di ritorno verso
Roma, al termine della guerra contro i Parti, dovette
fermarsi in Cilicia per una trombosi cerebrale.
Qui morì l’11 agosto, a 64 anni, dopo aver regnato per
circa un ventennio.
Per i romani era fondamentale che i defunti venissero
sepolti all’esterno del Pomerio, il limite sacro della città. Il
corpo di Traiano, invece, fu ospitato in un’urna d’oro entro
la base della sua colonna, nel cuore della città. Con lui fu
poi sepolta Plotinia, sua unica moglie cui fu fedele per
tutta la vita (cosa assolutamente insolita per quei tempi,
in cui, per le classi superiori, un matrimonio era valutato,
soprattutto, in termini di opportunità politica o di
convenienza economica).
Molte volte nella sua persona sono state celebrate le
ragioni della civiltà e dell’incivilimento (oggi si direbbe
cultura in senso lato). I romani affermavano che i buoni
Imperatori “abitavano” le virtù. E Traiano era un buon
Imperatore! In lui sembrò attuarsi una conciliazione fra
principato e “libertas”.
Dante lo ricorda nel Canto X del Purgatorio, ne celebra le
doti di giustizia con versi tra i più belli. Secondo la
tradizione dantesca Gregorio Magno, colpito dalla
generosità dell’Imperatore, avrebbe ottenuto da Dio la sua
resurrezione per il tempo necessario ad impartirgli il
battesimo, consentendogli così di entrare in Paradiso, nel
cielo di Giove e precisamente fra i sei spiriti giusti che
formano l’occhio della mistica aquila. Dante riteneva, così,
che l’ingresso in Paradiso fosse dovuto al senso di giustizia
che, almeno in quel caso, poteva prevalere sulla Fede.
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Dopo di lui, ogni nuovo Imperatore venne salutato dal
Senato con le parole “Sii più benefico di Augusto e più
giusto di Traiano”.
Sotto la sua guida ispirata, Roma riacquistò fiducia non
solo nella sua sicurezza interna, ma anche nel suo destino
imperiale. Tuttavia, la politica di conquista seguita da
Traiano, alla fine, si sarebbe rivelata come una “damnosa
hereditas” per l’Impero che egli cercava di rafforzare.
In ogni caso, una personalità del genere era necessaria
all’Impero romano proprio quando visse Traiano; un
Soldato ed un Amministratore, un uomo forte e giusto.
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Marcus Ulpius Nerva Traianus
(18.09.53 - 9.08.117)
Imperatore Romano (98 - 117) è stato
il secondo dei cinque imperatori buoni
del l’Impero Romano e uno dei più
importanti. Sotto il suo regno, l'impero
arrivò alla massima estensione.
Dopo quasi tre anni di preparativi ai
confini della Dacia, cominciate subito
dopo che salì al trono, l'imperatore Traiano concentra, all’
inizio dell’ anno 101 in Mesia Superiore, 13-14 legioni e
altre numerose unità ausiliare ( per un totale di quasi 150
000 soldati), per combattere contro il rgno di Decebalo.
Il 25 marzo 101 l'imperatore lascia Roma, attraversa il
Danubio sui ponti a Laederata (Ramna) e Dierna (Orsova)
entrando attraverso il Banat in Dacia.
A Tapae, nell’ estate del 101, Decebal cerca di fermare
l'avanzata dei romani.
La cruenta e lunga battaglia finisce con la vittoria romana.
Alla fine dell’ anno 101 imponenti forze daciche, accanto
ai sarmati e bastarni, attraversano il Danubio ed entrano
in Mesia, obbligando l'imperatore Traiano a spostarsi nel
nuovo posto di guerra aperto da Decebal. L'ingegnoso
piano strategico, non aiuta Traiano per approfittare della
vittoria di Tapae, dopo la sconfita di Decebal tra l’inverno
e la primavera di 102 (a Nicopolis as Istrum e in
Dobrugea aad Adamclisi),crolla l'iniziativa militare
passando per sempre nella parte avversa. Nell’ autunno
del 102, la resistenza di Decebal obbliga Traian a fare la
pace con il re dacio, pace vista da entrambe le parti come
un armistizio.
Su ordine di Traiano, Apolodor di Damasc, il piu famoso
ingegnere del tempo, costruisce fra Drobeta e Pontes, nel
anni 103 - 105, un ponte fisso sopra il Danubio, sul quale
le legioni romane passano nell’ estate dell anno 105,
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cominciando la seconda guerra dacica. Abbandonato dagli
alleati, attaccato da Banat, La Valle di Olt e Moldavia,
costretto sempre alla difesa, Decebal si ritira nella
cittadella delle Montagne Orastie. Dopo la conquista delle
forti cittadelle che custodivano l'accesso nella
capitale (Blidaru, Costesti, Piatra Rosie,
Banita, Capalna, Tilisca), le legioni romane
cominciano l'assedio di Sarmiszegetusa. Anche
la resistenza dacica è eroica, la cittadella viene
conquistata e distrutta. Una parte dei
difensori, fra di loro anche Decebal, riescono a
lasciare la cittadella cercando di continuare la
resistenza contro i romani dentro il paese.
Inseguito dalla cavalleria romana, per non
cadere vivo nelle mani dei romani, Decebal si
uccide. La maggior parte dell'impero dacio è
trasformato, nell’ estate 106, in provincia
romana. In memoria delle lotte daciche, nel
Foro di Traiano viene costruita la Colonna di
Traiano (103). La meravigliosa costruzione,
che sta in piedi, ci fa vedere scene delle due
guerre.
Inaugurata a Roma 12 maggio 113, fu
collocata fra la Biblioteca Greca e la Biblioteca
Latina. Fu progettata dall’ architetto Apolodor
di Damasc. Alta, senza statua, 39.83m. Sopra
un basamento a forma di parallelepipedo con
il lato di 5.48 m e l'altezza di 5.37m e di una
corona di lauri, si alza la colonna (alta di
26.62m) formato da 18 tamburi di marmo di
Carrara, un capitello dorico e una base
cilindrica che ha il ruolo di supporto della
statua imperiale. La banda scultorea misura
200m e rappresenta 125 episodi delle guerre
daciche (anni 101-102 e 105-106) nelle quali
vi sono, approssimativamente, 2500 immagini.
L'edificio è provvisto di una porta che arriva in un
vestibolo, da dove comincia una scala interiore in forma di
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spirale, che va fino in cima alla colonna dove, nell’
antichità, era la statua dell'imperatore. Sopra la porta
dell’entrata si vede l'iscrizione sostenuta da due vittorie:
Senatus populusque Romanus / Imp(eratori)
Caesari Divi Nervae f(ilio) Nervae
/ Traiano Aug(usto) Germ(anico)
Dacico pontifi(ici) / maximo
trib(unicia) pot(estate) XVII,
imp(eratori) VI, co(n)s(uli) VI,
p(atri) p(atriae) / ad declarandum
quantae altitudinis – mons et
locus tantis operibus sit egestus.
Nell’ anno 1939 lo stato romeno
ha ordinato a dei maestri vaticani
una copia della Colonna di Traiano . I lavori per
riprodurre la colonna furono effettuati durante la guerra.
La copia della Colonna è
stata completata dallo stato
romeno ed è costata 4
milioni di lei dell’epoca. Dopo
una serie di trattative
diplomatiche, la copia della
Colonna di Traiano è arrivata
a Bucarest nel giugno 1967.
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DECEBALO E TRAIANO
secondo Dione Cassio
Il ritratto di Decebalo, sovrano dei
Daci, nella Storia di Dione Cassio, è
tutto puntato sulla sua abilità militare:
"Costui era doppiamente scaltro, tanto
nella tattica quanto nelle azioni
belliche; abile sia nel lanciare
l'attacco, sia nella scelta del momento
migliore per ritirarsi; esperto
d'imboscate e maestro di scontri
campali; non solo sapeva bene come
sfruttare la vittoria, ma era abile a
limitare i danni in caso di sconfitta." Si
tratta di un comandante astuto e
pericoloso, che ha ottenuto grandi
successi
sulle armate romane al
tempo di Domiziano
(costringendo il Senato al
versamento di un tributo
annuo) e che ha saputo
porre riparo ostinatamente
alle sconfitte infertegli da
Traiano. Sulla Colonna è
mostrato più volte in questo
ruolo di sagace capo
militare: quando sa porre
rimedio all'esito sfavorevole
della prima grande battaglia
campale, costringendo
Traiano a portare soccorso alle guarnigioni stanziate in
Mesia; o quando, per evitare una sconfitta definitiva,
preferisce sottomettersi all'imperatore e accettare una
pace negoziata. Ancora Dione Cassio riferisce che la testa
di Decebalo, che davanti al nemico incombente si era dato
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la morte tagliandosi la gola con un pugnale ricurvo, fu
esibita come macabro trofeo ai soldati e poi inviata a
Roma per essere portata nel trionfo di Traiano.
Marco Ulpio Traiano,
Nato a Italica, in Spagna,
nel 53 d.C., proveniva da
una famiglia di rango
senatorio e fu il primo
principe provinciale: Nerva
infatti lo aveva adottato e
designato suo erede. (anche
nei confronti dei cristiani), il
rispetto della tradizione e del
Senato gli attirarono il favore
di tutti. "Traiano si
distingueva scrive nella sua
Storia Dione Cassio- per il
suo valore e per la semplicità
dei costumi. Aveva un fisico
robusto, trovandosi nel
quarantaduesimo anno di età
quando salì al principato e
così, in qualsiasi frangente,
era in grado di sopportare la
fatica (...) il suo vigore intellettuale aveva raggiunto il
grado massimo, distante sia dalle imprudenze della
giovane età sia dalla pigrizia della vecchiaia". Semplice e
affabile con i cittadini "non c'era qualità che egli non
possedesse al grado più alto", capace come capo militare
"anche se amava la guerra, tuttavia si riteneva soddisfatto
quando aveva raggiunto il successo, debellato il nemico
più ostile ed esaltato i propri concittadini. Nè capitò mai,
durante il suo regno, quello che tanto spesso accade in
tali circostanze, e cioè un atteggiamento di presuntuosa
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insofferenza da parte dei soldati: con mano tanto ferma lo
guidava". Nelle numerose scene della Colonna in cui
Traiano parla ai soldati si manifesta il rapporto di
familiarità e stima reciproca che costantemente lega il
principe all’esercito durante tutto lo svolgimento della
guerra dacica.
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v
MUSICOLOGIA
“Decebalo” torna in vita
Di Lorenzo Tozzi
23 Lug 2005, 14:21
Hierapolis, La porta di
Domiziano
MERCOLEDÌ 3 AGOSTO
TAGLIACOZZO - TEATRO TALIA ORE 21.15
Decebalo (Napoli, 1743)
Musica di Leonardo Leo (1694-1744)
Festa teatrale in onore di Maria Elisabetta di Borbone
(prima esecuzione assoluta)
Esecutori:
Romabarocca Ensemble
Direttore e concertatore: Lorenzo Tozzi
Personaggi ed interpreti: Adrian George Popescu
(Decebalo). Angelo Manzotti (Flavio), Sorin Dumitrascu
(Domiziano), Laura Tatulescu (Domizia), Julia Surdu
(Giulia)
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In collaborazione con il Collegio Stravagante e il
Dipartimento di ricerca scientifica e delle attività artistiche
della Università superiore della musica G. Enescu di
Bucarest
L’opera sarà registrata integralmente dalla Ditta
Bongiovanni di Bologna
Decebalo, una festa (o azione, o serenata) teatrale
dunque a lieto fine come di prammatica per le occasioni
liete della corte) mette in scena tutti personaggi storici, di
cui è ampia traccia negli storici antichi, tra i quali Cassio
Dione .
Decebalo" nasce dalla volontà di alcuni musicologi e
musicisti che in stretta sinergia tra Italia e Romania e le
rispettive istituzioni musicali hanno inteso realizzare
l’esecuzione di un'opera italiana del Settecento dedicata
alla antica storia romena.
Si tratta di una prima esecuzione moderna (che verrà
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anche incisa discograficamente) realizzata in anteprima a
giugno a Bucarest ("Teatro Ateneo")………Il progetto
riveste un ruolo particolarmente importante di sinergia
culturale nel momento dell’ormai prossimo ingresso della
Romania (2007) nella Unione Europea, giacché si tratta
proprio di un’opera italiana di stile (della gloriosa scuola
"napoletana" del Settecento di
cui Leonardo Leo fu uno degli
esponenti di maggiore spicco ed
originalità) e l’antica storia
dacica, che è alle origini della
moderna nazione rumena.
Saranno coinvolti nel progetto il
prestigioso Conservatorio S.
Cecilia di Roma, il "Centro di
Ricerca dell' Istituto di scienze
musicali e attività artistiche" di
Bucarest, il Romabarocca
Ensemble, il Collegio
Stravagante.
L’opera nasce da una vera e
propria sinergia coproduttiva tra
Bucarest e il Romabarocca Ensemble: si affiancheranno
cantanti italiani e romeni già selezionati in apposite
audizioni.
Sono probabili riprese autunnali in Grecia ed in Austria.
L’iniziativa travalica il puro significato culturale, già di per
sè rilevante, e assume anche un carattere idealmente
politico di cooperazione nel primo e più accessibile campo
dell’arte e della cultura in attesa di ulteriori cooperazioni
economiche o politiche”
Commento tratto
dal libretto del comune di Tagliacozzo
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Opera Nationala Bucuresti
Sfârsit de stagiune la ONB
Opera
Nationala din
Bucuresti
prezinta
vineri, 23 iunie
si duminica, 25
iunie, 2006,
ora 18:30,
ultima
productie a
stagiunii:
Decebalo de
Leonardo Leo,
compozitor
napoletan al
secolului al
XVII lea.
Pentru prima data pe scena Operei Nationale este
prezentata o opera baroca. Evenimentul muzical, care
prefigureaza formula de lucru si perfectionare artistica din
cadrul Studioului Experimental de Opera si Balet cât si de
diversificare a ariei repertoriale, marcheaza, totodata, si
debutul în spectacolul de opera al regizorului Razvan
Dinca. Scenografia o semneaza Viorica Petrovici iar
coregrafia îi apartine Lilianei Iorgulescu.
Alaturi de orchestra Collegio Stravagante, sub bagheta
dirijorului Tiberiu Soare, vor urca pe scena:
contratenorul Adrian George Popescu, soprana Iulia
Surdu, mezzo-soprana Claudia Codreanu, basul Sorin
Dumitrascu si soprana Agatha Deheleanu.
Asteptam publicul, în masura locurilor disponibile.
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BADEA CARTAN e
………..Traiano
La nostra origine latina è stata una costante coscienza
etnica romana, una forte idea della nostra cultura e della
nostra storia.
“Noi discendiamo da
Roma” hanno scritto, in
senso umanistico(nel XVII
secolo) i cronisti moldavi e
monteni e l’idea fu ripresa
e avvalorata nel clima
illuministico ( nel secolo
XVIII) dagli intellettuali
della Scuola Ardelene.
La preziosa idea della
nostra latinità è stata
infusa profondamente nel
popolo dalla chiesa, dagli intellettuali e divenuta credibile
nell’ Ardeal, alienato per circa
mille anni.
Un esempio di un uomo del
popolo,unico nel suo genere, ma
un
personaggio
simbolico,è
stato
Gheorghe
Cartan,
conosciuto con l’appellativo di
“badea Cartan”.
Fu un contadino paesano
originario di Cartisoara (Sibiu),
dove era nato nel 1849.Il suo
secolo, il XIX fu “il secolo delle
Nazionalità”, del romanticismo e
messianismo nazionale. Così
badea Cartan, autodidatta più
che un paesano scolarizzato,
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amò con grande passione i testi romeni e soprattutto
quelli di storia .
Di sua iniziativa, per intimo dovere, più volte attraversò la
frontiera per prendere dal “Vecchio Territorio”, in Ardeal,
centinaia di libri e portarli con sè in una sacca.Testi di
cultura generale, ma soprattutto testi di storia.
Figura originale, pittoresca, badea Cartan fu conosciuto,
amato, apprezzato dagli uomini politici, dagli intellettuali,
dai movimenti patriottici della vecchia Romani che
sostenevano attivamente l’idea del romanticismo e i
romeni di Ardeal.
Per la sua attività badea Cartan fu perseguitato dalle
autorità austro-ungheresi ma non rinnunciò per nessun
motivo a credere nella validità e nel trionfo della causa
romena.
Nella guerra per l’indipendenza del 1877 -78 egli,cittadino
austro- ungarico si arruolò nell’armata romena. Ma per il
paesano- intellettuale
di Ardeal la sua
fervida attività non
era sufficiente,
avrebbe dovuto fare
ciò che aveva
imparato dai libri di
storia raccontati dagli
altri.
Così in un giorno,nel
1900 con la borsa appesa al bastone e sicuro
di sé s’incamminò:da Cartisoara di Sibiiu
fino a Roma, la culla del suo popolo romeno.
Arrivato a Roma per primo andò nel posto
dove tutti i romeni andavano una volta giunti
nella capitale d’Italia: la “Colonna Traiana”.
Con che orgoglio,con che venerazione il
pastore badea Cartan guardava i bassorilievi
della colonna, i suoi avi daci e romani,
Decebal come principe e “Badica traina”.
Poiché era solo, non conosceva nessuno,
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appena fece sera, si sdraiò alla base della colonna.Il
giorno dopo di mattina i passeggeri, i poliziotti, i
giornalisti ebbero una rivelazione, un paesano di
Corjati,un dacio, ai piedi della Colonna di Traiano!
I giornalisti di Roma il giorno dopo scrissero: “ Un dacio è
sceso dalla colonna”Proprio come un dacio della Colonna,
con i capelli lunghi,con la camicia e il berretto di pelliccia,
con pantaloni e scarpe da contadino.Fu pubblicata la sua
fotografia, fu intervistato……
Ancora una volta, l’originale personaggio, aveva fatto
scalpore anche a Roma!
Fu invitato negli ambienti politici,culturali, giornalistici
d’Italia,fu accolto con simpatia e amicizia;ed egli si mostrò
con dignità e naturalezza, riscuotendo gran de simpatia
tra gli italiani per l’idea“della fratellanza romena”Non
passarono molti annie, nella prima guerra mondiale,che
per i romeni fu la guerra dell’unione, francesi, italiani e
romeni furono alleati.)
Ma badea Cartan non potè vedere la
nascita della “ Grande Romania”, per
la quale anch’egli aveva portato il
suo modesto ma simbolico
contributo. Sette anni prima del
1918,quindi nel 1911, morì, all’età
di 62 anni. La morte lo colse sulla
strada, nell’antica Romania oltre i
monti.
La sua tomba è nel cimitero di
Sinaia,l’epitaffio,impressionante, fu
scritto da un altro grande
romeno,un grande intellettuale e un
apostolo del popolo,Nicolae Iorga:
“Badea Cartan dorme qui e sogna
l’unione del suo popolo”
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L’Italia nei ricordi dei romeni
Nel medioevo: Miron
Costin nel “De neamul
moldovenilor”da quale
paese provengono i
loro antenati.
L’Italia è situata dove
tramonta il sole, non così
lontano dal nostro paese.
Situata in mezzo ai mari
che sono le sue frontiere.
Le regioni dell’Italia: la
Liguria, la Toscana, il
Lazio, la Campania ect.
Descrizione dell’Italia: città
fortificate e città
evolute,molti abitanti, un
territorio bello come un
paradiso, giardini e
campagne lussureggianti,
uomini capaci, ospitali con
gli stranieri, di grande
umanità; questo paese è la
culla degli intellettuali e della cultura. Il nome dell’Italia è
antico; gli italiani hanno vincoli di sangue con i moldoveni.
In epoca moderna , Lucian Blaga: “Cronaca e valore delle
età della vita” “…)(opera autobiografica. )
Nel XXII capitolo racconta una escursione scolastica fatta
dall’alunno Blaga con il Liceo Saguna nel 1911, in Italia.
Preparativi per l’escursione:preparativi e costi.
L’escursione in Romania parte da Bucarest,visita
all’Accademia, incontro con i manoscritti di Eminescu; il
treno per Costanza, il viaggio con il battello per il Mar
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Nero;visita a Costantinopoli; viaggio sull’Egeo; visita ad
Atene; arrivo in Sicilia.
L’escursione in Italia:la strada per Messina,la vista di
Messina due anni dopo il
terremoto; il viaggio con il
treno per l’Italia continentale
per Napoli. La vista delle
mura antiche di Pestum. A
Napoli forti emozioni, i
musei, il paesaggio, le
escursioni nella natura. La
vista del Vesuvio fumante, la
visita a Pompei, città romana
distrutta dall’eruzione del
Vesuvio 2000 anni prima
(le rovine, il museo, il
Cane di Pompei. Lo
spettacolo dell’Opera con
Tosca e una giornata
libera a Napoli.
Dieci giorni a Roma,con le
sue meraviglie. La prima
meta per i romeni: la
Colonna di Traiano. poi il
foro romano, il vaticano,
la Cappella Sistina, i
dintorni di Roma, le terme
di Caracalla, via Appia
.l’Opera. Una pausa di due
tre giorni a Firenze e poi
una giornata a Venezia.
Dopo l’attraversata
dell’Adriatico fino a Fiume,
il treno per Budapest e poi
direttamente a Brasov da
dove eravamo partiti.
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Storia
L’8 febbraio 1431, un
gruppo di nobili vennero
dalla “Tara Romaneste” e
avevano con loro uno
scettro principesco fatto
per molti abitanti di
Nurnberg, a quei tempi la
città delle diete imperiali,
sfidando il freddo per
partecipare ad un
avvenimento storico
importante: l’imperatore
Sigismund di Luxemburgo
dava la signoria della tara
romaneste a Vlad, che aveva vissuto alla sua corte per 8
anni. Proprio in quel giorno, l’imperatore Sigismund gli
regalò il suo scettro ed una collana e un medaglione in
oro in cui era inciso un dragone, stemma della Cavalleria
dell’ Ordine dell’omonimo animale.
Nell’attesa della incoronazione, Vlad e la sua famiglia
andarono a Sighisoara, in
Transilvania, dove fondano una
zecca. Per le prime due monete
battute, Vlad usò lo stemma del
suo sigillo: il dragone. Questo
spiega perchè i romeni, la cui
lingua è di origine neo latina, lo
hanno chiamato Dracula (dal latino
Draco-Onis). In romeno Dracula
significa diavolo. Per i posteri il
sopranome prese il posto del
cognome, Vlad, il suo secondo
figlio, fu conosciuto cosi. Vlad
Dracula, cresciuto a Sighisoara, fu
preso come ostaggio dai turchi, si
rifugiò da suo zio Iancu di
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Hunedoara, un nobile romeno (Vlad Dracula si sposerà
con sua figlia) e divenne signore della Tara romaneste il
22 agosto 1456.
Quando era il Padrone delle tara romanesca , Vlad
Dracula, fu uno dei più temuti nemici dei turchi,
riorganizzò lo stato, l’esercito e le leggi, condannando a
morte, impalando tutti coloro considerati nemici: banditi,
ladroni, mendicanti, preti rapaci, nobili traditori, sassoni
usurpatori che cercavano di spodestarlo per mettere al
suo posto suo cugino Dan il Giovane o suo fratello
naturale Vlad il Monaco. Gli storici turchi l’hanno
chiamato Vlad l’impalatore e cosi è conosciuto dalla
storiografia romena.
Egli era abituato a
firmare invece con il
nome di suo padre,
Dracula. Ciò è
dimostrato dal primo
distintivo
documentario di
Bucarest, del 20
settembre 1459 e dal
ritratto di
Odhsenbach
Stambuch da
Stuttgart.
Fu tradito da, Matei Corvin, suo futuro cognato ed ordino il
suo arresto. Vlad Dracula fu più di 10 anni in prigione a
Visegrad, vicino a Buda. Ritornato sul trono nel 1476 con
l’aiuto di Stefan il Grande, signore della Moldavia, insieme
ai dogi della Serenissima e con l’aiuto del Papa Sesto IV,
Vlad ricomincio la lotta contro i turchi.
Alla fine del 1476venne ucciso a Snagov da Laiota
Basarab che prenderà il suo posto sul trono.
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Leggenda
Vlad l’impalatore, chiamato
dalle leggende Dracula, è stato
signore della Regione
Romanesca (la parte
meridionale della Romania
odierna).
La sua storia ha affascinato e
continua ad affascinare tutto il
mondo.
La sua vita piena di imprevisti,
come la crudeltà delle sue
azioni sono già leggenda.
Raccontata prima in romeno e poi in slavo antico, poi in
Tedesco, con le esagerazioni di rigore specialmente in
questa ultima versione, la sua leggenda è arrivata ad
essere conosciuta in tutta Europa. Molte delle leggende
fatte intorno al suo nome sono state storie macabre,
presentando Vlad l’impalatore come un uomo bello ma
veramente crudele.
Non pochi sono stati gli scrittori che hanno raccontato la
sua vita e le sue azioni incredibili. Cosi è nata una vera
moda Dracula, il piu grande dei vampiri. La sua storia e
stata raccontata in milioni di versioni. Ha conquistato I
registi (sono state realizate piu di 100 pellicole). Le storie
dei libri e delle pellicole raccontano del vampiro Dracula,
sempre ambientate in Transilvania. Per molti la
Transilvania è un posto fantastico.
La descrizione delle città Cluj e Bistriza, il Passo Bargau di
Carpazi (unisce Transilvania di Moldavia), e la descrizione
di altri posti rispettano la realtà. Dracula, il vampiro,
questo personaggio misterioso delle storie,dei romanzi e
delle pellicole non è mai esistito.
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Dopo 1897 quando è stato pubblicato il romanzo “Dracula”
di Bram Stocker (1847 – 1912), un irlandese di Dublino, il
nome del signore munteno divenne ancora più famoso.
Bram Stocker era un regista teatrale, membro della
Associazione di parapsicologia “Golden Dawn” di
Londra,appassionato studioso di vampirismo irlandese ed
hindù. Il personaggio principale del suo libro stampato in
milioni di esemplari è un vampiro, il Conte Szealer,
chiamato Dracula. L’azione del libro si svolge in
Transilvania l’autore dice: “Ho letto che tutte le
superstizioni del mondo sono sui Carpazi, come se li fosse
il centro d qualcosa di mistico”.
Sarà questa la verità su Dracula? Leggenda o storia?
E adesso .....noi
Abbiamo desiderato sapere
qualcosa di più su Dracula, e
per questo abbiamo effettuato
alcune visite nei luoghi di
grande importanza per la sua
vita, ricordati nella storia o
nei lavori di finzione.
(Bucarest, Targoviste, Curtea
de Arges, Poieneri, Bran,
Brasov, Sighisoara)
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Quando siamo arrivati a Targoviste, eravamo molto
ansiosi: “ E se la nostra città non piacerà’?” Ma ci
eravamo sbagliti nel pensare questo: i nostri amici sono
rimasti affascinati ! E quando siamo arrivati alla Torre
Chindia e abbiamo visto le immagini con Vlad Tepes,i
nostri visi si sono illuminati: eravamo vicino al mitico
Dracula.
Nella torre abbiamo vissuto momenti che ci hanno
riempito di gioia: avevamo davanti la città ricca di storia!
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VLAD TEPES – TRA STORIA E
LEGGENDA
Noi romeni abbiamo amato da sempre Vlad Tepes perchè
ricordiamo con piacere le storie che dicono che, al suo
tempo, un uomo che si trovava in un qualunque posto del
territorio romeno, non doveva aver paura di lasciare la
borsa con i soldi sulla strada , perché nessuno avrebbe
avuto il coraggio di prenderla.
Dio, con la sua pietà, dovrebbe creare un nuovo Vlad
Tepes, perchè egli ha fatto veramente giustizia.
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ISTORIA
Vlad Tepes ,meglio noto come Dracula, è il secondogenito
di Vlad Dracul II
Il soprannome “Tepes” “Impalatore” gli fu attribuita dopo
la sua morte nel 1476 per i modo come egli giustiziava gli
ottomani,conficcandoli nei pali. L’impalatura era una
crudele esecuzione, la vittima veniva infilzata in un palo
acuminato,grosso quanto un braccio di un uomo.
Si dice che Vlad prediligesse le esecuzioni di massa, le
punte dei pali formavano una specie di “foresta”.
Vlad nacque a Sighisoara in Transilvania nel 1431.
Divenne più tardi il
secondo Principe
della Valachia.
Suo padre, fu un
cavaliere dell’Ordine
del Drago,un ordine
cavalleresco del
l’Europa dell’Est che
aveva lo scopo di
fermare l’avanzata
dell’Impero
Ottomano. Lo stemma dell’Ordine
del drago raffigura un drago e una
croce( simbolo del cristianesimo) e
Vlad Dracul portò questo simbolo
dappertutto, nelle bandiere, nelle
monete, nel sigillo.
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VLAD II PRINCIPE DI
VALACCHIA
Nell’inverno del 1436-37 ,Vlad II divenne Principe di
Valacchia e prese residenza nel palazzo di Targoviste ,la
capitale della Valacchia.
Vlad III
seguì suo
padre
,vivendo 6
anni nella
corte
principesca
.
Dopo varie
e tragiche
vicende, nel l1463 Vlad Tepes Dracula
sconfisse gli ottomani,non fece prigionieri,i
sopravvissuti furono tutti impalati,salvo uno
che fu rimandato indietro con la testa del
suo generale.
Con il coraggio e la sua ferocia impedì
l’invasione del paese.
Vlad Tepes è l’eroe nazionale della
Transilvania.
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LA MORTE DI VLAD
Della morte di Dracula non si conoscono
molte
cose,esistono diverse ipotesi. La più diffusa è quella che
sostiene che sia stato ucciso in una battaglia contro i
Turchi, nei pressi di Bucarest,nel dicembre del 1476.Altri
sostengono che sia stato ucciso, in quella battaglia, dai
feudatari valachi.
fine
Che
ha
fatto
veramente il corpo di
Vlad?
venne riesumato un
corpo vestito
fastosamente, ma
decapitato e si pensò che
fosse il corpo di Vlad, la
cui testa, si dice, sia
stata inviata al Sultano.
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LEGGENDA
La storia di Vlad Tepes è un mistero tra storia e leggenda
,la verità è che nessuno sa dove finisce la leggenda e
comincia la storia. Divenne un personaggio non solo
storico ma letterario e flolkloristico perché il voivoda fu
scelto dallo scrittore Bram Stoker come protagonista
principale del suo romanzo scritto nell’anno 1897
Da quel momento Dracula e la Transilvania, il luogo dove
si trova il misterioso castello pieno di fantasmi e vampiri,
in mezzo a foreste misteriose,è divenuto il soggetto di 750
tra , films, documentari e novelle ispirate al romanzo
dello scrittore irlandese.
Si dice che la trasformazione di Vlad Tepes nel Conte
Dracula assetato di sangue, è la conseguenza del fatto
che ,secondo le abitudini di quel tempo,il vincitore di una
combattimento si poteva dissetare con il sangue degli
sconfitti.
Sarà questa la verità su Dracula? Leggenda o storia?
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La storia delle sue gesta è stata fonte di ispirazione per
Bran Stoker, che rese Vlad famoso in tutto il mondo.
Stoker lesse le storie di Vlad scritte nelXV e XVI secolo e
venne colpito dalle crudeltà descritte.
Decise di farne il suo personaggio e di ambientarne la
storia in Transilvania, “paese oltre la foresta”.Stoker usò
Vlad solo come fonte di ispirazione,nel suo racconto
Dracula non è il principe Vlad, ma un conte della
Transilvania,la storia si svolge nell’area della Bisriza ed il
castelo i trovavicino al passo Bargau.
Dato che Stoker non aveva mai visitato la
Transilvania,molti posti
ed avvenimenti sono
puramente Immaginari.
Il Castello di Bran,conosciuto
come il castello di Dracula,fu
costruito nel 1378 sullo spuntone
di una roccia, doveva difendere e
controllare la strada commerciale
che univa la provincia di
Valacchia alla Transilvania. Era
anche un posto di dogana,
residenza del Re.Secondo la
tradizione fu a lungo la residenza
di Vlad III di Valacchia, passato
alla storia come Dracula. Oggi è
un museo d'arte feudale .
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MAZZINI E LA ROMANIA
di Marco Baratto
Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2005 sul giornale "Il
Cittadino".
Il pensiero di Mazzini non si limitava all'ambito
italiano, con profetica visione si allargava all'intero
continente europeo ".
Nel 1848 sull'Europa soffia il vento della libertà, una
dopo l'altra, rivoluzioni scoppiano a Parigi, Berlino,
a Vienna, a Milano: anche i rumeni innalzano la
bandiera rivoluzionaria e vogliono cambiare il
paese. L'influenza del pensiero mazziniano sui
rivoluzionari romeni in maggioranza moldovalacchi ,
è riscontrabile nel dibattito che seguì dopo il
fallimento delle rivoluzioni del 1848/1849 e il credo
e il frasario mazziniani, allora familiari alla classe
politica e alla parte più evoluta del popolo romeno,
fecero sì che la proposta di Mazzini di una
democrazia "Europea" e i suoi progetti federalisti,
figurassero al primo posto nei progetti delle società
segrete romene nate ad imitazione della "Giovane
Italia".
Del resto, da tempo emissari del Mazzini erano attivi
in terra romena, che era la base di tanti piani e
tentativi insurrezionali nell'Europa
danubianobalcanica e in Polonia e i messaggi di
Mazzini a coloro che egli non cesserà mai di
chiamare "i suoi amici di Bucarest", parlano di
"concordanza di dottrina, identità di fini e ricerca
assidua d'operosa concordia".
Dopo la parentesi rivoluzionaria, l'attività svolta in
esilio dai liberali radicali romeni mirava a
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promuovere la cultura politica democratica e
repubblicana e, al ritorno in patria, le più belle
pagine del loro giornale "Românul" vennero
dedicate all'illustrazione delle tesi mazziniane. "La
Giovane Romania" collaborò, fin dalla nascita, con il
"Comitato di Londra" e partecipò alle iniziative
dell'Alleanza Repubblicana Universale.
Tra i fondatori: Nicolae Balcescu, Constantin
Rossetti, i quattro fratelli Golescu, i due Bratianu,
tutti fervidi d'ingegno e operosità nella loro fede
europeistica. Identificando in Mazzini la guida
indiscussa del movimento per la trasformazione
della carta geografica e dello spirito dell'Europa,
Dimitru Bratianu, quale rappresentante dei Romeni
nel Comitato Democratico Europeo, andrà a Londra
per conoscerlo e stargli vicino. Mazzini che
riconosceva ai romeni un ruolo particolare nella
futura Europa, scriveva per l'appunto: "Tutte le
nazioni erano uguali, dotate di una missione e con il
sacro diritto dell'iniziativa rivoluzionaria. Per quello
che riguardava la razza romena, [...] era chiamata a
fare il collegamento tra la razza slava e quella
grecolatina ". Ricordiamo che, al pari di quello
italiano, il popolo romeno era frammentato tra Stati
diversi e non tutti i patrioti romeni seguivano la
stessa linea. I movimenti insurrezionali del 1848,
vedevano avanzare richieste diverse da regione a
regione. In Valacchia, si chiedeva la fine del
protettorato russo e del "Regolamento Organico", e
la sua sostituzione con la Costituzione Nazionale. In
Moldavia, bastavano alcune semplici riforme del
"Regolamento Organico".
In Trasilvania, che dopo la pace di Carlowitz era
stata annessa all'Impero d'Austria, si chiedeva
parità con le altre nazionalità dell'impero e
soprattutto di non essere uniti con un eventuale
stato magiaro. Divisioni e beghe tra i rivoluzionari
romeni, tanto simili a quelle tra italiani, fecero
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fallire entrambi i movimenti insurrezionali del
1848,1849 e 1853 e furono giudicate con severità
sia daMazzini sia dal romeno Costantino Rossetti. ll
primo, nel 1850, nello scritto "Foi et Avenir"
sosteneva "mancanza di organizzazione, di unità,
lotte meschine tra i vari gruppi politici sono
all'origine del fallimento della nostra impresa".
Mentre, nel la contemporanea "Cronica politica" del
Rossetti, emerge un'interessante parallelismo,
infatti, il patriota romeno sosteneva: "Milano,
Venezia, Roma e le altri parti dell'Italia, invece di
sollevarsi insieme tutte d'un colpo, rovesciando tutti
gli imperatori, di proclamare la Repubblica Italiana,
una sola stanza e un solo governo popolare e
repubblicano, si alzarono a turno... Così, anche noi
romeni ci alzammo solo in parte e a turno". Nel
giugno 1850 è organizzato, a Londra, il Comitato
Centrale Democratico Europeo, che prova a
rapportarsi con gli esuli romeni e quelli ungheresi,
nel tentativo di mediare le dispute create dal
problema delle nazionalità in Ungheria e, nel 1851,
lancia il famoso appello "Alle popolazioni romene"
firmato, oltre che da Mazzini, anche da LedruRollin e
da Darasz che, tra l'altro, dice: "Il popolo romeno,
avanguardia della razza grecolatina, è chiamato a
rappresentare in Europa orientale il ponte con le
nazionalità slave e il principio della libertà
individuale e del progresso collettivo che ci
definisce noi, europei, come apostoli dell'umanità".
Nemici degli slavi, degli ungheresi, degli italiani, dei
greci e dei rumeni sono l'Imperatore d'Austria e lo
Tzar. Il futuro appartiene ai popoli liberi e le
controversie verranno risolte da un congresso in cui
questi saranno "equamente" rappresentati. I
rapporti tesi tra le nazionalità danubiane verranno
normalizzati dalla costruzione della confederazione.
"La grande confederazione danubiana sarà cosa dei
nostri tempi. Quest'idea vi deve guidare le azioni. Il
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ponte di Traian, con le sue basi sulle sponde del
Danubio, è il simbolo dello stato attuale. I nuovi
ponti saranno realizzati con le vostre mani. Ecco il
vostro compito per il futuro ".
L'appello, appartenente a C. A. Rossetti, è tradotto
in lingua romena in cirillico e latino e viene
pubblicato, grazie a I. C. Bretianu e a D. Florescu, da
ben dieci giornali parigini. Sulla stampa italiana
appare (il 3 luglio e l'8 d'agosto) su la "Voce del
deserto" e nel supplemento di luglio agosto de
"Italia e il popolo". L'interesse di Mazzini per la
causa romena non viene meno neppure negli anni
successivi e, sia nel 1859, ma anche nel 1866,
l'apostolo dellla libertà dei popoli, tornerà ad
interessarsi della Romania. La sua attenzione è
stimolata dal profilarsi, proprio nel 1866, di un
nuovo scontro tra Italia e Austria. Alla vigilia della
terza guerra d'indipendenza per liberare le terre
venete ancora soggette all'Austria, Mazzini chiede al
Governo Italiano di stringere alleanza, non con la
con la Prussia, ma: "Coi popoli aggiogati
forzatamente al carro dell'Austria, coi popoli che
devono essi pure rivendicarsi libertà e
indipendenza. …….". ………..
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Protagonisti del Risorgimento
europeo:
le figure di Balcescu, Andreuzzi e
Mazzini
Stefan Delureanu, dell’Università di Bucarest, il 17
ottobre 2002, presso la Civica Biblioteca Guarneriana di S.
Daniele del Friuli, sul tema:
Nicolae Balcescu, Antonio Andreuzzi e Giuseppe
Mazzini protagonisti del risorgimento europeo.
Ma io parlerò adesso in italiano e vi dirò subito che i
patrioti rumeni che inaugurarono con il ’48 una fase
decisiva nella storia moderna della loro nazione e in modo
particolare i liberal-democratici,
fautori
di
un
sostanziale
rinnovamento etico politico da
essi definito una "palingenesi
universale" furono animati nel
loro
credo
e
nel
loro
programma di edificazione dello
Stato unitario da una vocazione
democratica e repubblicana che
li avvicinava a Mazzini.
Per Nicolae Balcescu è stato lui
e non Carlo Marx il più grande
rivoluzionario d’Europa (ed è
questo il giudizio di uno storico
che non sprecò mai i superlativi), per Dumitru Bratianu,
che sarà il rappresentante rumeno presso il Comitato
democratico europeo di Londra, Mazzini è stato l’uomo del
secolo e infine per Giovanni Eliade Radulescu, il maggiore
italianista rumeno del tempo, l'apostolo genovese è stato
la personificazione dell’intero pensiero italiano.
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Il messaggio concettuale di Balcescu rivela rapporti di
sostanziale analogia e di concordanza con la dottrina del
genovese, l’identità della mèta prefissa, un comune
indirizzo nella coordinazione della democrazia europea, un
incessante appellarsi alla alleanza dei popoli con speciale
riferimento ad una cooperazione rumeno – ungherese slavo meridionale.
Il secondo, Dumitru Bratianu, andrà a Londra per cercarlo
e per stargli accanto come rappresentante dei suoi
concittadini nell’appena creato comitato democratico
europeo.
Dal suo luogo d’esilio l’ultimo Giovanni
Eliade Radulescu invierà ai compagni
relegati in Asia minore, a Brussa, copie
di "Fede e Avvenire".
L’incontro con Mazzini, ritenuto di
massima importanza, verrà richiesto e
promosso come prioritario da tutti i
gruppi dell’esilio romeno post-1848: un esilio che durò,
per i più, 9 anni.
Cementato da una profonda mutua conoscenza e da una
stretta collaborazione con i capi del loro movimento
democratico, il legame tra il genovese e i rumeni si
espresse per una costante presenza nella sua opera, nei
suoi indirizzi, nei suoi programmi d’azione in cui veniva
riservato loro una parte preminente nell’area danubianobalcanica.
Il rapporto di reciproca fedeltà si protrasse sino alla morte
dell’apostolo che parlava costantemente, nel suo
epistolario, dei fratelli Bratianu, dei fratelli Golescu e di
Constantin Rosetti come dei suoi amici di Bucarest
"doppiamente fratelli per la stirpe e per la fede politica".
Per il tramite dei democratici rivoluzionari il credo e la
terminologia mazziniana divennero familiari fra i
componenti la classe politica.
Le idee di Mazzini presero corpo in associazioni simili alla
Giovine Italia o in progetti confederativi: emissari
mazziniani percorsero terre romene, disegni cospirativi e
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tentativi insurrezionali ebbero come base il territorio
romeno o una partecipazione romena.
Come i periodici dell’esilio, la Romania avvenire, la
Gioventù romena, La Repubblica Rumena, con il ritorno in
Patria nel ’57, il migliore e più diffuso giornale rumeno
"Românul", appunto il “Rumeno”, di Constantin Rosetti,
sarà una tribuna mazziniana dei popoli.
Ma non fu solo per simili aspetti che si espresse il
carattere
non
effimero
dell’adesione
romena
al
mazzinianesimo.
La storiografia concorda nell’ammettere come periodo
dell’intensificarsi
della
penetrazione
del
pensiero
mazziniano tra i romeni gli anni posteriori al ’48:…..
…..Manifesti, proclami, appelli dei comitati rivoluzionari…,
ispirati dalla probabilità d’azione, attestano la comunanza
di principi, ….
……L’intuizione rumena di una necessità primaria di
stringere i rapporti con le nazionalità oppresse dell’area
sud-orientale e centro-orientale è paragonabile alla
perseveranza con la quale Mazzini proclama tale priorità
un punto programmatico basilare di ogni politica estera
italiana lungimirante.
Missioni esplorative compiute da patrioti rumeni
mazziniani in nome di Mazzini in Austria, in Germania,
nelle isole Ionie, Malta, in Serbia, in Grecia, nella Turchia
Europea, in Transilvania, in Ungheria o in Boemia
servirono a tastare il terreno, a
fornire
allo
staff
della
democrazia europea elementi e
dati necessari per maturare una
decisione.
Nei
programmi
architettati
dall’ultimo Mazzini, i romeni
costituirono
l’elemento
fondamentale in quella sua
strategia che mirava ad una
perfetta concordia operante fra
di loro i Greci e gli Slavi del sud,
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fine guardato come espressione della funzione dell'Italia in
Oriente, parte essenziale della sua missione generale.
Presenti nella mente e nell’animo di Mazzini fino alla sua
morte e anche dopo, le terre romene, eternamente legate
a Roma "per stirpe, affinità di lingua, tradizioni, spirito",
sono parole di Mazzini, dovevano, secondo lui, essere
soltanto coltivate con nobile passione dall’Italia per
riacquistare la meritata rilevanza in Europa.
Pubblicato nel 1876 a Bucarest (su promessa fatta a
Maurizio Quadrio dal traduttore), la traduzione de "I
Doveri dell’Uomo" offrì al pubblico rumeno una delle sue
opere caratterizzanti fra le prime tradotte in Europa.
Intuizioni
privilegiate,
concordanza
di
concetti,
orientamento, aspirazioni e fini determinarono la adesione
convinta e duratura dei romeni al mazzinianesimo.
Tale convinzione politica e morale, che reclama prese di
posizione definitive, non poteva essere il risultato del
contatto con l’apostolo della nuova fede, abbracciata
attraverso un atto di conversione momentanea.
Il mutamento era avvenuto lentamente: si era operato in
un lungo esercizio interiore, la determinazione a seguirlo è
stata conseguenza legittima di un intero modo di pensare
dell’intera militanza e azione rivoluzionaria precedente.
Il mazzinianesimo è penetrato tra i romeni attraverso
l’emigrazione italiana, attraverso le navi battenti bandiera
sarda, attraverso il ramo polacco della "Giovine Europa",
attraverso i contatti diretti con i mazziniani a Parigi o in
Svizzera, ma anche attraverso letture dirette dei testi
fondamentali di Mazzini.
Testimone, nel 1847, del fervore patriottico manifestatosi
in Italia durante la sua prima visita nella penisola tra
Genova e Palermo, il Balcescu lo coglie come segno di
maturità alla vigilia del moto di rinnovamento europeo.
Così come Dumitru Bratianu da Parigi lo interpreta
contemporaneamente: uno stimolo notevole nell’identica
battaglia per il riscatto nazionale di fronte a cui si
trovavano entrambe le nazioni. ……Le idee di Balcescu,
sacerdote dell’ideale vicino a Mazzini per l’esercizio della
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mente e della virtù, derivano chiaramente da Mazzini.
Patria e Umanità sono termini complementari nel suo
discorso, in armonia con le tendenze universalistiche della
proposta mazziniana di democrazia europea. Nel frasario
di questo segretario del primo governo provvisorio
romeno del ’48, come in quello dei fratelli Bratianu e di
Constatin Rosetti, il maggiore giornalista del tempo, nei
testi programmatici del ’48 valacco, nella stampa
dell’esilio, sostanza e formulazioni sono mazziniane.
Mazziniano è il trattare il tema "nazione",……….. agli stessi
valori ideali. ……..
….Mazzini nel Manifesto del Comitato Nazionale Italiano,
datato 8 Settembre 1850, ..includeva Bucarest tra "le città
di una patria, la patria dei martiri e dei credenti in un
comune
avvenire",…..
In settembre '48 si
inizia, dopo tre mesi
di "repubblica" a
Bucarest, l’amaro
itinerario dei capi del
movimento
risorgimentale
romeno, finito per
alcuni, come per il
Balcescu, senza la
riparazione postuma di trovare nel patrio suolo un posto
che ne custodisse le ceneri. …..
……. Se per "conoscenza di Mazzini" intendiamo invece il
condividere di un credo fondato su intuizioni e principi
comuni, sul prospettare di ipotesi e di soluzioni identiche o
analoghe, su un impegno totale nell’agire per il trionfo
degli stessi ideali nazionali ed insieme europei, perché
entrambi furono precursori di questa Europa che si sta
unendo, allora possiamo sostenere che Balcescu si sia
rivelato il romeno più profondamente familiarizzato con la
dottrina mazziniana, da lui coerentemente professata sul
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piano dell’elaborazione teorica ed in quello dell’esperienza
storica.
Il tesoro di idee e di precetti definito da Mazzini è stato
assimilato da lui nella sua sostanza imperativa come
anche nella tendenza di rappresentare la premessa di
un’azione che non finiva con l’opera di una generazione.
Allorché Balcescu proclama Mazzini il più grande
rivoluzionario d’Europa, egli racchiude in quelle parole la
sentenza di uno storico appoggiata su un’ottima
conoscenza del pensiero democratico repubblicano
dell’epoca, della rivoluzione europea. Tale giudizio è
certamente uno dei primi tra
quelli espressi fino nel ’50
dalla
storiografia
del
continente.
………Cosa
significhi
Mazzini
per
Balcescu, lo testimonia,……. .
La concordanza dei concetti
di nazionalità e di umanità
……. l’utilizzazione di…….. un
comune
patrimonio
di
vocaboli, :…….. legge, virtù,
dovere,
sacrificio,
fede,
santità,
salvezza,
……
l’identità della meta politica
e morale, … la fratellanza nel
credo di una missione di ogni
nazione nella storia, …….
L’analogia dei destini storici
degli italiani e dei romeni si è incorporata perfettamente
nei loro programmi.
…….Le frasi di Balcescu rivelano un esemplare
adoperazione di concetti e di orientamenti mazziniani, anzi
talvolta un’espressione nobilitata dall’apporto di entrambi,
una sintesi in cui può venire determinato un trasferimento
incontestabile di termini del linguaggio mazziniano. Si può
decidere senz’altro da quale testo di Mazzini, da quale
lettura provengano le idee di Balcescu espresse nei suoi
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vari saggi. Come Mazzini che reputava la sua una
generazione di promotori e di precursori, il Balcescu vede
nella sua generazione solo l’iniziatrice di un lungo
processo storico.
L’emancipazione dei popoli e la fratellanza umana fu
brama di vita dell'uno come dell’altro. Questo ideale
distinse tutto il loro pensiero, l’intera loro azione, come
stanno a testimoniare i loro scritti e le loro iniziative.
L’unità nazionale d’Italia e d’Europa è stata la meta
dichiarata della battaglia mazziniana, così come l’unità di
tutti i romeni in uno Stato e di una Federazione Danubiana
fu proposta da Balcescu ai suoi contemporanei ed ai
posteri come obiettivo politico, ideale supremo di un
futuro intravisto, cui dedicò tutta la sua esistenza. …….
……Balcescu non incontrò mai Mazzini, ma il nobile figlio di
Genova fu certamente l’uomo che egli avrebbe desiderato
conoscere di persona, più di ogni altro europeo, per
collaborare con lui al compimento di una missione
rigeneratrice in Europa: l’uomo il cui pensiero e i sogni
generosi erano i più vicini alla generosità dei suoi indirizzi
e delle sue aspirazioni.
Il loro credo comune riunì il
fervore della generazione di Balcescu a quella della
generazione di Mazzini dando sostanza e senso alla loro
offerta, segnando nel suo rettilineo professare un
impone
nte
contrib
uto alla
fondazi
one
delle
idee
portanti
della
nuova
epoca
stor
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UN PROTAGONISTA ROMENO
DELLA DEMOCRAZIA MAZZINIANA:
DIMITRU BRATIANU (1818-1892)
I democratici romeni che avviarono nel '48 il rinnovamento
della nazione furono spinti nelle loro
rivendicazioni da un atteggiamento
europeistico ispirato a quello di Mazzini.
Il credo e il frasario mazziniani divennero
allora familiari alla classe politica e
all'opinione evoluta del mondo romeno e
la
proposta
mazziniana
per
la
democrazia europea prese così corpo in
disegni programmatici di organizzazioni
analoghe alla Giovine Italia e in progetti
federalistici.
Emissari
dell'Apostolo
percorsero le terre romene, prima base
di tanti piani e tentativi insurrezionali
nell'Europa danubiano-balcanica ed in
Polonia.
Il contenuto del messaggio ideale di
Mazzini e di coloro che egli non cesserà di chiamare i suoi
amici di Bucarest riflette concordanza di dottrina, identità di
fini e ricerca assidua di operosa concordia.
L'attività giornalistica svolta in esilio dai liberali radicali
romeni mira a promuovere una cultura politica democratica
repubblicana. Col ritorno in patria, le migliori pagine del loro
giornale "Românul" sono sostanzialmente mazziniane.
Attiva nella collaborazione con la democrazia europea dalla
nascita del Comitato di Londra fino alle iniziative dell'Alleanza
Repubblicana Universale, la Giovine Romania ebbe tra gli
antesignani, accanto a Nicolae Balcescu, Constantin Rossetti
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e i quattro Golescu, i due fratelli Bratianu, fervidi di ingegno e
di operosità nel loro impegno europeistico.
Identificando in Mazzini la guida indiscussa del movimento
per la trasformazione della carta e dello spirito d'Europa,
Dimitru Bratianu andrà a Londra a cercarlo, per stargli vicino
come
rappresentante
dei
compatrioti
nel
Comitato
Democratico Europeo…………………
Formatosi nella Francia della monarchia di luglio come
l'intero nucleo direttivo giovine romeno della generazione del
Quarantotto, il Bratianu trovò il suo migliore alimento
culturale e politico nei più evoluti ambienti laici e democratici
del tempo, nei quali assai diffusa era l'influenza delle idee di
Mazzini.
A Parigi, tra gli ideatori e i più attivi consoci
dell'Associazione degli Studenti Romeni, ramo esterno di una
sorta di Giovine Romania, troviamo ………..già Dimitru
Bratianu, che nel 1847,…….
……..Del ruolo svolto dal Bratianu si trova tra l'altro
conferma in una lettera di Mazzini del 14 luglio 1851, nella
quale il Genovese comunica a Pietro Giannone la nomina di
Dimitru Bratianu a rappresentante del mondo romeno nel
1 [1]
Comitato londinese( )……………..
……………….Il senso del grandioso piano(DI MAZZINI) venne
inteso con acutezza d'ingegno dal fratello di Dimitru, Ion
Bratianu, del quale Mazzini apprezzava in particolare le doti
di uomo d'azione…………
……Alla morte dell'Apostolo, toccò a Dimitri Bratianu l'onore
di tessergli l'elogio sulle colonne del giornale "Românul". La
sua missione era stata, secondo Bratianu, quella di plasmare
spiriti e suscitare fiducia. Promotore del movimento di
liberazione dei popoli, coscienza della nazione italiana,
"leggenda e mito" per le generazioni a venire, Mazzini era
addirittura celebrato come il redentore del mondo.
L'articolo venne di nuovo stampato dal "Românul" nel
giugno 1892, all'indomani della scomparsa di chi l'aveva
redatto nel marzo del 1872 e noi lo riproponiamo ora tradotto
in calce a questo nostro scritto insieme con una significativa
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lettera che il patriota romeno ebbe a indirizzare a Mazzini nel
1851.
Leader liberale carismatico, protagonista della democrazia
europea, presidente della Camera e del Consiglio dei ministri,
Dimitru Bratianu fu interprete fino alla morte degli ideali
mazziniani nel pensiero e nell'azione del Risorgimento
romeno.
L'ideale nazionale italiano e quello romeno ebbero
finalmente compimento entrambi nel 1918. In un opuscoletto
apparso a Milano nel 1916 dal titolo Mazzini - Bratianu. La
Rumania e le nazionalità europeee che comprende il
manifesto di Mazzini Alle popolazioni romene e la risposta romena scritta con ogni probabilità dallo stesso Dimitru
Bratianu, nella dedica al nipote di quest'ultimo Ionel Bratianu,
in quel momento primo mi-nistro di Bucarest, Ernesto Nathan
così affermava:
"Vi strinsi fraternamente la mano in passato qui a Roma,
Madre nostra comune: da Roma, ve la stringo di nuovo con
costante affetto, mentre noi, Nazioni Sorelle scendiamo di
conserva in campo a difesa della Civiltà, dedicandovi questa
pubblicazione, dove il grande Apostolo del Risorgimento
Europeo, il rivendicatore delle Libere Nazionalità e lo Zio
Vostro, uniti, mirabili di prescienza, oltre sessantacinque anni
or sono, fissarono e proclamarono alla Giovine Europa, doveri
comuni oggi riconosciuti dalla Italia e dalla Romania risorte".
MORTE DI GIUSEPPE MAZZINI
(Articolo di Dimitri Bratianu da: "Românul")
Per parecchi anni, dal 1850 al 1856, vissi nella più grande
intimità con Mazzini. L'amai, mi amò. Ho perciò il diritto e il
dovere di dedicare qualche parola di rimpianto e di
ammirazione - di più non posso fare - al genio, ll'uomo di
bene e al grande patriotta che consacrò tutta la sua vita
all'Italia e all'intera manità.
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Mazzini
logorò
anzitempo
(aveva
soltanto
sessantaquatt
ro anni) la
ferrea
costituzione
della quale
l'aveva dotato
la natura nel
combattere
senza posa il dispotismo in tutti gli angoli del mondo, con una
passione febbrile che non venne meno un solo minuto da
quando si trovava sui banchi della scuola sino al momento in
cui cessò di vivere. Di lui più volte si è anche potuto dire:
"Risusciterà dai morti con la morte la morte calcando e a
quelli dei sepolcri la vita donando". Più volte fu condannato a
morte, e dopo ogni uccisione decretata dai potenti, il soffio di
vita usciva dal suo petto con maggior vigore e risuscitava
anche quelli rimasti morti attorno. L'opera di quest'uomo
gigante aveva qualcosa di soprannaturale, perciò la sua
azione è stata immensa, incommensurabile. Per le
generazioni avvenire, Mazzini sarà una leggenda, un mito.
Ho il diritto, mi sento in dovere di dire a chi non abbia
avuto la fortuna di conoscere Mazzini di persona, cosa sia
stato quel grande uomo che per quasi mezzo secolo
personificò il movimento di emancipazione di tutti i popoli.
Mezzo secolo durante il quale tutti coloro che lottavano per
la libertà e la nazionalità ovunque venivano chiamati
mazziniani, mezzo secolo durante il quale il mondo conobbe
due sole potenze, due bandiere: Mazzini, vessillo di libertà,
lo zar Nicola, simbolo di dispotismo.
Le circostanze fecero sì che io conoscessi quasi tutti gli
uomini della rivoluzione e della diplomazia europea e che
anche lavorassi con alcuni di loro. In tanti ammirai le doti del
cuore e dell'intelligenza; ma tutti avevano anche i difetti
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opposti a tali doti. Ciascuna di quelle grandi individualità
aveva sì degli aspetti luminosi, ma anche dei nei e dei lati
oscuri. In Mazzini trovai l'essere più completo, più armonico;
solo in lui trovai riunite tutte le qualità, anche quelle che
solitamente si escludono.
Mazzini era gracile di complessione, ma robusto e forte;
mai lo vidi malato. La sua figura pareva scolpita nell' acciaio;
aveva tratti di regolarità classica e di grazia moresca.
I pensieri non lo abbandonavano un solo minuto e lo
rendevano malinconico, ma la sua coscienza serena e la sua
grande fede nell'avvenire dell'Italia avevano raccolto nel suo
cuore un fondo infinito di letizia, e appena gli rivolgevi la
parola, in un istante, senza il ben che minimo sforzo, il
sorriso gli si levava sulle labbra, la fronte gli si rasserenava,
gli occhi gli lacrimavano di speranza, e in un linguaggio pieno
di vivacità parlava per delle ore intere e il volto gli si
illuminava; il suo eloquio si animava man mano che avvertiva
come crescesse la comunanza di idee e di sentimenti tra lui e
l'interlocutore: il che succedeva quasi sempre.
Mazzini era facilmente avvicinabile, gradevole, simpatico; la
sola espressione del suo volto attirava verso di lui. Era
buono, pietoso, aveva un cuore per tutte le sofferenze, per
tutti i dolori, persino per le debolezze degli uomini di buona
fede. Possedeva la semplicità, la purezza dei costumi,
l'austerità di un anacoreta e la forza di sacrificio d'un santo.
Era non solamente generoso e liberale; faceva il bene con
una devozione da lasciar credere che fosse lui l'obbligato, e
così era, sentendosi più che felice quando trovava occasione
di fare del bene. Aveva una cultura molto vasta, universale;
era erudito senza essere minimamente pedante. Aveva una
fantasia viva, una grande memoria, un ammirevole buon
senso, un giudizio sano; aveva spirito e presenza di spirito;
molta finezza, un occhio sicuro, intuizione rapida; un talento
raro nell'esprimere, particolarmente per iscritto, sentimenti e
idee nelle forme più affascinanti; e la necessità di comunicare
quasi sempre in segreto aveva conferito al suo stile epistolare
una straordinaria concisione: scriveva per aforismi, in dieci ri-
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ghe sapeva concentrare una materia che sotto qualsiasi altra
penna avrebbe riempito dieci pagine.
Mazzini era un pensatore profondo, era poeta, era artista
nella pienezza della parola e nel contempo l'uomo più
positivo, più pragmatico, più analitico; non gli sfuggivano
nemmeno i particolari più insignificanti.
Mazzini amava il bello, amava la giustizia, amava la libertà,
amava l'Italia con l'ardore del primo amore di una fanciulla;
aveva convinzioni forti come le leggi immutabili, eterne della
natura; aveva la fede di un profeta, di un uomo ispirato; e al
tempo stesso era calcolatore, scrupoloso, minuzioso come un
contabile; era preciso, energico, assoluto come un comandante sul campo di battaglia. Le donne andavano da lui
come in un pellegrinaggio: gli portavano per religioso
omaggio dei fiori, delle immagini, pregandolo di consentire
che fossero esposte per dieci, quindici giorni nella sua stanza.
Gli uomini d'azione, i politici, i militari venivano da ogni parte
per consultarlo, chiedergli piani, istruzioni. Gli uomini di finanza lo onoravano di un credito illimitato: a Londra i biglietti
di Mazzini erano ricevuti da tutte le case bancarie e
commerciali.
Alcuni piccoli episodi della vita di Mazzini, che ricordo in
questo momento, mostreranno chi sia stato quest'uomo
straordinario.
Un emigrato, che aveva fatto molto parlare di sé in
Inghilterra, si era impegnato a dare il suo concorso ad un
moto in Lombardia. Quell'emigrato non mantenne poi fede
alla parola data e si spinse al punto di attribuire a Mazzini, nei
giornali, la responsabilità dell'insuccesso della progettata
missione. Indignato per l'accaduto chiesi a Mazzini: "Che
farai?". La sua risposta fu: "Niente. Conosco da molto tempo
quanto valga quell'uomo, e le sue miserie non possono
toccarmi. Ho dei documenti con i quali potrei perderlo, ma
preferisco non sconfessarlo perché gode ancora gran prestigio
tra i suoi, ed in altre eventuali circostanze forse riuscirò a
utilizzarlo meglio".
Mazzini era a capo di una spedizione insurrezionale e nella
notte in cui stava per passare all'attacco delle postazioni
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austriache uno dei suoi viene e gli dice: "Ordina che io sia
fucilato prima che possa tradire: sento che al primo sparo di
fucile scapperò e demoralizzerò il nostro piccolo esercito".
Mazzini prende la penna, scrive due righe, le sigilla e le
consegna al suo amico, dicendogli: "Mai mi è stata data prova
maggiore di devozione. Prendi questo dispaccio e parti
subito: la salvezza della patria ti impone questo grande
sacrificio".
In Inghilterra io non volevo incontrare Kossuth protagonista
della democrazia europea, così come non avevo voluto
incontrarlo nel '48 in Ungheria, essendo egli stato troppo
ingiusto e violento nei confronti dei Romeni. All'inizio della
guerra di Crimea, alla vigilia della mia partenza per la
Turchia, Mazzini mi dice: "Kossuth desidera vederti, dovete
vedervi. Gli ho dato appuntamento da me, vieni
immancabilmente. Il male che Kossuth poté fare in altri tempi
ai Romeni non ti dispensa dall'obbligo di fare il tuo dovere,
ora; devi cercare di intenderti con lui, in modo da prendere
una decisione prima di partire, perché non sappiamo che
estensione possa prendere questa guerra che ha carattere
europeo". Mazzini ci riunì da lui e con il suo perseverante
concorso convenimmo, nel caso che gli Ungheresi e i Romeni
dell'Impero austriaco avessero preso le armi, di indirizzare
loro un manifesto in lingua magiara e romena, sottoscritto da
Kossuth e da me, per chiamarli ad una comune azione, ogni
nazione combattendo sotto la propria bandiera, e a
condizione esplicita
che dopo la vittoria i Transilvani
avrebbero potuto decidere con un plebiscito, liberamente
votato da tutti, se volessero o no unirsi all'Ungheria. Nel
1856, Lord Palmerston che non vedevo da alcuni anni da
quando ero entrato nel Comitato rivoluzionario, mi rende
noto che voleva parlarmi. Il Comitato m'autorizzò di
incontrare il ministro. Giunto al suo cospetto, Lord
Palmerston mi dice: "Che fate, signor Bratianu?" - "Cospiro
mylord". - "Lo so, cospirate, perché diversamente non potete
servire il vo-stro Paese. Ma ora il Congresso di Parigi vi apre
la via per raggiungere lo scopo che perseguite o per renderlo
almeno possibile senza cospirare più. Permettetemi di
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proporvi di accompagnare a Parigi il primo plenipotenziario di
Sua Maestà. Il governo dell'imperatore è d'accordo con ciò. A
Parigi, Lord Clarendon vi presenterà al conte Wallewski ed
agli altri membri del Congresso".
La proposta del ministro non fece una buona impressione ai
miei colleghi del Comitato che avevano in orrore la
diplomazia; ma io avrei potuto rendere qualche servizio al
Comitato perché, essendo il più giovane, e rappresentando
un piccolo Paese, avrei potuto inserirmi più facilmente nelle
trattative per cui ero incaricato; tra l'altro avrei avuto il
vantaggio di non dover lottare con le rivalità nazionali e le
questioni di supremazia che spesso compromettono gli
interessi più vitali dei popoli. Nessuno parlava. Mazzini ruppe
il silenzio e mi disse: "Non abbiamo bisogno di pensare tanto
per sapere che cosa c'è da fare. Devi accogliere le proposte di
Palmerston, devi andare a Parigi; prima di tutto hai dei doveri
verso la tua patria. La Romania si trova in condizioni
eccezionali e nelle circostanze odierne può benissimo
ottenere qualcosa anche attraverso la diplomazia: hai il
dovere di provare. Se riuscirai, ciò che si farà per il tuo Paese
tornerà a vantaggio di tutti i paesi oppressi".
Questo grande uomo viveva da grand'uomo. La sua stanza
non misurava più di tre per quattro metri quadri. In essa
c'era un letto, un tavolo, tre sedie di paglia e dei fiori, che
venivano rinnovati quasi ogni settimana. Al piano di sotto
aveva un salottino dove attendevano i numerosi visitatori
prima di salire nella camera dove dormiva, lavorava e
riceveva. Mazzini possedeva qualche fortuna, e se avesse
dovuto soddisfare solo le sue necessità avrebbe potuto vivere
bene con un quarto di ciò che aveva. La sola spesa alquanto
di lusso che si permetteva era quella per le sigarette; ma
anche le sigarette che fumava erano di una qualità molto
ordinaria e ne limitava molto il consumo affinché gli bastasse
in ogni caso la somma settimanale stanziata per il loro
acquisto. Il suo abbigliamento era semplice, ma sempre
ordinato grazie agli amici che si curavano di ricordargli ogni
tanto che era necessario comprarsi un abito, un cappello, un
paio di scarpe. Nelle feste come nei giorni feriali, all'inizio del
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giorno e fino a tardi dopo mezzanotte, non mancava un
minuto dal suo posto, non si muoveva dalla sua sedia,
sempre occupato a scrivere e a ricevere e spedire i corrieri e i
suoi emissari, a dare udienze agli inviati, alle deputazioni che
gli venivano da tutte le parti del mondo. Soltanto verso sera
andava a cenare e a sentire un po' di musica presso la
famiglia amica del birraio Stansfeld, che più tardi divenne
ministro.
Prima ancora che lo conoscessi, Mazzini si era promesso ad
una signorina, con la riserva per altro di dare seguito
concreto alla promessa soltanto dopo aver riunito l'Italia in
Repubblica una e indivisa.
Poiché ho assunto il compito di esprimere il mio pensiero su
Mazzini, debbo dire tutto. Ebbene, quell'uomo senza pari che
sembrava sollevarsi fuori dalla atmosfera nebulosa nella
quale si tormentava l'umanità per elevarsi nei cieli del sereno
eterno, aveva anche lui una nube che lo opprimeva, e quella
nube era la Francia. L'Italia aveva riconquistato per merito
suo la coscienza della propria indiscussa grandezza passata e
presente, e soffriva per via della supremazia della Francia;
riteneva che la Francia non fosse più all'altezza della missione
che si era data; diceva che lo scettro toccava alla patria di
Dante, Machiavelli, Vico, Galileo, Michelangelo. E poiché
l'Italia è la patria del primo uomo di stato e del primo grande
eroe dei tempi moderni, se non avesse parlato per la bocca di
Mazzini, avrebbe affermato: "D'ora innanzi è mia l'iniziativa
dei movimenti dell'umanità, giacché l'iniziativa si chiama
Mazzini, e Mazzini è il figlio e il padre mio, Mazzini sono io".
Sbagliano quelli che dicono: "Peccato che Mazzini non abbia
aderito al sistema monarchico, che non abbia dato il suo
consenso a Vittorio Emanuele. Lui sarebbe stato ministro più
grande di Cavour; a ogni modo, dopo la morte di Cavour,
solo lui avrebbe potuto rispondere come ministro alle
esigenze dell'Italia". Se Mazzini avesse fatto così, non
sarebbe stato più Mazzini. Egli non avrebbe potuto sostituire
Cavour; egli non poteva transigere sui principii, non poteva
mercanteggiare, non poteva diventare il confidente di
Napoleone III. Mazzini, la coscienza del popolo italiano, la
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rivelazione del Dio delle nazionalità, l'espressione più viva
delle libertà moderne, il rappresentante dichiarato e
riconosciuto delle aspirazioni di tutti i popoli, il Messia
dell'emancipazione politica del genere umano, sempre
apostolo e martire, sin dall'infanzia in lotta accanita, incessante con il vecchio mondo, quel mondo doveva
annientarlo o perire, se pur poteva perire Mazzini. Doveva
distruggerlo con l'amore e la luce del suo animo, conquistarlo
in nome della libertà e attraverso la giustizia, ricrearlo a sua
immagine e somiglianza. Mazzini non poteva fare ciò che fece
Cavour, non poteva fare ciò che fece Garibaldi.
La sua missione è stata quella di fare Cavour, Garibaldi,
Manin, di fare un re patriotta ed un popolo degno di libertà. Li
ha fatti, ha fatto la libertà, ha fatto l'unità d'Italia, ha creato
l'Italia, e la prova che l'Italia è opera sua è il voto unanime
della rappresentanza nazionale di Roma. I membri di quella
assemblea vedevano in Mazzini l'avversario della loro politica;
essi non erano dei mazziniani, ma solo Italiani, e quando il
loro presidente pronunziò il nome di Mazzini, tutti con filiale
pietà si scoprirono e piegarono le teste innanzi al genio
d'Italia. Genio d'Italia è il tuo vero nome, Mazzini. Sì, sei
stato, sei e sarai per sempre il Genio d'Italia risuscitata per
volontà tua.
Non solo l'Italia, l'Umanità intera piange in te il suo
redentore; perché tutti i popoli credettero in te, riscattarono i
loro peccati, resuscitarono e resusciteranno in te. Insieme
con me anche i Romeni ti piangono, mio caro amico, e ti
piangono con lacrime di Italiani; perché anch'essi hanno i ricordi e le aspirazioni dei loro fratelli dei lidi del Tevere;
perché il tuo genio aiutò anch'essi a unire i loro paesi e fece
di loro un popolo libero.
Tu che sei stato solo amore, ricevi nei cieli una gioia nuova,
sappi che attraverso il tuo amore anche la Romania
contribuisce alla diffusione e all'affermazione del tuo genio.
LETTERA DI DIMITRU BRATIANU A GIUSEPPE MAZZINI *
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Paris - lundi le 14 juil. [1851]
Cher Monsieur, je sais que le temps vous manque pour
repondre aux lettres qui vous assaillent de toutes parts; je
regrette cependant de ne pas avoir de vos nouvelles. J'aime à
croire que votre santé est toujours assez forte pour resister
vaillamment aux rudes épreuves que vous lui faites subir, car
si vos fatigues sont grandes votre foi est encore plus grande.
La police nous a beaucoup chicané pour avoir imprimé ici
votre adresse en langue roumaine; mais elle a du se borner à
des menaces, car nous lui avons dit tout vainement que nous
l'avions prise dans les Débats.
J'ai déjà amassé dixneuf journaux de Paris qui se sont
occupés de cette adresse. Je n'ai pas pu me procurer ceux
de Province.
Si vous n'avez pas lu ce qu'en dit L'opinion, je vous engage
de la lire; c'est très curieux.
Dernièrement je disais à Accursi que vous avez raison de
ne pas vous presser avec l'adresse à la Pologne, car le
Comité devait toujours laisser un certain interval entre les
publications - Depuis j'ai appris qu'il vous l'a écrite.
Maintenant cependant je pense que si elle est terminée il
serait bon de songer à la publication. Envoyez-là moi ou du
moins prevenez m'en, je vous prie, quelques jours à l'avance
pour que je puisse prende mes dispositions; car très
probablement je ne lui survivrai pas vingt quatre heures (à
Paris).
2 [3]
Je vous envoie sous bande L'événement( )d'hier au soir. Il
renferme un article d'un de mes amis avyant pour titre:
Alliance des hongrois, des roumains et des serbes. J'ai pour
vous de la part de Michelet le volume de son histoire de la
révolution française qui vient de paraître et une belle roumaine sur toile que les émigrés roumains envoient à leur cher
3 [4]
Mazzini( ). Mes salutations fraternelles aux notres. Darasz
sans doute, va mieux depuis qu'il est à la campagne - à
bientôt le bonheur de vous serrer la main.
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Tout à vous de coeur
D. Bratiano
Je vous rappelle l'adresse de la rue d'Enfer: à Madame
Adèle Dumesnil, 47, r. d'Enfer.
STEFAN DELUREANU
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