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(www.eltamiso.it)
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NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO
INTERVENTO DI ALESSANDRO DI BATTISTA
(M5S) IN FACEBOOK SU VEGETARIANISMO,
POVERTÀ E IMMIGRAZIONE
Vegetarianismo, povertà e immigrazione: non riesco ad essere vegetariano del tutto. Riesco a
rinunciare alla carne per mesi ma poi, puntualmente, ci ricasco. Ciononostante ho ridotto il
consumo considerevolmente ed è un bene dal punto di vista fisico, mentale e politico. Fisico
perché se mangi poca carne stai meglio, mentale perché ingerire animali morti non è il
massimo per l'anima e politico perché le conseguenze sociali ed economiche dell'abuso di carne
sono inimmaginabili.
Vi sto scrivendo dal Cairo. Sono in missione con la Commissione Affari Esteri. Oggi ho
incontrato leader di partiti, giornalisti, esponenti della società civile e il neo-presidente Al-Sisi
al quale abbiamo chiesto ragguagli anche sulla condanna dei giornalisti di al Jazeera. Ebbene,
ho scoperto che alcuni scafisti che conducono i migranti verso le nostre coste sono expescatori costretti al “contrabbando di uomini” dall'impoverimento del mare egizio.
Tale impoverimento è anche dovuto a certe direttive della UE. Ovviamente approfondirò la
questione (mi sto dedicando alle cause dell'immigrazione clandestina, dedicarsi soltanto agli
effetti significa non voler risolvere il problema) tuttavia questo è un esempio che dimostra
quanto le abitudini alimentari producano problemi sociali, economici o addirittura geopolitici.
Le mono-coltivazioni di cereali rivolte agli allevamenti intesivi sono una delle cause
dell'abbandono delle campagne da parte dei contadini che si riversano nelle periferie degradate
delle città per poi fuggire in direzione della UE o degli USA. Ci avevate mai pensato?
• Avete mai pensato che gli allevamenti intensivi di bovini sono responsabili dell'effetto
serra e di quei cambiamenti climatici che producono siccità e desertificazione, ovvero le
cause dell'immigrazione clandestina?
• Avete mai pensato a quanto il consumo occidentale di carne (per produrre una proteina
animale ne occorrono 7 vegetali) abbia spinto classi dirigenti africane a disincentivare
l'agricoltura di sussistenza, la cui perdita causa povertà, altra responsabile
dell'immigrazione clandestina?
• Avete mai pensato che molte guerre vengono combattute per il rifornimento idrico
fondamentale per l'industria della carne?
Noi cittadini per essere davvero sovrani dobbiamo imparare a ragionare “di insieme”. Così
come le riforme costituzionali non possono essere pensate tralasciando problematiche quali
corruzione e conflitto di interessi così il tema dell'immigrazione clandestina (nei prossimi mesi
sarà ancora più drammatico) non può essere analizzato senza considerare una serie di
questioni quali persino l'educazione alimentare a livello globale.
Resto dell'idea che i cittadini africani (salvo rifugiati, studenti o lavoratori con contratto)
devono stare a casa loro perché l'Africa è casa loro e perché paesi come l'Italia, ad oggi, hanno
capacità di accoglienza limitate; resto dell'idea che i flussi migratori vadano regolarizzati e chi
dice questo non è affatto uno xenofobo ma una persona intelligente e realista; allo stesso
tempo studio la questione e ritengo che sia compito di tutti rimuovere gli ostacoli alla
prosperità e allo sviluppo a livello globale.
Ebbene la prosperità potrà esserci solo attraverso un nuovo (o forse antico) rapporto con la
terra e una nuova (o forse antica) alimentazione basata soprattutto su cereali, legumi, frutta e
verdura. Mangiare meno carne è una scelta politica che ognuno di noi deve fare. E' difficile, per
lo meno per me lo è ed è proprio per questo che il legislatore (le commissioni ambiente e
agricoltura M5S si stanno occupando del tema con diverse proposte di legge) deve trattare
urgentemente la questione. A riveder le stelle!
Alessandro Di Battista
N.d.r.: Quando mai un cosiddetto "politico" dei partiti tradizionali (o meglio un DPAP,
cioè un Delinquente/Disonesto Prestato Alla Politica) ha mai fatto o farà un discorso
del genere?
PER ALTRE STRADE DOLOMITI
COMITATO INTERREGIONALE CARNIA-CADORE
MOSE E PROLUNGAMENTO A27: FARE PER SPENDERE
Fare per spendere, e per spendere male: che nel Veneto le grandi opere targate Mantovani &
Co servissero a far soldi e non a soddisfare dei bisogni reali era del tutto evidente. Lo era per
noi, impegnati da anni nella battaglia contro il prolungamento dell’autostrada A27, perché la
riteniamo inutile e dannosa per il nostro territorio patrimonio UNESCO, e lo era per chiunque
volesse vedere oltre la nebbia della propaganda, guardare “tra le righe” dei documenti. Gli
arresti delle ultime settimane non sono inaspettati, specialmente negli ambienti della “politica”
si era in attesa da tempo che questo succedesse.
Dalla lettura della documentazione ufficiale (progetti, delibere regionali, proposte di
convenzioni, valutazioni di impatto ambientale) emergeva chiaramente che i lunghi percorsi
procedurali che avrebbero dovuto garantire la ponderatezza delle decisioni, e gli articolati
pareri che attestavano la compatibilità economica e ambientale dell’opera non avevano altro
scopo che quello di giustificare decisioni già prese. La semplice lettura della delibera di
approvazione “con prescrizioni” della Commissione VIA nazionale, vista la quantità
sproporzionata di “prescrizioni” che di fatto stravolgevano il progetto e ne avrebbero dovuto
decretare la bocciatura, dimostra la volontà del “sistema” di mandare avanti il progetto di
prolungamento della A27.
A partire dal 2007 - anno di nascita di PAS Dolomiti, ma anche prima - abbiamo denunciato in
molti modi i lati oscuri dei projet financing in generale e di quello Alpe Adria (A27) in
particolare. Lo abbiamo fatto con assemblee pubbliche, incontri con amministrazioni comunali
e con quasi cento comunicati inviati a media, istituzioni, amministratori, comitati e a un gran
numero di cittadini.
Di fatto siamo stati una delle poche voci che cercava, il più delle volte inascoltata, di scalfire il
muro di coloro che, fidandosi dei loro rappresentanti in Regione e inconsapevoli prede della
propaganda politica, erano stati convinti della bontà del progetto del prolungamento; degli
indifferenti e dei rassegnati. Il muro della connivenza “politica”, visti gli interessi in gioco, non
era evidentemente sensibile ai nostri appelli. Da qualche settimana però lo scandalo riempie
tutte le prime pagine.
“Non c’è mattone, non c’è colonna, non c’è centimetro quadrato di cemento che non poggi su
fatture false” – scrive in data 11 giugno il Corriere del Veneto, quotidiano che non ha mai
voluto dare spazio ai nostri comunicati stampa - “Pagina dopo pagina, le trascrizioni delle
deposizioni fatte ai PM lagunari hanno aperto il vaso del Mose, raccontano di un Veneto
interamente costruito su mazzette, regali, favori. E con un occhio di riguardo alle opere più
convenienti. Non per i malati che hanno bisogno di ospedale, non per le imprese che hanno
bisogno di infrastrutture, e di certo non per i veneti”.
Nell’attesa che la giustizia completi il suo corso e faccia emergere per intero - se ce la farà - il
marcio di cui sono infarciti la politica (quella con la “p” minuscola) e il comparto dei grandi
lavori, sottoponiamo alla vostra attenzione un documento (link) da noi elaborato a fine 2012
per fare il punto sul progetto di prolungamento dell’A27 (attualmente al CIPE) e che mantiene
ancor oggi la sua validità. Il resto è cronaca.
In questo documento – un power point di facile lettura – abbiamo concentrato la
sostanza delle nostre conoscenze. La parte alta della provincia di Belluno ha rischiato, lo
ripetiamo ancora una volta, di vedersi trasformata in un corridoio di traffico internazionale e di
precludersi con questo la possibilità di un futuro diverso, del quale dovrebbe essere lei stessa
l’artefice, a causa degli interessi egoistici di una cupola di disonesti e di corrotti.
Pericolo passato? Vogliamo sperarlo, ma è meglio tenere gli occhi bene aperti. In quanto
territorio debole e marginale, anche se contenitore di grandi bellezze naturali, corriamo ancora
il rischio di venire sacrificati sull’altare delle grandi opere, magari con qualche mazzetta in
meno.
24 giugno 2014 -- PER ALTRE STRADE DOLOMITI - Comitato Interregionale Carnia-Cadore
Web: www.peraltrestrade.it – E-mail: [email protected]
Queste sono alcune riflessioni – pervenute da un nostro caro amico bellunese - sui fatti del
"sistema Mose", calati nella nostra realtà di Sito Unesco ...."a nostra insaputa"!
Sarebbe importante che ci sforzassimo di leggere in modo più approfondito certi segnali o,
almeno, cercare di ascoltare chi ci prova. I saggi veneti dicevano: "per non farsi riempire il cul
de luganega", mi sembra renda bene l'idea……
STORICA DECISIONE DEL DIPARTIMENTO DEL COMMERCIO:
GLI STATI UNITI DIVENTANO ESPORTATORI DI PETROLIO
NEW YORK - Una svolta, chiave per gli equilibri energetici, è
giunta ieri sera a Washington attraverso un semplice avviso
amministrativo: l'Ufficio per la Sicurezza e l'Industria del
dipartimento al Commercio Americano ha autorizzato due piccole
compagnie petrolifere americane a vendere petrolio greggio
ultraleggero all'estero.
Sarà la prima volta in oltre 40 anni che aziende americane
potranno esportare petrolio greggio e si tratta del risultato più
importante derivato dal grande successo delle estrazioni di
petrolio da formazioni geologiche cosiddette «Shale» che
arrivano a produrre oggi fino a tre milioni di barili al giorno.
Le prime esportazioni saranno già in agosto. Non si tratta di ammontari importanti, ma si
trattava di aprire la strada e gli esperti del settore, a partire da quelli della Brookings
Institution, stimano che nel giro di breve gli Usa potranno arrivare ad esportare almeno
700.000 barili di petrolio al giorno, per poi salire gradualmente su livelli anche superiori.
L'impatto geopolitico ed economico di questa decisione è enorme.
La Russia o i grandi produttori mediorientali o africani si troveranno un nuovo concorrente
temibile sul mercato. E visto che ci si trova soltanto all'inizio dello sfruttamento dei giacimenti
shale in America, le previsioni sono di forti aumenti che porteranno a una redefinizione di molti
equilibri politici.
Pensiamo alla Russia che tiene in pugno l'Europa con la minaccia di chiudere le sue
esportazioni energetiche - di una possibile diminuzione nel medio termine del prezzo del
greggio, di un cambiamento di certe dinamiche economiche soprattutto nel settore dei
trasporti marittimi. Molte petroliere che portavano greggio in America dall'Africa ad esempio si
sono trovate senza lavoro, e molti armatori anche italiani attendevano con ansia un
cambiamento delle regole per poter riprendere i trasporti nella direzione opposta.
Una decisione in questo senso da parte del governo americano era dunque attesa. Il problema
riguardava un divieto ad esportare per ragioni di sicurezza. Passare una legge per superare la
vecchia avrebbe avviato un processo laborioso e non necessariamente positivo. Per questo
l'amministrazione ha utilizzato una procedura relativamente oscura, chiamata "private ruling"
che consente, grazie a una serie di congetture tecniche, di aggirare la legge e di autorizzare le
esportazioni.
Le due aziende che hanno avuto i permessi sono la Pioneer Natural resoruces Co. di Irving/
Texas e la Enterprise Products Partners LP di Houston/Texas. L'eccezione riguarda petrolio
greggio superleggero; sul piano tecnico il dipartimento al Commercio riconosce un minimo di
processo di raffinazione che consente di aggirare la regola che autorizza soltanto l'esportazione
di petrolio già raffinato. All'estero questo petrolio potrà essere trasformato in carburante
diversificato, dal diesel alla benzina a carburante per aeroplani.
(da IlSole24ore.com - giugno 2014)
CRESCE LA DOMANDA DI BIO NEGLI EMIRATI
La domanda per cibi biologici è in crescita negli EAU, Emirati Arabi Uniti, grazie alla maggiore
consapevolezza dei consumatori, sempre più attenti a consumare cibi sani e rispettosi di una
dieta equilibrata, salutista e che utilizzi alimenti il cui processo di produzione sia rispettoso
dell’ambiente.
L’incremento della domanda è legato principalmente alla
maggiore informazione sui benefici del consumo di cibi
bio. Il mercato dei cibi biologici confezionati negli EAU,
secondo i dati della Società di indagini di mercato
Euromonitor, ha raggiunto nel 2013 i 16,3 milioni di
dollari e le prospettive per il 2018 sono di un incremento
del 30% fino a raggiungere i 21 milioni di dollari.
I principali segmenti del mercato sono: con il 43% i cibi
biologici per bambini, le cui vendite sono state nel 2013
pari a 7 milioni di dollari, seguono con il 35% salse e
condimenti (5,7 milioni di dollari) e con il 15% il cibo biologico confezionato (con esclusione dei
cibi pronti), zuppe e paste (2,5 milioni), seguono infine i restanti prodotti con il 7% del
mercato (prodotti lattiero caseari e bevande sopratutto). Non sono disponibili dati sul ‘fresco’.
I principali consumatori sono - negli EAU - gli immigrati di origine occidentale, ma secondo le
catene distributive aumenta anche il consumo da parte dei locali, sopratutto giovani ad alto
reddito e livello di istruzione ed abituati a viaggiare. I prezzi dei prodotti sono ancora elevati e
non riescono a conquistare la fascia di reddito medio della popolazione.
Dichiara Elena Kinane, manager della Organic Farms, catena di distribuzione del biologico
fresco (frutta,verdura,uova,spezie e aromi) che ‘spesso a fine settimana gli scaffali dei nostri
punti vendita sono vuoti, i prodotti girano rapidamente e sono spesso esauriti in breve tempo, i
nostri clienti sul fresco biologico sono indifferentemente occidentali, locals, indiani e americani,
sia famiglie che singles’.
IL CONSUMATORE ITALIANO ‘PREMIA’ IL VINO BIOLOGICO
Ricercatori delle università di Milano e Verona, aiutati da un gruppo di esperti e degustatori
amatoriali di vini, si sono concentrati sulle qualità sensoriali ed organolettiche di vini prodotti
con metodo biologico e non. Il loro studio si è focalizzato sul Sangiovese di Romagna, in
quanto vino italiano più diffuso e consumato.
I vini utilizzati provenivano da due aziende agricole vicine, dalle
stesse annate (2007 e 2008) e dallo stesso metodo di
vinificazione, garantito dalla certificazione DOP. La sola differenza
tra le aziende fornitrici era la pratica agronomica; infatti, una
utilizzava
il
metodo
biologico
e
l’altra
convenzionale.
Successivamente all’analisi organolettica, il gruppo di degustatori
amatoriale è stato sottoposto ad un questionario sulla loro
attitudine al consumo di vino.
I risultati della degustazione ‘al buio’, hanno mostrato che il vino
biologico e convenzionale del 2007 erano organoletticamente
differenti in relazione al gusto; infatti, il vino biologico si è
mostrato più aspro, ma meno amaro, della controparte
convenzionale.
Invece, per l’annata 2008 si è registrata una differenza sensibile solo per la maggiore asprezza
del vino biologico. Chiaramente, un limite di questo lavoro è l’utilizzo di sole due annate di vino
prodotto dalla stessa varietà d’uva e, pertanto, ulteriori indagini potrebbero portare a risultati
differenti ed a differenziare organoletticamente le due produzioni.
Particolarmente interessante, è il risultato del questionario, dal quale risulta evidente che la
maggior parte dei degustatori amatoriali, i quali comprano in media 2 o 3 bottiglie di vino al
mese, ha dichiarato che pagherebbe di più per una bottiglia di vino biologico, rispetto ad una
convenzionale.
Questo risultato, tra l’altro, è in linea con la maggior parte dei sondaggi analoghi effettuati nei
paesi occidentali. Da essi emerge che la ragione di questa propensione verso il biologico è da
attribuire non solo alla naturale attenzione del consumatore alla salute e all’ambiente, ma
anche alla volontà di aiutare i produttori più sensibili a queste innovazioni e favorire la
sostenibilità delle produzioni. Pertanto, la produzione vitivinicola biologica sembra avere delle
buone prospettive future di mercato.
(dal Bollettino Bio di Greenplanet - giugno 2014)
NUOVO OSPEDALE: LE RAGIONI PER CAMBIARE OPZIONE
La programmazione e la gestione del Servizio Sanitario, delegate dallo Stato al governo delle
singole Regioni, devono seguire criteri di massima razionlità, efficacia ed adeguatezza
ai bisogni della popolazione e del territorio. […] Secondo la Regione, d’intesa con
l’Università, il Complesso Clinico Ospedaliero di Padova deve poter continuare ad essere il “Polo
della Salute Veneto”, cioè un centro tecnico-scientifico di riferimento per l’assistenza e
l’insegnamento nel campo delle discipline medico-biologiche. […]
Il dibattito circa l’opportunità di chiuderlo per
costruirne uno nuovo si basa su motivazioni quali
spazio
insufficiente,
difficoltà
di
traffico ed inadeguatezza delle strutture (che qualcuno,
ignorando volutamente l’impegno e le grandi risorse
sempre dedicate al loro rinnovamento, ha definito
superate ed obsolete).
In realtà non esiste alcun motivo concreto per
giustificare la scelta presa: non è sostenibile la carenza
di spazi, dato che nell’ultima elaborazione delle
“schede ospedaliere” è stato stabilito di limitare a 930
il numero dei posti letto, quando in passato ne erano previsti quasi 3000; la posizione
subcentrale e la viabilità multi direzionale rendono strutture e servizi facilmente raggiungibili
[…]; tutti gli edifici occupati dai servizi al pubblico sono in ottimo stato di agibilità e
sicurezza […].
Delle tre alternative di intervento individuate dal gruppo di lavoro istituito dalla Giunta
Regionale
(adeguamento
dell’esistente sotto
il
profilo
edilizioimpiantistico, ristrutturazione con accorpamento razionale dei servizi ed, infine, costruzione
del nuovo ospedale) l’Amministrazione Comunale, che aveva purtroppo facoltà di scegliere
autonomamente, ha optato per la costruzione di un nuovo ospedale, senza procedere ad una
accurata valutazione delle problematiche e dei reali impegni economici. Prima di questa
decisione tutta la popolazione avrebbe dovuto essere informata e chiamata ad
esprimersi.
Il trasferimento di tutti i Servizi coinvolti determinerebbe infatti conseguenze negative, tanto
più che la Giunta ha indicata come possibile sede un’area a nord-ovest della periferia
cittadina: un terreno di bassura, inadatto e poco accessibile perché chiuso tra barriere
ferroviarie e viarie. Tali caratteristiche comporterebbero, a carico della Comunità,
gravosi lavori di bonifica, la costruzione di nuove strade di collegamento e appositi servizi
di trasporto pubblico. […]
Su quell’area è stato elaborato un progetto per la costruzione di un nuovo complesso edilizio
capace di ospitare 930 posti letto ospedalieri, con un preventivo di 630 milioni di Euro, a
cui dovrebbero esser aggiunti i costi per l’acquisizione dell’area, per gli impianti, le
attrezzature, l’arredamento, con spese reali complessive ben superiori al miliardo. […]
Poiché nel Bilancio di Previsione regionale è stato inserito un apposito capitolo per lo
stanziamento di 50 milioni di euro, per tre anni consecutivi, destinati proprio al finanziamento
degli interventi a Padova, questa disponibilità rende possibile procedere ad un’accurata
progettazione e programmazione dei lavori, senza dover attendere l’improbabile contributo
dallo Stato o il ricorso a onerosi finanziamenti privati per mettere assieme le risorse
necessarie alla costruzione di un ospedale nuovo, la cui realizzazione richiederebbe ben oltre
un decennio e profondi sconvolgimenti nelle attività di servizio. […]
Sorprende che il Rettore dell’Università non abbia fatto presente l’errore di questa scelta: egli
stesso, in un articolo del 3 aprile 2013, […] riflette su come la vicinanza relativa fra l’ospedale
e gli altri istituti renda possibile la frequenza ai corsi in ore e sedi diverse. […]
La Regione e le università dovrebbero invece accordarsi in modo chiaro e determinato per
progettare e realizzare anche nel Veneto il tanto atteso “Politecnico” per le ricerche utili
anche allo sviluppo economico.
(Trovi la lettera completa del Dott. Tullio Todesco QUI).
Dottor Tullio Todesco, ex dirigente apicale del SSR - Area medica Igiene e Organizzazione
(da Ecopolis Newsletter - giugno 2014)
MELONI: COME LI SCELGO?
Come vi abbiamo anticipato la scorsa settimana,
puntualmente da oggi – e per i prossimi giorni – il
prezzo dei meloni si è improvvisamente dimezzato.
Facile prevederlo, perché è terminato il “buco di
mercato” verificatosi nei giorni scorsi e la merce ha
ricominciato a confluire attraverso i suoi canali abituali;
merce abbondante, di buona qualità media e a prezzi
bassi.
Si va da un euro al chilo ai 2,5, a seconda di come i meloni sono stati selezionati (anche
tramite misurazione del grado zuccherino), curati nel campo o delle varietà. Ma cosa è
successo? Capita in certi momenti della primavera, quando le piante fioriscono, che i fiori non
“leghino”, cioè non riescano a essere fecondati per poi fare frutto, a causa di particolari
condizioni climatiche. Quindi le piante “programmate” dagli agricoltori per dare frutto in
sequenza in determinati periodi e garantire buone quantità di prodotto da smerciare, un paio di
mesi dopo possono fallire la loro missione quasi tutte insieme.
Il freddo improvviso in primavera può non far fruttare o ritardare la maturazione, ed ecco,
circa cinquanta giorni dopo, il “buco”.
Per fortuna le piante in primavera, passato il freddo, poi continuano a fiorire e di conseguenza
a fruttare, quindi succede che questa settimana si è ristabilita la normalità.
Ora la produzione più importante in termini di quantità (ma anche qualità) riguarda la pianura
Padana: Ferrara, Mirandola, Mantova, Modena, Verona sono soltanto alcuni dei luoghi
prediletti. I meloni si producono anche ancora al Centro e al Sud, ma ora lo si fa in maniera
minore e solo per un consumo locale: è passato infatti il momento di primizia, in cui i meloni
meridionali soddisfacevano le prime voglie anche al Nord, che non produceva ancora.
Oggi quindi diciamo tranquillamente che si possono trovare meloni locali – o molto prossimi,
dalla Regione vicina – in tutto il Paese. Sceglieteli come abbiamo già raccontato in passato.
Dall’aspetto e dal profumo - ma attenzione, le cultivar siciliane, come la magenta e la red
moon, dalla polpa quasi rossa tanto è scura, di solito non ne emanano all’esterno – o con la
praticamente infallibile regola di soppesarli in relazione al loro volume. Quindi non conta tanto
la taglia, ma quanto più saranno pesanti a parità di grandezza: in questi casi al 100% saranno
molto maturi, succosi e dolci.
(dalla Newsletter di Slow Food - giugno 2014)
SABATO 28 GIUGNO alle 0RE 21.00 circa
PRESSO IL PARCO DI VILLA OBIZZI DI
ALBIGNASEGO (PD)
LA COMPAGNIA "C'ERA...C'É” presenta
per la apertura della manifestazione:
"XIII^ FESTA DELLA TREBBIATURA” e
“ANTICHI MESTIERI IN VILLA"
nei giorni 28 e 29 giugno 2014
"LA SCUOLA DEI NOSTRI NONNI"
RIEVOCAZIONE IN TONO ALLEGRO E
IRONICO DI UNA CLASSE ELEMENTARE
DEGLI ANNI '50.
LO SPETTACOLO E' GRATUITO - EVENTUALI OFFERTE VERRANNO
DEVOLUTE AL PROGETTO: "IN RICORDO DI MARILENA"
per un DOPOSCUOLA e MENSA a GUAYQUIL (EQUADOR)
con fr. ALBERTO missionario Comboniano
…...PASSATE PAROLA!!! E venite numerosi!!!
Scarica QUI il volantino dell’Associazione “C’era…c’è”
e QUI il programma della 13.a Festa della Trebbiatura di Albignasego.
FESTA BALCANICA: DIVERTIMENTO, CULTURA E SOLIDARIETÀ
“La vita poco alla volta si sta normalizzando.
La gente, le cui case sono state distrutte
dall’alluvione, sta tornando e cerca di limitare
i danni causati dal maltempo.
Anche a dispetto dei pericoli che corrono,
molto spesso queste persone non vogliono
lasciare i loro villaggi e rimangono nelle
vicinanze sperando in un miracolo.
È bello che le famiglie rimaste senza casa abbiano già iniziato a costruirne di nuove in altri
posti, come a Lopare, e che in questi giorni inizieranno a costruire anche a Zenica”. Queste
parole ci arrivano da Tuzlanska Amica, e ci danno un’idea della situazione nei Balcani un paio
di settimane dopo le alluvioni. “L’agricoltura, che era fonte di sostentamento per molti, è
stata letteralmente messa in ginocchio, mentre il bestiame è stato dimezzato.
Doboj, Maglaj e Bosanski Šamac continuano ancora a lottare contro il fango, con tonnellate di
immondizia che l’acqua ha portato con sé, di mobili distrutti e buttati fuori dalle case.
Nonostante ciò, anche qui la vita pian piano sta tornando alla normalità, la città viene pulita e
il miglioramento che oggi si vede è grande. A Srebrenica un grande problema sono le strade
distrutte dalle frane”.
Gli aiuti umanitari continuano ad arrivare: questa volta le comunità internazionale e locale si
sono fatte trovare pronte. È evidente, tuttavia, la mancanza di coordinamento, sicché capita
spesso che qualcuno abbia anche in abbondanza qualcosa che ad altri manca.
Per come è organizzato lo stato bosniaco (o dis-organizzato) è quasi certo che molti nuclei
familiari non avranno alcuna assistenza. Per esempio Orašje e Odzak, zone dove è molto
presente la nefropatia endemica e tante persone sono in dialisi, hanno ricevuto troppi
medicinali tranne quelli per i pazienti in dialisi, che scarseggiano.
“Grazie alle nostre famiglie e ai rapporti corretti che da anni abbiamo con gli abitanti dei
villaggi colpiti, siamo in grado di avere delle buone informazioni su cosa serve e a chi serve
l’aiuto. Capita che alcune famiglie ricevano aiuto da più fonti, probabilmente temono la fame
che hanno sentito durante la guerra, ma noi casi simili non ne abbiamo avuti. Dato che si parla
di abusi sugli aiuti umanitari (per ora pochi casi sono stati scoperti) è stato messo in funzione
un numero di telefono che interviene ad ogni segnalazione di presunte irregolarità, sicché ci
auguriamo che di questi casi ce ne saranno sempre meno”.
La fase più urgente è passata, e i territori colpiti iniziano a fare i conti con le conseguenze di
lunga durata. Oltre alle case e alle strade distrutte, le stime sui danni che sono stati causati
alle imprese sono già scoraggianti.
A noi, da Padova, non resta che immergerci per
poche ore nei segni dei Balcani che troveremo
il 29 giugno, in Golena San Massimo, a partire
dalle 17, organizzata da ACS e Padova con i
Balcani.
Sarà soprattutto una festa con musica, cucina
ed altre proposte, il cui ricavato sarà devoluto
ai vari gruppi con cui Legambiente ha già
rapporti e che lavorano direttamente per fornire
assistenza nei luoghi colpiti.
a cura di Lorenzo Marinelli, Redazione Ecopolis - con i contributi di ACS–Associazione
di Cooperazione e Solidarietà - Padova con i Balcani - Adriatic GreeNet
(da Ecopolis Newsletter - giugno 2014)
PADRI INUTILI
Ho letto in poco più di un’oretta, in spiaggia,
il divertente e sconfortante (per non dire angosciante)
libretto di Michele Serra “Gli sdraiati“, introspezione
autobiografica di un padre che assiste, impotente, al
crescere di un figlio moderno.
Divertente perché, nella descrizione delle abitudini del
figlio e dei suoi amici, esagerata ovviamente, si
riconosce buona parte dei difetti delle nuove
generazioni: perennemente online, incapaci di concentrarsi su una cosa sola, sciattoni,
trasandati, con orari assurdi, incapaci e soprattutto ribelli ad ogni forma di comunicazione.
Al tempo stesso angosciante perché, in tale descrizione, emerge soprattutto la figura del
padre, completamente incapace di dare la pur minima regola, la minima direttiva, quasi uno
schiavo di una volontà di “vietato vietare” portata alle streme conseguenze.
E così, episodi che potrebbero essere divertenti, si trasformano in tragiche constatazioni della
realtà, come quando, portato il figlio ed un amico al rito della vendemmia fra amici, e questi
restano a letto fino alle due del pomeriggio, ed un anziano vicino gela tutti col suo: “Certo che
una generazione dove i vecchi lavorano e i giovani dormono non si era mai vista“.
La tristezza che tale quadretto “familiare” (di una famiglia oltretutto menomata, essendo il
padre separato) desta sta, come detto, nella totale incapacità del padre a dare una minima
direttiva, una minima regola: e non si parla qui solo del vestire o del mangiare, ma neanche
riguardo alle norme basilari di convivenza civile, dal tenere pulito il bagno a tenere in ordine la
propria camera.
Se è vero che nel corso della storia sono necessarie oscillazioni ed eccessi per trovare
l’equilibrio e, tutto sommato, esiste una ciclicità, credo che dalla lettura di queste pagine
appaia evidente come la generazione del ’68 (l’autore è del 1954), nel suo eccessivo lassismo
e volontà di smontare ogni forma di autorità e di stracciare ogni valore si ritrovi, con la propria
discendenza, a dover affrontare le conseguenze di quegli eccessi: una totale impotenza e
inadeguatezza a trasmettere il pur minimo valore nonché a dare anche le minime norme di
convivenza civile.
Simpatico, e triste al tempo stesso. Da rifletterci sopra, per non diventare non
soltanto padri inutili, ma nocivi per le generazioni che seguono.
(scritto da Alberto Medici su Ingannati - giugno 2014)
«SALVIAMO LE API»: TASK FORCE PADOVANA CONTRO I PESTICIDI
Ricercatori dell’Università di Padova hanno lavorato insieme al gruppo di studiosi
internazionali della Task Force on Sistemic Pesticides: «La politica riconosca l’entità
dei rischi ambientali dati dall’uso di pesticidi in agricoltura».
PADOVA. Allarmati a livello mondiale da una massiccia moria di api, gli studiosi di diversi Paesi
hanno creato la “Task Force on Sistemic Pesticides”, un gruppo di ricercatori internazionale che
ha valutato gli effetti dei pesticidi sistemici non solo sulle api e gli altri insetti impollinatori, ma
anche nei confronti di altri organismi (uccelli, pesci, vertebrati, ecc.) ed ecosistemi, in
particolare per quelli acquatici.
I risultati dell’importante ricerca sono resi noti in contemporanea in questi giorni attraverso
una serie di iniziative che si tengono a Manila, Brussels, Ottawa, e Tokyo. I ricercatori
padovani dell’unità di Entomologia diretta dal prof. Vincenzo Girolami, e dell’unità Chimica,
diretti dal prof. Andrea Tapparo, hanno lavorato dall’inizio del progetto, cinque anni fa,
occupandosi della valutazione degli effetti dei pesticidi sistemici (in particolare dei
neonicotinoidi) sulle colonie delle api che soffrivano della cosiddetta “Sindrome da
spopolamento degli alveari” (Colony Collapse Disorder, CCD), per studiare e comprendere le
cause effettive di queste morie.
«Gli studi ci hanno portato a concludere –
spiega il prof. Andrea Tapparo, del Dipartimento
di Scienze Chimiche dell’Università di Padova –
che nei confronti di questi insetticidi, sempre
più largamente impiegati in agricoltura (in tutto
il mondo), è necessario approcciarsi con un
doppio livello di attenzione: l’attuale attività
agricola disperde nell’ambiente grandi quantità
di questi insetticidi che, essendo sistemici,
solubili in acqua e mobili nell’ambiente,
estendono la contaminazione ben oltre l’area
coltivata o la coltura trattata.
Concentrazioni tossicologicamente rilevanti sono spesso riscontrate nei suoli, nelle acque
sotterranee e superficiali e nella vegetazione (anche quella non direttamente trattata con
l’insetticida). Molteplici sono pertanto gli organismi (sia acquatici che terresti) cronicamente
esposti a dosi non trascurabili di questi insetticidi, con possibili ripercussioni negative per gli
ecosistemi contaminati.
Gli insetti impollinatori (api, bombi e molti altri, che svolgono un importante funzione sia per
l’agricoltura e sia per il mantenimento della qualità ambientale) possono essere direttamente
esposti (di fatto lo sono frequentemente a causa di pratiche agricole che sottovalutano tali
effetti) a quantità massicce di insetticida che possono determinare la morte della colonia (o di
una parte) in poche ore.
Il caso più eclatante riguarda le api bottinatrici che possono venir direttamente contaminate in
volo dalle polveri emesse dalle seminatrici pneumatiche durante la semina delle sementi
conciate: la pellicola di insetticida che ricopre il seme si erode nel corso delle operazioni di
semina producendo (è il caso della semina del mais) un particolato letale per le api bottinatrici
che si trovassero a volare nei pressi della seminatrice.
Tali conclusioni necessariamente inducono ad un auspicio di natura politica, ovvero che venga
riconosciuta l'entità dei rischi ambientali che, a livello globale, comporta l’uso di tali insetticidi e
che di conseguenza si agisca (rapidamente e in coerenza con il principio di precauzione) per
promuovere una loro più consona regolamentazione».
Le ricerche sono state condotte da un gruppo indipendente (quindi non vincolato alle
multinazionali del settore Agrofarm, operando così in assenza di conflitti di interesse) che ha
concretizzato il lavoro in 8 review che saranno a breve pubblicate su un numero speciale della
rivista Environmental Science and Pollution Reasearch.
(da Il Mattino di Padova - giugno 2014)
OCEANI CONDANNATI DALLA PLASTICA
I rifiuti di plastica che finiscono negli oceani del nostro pianeta provocano un danno
finanziario che è stato stimato almeno in 13 miliardi di dollari l'anno e minacciano la
vita marina, il turismo e la pesca. Ad affermarlo due rapporti diffusi dall'Onu.
I rifiuti di plastica che finiscono negli oceani del nostro
pianeta provocano un danno finanziario che è stato
stimato almeno in 13 miliardi di dollari l'anno e
minacciano la vita marina, il turismo e la pesca.
Ad affermarlo due rapporti diffusi dall'Onu in occasione
dell'apertura
della
prima
Assemblea
generale
sull'ambiente a Nairobi, in Kenya, che si tiene sino al
27 giugno prossimo.
«La plastica ha un ruolo fondamentale nella vita
moderna ma gli impatti ambientali, legati al modo in
cui la usiamo, non possono essere ignorati» ha rilevato Achim Steiner, il sottosegretario
generale dell'Onu e direttore esecutivo dell'UNEP spiegando che «bisogna prendere misure
appropriate per evitare che i rifiuti di plastica finiscano nell'ambiente. Questi due rapporti
indicano una strada obbligata: ridurre, riutilizzare e riciclare».
Gli scienziati hanno trovato frammenti di plastica intrappolati nel ghiaccio marino nelle regioni
polari, mentre altri rifiuti di plastica hanno ucciso parte della vita marina, sia perché mangiati
da tartarughe, delfini o balene sia perché hanno danneggiato habitat naturali ed essenziali
come le barriere coralline, evidenzia l'Unep.
Gran parte dei rifiuti di plastica finisce in mezzo agli oceani formando vasti 'continenti di
plasticà, dove convergono le correnti marine, mentre un impatto superiore arriva dalla microplastica (frammenti di meno di cinque millimetri di diametro) il che è particolarmente
preoccupante, secondo l'Unep. Una questione sempre più emergente riguarda minuscoli
frammenti di plastica creati da micro perle che sono sempre più utilizzati in dentifrici, gel e
detergenti per il viso che vanno a finire direttamente in fiumi, laghi e oceani.
«La loro ingestione è stata riscontrata negli organismi marini, tra cui uccelli marini, pesci,
cozze, vermi e zooplancton - aggiunge il rapporto - diventando alla fine una fonte di prodotti
chimici nella nostra alimentazione» ha aggiunto Steiner.
(da Terra Nuova - giugno 2014)
Dio, mafia, potere
da MicroMega – giugno 2014
Terra e futuro. L'agricoltura contadina ci salverà
da Il Cambiamento – giugno 2014
Quando gli operai si mettono in proprio
da Internazionale – giugno 2014
Il Regno di Giorgio I e II dove si ha la logica “in gran dispitto” e
dunque un po’ anche la democrazia
scritto da Marco Travaglio su MicroMega – giugno 2014
PROMEMORIA DA SEGNARE NELLA
VOSTRA AGENDA DEGLI IMPEGNI
PRIMARI!!
• perché?: SIETE INVITATI AL 30°
COMPLEANNO DEL TAMISO!!
• quando?: DALLE ORE 16.00 DI SABATO 19 LUGLIO 2014
• dove?: AL PARCO VENTURINI - NATALE
"EX-FISTOMBA", IN VIA PONTE
OGNISSANTI A PADOVA
• cosa faremo insieme?: GIOCHI ,
RISTORAZIONE BIO PER TUTTI, E LA
GRANDE MUSICA DEGLI "SKA-J", LA
BANDA JAZZ PiÙ VENEZIANA CHE CI
SIA !!!!!
MA IL MEGLIO ARRIVERÀ IL 12 OTTOBRE:
SARÀ CON NOI VANDANA SHIVA!
Ragazzi…. saremo in tanti ad aspettarla e
aspettarvi!!!!
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