DEL POPOLO
il pentagramma
ce
vo
/la
.hr
dit
w.e
ww
&
Cantus noster gaudium magnum
musica
An
no
007
2
III •
e
mbr
n. 7 •
Mercoledì, 28 nove
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentilissimi,
quale novembre canterino per la
nostra Comunità! Tra la rassegna dei
cori lussignana e la manifestazione umaghese Canti, suoni e voci degli
italiani, d’Istria, Fiume e Dalmazia»
c’è stato un dispiego di forze canore e
strumentali davvero imponente e incoraggiante. Eventi di successo sotto
tutti i profili che per l’ennesima volta
hanno evidenziato la grande vitalità e
ricchezza culturale e musicale di base
della CNI che rappresenta un bene
prezioso (non scontato), un veicolo di
trasmissione e consolidamento della
nostra cultura e tradizione, come pure
un momento di grandissima coesione comunitaria. In queste liete feste di
casa nostra le sedi comunitarie straripano di pubblico e di esecutori facendoci sentire più vicini, più forti e fiduciosi. Insomma, cantare fa bene alla
nostra anima, alla nostra identità ed al
nostro comunitario esistere.
Tuttavia, mi permetto un piccolo
suggerimento: al variegato repertorio
delle nostre brave corali andrebbe aggiunto pure quello del Rinascimento,
fortemente vincolato alla Grande Cultura squisitamente italiana, agli Eccelsi
Musici del Quattrocento, Cinquecento
quali Luca Marenzio, Carlo Gesualdo
da Venosa, Giovanni Pierluigi da Pale-
strina e altri. Un repertorio fondamentale che inevitabilmente determina un
salto di qualità e senza il quale non si
può parlare di autentica cultura corale.
Ma le sfide sono il sale della vita!
In occasione della Giornata degli
artisti premiati a Istria Nobilissima
2006/2007, tra tante letture e saggi letterari, è stata offerta pure una fuggevole visione della creatività musicale in seno alla CNI. Possiamo pure
comprendere che il segmento musicale (composizione), come si presenta al
momento attuale, non possa interessare più di tanto; e cioè svincolato da
riferimenti letterari e visivi dei poeti
e pittori connazionali e in quanto tale
non portatore di una valenza identitaria. Una virata decisiva nel senso di
una specificità musicale nostra può
provenire unicamente dalla riformulazione delle norme di Istria Nobilissima
inerenti alla categoria musica, norme
che implichino l’uso di testi poetici nostrani, di temi dei grandi compositori
istriani del passato e di motivi pittorici
degli artisti della CNI. Luigi Donorà,
illustre compositore di origini dignanesi - che però con Istria Nobilissima non c’entra nulla - l’ha già fatto;
Con il ciclo di liriche “Fiori de lata”,
con il brano strumentale “Là dove il
Quarnero”, tramite le liriche per can-
to e pianoforte su testi della Forlani,
di Scotti, e di Schiavato; autentiche
piccole gemme degne di entrare nel repertorio internazionale della musica
da camera. È questione di “visione”.
La “veggenza”, la lungimiranza sono
carismi particolari.
Ah, ma non dimentichiamoci il 125
esimo della dipartita di Wagner! La
Scala il 7 dicembre metterà in scena
il “Tristano e Isotta”. C’è stato anche
a Zagabria, ma a Fiume Tristano non
ci sarà. Definitivamente. Perché “non
ci sta”, non ci sta proprio. Non che sia
ingrassato; è che il Teatro “ mi si è ristretto”. O meglio, la “fossa” ( termine
emblematico eh?) orchestrale. L’hanno tagliata, a fette; durante l’ultima
ristruttazione. Per fare posto alla “rotativa”, cioè alla scena rotante. E hanno detto: “Chi s’è visto, s’e’ visto. Chi
ha avuto, ha avuto; quelli della fossa (e hanno fatto le corna) si arrangino. E anche Wagner, che il Reno se
lo porti!”. E così ci hanno salvato per
sempre dalle invasioni barbariche delle orchestrone teutoniche di quel megalomane di Bayreuth. (“Adieu, adieu,
mon cher Tristan!) Ma una soluzione
ci sarebbe e si chiama “soluzione stratificata”, o “ingegneria spaziale-acrobatica”. Dunque, mettiamo i secondi
violini a cavalcioni dei primi, le viole
a cavalcioni dei violoncelli, i flautisti
si possono accomodare sull’apertura
a tazza delle tube nibelunghe, quando
non “tuonano”. Quando invece devono “tubare”, i flautisti si aggrappino
sul bordo del proscenio con il flauto
tra i denti, in posizione fetale, in apnea (con gran giovamento dei bicipiti
e del diaframma. Poi possono riatterrare. Sulla tazza. De-li-ca-ta-men-te!
Altrimenti potrebbero ‘ostruire’ le tube
e strozzare i tubisti). E voilà, il problema è risolto!
Ma “l’Olandese volante” ci starebbe di sicuro! Prima di tutto perché l’orchestra teutonica del giovane
Wagner è numericamente rarefatta;
secondo, essendo “volante”, l’Olandese svolazzerebbe appunto per il teatro
(come il fantasma dell’Opera) senza occupare nemmeno un millimetro
cubo di scena, dietro che le cui quinte,
alla bisogna, si potrebbero collocare i
secondi violini ( che comunque – zumpazumpa- non servono a niente.)
Ma che ce ne può importare di Wagner! Noi si aspetta “spasmodicamente” “L’ape Maja” di Bruni Bjelinski,!,
premiere d’opera per l’infanzia che
rientra nel segmento educativo del Teatro fiumano! (Pregasi portare seco pomata antipuntura! Poi ne riparliamo.)
Insetticidamente Vostra
2 musica
Mercoledì, 28 novembre 2007
VITA NOSTRA La CI di Isola si fregia di una variegata attività musicale
Una Comunità protesa al futuro
di Astrid Brenko
ISOLA - Il coro misto della Comunità degli italiani “Pasquale Besenghi degli Ughi “di Isola prende
il nome dall’antica denominazione
latina della cittadina istriana. Costituito nel 1975, è il gruppo storico
ed un’istituzione di base per la Comunità isolana.
Il coro è diretto dal maestro
Giuliano Goruppi che ha studiato canto con Fabio Cavalli e Andrea Von Ramm. È diplomato in
Composizione corale e direzione
di coro. Attualmente dirige il gruppo corale “Voci della tradizione” di
Trieste, il coro “Contrà Camolli” di
Sacile e il nostro coro misto “Haliaetum “ di Isola.
Il gruppo sostiene regolarmente
concerti in Slovenia, Croazia, Austria e Italia. Annualmente partecipa ad una ventina tra concerti e
rassegne musicali.
Dal 1986 il coro partecipa al
“Concerto dell’Amicizia”: un incontro divenuto ormai tradizionale
e che vede a confronto tre cori di
tre diverse città e realtà regionali;
il coro misto “Haliaetum” Isola, il
“Komorni pevski zbor” di Celje e
il coro “Foltej Hartman” di Bleiburg (Austria). A rotazione, il concerto si svolge a Celje, l’anno dopo
a Bleiburg e l’anno successivo ad
Isola.
Altri due sono gli appuntamenti divenuti tradizionali e che vedono il coro “Haliaetum” in veste di
ospite di casa e sono: “L’Incontro Internazionale di Cori” arrivato quest’anno alla XX edizione e
il “Concerto di Primavera” (XVI
edizione).
un compositore e direttore di coro
di fama ed interesse prettamente
locali, ma che si può sicuramente considerare uno dei massimi
esponenti della cosiddetta scuola
compositiva triestina. Scrisse alcune opere teatrali e sinfoniche, e
si dedicò intensamente alla musica
corale con composizioni di genere
sacro e profano; fu uno dei primi
Ughi” va evidenziato l’operare
dei laboratori canori, di impostazione vocale come pure i corsi di
tastiere elettroniche, chitarra ed
altri strumenti. I corsi si svolgono nell’arco dell’anno, ma l’attività viene concentrata soprattutto durante le vacanze scolastiche,
quando i bambini e ragazzi non
sono tanto impegnati con lo studio.
Due sono gli appuntamenti
musicali divenuti tradizionali
che vedono il coro «Haliaetum»
in veste di ospite di casa e sono:
«L’Incontro Internazionale
di Cori» arrivato quest’anno
alla XX edizione e il «Concerto
di Primavera» (XVI edizione)
Viva la Musica!
A conclusione dell’anno, per
la gioia di tutti, i piccoli musicisti
si presentano con il saggio finale
o esibendosi negli spettacoli organizzati nell’ambito della Comunità e al di fuori di essa, e dedicati
ai più piccoli ed ai giovani dando
prova dei progressi compiuti durante l’anno.
Le manifestazioni organizzate dalla nostra Comunità rivolte ai
giovani e che sono motivo di pre-
Serata musical-letteraria
L’intensa attività del “Haliaetum”
Per l’anno 2008 sono previste
uscite a Buttrio, Bussolengo, Percoto e Trieste nonchè di sostenere
dei concerti presso le nostre Comunità dell’Istria e di Fiume con
il progetto intitolato “Omaggio ad
Antonio Illersberg”. Antonio Illersberg (Trieste, 1882 – 1953) è stato
compositori in Italia a dedicarsi in
maniera significativa all’elaborazione di temi popolari per coro, tra
cui le rapsodie “Vecia Trieste canta”, a voci miste e virili.
Largo all’infanzia ed alla gioventù!
Nell’ambito della ricca e variegata attività musicale della Comunità “Pasquale Besenghi degli
stigio e di crescita comune sono
“Viva la musica“, “ Il ballo delle
maschere“, “Canzoni sotto l’albero“ , “Arriva Babbo Natale“.
Felice e originale connubbio
tra Lettere e Musica
In seno al Gruppo letterario
guidato da Manuel Maurel operano dei veri professionisti; ne fanno
parte una pianista, un soprano, un
tecnico del suono, tre recitatori ed
un regista.
Oltre alla nota rappresentazione “Oltre la siepe vedo in tormento degli ulivi”, presentata a Palazzo
Nell’ambito dell’attività musicale
della Comunità «Pasquale
Besenghi degli Ughi»
va evidenziato l’operare
dei laboratori canori,
di impostazione vocale come pure
i corsi di tastiere elettroniche,
chitarra ed altri strumenti
Manzioli, ma anche in diverse Comunità dell’Istria, i protagonisti si
cimentano in serate letterarie preparando letture coadiuvate da musiche, come la serata dedicata al
noto poeta isolano, Pasquale Besenghi degli Ughi, ricordandolo nei
210 anni dalla nascita.
Sempre il gruppo letterario ha
ricordato anche la figura e l’opera
Frutto della sinergia tra Gruppo
Letterario e sezioni musicali sono
delle serate di lettura d’autore
coadiuvate da musiche, come
quella dedicata al noto poeta
isolano, Pasquale Besenghi
degli Ughi in occasione
dei 210 anni della nascita
Il coro misto “Haliaetum”
di Giosuè Carducci, primo premio
Nobel italiano per la letteratura, nel
centenario della morte.
Per l’anno venturo si prevede
la preparazione di una raccolta di
brani e scene tratte dalla letteratura
umoristica, arricchiti da variazioni
musicali.
Un’altra novità per l’anno 2008
sono le serate NON C’E’ VERSO
- parole e musiche. Serate che vogliono essere un’ occasione per avvicinarsi ad una geografia dell’anima e della mente, dove i luoghi da
frequentare corrispondono al desi-
derio ed alla necessità degli autori, dei musicisti, dei poeti presenti,
del pubblico. Un progetto che vuole proporre idealmente un viaggio
nel mondo dell’arte letterari e musicale.
Le nostre sezione musicali,
inoltre, nell’ambito della propria
attività, ospitano pure gruppi di altre Comunità e realtà, offrendo loro
spazio e occasione di presentarsi al
nostro pubblico, sempre presente,
e a tutti coloro - sempre tenendo
conto delle nostre possibilità e disponibilità materiali - che desiderano in qualche modo sostenere anche moralmente la Comunità isolana. Comunità che cerca in vari
modi di mantenere vivo lo spirito
di appartenenza, ma anche, in qualche modo, di premiare lo sforzo e
l’impegno che comporta il mantenimento di una realtà non sempre
facile, come quella riguardante la
cultura della nazionalità italiana.
I minicantanti
Mercoledì, 28 novembre 2007
MUSICAINTAVOLA Al Circolo delle Generali un miniflash sulla Stagione dell’Ente Lirico
Presente e futuro del Teatro Verdi
di Fabio Vidali
TRIESTE - L’inaugurazione
della nuova Stagione Lirica del
Teatri Verdi di Trieste è stata preceduta da un’interessante tavola
rotonda al Circolo delle Assicurazioni Generali triestino. Titolo:
“Presente e futuro del Teatro Verdi di Trieste”. A tale convegno,
che prevedeva in coda un libero
dibattito con il pubblico presente in sala, hanno partecipato, in
ordine d’entrata, il direttore dello Stabile di Prosa “Il Rossetti”
Antonio Calenda, i cronisti musicali Rino Alessi e Gianni Gori ed
il sovrintendente del Teatro Verdi Giorgio Zanfagnin. Moderatore ed intervistatore il giornalista
Giorgio Cesare che ha introdotto
i relatori ed avviato il dibattito.
Grande curiosità nel salone,
anche perché, in sede di conferenza stampa, non s’era dato spazio proprio al consueto dibattito ed ai giornalisti non era stato
chiesto altro, se non di fare i portavoce di quanto appreso “ex cathedra”.
La curiosità era anche stuzzicata dall’annunciata partecipazione del direttore del Rossetti,
il regista Antonio Calenda, il cui
inserimento lasciava chiaramente
intendere che, nel “presente e futuro” del Teatro Lirico, anche la
Prosa del Rossetti avesse la sua
parte. Quale Presidente del Circolo, ha fatto gli onori di casa il
poeta Claudio Grisancich.
lità. Così la pensava invece il
grande Maestro istriano Luigi
Dallapiccola che “riabilitava” la
“validità musicale” anche della
più bolsa librettistica per la sua
espressività musicale in un “gergo” particolare, sposato indissolubilmente alla vicenda e allo spirito della narrazione. Un “gergo”
che va “difeso” per essere pienamente “compreso”. Difesa non
necessaria, invece, per l’antico
“Gramelot” della Commedia dell’Arte, fatto di un guazzabuglio
di varie lingue che, proprio attra-
suo giudizio “di caso in caso”.
Una posizione che implicitamente suonava come un rifiuto
alle motivazioni di Calenda, rifugiandosi sull’occasionalità del
giudizio personale, ovvero sulla funzionalità o meno di ogni
“aggiornamento”. Una posizione
senz’altro più accomodante e non
sorretta da precise convinzioni
etico estetiche; tale da non innescare alcun dibattito.
Al moderatore non rimaneva
che proporre al critico un altro
tema: “ritiene che Trieste sia anco-
Un illuminante
intervento
Ad Antonio Calenda, il moderatore Cesare aveva suggerito il
tema delle “regie del melodramma e del teatro musicale”; tema
oggi molto dibattuto e controverso, sia fra gli “addetti ai lavori”
che fra il normale pubblico, divisi nettamente fra i fautori dell’”aggiornamento” (spesso e volentieri mistificante) e fra i sostenitori della “tradizione”.
Calenda, dopo un’iniziale ed
irrinunciabile denuncia delle difficoltà frapposte alla “penetrazione” delle produzioni del “Rossetti” in regione, concretatesi in
un vero e proprio “ostracismo”,
mentre questo teatro triestino e
“regionale” trionfa in trasferta
nelle più importanti sedi nazionali e su tali trionfi basa la sua stessa sopravvivenza ed indipendenza economica che le sovvenzioni
regionali e nazionali non gli consentirebbero, è entrato appassionatamente nel tema “regie” propostogli.
Ha fatto una chiara distinzione
fra le più “permissive” regie della Prosa e quelle ben più “vincolanti” dell’Opera e del teatro musicale in genere, vincoli dovuti
proprio alla presenza della Musica, una dimensione di “astrazione” che non tollera “aggiornamenti” in chiave naturalistica,
cronachistica o veristica. Perché
il “linguaggio” operistico è una
convenzione che diventa sostanza, poesia e fascino irripetibili,
proprio per l’atemporalità della
Musica che ne fa l’unica forma
di teatro in cui si ama, si soffre,
si odia, si combatte e si muore a
suon di Musica e Canto, col risultato incredibile di rendere più
coinvolgenti del più crudo “verismo” i sentimenti e le passioni
così espressi.
A pochi “musicisti” si può
oggi accreditare simile sensibi-
“città prosaicissima”? Sembrerebbe di sì.
Toccava poi al critico Gianni Gori che il moderatore Cesare
cercava di impegnare in un giudizio “consuntivo e preventivo”
sull’attività del Teatro Verdi. Il
critico declinava l’offerta definendola un compito “più ragionieristico che artistico”, preferendo lodare senza riserve le scelte
operate per la nuova Stagione
Lirica, perché “uscite finalmente
dal consueto repertorio museale”,
proponendo anche alcune “novità” del Novecento, come due
operine, una di Weill e Brecht e
l’altra di Bernstein, in un’unica
serata. Giudizi recepiti dal sovrintendente Zanfagnin come un
autentico balsamo.
Per obiettività sarebbe da ricordare che, sin dal primo dopoguerra, nelle gestioni dei maestri
Barison, Antonicelli, Zafred, de
Banfield, Vidusso, non mancarono alcune scelte “attualizzanti”,
oltre al solito “repertorio museale”, generalmente molto più “mirate” in campo internazionale ed
anche locale, e che la “museificazione” trionfò, invece, dopo la
trasformazione degli Enti Lirici
in Fondazioni private, a seguito
dell’incostituzionale “Riforma
Veltroni” che portò al progressivo azzeramento dei teatri lirici,
delle orchestre e dei Conservatori italiani.
Ma ricordare ciò non è certo producente per la carriera di
chi lo fa e perciò stesso diventa oggetto dell’ostracismo di chi
attualmente comanda. Più “saggio”, certo, incensare chi provvisoriamente occupa le posizioni di
vertice, e prepararsi ad incensare
chi loro succederà.
Vietato parlare
al manovratore
Dulcis in fundo, la parola è
passata all’attuale sovrintendente del Verdi, Giorgio Zanfagnin.
Non si può disconoscere che la
sua gestione sia appassionatamente attiva ed abbia portato rilevanti risultati. D’essi il primo,
evitare il commissariamento del
Teatro Verdi, sorte toccata, invece, al S. Carlo di Napoli. Ma deverso il “suono” e il timbro delle
parole inventate, era ed è internazionalmente compreso.
La controprova, nella difficile
rappresantibilità, oggi, delle tragedie alfieriane, proprio a causa
d’un linguaggio tanto datato ed
aulico da risultare da solo incomprensibile agli italiani d’oggi. Col
supporto d’appropriate musiche,
anche le tragedie alfieriane forse
sarebbero facilmente comprese
con naturalezza. Perciò l’Opera
Lirica è l’unica “tragedia popolare italiana”: l’unico contributo
italiano al genere tragico d’universale comprensione.
Un’ultima chicca in chiusa: puntare sull’”originalità delle proposte, come l’intuizione di
una serie d’interventi “corali musicali”. Il coro dovrebbe essere
quello del Teatro Verdi, su musiche appositamente composte, forse dal Piovani.
La parola ai critici
Il moderatore riproponeva
quindi il quesito sulle regie liriche al critico Rino Alessi che rifiutava di condividere l’opinione
drastica del Calenda, dicendosi
più possibilista e rimandando il
Chiara distinzione fra le più
«permissive» regie della Prosa
e quelle ben più «vincolanti»
dell’Opera e del teatro musicale
in genere, vincoli dovuti proprio
alla presenza della Musica,
una dimensione di «astrazione»
che non tollera «aggiornamenti»
in chiave naturalistica,
cronachistica o veristica
ra una città musicalissima?”. Così
la definiva, in un suo libro, il grande violinista Cesare Barison, alludendo alla Trieste dei suoi tempi.
In perfetto stile “bipartisan”,
il critico interpellato rispondeva che la città era da ritenersi
ancora una “città musicale”. Il
superlativo assoluto apparteneva invece ai tempi di Barison
e la città l’avrebbe perduto per
motivi economici a favore della
Prosa, ben più facilmente praticabile dalle masse. Una Trieste
terminante è stato l’allineamento
dei pianeti fra potere politico regionale e vertice teatrale. Grazie
a tale allineamento, la Regione
ha scucito a favore del teatro un
prestito multimiliardario senza
interessi; fatto impensabile prima, quando i due pianeti erano
in fase di opposizione. Che Zanfagnin, da abile promotore finanziario, abbia saputo indirizzare
positivamente questa risorsa, va a
tutto suo merito. Riconoscerlo ed
enfantizzarlo sarebbe dovere del
cronista onesto, meno elegante lo
faccia l’interessato. Egli stesso ne
ha dato atto alla regione, contrapponendosi alle severe critiche riservatele dal Calenda, ed ha mirato le sue critiche al Comune (di
segno opposto) e alla Provincia,
rei di assegnare troppo scarsi fondi al Teatro.
Ha allineato i successi (di sbigliettamento) della grama Stagione Sinfonica, l’attivo del Festival
dell’Operetta, le positive conferme degli abbonamenti. Ha precisato i costi della gestione ordinaria quotidiana del Teatro Verdi
(100 mila Euro al giorno), l’aumento degli sponsor, la progressiva “penetrazione” nel territorio
regionale, l’inclusione nel Festival di Cipro con una produzione
di “Bohéme”, le molte audizioni
di giovani cantanti effettuate e
una serie di lezioni programmate per istruire i docenti elementari e medi sì da prepararli a spiegare la Lirica ai loro discenti cui,
fra l’altro (prove riservate ecc.)
sarà dedicata una produzione di
“The Fairy Queen” di Purcell, inscenata anche con la loro diretta
partecipazione. Iniziative degna
d’ogni lode.
Ha avocato a se stesso ogni
scelta e responsabilità per il nuovo Cartellone Lirico, pur riconoscendo, in subordine, i meriti
del direttore artistico e del relativo staff. Ha rivendicato per sé
l’orgoglio di considerarsi “il primo impiegato del Teatro, colui
che inizia a lavorarvi per primo
ed è l’ultimo ad uscirne quotidianamente”. Lo diceva anche
l’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo che, malgrado ciò,
non riuscì ad evitare il crollo del
suo impero. Facciamo le corna,
naturalmente, che ciò non si ripeta per il Teatro Verdi.
Breve, data l’ora ormai “canonica”, lo spazio concesso al
successivo dibattito, portatore di
giudizi generalmente positivi riguardo alle scelte del prossimo
cartellone lirico. Vi è emerso anche qualche appunto e qualche
costruttivo suggerimento. Zanfagnin li ha graditi, come fossero
punture d’una tarantola molesta.
Col grido di “datemi i soldi e lo
farò: adesso devo andare a lavorare in teatro”, è uscito precipitosamente.
In fondo gli si chiedeva, per il
futuro, maggiore attenzione per
la Musica ed i musicisti d’ogni
tempo della nostra area geografica (cui tale attenzione non certo era mancata in altre gestioni)
magari “a spese” di Weill, Brecht e Bernstein, non certo bisognosi del palcoscenico triestino,
con produzioni d’eguale o minor
costo per il teatro. Sottolineando,
in conformità con i suggerimenti e l’esempio dato dal Calenda,
l’”originalità” culturale ed anche
attrattiva turististicamente, d’una
rivalutazione e riscoperta di talenti nostrani che l’innata passività esterofila dei nostri vertici ha
da sempre condannato all’esilio
in Paesi più accoglienti ed intelligenti ed al nostrano oblio. Rivendicando loro il dovuto posto
nella Storia della Musica europea
ed anche mondiale. Se programmata organicamente seriamente
e filologicamente, tale riscoperta
potrebbe essere una carta vincente. E stupire tutti. Qui e soprattutto “fuori”.
Solo sui mezzi di trasporto
pubblici è “severamente proibito
parlare al manovratore”.
4
Mercoledì, 28 novembre 2007
Mercoledì, 28 novembre 2007
5
IL PERSONAGGIO Il frastagliato percorso musicale di Luigi Donorà e il suo permanente affetto per la terra natale, sua prima linfa vitale e fonte d’ispirazione
La musica, realtà atemporale che parla all’uomo di tutti i tempi
di Patrizia Venucci Merdžo
FIUME – Dignanese di nascita, torinese d'elezione, musicista
per scelta e vocazione Luigi Donorà, personalità versatile, curiosa,
di apertura mentale cosmopolita ma
con un pezzetto d'Istria sempre nel
cuore, si racconta con la generosità
e la vivezza della persona costantemente volta all'azione, ai progetti del futuro e tuttavia ricca di se-
Ho frequentato l’Accademia di
Musica Chigiana proprio per approfondire le varie correnti e vedere in
che direzione avrei potuto muovermi, secondo la mia preparazone e
sensibilità. L’opera, la voce umana,
sia corale che solistica mi è sempre
stata vicina e la parola,il testo hanno sempre rappresentato un supporto e uno stimolo importantissimo, in
Logicamente, come musicista
io desidero ritenermi un compositore europeo, mondiale, però giustamente ho voluto dare il mio tributo all’Istria; un contributo sentito
come un dovere morale.
Può parlarmi delle sue composizioni specificamente‘istriane’, in particolare di 'Fiori de
lata'?
“Fiori de lata” è un ciclo di tre
liriche per voce e pianoforte: “El
pianto de me mama”, “L'altarin de
me pare” e “La tera arada'”. Nella
prima lirica parlo della tristezza di
mia madre per la miseria che c'era
nel dopoguerra. Ricordo che ci arrivavano i pacchi UNRA con tante
leccornie, e per noi bambini era festa. 'L'altarin de pare' è un omaggio
a mio padre. In Istria tutti i contadini avevano in casa un altarino.
Noi avevamo uno con la statua del
Cuor di Gesù. Nella lirica io chiedo
E' tutta una presa in giro. Un
bluff. Come la musica e l'arte contemporanea. Bisogna stare molto
attenti.
Tutto è cominciato con John
Cage, che ha preso in giro tutti
quanti; altrocché Satie, che era un
musicista. Beninteso, io sono molto
interessato all'esperimento, all'innovazione. Ho scritto infatti delle pittografie musicali per pianoforte tentando una nuova forma di notazione
Considero la musica in quanto tale «atemporale»
per cui attuale, ieri come oggi. L’arte, la pittura,
la musica, la poesia create magari in epoche passate,
non appartengono al «ieri», sono sempre «adesso»,
sono sempre «presente», anche se il modo di percepirle
può essere diverso
dimenti di uno stratificato retaggio
spirituale costruito nel tempo e poggiante su radici profonde che vengono "da lontano".
Compositore, pedagogo, pianista, direttore d'orchestra, Luigi Donorà è autore di opere liriche, musiche vocali, strumentali, corali e di
musiche sinfoniche che sono state
eseguite e si eseguono in diverse
città d'Italia, ma pure e con grande
successo a New York.
La sua inquietudine intellettuale lo ha portato ad allargare il
suo interesse verso lo studio della semiografia della nuova musica,
scoprendo e sviluppando nel medesimo tempo un sistema di scrittura
musicale del quale scrive in "Della
nuova tecnica, ossia, del mensularismo e dell’approssimazione (1971)
e in "Semiografia della nuova musi-
quanto traduco in musica il valore
semantico della parola. Tant'è vero
che ho pubblicato pure una raccolta di poesie intitolata 'Frammenti
di vetro'.Per quanto riguarda la mia
produzione, la poetica e la mia sensibilità sono un tutt’uno.
Ovviamente ho toccato tante
correnti – un compositore-artigiano deve saper scrivere in tutti gli
stili - comunque sono partito dal
linguaggio tardoromantico e le mie
prime composizioni erano delle liriche scritte per Fiorenza Cossotto,
che era mia compagna al Conservatorio. Avendo per maestri Dallapiccola, Donatoni, Petrassi ho dovuto
conformarmi anche ai loro linguaggi. Ho scritto anche in maniera dodecafonica, però ho lasciato stare
perché non è tanto vicina alla mia
sensibilità. Tanto di cappello alla
musicale e nel 1978 ho pubblicato
un libro sull'argomento, 'Semiografia della nuova musica. Autoanalisi'; tuttavia erano frutto di precisi
studi, mica cose buttate lì, a casaccio. Si figuri che hanno usato le mie
pittografie come motivo decorative
per le tapezzerie e moquette della più lussuosa suite di quel famoso hotel milanese vicino alla Scala
che ha ospitato tutte le celebrità delLuigi Donorà al pianoforte
in una sua recente esecuzione
Aveva una memoria formidabile. Si ricordava tutto. Una volta però lo misi quasi in imbarazzo.
Dopo una conferenza nella quale
aveva parlato del suo ultimo lavoro
gli chiesi. “Maestro, ma lei ha usato in questo punto del materiale dal
suo 'Ulisse'?” – “E lui mi guarda e
con aria un po' stupito:’Si’.” La cosa
gli fece piacere perché capì che io
studiavo le sue partiture.
Non posso definirlo un insegnante; lui teneva delle conferenze sulle
sue composizioni…Su I canti di prigionia, I canti di liberazione…
Ebbi modo di sentire il suo Piccolo concerto per pianoforte e orchestra con egli stesso al pianoforte,
a Torino, e con la direzione di Bruno Maderna. Era un pianista formidabile, bravissimo.
A volte era anche divertente;
ricordo ad una sua conferenza su
Schonberg il suo racconto di un
anedotto circa la paura superstiziosa
che il padre della dodecafonia aveva per il numero 17 e la sua morte
che coincise proprio con il giorno
17. Comunque più che a Schonberg
era interessato a Webern, grande intellettuale le cui musiche erano frut-
Donatoni, il mio maestro,
non si considerava un musicista,
ma un tecnico, un ingegnere
del suono; come pure Bruno
Maderna e Luciano Berio
ca. Autoanalisi". Si è accostato alla
direzione d’orchestra eseguendo
opere proprie e di altri autori contemporanei.
Ai premi a concorsi nazionali
(Parma 1969, Roma 1968, Roma
1975) e internazionali (Copenaghen
1970) si è aggiunto, come corona di
una vita per la musica, il Cavalierato per meriti artistici, insignitogli
dal Presidente della Repubblica.
Il suo percorso stilistico si presenta molto variegato e ricco…
L'artista è soggetto ad una continua evoluzione, però volendo, può
tornare anche “indietro”, nel senso che considero la musica in quanto tale “atemporale” e perciò, anche il canto gregoriano quando lo
ascolti è “oggi”, è attuale, per cui
non mi sono mai posto il problema
del, ieri scrivevo così e oggi scrivo
in un altro modo. Io seguo unicamente i miei dettami interiori; insomma vado dove mi porta il cuore. Se ieri scrivevo in bitonalità, il
giorno dopo, se di umore diverso,
posso comporre una lirica anche di
tipo romantico. Non mi faccio nessun patema. Ripeto, l’arte, la pittura, la musica, la poesia scritti magari in epoche passate, non appartengono al “ieri”, sono sempre “adesso”, sono sempre “presente”, anche
se la percezione dell'arte può essere
diversa.
dodecafonia di Dallapiccola che diceva tante cose, però credo che questo stile si sia quasi esaurito. Schönberg!, per carità, basta! Era l'espressione di un epoca di crisi, di un animo lacerato, turbato...".
Il grande bluff
della musica
contemporanea
Poi queste composizioni senza forma! Per es. Donatoni - che
è stato il mio vero maestro, anche
al Conservatorio di Torino – non si
considerava un musicista, ma un
tecnico, un ingegnere del suono;
come pure Bruno Maderna e Luciano Berio. Ho parlato tante volte
con Marino Zucchero, tecnico del
suono dignanese che lavorava allo
studio di fonologia di Milano con
Berio. Ho frequentato lo studio ed
ho capito che Berio faceva il furbo;
cercava in tutte le maniere di ottenere degli ‘effetti’. Faceva dei collages registrando musica concreta
e musica elettronica. (E se poi viene a mancare la corrente elettrica
non so cosa cosa sentiremo?!) Una
volta mi mostrò un nastro con su
incise delle parolacce, delle bestemmie che poi venivano manipolate e si ottenevano degli effetti.
E Berio tutto soddisfatto. E questa
sarebbe arte!
trascurati, annullati per tutto il periodo del comunismo - come tutto
il patrimonio artistico legato alla
chiesa - ed ho voluto recuperarli
prima del loro definitivo oblio. Per
me è stato un dovere morale, una
testimonianza in quanto istriano e
cattolico. Ho scritto pure delle liriche su testi di Scotti, Schiavato,
di Anita Forlani...il brano per orchestra da camera e viola sola “Là
dove il Quarnero”, dedicato a Franco Squarcia.
Mi parli del suo contribuito
alla tragedia delle foibe,'L'urlo
dell'abisso', la sua composizione forse più drammatica e complessa.
L’urlo dell'abisso è un deferente omaggio alle vittime delle foibe,
queste povere creature delle quali
nessuno si è ricordato per tanto tempo. Io avevi due cugini che furono
infoibati. Ho scritto questa cantata
la musica ... e di cui non mi sovviene il nome.
Che rapporto aveva con Dallapiccola?
Dallapiccolo era intanto una
persona di grandissima cultura, un
uomo integerrimo e bisognava stare molto attenti come si parlava con
lui. Serissimo, incuteva soggezione. E nel contempo era anche molto “strano”. Una volta passeggiavamo nella piazza del Palio, e lui mi
fa: “Secondo lei quanti passi dovremo fare per circonvallare la piazza?
- Io, un po’ stupito: Ma, non lo so.
Trecento passi. Lei cosa dice?- Io
dico quattrocento”- fà il Maestro. Il
giorno dopo durante una conferen-
za all’Accademi Chigiana di Siena,
alla presenza di onorevoli e autorità, con mio grande imbarazzo ma
anche piacere, raccontò della nostra
scomessa... e ha vinto Donorà”.
Si dice che Dallapiccola si divertisse, sempre con la sua aria
professorale, a prendere un po’ in
giro la gente…
Si, si. Infatti. Un altro giorno,
serissimo, mi fa di punto in bianco: “Ma lei conosce Sirio?”- “Sirio? No, io non conosco nessuno Sirio”- “Ma Sirio è una stella’!- “Ma
Maestro!…”- “La si vede solo dalla
Germania” - “Scusi, ma io in Germania non ci sono mai stato”. Capisce?!! Era stranissimo.
«L’urlo dell’abisso» è un omaggio
musicale ai martiri delle foibe
sentito come un dovere morale
e una protesta interiore contro
questo efferando modo di agire
to di precisi calcoli e formule matematiche, ricalcando l’intellettualismo degli antichi compositori fiamminghi.
Dallapiccola è sempre stato assolutamente coerente con la musica,
con se stesso e con il prossimo. Una
personalità integerrima.
Nelle sue conversazioni con lei
ha mai ricordato Pisino, l'Istria?
Mai. Non ha mai parlato dell’Istria. Gli dissi: ‘Maestro, noi siamo conterranei!’, lui niente. Solo in
un’occasione, in una lettera quando ero arrivato a Torino mi scrisse:
‘Non pensi al periodo dell’esodo…
vada oltre, la vita continua’.
Comunque, mi ha incoraggiato a
non pensare a quel brutto periodo,
a tutto quello che avevamo perso…
Lui non era un regionalista, era un
uomo di mondo, aveva un’apertura
grandissima. Sicuramente pensava
a Pisino, sua città natale, anzi era sicuramente molto legato, tant'è vero
che tutte le sue prime composizioni
sono dedicate alla sua terra; ‘Fiori
de tapo’ su testi di Biagio Marin, ‘Il
canto della Befana’ su testi popolari
dell’Istria e altro...; ma non fece pesare mai questo distacco. Anche lui
fu esule, a Graz, prima.
L'omaggio musicale
alla mia Istria
Qual'è invece il suo rapporto
personale con l’Istria e cosa le ha
dedicato in termini di musica?
Io ho vissuto il dramma dell’esodo attraverso la sofferenza,
la disperazione dei miei genitori.
Avevo dodici anni e mezzo quando me ne andati in esilio. Il campo
profughi, il dormire per terra, divisi con delle coperte da una società
eterogenea nella quale chi rideva,
chi bestemmiava, chi cantava ecc.
Tutto questo io involontariamente
l’ho subito. Tanti me l’hanno detto
che nella mia musica si sente una
vena malinconica, una nostalgia.
L’Istria per me è stata la prima linUn esempio di pittografia musicale di Luigi Donorà
La copertina dell’antologia musicale Giuliano-Dalmata curata e contenente pure musiche di Donorà
fa vitale, la prima ispirazione. La
mia prima opera ‘Filemone e Bauci’ del 1961, è infatti dedicata ‘alla
mia cara e dolce Istria’. Scritta su
libretto di Gioacchino Forzano
– che fu pure il librettista di Puccini. Il libretto in questione infatti
doveva essere messo in musica da
Puccini e invece capitò nelle mie
mani; recante sulle pagine tante
annotazioni scritte dal pugno del
Maestro stesso.
a Gesù come possa farlo contento e
decido di fare dei fiori con le lattine
della coca-cola ai quali unisco pure
degli 'sciuchi', come dico io, ossia
fiordalisi, e vedo Gesù soddisfatto.
Infine, 'La tera arada', è un omaggio alla fatica del contadino. Mio
padre infatti era contadino e quando andava nei campi ad arare andavo con lui ed ho dei ricordi molto
vivi. Ricordo poi che a desinare alzava in alto il pane, lo benediceva
e diceva: “Adeso, fioi magnè”; e a
me che ero bambino, sembrava un
cardinale!
Poi ho pubblicato un libro di
canti tradizionali giuliano dalmati
ed ho in preparazione una raccolta di canti popolari in tre volumi.
E' in via di realizzazione pure una
raccolta di canti patriarchini dell'Istria, ossia di canti liturgici e devozionali popolari - in una specie
di latino storpiato - delle terre appartenute alla giurisdizione del Patriarcato di Aquileia. Sono splendidi, di una solennità...! Sono stati
per coro, orchestra, solisti e voce recitante. Un omaggio musicale sentito come un dovere morale e una
protesta interiore contro questo efferando modo di agire; un po’ come
“I canti di prigionia” di Luigi Dallapiccola che avevano il significato di
protesta contro le leggi razziali.
Per il libretto ho dovuto arrangiarmi da solo perché nessuno,
non conoscendola la nostra storia,
mi poteva aiutare. I testi sono stati reperiti in diverse fonti e sono in
italiano, latino, in dialetto. Per il
preludio per es. – un’invenzione
per orchestra e voce recitante, un
melologo - uso la poesia “Istria”
del rovignese Pinider, nella quale si decantata la terra istriana e la
vita pacifica dei suoi abitanti ed è
una specie di manifesto prima dei
tragici eventi; quindi ha inizio la
cantata. Tutti i cori sono scritti sulle poesie della poetessa parentina
Lina Galli che fanno riferimento
ai fatti del 1943-44. Poi ci sono testi di monsignor Santin – la musica
contiene parti della liturgia cattolica tra cui il “De profundis” – una
sua bellissima preghiera, un’apoteosi della speranza, del Cristo che
accoglie le anime di questi poveri
martiri. Un bellissimo corale intercalato da voci soliste di baritono e
soprano.
Dal punto di vista musicale
come si presenta?
Non ho voluto scegliere un linguaggio d’avanguardia, una scrittura molto spinto. C’e’ una parte
all’inizio, quando si narra dell’arresto di queste povere persone che
vengono legate due a due per i polsi con il filo di ferro e quindi condotte alla foiba ed infoibate, ecco
in quel momento – si sente pure il
crepitio delle mitragliatrici – succede una cacofonia, un sovrapporsi
di dissonanze che sono nient'altro
che il sovrapporsi di pianti, grida,
urli, canti, preghiere, bestemmie di
disperazione di tutta questa povera gente nel momento della fine. In
questo punto uso il “Pater Noster”
in latino che man mano con il crescere del dramma si disgrega totalmente sfociando appunto in questo
momento dodecafonico nel quale,
il pensiero, la mente umana si perdono, non hanno un punto di riferimento, e nell’attimo della caduta
nella fossa, anche la musica precipita nel caos.
E poi una bellissima melodia,
dolce, toccante, cullante, quasi una
ninna nanna per queste vittime che
fa da contrasto con la morte, con la
tragedia. Nel brano impiego ripetutamente melodie gregoriane, parti
recitate, corali, la bitonalità - non di
tipo “stravinskiano”, ma piuttosto
alla Puccini – la poliritmia; un lavoro composito, essenzialmente tradizionale ma con qualche pennellata
di modernità.
Com’è stato accolto “L’urlo
dell’abisso” da parte della critica?
Un critico ha scritto una cosa
che mi ha fatto accapponare la pelle; e cioè che qui il dolore non è dolore, ma lirismo, poesia. Non pensavo di poter arrivare a tanto.
”L'urlo dell'abisso” è stato eseguito nel 1997 con l'orchestra, il
Coro del Teatro Carlo Felice di Genova diretto dal grande Alexander
Lazarev e con voci soliste di prestigio tra le quale quella del fiumano
Giorgio Surian.
Il rapporto
con Puccini
Lei ama molto Puccini le cui
musiche lei cita in diverse sue liriche ed in altre composizioni, tra
cui “La dove il Quarnero”
Ho avuto sempre un rapporto
speciale con il Maestro di Torre del
lago. Feci un sogno premonitore,
quando ero studente del Conservatorio. Puccini mi apparve in sogno,
vicino ad un grande albero, dentro
una luce gialla e nebulosa, con il fucile a due canne rivolto in giù - Puccini era stato un grande cacciatore
- e un cinguettio d’uccelli. Mi diede
una manata sulla spalla e mi disse:
“Continua così”. Però l'ho sognato
tante altre volte e sempre mi ha fornito indicazioni o rivolto parole di
incoraggiamento. Insomma, la sua
anima ha sempre un po’ tormentato la mia. E’ stato un po’ il mio spirito guida.
Be', con un “santo protettore” di
questo calibro non è possibile non
percorrere la strada del successo, o
meglio, della verità artistica.
6 musica
Mercoledì, 28 novembre 2007
L’evoluzione della danza più popolare dell’America Latina nel corso di un secolo:
Tango argentino, un pensiero tr
di Alessandro Boris Amisich
H
istoire du tango, di Astor
Piazzola, è una splendida
composizione in quattro tempi per flauto e chitarra.
A differenza di altre suites, che
presentano varietà di danze e ritmi, ma sincronia di stile, questa
si articola, esattamente al contrario, con unicità di danza (sempre
e solo tango), ma con diacronia
di stili: i quattro tempi infatti si
intitolano rispettivamente Bordel
1900, Cafe 1930, Nightclub 1960
e Concert d’aujourd’hui. E fanno
comprendere perfettamente il percorso e l’evoluzione della musica
argentina nel corso di un secolo.
Le origini del tango
La parola tango si diffonde già
verso il 1820, ma il termine non
ha in origine a che fare con la dan-
za, quanto piuttosto con uno strumento a percussione, probabilmente un tamburo, che veniva utilizzato dagli schiavi importati forzatamente dall’Africa. Solo una
sessantina di anni più tardi la stessa parola comincerà ad indicare
anche una danza. A proposito del
termine è comunque interessante
notare come un filologo, Ricardo
Rodriguez, (che si è occupato dello studio delle lingue degli schiavi
importati in Argentina), abbia sta-
bilito che la parola tangò identificasse uno spazio chiuso, privato,
circolare, dove per entrare si chiede permesso. E lo stesso termine
usavano i mercanti di schiavi per
indicare lo spazio dove stipavano
questi uomini e addirittura il mercato in cui li vendevano.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento cercano fortuna nella Terra d’Argento centinaia di migliaia
di emigranti, (italiani, spagnoli,
francesi, tedeschi, ungheresi, slavi, ebrei, arabi): i porti del Rio de
La Plata (Montevideo, Rosario
e Buenos Aires) in breve tempo
si sovraccaricano di uomini provenienti dall’Europa in cerca di
fortuna, cui si aggiungono schiavi liberati, indios e argentini di seconda o terza generazione. A cavallo tra XIX e XX secolo Buenos Aires, che di poco superava
i 200.000 abitanti, oltrepassa abbondantemente il milione di presenze: si tratta in buona parte di
uomini soli, giunti oltreoceano
senza famiglia, che condividono
tra di loro miseri alloggi in quartieri popolari (orillas).
Sensualità
conturbante
e «underground»
Dal punto di vista musicale
c’è chi fa derivare il ritmo del
tango da quello dell’habanera,
che a sua volta sarebbe l’evoluzione di una danza inglese del
XVII secolo, diffusasi poi in
Francia col nome di contredanse e più tardi in Spagna (contradanza): quindi un lungo viaggio
dall’Europa (Inghilterra, Francia
e poi Spagna) attraverso Cuba
fino al Sudamerica. Qui l’innesto delle abitudini musicali e
delle tradizioni degli immigrati
europei avrebbe alfine creato il
mix conclusivo.
Come danza, il tango nasce e
si diffonde soprattutto nei bordelli e nelle osterie, (oggi si direbbe
“in ambiente underground”) con
disapprovazione e disprezzo delle
autorità e della buona società. Un
grande stuolo di immigrati maschi
si trovava a contendersi le poche
ballerine, perlopiù prostitute e cameriere, presenti nei locali dove si
ballava. La “cura del cliente” da
parte delle prostitute porta ad un
contatto molto sensuale ed esplicito, soprattutto in questo primo
periodo.
Dice J.L.Borges che non si sa
esattamente in quale città il tango
sia nato: forse Buenos Aires, forse
invece Montevideo o Rosario, ma
di certo si conosce l’indirizzo: la
strada delle prostitute!
Questa volgarità di fondo si riflette anche nei testi e nei titoli dei
primi tanghi: c’è un titolo di una
canzone che richiama una misura
e fa riferimento all’orgoglio maschile di avere un membro di una
certa lunghezza!. Anche il celebre
El choclo (la pannocchia) di Angel Villoldo sembrerebbe a prima vista contenere un riferimento sessuale, ma in realtà pare che
si tratti del soprannome riferito al
colore dei capelli di un amico del
Villoldo stesso, cui il brano era
dedicato..
Con il 1912, (legge del suffragio universale) le classi si integrano maggiormente e anche l’alta
società vuole ballare il tango. Una
maggiore libertà, sicuramente, ma
il ballo ha ancora un che di proibito e peccaminoso, che comunque
attira anche la borghesia e la classe dirigente.
Carlos Gardel, un artista che appartiene al patr
Dove nasca non si sa (Francia? Uruguay?); quando, nemmeno. Più o meno verso il 1890.
Muore invece sicuramente il 24
giugno 1935 in un disastro aereo a Medellin. Passa un’infanzia piuttosto turbolenta nei pressi
del mercato di Abasto (quartiere
di Buenos Aires) e frequenta le
bande giovanili: qualche volta
viene anche fermato dalla polizia.
Dal 1906, dopo aver abbandonato gli studi, frequenta i teatri e gli
Razzano e col chitarrista Francisco Martino (1911-12) incidendo
i primi dischi di canzoni popolari
argentine. Dopo varie vicissitudini il trio prenderà il nome di Terceto Nacional, per tornare poi ad
essere un duo, dalla fine del 1913.
Il Duo Nacional Gardel-Razzano
si esibisce al prestigioso cabaret
Armenonville di Buenos Aires,
da cui, si dice, alla fine dello spettacolo gli esecutori fossero portati in trionfo per le strade.
Il prestigioso cabaret Armenonville di Buenos Aires
ambienti di spettacolo, facendosi
notare per la bella voce di baritono e trovando a volte lavoro
come macchinista teatrale. Impara anche a suonare la chitarra.
Forma un trio col cantante Josè
Mille tanghi
Data l’8 gennaio 1914 il loro
debutto al Teatro Nacional di Buenos Aires: da qui prende avvio
un’attività che li porta nei diversi
teatri della capitale e delle maggiori città argentine. Poi l’estero;
1915: Teatro Royal di Montevideo
e successivo tour in Brasile. Alla
fine del 1915 Gardel, nel corso di
una rissa, viene ferito da un colpo
di pistola: il proiettile farà compagnia al suo polmone per tutta
la vita. Riprende ad esibirsi nel
1916. Per la prima volta, cantando
all’Empire di Buenos Aires mette
in repertorio un tango: è il 1917;
il brano è Mi noche triste, di Samuel Castriota e Pascual Contursi: si tratta di un brano versificato
in lunfardo; nella sua vita inciderà
quasi un migliaio di tanghi. Viene scelto anche come protagonista del primo film del cinema argentino. Con mesi di palestra e
di fatica scenderà dagli oltre 100
chili al suo peso forma di 75 chili.
Una quattordicenne diverrà la sua
fidanzata ufficiale, ma lui non la
sposerà mai. Si dice che il fidanzamento sia stato una copertura
per la sua omosessualità. Incide
con alcune orchestre per la radio
argentina. Negli Anni Venti è più
volte in Spagna. Nel ’28 è a Parigi (con Josephine Baker), nel ’29
in Italia, Costa Azzurra e ancora
Spagna.
Con l’avvento del sonoro porta
nei suoi film anche la propria musica: in Argentina (’29) e in Europa: ricordiamo il film Luces de
Buenos Aires, Esperame, (Aspettami), La cosa es seria e Melodía
musica 7
Mercoledì, 28 novembre 2007
dai bassifondi di Buenos Aires alla ribalta del varieté internazionale
iste in movimento
suale ed erotico. Nel frattempo,
però, col film I quattro cavalieri
dell’apocalisse Rodolfo Valentino rendeva celebre il tango in tutto il mondo.
Con la nascita del tango-canzone (cioè quando il tango assume
un testo) si afferma un’equazione
che vale quasi “tango = vita”: delusioni, dolori, visione fatalistica
della vita, struggimenti, nostalgie,
tempi passati, amori lontani, solitudine. La prima partitura di tango
fu pubblicata nel 1888. Tra i tanghi storici più celebri ricordiamo
El choclo (1905), di Angel Villoldo, La cumparsita (1916) di Gerardo Matos Rodriguez, che parla
di una piccola banda che si esibisce in una processione di strada,
Caminito (1926) di Juan de Dios
Filiberto, dedicato a un vicolo del
quartiere della Boca, dove approdavano gli immigrati. Tutti e tre
questi testi raccontano di uomini traditi dalle donne che hanno
amato. Un altro celebre tango, A
media luz (1925), composto da
Edgardo Donado, ricorda nostalgicamente una stanzetta con un
grammofono che in sottofondo
suonava vecchi tanghi, mentre il
protagonista teneva una tavola apparecchiata in attesa della donna
che amava.
(1- continua)
Pure l’alta società rimase contagiata dal peccaminoso tango
Dai locali malfamati
all’alta società
Sarà proprio la giovane elite
argentina che apprenderà il tango
nei locali malfamati ma lo porterà
con sé nei suoi viaggi in Europa.
E da Parigi, città aperta e plurale, il tango troverà una sua nuova
legittimazione anche per ritornare
in patria definitivamente sdoganato, nonché per diffondersi in Europa nei cosiddetti tango cafè.
Le prime esibizioni di tango
negli USA sono del 1912 e già
nel 1913 un teologo americano
si chiedeva se questa danza non
fosse la conferma delle teorie
darwiniane, e cioè del fatto che
l’uomo discendesse dalla scimmia! Anche l’arcivescovo di Parigi sosteneva che i cristiani non
dovessero ballarlo, mentre Benedetto XV, negli stessi anni, lo definiva indecente, oltraggioso, pagano, assassino della famiglia e della vita sociale: ma lo diceva perché il tango…era stato introdotto
anche nella residenza papale! Non
solo la chiesa, comunque, ma anche le autorità politiche combatterono il tango: il kaiser Guglielmo II si limitò a proibire ai propri
ufficiali di ballarlo; a Monaco di
Baviera la decisione fu motivata:
il ballo fu bandito dalla città in
quanto, più che una danza, appariva alle autorità uno stimolo sen-
Boca, il quartiere degli emigranti di Buenos Aires
rimonio dell’umanità
de arrabal, in cui si ascoltano noti
tanghi come Melodía de arrabal,
Silencio e Me da pena confesarlo.
E’ ancora in Europa nel novembre
del ’33, da dove parte per gli USA,
protagonista di trasmissioni radiofoniche e dei film Cuesta abajo,
Mi Buenos Aires querido, Tango
en Broadway e Cazadores de estrellas con Bing Crosby; ai primi del
1935 è protagonista dei film El día
que me quieras e Tango Bar. Nell’aprile inizia una nuova tournée per
Portorico, Venezuela, Colombia: ma
all’aeroporto di Medellín, il 24 giugno, il suo aereo, mentre si prepara
a decollare, si scontra con un altro
aereo fermo sulla pista, con i motori accesi. Carlos Gardel muore carbonizzato e con lui perdono la vita
Teatro Nacional di Buenos Aires
i suoi chitarristi Guillermo Barbieri
e Angel Domingo Riverol nonché
il paroliere Alfredo Le Pera. Il suo
mausoleo nel cimitero della Chacarita di Buenos Aires è invaso di ex
voto e quotidianamente gli altoparlanti diffondono le sue canzoni. Nel
2003 Carlos Gardel è stato dichiarato dall’Unesco Patrimonio Culturale
dell’Umanità.
8 musica
Mercoledì, 28 novembre 2007
ANEDDOTI...CURIOSITÀ E ALTRO...
Campane
armoniose
Le campane, sia che facciano errare i loro rintocchi armoniosi in una verde vallata alpestre, oppure risuonino tinnule e
festose per celebrare una solennità religiosa, o si rivelino meste e gravi in occasione di luttuose circostanze, hanno sempre suscitato un fascino particolare sull’animo umano e
celebri musicisti ne introdussero l’uso in parecchi loro lavori.
Giuseppe Verdi nel “Miserere” atto IV dell’opera “Il Trovatore” e nella “Scena del bosco” nel III atto del “Falstaff”;
Giacomo Puccini, nel famoso
“Te Deum” che costituisce il
finale dell’atto I della “Tosca”
QUIZ
e nel preludio del III atto del- eroi”; Respighi; nelle “Fontane
la stessa opera, dove il suono di Roma”.
argentino delle campane della
chiesa romana, saluta il sorgere Un invito a pranzo
Un giorno Chopin fu invitadel mattino. Altri esempi interessantissimi dell’applicazione
delle campane sono costituiti
dal coro “Cristo è risorto” nel
III atto dell’opera “Siberia” di
Umberto Giordano; da quello
d’introduzione e scena della
“Cavalleria rusticana” di Pietro
Mascagni e dal coro e brindisi
della stessa opera.
L’uso delle campane nei
lavori sinfonici è assai meno
frequente che non nelle opere
teatrali, benché non manchino degli esempi: I. S. Bach:
Cantata “Schlage doch, gewunschte Stunde”; F. Liszt: Poema sinfonico “Lamento degli
CHISSÀ CHI LO SA?
1. Il pianoforte, oltre ad essere uno degli strumenti solistici per eccellenza, fu usato, ed è
usato tuttora, come un mezzo
perfetto per comporre musica.
Ne hanno fatto uso tanti grandi compositori nella storia della
musica, ma non il grande compositore francese, Hector Berlioz (1803-1869), il quale preferiva servirsi…
a) della chitarra
b) del violino
c) dell’organo
2. Quale dei seguenti compositori è considerato fondatore
dell’opera inglese?
a) William Byrd (15431623)
b) Benjamin Britten (19131976)
c) Henry Purcell (16591695)
3. L’album “Confessions on
a dance floor” è divenuto di recente il disco più venduto di
tutti i tempi negli Stati Uniti,
prendendo il decennale primato dei Beatles. Parliamo dell’album di…
a) Jennifer Lopez
b) Madonna
c) Susanne Vega
nel 1919 dal rinomato compositore croato…
a) Blagoje Bersa
b) Božidar Kunc
c) Ivan de Zajc
7. Il grande Giuseppe Verdi
compose il suo magnifico Requiem nel 1873, dedicandolo
allo scrittore italiano…
a) Arrigo Boito
b) Alessandro Manzoni
c) Ugo Foscolo
8. Quale dei seguenti personaggi è stato fondatore, vocalist, autore di musica e di testi
del famoso gruppo rock inglese
Pink Floyd?
a) Syd Barrett
b) Roger Waters
c) David Gilmore
9. Il famoso compositore e
direttore d’orchestra americano
Leonard Bernstein è autore della musica di un popolare musical, in seguito trasformato in un
film di successo che vinse addirittura dieci Oscar, intitolato…
a) Jesus Christ Superstar
b) Annie
c) West Side Story
4. Si chiamano “Capricci” i
24 studi – un’eccezionale scuola di tecnica violinistica - composti dal grande…
a) Antonio Vivaldi
b) Arcangelo Corelli
c) Niccolò Paganini
Frederich Chopin
to a pranzo da una ricca signora. Il grande musicista, pur non
sentendosi bene, per non essere
scortese accettò l’invito, ma durante il desinare quasi non toccò
cibo. Alla fine del banchetto tutti si raccolsero in una sala in cui
era un pianoforte e la padrona di
casa invitò Chopin a suonare.
Egli si schernì adducendo a motivo la sua indisposizione al che
la signora gli fece chiaramente
intendere che egli era stato invitato al solo scopo di intrattenere
gli ospiti con un concerto. Chopin, allora, con un pallido sorri-
Nicolò Paganini
5. Il primo vocalist del megagruppo australiano AC/DC,
scomparso tragicamente nel
1980, si chiamava…
a) Freddie Mercury
b) Bon Scott
c) John Lennon
6. Il poema sinfonico
“Sunčana polja” fu composto
Come nacque
la celebre Serenata
di Schubert
Trovandosi un giorno Schubert con alcuni amici in un’osteria di campagna, dopo colazione
si avvicinò incuriosito ad un suo
amico che stava leggendo un libro di Shakespeare: il “Cimbellino”. Schubert si fece dare per
un momento il libro e cominciò
a sfogliarlo, e si fissò su un passo che lo colpì profondamente.
Esso dice: “Odi, odi l’allodola
nell’etere azzurro!”.
Dopo la lettura il grande musicista esclamò: “Mi è venuta
una bella melodia, peccato che
non abbia della carta da musica!”.
Un amico gli presentò il rovescio della lista del conto e Schubert, dopo aver frettolosamente
vergato alcuni pentagrammi, tra
il frastuono degli avventori dell’osteria e le chiacchiere degli
amici scrisse di getto la bellissima Serenata.
Fra i suoi vari manoscritti si
conserva ancora la famosa lista
con la relativa Serenata.
Franz Schubert
Battutacce
E’ difficile fidarsi di uno il
cui strumento cambia forma
mentre viene suonato.
Come si fa a far suonare un
trombone come un corno?
Si mette una mano nella campana e si sbagliano un sacco di
note.
-------Come mai il corno è uno strumento divino?
Perché un essere umano ci
soffia dentro, ma solo Dio sa che
cosa ne esce.
Il corno è un magico portale,
che unisce il mondo delle emozioni con il mondo degli
scrocchi.
Come fa un cornista a congratularsi con un altro cornista?
1. Ciao, ho suonato quel pezzo l’anno scorso.
2. Ciao, ho suonato quel pezzo al Conservatorio.
GIRO GIRO TONDO QUANDO CANTA IL MONDO
ZAGABRIA -TEATRO
NAZIONALE CROATO
Georges Bizet - Carmen
Giacomo Puccini - Il Trittico
Josip Mandić - Mirjana
Claudio Monteverdi - Orfeo
RIPRESE
Wolfgang Amadeus Mozart - Il
flauto magico, Don Giovanni
Giuseppe Verdi - Traviata, Nabucco, Un ballo in maschera
Gioacchino Rossini - Il barbiere
di Siviglia
Francis Poulenc - I dialoghi delle
carmelitane
PRIME DI BALLETTO
Sergej Sergejevič Prokofjev - Cenerentola
Leonard Bernstein
10. Nonostante le difficoltà
oggettive che si sono riscontrate nei secoli precedenti ad affermare una dignità solistica della
Viola - uno strumento della famiglia degli archi -, i compositori, seppur non apprezzandone
gli strumentisti, ne hanno sempre apprezzato il timbro e il suo
movimento interno all’armonia. È noto che la suonavano
con particolare gusto i seguenti
compositori…
a) J.S.Bach, W.A.Mozart e
Franz Schubert
b)
G.F.Händel,
L.van
Beethoven e Robert Schumann
c) J.Haydn, A.Vivaldi e
F.B.Mendelssohn
so rispose: “Signora, ho mangiato così poco!”.
Fryderyk Franciszek Szopen adottò la variante francese
Frédéric-François Chopin quando a venti anni lasciò la Polonia,
per non tornarvi mai più.
Il certificato di battesimo riporta la data di nascita 22 febbraio, ma la famiglia ha sempre
dichiarato il 1 marzo, giorno in
cui ha sempre festeggiato i compleanni. Probabilmente è stato
un errore del prete battezzante
nel compilare il certificato.
La bella addormentata
Marjan Nekak - Staša Zurovac Danse Macabre
Nacho Duato, Vasco Wellenkamp,
Leo Mujić - Serata d’autore
RIPRESE
Fran Lhotka - Il diavolo nel villaggio
Petar Iljič Čajkovski - Lo schiaccianoci, La bella addormentata, Il
lago dei cigni
Adolphe Adam - Giselle
Leo Delibes - Youri Vamos - Coppélia a Montmartre
Gustav
Mahler
Milko
Šparemblek - Canti d’amore e
di morte
SPALATO -TEATRO NAZIONALE CROATO
PRIME d’OPERA
Giacomo Puccini - Manon Lescaut
Charles-Françoise Gounod Faust
RIPRESE
Giacomo Puccini - LA BOHÈME
Gaetano Donizetti - LUCIA DI
LAMMERMOOR
Ivan pl. Zajc - Nikola Šubić
Zrinjski
Gaetano Donizetti - L’elisir
d’amore
Jakov Gotovac - Ero, lo sposo caduto dal cielo
Ivo Tijardović - La piccola Floramy
PRIME DI BALLETTO
Sergej Prokofjev - Romeo e Giulietta
Coreografia di Youri Vamos
Igor Stravinski - Pulcinella
Coreografia di Kol Simcha
SHPIEL ES - Coreografi: Mark
Ribaud e Nils Cristi
RIPRESE
Karen Hačaturjan - Cipollino
Rami Be’er - Magum
Petar Iljič Čajkovski - Il lago dei
cigni, Lo schiaccianoci
VIENNA
STAATSOPER
DICEMBRE - 2007
Vincenzo Bellini - Norma
Richard Wagner - Die Walküre
Giacomo Puccini - Tosca
Modest Mussorgski - Boris Goduno
Wiener Staatsoper (foyer)
G. Verdi - La Traviata
Gaetano
DonizettiL’elisir
d’amore
Gioacchino Rossini - Il barbiere
di Siviglia
Johann Strauss - Il pipistrello
Mozart- Il flauto magico
Anno III / n. 7 28 novembre 2007
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA [email protected]
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Annamaria Picco
Collaboratori: Astrid Brenko, Helena Labus, Fabio Vidali e Alessandro Boris Amisich
Foto: Astrid Brenko
Il presente supplemento viene realizzato nell’ambito del Progetto EDIT Più in esecuzione della Convenzione MAE-UPT n.1868
del 22 dicembre 1992 Premessa 8, supportato finanziariamente dall’UI-UPT e dal Ministero Affari Esteri della Repubblica italiana.
Soluzioni: 1.a), 2.c), 3.b), 4.c), 5.b), 6.a), 7.b), 8.a), 9.c), 10.a).
Scarica

28.11.2007 - EDIT Edizioni italiane