Manuale di terapia
per la tossicodipendenza
Terapia breve strategica familiare
per l’adolescente che utilizza
sostanze stupefacenti
Traduzione a cura di A. Cinquegrana, F. Adami,
T. Bussola, A. Frigerio, A. Pasinelli, E Scioti
Quaderni delle Prevenzione
Dipartimento Dipendenze
Centro Clinico Cocainomani
MANUALE DI TERAPIA
PER LA TOSSICODIPENDENZA
TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE
PER L’ ADOLESCENTE CHE UTILIZZA
SOSTANZE STUPEFACENTI
NIDA
National Institute on Drug Abuse
(Therapy manuals for Cocaine Addiction)
Traduzione a cura di Antonia Cinquegrana,
Filippo Adami, Tiziana Bussola,
Anna Frigerio, Annaluisa Pasinelli,
Ernesto Scioti
Adattamento a cura di Antonia Cinquegrana
Tiziana Bussola
Hanno collaborato
Luigi Ghidori con
Manuela Afrune Paola Belloni Rossana Quarto
Testo originale:
J. Szapocznik ,O.Hervis, S. Schwartz
Brief Strategic Family Therapy forAdolescent Drug Abuse
Addiction series N.5, NIDA, 2003
Presentazione dell’edizione italiana
Il profondo mutamento avvenuti nel campo dei comportamenti d’abuso ha portato negli ultimi anni a
ritenere indispensabile, per un efficace contrasto del fenomeno delle dipendenze, l’elaborazione di
strategie di intervento complessive. Non ci troviamo più, come alcuni decenni fa, di fronte soltanto ad un
uso “specializzato” delle sostanze stupefacenti, dove il soggetto tossicodipendente era facilmente
identificabile e si muoveva soprattutto all’interno di un contesto degradato. Oggi, sempre più, ci si trova
davanti a un soggetto non chiaramente visibile, che nella sua quotidianità fa uso combinato di più sostanze
all’interno di nuovi contesti, non sempre del tutto illegali e sempre meno deteriorati. L’uso e abuso di
droghe ed alcol è un problema sociale che interessa trasversalmente diverse fasce di popolazione. Il
consumo avviene, infatti, tra i giovani ma anche tra gli adulti in maniera episodica o in modo problematico,
in contesti di piena integrazione sociale o di grave marginalità.
Alla luce di queste profonde trasformazioni serve un cambiamento di approccio, a volte anche di termini, e
una visione globale, che contempli tutti gli ambiti del vivere sociale e aiuti l’elaborazione di un rinnovato
quadro concettuale del fenomeno droga, utile poi nel lavoro di progettazione e programmazione delle
strategie di prevenzione e di intervento.
Il trattamento delle dipendenze, come ci insegna la letteratura scientifica, non è univoco e poter, quindi,
disporre di differenti modelli di approccio consente di rispondere in modo maggiormente efficace alla
richiesta sempre crescente di intervento, soprattutto quando si tratta di intervenire sui giovani e sulle loro
famiglie.
Questo manuale offre informazioni chiare ed utili per quanti intendono applicare o studiare il modello della
Terapia Breve Strategica Familiare ampliando così le opportunità di cura.
Giulio Boscagli
Assessore alla Famiglia e Solidarietà sociale
Regione Lombardia
1
Prefazione
Il National Institute of Drug Abuse ha sostenuto lo sviluppo della serie dei “Manuali Terapeutici per la
Dipendenza da Sostanze” con l’obiettivo di far conoscere, utilizzare ed applicare strumenti terapeutici
scientificamente validati per il trattamento della dipendenza patologica. La “Terapia Breve Strategica
Familiare”, edito dal NIDA, è uno dei cinque manuali espressamente dedicati alla cura del cocainismo.
L’Osservatorio Regionale sulle Dipendenze di Regione Lombardia (OReD), istituito con il principale obiettivo
di conoscere, monitorare e prevenire la diffusione del fenomeno delle dipendenze, ha anche il compito di
predisporre informazioni sullo stato dell’arte in questa materia, così da sostenere la necessaria azione di
governo regionale.
L’Osservatorio ha, tra le sue funzioni, il mandato di realizzare progetti sperimentali di ricerca, di studio e di
formazione a valenza regionale.
Proprio in tale ambito va intesa la divulgazione di questo manuale, tradotto ed adattato dai professionisti
del Centro Clinico Cocainomani- Dipartimento Dipendenze dell’ASL di Brescia.
Il poter disporre della versione in italiano di questo testo potrà certamente rappresentare un utile
strumento di lavoro per tutti i professionisti del settore.
Un ringraziamento a chi lo ha prodotto e un augurio di buon lavoro agli operatori dei servizi.
Marco Tosi.
Direttore OReD
2
Introduzione
In questi ultimi 10 anni è estremamente cambiata la modalità di consumo delle sostanze stupefacenti,
siano esse legali o illegali e, in particolare, l’elevato uso di cocaina ha rappresentato la novità nella
domanda di cura presso i Servizi delle Dipendenze: parallelamente a questo cambiamento, nuove idee e
nuovi impulsi di rinnovamento hanno profondamente modificato, a loro volta, l’offerta di cura dei Servizi
delle Dipendenze.
Come è comprensibile, a fronte di una “normalizzazione sociale” del problema droga, aumenta il consumo
di sostanze stupefacenti, crescendo di pari passo il numero di persone che le utilizzano con modalità
francamente patologiche e che, conseguentemente, necessitano di un trattamento specialistico.
L’ASL di Brescia ha fortemente sostenuto progettualità innovative nell’ambito delle dipendenze patologiche
giungendo nel 2010 all’istituzione di una specifica Unità Operativa Dipartimentale, il Centro Clinico
Cocainomani, che è, ad oggi, il primo ed unico centro italiano che si occupa specificatamente di persone
tradizionalmente poco inclini ad accedere ai Ser.T: i cocainomani socialmente inseriti. L’attività del Centro è
rivolta principalmente ai pazienti, anche se l’interesse dei professionisti è comunque orientato
all’acquisizione ed approfondimento di conoscenze scientifiche focalizzate ad un miglioramento
dell’efficacia e dell’efficienza della pratica clinica. In tale contesto si inserisce anche la traduzione del
Manuale del NIDA di Terapia Breve Strategica Familiare per l’adolescente che utilizza sostanze stupefacenti,
in quanto le diverse caratteristiche dell’utenza e della domanda rendono sempre più necessario disporre di
differenti modalità e modelli di intervento.
Colgo perciò l’occasione per ringraziare quanti operano al Centro Clinico Cocainomani del proficuo scambio
professionale avvenuto in quest’ultimo anno e mi auguro che il loro lavoro contribuisca allo sviluppo di
programmi terapeutico-riabilitativi ed al miglioramento della qualità dei servizi.
Carmelo Scarcella
Direttore Generale ASL Brescia
3
Premessa dei traduttori
Questo manuale è destinato ai professionisti delle dipendenze, che, pur appartenenti a varie
professionalità, intendano fare riferimento
alla terapia Breve Strategica Familiare nel trattamento
dell’adolescente che utilizza sostanze stupefacenti. Il manuale è legato all’approccio sistemico familiare e
pertanto è facilmente utilizzabile da quanti hanno già una simile formazione specialistica. Poiché però è
comunemente accettato che la famiglia è un sistema i cui membri sono interdipendenti, l’approccio alla
Terapia Breve Strategica Familiare può essere studiato ed appreso da quanti si trovano a lavorare con gli
adolescenti, proprio perché in molti casi la famiglia è un ambiente di vita che può influire sull’uso ma anche
sulla cessazione di stupefacenti.
Questo manuale descrive delle strategie per creare una relazione terapeutica con le famiglie, per valutare e
diagnosticare dei modelli maladattivi di interazione familiare e per trasformarli da maladattivi in adattivi.
Nel nostro lavoro di traduzione abbiamo tenuto una assoluta fedeltà al testo; in alcuni casi abbiamo
ritenuto di citare il termine in inglese, (ad esempio per enactment, tracking joining, ecc.) in quanto renderlo
in italiano avrebbe richiesto una circonlocuzione troppo lunga e poco sintetica.
Ci auguriamo che i professionisti che operano nelle dipendenze patologiche trovino proficua la lettura di
questo testo, che fornisce delle indicazioni pratiche ed adeguate a modificare quegli schemi di interazione
che sono direttamente connessi all’utilizzo di sostanze stupefacenti da parte dell’adolescente.
Per il nostro gruppo è stato un bel momento di studio e di forte coesione.
4
INDICE
PREMESSA................................................................................................................................................... 6
CAPITOLO 1 LA TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE: UNA PANORAMICA ......................................... 7
PERCHÉ LA TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE?................................................................................................. 8
QUALI SONO GLI OBIETTIVI DELLA TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE? .................................................................. 8
QUALI SONO I PROBLEMI PIÙ COMUNI CHE DEVONO ESSERE AFFRONTATI DALLA FAMIGLIA DI UN ADOLESCENTE CHE ABUSA DI
SOSTANZE STUPEFACENTI?................................................................................................................................... 9
SU COSA NON SI FOCALIZZA UNA TERAPIA STRATEGICA BREVE FAMILIARE? ................................................................. 10
QUESTO MANUALE ........................................................................................................................................... 11
CAPITOLO 2 PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE......................... 12
CONTESTO ...................................................................................................................................................... 12
I SISTEMI......................................................................................................................................................... 14
LA STRUTTURA: SCHEMI DI INTERAZIONE FAMILIARE ............................................................................................... 15
LA STRATEGIA .................................................................................................................................................. 16
CONTENUTO VERSUS PROCESSO: UNA DISTINZIONE CRITICA ..................................................................................... 17
CAPITOLO 3 DIAGNOSI DEI PROBLEMI DEL SISTEMA FAMILIARE............................................................. 19
ORGANIZZAZIONE............................................................................................................................................. 19
RISONANZA ..................................................................................................................................................... 21
STADI DI SVILUPPO ........................................................................................................................................... 22
IL CONTESTO DI VITA ......................................................................................................................................... 24
IL PAZIENTE DESIGNATO..................................................................................................................................... 25
RISOLUZIONE DEI CONFLITTI ............................................................................................................................... 26
CAPITOLO 4 COORDINARE IL CAMBIAMENTO ......................................................................................... 27
STABILIRE UNA RELAZIONE TERAPEUTICA .............................................................................................................. 28
PRODURRE IL CAMBIAMENTO ............................................................................................................................. 34
CAPITOLO 5 COINVOLGERE LA FAMIGLIA NEL TRATTAMENTO................................................................ 44
IL PROBLEMA .................................................................................................................................................. 44
LA PRESCRIZIONE DI FAR GIUNGERE IN TERAPIA L’INTERA FAMIGLIA ........................................................................... 46
DIAGNOSI DELLE INTERAZIONI CHE OSTACOLANO LA FAMIGLIA AD ATTUARE LA TERAPIA................................................ 48
RISTRUTTURARE LA RESISTENZA .......................................................................................................................... 49
CAPITOLO 6 LA RICERCA CLINICA A SUPPORTO DELLA BSFT ................................................................... 53
TRATTAMENTI AMBULATORIALI: LA BSFT VERSUS IL COUNSELING DI GRUPPO ............................................................ 54
BSFT INDIVIDUALE ........................................................................................................................................... 56
L’AGGANCIO TERAPEUTICO NELLA BSFT............................................................................................................... 57
BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 60
APPENDICE................................................................................................................................................ 65
APPENDICE A: FORMAZIONE DEI COUNSELOR NELLA TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE (BSFT)...... 66
APPENDICE B: CASI CLINICI PARADIGMATICI ............................................................................................... 71
5
PREMESSA
Più di 20 anni di ricerche hanno chiaramente dimostrato che la tossicodipendenza è trattabile e che il
trattamento della dipendenza è stato efficace per ridurre l’uso di sostanze, l’infezione da HIV, i
comportamenti criminali e i costi sanitari e sociali prodotti dalla tossicodipendenza. L’Istituto Nazionale per
l’Abuso di Droghe (NIDA), che sostiene nel mondo oltre l’85 percento delle ricerche sull’abuso di droghe e
sulla tossicodipendenza, ha riscontrato come l’approccio comportamentale possa essere molto efficace nel
trattamento della dipendenza da cocaina.
Per facilitare i terapeuti nell’applicazione dei più recenti approcci supportati da ricerche scientifiche, il NIDA
ha sostenuto ed attuato la Serie dei Manuali per la Tossicodipendenza, che riflette l’impegno a divulgare
velocemente importanti scoperte da utilizzare in concreti contesti di trattamento. I manuali derivano da
quelli utilizzati con efficacia negli studi sostenuti dal NIDA sul trattamento dell’abuso di sostanze e sono
rivolti ai professionisti dei Servizi per le Dipendenze Patologiche, agli specialisti in Salute Mentale e a tutti
coloro che si occupano del trattamento della tossicodipendenza.
I manuali forniscono informazioni chiare ed utili per aiutare i clinici ad attuare le migliori cure possibili
offerte attualmente dalla comunità scientifica; descrivono terapie per la dipendenza supportate
scientificamente e forniscono una guida sui contenuti degli incontri e su come implementare specifiche
tecniche. Ovviamente questi manuali non possono sostituire la formazione e la supervisione ed inoltre
non possono essere applicati a tutti i tipi di pazienti né sono compatibili con tutti i programmi clinici o gli
approcci trattamentali. Questi manuali dovrebbero essere considerati un supplemento e non
un’alternativa, ad un’ attenta valutazione del paziente, ad un appropriato inquadramento del caso, ad un
continuo monitoraggio e ad una valutazione della situazione clinica.
Le terapie descritte nella Serie dei Manuali rappresentano allo stato attuale le migliori conoscenze in tema
di trattamento della tossicodipendenza. I continui progressi faranno certo emergere nuove e migliori
terapie: noi intanto guardiamo al futuro, per continuare a divulgare, attraverso i manuali e le pubblicazioni
scientifiche, le ultime scoperte. Sono graditi i vostri rimandi sull’utilizzo di questa Serie di Manuali ad anche
dei suggerimenti su come migliorarli.
Nora D. Volkow, M.D.
Director
National Institute on Drug Abuse
6
CAPITOLO 1 LA TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE:
UNA PANORAMICA
La terapia breve strategica familiare (BSFT) è un intervento breve utilizzato per il trattamento di adolescenti
che usano sostanze stupefacenti e che manifestano altri problemi del comportamento. Questa co-presenza
di problematiche comportamentali include i disturbi nella condotta sia a casa che a scuola, un
comportamento oppositivo, atti delinquenziali, l’associazione con coetanei antisociali, un comportamento
aggressivo e violento e comportamenti sessuali a rischio (Jessor e Jessor 1977; Newcomb e Bentler 1989;
Perrino et al. 2000).
La terapia Breve Strategica Familiare è basata su tre principi fondamentali:
Il primo principio è che la BSFT è un approccio sistemico familiare. La famiglia è un sistema cui membri sono
interdipendenti e ciò che colpisce un componente della famiglia, colpisce inevitabilmente anche tutti gli
altri componenti. Per la teoria sistemica familiare l’adolescente che si droga è un membro della famiglia che
manifesta dei sintomi, includendo tra questi l’uso di sostanze stupefacenti, associato ad altri problemi del
comportamento. Questi sintomi sono infatti indicativi, almeno in parte, di quanto sta accadendo nel
sistema famiglia (Szapocznik e Kurtines 1989). E’ ben dimostrato dalla ricerca scientifica che la famiglia
orienta nel modo più forte e duraturo lo sviluppo dei bambini e degli adolescenti (Szapocznik e Coatsworth
1999). Per tale ragione gli interventi basati sulla famiglia sono stati studiati per trattare l’uso di droga nei
giovani in quanto sono stati considerati efficaci sia nei confronti dell’assunzione di sostanze stupefacenti,
che nei confronti dei problemi comportamentali correlati. ( per una rassegna vedi Liddle e Dakof 1995;
Robbins et al. 1998; Ozechowski e Liddle 2000).
Il secondo principio è che gli schemi di interazione (patterns of interaction) che si verificano all’interno della
famiglia, influenzano il comportamento di ciascun membro. Gli schemi di interazione possono essere
definiti come quei comportamenti sequenziali tra i componenti della famiglia, che diventano abituali e
ripetuti nel tempo. (Minuchin et. Al. 1967). Un esempio esplicativo è dato da un adolescente che attira su di
sé l’attenzione, quando due figure parentali (ad esempio la madre e la nonna) sono in conflitto e, per farlo
cessare, utilizza questa modalità. In casi estremi, se la mamma e la nonna hanno un conflitto molto grave,
l’adolescente per attirare l’attenzione su di sé, può procurarsi una overdose o farsi arrestare.
Il ruolo del counselor BSFT è di individuare gli schemi di interazione familiare associati ai comportamenti
problematici dell’adolescente. Per esempio una madre e una nonna che discutono su quali regole stabilire e
sulle azioni che devono conseguire a determinate situazioni non raggiungeranno mai un accordo, in quanto
il ragazzo vanifica le loro discussioni con comportamenti autodistruttivi, che attirano l’attenzione.
Infine il terzo principio della BSFT è di pianificare interventi che forniscano indicazioni pratiche adeguate a
modificare quegli schemi di interazione che sono direttamente connessi all’utilizzo di sostanze stupefacenti
da parte dell’adolescente o ad altri suoi problemi comportamentali (ad esempio il modo in cui la madre e
la nonna tentano, ma non riescono, di stabilire regole ed azioni conseguenti).
7
PERCHÉ LA TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE?
La letteratura scientifica descrive diverse modalità trattamentali per adolescenti che utilizzano sostanze
stupefacenti, tra cui la terapia comportamentale, la terapia multisitemica e diversi approcci di terapia della
famiglia: ognuno di questi orientamenti ha dei punti di forza.
I punti di forza della BSFT sono:
La BSFT persegue l‘obiettivo di sostenere dei cambiamenti che si automantengono nel contesto
familiare dell’adolescente. Ciò sta a significare che il trattamento si sviluppa all’interno della
quotidianità della vita familiare.
La BSFT può essere attuata in 8-24 sedute e il numero è correlato alla gravità del problema.
La BSFT è stata ampiamente valutata nel corso di 25 anni ed è stata riconosciuta efficace nel
trattamento di adolescenti che usano sostanze stupefacenti, che hanno problemi comportamentali,
che frequentano gruppi di coetanei antisociali e che hanno famiglie funzionalmente compromesse.
La BSFT è stata descritta in manuali e sono disponibili dei programmi di formazione per la
specializzazione dei counselor.
La BSFT è un approccio flessibile che può essere adattato ad una vasta gamma di situazioni
familiari all’interno di diversi servizi (per esempio nei centri di salute mentale, nei servizi per le
tossicodipendenze od in altri servizi sociali) e con varie modalità di trattamento (per esempio come
intervento ambulatoriale primario in combinazione con un trattamento residenziale o diurno e
come aftercare/ servizio di continuità al trattamento residenziale).
La BSFT è apprezzata da gruppi culturali che danno grande significato alla famiglia e alle relazioni
interpersonali.
QUALI SONO GLI OBIETTIVI DELLA TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE?
Nella BSFT è auspicabile salvaguardare per quanto possibile la famiglia e proprio per questo è necessario
definire due obiettivi: “la focalizzazione sul sintomo” (symptom focus) cioè la cessazione o la riduzione
dell’uso di sostanze stupefacenti e dei problemi comportamentali associati, e “la focalizzazione sul sistema”
(system focus) cioè il cambiamento delle interazioni familiari associate all’uso di droga del giovane. Un
esempio di system focus si ha quando le famiglie fanno convergere le loro emozioni negative sugli
adolescenti che consumano sostanze stupefacenti. L’atteggiamento di negatività dei familiari nei confronti
dell’adolescente influenza direttamente il suo consumo di droga e questo fatto a sua volta aumenta la
negatività dei familiari. Il conselor interviene a livello del sistema famiglia per modificare le modalità d’
azione dei suoi componenti (per esempio gli schemi di interazione). Si richiederà ai familiari di parlare ed
agire in modo da promuovere interazioni familiari positive, che a loro volta faciliteranno il giovane a ridurre
l’uso di droghe e a modificare i comportamenti problematici.
8
QUALI SONO I PROBLEMI PIÙ COMUNI CHE DEVONO ESSERE AFFRONTATI DALLA
FAMIGLIA DI UN ADOLESCENTE CHE ABUSA DI SOSTANZE STUPEFACENTI?
La struttura e le dinamiche familiari sono esaminate nei termini di sintomi adolescenziali e di problemi
familiari.
IL PROFILO DELLA FAMIGLIA DI UN ADOLESCENTE CHE ABUSA DI SOSTANZE STUPEFACENTI
La ricerca ha evidenziato come molti problemi comportamentali dell’adolescente derivino da cause comuni
e che in molti casi la famiglia svolge un ruolo importante in tal senso. (Szapocznik e Coatsworth 1999). Tra
le problematiche familiari correlate ai problemi comportamentali dell’adolescente si devono considerare:
Genitori che abusano di sostanze stupefacenti o con problemi comportamentali
Genitori poco coinvolti o troppo coinvolti nei confronti dell’adolescente
Genitori scarsamente o eccessivamente controllanti
Scarsa comunicazione tra genitori ed adolescenti
Mancanza di regole chiare e di atti conseguenti al comportamento dell’adolescente
Applicazione incoerente delle regole e degli atti conseguenti al comportamento dell’adolescente
Inadeguato controllo e gestione delle attività dell’adolescente con i coetanei
Carenza della supervisione di un adulto sulle attività che l’adolescente svolge con i coetanei
Scarso attaccamento dell’adolescente alla famiglia
Scarsa coesione familiare.
Alcuni adolescenti appartengono a famiglie che manifestano queste problematiche
antecedentemente al loro consumo di droga (Szapocznik e Coatsworth 1999). Altre famiglie
possono aver sviluppato questi problemi come risposta ai comportamenti problematici
dell’adolescente (Santisteban et al. in press).
Poiché i problemi familiari sono una parte sostanziale del profilo dell’adolescente che abusa di sostanze
stupefacenti e sono connessi all’esordio ed al mantenimento di tale consumo, è necessario migliorare le
condizioni nel contesto che influenza il giovane nel modo più duraturo: la famiglia.
La BSFT è indicata per tutte quelle problematiche sopra elencate.
IL PROFILO COMPORTAMENTALE DI UN ADOLESCENTE CHE ABUSA DI SOSTANZE STUPEFACENTI
Gli adolescenti che necessitano di una terapia per l’abuso di sostanze stupefacenti in genere presentano
una varietà di problemi comportamentali manifesti che possono includere:
9
Assenze scolastiche ingiustificate
Delinquenza
Associazione con coetanei antisociali
Problemi comportamentali a casa e/o a scuola
Comportamenti violenti o aggressivi
Comportamenti oppositivi
Comportamenti sessuali a rischio
NEGATIVITÀ IN FAMIGLIA
Le famiglie degli adolescenti che abusano di sostanze stupefacenti mostrano un elevato grado di negatività
(Robbins et al. 1998). Molto spesso questa ostilità si struttura in accuse vicendevoli tra i familiari in
relazione alle problematiche sia del giovane che della famiglia. Un esempio è dato da un genitore che
riferendosi a suo figlio che abusa di sostanze stupefacenti lo definisce come “incapace” o “una causa
persa”. I genitori o altre figure genitoriali possono accusarsi a vicenda per tutto quanto considerano
fallimentare nell’educazione del ragazzo. Ad esempio un genitore può accusare l’altro di essere stato “un
cattivo esempio” o di “non esserci stato” quando il giovane aveva necessità. L’adolescente a sua volta può
parlare con disprezzo e risentimento del genitore accusato di essere un cattivo esempio. La comunicazione
tra i membri della famiglia è viziata dalla rabbia, dall’ amarezza e dall’ animosità. Per il counselor BSFT
questi segni di stress affettivo od emotivo indicano che il lavoro per modificare tali comportamenti
disfunzionali deve iniziare con un cambiamento della negatività tra i componenti della famiglia sia
nell’espressione della loro emotività, sia nel contenuto delle loro interazioni. La ricerca dimostra che se
nelle prime fasi del trattamento l’animosità familiare si riduce, le famiglie hanno maggiori probabilità di
proseguire la terapia. (Robbins et al. 1998).
SU COSA NON SI FOCALIZZA UNA TERAPIA STRATEGICA BREVE FAMILIARE?
La BSFT non è stata sperimentata su tossicodipendenti adulti e perciò non è considerata idonea per il loro
trattamento. Per contro se emerge che un genitore utilizza sostanze stupefacenti, il counselor deve definire
la gravità del problema. Un genitore che fa un uso moderato può essere aiutato all’interno della BSFT di suo
figlio, invece, se è un tossicodipendente, il counselor dovrà orientarlo ad una specifica terapia. Nel caso il
genitore non fosse disposto ad attuare una cura, il terapeuta dovrà lavorare per proteggere e allontanare
l’adolescente dalla tossicodipendenza del genitore. Questo avviene attraverso la creazione di una barriera
interpersonale, un vero e proprio confine che separa dal genitore tossicodipendente l’adolescente ed i
familiari che non utilizzano droghe. Questa tecnica è approfondita nel capitolo 4 nella sezione “Lavorare su
Confini e Alleanze”.
10
QUESTO MANUALE
Questo manuale presenta ai counselor dei principi assolutamente necessari per poter considerare la
famiglia come un ambiente di vita in cui si verifica l’abuso di stupefacenti. Descrive inoltre delle strategie
per creare una relazione terapeutica con le famiglie, per valutare e diagnosticare dei modelli maladattivi di
interazione familiare e per trasformarli da maladattivi in adattivi. Questo manuale presuppone che i
terapeuti che adottano le tecniche dalla BSFT siano in grado di coinvolgere e di mantenere in terapia le
famiglie con problemi di sostanze stupefacenti, inducendole infine a comportarsi in un modo più efficace. Il
Capitolo 2 analizzerà i principi teorici fondamentali della BSFT. Il Capitolo 3 presenterà l’approccio
diagnostico BSFT e il Capitolo 4 spiegherà come ottenere un cambiamento. Il Capitolo 5 analizza
dettagliatamente come coinvolgere le famiglie resistenti al trattamento.
Il Capitolo 6 fa un riepilogo di alcune ricerche che supportano l’utilizzo della BSFT rivolta ad adolescenti. Il
manuale è corredato da due appendici, una riguarda la formazione del counselor BSFT, l’altra presenta dei
casi paradigmatici proposti dagli autori. In questo manuale che descrive la BSFT per adolescente che
utilizza sostanze stupefacenti, sono stati adattati modelli e tecniche vagliati da Minuchin e Fishman (1981).
Ulteriori approfondimenti della BSFT si possono trovare in Szapocznik e Kurtines (1989).
11
CAPITOLO 2 PRINCIPI FONDAMENTALI
DELLA TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE
Il precedente capitolo ha introdotto la filosofia della BSFT: sostenere le famiglie ad aiutare se stesse e a
preservare, quando possibile, l’unità familiare.
Il manuale, di seguito, si focalizza invece più direttamente sulla BSFT, come strategia per il trattamento
dell’abuso di sostanze stupefacenti nell’adolescente e dei problemi comportamentali associati. Questo
capitolo illustra i presupposti fondamentali dell’approccio BSFT, iniziando con un’analisi dei cinque principi
teorici di base, alcuni dei quali possono rappresentare una novità per un counselor che si occupa di abuso
di sostanze. I cinque principi analizzati in questo capitolo sono:
Il Contesto
I Sistemi
La Struttura
La Strategia
Il Contenuto versus Processo
IL CONTESTO
Le influenze sociali hanno un forte impatto sul comportamento di un individuo: queste influenze sono
particolarmente forti negli anni critici dell’infanzia e dell’adolescenza. L’approccio BSFT parte dal
presupposto che il counselor non sarà in grado di comprendere il comportamento di un giovane che utilizza
sostanze stupefacenti, se non capisce che cosa stia accadendo nei vari contesti in cui vive. L’uso di sostanze
non nasce dal nulla, ma si verifica all’interno di una cornice che comprende famiglia, coetanei, vicinato,
cultura e che definisce le regole, i valori ed i comportamenti degli adolescenti.
LA FAMIGLIA COME CONTESTO
Il Contesto, come definito da Urie Bronfenbrenner (1977,1979,1986,1988) comprende, a sua volta, una
serie di contesti sociali e quelli più vicini al giovane sono la famiglia, i coetanei il vicinato. Bronfenbrenner,
considerata l’enorme influenza esercitata dalla famiglia, ha identificato in essa il contesto primario in cui un
12
bambino cresce ed impara. La ricerca più recente ha confermato questa tesi che vede nella famiglia il
principale contesto per la socializzazione dei bambini e degli adolescenti. (Per una rassegna vedi Perrino et
al. 2000; Szapocznik e Coatsworth 1999).
I COETANEI COME CONTESTO
La ricerca ha dimostrato come gli atteggiamenti, le regole e comportamenti degli amici abbiano notevoli
influenze sul consumo di sostanze stupefacenti dei giovani. ( Book et al. 1999; Newcomb e Bentler 1989;
Sheier e Newcomb 1991). Inoltre gli adolescenti che utilizzano stupefacenti spesso inducono i coetanei
all’uso e gli procurano la sostanza. (Bush et al. 1994). A fronte di una così forte influenza del “gruppo dei
pari”, può sembrare che i genitori possano fare ben poco per aiutare i propri ragazzi.
Tuttavia una recente ricerca suggerisce che anche in presenza di coetanei che usano droga (Steinberg et al.
1994) e manifestano comportamenti delinquenziali ( Mason et al. 1994), i genitori possono esercitare nei
confronti dei lori figli adolescenti una notevole influenza. La maggior parte delle criticità familiari ( per
esempio il coinvolgimento, il controllo, la comunicazione, le regole e gli atti conseguenti, il monitoraggio e
la supervisione, il legame, la coesione familiare e la negatività in famiglia) influenzano le possibilità dei
genitori di contrastare l’azione dei coetanei nei confronti degli adolescenti che utilizzano droghe.
IL VICINATO COME CONTESTO
Può essere importante prendere in considerazione le interazioni tra la famiglia e il contesto in cui questa
vive; in particolare in che modo il nucleo familiare si rapporta con il vicinato, come si inseriscono i suoi
componenti in un particolare quartiere e il tipo di scuola che i figli frequentano. Per esempio per poter
gestire efficacemente i problemi comportamentali di un quindicenne difficile che vive in un particolare
quartiere, le famiglie possono dover contrastare la consistente offerta di droga, la criminalità e l’isolamento
sociale. Al contrario, in una piccola città, in una comunità semi-rurale può invece essere presente una rete
costituita da genitori, insegnati, nonni, leader civici che collaborano alla crescita dei ragazzi. Il contesto del
quartiere, quando si lavora con le famiglie, può essere considerato sia come una risorsa sia come un
problema per i genitori.
LA CULTURA COME CONTESTO
Bronfenbrenner ha suggerito che le famiglie, i coetanei lo stesso quartiere vanno considerati all’interno di
un contesto culturale più ampio, che influenza la famiglia e i suoi singoli componenti. La vasta ricerca
centrata sul rapporto cultura/famiglia ha dimostrato che la famiglia e i ragazzi sono influenzati dai loro
contesti culturali. ( Santisteban et al. 2003; Szapocznik et Kurtines 1993). I ricercatori hanno dedicato gran
parte del loro lavoro ad esaminare in che modo i valori ed i comportamenti delle famiglie appartenenti a
minoranze abbiano un impatto sul rapporto genitori-figli e di come questi influenzino negli adolescenti il
consumo di droga ed i problemi correlati. (Santisteban et al. 2003; Szapocznik et Kurtines 1980; Szapocznik
et al 1978).
13
IL COUNSELING COME CONTESTO
Il counseling, di per sé, è un contesto associato ad una serie di regole, aspettative ed esperienze. Il
retroterra culturale del paziente (per esempio della famiglia), il counselor, l’ente che eroga il contributo
possono tutti influenzare il tipo di counseling, come pure le modalità con cui il paziente si rapporta “al
sistema” e ai propri bisogni.
I SISTEMI
I sistemi rappresentano un contesto molto particolare. Un sistema è composto da parti che sono
interdipendenti ed interconnesse. La famiglia è un sistema che è costituito da individui (parti) che sono
correlati ( interconnessi) ai rispettivi comportamenti.
UN ORGANISMO COMPLESSO
Il sistema famiglia è da intendersi come un organismo complesso e in altre parole si potrebbe dire che è
molto di più della semplice somma dei singoli individui o dei singoli gruppi che lo compongono. Durante i
numerosi anni in cui la famiglia sta unita, i suoi componenti sviluppano schemi di comportamento abituali,
che hanno ripetuto migliaia di volte e in questo modo all’interno del proprio ambito familiare ogni singolo
componente si abitua ad agire, reagire e a rispondere in un modo ben preciso. Le azioni attuate da uno dei
membri della famiglia determinano in un altro familiare, sempre e ogni volta, una particolare reazione,
tanto che queste sequenze ripetitive connotano il modello e lo stile proprio di quella famiglia.
Gli schemi che vengono attuati in una famiglia orientano effettivamente il modello e lo stile di ciascuno dei
suoi componenti, che si abituano a comportarsi in un certo modo. all’interno del proprio contesto familiare.
In buona sostanza se un componente della famiglia mette in atto un determinato comportamento, ad
esempio assumendosi delle responsabilità e prendendo il controllo della situazione, questo fatto innesca a
sua volta altri comportamenti tra i familiari. Per esempio i familiari possono permettere al componente
“responsabile” di farsi carico di una gestione organizzativa, impegnandosi contestualmente di meno. In
questo modo i componenti della famiglia si pongono gli uni verso gli altri in un atteggiamento
complementare, piuttosto che simmetrico. Questi comportamenti si sono verificati tante volte, spesso
senza stare a pensarci su, in modo che i componenti della famiglia si sono adattati tra di loro in modo
perfetto e prevedibile, come delle tessere di un puzzle.
L’ INFLUENZA DEL SISTEMA FAMIGLIA
L’influenza familiare può essere considerata come una “forza invisibile”. I comportamenti dei componenti
della famiglia possono variare notevolmente tanto che questi possono agire in modo molto diverso a
seconda che siano con persone del proprio nucleo familiare piuttosto che con estranei. Con la sua stessa
presenza il sistema famiglia condiziona i comportamenti dei suoi componenti. Queste forze invisibili (cioè le
14
influenze del sistema), che sono in grado di governare i comportamenti dei membri della famiglia, entrano
in azione ogni volta che i suoi componenti stanno insieme: una particolare attenzione va data alle
aspettative, sia quelle espresse che quelle inespresse, alle alleanze, alle regole per la gestione dei conflitti,
ai ruoli assegnati implicitamente o esplicitamente. Nel caso di un ragazzo con problemi di comportamento,
la mancanza in famiglia delle competenze necessarie per gestire un giovane problematico può creare una
vera e propria forza (o modello di interazione) che ingigantisce in modo assolutamente inappropriato il suo
potere. Per esempio questo avviene quando un adolescente ha la meglio su ogni disputa e ignora i ripetuti
richiami alla disciplina da parte dei genitori, che conseguentemente modificano il loro comportamento. Una
volta che si verifica una situazione come questa, in cui le alleanze, le regole, le aspettative eccetera si sono
rinforzate così reiteratamente, i familiari, senza un aiuto esterno, non possono più essere in grado di
cambiare questi modelli
IL PRINCIPIO DI COMPLEMENTARIETÀ
L’idea che i componenti della famiglia siano interdipendenti, cioè vicendevolmente in grado di influenzare e
influenzarsi reciprocamente, non è una teoria esclusiva della BSFT.
L’approccio teorico della terapia comportamentale familiare potrebbe considerare queste influenze
vicendevoli come un modo per suscitare reazioni reciproche tra i membri della famiglia. ( Hayes et al.
1999).
L’approccio teorico della terapia esistenziale familiare potrebbe considerare questa influenza come un
sostegno od un contrasto alla crescita di altri componenti della famiglia. ( Lanz et Gregoire, 2000).
Ciò che distingue la BSFT dalla terapia familiare comportamentale ed esistenziale è il suo focalizzarsi sul
sistema familiare, piuttosto che sulle modalità di funzionamento individuale. La BSFT presuppone che un
giovane che utilizza stupefacenti migliorerà la sua condotta se la famiglia imparerà ad avere un
comportamento adattivo. Questo avverrà perché i componenti del nucleo familiare, che sono “collegati”
emotivamente, daranno delle risposte comportamentali alle reciproche azioni e reazioni. Il Principio di
Complementarietà della BSFT prevede che ad ogni azione del singolo familiare, corrisponde una reazione
del resto della famiglia. Spesso i bambini possono aver imparato il modo per costringere i genitori a
rafforzare un loro comportamento negativo, ad esempio facendo un capriccio, che cessa solo quando i
familiari cedono. (Patterson 1982; Patterson et Dishion 1985; Patterson et al. 1992). Solo quando i genitori
modificheranno il loro comportamento, smettendo di rinforzarlo o di essere negativamente
complementari, il figlio a sua volta cambierà.
LA STRUTTURA: SCHEMI DI INTERAZIONE FAMILIARE
Le interazioni si identificano nello scambio di agiti e parole che avvengono tra i componenti della famiglia;
nel tempo diventano abituali e ripetitive e vengono definite come schemi di interazione (Minuchin 1974).
Gli schemi di interazione familiare sono perciò quei comportamenti abituali e ripetitivi che avvengono in
concatenazione e che i membri della famiglia mettono in atto gli uni verso gli altri. Un semplice esempio
15
può derivare dall’osservazione che i componenti della famiglia scelgono ogni giorno di mantenere sempre
lo stesso posto a tavola. Questa scelta può rendere più facile parlare con alcune persone, piuttosto che con
altre. Di conseguenza un schema ripetitivo di interazione relativo alla scelta del posto è in grado di far
prevedere con quale persona si preferisce parlare. Un gran numero di questi schemi ripetitivi di interazione
si sviluppa in ogni sistema; nella famiglie questo insieme viene definita come “struttura” familiare.
Gli schemi ripetitivi di interazione che compongono la struttura familiare sono paragonabili alla
sceneggiatura di una commedia, che gli attori hanno letto, memorizzato e che recitano continuamente.
Quando un attore dice una battuta prevista dal copione o fa una determinata azione in scena, dà il via agli
altri attori per recitare a loro volta la propria battuta o per compiere una determinata azione. La struttura
familiare è la sceneggiatura della commedia della famiglia.
Le famiglie dei ragazzi che utilizzano stupefacenti tendono ad avere problemi proprio perché continuano ad
interagire in modo tale da consentire all’adolescente di comportarsi male. Il counselor BSFT considera le
interazioni tra i componenti della famiglia come un modo per mantenere i problemi o comunque per
evitare di modificarli e il loro cambiamento è proprio l’obiettivo terapeutico. L’adattabilità di una
interazione è determinata dal livello di possibilità che ha la famiglia di rispondere efficacemente al mutare
delle circostanze.
LA STRATEGIA
LE TRE P DELLA STRATEGIA EFFICACE.
La strategia, proprio come ben specificato dal suo 3° vocabolo, è un principio fondamentale della Terapia
Breve Strategica Familiare. Nella BSFT l’approccio è strategico e fa uso di interventi pratici, centrati sul
problema, e pianificati.
Gli interventi sono pratici
La BSFT utilizza strategie che funzionano in modo rapido ed efficace, anche se talvolta possono sembrare
non convenzionali. La BSFT può utilizzare qualsiasi tecnica, approccio o strategia utili a cambiare le
interazioni maladattive che concorrono a mantenere i problemi esistenti. Alcuni interventi utilizzati in BSFT
possono sembrare “al di fuori della teoria”, perché possono derivare da altre modalità trattamentali, come
la Modifica del Comportamento (Behaviour Modification). Ad esempio i contratti comportamentali
sottoscritti dal paziente, in cui questi accetta di fare o meno alcune cose, è usato frequentemente nella
BSFT, perché è un modo per ristabilire le figure genitoriali nel ruolo di capi famiglia. Spesso la più grande
sfida per il counselor è di riuscire ad ottenere che i genitori si comportino in modo misurato e prevedibile:
il contratto comportamentale può essere uno strumento ideale per attuare questo intervento. Il counselor
BSFT utilizza qualunque strategia che, con maggior probabilità, consenta di raggiungere il cambiamento
strutturale desiderato (per esempio l’interazione) nel modo più veloce, efficace e duraturo. Spesso,
piuttosto che analizzare tutti i molteplici aspetti problematici di una famiglia, il counselor BSFT preferisce
sottolinearne solo uno, perché in questo modo riesce ad orientare il trattamento in una specifica direzione.
Ad esempio il counselor può mettere una maggiore enfasi sull’atteggiamento permissivo di una madre, in
quanto questo è collegato al consumo di stupefacenti della figlia, piuttosto che al rapporto problematico
della madre con i suoi stessi genitori, anche se questo effettivamente lo è.
16
Gli interventi sono centrati sul problema
Il counselor BSFT lavora per cambiare le interazioni maladattive o per rinforzare le interazioni adattive
esistenti, connesse direttamente al problema presentato ( ad esempio nel nostro caso al consumo di droga
dell’adolescente). In questo modo si limita il campo d’azione della terapia a quelle dinamiche familiari che
influenzano direttamente i sintomi dell’adolescente. Il counselor può benissimo rendersi conto che la
famiglia ha anche altri problemi, tuttavia, se non interessano direttamente i comportamenti problematici
del giovane , questi non possono far parte di un trattamento BSFT. Non è che il counselor BSFT non possa
concentrarsi anche su altre problematiche, ma deve piuttosto saper definire le priorità di un programma
trattamentale di durata limitata. Per esempio l’assenza di regole familiari chiare su un comportamento
adeguato o inadeguato in un adolescente può influire pesantemente sul consumo di stupefacenti, ma, per
aiutare i genitori ad essere maggiormente coinvolti ed incrementare nei confronti del figlio il controllo, il
monitoraggio, la supervisione, le norme stabilite e la loro applicazione, non necessariamente i problemi
coniugali devono essere affrontati.
La maggior parte delle famiglie di giovani che abusano di stupefacenti vanno incontro a molteplici
problemi, oltre a quelli propri dell’adolescenza. Frequentemente i terapeuti lamentano che “questa
famiglia ha talmente tanti problemi che non si sa da dove cominciare” In questo caso è importante che il
counselor consideri con attenzione la distinzione tra “contenuto” e “processo” (vedi nelle pagine seguenti
contenuto versus processo: una distinzione critica). Normalmente le famiglie multiproblematiche (con
molteplici contenuti) non sono in grado di affrontare un problema alla volta e di continuare a lavorarci su
(processo), fino a quando si è riusciti a risolverlo. Queste famiglie saltano (processo) da un problema
all’altro (contenuto), senza essere in grado di concentrarsi su un unico problema per un tempo abbastanza
lungo per poterlo risolvere. Questo è il modo migliore per essere sopraffatto da un gran numero di
problemi irrisolti, perché è proprio il processo che è scorretto. Il compito del counselor è quello di aiutare la
famiglia a lavorare (processo) su un singolo problema (contenuto) abbastanza a lungo per riuscire a
risolverlo. A sua volta l’esperienza acquisita nel risolvere il problema, può aiutare la famiglia a modificare il
processo, in modo che i componenti del nucleo familiare possano applicare le competenze apprese per la
soluzione di altri problemi in essere. Se il counselor si perde nel processo attuato dalla famiglia di spostarsi
da un contenuto/problema ad un altro, può esserne sopraffatto, ed è quindi poco probabile che sia in
grado di aiutare la famiglia a risolvere i suoi conflitti.
Gli interventi sono pianificati
Nella BSFT il counselor pianifica l’intervento strategico complessivo e la strategia di ogni singolo incontro.
“Pianificare” significa che, una volta determinate le interazioni maladattive che contribuiscono a
determinare il problema, il counselor predispone un intervento chiaro e ben organizzato per correggerle.
CONTENUTO VERSUS PROCESSO: UNA DISTINZIONE CRITICA
Nella BSFT il “contenuto” della terapia si riferisce a ciò che i componenti della famiglia dicono, comprese le
spiegazioni che danno dei loro problemi familiari, le loro credenze su come i problemi devono essere
affrontati, il loro punto di vista su chi e cosa causa il problema, eccetera. Viceversa il “processo” della
terapia si riferisce a come i componenti della famiglia interagiscono, prendendo in considerazione il loro
17
modo di ascoltare, sostenere, interrompere, sconfermare, di come manifestano le loro emozioni reciproche
od altre modalità di interazione. Nella BSFT la distinzione tra contenuto e processo è assolutamente
basilare. Per poter dentificare schemi di interazione ripetitivi, è fondamentale che il counselor BSFT si
focalizzi sul processo anziché sul contenuto della terapia.
Il processo si riconosce dai comportamenti che avvengono nella interazione familiare e, di solito, il
comportamento non verbale è indicativo di un processo, tanto quanto lo è il modo in cui i familiari si
parlano l’un con l’altro.
Processo e contenuto possono inviare messaggi contradditori. Per esempio anche se una ragazza
adolescente dice “mamma torno a casa presto”, il suo atteggiamento sarcastico, o l’intonazione, indicano
che non ha nessuna intenzione di seguire il suggerimento della mamma di rincasare presto. In genere il
processo è più attendibile del contenuto, perché i comportamenti o le interazioni (per esempio disobbedire
alle regole familiari) tendono a ripetersi nel tempo, mentre un fatto specifico può essere diverso da
interazione ad interazione ( non fare i mestieri in casa, tornare a casa tardi ecc ecc).
Il focus della BSFT è centrato sul cambiamento di queste interazioni che costituiscono il processo familiare.
Il counselor che presta attenzione al contenuto, ma perde di vista il processo, non sarà in grado di indurre
nella famiglia quel tipo di cambiamento che è essenziale per la Terapia Breve Strategica Familiare.
Frequentemente un membro della famiglia vorrà raccontare al counselor una storia che coinvolge un altro
familiare, ma ogni volta che il couselor l’ascolta, permette alla famiglia di intrappolarlo nel contenuto. Se si
vuole riorientare la seduta dal contenuto al processo quando ad esempio la mamma dice “ lasci che le
racconti cosa ha fatto mio figlio” il couselor dovrà rispondere “ la prego lo dica direttamente a suo figlio, in
modo che anch’io possa ascoltare in che modo affronta l’argomento.” In questo modo, anziché stare a
sentire il contenuto del racconto riportato dalla mamma, il terapeuta può osservare il processo di come la
madre parla direttamente con il figlio. Questo tipo di analisi aiuteranno il counselor a delineare le
interazioni problematiche all’interno della famiglia.
18
CAPITOLO 3 DIAGNOSI DEI PROBLEMI DEL SISTEMA FAMILIARE
L'approccio BSFT per la valutazione e la diagnosi dei problemi del sistema familiare si differenzia
notevolmente da quello utilizzato da altre psicoterapie che, nella valutazione e nella diagnosi, si focalizzano
sui contenuti (ad esempio occupandosi della storia di una famiglia). La BSFT valuta e fa diagnosi
individuando il processo attuale della interazioni familiari, si concentra sulla natura e sulle caratteristiche
delle interazioni che avvengono in famiglia e la aiuta a rimuovere i comportamenti problematici
dell’adolescente.
Vengono ora esaminati in dettaglio i sei elementi delle interazioni familiari:
•
Organizzazione
•
Risonanza
•
Stadi di sviluppo
•
Contesto di vita
•
Paziente designato
•
Risoluzione dei conflitti
ORGANIZZAZIONE
Nel corso del tempo i modelli ripetitivi di interazione in una famiglia danno a questa una forma specifica o
"organizzazione". Di seguito sono descritti tre aspetti dell’organizzazione: la leadership, l’organizzazione dei
sottosistemi ed il flusso di comunicazione.
LEADERSHIP
La leadership è definita come la distribuzione dell’autorità e delle responsabilità all'interno della famiglia.
Nelle famiglie con genitori funzionanti, la leadership è nelle mani di entrambi. Nelle società moderne,
entrambi i genitori di solito condividono l’autorità e la capacità decisionale. Spesso, in famiglie
monoparentali, parte della leadership genitoriale viene condivisa con il figlio più grande: questa situazione
può generare dei problemi. Nel caso di un singolo genitore che vive nell’ambito di una famiglia allargata la
leadership può essere condivisa con uno zio, una zia o un nonno. Per valutare tale funzione, il counsellor
BSFT deve prendere in considerazione le gerarchie, il controllo del comportamento e le funzioni di guida.
19
Il counselor deve analizzare le gerarchie e il modo in cui una famiglia si è organizzata, per identificare chi ha
l’incarico di dirigere la famiglia e chi detiene posizioni di autorità. La BSFT presuppone che la leadership sia
nelle mani delle figure genitoriali, con un ruolo di supporto assegnato ai membri più anziani della famiglia.
Alcune responsabilità di leadership possono essere assegnate ai ragazzi più grandi, a condizione che non
siano troppo gravose, siano adatte alla loro età, siano state attribuite dalle figure genitoriali e non siano
invece usurpate dagli adolescenti. Il counselor BSFT analizza come si attua il controllo del comportamento
familiare, per vedere chi mantiene l'ordine e delinea la guida in famiglia. Un controllo del comportamento
efficace in genere comporta che i genitori siano responsabili e i bambini agiscano in conformità con le loro
regole. Le funzioni di guida si riferiscono alle modalità di insegnamento e di tutoraggio e la BSFT valuta se
questi ruoli siano sostenuti in modo opportuno dai componenti della famiglia e se le esigenze di guida dei
ragazzi siano rispettate.
ORGANIZZAZIONE DEL SOTTOSISTEMA
Le famiglie hanno sottosistemi formali (ad esempio, coniugi, fratelli, nonni, ecc) e sottosistemi informali (ad
esempio, le donne più anziane, le persone che gestiscono il denaro, che svolgono lavori domestici, che
giocano a scacchi). I sottosistemi importanti devono avere un certo grado di privacy e indipendenza. La
BSFT valuta l'adeguatezza e l’appropriatezza dei sottosistemi familiari, gli aspetti delle relazioni che danno
origine a questi sottosistemi, soprattutto l’appartenenza al sottosistema, la triangolazione e il flusso di
comunicazione. Tutti questi aspetti vengono di seguito analizzati.
Sottosistema di Appartenenza
La BSFT individua i sottosistemi della famiglia, che sono piccoli gruppi all'interno di essa, costituiti da
membri con caratteristiche comuni, quali età, sesso, ruolo, interessi, abilità. Il counselor BSFT presta
particolare attenzione all’appropriatezza dei componenti di ogni sottosistema e ai confini tra gli stessi. Per
esempio, le figure genitoriali dovrebbero costituire un sottosistema, i fratelli di età similare dovrebbero
costituirne un altro e ciascuno di questi sottosistemi dovrebbe essere indipendente l’uno dall’altro.
I sottosistemi transgenerazionali (ad esempio, tra un genitore e un bambino) sono problematici, perché tali
rapporti confondono le linee gerarchiche e compromettono la capacità di controllo del genitore: le alleanze
tra un genitore e un figlio contro l’altro genitore sono denominate "coalizioni"; queste sono distruttive per
il funzionamento familiare e sono frequentemente presenti nelle famiglie con adolescenti che abusano di
droga. In questi casi il ragazzo, attraverso un simile rapporto, ha guadagnato un tale potere al punto che
osa sfidare costantemente l’autorità e rifugge da essa: è un adolescente ribelle, disobbediente e fuori
controllo, perché ha ottenuto il sostegno di un genitore che, per squalificare l'altro, gli consente un
comportamento inappropriato.
Triangolazione
A volte, quando due figure con autorità genitoriale sono in disaccordo, invece di risolvere la controversia
tra loro, ne coinvolgono una terza meno potente, allargando così il conflitto: questo processo è denominato
"triangolazione". Immancabilmente questo terzo, di solito un bambino o un adolescente, vive situazioni
20
stressanti e sviluppa dei sintomi, manifestando ad esempio problemi comportamentali. I triangoli sono
sempre disfunzionali perché impediscono la risoluzione di un conflitto tra due figure autorevoli.
Inequivocabilmente il ragazzo implicato in una triangolazione assume su di sé il peso dell'infelicità dei suoi
genitori e può presentare problemi comportamentali, che devono essere intesi come una richiesta di aiuto.
FLUSSO DI COMUNICAZIONE
Nell’ organizzazione va infine considerata la natura della comunicazione. In famiglie funzionali, il flusso della
comunicazione è caratterizzato da chiarezza e specificità. Una buona comunicazione è la capacità di due
familiari di saper comunicare in modo diretto e chiaro ciò che vogliono dirsi. Ad esempio, una dichiarazione
del tipo: "Non mi piace quando tu gridi con me", è un segno di buona comunicazione, perché è specifica e
diretta, le comunicazioni indirette sono invece problematiche. Prendiamo l’ esempio di un padre che dice al
figlio: "Di a tua madre che è meglio che venga subito", o la madre che dice al padre: "Faresti meglio a dire
qualcosa a Johnny, perché non mi ascolta". In questi due esempi la comunicazione è affidata ad una terza
persona. Anche le comunicazioni aspecifiche sono fastidiose, è il caso del padre che dice al figlio: "Sei
sempre nei guai." La comunicazione sarebbe stata più costruttiva se il padre avesse spiegato più
chiaramente qual è il problema, per esempio "mi arrabbio quando tu arrivi tardi a casa.”
RISONANZA
Per "Risonanza" si intende la disponibilità o la distanza emotiva e psicologica tra i membri della famiglia. Un
figlio di 6 anni che alla sua festa di compleanno rimane attaccato alla gonna della mamma può definirsi
troppo vicino a lei; una madre che piange quando la figlia sta male è emotivamente molto vicina; un padre
che non si preoccupa del figlio che è nei guai con la legge, può essere descritto come psicologicamente ed
emotivamente distante.
Elemento chiave della risonanza è il confine interpersonale che, come dice la parola stessa, è un modo per
delineare dove sono i confini di una persona, o di un gruppo di persone, rispetto ad un altro. Le persone
fissano i propri confini quando vogliono far sapere agli altri quali comportamenti sono permessi e quali no,
se costoro entrano nel loro spazio personale. La risonanza si riferisce alla vicinanza e alla distanza emotiva e
psicologica tra due componenti della famiglia che è stabilita e mantenuta dai confini interpersonali. Sono
proprio questi confini che determinano quali e quanti sentimenti ed emozioni possono passare da una
persona all'altra: se sono confini molto permeabili, la risonanza, intesa come vicinanza psicologica ed
emotiva, è alta: la felicità dell’uno diventa la felicità dell’altro. Se i confini tra due persone sono troppo
rigidi, ognuno può anche non sapere ciò che l'altro sente o prova.
INVISCHIAMENTO E DISIMPEGNO
La fermezza e la chiarezza dei confini riflettono il grado di differenziazione di un sistema familiare. Si parla
di "disimpegno” se i confini sono estremamente impermeabili e la distanza emotiva e psicologica tra i
membri della famiglia è troppo grande. Si parla di “invischiamento” se i confini sono troppo permeabili o
21
quasi inesistenti e la vicinanza emotiva e psicologica tra le persone è eccessiva. Sono due situazioni agli
antipodi, ciascuna a suo modo problematica e che può diventare l’obiettivo dell’intervento terapeutico.
Per ogni famiglia c'è un equilibrio ideale tra vicinanza e distanza, che permette la cooperazione e la
separazione; le interazioni invischiate o disimpegnate, se causano problemi, devono essere modificate, per
creare tra i membri della famiglia un equilibrio migliore.
RISONANZA E CULTURA
La risonanza deve essere valutata all’interno del proprio contesto culturale. Questa considerazione è
importante, perché alcune culture incoraggiano i membri della famiglia ad essere molto vicini tra loro,
mentre altre favoriscono una maggiore distanza. In particolare va considerata la cultura a cui fanno
riferimento le famiglie appartenenti a determinati gruppi razziali o etnici; per esempio gli ispanici sono
probabilmente più coesi degli americani bianchi e quindi appaiono più invischiati (hanno una maggiore
risonanza) (Woehrer 1989). Per contro un padre asiatico può essere molto lontano e slegato dalle donne
della sua famiglia, cosa considerata naturale nella sua cultura (Sue 1998); Tuttavia, anche se la cultura
familiare impone la distanza tra i suoi componenti, è importante che il counselor si interroghi se questa
particolare interazione sta causando problemi per la famiglia. In altre parole, se queste modalità sono
proprie di una determinata cultura, ma stanno causando sintomi patologici, è necessario attivare un
cambiamento. Per poter aiutare i membri della famiglia a correre il rischio di attuare un cambiamento
estraneo alla loro mentalità, la situazione deve essere affrontata con grande competenza e sensibilità e
senza mancare di rispetto alla loro cultura.
INVISCHIAMENTO (ALTA RISONANZA) E DISIMPEGNO (BASSA RISONANZA)
A volte "invischiamento" (vicinanza eccessiva) e "disimpegno" (distanza eccessiva) si possono verificare
contemporaneamente all'interno di una singola famiglia. Nelle famiglie dei giovani che abusano di droghe
questo accade frequentemente quando uno dei genitori è molto protettivo ed è strettamente alleato con
l’adolescente (è cioè permissivo), mentre l'altro genitore è in qualche modo disinteressato e distante.
Il counsellor BSFT nelle sedute terapeutiche ricerca determinati comportamenti, come segni rivelatori di
invischiamento o disimpegno, anche se alcuni di questi possono accadere in tutte le famiglie. Tuttavia,
quando questi comportamenti si verificano o numerosi o in una forma estrema, è probabile che riflettano
dei modelli problematici di interazione familiare. Una persona che risponde al posto dell’altra o che finisce
la frase al posto suo, come pure l’interrompersi a vicenda, sono dei sintomi facilmente riconoscibili di
invischiamento. Sintomi di disimpegno si manifestano quando un membro della famiglia si mantiene
distante da un altro, parla raramente, oppure parla raramente di un particolare familiare.
STADI DI SVILUPPO
Dall'infanzia alla vecchiaia le persone attraversano vari stadi di sviluppo ed ogni fase presenta condizioni,
ruoli e responsabilità. Anche le famiglie passano attraverso una serie di stadi di sviluppo e, affinchè in una
22
determinata fase i membri della famiglia continuino a funzionare in modo adattivo, è necessario che il
comportamento di ciascun sia appropriato allo specifico stadio.
Ogni volta che un passaggio evolutivo è raggiunto, la famiglia si confronta con una nuova serie di eventi, ma
mentre cerca di adattarsi alle nuove circostanze, sperimenta situazioni di stress. In una fase di
trasformazione il mancato adattamento, legato all’incapacità sia di rinunciare a comportamenti che hanno
avuto un buon risultato nello stadio precedente, sia di definirne altri più appropriati, porterà alcuni membri
della famiglia a sviluppare nuovi problemi comportamentali. Probabilmente uno dei cambiamenti più
stressanti si verifica quando i figli raggiungono l'adolescenza. Questa è una fase in cui un gran numero di
famiglie non è in grado di adattarsi ai cambiamenti dello sviluppo (ad esempio, passare dalla leadership
come guida diretta, alla negoziazione). I genitori devono essere in grado di continuare a essere coinvolti
nella vita del loro figlio e a monitorarla, ma ora devono farlo con modalità nettamente diverse, per
permettere al giovane di raggiungere una propria autonomia.
In ogni stadio dello sviluppo ci si aspetta che i diversi membri della famiglia abbiano determinati ruoli e
funzioni. Una modalità per comprendere se la famiglia è riuscita a superare le varie fasi dello sviluppo, è
data dall'adeguatezza dei ruoli e delle funzioni assegnate a ciascuno dei suoi membri, in relazione all'età ed
alla posizione di ognuno all'interno della famiglia. Quando in una famiglia si analizza lo stadio dello
sviluppo, si valutano quattro principali funzioni e ruoli:
1) funzioni e ruoli genitoriali: la capacità dei genitori di agire ad un livello coerente all’età dei figli;
2) funzioni e ruoli coniugali: il livello di cooperazione tra i coniugi e la condivisione delle funzioni
genitoriali;
3) funzioni e ruoli dei figli: il comportamento di bambini e adolescenti adeguato all’età;
4) funzioni e ruoli della famiglia allargata: il supporto o l’intrusione dei membri della famiglia allargata
(nonni, zie e zii) nelle funzioni genitoriali, ad esempio nella condivisione delle responsabilità
genitoriali;
Le fasi di trasformazione dello sviluppo possono essere stressanti e creare scompensi, nel caso le famiglie
continuino ad affrontare le nuove situazioni con vecchie modalità, favorendo così il possibile sviluppo di
conflitti. Frequentemente in questi momenti le famiglie fanno riferimento al counselor, proprio perché tra
tutte le fasi dello sviluppo, l'adolescenza sembra essere una delle più rischiose e critiche e in cui, nella
maggior parte dei gruppi etnici, può verificarsi l'abuso di droga (Steinberg, 1991; Vega e Gil 1999).
Probabilmente, anche se è l'adolescente il familiare che si comporta in modo problematico, spesso gli altri
membri della famiglia, soprattutto i genitori, mostrano comportamenti o sentimenti disadattivi e
problematici (Silverberg 1996).
VALUTAZIONE DELL’ADEGUATEZZA DELLO STADIO DI SVILUPPO
E’ necessario valutare attentamente per ogni membro della famiglia l’adeguatezza/inadeguatezza della fase
di sviluppo; frequentemente è difficile valutare le funzioni e i ruoli dei bambini e dei membri della famiglia
allargata. In ogni caso, il counsellor BSFT dovrebbe sempre tener conto delle tradizioni culturali della
famiglia prima di fare delle valutazioni; ad esempio è utile sapere che alcune famiglie tradizionali afroamericane e ispaniche tendono a tutelare più a lungo i loro figli rispetto ai bianchi non ispanici (White
23
1994). Per questo motivo non è inusuale, tra i gruppi tradizionali ispanici, che i ragazzi prolunghino la loro
dipendenza dalla famiglia, rispetto ai bianchi non ispanici e che un genitore afro-americano continui a
comportarsi in modo autoritario nei confronti di un figlio dodicenne, senza che questo si ribelli o lo
consideri strano. Ricerche scientifiche hanno evidenziato che i giovani afro-americani dei centri urbani
considerano un comportamento autoritario come un segno di affetto e di cura, mentre un ragazzo di un
altro gruppo culturale potrebbe viverlo come un rifiuto (Mason et al. 1994). Tuttavia, come suggerito in
precedenza, quando un adolescente cresce negli Stati Uniti, indipendentemente dall’ambiente culturale di
provenienza, il padre e la madre dovrebbero moderare il controllo e rafforzare l’ autorevolezza genitoriale,
altrimenti il giovane potrebbe assumere atteggiamenti ribelli.
PROBLEMI COMUNI RILEVATI NELLA VALUTAZIONE DELL’ADEGUATEZZA DELLO STADIO DI SVILUPPO
E’ spesso difficile per i genitori determinare quale sia una modalità matura e appropriata di sviluppo per
figli di età diverse: per esempio, quanta o quanto poca responsabilità deve avere in casa un ragazzo di 6, 10
o 16 anni? Nelle famiglie dove ci sono ragazzi che abusano di droga e con disturbi comportamentali,
spesso i genitori e i loro figli hanno difficoltà a determinare cosa sia maturo e adeguato in relazione all’età.
Uno dei principali problemi per i membri della famiglia è determinare il grado di supervisione/controllo e di
autonomia in relazione all’età dei figli. Anche per il migliore dei genitori questa è un’area estremamente
complessa e conflittuale, perché i ragazzi crescono e sperimentano una forte pressione da parte dei
coetanei per dimostrare una maggiore indipendenza. Le cose si complicano ulteriormente in quanto molti
genitori non sono pienamente consapevoli di quali potrebbero essere le regole nella società odierna e
perciò possono consentire un’ autonomia eccessiva oppure insufficiente, facendo assegnamento sul
proprio livello di benessere o malessere, sulla propria esperienza, e sulla propria cultura di appartenenza.
Va considerato inoltre che il gruppo dei pari può influenzare notevolmente il livello di autonomia che ci si
aspetta dai propri genitori. Lavorando sul tema di "adeguatezza dello sviluppo", un counselor BSFT deve
esaminare ruoli e funzioni, diritti e responsabilità, limiti e conseguenze, applicate agli adolescenti all’interno
della famiglia. Alcuni esempi di queste argomentazioni sono disponibili in ricerche sullo sviluppo
adolescenziale (Steinberg 1998).
IL CONTESTO DI VITA
Le dimensioni del funzionamento familiare discusse fino ad ora sono intrinseche alla famiglia stessa, mentre
il contesto di vita si riferisce alla relazione con il suo ambito sociale; questo comprende la famiglia
allargata, la comunità, l’ambiente di lavoro, i coetanei, la scuola, il tribunale e altri gruppi che possono
avere un impatto sulla famiglia e possono fungere da elemento di stress o di aiuto.
I COETANEI ANTISOCIALI
Un'attenta analisi del contesto di vita è di grande utilità nel trattamento della tossicodipendenza. Ad
esempio un ragazzo che fa uso di droga, può far parte di un gruppo di pari devianti o antisociali; queste
amicizie influenzano negativamente i giovani e la famiglia e devono essere certamente abbandonate per
poter interrompere con successo il consumo di droga. I genitori hanno bisogno di aiuto per imparare ad
24
identificare quali siano i coetanei più o meno adeguati ai propri figli, in modo che possano incoraggiarli a
frequentare amici positivi anziché problematici.
I SISTEMI DI AIUTO GENITORIALE E LE RISORSE SOCIALI
E’ difficile essere genitori, perché questi spesso non hanno un sistema di supporto adeguato quando invece
necessitano del sostegno degli amici, dei membri della famiglia allargata e di altri genitori (Henricson Roker
e 2000). La disponibilità dei sistemi di supporto deve essere valutata in particolare nel caso di famiglie
monoparentali; la disponibilità delle risorse sociali deve essere analizzata sia in relazione a quelle già
utilizzate sia in relazione a quelle che potrebbero potenzialmente essere usate.
IL SISTEMA GIUDIZIARIO MINORILE
Sempre più spesso, il Tribunale dei Minori e gli operatori dell’Ufficio Sociale Minorile giocano un ruolo
critico nelle famiglie di adolescenti che abusano di droga. Il counselor BSFT deve saper analizzare se
l’intervento dei rappresentanti della giustizia minorile ha una valenza di aiuto o di intralcio e, un buon
modo per farlo, è ad esempio invitarli a partecipare ad una seduta di terapia familiare.
IL PAZIENTE DESIGNATO
Il "paziente designato" è il familiare che è stato connotato dalla famiglia come “il problema”. Questa
persona, di solito un adolescente che usa droga, è visto come il responsabile della maggior parte di tutti i
guai; tuttavia, come discusso in precedenza, il punto di vista della BSFT è che questo è un sintomo dei
problemi della famiglia. Tanto più i familiari sono convinti che il loro unico problema si identifica in una sola
persona, tanto più sarà per loro difficile accettare che è l’intera famiglia che deve cambiare. D'altronde, il
nucleo familiare che riconosce che molti dei suoi membri possono avere problemi, è molto più sano e più
flessibile e richiederà un tempo relativamente più breve per affrontarli. Il counselor BSFT individua la
problematicità nelle interazioni ripetitive di quelle famiglie che utilizzano modalità rigide ed abituali e, per
promuovere il cambiamento, non tenta solamente di modificare il paziente designato, ma anche quei
comportamenti che tutti i familiari mettono in atto gli uni con gli altri.
Un altro aspetto da considerare è che di solito queste famiglie colgono solo un aspetto del paziente
designato, visto esclusivamente come fonte di dolore e preoccupazione. Per esempio le famiglie dei giovani
tossicodipendenti tendono a concentrarsi solo sul consumo di droga ed, eventualmente, sull’ andamento
scolastico o sui problemi legali che sono direttamente collegati alle sostanze stupefacenti; queste famiglie
in genere trascurano il fatto che il giovane potrebbe avere anche altri sintomi o problemi, come
depressione, disturbo da deficit di attenzione e deficit di apprendimento.
25
RISOLUZIONE DEI CONFLITTI
Se è sempre difficile comporre le divergenze di opinione, lo è assai di più quando queste si verificano nel
contesto di un rapporto fortemente conflittuale con alta negatività. Di seguito si analizzano cinque modalità
che abitualmente si mettono in atto per gestire e risolvere i conflitti: alcune sono utili, altre no. In
particolare, nel caso di adolescenti che fanno uso di droga, le prime quattro sono quasi sempre inefficaci,
mentre la quinta è efficace nella maggior parte delle situazioni:
•
Negazione
•
Evitamento
•
Diffusione
•
Emergenza del conflitto senza soluzione
•
Emergenza del conflitto con soluzione
NEGAZIONE
La "negazione" si riferisce ad una situazione in cui non è consentito al conflitto di emergere. A volte questo
viene fatto adottando l’atteggiamento del “va tutto bene”, altre volte, il conflitto è negato, evitando
situazioni di confronto o stabilendo regole non scritte, che non si possono trasgredire, indipendentemente
da come ci si sente. Un caso classico di negazione si verifica quando la famiglia dice: "noi non abbiamo
problemi".
EVITAMENTO
L’"evitamento" si riferisce ad una situazione nella quale il conflitto comincia ad emergere, ma viene
arrestato, coperto o inibito, in modo che non possa affiorare. Esempi di evitamento sono il rinvio ("Non
litighiamo adesso!"), l'umorismo ("Sei così carina quando sei arrabbiata) la minimizzazione ("Non è
veramente importante."), e l’inibizione ("Non discutere, tu sai cosa può succedere").
DIFFUSIONE
La "diffusione " si riferisce a situazioni in cui il conflitto comincia ad emergere, ma viene deviato in un'altra
direzione. Questo spostamento impedisce la risoluzione dei conflitti e distrae l'attenzione della famiglia dal
conflitto originale; tende spesso ad essere inquadrato come un attacco personale contro la persona che ha
sollevato il problema. Ad esempio una madre dice al marito: "Non mi piace quando arrivi a casa tardi", ma il
marito cambia argomento rispondendo: "piuttosto che tipo di madre sei, che oggi hai lascito tuo figlio a
casa da scuola, quando non è nemmeno ammalato"
26
EMERGENZA DEL CONFLITTO SENZA SOLUZIONE
L’emergenza del conflitto senza soluzione si verifica quando le diverse opinioni sono chiaramente espresse,
ma nessuna modalità risolutiva viene accettata. Tutti sanno esattamente dove stanno gli altri, ma viene
fatto molto poco per raggiungere un accordo negoziato. Spesso questa situazione si verifica perché la
famiglia, pur disposta a discutere il problema, semplicemente non sa come negoziare un compromesso.
EMERGENZA DEL CONFLITTO CON SOLUZIONE
L’emergere del conflitto e la sua risoluzione è generalmente considerato il risultato migliore. Diversi pareri
ed opinioni in merito ad un particolare conflitto sono chiaramente espressi e confrontati, ma poi la famiglia
è in grado di negoziare una soluzione accettabile per tutti i familiari coinvolti.
UN AVVERTIMENTO
In alcuni casi i conflitti devono essere rinviati a tempi più opportuni. Per esempio, se un membro della
famiglia è molto arrabbiato, stanco o malato, può essere ragionevole rinviare il conflitto fino a quando è
pronto per una discussione significativa. Tuttavia, in questi casi, è fondamentale che la famiglia stabilisca un
tempo per affrontare il conflitto. Il rinvio indefinito è un segno di evasione, un rinvio a tempo delimitato è
una scelta adeguata. In altri casi, una persona può decidere che il problema non valga la pena di essere
discusso, per esempio, una persona può voler restare a casa mentre il suo compagno vuole andare a
ballare. Entrambi i partner possono scegliere un compromesso accettando la preferenza dell’altro: fino a
quando le parti, a turno, accettano questa modalità la situazione è adeguata ed equilibrata, tuttavia, se è
sempre la stessa persona a cedere, questo può essere un vero e proprio evitamento per non affrontare i
conflitti con il partner.
CAPITOLO 4 COORDINARE IL CAMBIAMENTO
27
Questo capitolo descrive l'approccio della Terapia Breve Strategica Familiare per poter coordinare il
cambiamento. Nella prima parte viene analizzato con quali modalità il counselor BSFT possa stabilire una
relazione terapeutica, tenendo conto dell’'importanza di creare un’alleanza con la famiglia, di comprendere
il ruolo delle interazioni familiari e di cosa sia necessario per costruire un piano di trattamento. La seconda
sezione descrive le strategie per produrre un cambiamento in famiglia ed in particolare la focalizzazione sul
presente, la ristrutturazione delle negatività, il cambiamento dei modelli di interazione attraverso
l'inversione del comportamento abituale, la modifica dei confini e delle alleanze familiari, la rottura delle
"triangolazioni" familiari e l'apertura di sistemi o sottosistemi familiari chiusi, indirizzati verso nuove
interazioni.
STABILIRE UNA RELAZIONE TERAPEUTICA
Il primo passo per poter lavorare con una famiglia è stabilire una relazione terapeutica, che va costruita fin
dal primo contatto con i componenti del nucleo familiare. La qualità del rapporto terapeutico è un
elemento fortemente predittivo per come le famiglie parteciperanno al trattamento, ci resteranno e
sapranno migliorare durante questo percorso (Robbins et al. 1998). Studi scientifici hanno dimostrato che
la relazione terapeutica è un predittore significativo del successo di numerose tipologie di trattamento
(Rector et al. 1999; Stiles et al. 1998). Rinforzare e sostenere la famiglia come sistema e condividere le
esperienze di ciascun familiare sono aspetti assai importanti, per far crescere e per mantenere una buon
rapporto terapeutico (Diamond et al. 1999; Diamond e Liddle 1996).
Stabilire una relazione terapeutica significa che il counselor BSFT configura un nuovo sistema - il sistema
terapeutico – costituito dalla famiglia e dallo stesso terapeuta, dentro cui è, al tempo stesso, un
componente e una guida. L’obiettivo del counselor è di costruire una relazione con tutti i familiari, alcuni
dei quali potrebbero essere in conflitto fra loro. Per esempio, gli adolescenti che usano droga in genere
iniziano il trattamento in conflitto con i genitori o con il loro tutore; entrambe le parti richiedono l’aiuto del
counselor, che ha il compito di trovare un modo per riuscire a sostenere tutti i contendenti. Per esempio il
terapeuta potrebbe dire al ragazzo ”sono qui per aiutarti a spiegare ai tuoi genitori che la scuola
tradizionale non fa per te, che sei invece interessato ad una scuola professionale;“ Ai genitori potrebbe dire
“sono qui per aiutarvi a mantenere vostro figlio lontano dalla droga”. Offrendo ad ogni componente del
nucleo familiare qualcosa che questi vorrebbe ottenere, il counselor è così in grado di stabilire un'alleanza
terapeutica con tutta la famiglia.
L'approccio BSFT si basa sulla considerazione che è assolutamente necessario costruire una buona relazione
terapeutica, per produrre un cambiamento in famiglia. Vengono di seguito discusse le strategie utilizzate:
joining, tracking e costruzione di un piano di trattamento.
28
JOINING1
Per stabilire una relazione terapeutica si possono utilizzare molte tecniche, alcune delle quali permettono
anche di diventare un membro temporaneo della famiglia.
Definizione di “Joining”
Per la BSFT, nello stabilire una relazione terapeutica (joining), si devono considerare due aspetti: i passi
intrapresi dal terapeuta per preparare la famiglia al cambiamento e la sua raggiunta posizione di leadership
nel gruppo familiare. Il counselor per preparare la famiglia ad accettare sia la terapia, sia il terapeuta come
leader del cambiamento, si avvale di varie tecniche; alcune di queste sono utilizzate per facilitare l’adesione
della famiglia alla terapia, come ad esempio il porsi come alleato, il ricorrerre ai familiari che sono in
posizione dominante, l’adattarsi ai modi di parlare e di comportarsi della famiglia. La relazione terapeutica
è consolidata quando il counsellor è accettato come "membro speciale temporaneo”, perché è riuscito a
guadagnare la fiducia della famiglia e si è mescolato con i suoi componenti. Per preparare la famiglia al
cambiamento e guadagnare una posizione di leadership, il counselor deve dimostrare rispetto e sostegno
per ogni membro della famiglia e, a sua volta, guadagnare la fiducia di ciascuno.
Sostenere l'attuale struttura di potere della famiglia è una delle più utili strategie per entrare in relazione. Il
counselor BSFT perciò appoggia i familiari in posizione dominante, mostrando loro una grande
considerazione, in quanto, chi ha il potere, ha la facoltà di rifiutare la terapia, come pure di accettare il
terapeuta, ponendolo in un ruolo di leadership. Nella maggior parte delle famiglie, il componente con più
potere deve accettare un cambiamento in famiglia, compreso quello di cambiare se stesso: per questo il
counselor, nel processo di costruzione di una relazione terapeutica, deve inizialmente allearsi con il
componente della famiglia che ha più potere, prestando molta attenzione a non sfidarlo prematuramente.
Un counselor familiare inesperto spesso si schiera con un componente della famiglia contro un altro,
comportandosi come se qualcuno avesse ragione e gli altri torto. Nel costruire una relazione con l’intero
nucleo familiare, il terapeuta deve potersi alleare con tutti e non solo con chi è più in sintonia: spesso, in
realtà, la persona con cui è più difficile stabilire un’ alleanza o un legame è il membro della famiglia più
potente e antipatico.
Molti operatori che lavorano nel campo dell’addiction pensano di avere poche possibilità per aiutare le
famiglie dei giovani che consumano droga, data la concomitanza di problemi molti gravi; questi
professionisti spesso possono mettere in discussione l’utilità di tentare di diventare un membro della
famiglia, dato che i loro precedenti sforzi per attivare un cambiamento non hanno avuto successo. La BSFT
invece insegna ai counselor come riuscire a lavorare con il nucleo familiare dall’interno e non dall’esterno:
dall’esterno di solito si tenta di forzare il cambiamento della famiglia attraverso un meccanismo di sfida,
che dovrebbe invece essere usato molto raramente, se si è imparato a diventare parte del sistema e a
lavorare con le famiglie dall'interno. Questa modalità infatti erode il rapporto e la fiducia che il counselor
ha duramente guadagnato e può cambiare la percezione della famiglia nei suoi confronti, trasformandosi
da parte integrante del sistema terapeutico ad un estraneo.
1
Il termine Joining solitamente viene mantenuto tale anche nella terminologia italiana della BSFT. La traduzione
correttamente accettata è “Stabilire la relazione terapeutica”.
29
Il Prezzo del Fallimento del Joining
Un esempio può essere d’aiuto per chiarire cosa si intende per componenti “potenti” della famiglia. Un
giudice invia in terapia una famiglia, perché il figlio maggiore ha avuto problemi comportamentali: la madre
è disposta a partecipare, ma il suo fidanzato, con cui convive, no. Il counselor invita comunque la signora a
venire in terapia con il ragazzo, ma così facendo, il fidanzato sente che la sua posizione di potere è
minacciata dalla potenziale alleanza tra madre e terapeuta. Il fidanzato avvalora quindi la sua autorità,
chiedendo di interrompere la partecipazione alle sedute e, conseguentemente, la signora abbandona la
terapia. Questo è chiaramente un caso in cui il counselor sfida fin dall’inizio il sistema “operativo” familiare
causando l’abbandono della terapia. Il terapeuta avrebbe potuto e avrebbe dovuto essere più consapevole
e rispettoso della struttura di potere esistente nella famiglia; rispetto, in questo caso, non significa
approvare o accettare il comportamento del fidanzato, piuttosto significa che il counselor deve
comprendere come questa famiglia è organizzata e lavorare all’interno di questa specifica struttura
familiare esistente.
Una strategia di consulenza più adattiva potrebbe prevedere di ottenere l’autorizzazione della madre per
incontrare il fidanzato e, una volta riconosciuta a quest’uomo la sua posizione di potere, chiedergli di
aiutare la compagna per i problemi del figlio.
Un’Avvertenza per i Segreti di Famiglia
In precedenza si è già sottolineata la necessità di stabilire una relazione con tutti i componenti della
famiglia per creare un’alleanza terapeutica. Qualche volta un familiare cercherà di ostacolare questo
processo, utilizzando i segreti di famiglia ed alcuni segreti possono effettivamente rappresentare un grave
problema per il terapeuta, al punto da costringerlo ad inviare la famiglia ad un altro counselor. I segreti
vanno affrontati direttamente e il terapeuta non dovrebbe lasciarsi invischiare in una particolare relazione
con un familiare, imperniata sulla condivisione di un segreto, sconosciuto agli altri membri della famiglia. Il
counselor che mantiene un segreto è imbrigliato, perché si è alleato con un familiare, escludendo gli altri.
In alcuni casi non è solo l'alleanza con il singolo, ma è proprio l’alleanza con un familiare in
contrapposizione ad un altro. In pratica la persona depositaria del segreto può ricattare il counselor con la
minaccia di rivelare alla famiglia questa sua conoscenza non condivisa con il resto del nucleo familiare e, di
conseguenza, se il terapeuta lo consente, un segreto di famiglia è una strategia molto efficace che i familiari
possono utilizzare per ostacolare il trattamento.
Per le ragioni sopra esposte nel momento in cui inizia la terapia ,il counselor dovrebbe enunciare la regola
che non verranno mantenuti dei segreti e che, nel caso un componente della famiglia gli confidasse delle
informazioni particolari, lo aiuterà a parlarne con i familiari adatti. Per esempio, se una moglie confida al
terapeuta che sta vivendo una relazione extraconiugale, suo marito dovrà esserne informato, anche se i
ragazzi non hanno bisogno di conoscere i problemi coniugali dei genitori. In questo caso il counselor
potrebbe dire: "Questa storia rileva l’esistenza di problemi nel vostro matrimonio; lasci che l’aiuti a
condividerli con suo marito”. Il terapeuta deve poter fare il possibile per far comprendere alla signora che
questa relazione è un sintomo evidente della problematicità della coppia, che va inquadrato come un grido
d'aiuto, un invito ad agire, oppure un malcontento di base, ma, se è così, questi problemi coniugali devono
proprio essere discussi.
E’ possibile che, nonostante tutti gli sforzi del counselor, la moglie risponda: "No, non voglio assolutamente
dirglielo: mio marito mi lascerebbe e poi questa storia non è poi così importante." Generalmente la BSFT si
occupa dei problemi coniugali solo nel caso che interferiscono con l’efficacia della capacità genitoriale,
30
tuttavia, al terapeuta non resta altra scelta se non quella di aiutare la signora a parlarne col marito. Se la
moglie si rifiuta nel modo più assoluto, riesce in questo modo a tenere sotto controllo il processo del
trattamento e il counselor, che ha perso così ogni possibilità di leadership, deve inviare la famiglia ad un
altro terapeuta.
TRACKING2
Nell'esempio presentato a pagina 30, nel caso del potente fidanzato della madre, si è raccomandato che il
terapeuta sfrutti a suo vantaggio l’organizzazione familiare o interagisca con la figura genitoriale
dominante, vista come un tramite per far entrare la famiglia in terapia. Il Tracking è una strategia attraverso
la quale il counselor impara a conoscere come interagisce la famiglia e quindi utilizza queste informazioni
per stabilire un piano terapeutico; si uniforma così al modo in cui la famiglia interagisce, ma, allo stesso
tempo, si avvale di tali interazioni a scopo terapeutico. A volte le famiglie interagiscono spontaneamente,
permettendo al counselor di osservare le loro dinamiche, ma se questo non avviene spontaneamente,
devono essere incoraggiate ad interagire.
Incoraggiare la Famiglia ad Interagire
Nel corso della terapia i familiari raccontano spesso le vicende degli altri componenti della famiglia. Per
esempio una madre può dire: "Mio figlio ha fatto così e così". A differenza di altri modelli psicoterapeutici, il
counselor BSFT non è interessato al contenuto delle storie familiari, ma si focalizza sull’osservazione (e
correzione) delle interazioni problematiche. Per poter analizzare i modelli di interazione, il counselor deve
chiedere ai familiari di comunicare direttamente tra di loro sul problema, in modo da poter valutare cosa
accade quando i componenti della famiglia discutono, osservando così i loro conflitti, disaccordi, prese di
posizione ecc. Attraverso il tracking, il counselor non solo sarà in grado di identificare i modelli di
interazione familiare, ma anche di determinare quali possano essere la causa dei problemi o dei sintomi
espressi dalla famiglia. Il valore aggiunto del tracking deriva dal fatto che il counselor rispetta le modalità
interattive familiari.
Tracking: Contenuto e Processo
La differenza tra "contenuto" e "processo" è stata discussa nel Capitolo 2 (cfr. pag. 17). Il contenuto è
l’oggetto di cui si discute, il processo si riferisce alle interazioni che stanno alla base della comunicazione.
Osservando il processo, il terapeuta comprende chi è il familiare dominante o sottomesso, quali siano le
emozioni espresse nell’interazione e le regole non scritte che sembrano guidare l'organizzazione e la
comunicazione della famiglia. Per esempio, una madre può dire che il problema che la preoccupa è l’uso di
droga del figlio, ma a questo punto la nonna insorge, affermando che la madre reagisce in maniera
eccessiva e deve calmarsi. Il contenuto dell'interazione – l’uso di droga del ragazzo - non è più importante
del processo, che vede la nonna minare e delegittimare la madre. Spesso il counselor utilizza il contenuto,
perché rappresenta una questione rilevante per la famiglia e, nell’esempio sopra riportato, il problema di
droga del figlio è l’argomento della seduta, in quanto è un tema importante per la famiglia. Il fulcro della
BSFT è tuttavia interamente centrato sul cambiamento del processo e, in questa situazione, il primo passo
2
In italiano non si è trovato un vocabolo che traduca correttamente Tracking; si è perciò preferito lasciare invariata la
parola inglese. Il termine Tracking potrebbe essere tradotto con la circonlocuzione “comprendere le interazioni
familiari (ed utilizzarle per predisporre un piano terapeutico)”.
31
da intraprendere è emendare l'incapacità delle figure parentali di concordare sull'esistenza di un problema,
e, più in generale, la tendenza della nonna a squalificare le preoccupazioni della madre.
Mimesi 3
"Mimesi" è una forma di monitoraggio che ha come fine la costruzione della relazione terapeutica e in cui il
terapeuta imita il comportamento della famiglia, nel tentativo di allearsi con essa: per esempio un
counselor può comportarsi in modo gioviale con una famiglia gioviale e può anche utilizzare questa tecnica
per agganciare un membro della famiglia. Ci si avvale della mimesi anche nelle situazioni sociali quotidiane,
come quando si cerca di dimostrare e ottenere l’ accettazione da parte degli altri, imitandone per esempio
l’abbigliamento in una determinata circostanza (p.e. vestire casual). In determinate situazioni è opportuno
modulare il proprio tono dell’umore a quello delle altre persone e perciò si è tristi ad un funerale e gioiosi
ad una celebrazione. Quando il counselor avvalora una famiglia, uniformandosi al suo comportamento, i
familiari sono più propensi ad accettarlo come uno di loro.
“Mimesis” si riferisce anche all’uso delle caratteristiche linguistiche e lessicali della famiglia, dato che ogni
famiglia e ogni suo componente ha un proprio vocabolario e un proprio punto di vista. Per esempio, se un
membro della famiglia è un falegname, potrebbe essere utile usare il linguaggio proprio di questo mestiere.
Il terapeuta potrebbe dire, "Trattare con suo figlio richiede molti strumenti diversi, proprio come quando
lavora. A volte è necessario utilizzare un martello e imprimere grande forza, a volte è bene usare un panno
morbido per un lavoro più delicato." Se si ha di fronte un commercialista può essere utile parlare in termini
di bilancio, se si ha di fronte una persona religiosa può essere utile parlare della volontà di Dio.
Qualunque sia il linguaggio della famiglia, il counselor dovrà utilizzarlo per dialogare con essa. Il terapeuta
non dovrebbe utilizzare i termini di questo manuale e parole come "interazioni", "ristrutturazione" e
"sistemi", ma piuttosto un linguaggio usuale, quello che ciascuno dei membri della famiglia adopera nella
sua vita quotidiana. Per esempio, se le famiglie sono a disagio con il termine "counseling", può essere
sostituito con "incontri".
Gran parte del lavoro per stabilire la relazione terapeutica implica la conoscenza di come la famiglia
interagisca, per meglio potersi integrare; tuttavia il counselor non può apprendere le modalità di
interazione, se non vede i componenti della famiglia interagire fra loro, come accade normalmente quando
non è presente. Questo può essere difficile perché le famiglie spesso entrano in terapia pensando che il
loro compito sia quello di descrivere cosa sia successo ed è perciò essenziale che il counselor scoraggi
queste comunicazioni rivolte a lui solo e invece incoraggi i familiari ad interagire con le modalità abituali,
per poter così osservare il loro comportamento consueto.
COSTRUIRE UN PIANO TERAPEUTICO
La diagnosi BSFT identifica gli schemi di interazione familiare adattivi e disadattivi, in modo che il counselor
possa attuare un piano d’intervento pratico e strategicamente efficace. Lo scopo dell'intervento è quello di
migliorare le interazioni familiari più strettamente legate ai sintomi dell'adolescente e questo, a sua volta,
aiuta la famiglia a gestire questi sintomi.
3
In italiano, il grecismo “mimesi”assume in questo caso il significato di imitazione
32
Enactment 4: Identificare le Interazioni Maladattive
Nella BSFT, il counselor valuta e diagnostica le interazioni familiari, facendo si che la famiglia, nel corso della
seduta di counseling, interagisca come solitamente avviene a casa. Per prima cosa il counselor chiede alla
famiglia di discutere di qualche argomento e, quando un familiare parla di un’ altra persona che è lì
presente, il terapeuta gli chiede di ripetere quanto detto, rivolgendosi però direttamente a quel
componente. Le interazioni familiari che si verificano in seduta e che mostrano gli schemi tipici della
famiglia sono chiamate “enactment” (messe in atto): possono avvenire spontaneamente o su invito del
counselor a discutere di qualcosa. Rendere possibili degli enactment è come consentire al counselor di
mettersi dall’altro lato di uno specchio unidirezionale (ndt: lo specchio usato in terapia sistemica) e lasciare
che la famiglia "faccia le sue cose", mentre il terapeuta osserva.
Differenti modelli terapeutici propongono diverse spiegazioni sul motivo per cui una famiglia o un
adolescente stanno vivendo delle difficoltà e hanno, quindi, diversi target di intervento. La BSFT, che ha un
approccio terapeutico focalizzato sul problema, ha come obiettivo quei modelli di interazione, che sono
direttamente e maggiormente collegati al sintomo per il quale la famiglia è in cerca di cure; proprio per
questo la BSFT può essere una terapia breve, che rafforza l’alleanza tra la famiglia e il terapeuta, essendo
questi in grado di aiutarla a risolvere quei problemi che i componenti hanno individuato.
Le famiglie che sviluppano sintomi tendono ad essere organizzate e a funzionare intorno ad essi, dato che
un sintomo ha le stesse prerogative di un magnete, che attira tutto attorno a sé. Tutto ciò è
particolarmente vero soprattutto se il sintomo è una grave minaccia per la vita, come nel caso dell'abuso di
droga e pertanto, è più efficace lavorare con la famiglia, focalizzandosi sul sintomo su cui la stessa si è già
organizzata.
Le Crisi Familiari: un Esempio di Enactment
La “messa in atto” è utilizzata per osservare le interazioni familiari nel presente e per identificarne i
problemi. Le crisi familiari sono tipi di enactment particolarmente utili perché i membri della famiglia
manifestano forti tensioni e sono emotivamente disponibili a provare nuovi comportamenti. Pertanto le
famiglie in crisi dovrebbero essere viste immediatamente; questo perché il counselor, oltre ad acquisire
preziose informazioni sulle interazioni familiari problematiche, può essere veramente utile alle famiglie in
un momento di grande bisogno.
Un’Avvertenza: Adolescenti che Vengono in Terapia sotto Effetto di Droga
I terapeuti solitamente non accettano di lavorare con un cliente che entra in seduta sotto l’effetto di
droghe, in quanto questa condizione è considerata inidonea ad un lavoro terapeutico. Tuttavia, nel caso di
una terapia familiare come la BSFT, stabilire se condurre o no la seduta, è una decisione strategica che il
counselor deve fare e la possibilità di osservare l'adolescente sotto effetto di droga può essere considerata
una rappresentazione di quello che la famiglia affronta in casa tutti i giorni. Così, quando un adolescente
viene in terapia alterato, il counselor può avere l’opportunità di insegnare alla famiglia come reagire in
4
Enactments può essere tradotto in italiano con “messe in atto”.
33
questa circostanza, di osservare come ogni familiare reagisce nella specifica situazione e di identificare le
interazioni maladattive che permettono all'adolescente di mantenere questo comportamento. Il counselor
può lavorare con i componenti della famiglia che non fanno uso di droga per cambiare le loro reazioni
abituali nei confronti del ragazzo intossicato e quindi il lavoro in questa sessione non è con l'adolescente,
ma con gli altri familiari.
Dalla Diagnosi alla Pianificazione del Trattamento
Dopo aver stabilito una relazione terapeutica e aver formulato la diagnosi, il counselor è pronto a
sviluppare un piano di trattamento che delinei gli interventi necessari per cambiare quegli schemi
maladattivi di interazione familiare, che sono stati individuati come origine del sintomo. I modelli di
interazione familiare problematici sono diagnosticati utilizzando le sei dimensioni discusse nel capitolo 3
(organizzazione, risonanza, stadi di sviluppo, contesto di vita, paziente designato e risoluzione dei conflitti).
Spesso alcune dimensioni sono più problematiche di altre e gli interventi devono concentrarsi
maggiormente sulle interazioni che causano i problemi più gravi.
Le sei dimensioni delle interazioni familiari operano in modo interdipendente e per questo motivo
potrebbe non essere necessario pianificare interventi separati per ciascun problema diagnosticato. Ad
esempio, affrontando la tendenza di una famiglia a colpevolizzare l’adolescente per i suoi problemi (cioè, il
paziente designato) può portare alla luce strategie inefficaci di risoluzione dei conflitti. In modo simile,
affrontare il ruolo di un figlio come confidente della madre (assolutamente inadeguato alla fase dello
sviluppo), può mettere in evidenza quanto il confine tra le figure genitoriali sia rigido e molto poco
flessibile.
PRODURRE IL CAMBIAMENTO
Come evidenziato precedentemente, il focus della BSFT è di far virare la famiglia da modelli di interazione
disadattivi ad adattativi e, per raggiungere questo obiettivo, i counselor possono utilizzare una serie di
tecniche, che fanno parte della “ristrutturazione” e che consistono precipuamente nell’incoraggiare i
membri della famiglia a comportarsi in modo diverso. Con la ristrutturazione, il counselor coordina e dirige
il cambiamento dei modelli di interazione della famiglia (cioè agisce sulla struttura). Alcune delle tecniche di
ristrutturazione, più frequentemente utilizzate, sono descritte in questo capitolo.
Quando la struttura familiare è stata spostata da modalità disadattive ad adattative, la famiglia acquisisce
padronanza nelle capacità di gestione e di comunicazione e questa acquisizione, a sua volta, la aiuterà a
risolvere i problemi presenti e futuri. Il counselor BSFT aiuta i familiari ad apprendere nuove competenze,
sviluppando nuovi comportamenti e modalità di interazione reciproche più costruttive, che il terapeuta
convalida con rinforzi positivi. Successivamente alla famiglia viene dato il compito di attuare questi nuovi
comportamenti/interazioni in situazioni quotidiane (ad esempio per stabilire l’orario di rientro la sera o dei
pasti tutti insieme) in modo che possa sperimentarne l’acquisizione a casa.
Il saper padroneggiare interazioni più adattive offre alle famiglie gli strumenti necessari per gestire
l’adolescente che usa sostanze stupefacenti ed i comportamenti problematici correlati a questo utilizzo.
34
Alcuni comportamenti/interazioni adattivi, convalidati dai singoli membri della famiglia, sono autorinforzanti; perciò il counselor deve avvalorare soprattutto quelli che inizialmente non sono così
consolidati, per garantire al meglio la loro sostenibilità. Quando i membri della famiglia si rafforzano a
vicenda, le loro capacità sono più adattive e le padroneggiano adeguatamente per comportarsi in modo
costruttivo. E’ molto importante notare che la padronanza di competenze adattive non si raggiunge
criticando, interpretando o squalificando la persona, ma si ottiene modellando in crescendo il
comportamento positivo.
Di seguito questo capitolo descrive sette tecniche di ristrutturazione, frequentemente utilizzate. Queste
servono a far acquisire al counselor gli strumenti di base, necessari per aiutare una famiglia a cambiare i
suoi schemi di interazione. Le sette tecniche sono:
•
Lavorare sul presente
•
Riformulare le negatività
•
Invertire
•
Lavorare su confini ed alleanze
•
Detriangolare
•
Aprire i sistemi chiusi
•
Dare prescrizioni
LAVORARE SUL PRESENTE
Anche se alcune tipologie di counseling pongono l’attenzione sul passato (Bergin e Garfield 1994), la BSFT si
concentra esclusivamente sul presente. Nella BSFT le famiglie non si limitano a parlare dei loro problemi,
perché questo, di solito, significa raccontare una storia del passato. Per determinare un cambiamento è
necessario lavorare nel presente sui processi interattivi che mantengono i sintomi della famiglia; di
conseguenza, il counselor BSFT vuole che la famiglia si impegni in interazioni all'interno della seduta di
terapia, allo stesso modo di come farebbe a casa. Quando questo accade ed i familiari mettono in atto
modalità di interazioni abituali, il terapeuta è in grado di aiutarli a rimodellare il loro comportamento. Le
diverse tecniche, che richiedono di lavorare sul presente nei processi familiari, si trovano nelle sezioni
successive di questo capitolo.
La BSFT Non Lavora Mai Sul Passato?
I counselor lavorano sul passato meno del 5 per cento del tempo della terapia. Un esempio significativo di
lavoro sul passato si ha quando, in una seduta iniziale di counseling, il genitore e l’adolescente sono
impegnati in ruoli conflittuali. Il genitore è arrabbiato e profondamente ferito dal comportamento del
giovane e una strategia, per superare l'impasse per cui nessuno è disposto a cedere, è chiedere: "Ti ricordi
quando Felix è nato? Come ti sei sentita?" La madre può dire con nostalgia: "Era un bel bambino, quando
35
l’ho visto, sono rimasto incantata. L’amavo così tanto che ho pensato che il mio cuore stesse per
scoppiare." Questo tipo di intervento viene denominato "riconnessione" (cfr Liddle 1994, 1995, 2000).
Quando un genitore è indurito dalle esperienze molto difficili avute con un figlio adolescente problematico,
il counselor, a volte, usa la strategia della riconnessione per superare l'impasse in cui nessuno è disposto a
fare il primo passo. La riconnessione è un intervento che aiuta il genitore a ricordare le sensazioni positive
(d’amore) che una volta ha avuto per il bambino. Dopo che il genitore ha espresso il suo amore iniziale per
il ragazzo, il counselor si rivolge al giovane e dice: "Lo sapevi che tua madre ti ama così tanto? Guarda
l'espressione di beatitudine sul suo viso."
Come si può vedere, le digressioni nel passato durante la seduta di counseling sono molto brevi e hanno lo
scopo di ricollegare il genitore ad un sentimento positivo verso il figlio e, in questo caso, si sono rese
necessarie per cambiare il “qui ed ora” dell'interazione tra i due membri della famiglia. La riconnessione ha
permesso al counselor di trasformare una interazione caratterizzata dal risentimento in una basata
sull’affetto. Ma dato che questi sentimenti di affetto e di legame non durano a lungo, il terapeuta deve
muoversi rapidamente per utilizzare la riconnessione come un ponte, che porta la seduta di counseling su
un terreno più positivo di interazione.
RIFORMULARE: LA RISTRUTTURAZIONE COGNITIVA SISTEMICA
Per “riformulazione" si intende la creazione di una nuova prospettiva e di un differente modello della realtà
rispetto alla quale la famiglia ha operato e che il counselor presenta in modo convincente, così che possa
essere “visto” e usato per facilitare il cambiamento. Lo scopo della ristrutturazione cognitiva (o
riformulazione) è quello di modificare la percezione e/o il significato, in modo da consentire ai familiari di
cambiare le loro interazioni. Con le famiglie degli adolescenti tossicodipendenti la maggior parte del tempo
viene dedicata a riformulare la negatività, che, di solito, è espressa con il biasimo, con comunicazioni aspre
e invalidanti ("Sei un buono a nulla" "Non posso fidarmi") e, in generale, con "una lotta rabbiosa".
Riformulare la negatività potrebbe comportare che le critiche di una madre verso il figlio adolescente siano
considerate come il segno del suo desiderio che questi abbia successo nella vita e riformulare la litigiosità
potrebbe rappresentare un tentativo per ridefinire la relazione con un altro membro della famiglia.
Si è ipotizzato che livelli di "... alta negatività interferiscono con uno svolgimento efficiente del problemsolving e della comunicazione all'interno della famiglia" (Robbins et al. 1998, p. 174). Robbins e altri
riferiscono che la negatività nelle sedute di terapia familiare è correlata all'abbandono del trattamento e,
per coloro che rimangono, ad avere scarsi risultati. Poiché la negatività è distruttiva per la famiglia e per la
terapia, la maggior parte degli obiettivi del trattamento devono essere concentrati su di essa. (Alexander et
al. 1994). La riformulazione è la strategia più nota per la trasformazione delle interazioni da negative a
positive (Robbins et al. 2000).
Prima di predisporre un cambiamento, quando il counselor incoraggia i membri della famiglia ad interagire
fra loro con le consuete modalità, è necessario porre una particolare attenzione nel caso che intensi
sentimenti negativi accompagnino le interazioni conflittuali. Se l’obiettivo è che la famiglia rimanga in
terapia subito, fin dall’inizio del trattamento, i suoi componenti devono provare un po’ di sollievo dai
sentimenti negativi e, pertanto, i counselor sono incoraggiati ad utilizzare ampiamente la riformulazione
nella prima (e in generale nelle prime sedute) per alleviare le intense sensazioni negative della famiglia. E’
così possibile che attraverso una ristrutturazione cognitiva i familiari possano discutere in modo
significativo del loro dolore e dei loro risentimenti.
36
Un esempio aiuterà a illustrare come la riformulazione di sentimenti negativi possa creare sentimenti
positivi tra i componenti della famiglia. La rabbia è un’emozione abbastanza comune tra le famiglie con un
adolescente coinvolto in attività antisociali. I genitori possono sentirsi arrabbiati, i loro tentativi di condurre
i figli sulla "via maestra” sono falliti e il ragazzo non rispetta la loro guida: l'adolescente verosimilmente
interpreta questa rabbia come un rifiuto e una mancanza di cura. Entrambi possono sentire che l'altro è un
avversario e questo fatto riduce fortemente la possibilità di un vero dialogo.
Una specifica riformulazione va utilizzata per cambiare le emozioni (negative) quali rabbia, dolore, e
antagonismo in emozioni (positive) quali il prendersi cura e l’interessamento. Il counselor deve creare una
realtà o una struttura positiva; ad esempio, potrebbe dire al genitore: "Posso ben capire come sia
terribilmente preoccupato per suo figlio, a cui tiene moltissimo ed è per questo che è così deluso per tutto
quello che lui sta facendo contro sé stesso."
Con questo intervento, il counselor aiuta sia i genitori che il figlio a modificare la loro percezione
trasformandola da rabbia in preoccupazione. In genere la maggior parte dei genitori risponderebbe così:
"Sono molto preoccupato. Voglio che il mio ragazzo faccia bene e abbia successo nella vita". Quando il
giovane sente la preoccupazione dei genitori, può cominciare a sentirsi meno rifiutato e il genitore ora può
comunicargli la sua ansia e la sua intenzione di proteggerlo e sostenerlo. Di conseguenza il counselor,
instaurando un clima più positivo, trasforma il rapporto conflittuale tra i genitori e l'adolescente, creando
delle opportunità che fanno emergere nuovi canali di comunicazione e nuove interazioni tra di loro.
La riformulazione è tra gli interventi più consigliati nella BSFT e, di conseguenza, nei primi incontri il
counselor è incoraggiato a utilizzarla incondizionatamente, dato che è un intervento che di solito non causa
nessun danno nel rapporto e va perciò largamente impiegata, soprattutto nelle situazioni più esplosive.
I Sentimenti: Come Creare un’Opportunità per Nuovi Comportamenti
Nella BSFT i counselor prendono in considerazione i sentimenti (sensazioni od emozioni) e come questi si
riflettono nelle interazioni. La strategia del counseling BSFT consiste nell'utilizzare l’emozione come
un'opportunità per "spostare" la famiglia in una nuova e più adattiva serie di interazioni. Ecco un esempio
di come poter lavorare con le emozioni: quando una madre piange, il terapeuta potrebbe dire al ragazzo:
"Chiedi a tua madre di raccontarti il perché delle sue lacrime". In alternativa: "Cosa pensi che stiano
cercando di dirti le lacrime della mamma?" Se il giovane risponde, "Credo che...", il counselor dovrebbe così
indirizzarlo: "Chiedi a tua madre se quello che tu pensi che le sue lacrime significhino sia proprio la vera
ragione per la quale piange". In questo modo, il pianto è utilizzato per avviare un'interazione tra i
componenti della famiglia, in cui si riconosce non solo l'emozione del pianto, ma anche l'esperienza
sottostante al pianto. In altre parole, il pianto è utilizzato per promuovere interazioni che mostrano una
grande attenzione all'emozione ed un livello di comprensione più profondo tra i membri della famiglia.
Un altro esempio: un’ adolescente che abusa di droga e la sua famiglia vengono alla loro prima seduta di
BSFT. I genitori iniziano a descrivere la figlia come disobbediente, ribelle e irrispettosa, una ragazza che si
rovina la vita e non va da nessuna parte. Sono arrabbiati e rifiutano questa ragazza attribuendole la colpa
per tutto il dolore della famiglia. In questo caso, il counselor BSFT riconosce che la famiglia è "bloccata" sul
cosa fare con la figlia e che questa incapacità decisionale si basa sull’idea che hanno sviluppato nei
confronti della ragazza e sul suo comportamento. Per "sbloccare" la famiglia ed aiutarla a trovare nuove
modalità per avvicinarsi alla figlia, il counselor BSFT deve “formulare” una nuova prospettiva che consenta
37
di reagire in modo diverso nei confronti dell’adolescente. Il terapeuta, riconosciuta quale possa essere la
delusione e l’esasperazione che derivano dal comportamento della figlia, potrebbe dire:“il mio parere
professionale su questa ragazza è che il suo problema principale è una forte depressione, a causa della
quale prova un immenso dolore, che non riesce proprio a gestire". La riformulazione è uno strumento
pratico, utilizzato per stimolare un cambiamento nelle interazioni familiari; attraverso questa nuova
formulazione, la famiglia può ora essere in grado di comportarsi verso l'adolescente con modalità differenti,
prendendosi cura di lei. Un contesto di maggior collaborazione nelle relazioni familiari renderà più facile ai
genitori di discutere sul consumo di droga della figlia, ad affrontare i problemi sottostanti ed a sviluppare
una strategia per aiutarla a ridurre questo uso.
INVERSIONI
Quando si utilizza la “tecnica dell’inversione" significa che il counsellor modifica l’abituale schema di
interazione indirizzando un membro della famiglia a fare o dire il contrario di ciò che solitamente farebbe.
Invertendo i pattern interazionali precedentemente stabiliti, si scompongono quei modelli di interazione
rigidi che danno luogo al mantenimento dei sintomi, consentendo, al contempo, l’emergere delle
alternative. Quando un’ adolescente si arrabbia perché suo padre la assilla e si mette a gridare, tutti e due
iniziano a litigare; un'inversione significa fare sì che il padre risponda in modo diverso alla figlia dicendo,
"Rachel, ti voglio bene anche quando ti arrabbi così,"oppure "Rachel, sono molto spaventato quando ti
arrabbi così." Le inversioni permettono ai membri della famiglia di interagire in modo diverso rispetto a
quello che abitualmente fanno in caso di difficoltà.
LAVORARE SUI CONFINI ED ALLEANZE
Alcune alleanze possono essere adattive. Ad esempio, quando l’autorità o le figure genitoriali sono tra loro
alleate, saranno in una posizione privilegiata per gestire i comportamenti problematici dell'adolescente.
Tuttavia, quando è presente un’ alleanza tra una genitore e uno dei figli contro l'altro genitore, nella
famiglia probabilmente si verificheranno difficoltà, soprattutto in casi di comportamenti antisociali
dell’adolescente. Un ragazzo che si è alleato con una figura autorevole ha un grande potere e autorità
all'interno del sistema familiare e perciò potrebbe essere difficile porre limiti al suo comportamento
problematico. Un obiettivo della BSFT è di riassettare le alleanze maladattive.
Una fattore determinante per l’alleanza tra i familiari è la barriera psicologica esistente tra i componenti
della famiglia, il confine virtuale che distingue un membro da un altro. I terapeuti BSFT chiamano questa
barriera o recinto “ confine". I counselor mirano a definire dei confini ben chiari tra membri della famiglia,
in modo che vi sia un certo livello di privacy e di indipendenza fra loro; tuttavia questi confini non
dovrebbero essere troppo rigidi, altrimenti i familiari avrebbero solo poche esperienze condivise.
Spostando i confini, i terapeuti BSFT modificano le alleanze maladattive intragenerazionali (es
genitori/figlio). Ad esempio, in una famiglia in cui la mamma e la figlia sono alleate e si sostengono a
vicenda su quasi tutto, escludendo cosi il padre, quando la ragazza diviene un’adolescente e può avere
bisogno di aiuto, la madre potrebbe non avere il potere sufficientemente per controllarla. In questo caso,
deve essere ristabilita un'alleanza tra i due genitori, mentre la coalizione transgenerazionale tra madre e
figlia deve essere rimossa.
38
È proprio un compito del counselor BSFT modificare le alleanze esistenti in famiglia: questo significa
ripristinare un equilibrio nel potere dei genitori (o delle figure con funzione genitoriale), in modo che
possano efficacemente esercitare la loro leadership in famiglia e controllare il comportamento della figlia. Il
counselor tenta di ottenere lo “spostamento delle alleanze” utilizzando delicatezza, finezza, ma anche una
certa scaltrezza. Ad esempio, anzichè affrontare direttamente l'alleanza madre/ figlia, il terapeuta può, per
prima cosa, incoraggiare il padre ad interagire in qualche modo con la ragazza.
Per spostare i confini si possono utilizzare due diverse modalità: o si allentano o si rafforzano.
L’allentamento delle barriere porta a ravvicinare i familiari disimpegnati (per es., genitore e figlia). Questo
può richiedere l'individuazione di interessi in comune e l’incoraggiamento a perseguirli insieme. Ad
esempio si prenda il caso di un figlio adolescente invischiato con la madre e con un padre disimpegnato: il
terapeuta può indirizzare il papà a coinvolgere il figlio in un progetto, in cui siano previste delle uscite
insieme con frequenza regolare. Il counselor può anche predisporre nella stanza della terapia i posti a
sedere, per contribuire a rafforzare alcune alleanze e allentarne altre.
Oltre a riavvicinare i familiari, quando i componenti della famiglia sono invischiati, il counselor potrebbe
trovare necessario rafforzare i confini, per creare una maggiore separazione. Un esempio è il sistema
madre/nonna, dove la nonna (che ha funzioni genitoriali) consente al nipote l’uso di droga e lo protegge dai
tentativi della madre di impostare dei limiti. Anziché affrontare direttamente l'alleanza nonna/nipote, il
terapeuta può, per prima cosa, incoraggiare madre e nonna a “sedersi insieme” per riuscire a stabilire per il
ragazzo una serie di regole e di responsabilità. Il processo della predisposizione delle regole spesso richiede
alle figure genitoriali un lavoro su alcuni conflitti non risolti della loro relazione, senza però che questa
venga approfondita dal counselor in modo diretto. Tutto ciò tende ad avvicinare la madre alla nonna e ad
allontanare la nonna dal nipote adolescente, riorganizzando così la gerarchia maladattiva della famiglia ed il
sottosistema.
Va sottolineato che in questo caso, (in cui la nonna nasconde alla madre l’uso di sostanze stupefacenti del
figlio adolescente) il counselor indirizza fortemente la famiglia a modificare la natura dell'interazione
madre/nonna, passando dalla conflittualità alla capacità di riuscire a trovare un accordo su qualcosa. L’uso
di droga del ragazzo, costituisce l’argomento per rafforzare necessariamente i confini intragenerazionali ed
allentare quelli tra le figure genitoriali.
Certamente riunire la madre e la nonna al tavolo delle trattative è solo un passaggio intermedio, dopodiché
inizia il difficile lavoro di aiutare la madre e la nonna a trovare un accordo per quanto riguarda i loro
profondi rancori e risentimenti. Dato che il counselor segue un approccio “focalizzato sul problema”, non
cerca di risolvere tutti i problemi dei genitori, ma solo alcuni aspetti delle loro difficoltà relazionali che
interferiscono con la capacità di risolvere quei problemi che hanno in famiglia con il figlio adolescente.
Il Contratto Comportamentale: una Strategia per Definire i Confini tra Genitori e Figli Adolescenti
Il processo di stabilire con chiarezza regole e conseguenze, aiuta a definire la delimitazione dei confini tra
genitori e figli. Quando un genitore e un adolescente hanno un rapporto conflittuale molto intenso, con una
lotta esasperata sulla violazione delle regole, spesso queste regole e le loro conseguenze sono vaghe e vi è
una notevole mancanza di coerenza nella loro applicazione. In questi casi, è consigliabile che il counselor
utilizzi il contratto comportamentale per aiutare i genitori e l'adolescente ad accordarsi su una serie di
regole e di conseguenze da attuare, nel caso queste venissero violate. Il terapeuta aiuta i genitori e
l'adolescente a negoziare una serie di regole chiare, dichiarate e vincolanti ed incoraggia entrambe le parti
a impegnarsi a mantenerle e a rispettarle.
39
Aiutare i genitori ad utilizzare il contratto comportamentale, per definire i loro confini nei confronti del
figlio adolescente ha una formidabile valenza terapeutica. Infatti i genitori, una volta stabiliti i confini, non
possono più rispondere ai comportamenti disadattavi dell'adolescente in base a come loro si sentono al
momento (permissivi, stanchi, frustrati, arrabbiati), perché si sono impegnati a rispondere secondo le
regole concordate. Nell’ottica della BSFT, è molto importante che il counselor aiuti i genitori a sviluppare
dei confini adeguati nei confronti dei loro figli adolescenti con problemi di comportamento.
Quando si lavora con le famiglie che hanno problemi con i confini, il compito più difficile del counselor è di
ottenere che i genitori rispettino la loro parte del contratto. I terapeuti si aspettano che l'adolescente non
manterrà quanto previsto dal contratto, mentre invece cercherà di verificare se i suoi genitori riusciranno a
rispettare gli impegni presi. Quando l'adolescente si comporta male, i genitori tendono a reagire come di
consueto, ad esempio agendo in base a come si sentono in quel preciso momento. Il compito del counselor
è di far rispettare ai genitori la loro parte del contratto e, una volta che questi hanno stabilito dei confini
efficaci nei confronti dei loro figli, la maggior parte dei comportamenti disadattavi diminuisce rapidamente.
(Naturalmente, a volte regole e conseguenze devono essere rinegoziate, quando genitori e figli adolescenti
iniziano ad avere una certa esperienza con questi principi)
I Confini tra la Famiglia e il Mondo Esterno
Non solo è importante capire la natura delle alleanze e dei confini che si verificano nella famiglia, ma anche
quelle tra famiglia e mondo esterno. (Vedi il capitolo 3, pag. 25, Contesto di Vita).
Alcune famiglie hanno confini molto rigidi, che vietano ai loro membri di interagire con il mondo esterno,
altre hanno confini molto deboli, che permettono agli esterni di avere un'influenza indebita su di loro.
Entrambi gli estremi possono essere problematici e rappresentano un terreno fertile per un intervento
BSFT. Ad esempio, se i genitori sono poco interessati alla scuola o agli amici dei loro ragazzi (i confini rigidi),
il counselor BSFT lavora per far sì che partecipino di più alla vita scolastica del figlio e interagiscano di più
con i suoi amici.
DETRIANGOLAZIONE
Come è stato detto in precedenza, la triangolazione si verificano quando un terzo, di solito la persona meno
potente, viene coinvolta in un conflitto tra gli altri due. È un principio basilare della BSFT che un conflitto
tra due persone (una "diade") possa essere risolto solo se questo si mantiene tra di loro e, inserendo una
terza persona, si forma un triangolo, cioè un ostacolo alla soluzione del conflitto. La terza persona
solitamente viene coinvolta in una alleanza con una delle parti in disaccordo ed è in contrapposizione
all’altra: questa coalizione si traduce in uno squilibrio all'interno della diade originale. I problemi alla base
del conflitto sono deviati sulla terza persona, piuttosto che affrontati direttamente. Ad esempio, quando il
genitore A è in lotta con il genitore B, questo può attaccare l'adolescente per ripicca al comportamento di A
(o tentare di portare il ragazzo dalla sua parte) piuttosto che esprimere la sua rabbia direttamente al
genitore A. Gli adolescenti triangolati sono spesso accusati di essere la causa dei problemi della famiglia e
possono diventare pazienti designati sviluppando sintomi come l'abuso di droga. Poiché la triangolazione
impedisce alle parti interessate di risolvere i loro profondi disaccordi, l'obiettivo della terapia è di spezzare
il triangolo, consentendo così ai genitori in conflitto di discutere dei loro problemi e dei loro sentimenti in
40
modo diretto e più efficace. La detriangolazione consente inoltre di liberare il terzo componente del
tringolo, l'adolescente, dall’essere utilizzato come la valvola di sfogo per i problemi dei genitori.
Una delle modalità utilizzate da un counselor BSFT per riuscire nella detriangolazione è di tenere fuori
dalle discussioni della diade il terzo elemento (cioè, ad esempio, il figlio adolescente). Un altro modo per
definire i termini di una detriangolazione è chiedere al terzo di non partecipare ad una seduta terapeutica,
in modo che le due parti in conflitto possano lavorare direttamente sui loro problemi. Ad esempio, quando
si lavora con una famiglia in cui il figlio, ogni volta che i suoi genitori iniziano a discutere, mette in atto un
comportamento insolente, il counselor potrebbe insegnare ai genitori ad ignorarlo ed a continuare la loro
discussione. Se il comportamento del figlio diventa ingestibile, il terapeuta può invitare il ragazzo a lasciare
la stanza, in modo che i genitori possano discutere senza interferenze. Infine il counselor chiederà ai
genitori di collaborare per poter riuscire a gestire loro figlio.
I Tentativi della Famiglia di Triangolare il Terapeuta
La triangolazione non necessariamente coinvolge solo i familiari e a volte un counselor può diventare parte
di un triangolo. Una delle strategie più comunemente utilizzata è di tentare di ottenere che il counselor si
allei con un componente della famiglia contro un altro. Ad esempio, un familiare potrebbe dire al terapeuta
"E’ vero che io sono nel giusto e lui si sbaglia?" "Lei sa chi ha ragione, glielo dica!" "Abbiamo avuto questa
discussione ieri sera, io gli ho detto che lei ha detto...."
La triangolazione è sempre un modo per evitare il conflitto. Indipendentemente dal fatto che si tratti del
counselor o di un membro della famiglia, la triangolazione impedisce ai due membri in conflitto di
raggiungere una risoluzione, perché l'unico modo è il confronto uno-a-uno.
Il motivo fondamentale per cui il counselor non vuol essere triangolato è che la persona al centro di un
triangolo è senza alcun poter oppure è sintomatico. In questo caso il "sintomo" è diventare totalmente
inefficace come terapeuta, non essendo più in grado di svolgere il proprio ruolo perché la sua libertà di
movimento (es. poter cambiare le alleanze, scegliere a chi rivolgersi, ecc. )è stata limitata. Un counselor
triangolato viene sconfitto e, se non è in grado di uscire dal triangolo, non ha alcuna speranza di essere
efficace, indipendentemente da qualunque cosa faccia o dica.
Se un membro della famiglia tenta di triangolare il counselor, questi deve “restituire” il conflitto a quanti ne
sono realmente coinvolti. Ad esempio, il terapeuta potrebbe dire, "in definitiva, non importa quello che io
penso. Ciò che conta è che voi due troviate insieme un accordo. Io sono qui per aiutarvi a parlare, mediare,
ascoltarvi l’un l’altro in modo chiaro per giungere ad un accordo". In questo modo, il counselor pone
l'attenzione sull'interazione, che torna così alla famiglia. Il terapeuta potrebbe anche rispondere, "ho capito
quanto questo sia difficile, ma si tratta di vostro figlio, e non dovete venire a patti con me, ma tra di voi.”
APERTURA DEI SISTEMI "CHIUSI"
Le famiglie che non sanno esprimere apertamente i conflitti vanno aiutate a farlo e questo può essere un
obiettivo del cambiamento. A volte un counselor può lavorare con un componente della famiglia che ha un
conflitto inespresso o segreto ed aiutarlo a discuterne, in modo che possa essere risolto; focalizzandosi su
queste problematiche emotive nascoste, si riescono a portare allo scoperto dei conflitti e se ne facilita così
41
la loro risoluzione. Nelle famiglie con adolescenti che abusano di droga, un esempio emblematico di un
conflitto inespresso o represso è dato dai padri disimpegnati, che tendono a negare o ad evitare qualsiasi
discussione sui problemi del figlio. Imparare a chiedere ad un adolescente immusonito di esprimere quello
che gli passa per la mente, può essere un modo per aiutare il genitore ad uscire dalla sua negazione.
LE PRESCRIZIONI
Il Ruolo Fondamentale
L'utilizzo delle prescrizioni o dei “compiti” ha un ruolo centrale nel lavoro con le famiglie. Il counselor se ne
avvale sia all'interno della seduta terapeutica, che al di fuori di essa, come uno strumento basilare per
produrre un cambiamento. Poichè la BSFT considera essenziale incentivare tra i componenti della famiglia
nuove competenze, sia a livello di comportamenti individuali che di interazioni familiari, le prescrizioni sono
un mezzo attraverso il quale il counselor diviene il “regista della scena”, dando alla famiglia l’opportunità di
comportarsi in modo diverso.
Nell'esempio precedente, in cui madre e figlio erano inizialmente alleati ed il padre escluso, a quest’ultimo
viene dato, fin dall’inizio, proprio “il compito” di fare insieme al ragazzo qualcosa di interessante per
entrambi. In un secondo momento ai genitori è stato assegnato il compito di collaborare insieme per
definire le regole riguardanti i comportamenti consentiti al figlio e le conseguenze derivate da un eventuale
atteggiamento contrario.
Una Regola Generale
E’ una regola generale che il counselor BSFT, la prima volta, assegni alla famiglia una prescrizione da
eseguire in seduta, in modo da poter osservare la famiglia ed aiutarla a svolgerla con successo. Dopo aver
raggiunto questo primo buon risultato, si possono assegnare compiti simili, che devono essere completati
al di fuori del setting terapeutico.
L’obiettivo del counselor è di offrire alla famiglia la possibilità di sperimentare una situazione che dia un
esito favorevole; perciò dovrebbe sempre assegnare compiti che siano sufficientemente fattibili in ogni fase
del processo di counseling. Il terapeuta dovrà partire con prescrizioni facili e passare poi via via a quelle più
difficili, costruendo lentamente uno “zoccolo duro di buoni risultati”, prima di tentare ben più complesse
azioni di ristrutturazione.
Sperare al Meglio; Essere Pronti al Peggio
Il counselor non dovrebbe mai aspettarsi che la famiglia svolga alla perfezione le prescrizioni assegnate: se i
componenti del nucleo familiare avessero pienamente questa abilità, non avrebbero avuto bisogno di una
terapia. Assegnate le prescrizioni, i counselor dovrebbero sempre sperare per il meglio, ma essere
preparati al peggio, dato che, in fin dei conti, un compito rappresenta per la famiglia un nuovo modo di
comportarsi e può essere difficile, dato che per anni sono sempre state messe in pratica le vecchie modalità
di comportamento.
Quando una famiglia tenta di svolgere un compito, il counselor dovrebbe sempre aiutarla a superare gli
ostacoli che può incontrare, ma, nonostante i suoi migliori sforzi, non sempre questo compito viene portato
42
a termine. Il terapeuta deve osservare e/o scoprire ciò che è accaduto, identificare, e quindi superare, gli
ostacoli che hanno impedito la realizzazione della prescrizione. I fallimenti nel portare a termine i compiti
assegnati sono una grande fonte di informazioni nuove e importanti sulle interazioni, che impediscono il
funzionamento ottimale di una famiglia.
La prima prescrizione data dai terapeuti BSFT alla famiglia è di portare tutti i componenti del nucleo
familiare in terapia, ma ogni counselor che lavora con i giovani problematici sa molto bene che la maggior
parte delle famiglie che hanno bisogno di aiuto, non raggiungeranno mai la prima seduta di counseling.
Pertanto, di queste famiglie si può dire che hanno fallito il primo compito che gli è stato dato, di entrare
cioè in terapia. Questa specifica prescrizione, che è stata definita come “il coinvolgimento nel trattamento”
è così importante, che le abbiamo dedicato il capitolo successivo.
43
CAPITOLO 5 COINVOLGERE LA FAMIGLIA NEL TRATTAMENTO
I capitoli precedenti hanno descritto i criteri fondamentali della BSFT per poter diagnosticare e valutare le
relazioni familiari maladattive e il loro rapporto con i sintomi e le strategie di intervento, proprie di questo
approccio. Questi criteri sono fondamentali anche per le tecniche utilizzate per coinvolgere le famiglie
resistenti al trattamento.
Il capitolo 5 definisce in termini sistemici quali siano i problemi della resistenza al trattamento, ridefinisce la
BSFT in termini di relazione terapeutica, di diagnosi e di ristrutturazione degli interventi, tenendo conto
degli schemi di interazione familiare che ostacolano l’adesione alla terapia.
IL PROBLEMA
Indipendentemente dal loro orientamento e dove e come svolgono la loro professione, tutti i counselor
hanno avuto la deludente e frustrante esperienza della “resistenza al trattamento“ sotto forma o di
mancata presentazione al primo colloquio o con la sua disdetta. Per i counselor BSFT questo problema
diventa ancora più complesso, perché sono più di una le persone che devono essere coinvolte in terapia.
Purtroppo alcuni counselor mal gestiscono l’aggancio al trattamento, colludendo con le resistenze di alcuni
membri della famiglia: in pratica il terapeuta concorda con la valutazione del nucleo familiare che un solo
componente è malato e ha bisogno di cure; di conseguenza, pur con le migliori intenzioni, accetta
inizialmente in terapia solo uno o due membri della famiglia. Di solito questo comporta che un ragazzo
adolescente ed una madre sovraccaricata proseguano da soli la partecipazione alle sedute di counseling,
inglobando il terapeuta nel processo disfunzionale della famiglia.
Non solo il counselor ha fatto propria la definizione del problema dato dalla famiglia, ma ha anche aderito
alle sue idee nei riguardi del paziente designato: quando un terapeuta accetta di vedere solo uno o due
componenti, rinforza, anziché contrastarli, quei modelli maladattivi, che isolano alcuni membri del nucleo
familiare. Nel caso in cui madre e figlio siano alleati contro il padre, se il counselor li accetta da soli in
trattamento, sta, in questo modo, rafforzando il disimpegno della figura paterna.
A un livello più complesso, vi sono serie implicazioni cliniche se il counselor accetta la visione del problema
che la famiglia propone, in quanto rinuncia al suo ruolo di esperto e di guida. Quando il terapeuta accetta la
valutazione del gruppo familiare su “Chi ha il problema”, la famiglia considererà la sua competenza e la sua
capacità di lettura della situazione ad un livello non superiore al suo e sarà in gioco la sua credibilità e la
considerazione della sua professionalità. Alcuni familiari possono percepire il counselor come incapace di
modificare lo status quo della famiglia perché, di fatto, ha, per primo, rinunciato al proposito di riformulare
la definizione del problema.
44
Se un terapeuta accetta di vedere solo una parte della famiglia, ha rinunciato troppo presto al suo ruolo
autorevole e non sarà in grado né di gestire il cambiamento né di “muoversi” liberamente da un familiare
all’altro. Perciò, quando si inizia un trattamento solo con una parte della famiglia, i componenti esclusi
possono percepire il counselor come un alleato di quei familiari presenti fin dall’inizio alla terapia e
pertanto, quanti non hanno partecipato alle sedute iniziali, potrebbero non fidarsi mai più di quel
terapeuta. Questo comporta che il counselor non sarà in grado di osservare come l’intero sistema si
comporti a casa, poiché i familiari, che fin dall’inizio non sono stati coinvolti nella terapia, non si fideranno
di lui a sufficienza per tenere lo stesso comportamento che hanno in famiglia. Il terapeuta dovrà quindi
lavorare, conoscendo solo una parte delle modalità con cui generalmente i familiari interagiscono.
Alcuni counselor, a fronte della resistenza di alcuni membri della famiglia a partecipare al trattamento,
accettano di vedere solo quelli che vi vogliono aderire. Altri counselor hanno risolto il problema di come
affrontare simili situazioni assumendo una posizione più distaccata e dicendo: “Ci sono troppe famiglie
motivate in attesa di aiuto, la( vostra) famiglia (resistente) ci ricontatterà quando finalmente avrà maturato
questa necessità; non è utile adesso coinvolgersi in una lotta di potere.” La realtà è che questi nuclei
familiari resistenti, molto probabilmente, non arrivano mai in terapia di loro iniziativa e, ironia della sorte,
le famiglie che più hanno bisogno di counseling sono quelle in cui le abitudini e gli schemi di interazione
interferiscono con la loro capacità di auto- aiuto.
COME TRATTARE LA RESISTENZA ALL’AGGANCIO TERAPEUTICO
Quando alcuni componenti della famiglia non vogliono partecipare alla terapia, il counselor deve scoprirne
il perché. Nella maggior parte dei casi, se un genitore, dopo aver chiamato per una richiesta d’aiuto, non
riesce a portare il figlio in terapia, significa che non è abbastanza autorevole; per cui, se il counselor vuole
che la famiglia partecipi al trattamento, dovrà riconoscere che il giovane (o la figura genitoriale non
collaborante) è la persona con maggior potere in famiglia. Una volta che si è compresa la motivazione, per
cui il nucleo familiare non accetta il trattamento, il terapeuta potrà utilizzare le metodologie di tracking
(così come descritto nel capitolo 4) per trovare il modo per rivolgersi direttamente alla persona che detiene
il potere e negoziare con questa un contratto terapeutico.
I counselor non devono scoraggiarsi in questa fase; il loro compito adesso è di individuare gli ostacoli che il
nucleo familiare sta affrontando ed aiutarlo a superarli. E’ indispensabile tenere sempre presente che una
famiglia richiede un counseling perché, senza un aiuto, non è in grado di superare il problema. Il fallimento
del compito di portare la famiglia in terapia è comunque una grande fonte di informazioni nuove e
importanti sui motivi per cui quel nucleo familiare non può fare ciò che è meglio per sé; in questi casi la
domanda più importante da farsi è “Che cosa è successo, perché alcune famiglie non riescono a fare la
scelta migliore per sé stesse?”.
Per riuscire a coinvolgere la famiglia nella terapia, il counselor deve applicare anche al problema della
resistenza al trattamento le stesse conoscenze che ha acquisito su quegli schemi ripetitivi di interazione
maladattiva, che causano e mantengono il sintomo. Gli stessi principi che si utilizzano per la comprensione
del funzionamento familiare e della terapia si applicano perciò anche alla resistenza della famiglia a
sottoporsi ad una trattamento. Quando una famiglia chiede l’aiuto di un professionista per cercare di
risolvere il problema dell’uso di droga del figlio, utilizza gli stessi schemi maladattivi di interazione che
hanno esacerbato il sintomo e impedito ai familiari di ricevere un aiuto. Il termine “resistenza” è usato per
definire quei modelli rigidi di interazione familiare che impediscono di entrare in trattamento. Per
45
l’approccio familiare sistemico la resistenza non è altro che la manifestazione della incapacità della famiglia
di adattarsi alle situazioni e di collaborare congiuntamente tra i suoi componenti per chiedere aiuto. La
chiave di volta per eliminare la resistenza al trattamento è quindi insita negli schemi di interazione
familiare: una volta superata, la famiglia verrà in terapia.
Nel lavoro volto a superare gli schemi di interazione familiare che mantengono la resistenza, le prescrizioni
giocano un ruolo particolarmente importante, perché sono l’unico intervento della BSFT utilizzato al di fuori
della seduta terapeutica; sono particolarmente utili nella fase di aggancio, quando è cruciale, per superare
la resistenza al trattamento, che la famiglia lavori al di fuori di un contesto terapeutico, dato che non ha
ancora intrapreso un percorso di cura.
Il compito fondamentale in fase di aggancio è di ottenere che la famiglia venga in terapia al completo e
perciò il counselor assegnerà dei compiti con questa finalità. Per esempio, quando un padre telefona per
chiedere un aiuto per il figlio che si droga, il terapeuta BSFT potrebbe suggerirgli di portare in seduta
l’intera famiglia, per poterla coinvolgere al completo nella definizione del problema. Se il padre risponde
che il figlio non verrebbe mai in terapia e che non sa cosa fare, il primo compito del counselor è , ad
esempio, quello di prescrivergli di parlare con sua moglie, per coinvolgerla nello sforzo di portare loro figlio
in trattamento.
LA PRESCRIZIONE DI FAR GIUNGERE IN TERAPIA L’INTERA FAMIGLIA
Il caso più semplice. Quando una persona chiede aiuto, il counselor dà la prescrizione di far arrivare in
terapia tutta la famiglia; spiega perciò che questa è una modalità di lavoro assai utile e promette di
sostenere la famiglia a raggiungere un simile obiettivo. A volte questo può bastare, perché spesso le
persone non attuano un counseling, semplicemente perché, non sapendo di questa possibilità, non sono in
grado di richiederlo.
La paura , un ostacolo che potrebbe facilmente essere superato. A volte i familiari hanno paura di ciò che
accadrà in terapia; alcune di queste paure possono essere reali, mentre altre possono essere
semplicemente immaginarie. In alcuni casi, le famiglie hanno solo bisogno di qualche consiglio rassicurante
per superare i loro timori, che ad esempio potrebbero essere “Si stanno alleando contro di me“ oppure “
Tutti sapranno che sono un fallimento”. Una volta che i familiari sono stati aiutati a superare le loro paure,
saranno pronti per la terapia.
Le prescrizioni per modificare l’interazione tra i componenti della famiglia. Molto spesso un semplice
chiarimento e una rassicurazione non sono tuttavia sufficienti a mobilitare la famiglia ed è a questo punto
che, per coinvolgerla nella terapia, sono utili delle prescrizioni che favoriscono un’alleanza terapeutica, una
diagnosi e delle strategie di ristrutturazione. Il counselor prescrive dei compiti a quei familiari disposti ad
attuare il trattamento, perché questi possano modificare le interazioni tra i componenti della famiglia,
quando discutono tra di loro sull’opportunità di intraprendere la terapia. Questo processo fa spesso
emergere eventuali resistenze e, se questo si verifica, il terapeuta avrà le informazioni necessarie per
diagnosticare gli schemi di interazione maladattivi che le mantengono: una volta che questi saranno
modificati, la famiglia potrà essere coinvolta nella terapia.
46
Non deve sorprendere che le famiglie non riescano a coinvolgere nel counseling tutti i componenti della
famiglia perché, in realtà, il lavoro del terapeuta è proprio quello di aiutarle ad attuare quelle prescrizioni,
che non sono in grado di realizzare da sole. Come discusso in precedenza, quando si assegna un compito, il
counselor deve aspettarsi che questo non venga svolto, così come è stato richiesto; questo è certamente il
caso in cui si richiede alla famiglia di venire tutti insieme in terapia.
Di seguito, e separatamente, vengono affrontate le modalità per attuare la relazione terapeutica (Joining),
la diagnosi e le tecniche di ristrutturazione per l’aggancio delle famiglie resistenti. Tutte queste tecniche
vengono peraltro utilizzate sia nella fase dell’aggancio che della terapia.
JOINING (LA CREAZIONE DELL'ALLEANZA TERAPEUTICA)
Creare un'alleanza con la famiglia resistente inizia fin dal momento del primo contatto con il familiare che
chiede aiuto e continua per tutto il tempo dell'intera relazione terapeutica.
Con le famiglie resistenti, le tecniche sopradescritte per creare un’alleanza (Joining) devono essere ,
adattate al raggiungimento dell'obiettivo di questa fase terapeutica. , Ad esempio, per comprendere le
resistenze dei familiari ad attuare il trattamento, è necessario collaborare con la persona che per prima ha
chiesto aiuto e con quei componenti della famiglia che potrebbero portare in terapia l'intera famiglia. Il
counselor parte dal componente familiare che arriva per primo e passa quindi al prossimo disponibile e poi
al prossimo ancora. Tutto ciò è fatto senza mettere in discussione gli schemi di interazione familiare ed ha
piuttosto la finalità di ottenere il consenso di un componente della famiglia per raggiungere poi gli altri.
COSTRUZIONE DI UN ALLEANZA TERAPEUTICA.
Per il counselor un modo efficace per poter stabilire un’alleanza terapeutica sta nel dichiarare ai familiari
resistenti che ha compreso quanto loro vogliano risolvere il problema e che anche il terapeuta desidera la
stessa cosa. Si deve accettare, peraltro, che ogni membro della famiglia possa avere un diverso punto di
vista: ad esempio la madre vuole che suo figlio smetta di usare droghe, mentre il ragazzo vuole la pace in
casa.
Un’alleanza terapeutica è costruita intorno ad obiettivi individuali che i componenti della famiglia possono
raggiungere all'interno del trattamento. Idealmente il counselor e i familiari concordano un obiettivo e la
terapia è proposta nell'ottica del raggiungimento di questo traguardo, tuttavia nelle famiglie i cui membri
sono in conflitto, rispetto ai loro obiettivi, è necessario identificare un risultato da raggiungere per ciascuno
di loro. Ad esempio il counselor può dire alla madre che la terapia potrà aiutare suo figlio a smettere di
drogarsi, al figlio che lo potrà aiutare a non avere sempre addosso la mamma e a far cessare il suo
comportamento assillante e al padre che potrà contribuire ad interrompere la consuetudine ad essere
chiamato a svolgere sempre il ruolo del “cattivo”. In ogni caso il terapeuta è in grado di offrire un
trattamento attraverso il quale ogni componente della famiglia può raggiungere il suo personale obiettivo.
Per agganciare la famiglia resistente, il counselor lavora inizialmente solo con uno o con pochi familiari e,
poiché non è al momento disponibile tutta la famiglia, dovrà stabilire un legame con la persona che ha
chiesto aiuto o con ogni altro familiare disponibile. Pertanto il focus di questa fase iniziale è strettamente
concentrato sull'impegno a lavorare con queste persone, per realizzare tutti i cambiamenti necessari a far si
47
che l'intera famiglia venga in terapia. L’obiettivo non è parlare del problema, ma piuttosto di dover portare
ciascun componente della famiglia in terapia, per risolvere il problema. Utilizzando la persona che ha
chiesto aiuto come un tramite per connettersi agli altri componenti della famiglia, il terapeuta può infine
stabilire un’alleanza terapeutica con ciascun familiare e quindi sollecitare la collaborazione di tutta la
famiglia nell'impegno del reclutamento.
DIAGNOSI DELLE INTERAZIONI CHE OSTACOLANO LA FAMIGLIA AD ATTUARE LA
TERAPIA
Nella fase di aggancio lo scopo della diagnosi è di identificare quei particolari modelli di interazione che
permettono il mantenersi di un comportamento resistente; tuttavia, dato che non è possibile osservare
tutta la famiglia, il counselor BSFT lavora con delle informazioni limitate a diagnosticare quegli schemi di
relazione alla base della resistenza.
Per poter identificare i modelli maladattivi responsabili della resistenza, fin da quando il familiare fa la
prima telefonata, la diagnosi deve precedere la terapia. Poiché non è possibile promuovere ed osservare gli
enactments ( messe in atto) dei componenti della famiglia prima della loro venuta in terapia, il lavoro
diagnostico deve essere modificato, in modo da poter raccogliere le informazioni in altri modi.
Per prima cosa il counselor si rivolge alla persona che lo contatta utilizzando una serie di domande che gli
permetta di capire quali siano i modelli di interazione familiare. Ad esempio il counselor può chiedere:
“Come si rivolge a suo marito per chiedergli di partecipare alla terapia?” “ Cosa succede quando chiede a
suo marito di partecipare alla terapia?” ” Quando suo marito si arrabbia per avergli chiesto di partecipare
alla terapia, cosa fate dopo?” Attraverso queste domande, il counselor cerca di individuare l’interazione tra
i coniugi che determina la resistenza. Per esempio è possibile che la moglie chieda al marito di aderire al
trattamento utilizzando una modalità accusatoria che lo fa arrabbiare “E’ colpa tua se tuo figlio è nei guai
perché sei ammalato. Devi andare in terapia .”
Come già sottolineato in precedenza, al counselor non piace dover far affidamento su ciò che riferiscono i
componenti della famiglia, perchè ciascuno di loro ha un proprio punto di vista e probabilmente non può
fornire una descrizione obiettiva sul funzionamento familiare. In ogni caso,quando i terapeuti trovano la
disponibilità di una sola persona, lavorano scrupolosamente con essa, allo scopo di coinvolgerla nel
trattamento.
In un secondo momento il counselor analizza le resistenze del sistema familiare alla prescrizione di venire in
terapia. Questa valutazione viene fatta assegnando delle prescrizioni che permettono di osservare e
scoprire le resistenze che impediscono di accettare la terapia. Per esempio nel caso di cui sopra, il
counselor potrebbe suggerire alla moglie di chiedere al marito di partecipare “per amor suo” e non perché
ci sia qualcosa in lui che non va. Ma se la moglie risponde “Nn posso proprio chiedergli di venire alle sedute
di terapia per me, perché so che è troppo occupato per partecipare” questo sta a significare che la signora
non è motivata fino in fondo. Da una parte sostiene di volere che il marito partecipi alla terapia, ma
dall’altra parte.giustifica il fatto che lui non possa. Lo scopo di analizzare la resistenza, è, già dalla prima
telefonata, quello di identificare quegli ostacoli che possono impedire alla famiglia di seguire la terapia, con
l’obiettivo di poterli aggirare.
48
Complementarietà: comprendere come i “pezzi” della famiglia combacino per
creare resistenza
La conoscenza del Principio di Complementarietà, descritto nel capitolo 2, consente di attuare
precocemente questa diagnosi. Come già sottolineato in precedenza, in una famiglia che funziona come
una unità (anche disadattata), il comportamento di ciascuno dei suoi membri “corrisponde esattamente” al
comportamento di tutti gli altri: di conseguenza, per ogni azione all’interno della famiglia, ne deriva un’altra
complementare o una reazione.
Per esempio, in un caso di resistenza, il marito non vuole aderire alla terapia (azione) e la moglie giustifica
la sua mancata partecipazione (azione complementare). Altra situazione: la signora che chiama il counselor,
lo informa che ogni volta che parla della terapia col marito (azione), lui si arrabbia (reazione
complementare). Il terapeuta deve conoscere esattamente quale sia il ruolo della moglie in questa
transazione circolare e di come essa partecipi a mantenere la resistenza.
RISTRUTTURARE LA RESISTENZA
Nel processo di aggancio delle famiglie resistenti, il counselor all’inizio vede solo uno o pochi componenti
del nucleo familiare e, tramite loro è comunque possibile attuare a breve termine cambiamenti negli
schemi di interazione, tali da permettere alla famiglia di entrare in terapia. Alcuni interventi che producono
un cambiamento sono già stati descritti nel capitolo 4: riformulazione, inversione, de-triangolazione,
apertura di sistemi chiusi, cambiamenti di alleanze e assegnazione di prescrizioni. Il counselor può utilizzare
tutte queste tecniche per superare la resistenza della famiglia ad intraprendere la terapia. Nel processo di
aggancio delle famiglie resistenti, l’assegnazione di prescrizioni è particolarmente utile nella fase di
ristrutturazione.
Il prossimo paragrafo descrive alcune tipologie di famiglie resistenti al trattamento, il processo per portarle
in terapia ed il ruolo centrale che le prescrizioni possono giocare nel raggiungimento di questo obbiettivo.
Gran parte del lavoro terapeutico con famiglie resistenti è stato svolto con nuclei familiari in cui i genitori
sapevano o credevano che il figlio adolescente facesse uso di droghe e avesse problemi di comportamento,
quali ad esempio assenze ingiustificate, delinquenza, risse e violazione dell’orario di rientro a casa.
Solitamente è difficile far entrare in terapia questa tipologia di famiglie e gli esempi proposti non
rappresentano certo la gamma completa degli schemi di interazione familiare, che determina la resistenza
alla terapia. I counselor che lavorano con altri tipologie di famiglie e di problematiche sono incentivati a
rivedere la loro casistica relativamente alle difficoltà nella fase di aggancio ed a diagnosticare con rigore le
resistenze alla terapia. Alcuni terapeuti possono identificare in alcune famiglie resistenti con cui lavorano
delle caratteristiche comuni a quelle di seguito descritte, mentre altre presentano differenti modalità di
resistenza. In ogni caso i counselor saranno meglio preparati a questo lavoro, se conosceranno le tipologie
di resistenza, che si verificano più comunemente nelle famiglie con adolescenti che utilizzano sostanze
stupefacenti.
49
TIPOLOGIE DI FAMIGLIE RESISTENTI
Generalmente sono quattro le tipologie di interazioni familiari che si rilevano ripetutamente nel lavoro con
le famiglie resistenti di adolescenti che usano droga. Di seguito vengono approfondite queste quattro
tipologie, analizzando anche come si manifestano i diversi modelli di interazione che mantengono la
resistenza, come questi giungono all’attenzione del counselor e come si possano ristrutturare queste
modalità oppositive per portare la famiglia in terapia.
Quando il Paziente Designato ha Potere
Nella maggior parte dei casi la famiglia resistente alla terapia si caratterizza per la presenza di un paziente
designato, che ha una posizione di potere all’interno del gruppo familiare, con dei genitori non in grado di
influenzarlo.
Questo è sicuramente un problema, specialmente se non c’è un invio dal Tribunale e l’adolescente
(paziente designato) non è obbligato ad entrare in terapia. Molto spesso i genitori di un simile paziente
designato ammetteranno che è strano o inaffidabile e diranno che rifiuta decisamente di venire in terapia.
Il counselor noterà che il ragazzo resiste al trattamento per due motivi: la terapia da una parte minaccia la
sua posizione di potere e dall’altra fa parte della “volontà” dei genitori, per cui accondiscendere
rafforzerebbe la loro autorità.
Il counselor, come primo passo per creare una relazione terapeutica (joining) e capire le regole della
famiglia (tracking), deve dimostrare di tenere in grande considerazione l’adolescente ed allearsi con lui: lo
contatta per telefono o di persona (magari nel suo ambiente, ad esempio dopo la scuola al parco), ascolta
le sue lamentele nei confronti dei genitori e si offre di aiutarlo a cambiare la situazione in famiglia, in modo
che i genitori smettano di opprimerlo. Questo approccio non minaccia il potere dell’adolescente all’interno
della famiglia e lo mette in condizione di accettare il terapeuta. Il terapeuta, a sua volta, nel mostrargli
considerazione ed interesse, inizia un programma di cambiamento, che vede nell’adolescente un efficace
alleato.
Per portare queste famiglie resistenti ad iniziare la terapia, il counselor non deve direttamente modificare il
potere del giovane all’interno della famiglia, anzi lo accetta e lo sostiene. Il terapeuta si allea con il ragazzo
in modo che, in un secondo momento, lo potrà influenzare a modificare il suo comportamento. Per prima
cosa, nell’allearsi con l’adolescente che detiene il potere, il terapeuta riformula la necessità di iniziare una
terapia in modo da rafforzarlo positivamente. Questo esempio dimostra come si deve comprendere la
posizione di potere dell’adolescente, per riuscire a portarlo in terapia. La riformulazione più utile, con dei
ragazzi che detengono un simile potere, è quella di trasferire il sintomo dal paziente designato alla famiglia.
Per esempio, il terapeuta può dire:” Voglio che tu venga in terapia, per aiutarmi a cambiare alcune cose che
si verificano nella tua famiglia”. Solo in un secondo tempo, quando l’adolescente sta seguendo la terapia, il
counselor interverrà per modificare la posizione di potere del giovane.
Deve essere chiaro che, nei casi in cui ci siano adolescenti così potenti rispetto ai genitori, sarebbe
controproducente creare inizialmente un’alleanza con questi ultimi, in quanto non hanno abbastanza forza
per portare il figlio in terapia, per di più questi loro tentativi falliti li rendono sempre più deboli e tutta la
famiglia non farà mai alcun trattamento. Inoltre il giovane vedrà il terapeuta come un alleato dei genitori e
non avrà certo fiducia in un counselor che considera “debole”.
50
Quando la Persona che Chiama è Protettiva nei confronti della Struttura
Un altro tipo di resistenza ad intraprendere un trattamento si verifica quando un genitore protegge delle
modalità disadattive di interazione familiare. In queste famiglie, la persona che contatta il terapeuta per
chiedere aiuto (e che di solito è la madre) è anche chi, senza rendersene conto, mantiene la resistenza nella
famiglia. Le modalità utilizzate dalla famiglia per consolidare la figura del paziente designato sono le stesse
che alimentano la resistenza al trattamento.
La madre, per esempio, può dare messaggi contraddittori come ad esempio: “Voglio portare la mia famiglia
in la terapia, ma mio figlio non ha potuto venire perché se ne è dimenticato e si è addormentato e mio
marito ha così tanto lavoro che non ne ha proprio il tempo”.
La signora manifesta il desiderio di un aiuto da parte del counselor ma, contemporaneamente, copre e si
allea alle resistenze della famiglia nel farsi coinvolgere nella risoluzione del problema. Così facendo, la
madre protegge questa resistenza, dimostrandosi convinta che le scuse per il non coinvolgimento dei
familiari siano valide e, in altre parole, appoggia le argomentazioni utilizzate dagli altri membri della
famiglia, conservando inalterato lo status quo. E’ utile notare che normalmente questi messaggi conflittuali
mantengono la struttura del sintomo: chi si lamenta di un comportamento problematico, nonostante tutto
partecipa ad alimentare la fonte del problema. Questo schema è assai frequente nelle famiglie in cui la
persona che chiama (in genere la madre) e il paziente designato sono invischiati tra loro.
Per riuscire a portare in terapia questa tipologia di famiglia, il counselor, per prima cosa, deve stabilire un’
alleanza con la madre, dimostrando di saper comprendere tutta la sua frustrazione nel volere un aiuto e nel
non trovare alcuna cooperazione da parte dei familiari. Attraverso questa alleanza, il terapeuta chiede alla
madre il permesso di contattare gli altri componenti della famiglia “nonostante siano molto impegnati e
sapendo quanto sia difficile per loro essere coinvolti”. Sempre con il permesso della madre, il counselor
chiama gli altri familiari e li incontra separatamente, stabilisce un rapporto con loro, discutendo
l’importanza del partecipare alla terapia e, così facendo, elude i comportamenti protettivi della madre. Una
volta che la famiglia è in terapia verrà discusso l’atteggiamento iperprotettivo della signora nei confronti sia
del figlio problematico che del padre disinteressato, ma andrà anche analizzata l’esigenza del ragazzo e del
marito di essere continuamente protetti dalla madre: tutti questi agiti potrebbero infatti essere messi in
relazione con i comportamenti disadattivi dell’adolescente.
Il Genitore Disimpegnato
Queste strutture familiari in cui un genitore protegge schemi di comportamento maladattivi sono
caratterizzate da poca o assenza totale di coesione, dalla rottura dell’ alleanza tra i genitori oppure la figura
genitoriale è parte di un sottosistema. Uno dei genitori, solitamente il padre, che non è mai stato coinvolto
nei problemi della famiglia, si rifiuta di venire in terapia. Questo mancato coinvolgimento, non solo lo
protegge dal dover discutere i problemi del figlio, ma lo protegge anche dall’affrontare la relazione
coniugale, che verosimilmente è, tra le due, la relazione più problematica e quella che vuole maggiormente
evitare. Di solito la madre è ipercoinvolta (invischiata) con il paziente designato e perde quindi la capacità di
gestirlo oppure lo sostiene in modo coperto. Ad esempio, se il padre cerca di controllare il comportamento
dell’adolescente, la madre si lamenta del fatto che lui è troppo rude o è spaventata dal fatto che possa
diventare violento5. Il padre non contrasta questa immagine di sé, sentendosi così inutile e prendendo
5
Certamente alcuni padri sono violenti e questo timore va tenuto in considerazione, comunque anche in questi casi il padre
violento deve essere portato in terapia per cambiare il suo comportamento e garantire che i genitori collaborino nella genitorialità.
51
ulteriormente le distanze, per cui si ristabilisce una situazione di dis-impegno sia nella relazione padre–
figlio che nella relazione marito-moglie. In questa famiglia, la dimensione della risonanza è fondamentale
per pianificare il cambiamento e farla giungere in terapia. Il counselor deve utilizzare delle prescrizioni per
avvicinare la madre al padre e distanziarla dal figlio. In buona sostanza le barriere tra i genitori devono
essere abbattute, per avvicinarli, mentre quelle tra madre e figlio devono essere rinforzate, per creare una
distanza tra loro.
Il terapeuta deve stabilire un’alleanza con la persona che chiama per ricevere aiuto (e che solitamente è la
madre); deve quindi indirizzarla a modificare le modalità di interazione con il padre per migliorare, anche
solo temporaneamente, la loro cooperazione, allo scopo di portare la famiglia in terapia. Il counselor deve
impartire alla madre delle prescrizioni da attuare con il proprio marito, al fine esclusivo di portare la
famiglia in terapia e di occuparsi dei problemi del proprio figlio. Questi compiti non devono certamente
innescare un più ampio conflitto coniugale. Per iniziare, il counselor può chiedere alla madre quale crede
sia la reale ragione per cui suo marito non vuole venire in terapia; una volta che si è accertata al
motivazione, si rinforza la signora per invitare il marito ad accettare la terapia, utilizzando delle modalità
che gli rendono la cosa ben accetta. Per esempio, se questi non vuole partecipare perché “non ne può più”
del proprio ragazzo, il counselor può suggerire alla moglie di parlare col marito dicendogli che, con la sua
presenza in terapia, potrà aiutarla a far fronte alla situazione. Benchè l’atteggiamento di resistenza qui
descritto sia simile all’esempio in cui la persona che chiama è protettiva verso la struttura, in questo caso
invece la signora non scusa il disinteresse del padre, anzi al contrario, se ne lamenta; questa moglie è
desiderosa di fare qualcosa per coinvolgere suo marito ed ha solo bisogno di una indicazione per farlo.
I Segreti di Famiglia
A volte la terapia è considerata una minaccia per uno o più componenti della famiglia e la persona che
oppone resistenza a parteciparvi, teme perciò di diventare il capro espiatorio oppure teme che possano
essere rivelati segreti pericolosi (per esempio l’infedeltà). Le credenze che un singolo componente
manifesta sul counseling sono spesso lo sviluppo delle modalità di funzionamento del gruppo familiare: ci
sono perciò dei segreti in famiglia.
Il counselor deve riformulare l’obiettivo della terapia in modo che elimini le potenziali conseguenze
negative, sostutuendole con risultati positivi. Un modo per farlo è ad esempio quello di incontrare la
persona che maggiormente rifiuta il trattamento e rassicurala che la terapia non va dove lei non vuole che
vada. Il counselor deve mettere ben in chiaro che farà tutto il possibile per focalizzarsi sui problemi
dell’adolescente e non sulle problematiche che possono ricollegarsi al componente della famiglia che non
vuole partecipare alla terapia; la persona va rassicurata che durante le sedute “Discuteremo solamente
delle questioni che tu vorrai vengano discusse. Sei tu il capo ed io sono qui solo per aiutarti entro i limiti che
tu vuoi”.
52
CAPITOLO 6 LA RICERCA CLINICA A SUPPORTO DELLA BSFT
Questo capitolo descrive gli studi effettuati sull’efficacia della BSFT nei confronti degli adolescenti che
abusano di droghe e con problemi comportamentali. E’ stato dimostrato che la Terapia breve Strategica
Familiare è utile non solo nella riduzione dei problemi comportamentali degli adolescenti, (compreso l’uso
di droga e l’associazione con gruppi di pari antisociali), ma anche nel migliorare il funzionamento familiare.
Inoltre è stato provato che la BSFT aumenta l’impegno e la ritenuta in terapia e sono attualmente in corso
studi ulteriori che testano, con questa specifica popolazione, una versione ecologica.
Come descritto in questo manuale, per la BSFT è di primaria importanza identificare e modificare gli schemi
di interazione familiare maladattivi, riconducibili ai sintomi dell’adolescente. La versione ecologica della
BSFT (BSFT-ecologial come definita da Robbins et al. in press) applica il principio di identificare e modificare
gli schemi di interazione maladattivi nei molteplici contesti sociali in cui l’adolescente è immerso (cf.
Bronfenbrenner 1979). I principali contesti sociali che sono l’obbiettivo della BSFT-ecological sono la
famiglia, le relazioni tra famiglia e i pari, tra la famiglia e la scuola, tra la famiglia e il tribunale minorile e il
supporto al sistema genitoriale. Lo stabilire una relazione terapeutica (joining), la diagnosi e la
ristrutturazione, proprio come sono state sviluppate nella BSFT nei confronti del sistema famiglia, possono
essere applicate ad altri contesti sociali o sistemi che influenzano i comportamenti dell’adolescente. Per
esempio, il counselor BSFT identifica quegli schemi disadattanti e ripetitivi di interazione che si verificano in
ciascuno di questi sistemi o settori. Ad esempio si dovrebbe fare una diagnosi del “sistema famiglia–scuola”
con gli stessi criteri utilizzati per il “sistema famiglia”e, per tale motivo, il terapeuta BSFT dovrebbe
chiedersi:
quando fa una diagnosi della struttura: ”I genitori dimostrano una effettiva leadership nelle
relazioni con gli insegnanti dei loro figli?”;
quando fa una diagnosi della risonanza: ”I genitori e gli insegnanti sono disimpegnati?”.
quando fa una diagnosi della risoluzione del conflitto: ”Quale è l’approccio alla soluzione del
conflitto nella relazione genitore–insegnante? Genitori ed insegnanti possono evitare il conflitto tra
di loro (rimanendo disimpegnati) oppure amplificano i conflitti, accusandosi reciprocamente?”.
Nella BSFT ecological, per coinvolgere l’insegnante in una relazione genitore–insegnante si utilizzano le
stesse tecniche di joining proprie della BSFT e, allo stesso modo, per modificare la natura delle relazioni tra
un genitore e l’insegnante del figlio, si utilizzano le tecniche di ristrutturazione BSFT.
53
TRATTAMENTI AMBULATORIALI: LA BSFT VERSUS IL COUNSELING DI GRUPPO
Un recente studio (Santisteban et al. in press) ha esaminato l’efficacia della BSFT nel ridurre i problemi
comportamentali dell’adolescente, l’associazione con i coetanei antisociali e l’uso di marijuana, nonché il
miglioramento del funzionamento familiare. In questo studio sono stati posti a confronto la BSFT ed il
Counseling di Gruppo. I partecipanti sono stati 79 soggetti provenienti da famiglie ispaniche tra i 12 ed i 18
anni, che sono stati inviati in consulenza da un genitore o da un consulente scolastico per condotte
antisociali. Le famiglie sono state assegnate con criterio casualmente randomizzato alla BSFT o al
Counseling di Gruppo. Le analisi del trattamento hanno mostrato che entrambe le terapie hanno aderito
alle linee guida previste e che le due terapie erano chiaramente distinguibili.
I disturbi della condotta e la frequentazione di coetanei antisociali sono stati valutati usando la Revised
Behavior Problem Checklist (RBPC) (Quay e Peterson 1987) che misura i problemi di comportamento degli
adolescenti segnalati dai genitori. I disturbi della condotta vengono misurati attraverso 22 items e la
frequentazione di coetanei antisociali attraverso 17 items. Ogni item richiede al genitore di valutare se uno
specifico aspetto del comportamento dell’adolescente (ad es. partecipare a risse o passare il tempo con
“cattive compagnie”) non è un problema (0), è un problema lieve (1) o è un problema grave (2). I valori di
ogni item su ciascuna scala sono poi sommati insieme per ottenere il punteggio totale.
Gli effetti della BSFT sui disturbi della condotta, sulla frequentazione di coetanei antisociali e sull’uso di
marijuana vengono valutati in due modi. In primo luogo è stata effettuata l’analisi della varianza per
verificare se la BSFT ha ridotto i disturbi della condotta, la frequentazione di coetanei antisociali e l’uso di
marijuana in misura significativamente maggiore rispetto al Counseling di Gruppo. In secondo luogo sono
state effettuate analisi esplorative sui cambiamenti clinici significativi rispetto ai disturbi della condotta ed
alla frequentazione di coetanei antisociali. Queste analisi esplorative hanno utilizzato il duplice criterio di
significatività clinica raccomandato da Jacobson e Truax (1991). Per poter definire che un cambiamento
sintomatico sia clinicamente rilevante per un certo partecipante, devono verificarsi due condizioni. In primo
luogo la portata del cambiamento deve essere sufficientemente grande per essere affidabile, escludendo
fluttuazioni casuali come spiegazioni plausibili. In secondo luogo il partecipante deve “ristabilirsi” passando
da livelli clinici a livelli non clinici varcando quindi la soglia diagnostica.
Disturbo della condotta. L’analisi della varianza ha indicato che i punteggi riferiti al disturbo della condotta
per gli adolescenti in BSFT rispetto a quelli per gli adolescenti in Counseling di Gruppo si sono
significativamente ridotti tra il pre ed il post trattamento. Nelle analisi di rilevanza clinica, una percentuale
notevolmente maggiore di adolescenti in BSFT rispetto al Counseling di Gruppo ha dimostrato un
miglioramento clinico significativo. All’inizio il 70% degli adolescenti in BSFT aveva punteggi riferiti al
disturbo della condotta che erano al di sopra della soglia clinica (cutoffs); ovvero si trovavano al di sopra
della soglia stabilita empiricamente per la diagnosi clinica del disturbo della condotta. Alla fine del
trattamento, il 5% di questi adolescenti ha mostrato un peggioramento, mentre il 46% ha mostrato un
miglioramento attendibile. Di quest’ultimo gruppo il 59% ha mostrato un recupero nei livelli non clinici di
disturbo della condotta. Al contrario, all’ingresso, il 64% degli adolescenti seguiti con Counseling di Gruppo
aveva punteggi al di sopra del valore soglia del disturbo clinico; di questi, nessuno ha mostrato un
miglioramento affidabile e l’11% ha mostrato un peggioramento. Pertanto, mentre gli adolescenti in BSFT
con indici di disturbo della condotta hanno il 66% di probabilità di miglioramento, nessuno degli adolescenti
inseriti nel Counseling di Gruppo ha avuto miglioramenti significativi.
54
Frequentazione di Coetanei Antisociali. L’analisi della varianza ha indicato che, per gli adolescenti in BSFT, i
punteggi che indicano la frequentazione di coetanei antisociali mostrano una significativa riduzione tra il
pre ed il post trattamento rispetto a quelli seguiti col Counseling di Gruppo. Nelle analisi di significatività
clinica, il 79% di adolescenti all’inizio del trattamento con BSFT erano al di sopra del cutoff clinico per la
frequentazione di coetanei antisociali. Tra gli adolescenti che rispondono ai criteri per la frequentazione di
coetanei antisociali, il 36% ha mostrato un significativo miglioramento, ed il 2% ha mostrato un
peggioramento. Del 36% degli adolescenti in BSFT con un significativo miglioramento, il 50% sono stati
classificati come recuperati. All’avvio del Counseling di Gruppo il 64% degli adolescenti era al di sopra del
cut-off clinico per la frequentazione di coetanei antisociali e, tra gli adolescenti che rispondono ai criteri di
frequentazione di coetanei antisociali, l’11% ha avuto un significativo miglioramento e nessuno è
peggiorato. Dell’11% degli adolescenti in Counseling di Gruppo con un significativo miglioramento, il 50%
sono stati classificati come recuperati a livelli non clinici. Quindi gli adolescenti in BSFT che sono entrati in
trattamento con indici di frequentazione di coetanei antisociali hanno mostrato una probabilità di
miglioramento di 2,5 volte superiore rispetto ai coetanei in Counseling di Gruppo.
Uso di marijuana. Le analisi della varianza hanno rilevato che il trattamento BSFT era associato ad una
riduzione nel consumo di marijuana autoriferito (self-reported) significativamente maggiore rispetto al
Counseling di Gruppo. Per studiare se si sono verificati dei cambiamenti clinicamente significativi 6 nel
consumo di marijuana, ci si è riferiti alle quattro categorie di consumo usate in letteratura (Brooks et al
1998). Queste categorie sono basate sul numero di giorni di uso individuale di marijuana degli ultimi trenta
giorni, prima dell’arruolamento e della valutazione.
Astinente - 0 giorni
Consumatore settimanale - da 1 a 8 giorni
Consumatore abituale - da 9 a 16 giorni
Consumatore quotidiano - da 17 a più giorni.
Il 40% dei partecipati della BSFT ha riportato di aver usato marijuana all’inizio o alla conclusione del
trattamento. Di questi il 25% non ha mostrato cambiamenti, il 60% ha mostrato miglioramento nella
riduzione dell’uso di droghe e il 15% un peggioramento. Dei soggetti in BSFT che passavano in categorie di
minor consumo, il 75% a fine trattamento riferiva di non usare marijuana. Nel Counseling di Gruppo il 26%
dei partecipanti riferiva un uso della sostanza all’avvio e /o alla conclusione. Di questi, il 33% non ha
mostrato alcun cambiamento, il 17% ha riferito un miglioramento e il 50% è peggiorato. Il 17% degli
adolescenti in Counseling di Gruppo che hanno mostrato un miglioramento, al termine del trattamento non
facevano più uso della sostanza. Quindi, possiamo concludere che gli adolescenti in BSFT hanno una
probabilità di 3,5 volte maggiore degli adolescenti in Counseling di Gruppo di presentare un miglioramento
nella riduzione dell’uso di marijuana.
I trattamenti sono stati comparati in relazione alla loro influenza sul funzionamento familiare, misurato con
il “Structural Family Systems Rating” (Szapocznik et al. 1991). Questo sistema di misurazione è stato
costruito per valutare il funzionamento familiare così come è stato definito nel Capitolo 3. Sulla base dei
loro punteggi all’avvio della terapia, le famiglie sono state suddivise in base al metodo della divisione
6
Test attendibili relativi ad una significativa modifica clinica del consumo di marijuana non sono possibili perché non ci
sono indici clinici o non clinici in grado di misurarla.
55
mediana (median split) tra quelle con uno scarso o un buon funzionamento. All’interno di ciascun gruppo
(ossia quello con buon funzionamento e quello con scarso funzionamento familiare), un test statistico, che
confronta le medie del gruppo (analisi della varianza), ha testato i cambiamenti avvenuti nel funzionamento
familiare prima e dopo il trattamento.
Tra le famiglie con uno scarso funzionamento, entrate in trattamento, i risultati mostrano che quelle
assegnate alla BSFT hanno avuto un significativo miglioramento nel funzionamento familiare, mentre quelle
assegnate al Counseling di Gruppo non hanno avuto un cambiamento altrettanto significativo
Tra le famiglie con un buon funzionamento, entrate in trattamento, i risultati mostrano che quelle
assegnate alla BSFT hanno mantenuto un buon funzionamento, mentre quelle assegnate al Counseling di
Gruppo hanno avuto un peggioramento. Questi risultati suggeriscono che non tutte le famiglie di giovani
che abusano di sostanze iniziano la terapia con uno scarso funzionamento familiare, ma se le famiglie non
trovano un adeguato supporto per affrontare le problematiche del giovane, il funzionamento familiare
potrebbe peggiorare.
BSFT INDIVIDUALE
Con l’avvento negli anni 70 dell’epidemia di droga tra gli adolescenti, la grande maggioranza dei counselor
che lavorava con questi ha riferito che, pur preferendo l’impiego della terapia familiare, non erano in grado
di coinvolgere intere famiglie nel trattamento (Coleman e Davis 1978). In risposta a questa difficoltà è stata
sviluppata una procedura che permetterebbe di conseguire gli obiettivi della BSFT (per modificare le
interazioni familiari disadattive ed il comportamento sintomatico degli adolescenti), senza bisogno che
tutta la famiglia partecipi alle sedute di trattamento. La procedura si configura come un adattamento della
BSFT definito come “BFST Individuale”. (Szapocznik et al. 1985; Szapocznik and Kurtines 1989; Szapocznik et
al. 1989a). La BSFT Individuale si basa sul concetto sistemico di complementarietà, che suggerisce come al
cambiamento di un componente della famiglia, il resto della famiglia risponde cercando di ripristinare i
processi familiari secondo i vecchi equilibri, oppure adattandosi ai nuovi cambiamenti (Minuchin e Fishman,
1981). L’obiettivo della BSFT Individuale è di modificare le interazioni familiari disadattive dell’adolescente
che fa uso di droga. Occasionalmente questi cambiamenti creano una crisi familiare, così che la famiglia
tenta di ripristinare le sue vecchie modalità di funzionamento. Il counselor utilizza l’opportunità creata da
queste crisi per coinvolgere i familiari non collaboranti.
Uno studio clinico è stato condotto per confrontare l’efficacia della BSFT individuale con la BSFT rivolta al
completo nucleo familiare (Szapocznik et al. 1983, 1986). Famiglie ispaniche con un adolescente tra i 12 e i
17 anni che fa uso di droga sono state assegnate in modo randomizzato alla BSFT Individuale o alla BSFT
dell’intero nucleo familiare congiunto. Entrambe le terapie sono state attuate utilizzando esattamente la
medesima teoria BSFT, in modo tale che solo una variabile differisce (una singola persona versus incontri
congiunti) tra i due trattamenti. L’analisi della correttezza del trattamento ha rilevato che gli interventi
attuati in entrambe le terapie, erano aderenti alle linee guida e che le due terapie erano chiaramente
distinguibili. I risultati hanno mostrato che la terapia individuale era efficace quanto quella rivolta all’intero
nucleo familiare nel ridurre significativamente l’uso di droga nell’adolescente e i problemi
comportamentali, così come nel migliorare il funzionamento della famiglia al termine della terapia. Questi
risultati sono stati mantenuti al follow-up semestrale (Szapocznik et al. 1983, 1986).
56
La BSFT individuale non è trattata in questo manuale poiché è considerata una tecnica clinica molto
avanzata. Maggiori informazioni sono disponibili in Szapocznik e Kurtines (1989).
L’aggancio terapeutico nella BSFT
Come già discusso nel Capitolo 5, sono state sviluppate una serie di procedure fondate sui principi della
BSFT per agganciare le famiglie resistenti (Szapocznik e Kurtines 1989; Szapocznik et al. 1989 b) e che sono
basate sul presupposto che la resistenza all’entrare in terapia, può essere considerata in termini di
interazione familiare.
Le tecniche della BSFT Individuale sono utili in questa fase iniziale, dato che, chi contatta il counselor per
chiedere un aiuto, può essere la singola persona attraverso cui si fa inizialmente il lavoro di ristrutturazione
delle interazioni familiari disadattive che mantengono il sintomo della resistenza. Il successo del processo
di aggancio terapeutico è valutato in base alla partecipazione della famiglia e dell’adolescente sintomatico.
Il counselor può così ridefinire il problema come un problema della famiglia, in cui tutti i componenti del
nucleo familiare hanno qualcosa da guadagnare. Una volta che la famiglia è entrata in terapia, il focus
dell’intervento si sposta dall’aggancio alla cura dei sintomi che il giovane presenta. L’efficacia dell’aggancio
alla BSFT è stata testata in tre studi attuati con giovani Ispanici (Szapocznik et al., 1988; Santisteban et al.
1996; Coatsworth et al. 2001). Nel primo studio (Szapocznik et al., 1988) sono state incluse diverse famiglie
cubane con adolescenti con problemi comportamentali, il cui consumo di sostanze stupefacenti era stato
sospettato/constatato o dai genitori o dagli insegnati. Tra i ragazzi che hanno partecipato, il 93% ha
effettivamente riferito di utilizzare sostanze. Le famiglie sono state assegnate in modo randomizzato alla
BSFT o ad una “terapia tradizionale” (gruppo di controllo) utilizzando le tecniche di aggancio specifiche ai
due trattamenti. L’aggancio ad una terapia tradizionale prevedeva il ricorso alle metodologie comunemente
utilizzate nei confronti degli adolescenti dai Servizi Ambulatoriali Territoriali per le Tossicodipendenze.
7
Nella terapia sperimentale, l’utilizzo delle specifiche tecniche previste dalla BSFT, ha consentito di
agganciare con successo tutte le famiglie trattate. L’esito favorevole è stato definito in termini di un
coinvolgimento familiare congiunto alla prima seduta di valutazione della BSFT (e, come minimo, ci si
riferisce al paziente designato, ai suoi genitori e fratelli che vivono sotto lo stesso tetto). L’analisi della
rigorosa adesione alle tecniche trattamentali ha evidenziato che l’aggancio ad entrambe le terapie ha
rispettato le linee guida prescritte, utilizzando i sei livelli di impegno operativo stabiliti e che, in relazione ad
essi, le terapie erano chiaramente distinguibili.
I sei livelli di impegno operativo nell’aggancio, così come definiti da Szapocznik et al. (1988, p.554), sono:
7
Livello 0 – si esprime un cortese interessamento, si compila una scheda di ingresso, si stabilisce
quali casi rispondono ai criteri di inclusione nello studio mettendo ben in chiaro quale sia il target di
chi può partecipare alla valutazione;
Livello 1 – si cerca di stabilire una minima relazione, incoraggiando chi chiama a coinvolgere la
famiglia, a parlare della gravità e della dimensione dei problemi dell’adolescente e a dare
informazioni sui familiari;
Community survey of outpatient agencies serving drug-abusing adolescents.
57
Livello 2 – si cerca di stabilire una relazione più rilevante chiedendo di descrivere le interazioni
familiari, cercando di acquisire informazioni sui problemi, valori ed interessi dei diversi membri
della famiglia; supportando chi chiama ed alleandosi con lui, iniziando a stabilire una leadership e
chiedendo se tutti i membri della famiglia sarebbero disposti a venire al primo appuntamento;
Livello 3 – si ridefinisce l’aggancio con la persona che chiama, proponendogli una negoziazione ed
una riformulazione; e si agisce una certa pressione sui i membri della famiglia, sia per telefono sia
fissando un incontro in studio dal terapeuta, per essere certi che venga preso il primo
appuntamento con tutti i familiari al completo;
Livello 4 – si attua un intervento di aggancio ecologico di primo livello, coinvolgendo i componenti
della famiglia o attuando una ristrutturazione interpersonale sia per telefono e presso lo studio del
terapeuta ( con gli altri familiari che non hanno chiamato) e contattando per telefono altre persone
significative per ottenere maggiori informazioni;
Livello 5 – si attua un intervento ecologico di alto livello, incontrando fuori dallo studio del
terapeuta i familiari o altre persone significative ed utilizzando queste ultime per ristrutturare il
sistema.
I livelli da 0 a 1 sono utilizzati sia nell’aggancio alla BSFT che nell’aggancio al trattamento tradizionale. I
livelli 2-5 sono consentiti solo nell’aggancio BSFT. L’efficacia viene misurata in base alla percentuale sia
degli ingressi in terapia sia della ritenzione fino al completamento del ciclo terapeutico.
L’efficacia dei due metodi di aggancio è stata misurata valutando le percentuali di famiglie entrate in
terapia e di famiglie che hanno completato il percorso trattamentale. I risultati hanno dimostrato che le
famiglie agganciate con successo sono state il 42%, utilizzando un trattamento tradizionale e il 93% con la
BSFT. Inoltre, hanno completato con successo il percorso terapeutico il 25%delle famiglie trattate con
metodi tradizionali ed il 77% dei casi agganciati e in trattamento con la BSFT: questa differenza tra i due
metodi, sia per l’aggancio che per la ritenzione in terapia, era statisticamente significativa. Si sono verificati
dei miglioramenti nella sintomatologia dell’adolescente, ma senza significative discrepanze tra i due
metodi, mentre la differenza significativa era piuttosto nella percentuale di aggancio e di ritenzione al
trattamento. Pertanto, l’aggancio con la BSFT ha avuto un impatto positivo su più famiglie rispetto ai
metodi tradizionali.
Il secondo studio (Santisteban et al. 1996), oltre a replicare quanto fatto nel precedente, ha analizzato i
fattori che potrebbero influenzare l’efficacia degli interventi di aggancio. A differenza del precedente
studio, Santisteban et al. (1996) hanno rigorosamente stabilito che per definire il successo in un aggancio
terapeutico, si devono prevedere come minimo due colloqui: una seduta di accoglienza e la prima seduta di
terapia. Con criterio casuale randomizzato, 193 famiglie ispaniche sono state assegnate dai ricercatori ad
uno studio sperimentale e ad altri due di controllo. La terapia sperimentale ha utilizzato il trattamento BSFT
con tecniche di aggancio BSFT Sperimentale, il primo gruppo di controllo il trattamento BSFT ma con
tecniche di aggancio tradizionali, il secondo gruppo di controllo il Counseling di Gruppo con tecniche di
aggancio tradizionali: di fatto, in entrambi i trattamenti di controllo, per l’aggancio, non si sono utilizzate
strategie specialistiche.
58
I risultati hanno mostrato che l’81% delle famiglie erano agganciate con successo nello studio sperimentale
(BSFT Sperimentale , mentre nei due gruppi di controllo la percentuale è stata del 60%: queste differenze
sono statisticamente significative. Tuttavia l’efficacia delle procedure terapeutiche deve prendere in
considerazione il limite dato dall’ identità culturale ed etnica delle famiglie ispaniche arruolate; infatti le
famiglie agganciate con successo alla BSFT Sperimentale sono state il 93% delle Ispaniche non Cubane
(prevalentemente del Nicaragua, Colombia, Portorico, Perù e Messico) e il 64% delle Ispanico-Cubane.
Questi risultati hanno portato a studiare ulteriormente il meccanismo per cui la cultura/etnia e altri fattori
contestuali possono influenzare i processi clinici riguardanti l’aggancio terapeutico (Santisteban et al. 1996;
Santisteban et al. In press). I risultati degli studi di Szapocznik et al., 1988, Santisteban et al. 1996,
sostengono con forza l’efficacia dell’aggancio BSFT. Inoltre questo secondo studio, che ha avuto come focus
l’influenza dei fattori culturali ed etnici, sostiene la convinzione, largamente diffusa, che le interazioni
terapeutiche devono corrispondere ai mutamenti che si verificano nel contesto della popolazione in
trattamento (Sue e al. 1994; Szapocznik e Kurtines 1993).
Un terzo studio (Coatsworth et al. 2001) ha confrontato la BSFT con un intervento dei Servizi Territoriali
Ambulatoriali (gruppo controllo), analizzando la capapacità di aggancio e la ritenzione in terapia degli
adolescenti e delle loro famiglie. Un elemento importante di questo studio derivava dal fatto che
un’agenzia esterna attuava il controllo dei trattamenti effettuati, che erano perciò meno soggetti
all’influenza dei ricercatori (ad es. le strategie tradizionali di aggancio). I risultati di questo studio, come nei
due precedenti, hanno dimostrato che la BSFT ha un’efficacia maggiormente significativa, agganciando gli
adolescenti con le loro famiglie nell’81% dei casi, a fronte del 61% degli interventi del Servizio Territoriale
Ambulatoriale. Analogamente, tra le famiglie agganciate, la tenuta terapeutica era più alta: il 71%, per la
BSFT rispetto al 42% nel gruppo di controllo. Inoltre, gli adolescenti e le loro famiglie che hanno completato
il trattamento sono stati il 58% in BSFT, rispetto al 25% del gruppo di controllo: tra i due trattamenti messi
a confronto, la possibilità di essere agganciati con successo e di proseguire la terapia è stata 2,3 volte
maggiore con la BSF, rispetto al trattamento presso i Servizi Territoriali Ambulatoriali (gruppo controllo).
E’ importante sottolineare un dato aggiuntivo nello studio di Coatsworth et al (2001). Nella BSFT è più
probabile che le famiglie di adolescenti con sintomi di maggiore gravità rimangano in trattamento rispetto
ad adolescenti con problemi di condotta meno pesanti; nel gruppo di controllo dei Servizi Ambulatoriali
Territoriali era evidente il contrario, cioè che le famiglie, che rimanevano in terapia mostravano un livello
minore di problematicità. Questi risultati sono particolarmente importanti perché indicano che gli
adolescenti con più bisogno, hanno maggiori probabilità di rimanere in terapia con la BSFT rispetto ai
programmi tradizionali proposti nei Servizi Ambulatoriali
59
BIBLIOGRAFIA
Alexander, J.F.; Holtzworth-Munroe, A.; and Jameson, P.B. The process and outcome of marital and family
therapy: Research review and evaluation. In A.E. Bergin, and S.L. Garfield (eds.), Handbook of
Psychotherapy and Behavior Change. New York: John Wiley and Sons, pp. 595-630, 1994.
Bergin, A.E., and Garfield, S.L. (eds.), Handbook of Psychotherapy and Behavior Change. New York: John
Wiley and Sons. 1994.
Bronfenbrenner, U. Toward an experimental ecology of human development. American Psychologist
32:513-531, 1977.
Bronfenbrenner, U. The Ecology of Human Development: Experiments by Nature and Design. Cambridge,
MA: Harvard University Press.1979.
Bronfenbrenner, U. Ecology of the family as a context for human development. Developmental Psychology
22:723-42, 1986.
Bronfenbrenner, U. Interacting systems in human development: Research paradigms: Present and future. In
N. Bolger; A. Caspi; G. Downey; and M. Moorehouse (eds.), Persons in Context: Developmental Processes.
New York: Cambridge University Press, pp. 25-49, 1988.
Brook, J.S.; Brook, D.W.; de la Rosa, M.; Duque, L.F.; Rodriguez, E.;Montoya, I.D.; and Whiteman, M.
Pathways to marijuana use among adolescents: Cultural/ecological, family, peer, and personality
influences. Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry 37:759-766, 1998.
Brook, J.S.; Kessler, R.C.; and Cohen, P. The onset of marijuana use from preadolescence and early
adolescence to young adulthood. Development and Psychopathology 11:901-914, 1999.
Bush, P.J.; Weinfurt, K.P.; and Iannotti, R.J. Families versus peers: Developmental influences on drug use
from grade 4-5 to grade 7-8. Journal of Applied Developmental Psychology 15:437-456, 1994.
Coleman, S.B., and Davis, D.E. Family therapy and drug abuse: A national survey. Family Process 17:21-29,
1978.
Coatsworth, J.D.; Santisteban, D.A.; McBride, C.K; and Szapocznik, J. Brief strategic family therapy versus
community control: Engagement, retention, and an exploration of the moderating role of adolescent
symptom severity. Family Process 40:313-332, 2001.
Diamond, G.M.; Liddle, H.A.; Hogue, A.; and Dakof, G.A. Alliancebuilding interventions with adolescents in
family therapy: A process study. Psychotherapy 36:355-369, 1999.
60
Diamond, G.S., and Liddle, H.A. Resolving a therapeutic impasse between parents and adolescents in
multidimensional family therapy. Journal of Consulting and Clinical Psychology 64:481- 488, 1996.
Haley, J. Problem-Solving Therapy: New Strategies for Effective Family Therapy. San Francisco: Jossey-Bass.
1976.
Hayes, S.C.; Strosahl, K.D.; and Wilson, K.G. Acceptance and Commitment Therapy: An Experiential
Approach to Behavior Change. New York: Guilford Press, 1999.
Henricson, C., and Roker, D. Support for the parents of adolescents: A review. Journal of Adolescence
23:763-783, 2000.
Jacobson, N.S., and Truax, T. Clinical significance: A statistical approach to defining meaningful change in
psychotherapy research. Journal of Consulting and Clinical Psychology 59:12-19, 1991.
Jessor, R., and Jessor, S.L. Problem Behavior and Psychosocial Development: A Longitudinal Study of Youth.
New York: Academic Press. 1977.
Lantz, J., and Gregoire, T. Existential psychotherapy with Vietnam veteran couples: A twenty-five year
report. Contemporary Family Therapy 22:19-37, 2000.
Liddle, H.A. The anatomy of emotions in family therapy with adolescents. Journal of Adolescent Research
9:120-157, 1994.
Liddle, H.A. Conceptual and clinical dimensions of a multidimensional, multisystems engagement strategy
in family-based adolescent treatment. Psychotherapy 32:39-58, 1995.
Liddle, H.A. Multidimensional Family Therapy: A Treatment Manual. Cannabis Youth Treatment Manual
Series Vol. 5. DHHS Pub. No. BKD388. Rockville, MD: Center for Substance Abuse Treatment. 2002.
Liddle, H.A., and Dakof, G.A. Family-based treatment for adolescent drug use: State of the science. In E.
Rahdert, ed., Adolescent Drug Abuse: Clinical Assessment and Therapeutic Interventions. NIDA Research
Monograph Series No. 156. NIH Publication No. 95-3098. Rockville, MD: National Institute on Drug Abuse,
pp. 218-254, 1995.
Mason, C.A.; Cauce, A.M.; Gonzales, N.; Hiraga, Y.; and Grove, K. An ecological model of externalizing
behaviors in African-American adolescents: No family is an island. Journal of Research on Adolescence
4:639-655, 1994.
Minuchin, S. Families and Family Therapy. Cambridge, MA: Harvard University Press. 1974.
Minuchin, S., and Fishman, H.C. Family Therapy Techniques. Cambridge, MA: Harvard University Press.
1981.
Minuchin, S.; Montalvo, B.; Guerney, B.G.; Rosman, B.L.; and Schumer, F. Families of the Slums. New York:
Basic Books. 1967.
Mitrani, V.B.; Szapocznik, J.; and Robinson Batista, C. Structural ecosystems therapy with HIV+ AfricanAmerican women. In W. Pequegnat, and J. Szapocznik (eds.), Working With Families in the Era of HIV/AIDS.
Thousand Oaks, CA: Sage, pp. 243-279, 2000.
61
Newcomb, M.D., and Bentler, P.M. Substance use and abuse among children and teenagers. American
Psychologist 44:242-248, 1989.
Ozechowski, T.J., and Liddle, H.A. Family-based therapy for adolescent drug abuse: Knowns and unknowns.
Clinical Child and Family Psychology Review 3(4):269-298, 2000.
Patterson, G.R. Coercive Family Process. Eugene, OR: Castalia. 1982.
Patterson, G.R., and Dishion, T.J. Contributions of families and peers to delinquency. Criminology 23:63-79,
1985.
Patterson, G.R.; Reid, J.B.; and Dishion, T.J. Antisocial Boys. Eugene, OR: Castalia. 1992.
Perrino, T.; Gonzalez-Soldevilla, A.; Pantin, H.; and Szapocznik, J. The role of families in adolescent HIV
prevention: A review. Clinical Child and Family Psychology Review 3(2):81-96, 2000.
Quay, H.C., and Peterson, D.R. Manual for the Revised Behavior Problem Checklist. Unpublished manuscript,
University of Miami, Coral Gables, FL, 1987.
Rector, N.A.; Zuroff, D.A.; and Segal, Z.V. Cognitive change and the therapeutic alliance: The role of
technical and nontechnical factors in cognitive therapy. Psychotherapy 36:320-328, 1999.
Robbins, M.S.; Alexander, J.F.; and Turner, C.W. Disrupting defensive family interactions in family therapy
with delinquent youth. Journal of Family Psychology 14:688-701, 2000.
Robbins, M.S.; Schwartz, S.J.; and Szapocznik, J. Structural ecosystems therapy with adolescents exhibiting
disruptive behavior disorders. In J.R. Ancis, ed., Culturally Based Interventions: Alternative
Approaches to Working With Diverse Populations and Culture-Bound Syndromes, New York: BrunnerRoutledge, in press.
Robbins, M.S.; Szapocznik, J.; Alexander, J.F.; and Miller, J. Family systems therapy with children and
adolescents. In M. Hersen, and A.S. Bellack (series eds.), and T.H. Ollendick, vol. ed. Comprehensive Clinical
Psychology: Vol. 5, Children and Adolescents: Clinical Formulation and Treatment. Oxford, United Kingdom:
Elsevier Science Limited, Inc., pp. 149-180, 1998.
Santisteban, D.A.; Coatsworth, J.D.; Briones, E.; and Szapocznik, J. Acculturation and Parenting, manuscript
submitted for publication. University of Miami. 2003.
Santisteban, D.A.; Coatsworth, J.D.; Perez-Vidal, A.; Kurtines, W.M.;Schwartz, S.J.; LaPerriere, A.; and
Szapocznik, J. The efficacy of Brief Strategic Family Therapy in modifying Hispanic adolescent behavior
problems and substance use. Journal of Family Psychology, in press.
Santisteban, D.A.; Muir-Malcolm, J.A.; Mitrani, V.B.; and Szapocznik, J. Integrating the study of ethnic
culture and family psychology intervention science. In H. Liddle, D. Santisteban, R. Levant, and J. Bray (eds.),
Family Psychology: Science Based Interventions. Washington, DC: American Psychological Association Press,
pp. 331-352, 2002.
Santisteban, D.A.; Szapocznik, J.; and Kurtines, W.M. Behavior problems among Hispanic youths: The family
as moderator of adjustment. In J. Szapocznik, ed., A Hispanic/Latino Family Approach to Substance Abuse
62
Prevention. OSAP Prevention Monograph No. 8. DHHS Pub. No. 91-1725. Rockville, MD: Center for
Substance Abuse Prevention, pp. 19-40, 1994.
Santisteban, D.A.; Szapocznik, J.; Perez-Vidal, A.; Kurtines, W.M.; Murray, E.J.; and Laperriere, A. Efficacy of
intervention for engaging youth and families into treatment and some variables that may contribute to
differential effectiveness. Journal of Family Psychology 10:35-44, 1996.
Scheier, L.M., and Newcomb, M.D. Differentiation of early adolescent predictors of drug use versus abuse:
A developmental risk-factor model. Journal of Substance Abuse 3:277-299, 1991.
Silverberg, S.B. Parents’ well-being at their children’s transition to adolescence. In C.D. Ryff, and M.M.
Seltzer (eds.), The Parental Experience at Midlife. Chicago: University of Chicago Press, pp. 216-254, 1996.
Steinberg, L. Adolescent transitions and alcohol and other drug use prevention. In E.N. Goplerud, ed.,
Preventing Adolescent Drug Use: From Theory to Practice. OSAP Prevention Monograph No. 8. DHHS Pub.
No. 91-1725. Rockville, MD: U.S. Department of Health and Human Services, Office for Substance Abuse
Prevention, pp. 13-51, 1991.
Steinberg, L. Adolescence, 5th ed. New York: McGraw-Hill. 1998.
Steinberg, L.; Fletcher, A.; and Darling, N. Parental monitoring and peer influences on adolescent substance
use. Pediatrics 93:1060- 1064, 1994.
Stiles, W.B.; Agnew-Davies, R.; Hardy, G.E.; Barkham, M.E.; and Shapiro, D.A. Relations of alliance with
psychotherapy outcome: Findings in the Second Sheffield Psychotherapy Project. Journal of Consulting and
Clinical Psychology 66:791-802, 1998.
Sue, S. In search of cultural competence in psychotherapy and counseling. American Psychologist 54:440448, 1998.
Sue, S.; Zane, N.; and Young, K. Research on psychotherapy with culturally diverse populations. In A.E.
Bergin, and S.L. Garfield (eds.), Handbook of Psychotherapy and Behavior Change. New York: John Wiley
and Sons, Inc., pp. 783-817, 1994.
Szapocznik, J., and Coatsworth, J.D. An ecodevelopmental framework for organizing the influences on drug
abuse: A developmental model of risk and protection. In M. Glantz, and C.R. Hartel (eds.), Drug abuse:
Origins and Interventions. Washington, DC: American Psychological Association, pp. 331- 366, 1999.
Szapocznik, J., and Kurtines, W. Acculturation, biculturalism, and adjustment among Cuban Americans. In
A.M. Padilla (ed.), Psychological Dimensions on the Acculturation Process: Theory, Models, and Some New
Findings. Boulder, CO: Westview, pp. 139-159, 1980.
Szapocznik, J., and Kurtines, W.M. Breakthroughs in Family Therapy With Drug-Abusing and Problem Youth.
New York: Springer. 1989.
Szapocznik, J., and Kurtines, W.M. Family psychology and cultural diversity: Opportunities for theory,
research, and application. American Psychologist 48:400-407, 1993.
Szapocznik, J.; Kurtines, W.M.; Foote, F.; Perez-Vidal, A.; and Hervis, O.E. Conjoint versus one person family
therapy: Some evidence for effectiveness of conducting family therapy through one person. Journal of
Consulting and Clinical Psychology 51:889-899, 1983.
63
Szapocznik, J.; Kurtines, W.M.; Foote, F.; Perez-Vidal, A.; and Hervis, O.E. Conjoint versus one person family
therapy: Further evidence for the effectiveness of conducting family therapy through one person. Journal
of Consulting and Clinical Psychology 54:395- 397, 1986.
Szapocznik, J.; Kurtines, W.M.; Perez-Vidal, A.; Hervis, O.E.; and Foote, F. One person family therapy. In R.A.
Wells, and V.J.Giannetti (eds.), Handbook of the Brief Psychotherapies. New York: Plenum, pp. 493-510,
1989a.
Szapocznik, J.; Foote, F.; Perez-Vidal, A.; Hervis, O.E.; and Kurtines, W.M. One Person Family Therapy.
Miami: Miami World Health Organization Collaborating Center for Research and Training in Mental Health,
Alcohol, and Drug Dependence, Department of Psychiatry, University of Miami School of Medicine
(softcover). 1985.
Szapocznik, J.; Perez-Vidal, A.; Brickman, A.; Foote, F.H.; Santisteban, D.; Hervis, O.E.; and Kurtines, W.M.
Engaging adolescent drug abusers and their families into treatment: A Strategic Structural Systems
approach. Journal of Consulting and Clinical Psychology 56:552-557, 1988.
Szapocznik, J.; Perez-Vidal A.; Hervis, O.E.; Brickman, A.L.; and Kurtines, W.M. Innovations in family therapy:
Strategies for overcoming resistance to treatment. In R.A. Wells, and V.J. Giannetti (eds.), Handbook of the
Brief Psychotherapies. New York: Plenum, pp. 93-114, 1989b.
Szapocznik, J.; Rio, A.T.; Hervis, O.E.; Mitrani, V.B.; Kurtines, W.M.; and Faraci, A.M. Assessing change in
family functioning as a result of treatment: The Structural Family Systems Rating Scale (SFSR). Journal of
Marital and Family Therapy 17:295-310, 1991.
Szapocznik, J.; Scopetta, M.A.; and King, O.E. Theory and practice in matching treatment to the special
characteristics and problems of Cuban immigrants. Journal of Community Psychology 6:112-122, 1978.
Vega, W.A., and Gil, A.G. A model for explaining drug use behaviour among Hispanic adolescents. Drugs and
Society 14:57-74, 1999.
White, L. Co-residence and leaving home: Young adults and their parents. Annual Review of Sociology
20:81-102, 1994.
Woehrer, C.E. Ethnic families in the Circumplex Model: Integrating nuclear with extended family systems. In
D.H. Olson, C.S. Russell, and D.H. Sprenkle (eds.), Circumplex Model: Systemic Assessment and Treatment
64
APPENDICE
65
APPENDICE A: FORMAZIONE DEI COUNSELOR NELLA TERAPIA BREVE STRATEGICA
FAMILIARE (BSFT)
Uno dei punti di forza della Terapia Breve Strategica Familiare è la sua considerevole flessibilità, che la
rende estremamente adattabile ad un ampia gamma di situazioni e problemi delle famiglie e degli
adolescenti. Lo svantaggio della BSFT è che non consiste in una semplice ricetta che si può seguire con
facilità (un pizzico di empatia e un grammo di partecipazione emotiva); piuttosto la BSFT è un modello
clinico avanzato, che implica un’attuazione da parte di counselor esperti, in grado di utilizzarla con abilità
solo dopo lunga sperimentazione.
Selezione dei Counselor
Per poter condurre in maniera adeguata una terapia BSFT, il terapeuta necessita di almeno tre livelli di
formazione esperienziale. In particolare, è opportuno che il counsellor sia già in possesso di competenze e
conoscenze terapeutiche di base e di competenze e conoscenze dell’approccio sistemico; in caso contrario,
dovrà acquisirle. E’ inoltre necessario che il counselor acquisisca le capacità e le competenze specifiche
della BSFT. Il tipo di formazione e le capacità sono importanti criteri di valutazione per poter selezionare i
terapeuti che si specializzeranno in BSFT. I tre livelli di formazione, approfonditi nei paragrafi successivi,
sono:
Formazione alle competenze cliniche di base, comuni a diversi interventi comportamentali;
Formazione alla teoria di base dei sistemi familiari, così come viene utilizzata in diversi approcci
terapeutici familiari;
Formazione specifica alla BSFT.
LIVELLO 1: FORMAZIONE ALLE COMPETENZE CLINICHE DI BASE, COMUNI A DIVERSI INTERVENTI
COMPORTAMENTALI
Il primo livello di formazione dei counselor intende far apprendere e condividere le competenze cliniche di
base, comuni a diversi tipi di interventi comportamentali, quali:
Capacità a condurre un colloquio.
Ascolto attivo: riformulazione al paziente dei contenuti e dei sentimenti che ha espresso.
Tempestività: riconoscere il momento giusto per dire o fare quello di cui il paziente ha bisogno.
66
Empatia: comprendere
descrivere.
Rispetto del paziente.
Proporre ed attuare una terapia finalizzata esclusivamente all’interesse del paziente, facendo
prevalere i suoi bisogni su quelli del terapeuta.
Capacità di autovalutazione delle proprie emozioni e reazioni e di ciò che “fa spingere le nostre
leve”.
Individuare e riconoscere i bisogni del paziente.
a livello cognitivo ed emotivo le esperienze del paziente e saperle
LIVELLO 2: FORMAZIONE ALLA TEORIA DI BASE DEI SISTEMI FAMILIARI
Il secondo livello di formazione dei counselor viene spesso applicato nei programmi avanzati di formazione
ad orientamento clinico nel lavoro sociale, nella terapia di coppia e familiare ed, occasionalmente, anche
nella psicoterapia. Attraverso questa specifica formazione, il counselor impara a considerare la famiglia
come un sistema, piuttosto che come un insieme di individui. Il lavoro sistemico, così come definito nel
Capitolo 2, è basato sull’assunto che i membri di una famiglia siano interdipendenti e che la famiglia stessa
sia più della somma delle sue singole parti. Questo implica che i vari membri di una famiglia, quando sono
insieme, si comportino in maniera molto diversa da quando sono separati. Di conseguenza, il counselor
potrebbe non sempre essere in grado di prevedere come un familiare si comporta in famiglia, rispetto al
suo comportamento al di fuori di essa. Analogamente, gli stessi familiari potrebbero riportare percezioni e
descrizioni della famiglia che risultino poi pesantemente distorte. Al counselor viene quindi insegnato a
pensare e ad agire in termini di sistema ed a considerare come il contesto sociale sia in grado di influenzare
il comportamento individuale; vengono inoltre insegnate anche le nozioni di base per entrare in un sistema,
come ad esempio identificare e rispettare la struttura di potere del sistema stesso.
LIVELLO 3: FORMAZIONE SPECIFICA ALLA TERAPIA BREVE STRATEGICA FAMILIARE (BSFT)
I counselor che hanno acquisito le competenze di base, sia cliniche che sulla teoria dei sistemi familiari,
possono essere introdotti alla formazione dei principi e delle tecniche relative alla BSFT. I counselor, che
per qualunque motivo difettino di qualcuna di queste competenze di base, dovranno sottoporsi a una
intensa formazione preparatoria sui pre-requisiti essenziali, in particolare per quanto riguarda i sistemi
familiari (vedi il Capitolo 2), che dovranno essere assolutamente acquisiti, prima di poter essere introdotti
ai principi e alle tecniche della BSFT. Si suggerisce, sia ai counselor sia ai loro formatori, di non sottovalutare
l’importanza dell’acquisizione del maggior numero possibile di competenze terapeutiche di base e della
necessità di una formazione intensiva per acquisirle.
67
La Terapia Breve Strategica Familiare: le Quattro Fasi Formative
La formazione necessaria per l’applicazione della BSFT consta di quattro fasi:
Fase 1: apprendimento del metodo BSFT;
Fase 2: visione di registrazioni audiovisive per imparare a riconoscere i processi e le interazioni
familiari;
Fase 3: visione di registrazioni audiovisive per imparare a condurre gli interventi terapeutici
familiari;
Fase 4: supervisione del counselor (direttamente o tramite visione di registrazioni audiovisive) da
parte di un terapeuta esperto BSFT .
Nella Fase 1 il counselor deve apprendere le metodologie BSFT descritte in questo manuale ed ha una
importante funzione didascalica illustrare i vari aspetti del modello BSFT.
Nella Fase 2 il counselor visiona una serie di registrazioni video relative a famiglie che hanno effettuato una
terapia al Centro Studi Familiari dell’Università di Miami, dove la BSFT è stata sviluppata. Questa serie di
videotape mostra delle famiglie che, autonomamente (senza la presenza di un terapeuta), rispondo a tre
stimoli standard. I tre stimoli sono delle prescrizioni relative a:
1) progettare insieme un menu che metta tutti d’accordo;
2) far esprimere ad ogni familiare quello che gli piace e quello che non gli piace di tutti gli altri
componenti della famiglia;
3) parlare di una questione recente, di che cosa si trattava, chi ne era coinvolto e che cosa è accaduto.
Questi video sono utilizzati per insegnare ad identificare i processi e le interazioni familiari nel modo più
dettagliato possibile, come discusso nel Capitolo 3. In altre parole, il counselor impara a riconoscere chi è il
leader della famiglia, come la famiglia gestisce i conflitti, le alleanze esistenti e chi è il paziente designato.
Inoltre, il counselor impara anche a comprendere se la famiglia pensa di avere altre problematiche oltre a
quelle correlate al paziente designato, chi siano i componenti invischiati o disimpegnati e così via. In questa
fase il counselor imparerà ad identificare come i comportamenti di uno dei componenti della famiglia siano
collegati a quelli degli altri. Per esempio, ci possono essere due familiari che sono sempre in accordo o
sempre in disaccordo tra di loro, Questo è il sintomo di una alleanza invischiante tra i membri della famiglia.
Nella Fase 3 il counselor visiona delle videoregistrazioni di sedute terapeutiche di BSFT, condotte dal Centro
Studi Familiari nei riguardi di famiglie con adolescenti tossicodipendenti. Queste registrazioni sono
utilizzate per illustrare come un counselor si rapporta a vari processi familiari, per esempio in che modo
approccia la famiglia, come ne ottiene la fiducia, come contiene la negatività, come sposta i confini e altre
tecniche. Il tirocinante potrà osservare cosa mette in atto un terapeuta BSFT esperto in un contesto di
specifiche interazioni familiari (ad es. colpevolizzazione del paziente designato). Per esempio, è importante
notare se il terapeuta riformula o devia la conversazione, se permette all’ostilità di continuare a prevalere
per un lungo periodo di tempo, se incentra la conversazione su di sé o se la sposta sui membri della
68
famiglia. È importante porre attenzione anche su come il terapeuta svolga tutte queste azioni terapeutiche,
sia che siano efficaci sia che non lo siano.
Nella Fase 4 uno dei formatori BSFT supervisiona le sedute del counselor, possibilmente presenziando
direttamente, altrimenti visionandone le registrazioni. Al tirocinante viene insegnato a mettersi a proprio
agio mentre lavora durante le riprese, a discutere ed analizzare le registrazioni con le famiglie, e ad
ottenere l’autorizzazione firmata all’utilizzo delle registrazioni da parte delle famiglie. Il counselor, inoltre,
imparerà a spiegare che sta attuando una formazione e una supervisione e in che cosa questa consiste, così
che le famiglie siano completamente informate sul fatto che stanno partecipando a tale attività.
Sebbene i terapeuti siano spesso preoccupati che le famiglie con cui lavorano potrebbero obiettare sulle
video-riprese, 30 anni di esperienza in tal senso hanno dimostrato che i familiari sono disponibili a questa
pratiche e si sentono quasi rassicurati dal fatto che lo stesso counselor sia a proprio agio nell’utilizzo di
questo strumento: perciò la priorità principale è aiutare il terapeuta a prendere confidenza nell’utilizzo
delle video-registrazioni. Solitamente gli adolescenti che abusano di droghe e i loro stessi familiari non
hanno nessun problema ad essere ripresi. Tuttavia, si è potuto notare nelle esperienze pregresse, che
quando si è in presenza di casi legati ad attività criminali, i genitori tendono a rifiutare le registrazioni video.
Benché alcune tipologie di counseling possono essere interessate alle vicende interiori dei pazienti e dei
terapeuti, la BSFT si concentra principalmente sulle interazioni e sui comportamenti ad esse collegati. Il
counselor BFST è aiutato a comprendere le interazioni problematiche familiari analizzando sia le interazioni
tra i diversi componenti della famiglia, sia le interazioni che questi attuano con il terapeuta stesso. Per
diagnosticare i problemi della famiglia, il terapeuta BSFT osserva le modalità con cui questa interagisce nel
momento presente (cioè il processo), anziché analizzare i dettagli degli aspetti della vita familiare che
vengono discussi (cioè il contenuto). Analogamente, per capire come un terapeuta interagisca con la
famiglia, la BSFT parte dal presupposto che sia estremamente difficile descrivere adeguatamente le
interazioni tra il terapeuta e la famiglia e per questo motivo si ritiene necessario l’utilizzo della
supervisione, dal vivo o con l’utilizzo di video-registrazioni.
Gli autori sono favorevoli ad utilizzare come tecnica di insegnamento la collaborazione con il counselor
tirocinante durante le terapie. Pertanto, i formatori BSFT potranno assistere e aiutare i tirocinanti nel corso
dei loro primi casi, assistendo alle sedute dietro uno parete a specchio o ad una telecamera. Questa tecnica
è denominata “supervisione in diretta”. Solitamente è preferibile per la supervisione in diretta l’utilizzo di
una telecamera con obiettivo a grandangolo allestita all’interno della stanza dove si svolge la terapia e
collegata ad un monitor posizionato in un’altra stanza, dove il supervisore può assistere alla seduta di
terapia familiare.
Nella supervisione in diretta, il formatore è un collaboratore del counselor e, a tutti gli effetti, è
responsabile del successo delle sessioni terapeutiche. Di volta in volta, a seconda dei casi, il formatore
busserà alla porta per chiamare all’esterno il counselor e discutere insieme la direzione che sta prendendo
la seduta o per dare delle indicazioni. Nel caso sia disponibile una connessione telefonica diretta, è
preferibile che venga utilizzata questa modalità di comunicazione tra il formatore e il terapeuta. Talvolta, in
casi di famiglie particolarmente complicate, il formatore potrà unirsi al terapeuta per condurre insieme la
seduta.
69
Necessità della Supervisione
La BSFT è stata sviluppata e valutata per la sua efficacia utilizzando dei counselor che si avvalgono di una
supervisione assai frequente,così da attuarla in modo affidabile. Le motivazioni per cui questo è importante
sono molteplici: per prima cosa la supervisione è uno strumento di sostegno per il counselor ed in
particolare per il tirocinante che è così aiutato a rimanere fedele al modello. In secondo luogo il counselor
familiare si può imbattere in difficoltà o problemi che il supervisore e/o il sistema di supervisione possono
prevenire. La cosa più rischiosa è che il counselor possa essere inglobato all’interno del sistema familiare, in
un modo tale da impedirgli di aiutare la famiglia ad affrontare il cambiamento. Per questo motivo, i
terapeuti principianti BSFT devono essere supervisionati in maniera importante durante le sedute. I
supervisori hanno il compito di garantire che il counselor migliori costantemente le sue competenze e sia
fedele al modello BSFT.
Vengono identificati 4 livelli di competenza terapeutica:
Tirocinante
Counselor
Counselor Senior
Counselor Master
Il Tirocinante è al primo livello di formazione BSFT; il Counselor conosce già il modello, ma necessita di
ulteriore pratica; il Counselor Senior è in grado di insegnare il modello e può ancora occasionalmente
necessitare di supervisione; il Counselor Master ha trattato diversi centinaia di casi supervisionati ed è
pienamente riconosciuto come un eccellente insegnante: le sue video-registrazioni vengono utilizzate nelle
formazione di altri counselor e attua di fronte a platee numerose dimostrazioni dal vivo. Le sue capacità
devono essere così sviluppate da poter essere in grado di condurre una seduta con famiglie completamente
sconosciute, in un luogo sconosciuto, di fronte a una platea numerosa, con anche più di 100 terapeuti, e
fare un ottimo lavoro.
La rapidità con cui il terapeuta procede nella sua carriera dipende da quanta attività clinica svolge, dal
numero di supervisioni disponibili, dallo studio accurato delle proprie registrazioni video, dalla
partecipazione a gruppi di auto-studio e supervisione e da quanta ulteriore formazione effettua.
Ovviamente, la rapidità con cui il tirocinante progredisce di livello in livello dipende anche dalle capacità
cliniche di partenza e dalle esperienze pregresse già sviluppate con famiglie, prima di iniziare il processo di
formazione.
70
APPENDICE B: CASI CLINICI PARADIGMATICI
Questa appendice illustra due casi paradigmatici di Terapia Breve Strategica Familiare. Queste due famiglie,
venute in terapia per problemi diversi, hanno presentato diverse tipologie di interazioni e gli esempi
proposti, molto dissimili, sono utili per illustrare come la BSFT possa essere utilizzata per varie
problematiche familiari.
I casi clinici analizzati riflettono, per quanto possibile, le realtà da cui sono stati tratti. Tutte le informazioni
identificative sono state cambiate per proteggere le identità dei membri delle famiglie.
1° Caso Clinico: la Famiglia Guerrero
PRESENTAZIONE CLINICA
La famiglia Guerrero è composta dalla madre, dal padre e da due figli di 11 e 14 anni. Sono stati indirizzati
alla terapia dall’ educatore scolastico8 del figlio di 14 anni, dopo che questi è stato scoperto a fumare
marijuana nei bagni della scuola. Il terapeuta si reca in visita all’abitazione della famiglia e trova il figlio più
giovane e la madre che cenano. Il paziente designato ed il padre non sono in casa e la madre
immediatamente elenca una serie di scuse per l’assenza ingiustificata del figlio maggiore. Ha difficoltà ad
accettare l’iniziativa presa dall’educatore scolastico e insiste sul fatto che l’insegnante che ha segnalato il
figlio “ce l’ha con lui”.
Quasi al termine della prima visita domiciliare, il padre rientra a casa: ignorando completamente la moglie e
il figlio più giovane si reca direttamente in cucina e, non trovando niente di pronto, inizia a litigare con
moglie perché non gli ha preparato nulla da mangiare. Quando gli viene proposto di unirsi alla seduta,
declina l’invito, dicendo che è la moglie ad essere responsabile dell’educazione dei figli e che non sta certo
facendo un buon lavoro. Il figlio di 14 anni risulta sempre assente per tutta la durata della visita.
LA COSTRUZIONE DEL SISTEMA TERAPEUTICO
Quando il counselor giunge per la prima volta a casa della famiglia Guerrero, fin dall’inizio cerca di costruire
una alleanza terapeutica con la madre. Si siede a tavola con la donna e il figlio più giovane e avvalora le sue
lamentele sia nei riguardi del padre, che ritiene abbia un atteggiamento disimpegnato, sia nei riguardi del
8
school counselor.
71
comportamento fuori controllo del figlio più grande. Il figlio minore fa periodicamente eco alla madre
sull’atteggiamento scontroso di suo fratello e il counselor ha un atteggiamento empatico verso queste
lamentele.
Nonostante il tentativo iniziale di stabilire un contatto con il padre fallisca, il counselor, in un secondo
momento, utilizza un approccio più focalizzato. Parlando con il padre, il terapeuta cerca di enfatizzare il
fatto che la sua partecipazione e il suo contributo siano necessari per cercare di evitare ulteriori e più seri
guai al figlio maggiore. Il counselor, inoltre, rassicura il padre sul fatto che la sua partecipazione alla terapia,
contribuirebbe a far diminuire le lamentele della moglie sul suo disinteresse alla famiglia.
Stabilire una relazione con il figlio tossicodipendente si dimostra più difficile. Il ragazzo, infatti, respinge i
primi tentativi telefonici del counselor di aggancio ed è assente da casa nel corso delle prime visite. Infine, il
counselor riesce a contattare il paziente designato al parco dopo che ha avuto una pesante e violenta lite
con il padre, e gli assicura che, se parteciperà alla BSFT, queste liti non si ripeteranno più.
DIAGNOSI
Quando il counselor incontra per la prima volta tutta la famiglia al completo, la madre inizia a raccontargli
dei suoi problemi col figlio. Il terapeuta le chiede allora di dire direttamente al ragazzo tutte le sue
preoccupazioni e, nel contempo, incoraggia i componenti della famiglia a parlare tra di loro, per poter
osservare gli schemi di interazioni BSFT, così come definito nei criteri diagnostici di seguito analizzati.
Organizzazione
Tra la madre e il figlio 14enne (problematico) esiste una forte alleanza, mentre il padre è disimpegnato: il
ragazzo comunica con il papà soprattutto attraverso la mamma. La coppia genitoriale non condivide molto
tempo insieme; la madre è responsabile dell’educazione dei figli per la quasi totalità del tempo e i genitori
si raccordano occasionalmente, ed esclusivamente, per situazioni di scarsa importanza, ad esempio per
decidere cosa mangiare per cena.
Risonanza
La madre racconta cosa il figlio maggiore preferisce mangiare e mamma e figlio ridono insieme: sono
entrambi due segnali di invischiamento. Il padre è frequentemente “troppo impegnato” per partecipare alle
attività della famiglia, segno del suo disimpegno. Durante la seduta i componenti della famiglia si
scambiano accuse reciproche molto precise, segno questo di un funzionamento maladattivo.
Stadio dello Sviluppo
Ai ragazzi non è permesso giocare fuori casa la sera. La madre trova nel figlio quattordicenne il suo
confidente e gli racconta che il papà torna a casa troppo tardi la sera.
Contesto di Vita
Il padre ha un lavoro impegnativo, mentre la madre termina il lavoro presto ed è a casa verso le tre del
pomeriggio. La famiglia vive in un quartiere ad alto tasso di criminalità, nel quale sono presenti gang
giovanili di spacciatori. La madre e il padre non organizzano in alcun modo le attività dei propri figli e dei
72
loro amici e tanto meno le controllano. Il figlio quattordicenne viene visto dal vicinato come un giovane
antisociale.
Paziente Designato
Il padre torna a casa tardi e non collabora alle faccende domestiche. Il figlio 14enne è ribelle, rifiuta di
aiutare in casa e manifesta problemi di condotta sia in famiglia che a scuola. Anche il ragazzo torna a casa
tardi, spesso agitato e irritabile; sta sveglio fino a notte inoltrata ad ascoltare musica, dormendo poi a lungo
durante il giorno. Il figlio undicenne è il figlio modello.
Risoluzione del Conflitto
I conflitti si accentuano con colpevolizzazioni aggressive e recriminazioni.
Discussione sulla diagnosi
Nella famiglia Guerriero, i genitori hanno assegnato a se stessi ruoli e responsabilità separate. La madre ha
la completa responsabilità dell’educazione dei figli, mentre la responsabilità del padre, in questo campo, è
molto limitata. Poiché questo sembra derivare da un tacito accordo tra i genitori per mantenere le distanze,
si può pensare che entrambi preferiscano per motivi personali dei ruoli separati di responsabilità. Ai fini
dell’educazione dei figli questo comportamento è inadatto perché il padre e la madre non cooperano nelle
funzioni parentali. Inoltre sembra che la madre ed il figlio problematico siano alleati, mentre il padre è
tenuto in disparte. Se si osserva più in profondità potrebbe non sorprendere che le stesse modalità di
interazione si presentino anche in altri ambiti oltre a quello dell’educazione dei figli. In effetti questi schemi
o strutture di interazione si ripresentano in quasi tutti gli aspetti della vita familiare, in quanto, se si
manifestano in un contesto, si presentano quasi invariabilmente nella maggior parte, se non in tutti i
contesti. L’assenza di una forte alleanza genitoriale relativamente all’educazione dei figli mina alla base la
capacità della famiglia di tracciare un percorso efficace e di successo per il proprio sviluppo. La situazione si
complica nel caso in cui i problemi comportamentali nell’adolescente siano influenzati da forze esterne alla
famiglia (quali ad esempio il gruppo dei pari ed i comportamenti stereotipati a cui il giovane è esposto fuori
da casa).Queste forze esterne socio-ambientali possono essere la causa per una piena ribellione da parte
dell’adolescente.
L’intervento BSFT ha l’obiettivo di modificare questi schemi di interazione, che impediscono alla famiglia di
avvalorare un efficace percorso di crescita del giovane lontano dai gruppi di pari antisociali e da
comportamenti esterni. Questo intervento include il ripristino della leadership genitoriale, creando innanzi
tutto una alleanza da parte dei genitori.
Analizzando la risonanza appare chiaro che, poiché il padre è escluso dall’alleanza madre/figlio, questi è
poco preoccupato da quanto accade all’interno di questa alleanza: dato che è escluso, è emotivamente
distante (disimpegnato) sia dalla moglie che dal figlio. In antitesi a ciò, la madre ed il figlio quattordicenne
sono molto uniti emotivamente e psicologicamente, in una verosimile relazione invischiante. In ogni caso,
indipendentemente dal fatto che ci sia o meno una relazione invischiante tra madre e figlio o che questi
siano disimpegnati nei confronti del padre, è ovvio che esistano differenze emotive e psicologiche tra padre
e madre e padre e figlio da un lato, e tra madre e figlio dall’altro.
In relazione allo stadio di sviluppo il ragazzo quattordicenne sembra poter essere gravato da responsabilità
emotive che più propriamente dovrebbero essere assegnate ad un coniuge, per il fatto, ad esempio, di
73
essere il confidente della madre. All’altro figlio non è permesso stare fuori casa la sera e questa è una
decisione opportuna, data la pericolosità del quartiere.
In questa famiglia il paziente designato è talvolta il figlio problematico e talvolta il padre isolato.
Nonostante l’ostilità che la madre e il figlio quattordicenne manifestano nei confronti del padre,
mantenendolo escluso dalla famiglia, sia la madre che il padre attribuiscono la responsabilità dei loro
problemi al figlio maggiore. Se il ragazzo non fosse un ribelle, la loro organizzazione, che prevede ruoli
separati, potrebbe giovare ad entrambi; purtroppo il conflitto tra i genitori non si risolverà, in quanto i
tentativi di appianare le loro divergenze di opinioni degenerano sempre in litigi.
IL PIANO DI TRATTAMENTO BASATO SULLA DIAGNOSI
Capire le caratteristiche delle interazioni familiari aiuta il counselor BSFT a definire il suo ruolo:
diagnosticare il problema nei termini della specifica dimensione delle interazioni familiari e quindi
implementare strategie per correggere il problema proprio all’interno di questo ambito. Spesso alcune
caratteristiche sono più problematiche di altre e necessitano di un intervento maggiormente focalizzato. Il
counselor ha diagnosticato che il problema dell’uso di droga del figlio maggiore va visto nei termini di un
inefficace controllo del suo comportamento derivato da:
Organizzazione: assenza di un sottosistema genitoriale sinergico. Alla madre e al padre devono
essere assegnate delle prescrizioni di cooperazione che li ricongiungano.
Organizzazione: alleanze improprie. Devono essere rinforzati le barriere tra la madre e figlio
maggiore.
Risonanza: confini disadattavi, in cui uno dei genitori è troppo vicino (invischiato) ai problemi del
ragazzo, mentre l’altro è troppo lontano (disimpegnato), sia dalla moglie che dal figlio. I confini
devono essere spostati in modo che i genitori si avvicinino l’un l’altro emotivamente ed
interattivamente, i ragazzi siano più in sintonia tra di loro ed esista una sana separazione tra
genitori e figli.
Stadio dello sviluppo: lo stadio dello sviluppo potrebbe essere inappropriato, in quanto il figlio
invischiato è gravato e confuso da un ruolo maritale (è il confidente dell’infelicità della madre nei
confronti del padre). Il counselor dovrebbe incoraggiare la madre e il padre a fungere
reciprocamente da sistema di supporto.
Paziente designato: il ragazzo invischiato è considerato dalla famiglia come il problema maggiore. Il
counselor deve spostare questa “attenzione” familiare, per poter aiutare tutti i componenti a
capire che è l’intero sistema, e non solo l’adolescente, ad essere parte del problema. Inoltre, i
membri della famiglia devono eliminare gli atteggiamenti negativi e sviluppare comportamenti che
consentano all’adolescente di sentirsi libero di agire in una maniera socialmente appropriata.
Contesto di vita: il paziente designato, ragazzo di quattordici anni, è coinvolto con un gruppo di pari
antisociali. La madre, il padre e il paziente designato dovrebbero negoziare delle regole e delle
“punizioni” per i comportamenti trasgressivi; inoltre i raccordi tra la famiglia e il mondo esterno
devono essere rinforzati: i genitori potrebbero maggiormente relazionarsi con i genitori dei
74
coetanei del figlio, per rendere più semplice e più efficace il controllo delle attività del proprio
ragazzo.
Risoluzione dei conflitti: alcuni conflitti familiari tendono a ripetersi senza trovare soluzione perché
ogni volta emergono divergenze; talvolta essi vengono evitati, ma più spesso degenerano in
reciproche accuse. Il counselor dovrebbe ridefinire l’interazione sul problema, ogni volta che i
componenti della famiglia tentano di evitarlo o di cambiare argomento, in modo che il conflitto
possa essere negoziato e risolto.
PRODURRE IL CAMBIAMENTO
Dopo aver diagnosticato il problema nella dimensione delle interazioni problematiche, il counselor è stato
in grado di indirizzare gli interventi direttamente in tal senso. Per prima cosa il terapeuta ha aiutato il padre
disimpegnato ad avvicinarsi a quel figlio a lui estraneo. Contemporaneamente ha avviato un dialogo sul
ragazzo tra il padre e la madre, per cercare di stabilire un’alleanza tra i genitori, basata sul comune
interesse nei confronti del loro figlio. Il passo successivo è stato quello di aiutare i genitori a negoziare delle
regole che, una volta implementate, avrebbero riportato sotto controllo il comportamento trasgressivo del
figlio. Nel momento in cui questi cambiamenti sono stati negoziati, la famiglia ha manifestato
frequentemente atteggiamenti volti ad evitare i conflitti e le degenerazioni; qualora questi si fossero
presentati il counselor avrebbe dovuto intervenire per riportare il tema della conversazione sul conflitto
originale. Nel processo, la famiglia ha acquisito nuove capacità nella risoluzione dei conflitti. Il padre e la
madre sono stati in grado di concordare delle regole e delle conseguenze per il comportamento del figlio
(paziente designato), e queste regole sono state discusse e negoziate tra il ragazzo e il papà e la mamma. In
definitiva, quando i genitori sono stati in grado di porre dei limiti coerenti, il comportamento
dell’adolescente è migliorato.
2° Caso Clinico: la Famiglia Hernandez
PRESENTAZIONE CLINICA
La famiglia Hernandez è stata indirizzata alla clinica dal Giudice Minorile al tempo del terzo arresto di
Isabelita, per possesso di droga. Isabelita ha 15 anni e vive con sua madre, genitore single e suo fratello
dodicenne. Poiché la madre parla solo spagnolo, il caso è stato assegnato ad un counselor BSFT ispanico,
che, nel prendere contatto telefonico con la famiglia, ha sentito in sottofondo le urla di una lite. Il terapeuta
ha parlato con la madre, che sembrava sopraffatta, e quando le ha spiegato che stava chiamando per
fissare delle sedute di terapia familiare, la signora Hernandez ha risposto con rabbia he lei non sarebbe mai
riuscita a convincere Isabelita a partecipare.
Il counselor ha chiesto alla signora Hernandez il permesso di andare a casa loro quando lei e Isabelita
sarebbero probabilmente state entrambe in casa. Poiché la signora Hernandez lavora come domestica
durante il giorno, l’appuntamento è stato fissato per 7 della sera successiva. Quando il terapeuta è arrivato
all’abitazione, ha trovato solo la madre e il figlio dodicenne. La signora Hernandez ha spiegato che Isabelita
75
spesso stava fuori con i suoi amici e non si poteva prevedere quando sarebbe rientrata a casa. Il figlio
dodicenne si è affrettato a confermare questo racconto ed ha aggiunto che Isabelita era sempre scontrosa
con la madre e che desiderava che sua sorella se ne andasse via da casa.
LA COSTRUZIONE DEL SISTEMA TERAPEUTICO
Il counselor ha iniziato a creare un’alleanza con la signora Hernandez, ascoltando la storia delle sue
difficoltà in questo paese e dei problemi con Isabelita: la donna ha raccontato di come si sentiva sopraffatta
dal comportamento della figlia e che non sapeva cosa avrebbe potuto fare. In realtà, lei ha detto “E’ tutto
nelle mani di Dio adesso”, come se non ci fosse nulla che lei avrebbe potuto fare. Dal racconto è emerso
come la signora Hernandez non avesse fissato regole ben definite, né conseguenze per il comportamento di
Isabelita; inoltre, è apparso chiaro che la maggior parte delle comunicazioni tra madre e figlia erano
connotate da rabbia, accuse e contrasti. La signora Hernandez aveva la sensazione che avrebbe potuto
discutere per ore dello stesso argomento senza trovare un accordo.
Isabelita torna a casa verso le 8.15 di sera e al terapeuta è apparso subito evidente che aveva un’andatura
barcollante, che il linguaggio era impastato e che gli occhi erano arrossati. La ragazza appena arrivata si è
precipitata diretta in cucina. Quando la signora Hernandez ha detto ad Isabelita “Vieni qua, c’è qualcuno
che è venuto per incontrarti riguardo al tuo arresto”, Isabelita ha risposto “Fottetevi, ho fame”.
La signora Hernandez è andata in cucina a servire la cena ad Isabelita urlandole “La tua cena è già fredda.
Hai fatto tardi. Noi abbiamo cenato due ore fa”. Le urla tra madre e figlia sono continuate per altri 10
minuti prima che il counselor entrasse in cucina, tentando di presentarsi ad Isabelita per stabilire un
aggancio. In questo primo incontro, il terapeuta si è limitato ad ascoltare ed a stabilire un contatto.
DIAGNOSI
Mentre il terapeuta ascoltava e cercava di stabilire un contatto, ha osservato anche le interazioni tra madre
e figlia, riuscendo a comprendere le interazioni familiari secondo le dimensioni diagnostiche BSFT di seguito
riportate.
Organizzazione
In questa famiglia c’è un problema di gerarchie e di leadership. Il paziente designato è in una posizione di
forza, mentre la madre è senza poteri, si sente sopraffatta e non ha alcun controllo sul comportamento
della figlia. Non c’è alcun sottosistema fraterno. Il figlio dodicenne è il terzo apice del triangolo con la
madre ed il paziente designato.
Risonanza
La famiglia è molto invischiata e l’invischiamento tra madre e figlia è caratterizzato da conflittualità ed
ostilità.
Stadio dello sviluppo
Tutti i membri di questa famiglia sembrano comportarsi a un livello di sviluppo inferiore a quello che
sarebbe opportuno per età e ruolo. Le richieste di accudimento della paziente designata a sua madre sono
76
quelle di un bambino più piccolo e la stessa paziente non collabora nelle attività domestiche. La madre
risulta sopraffatta e non sa come esercitare funzioni di controllo sulla ragazza. Il figlio maschio è troppo
legato a sua madre e troppo occupato a supportarla, non riuscendo così ad impegnarsi in attività ludiche e
sociali adeguate alla sua età.
Contesto di vita
La famiglia è da poco negli Stati Uniti e la madre non si è inserita nella società che la accoglie (non parla
inglese). La paziente designata trascorre la maggior parte del suo tempo con coetanei americanizzati che
fanno uso di droga e hanno comportamenti sessuali a rischio.
Il paziente designato
La ragazza è estremamente rigida, accentra le attenzioni su di sè con il comportamento negativo. Le
relazioni tra la paziente designata e gli altri membri della famiglia sono caratterizzate da un’intensa
negatività. La famiglia non ha identificato altri problemi o preoccupazioni.
Risoluzione dei conflitti
Lo schema tipico di interazione familiare è il conflitto continuo, senza risoluzione.
Discussione sulla diagnosi
Nella famiglia Hernandez la madre è sopraffatta e non è in grado di gestire il comportamento
tossicomanico della figlia. La ragazza, a sua volta, ha preso le distanze dalla famiglia e trascorre la maggior
parte del suo tempo in attività sessuali e con amici che usano droga. Quando la figlia è a casa, lei e la madre
si scontrano costantemente ed il fratello interviene per prendere le parti della mamma contro la sorella. Le
manovre di triangolazione del fratello servono solo ad isolare ulteriormente la paziente designata dalla
famiglia.
Nella diagnosi della famiglia Hernandez si devono prendere in considerazione anche i fattori culturali. Dal
loro arrivo negli Stati Uniti dalla Colombia 3 anni prima, i membri di questa famiglia si sono via via
allontanati l’uno dall’altro. Isabelita ha cominciato a imparare l’inglese ed a socializzare con i coetanei
americanizzati, mentre sua madre è rimasta socialmente e culturalmente isolata. La signora Hernandez ha
cominciato a sentirsi sempre più a disagio nei confronti del comportamento acculturato di Isabelita e delle
scelte dei suoi amici, ma il crescente divario tra madre e figlia ha scoraggiato la signora Hernandez dal
tentativo di limitare i comportamenti trasgressivi della ragazza. Al tempo in cui Isabelita era stata indirizzata
al trattamento, il sistema familiare era diventato completamente disfunzionale e la signora Hernandez
aveva ceduto la quasi totalità del suo potere e della sua autorità alla figlia.
Il Piano di Trattamento Basato sulla Diagnosi
Generalmente il paziente designato viene approcciato per primo, per poi coinvolgere tutta la famiglia nel
trattamento. In questo caso, peraltro, Isabelita non ha rappresentato un problema ad aderire alla terapia:
sebbene arrabbiata e ribelle ha sempre partecipato, desiderosa di esprimere le sue lamentele e i suoi
sentimenti. Il terapeuta inizia così a coinvolgere sia la madre che la paziente designata. Nella terapia è
importante lavorare fin da subito per ricostruire la gerarchia familiare disfunzionale e, sostenendo la
madre, il terapeuta vuole aiutarla ad interrompere il circolo del conflitto con la figlia, in modo che possa
riprendere il controllo. Essenzialmente il counselor deve aiutare la madre ad assumersi un ruolo genitoriale
77
appropriato. I tentativi di triangolazione del fratello devono essere bloccati, permettendo a madre e figlia di
risolvere le proprie questioni in maniera diretta, solo tra loro due. Questo permetterebbe anche al fratello
di impegnarsi in attività più appropriate alla sua età. Il comportamento trasgressivo di Isabelita deve essere
riformulato come un grido di aiuto, al fine di cambiare il tono affettivo del suo rapporto con la madre e di
consentire loro di interagire in maniera più positiva.
Il piano di trattamento che il counselor BSFT ha formulato per la famiglia Hernandez considera tutte le sei
dimensioni strutturali introdotte nel Capitolo 3:
Organizzazione: esiste una gerarchia disfunzionale, nella quale la figlia detiene il potere e la madre
risulta impotente e sopraffatta. Il potere deve essere trasferito nuovamente alla madre.
Organizzazione: il figlio è all’interno di una relazione triangolata tra madre e figlia e che è
necessario interrompere.
Risonanza: la madre e la figlia sono invischiate in una relazione conflittuale ed esplosiva; il
comportamento della figlia deve essere riformulato come un richiamo per cercare di contribuire a
ridurre la negatività.
Stadio dello sviluppo: il comportamento della figlia a casa risulta immaturo ed esigente, il figlio
interpreta il ruolo di “partner della mamma” e la madre non assume appropriate forme di
leadership genitoriale. Alla figlia si deve suggerire come esprimere le proprie emozioni, la madre
deve essere incoraggiata a suscitare ed avvalorare le emozioni della figlia e al figlio deve essere
richiesto di partecipare ad attività sociali più appropriate alla sua età.
Paziente designato: la figlia viene identificata come la causa dei problemi della famiglia ma il
problema riguarda l’intera famiglia e devono essere modificati gli schemi di interazione familiare.
Contesto di vita: le differenze di integrazione culturali vanno a introdurre disaccordi nel rapporto
genitore-adolescente e ad aggravare la distanza tra la madre e la figlia. Il counselor deve aiutare
entrambe a “rimanere sulla stessa pagina” nelle loro interazioni.
Contesto di vita: la figlia sta legandosi con pari ad alto rischio. Quando l’autorità sarà trasferita
nuovamente alla madre, questa deve incoraggiare la figlia a scegliere compagnie diverse, operando
una selezione delle amicizie.
Contesto di vita: la madre e il figlio sono socialmente isolati. La madre ha bisogno di impratichirsi
con la lingua inglese e con la cultura americana ed il figlio deve frequentare dei coetanei.
Risoluzione del conflitto: la madre e la figlia tendono a gridare e ad insultarsi reciprocamente senza
trovare alcuna risoluzione. Alla famiglia deve essere insegnato come rimanere in argomento e
come risolvere le questioni senza lasciare la stanza o ricorrere ad attacchi personali.
78
PRODURRE IL CAMBIAMENTO
Una settimana dopo, il terapeuta si è presentato per una seconda seduta e si è verificata nuovamente una
situazione analoga, con Isabelita che arriva a casa tardi, chiaramente sotto effetto di sostanze. Il counselor,
che aveva già stabilito una relazione terapeutica con tutta la famiglia, stando seduto con la signora
Hernandez ad aspettare l’arrivo di Isabelita, ha utilizzato questo tempo per consigliarle un modo differente
(in maniera, cioè, opposta alla precedente) per rispondere alla figlia al suo rientro a casa in ritardo. Nella
BSFT, la terapia può essere condotta con membri di una famiglia, anche quando il paziente designato non è
presente, come in questo caso. Il terapeuta ha perciò preparato la signora Hernandez a rimanere calma, a
non permettere ad Isabelita di ingaggiare con lei una violenta lite verbale, a non provvedere od aiutarla per
la cena. Quando Isabelità è arrivata, la sua cena era già stata riposta nel congelatore: entrata in casa la
ragazza, come al solito, si è recata direttamente in cucina chiedendo da mangiare. Incoraggiata dal
terapeuta, la signora Hernandez ha continuato a rimanere seduta nel salotto, che, nella loro piccola casa, è
proprio attaccato alla cucina. Allora Isabelita, ritornata nella stanza, ha cominciato a gridare con la mamma
per la cena. La madre a sua volta di rimando le ha urlato “Sei una drogata”, dando inizio ad una nuova serie
di recriminazione e colpevolizzazioni. Il terapeuta si è alzato, si è avvicinato alla signora Hernandez, ha
messo la sua mano sulla sua spalla e ha detto “Deve rimanere calma e non permettere che sua figlia la
controlli con questo attacco”. Dopo parecchi interventi di questo tipo, la signora Hernandez finalmente si è
rivolta al terapeuta dicendo “Sto cercando di farlo, ma è molto dura”. Questa dichiarazione ha
rappresentato il primo passo della signora ad accettare l’aiuto del terapeuta per cercare di togliersi da una
relazione conflittuale con sua figlia. Inoltre, quando il figlio ha tentato di intervenire, il counselor ha
incoraggiato la madre a tenerlo in disparte, escludendolo dal conflitto.
Isabelita ha continuato a gridare contro sua madre senza ottenere una risposta per altri 15 minuti, prima di
precipitarsi in camera sua come una furia. Non essendo stata capace di innescare una lite con sua madre e
suo fratello, si è sentita frustrata e ci ha rinunciato. Dopo aver fortemente sostenuto e lodato la madre per
aver controllato la situazione ed evitato la lotta, il terapeuta ha spostato la conversazione ad un livello
successivo, descrivendo altre modalità con cui Isabelita avrebbe potuto “spingere i bottoni di sua madre” e
quindi ha dato alla signora Hernandez delle indicazioni su come avrebbe potuto utilizzare le capacità
appena apprese, per affrontare anche queste altre situazioni.
Questi grandi progressi sono avvenuti in una singola seduta, ma è chiaro che questi miglioramenti
dovranno essere seguiti ed implementati quanto prima possibile. Il terapeuta ha detto alla signora
Hernandez “Siamo in grado di migliorare ulteriormente le cose se ci incontriamo di nuovo tra pochi giorni”,
e ad Isabelita “Vedi, queste lotte tra te e tua madre non dovrebbero accadere. Se sei d’accordo con l’avermi
nuovamente qui la settimana prossima, possiamo continuare a lavorare per portare la pace nella tua vita”.
In questo modo, madre e figlia si trovate d’accordo di attuare la settimana seguente un’altra seduta.
All’inizio della seduta successiva, il counselor ha analizzato i miglioramenti avvenuti la settimana
precedente, sottolineando come la signora Hernadez e Isabelita avessero fatto dei progressi sulle loro liti. Il
terapeuta è intervenuto per bloccare i tentativi del fratello di triangolarsi nelle interazione tra madre e
sorella e nel corso della seduta ha elogiato la signora Hernandez ogni volta che ha evitato di scontrarsi,
quando invece non c’è riuscita, si è posto nei suoi confronti con un atteggiamento empatico (“Ho capito
quanto sia difficile, ma so che ci ha provato”). Il counselor inoltre ha ampiamente elogiato Isabelita per la
sua capacità di seguire l’esempio della madre nell’evitare uno scontro, (“per te così sconvolgente”). In
79
questo modo il terapeuta, essendo riuscito a realizzare dei cambiamenti nel loro rapporto, ha ottenuto la
fiducia di entrambe. Il counselor, avendo raggiunto l’ importante risultato di rendere la madre in grado di
controllare le interazioni, è stato in grado di affrontare il passo successivo: la negoziazione delle regole e
delle conseguenze in caso di trasgressione. Il terapeuta inoltre ha iniziato a rinforzare i cambiamenti
comportamentali, seppur minimi, di Isabelita, esprimendo un apprezzamento empatico “comprendo
quanto questo debba essere difficile per te”. Nei confronti della signora Hernandez il counselor ha giocato
n ruolo attivo, per aiutarla ad assumersi un ruolo genitoriale più appropriato, elogiando i suoi progressivi
tentativi nel gestire la figlia e nel saperle fissare dei limiti; inoltre costantemente ha riformulato il
comportamento trasgressivo di Isabelita come una richiesta di aiuto ed una espressione di malessere.
Nel tempo, gradualmente, il comportamento trasgressivo di Isabelita ed il suo uso di stupefacenti sono
diminuiti; la signora Hernandez ha imparato ad aiutare la figlia, a rimanere calma e a non innescare dei
conflitti, nel caso Isabelita mettesse in atto delle provocazioni. La ragazza ha iniziato a manifestare le sue
recriminazioni sotto forma di un rispettoso disaccordo, piuttosto che di un attacco ostile. Il fratello,
sentendo che la tensione tra la sorella e la madre si riduceva, lentamente si è tolto dalla relazione
triangolare e ha iniziato a ricercare delle attività sociali proprie.
80
Scarica

Manuale di terapia per la tossicodipendenza Terapia breve