KARUNA CORPORATION
GUIDA PRATICA ALLA COMPRENSIONE
DELLE PROCEDURE NELL’ASILO NIDO
(QUELLO CHE FORSE NON SI PENSA DURANTE LA PRATICA EDUCATIVA, E CHE
ALLORA NON E’ PIU EDUCATIVA, E FORSE NON E’ NEMMENO PIU’ PRATICA.)
Se consideriamo il compito dell’educatore nel senso ordinario, vale a dire solo un’occupazione
nella società, l’educatore non è altro che un educatore comune; oppure, in un contesto più vasto
potremmo dire che, se nascere nel mondo non è altro che apparire sulla scena come un altro
membro della società, il significato della vita si ferma qui. Ma se possiamo considerare la nostra
vita e ogni cosa da una prospettiva più elevata, come quella dell’essere, allora cambierà
inevitabilmente anche il significato delle nostre attività quotidiane.
INTRODUZIONE
Per certi versi il lavoro di educatore al Nido può essere visto ancora oggi come un lavoro umile, ma
in verità sarebbe il più nobile dei mestieri poiché chi lavora con i bambini lavora con la natura
umana al suo inizio di vita, lì dove sono le nostre radici e la conoscenza delle origini.
L’emergenza educativa dovuta all’assenza prolungata dei genitori nel tempo si è andata
coniugando con l’esigenza e il desiderio di inserire il proprio figlio in un contesto educativo che
abbia i connotati della qualità. In tale contesto il ruolo dell’educatore è quello di organizzare,
proporre e facilitare delle esperienze che altrimenti rimarrebbero solo latenti, cioè potenziali. La
riflessione intorno alle esperienze dei bambini dovrà pertanto fondarsi sulle premesse dell’attività
mentale e fisica di ogni singolo bambino attraverso modalità che non lascino nulla al caso,
esaminando anche tutto ciò che possa avere qualche ulteriore attinenza o riferimento con le
pratiche educative, intendendo con ciò l’esame di pratiche o discipline alternative come lo Yoga, la
musica o qualunque altra forma di espressione attiva o “passiva”, che possa avere attinenza
riguardo il raggiungimento di obiettivi o la realizzazione di un progetto.
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Tutto ciò dovrà indurre le educatrici a valutare attentamente, di volta in volta, il tipo di scelte
operate con i bambini, ognuno dei quali è parte di un gruppo sociale che però necessita di cure
individuali per riuscire a costruirsi la propria peculiare individualità. Per motivi diversi ognuno di loro
può avere bisogno di un trattamento diverso. Allora va bene l’istituzione di rituali collettivi, ma non
va più bene quando un bisogno, come può essere quello del ciuccio, è trattato allo stesso modo
per tutti.
Il Progetto educativo del Nido si occupa perciò di offrire, osservare e valutare le varie circostanze,
fatte di momenti, in cui si compongono le varie fasi di un servizio, inducendo ed orientando le
azioni del bambino in modo significativo anche attraverso il coinvolgimento e la partecipazione
delle famiglie in un rapporto di costante sinergia tesa allo sviluppo psico-fisico, cognitivo (cioè
“conoscitivo”) e relazionale di ogni bambino. E’ stato scritto infatti che “Il Progetto educativo è un
insieme strutturale di interventi e offerte ludico-pedagogiche al cui interno si trovano regole
piuttosto precise riguardo i tempi e i modi di portarli avanti in base all’età dei bambini”.
Poiché ogni educatore ha ricevuto a sua volta un certo tipo di educazione formale, dovrà evitare di
trasmettere la propria conoscenza delle cose, in quanto questa è già stata condizionata. La
personalità precaria del bambino infatti, non può rischiare di costruirsi sui modelli mentali (modello
= riferimento comportamentale) che gli stessi educatori a loro volta hanno subito e forse ancora
subiscono. Un progetto infatti, non può che contrapporsi agli automatismi.
Per conseguire gli obiettivi del Progetto educativo si dovranno mettere in atto strategie per
accompagnare genitori e bambini all’interno dei ritmi del Nido a partire dall’ambientamento iniziale
per poi verificarne la validità rispetto a quanto ci si era proposti.
Ma quali sono questi obiettivi? Ci sono due tipi di obiettivi: quelli generali, che riguardano la
realizzazione delle fasi del Progetto educativo soprattutto per quel che riguarda la funzione di cura,
custodia e accrescimento del singolo bambino in unione con la famiglia, e quelli specifici che
riguardano l’intenzionalità strettamente educativa posta in opera dall’educatore affinché ogni
singolo bambino tragga tutti i benefici possibili dalla complessità delle offerte di gioco-attività,
interazione sociale e routine.
Per poter svolgere questo tipo di lavoro abbiamo bisogno di predisporre spazi ad hoc in cui il
bambino ne possa da subito beneficiare in termini di contenuti, nel senso che lo spazio organizzato
esprime una precisa intenzione che gli educatori hanno e che i bambini riconoscono come
appropriato per fare ciò che di meglio e più intelligente possono fare. La disposizione di angoli,
mobili e giochi definiscono uno spazio che può essere adatto o inadatto a svolgere una funzione,
che nel nostro caso è ludico-educativa.
L’organizzazione dello spazio già definisce l’intenzionalità di un Progetto educativo nelle sue
diverse fasi e aspetti.
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Costruire esperienze significa riconoscere e poi utilizzare le caratteristiche personali di ogni singolo
bambino in un preciso contesto spaziale e sociale, conoscendo cosa questo contesto gli può offrire
e verso cosa tende.
Modificare uno spazio attraverso gli elementi che lo compongono significa anche e soprattutto che
andiamo a modificarne i contenuti (vedi Progetto educativo), gli stessi che nel corso dell’anno
andranno messi in discussione attraverso una verifica delle intenzioni progettuali e la risposta che i
bambini danno a queste intenzioni.
L’idea della trasformazione di uno spazio dovrà pertanto essere valutata sulla base di nuove
prospettive di significati, di nuovi obiettivi e delle finalità verso cui tendono. Ci rifacciamo quindi a
quel “lavoro per progetti” che, come un’indagine sui bisogni sopraggiunti in base a richieste non
formalizzate dai bambini, interviene per contribuire alle evoluzioni delle loro esperienze.
Per l’ambientamento iniziale di Settembre, per esempio, ci si dovrà preoccupare – cioè occupare
da prima – di creare spazi di facile fruizione e di facile riconoscimento per evitare di disorientare i
bambini e accrescere invece, il loro interesse e la loro innata curiosità.
Finito l’ambientamento sarà possibile organizzare strategie affinché ad ogni bambino sia
consentito sentirsi parte attiva dello spazio, sviluppando un sempre più preciso senso di sé, cioè
un’identità propria, ad esempio attraverso il riconoscimento dell’armadietto personale in cui trovare
le proprie scarpine e calzetti, il proprio bavaglino da indossare e il proprio ciuccio. Ma anche la
canzoncina del “buon giorno” in cui sono chiamati per nome ad uno ad uno è un pratico espediente
educativo di identificazione di sé.
Una volta verificato il grado di autonomia e identità rispetto questi ed altri rituali, ci sarà dato di
osservare verso quali nuove tappe di sviluppo ogni bambino tende, cioè verso quali nuovi interessi
si sente portato; e questo è possibile grazie ad una diversificazione di offerte e al grado di
interesse che per queste i bambini dimostrano. Potrà cosi accadere di osservare uno spostamento
degli interessi verso nuove mete, verso nuove “zone di sviluppo prossimale” ( Vigotskiy) e aiutarlo
così a “transitare” in direzione di una nuova tappa di sviluppo.
Espressioni come “attività esplorative” e parole come “scoperta” saranno le chiavi di lettura di un
buon Progetto educativo il cui “farsi” sarà sviluppato, oltre che dalle prassi di routine, da una
feconda osservazione delle pratiche e dal pensiero forte di un “lavoro per progetti”.
Questo tipo di lavoro verrà esaminato più avanti.
IL PROGETTO EDUCATIVO:
Il Progetto educativo generale deve prevedere le diverse fasi di realizzazione nonché lo stile di
questa realizzazione cioè la metodologia di intervento nel contesto educativo.
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I contenuti fondamentali del Progetto educativo riguardano: la relazione attiva con le famiglie, i
percorsi educativi, le modalità necessarie per realizzarli, gli obiettivi, l’osservazione dei processi
educativi (le proposte delle educatrici e le risposte dei bambini), la documentazione dei processi
educativi, la valutazione delle proposte in base alle risposte dei bambini e dei processi innescati.
Ci si domanderà pertanto, documentandolo, se il Progetto educativo, nei suoi diversi aspetti di
ambientamento, obiettivi e processi, è stato realizzato come s’era pensato e quali eventuali aspetti
di novità sono subentrati, nonché i punti di forza e di debolezza di ciò che era stato progettato,
anche in considerazione degli inevitabili cambiamenti dei bambini nei diversi archi temporali in cui
mutano le esigenze dei piccoli.
Il Progetto deve tenere conto che l’azione educativa è finalizzata alla costruzione dell’identità,
dell’autonomia e delle competenze dei bambini. L’educatore pertanto dovrebbe essere a
conoscenza di come si costruisce e di cosa significa nel bambino un’identità, un’autonomia e una
diversificazione di competenze in base alla fascia di età.
Ciò non sarebbe mai possibile senza la conoscenza delle
FASI DELLO SVILUPPO EVOLUTIVO:
Prima del compimento dell’anno il bambino che non cammina passa molto tempo seduto
esplorando l’ambiente che lo circonda senza poter riconoscere qualcosa in particolare che non
siano certe atmosfere, certi suoni o gli occhi della mamma. Se prova il desiderio di raggiungere un
oggetto tenterà di “gattonare” fino a raggiungerlo; oppure riuscirà a procurarsi il giocattolo che è
sistemato sulla coperta, non afferrando il giocattolo stesso, troppo lontano, ma tirando a sé la
coperta fino a raggiungerlo. Fino ai 18 mesi l’intelligenza del bambino risiede nel corpo, col quale
si identifica in maniera diffusa, finché il “disegno” tracciato nel suo schema evolutivo (DNA ecc.) lo
delinea in maniera più incisiva e definitiva. La sua vera identità si costruisce giorno per giorno; per
questo motivo all’adulto viene chiesto di non interferire con anticipazioni e interventi arbitrari di
alcun genere; la sola vera comunicazione sarà non verbale, fatta di piccoli gesti ed espressioni del
viso, uno scambio comunicativo senza parole poiché queste non sono così influenti come si
potrebbe credere. E’ questa la fase in cui gli affetti e le funzioni intellettuali ancora non si
distinguono, e in cui il suo bisogno di esplorare può trovare soddisfazione in quel “cestino dei
tesori” in cui il mondo degli oggetti di uso quotidiano gli si presenta sottoforma di gioco.
Lasciare un bambino libero di esplorare, ci auguriamo, costituisce il presupposto affinché possa
continuare una libera esplorazione per il resto della vita.
Le opportunità che offre il cestino dei tesori, aiutano il bambino molto piccolo a non sentirsi
frustrato nell’impossibilità di muoversi nello spazio, nell’impulso all’esplorazione che viene
soddisfatto dall’incontro con oggetti di vario ordine, il criterio per la scelta dei quali è fondato sulla
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stimolazione sensoriale (vista, udito, tatto, gusto, odorato e percezione della forma). Questi oggetti,
che dovranno avere i requisiti di sicurezza e pulizia, potranno essere:
pigne, conchiglie, zucche secche, castagne, pietra pomice, tappi grandi di sughero, spugnette,
spazzolino per le unghie, pennelli per il viso, cilindretti, bigodini, anelli per le tende, portatovagliolo,
ciotoline in bambù, spatole, cucchiaini, frusta da cucina, coperchietti in metallo stondati (confezioni
di succo di frutta o pomodoro), formine per dolci, spremi agrumi, scovolino, fischietto, triangolo
musicale, colino del tè, bicchierino di metallo, infusore per il tè, borsellino in pelle, pallina ‘magica’
in gomma piena, piumino per cipria, pezzi di tubo di gomma, palla da tennis, palla da golf…
Compiuto l’anno di vita, il bambino generalmente è autonomamente deambulante e può esplorare
lo spazio. Il gruppo dei bambini con cui condivide lo spazio può facilmente confonderlo fino a fargli
perdere momentaneamente la sua precaria identità provocando una reazione a catena di pianto in
quanto l’uno si distingue a malapena dall’altro. In questo periodo però si sviluppano in ogni diverso
bambino i segni di una precisa intenzionalità che corrispondono già in un tipo di carattere.
Il gioco del cestino dei tesori si è trasformato nella scoperta dell’utilizzo di alcuni di quegli stessi
oggetti, che ora saranno contenuti in diverse sacche di stoffa poste ad altezza di bambino, e
contrassegnate da un’etichetta che ne evidenzia il contenuto. Il gioco euristico (eurisko= scoprire)
comprende pochi bambini alla volta che troveranno sul tappetone di uno “spazio protetto” una
varietà di oggetti, come quelli sopra citati, che abbiano una valenza funzionale che il bambino
appunto, scopre. Si selezioneranno 5 o 6 sacche per permettere buone combinazioni di oggetti,
ma senza esagerare; gli oggetti saranno disposti in mucchietti separati tra loro, in modo da far
scegliere ai bambini da soli senza essere indirizzati. L’educatrice, “ancora emotiva”, avrà solo il
compito di riorganizzare periodicamente gli oggetti sparsi in giro dai bambini fino al riordino finale
in cui si tenterà di coinvolgere gli stessi bambini. Per sperare in questo, l’educatrice dovrà
assolutamente evitare frasi banali come “Chi mi aiuta?” che vanificano la sua autorevolezza in
quanto c’è sempre il rischio che i bambini non vogliano affatto aiutarla. Sarà invece meglio una
frase indiretta e neutrale del tipo “Guarda lì, quel tappo…” Ma l’importanza del fare riordinare i
bambini deve essere prima di tutto sinceramente e fortemente sentita dalla stessa educatrice
come un valore pedagogico, altrimenti l’insuccesso è sicuro.
Il riordino da parte dei bambini, oltre ad essere un esercizio di cura dell’ambiente, li accompagna
verso l’esperienza diretta di ciò che la matematica definisce “insiemi”, l’unione e la divisione
concettuale di elementi qualitativamente e quantitativamente uguali o diversi.
E’ da tenere presente che tra gli oggetti e i giochi che il bambino di questa età incontra al Nido vi
sono i libretti illustrati con una singola figura, un singolo oggetto che sia più facilmente distinguibile
anche se non riconoscibile, in quanto nulla ancora è entrato oggettivamente nel campo della sua
percezione ancora tutta in evoluzione, cioè nulla è ancora da lui conosciuto.
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Diversamente, dopo il secondo anno, il bambino ha bisogno che alle figure o immagini siano
associate delle storie, poiché in questo periodo dalla semplice esplorazione si viene introdotti nel
campo delle “conquiste” personali. Attraverso l’interazione con i coetanei e gli adulti, il bambino per
riflesso e/o compensazione sviluppa una propria immagine di sé; può essere questo infatti il
momento per iniziare certe verifiche personali che, come impulso verso l’autonomia, hanno
bisogno di essere convalidate anche da atteggiamenti di ribellione e da certi “no!” che se non
compresi rischiano di trasformarsi in stati d’animo perennemente negativi.
Per queste e per altre ragioni i tipi di storie illustrate che si raccontano ai bambini di questa età
dovranno necessariamente avere delle valenze formativo-pedagogiche che corrispondono a vere
forme educative, nel senso che la loro funzione è di riflettere tutti quegli stati d’animo che nel
bambino stanno emergendo, e a cui si dovranno dare risposte significative.
Come si potrà facilmente notare si renderanno più accessibili alla comprensione dei bambini storie
fantastiche che hanno come protagonisti degli animali, per la ragione che a questa età gli animali
riflettono in modo adeguato la loro evoluzione filogenetica (evoluzione degli stadi di sviluppo della
specie umana) che è così giunta al livello naturale-animale e va evolvendosi verso quello umano
nel senso più pieno dell’espressione.
La vita del bambino cioè, passa prima da una fase che è pura natura, simile ad un animaletto
guidato esclusivamente dagli istinti. Quelli lui riconosce, personificati dagli animali.
Nella fase terminale di questo sviluppo si potrà notare ancora come il bambino riesca a seguire lo
svolgersi di una storia pur avendo a sua disposizione poche comprensibili parole. E’ infatti il
fascino emanato da ciò che nella storia gli corrisponde ad esercitare tanto potere su di lui: il
cavallo, la volpe, il bambino che trova le soluzioni, la principessa, ma anche l’orco e il lupo, che
dovranno essere selezionati solo a necessità, e non gratuitamente. Anche se infatti è innegabile
che nell’animo di ogni essere umano, e per cui anche nel bambino in evoluzione, si nasconde un
istinto malvagio, o quantomeno ambiguo, evocarlo senza motivo non ha finalità educative ma
induttive. Ciò che ancora è sconosciuto, come certi sentimenti e certe paure, non si addice ad un
bambino piccolo che indugia sulla strada di un’evoluzione che deve essere attentamente calibrata.
Poiché il bambino piccolo si esercita nel mondo, che a lui è ancora completamente sconosciuto,
avrà bisogno di sentirsi raccontare storie il cui decorso non prevede grandi accidenti ed emozioni
palesemente contrastanti. Egli infatti è tutto proteso all’imitazione e al gioco simbolico che ancora
riguardano, e devono riguardare, il mondo conosciuto della propria famiglia o di ciò che più
facilmente riesce a “digerire”, nel senso di assimilare ed apprendere, e non gli stati problematici o
conflittuali.
Il pensiero e i sentimenti del bambino che frequenta un Nido sono semplici ed elementari,
assimilano cioè pochissimi elementi alla volta. E’ l’ansia da prestazione dell’adulto che vuole
precorrere i tempi, il vero problema. E’ l’adulto stesso, il più delle volte problematico, che vorrebbe
vedere nel bambino ciò che lui stesso non riesce ad essere e a fare.
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Attraverso le forme spontanee del gioco il bambino si alleggerisce dalle emozioni negative che lo
investono, poiché nel gioco ritrova i suoi significati più appropriati. Ed è attraverso l’esplorazione e
l’immaginazione che il bambino è aiutato ad organizzare le varie situazioni della vita, nell’imitare
qualcuno o qualcosa, proprio come lo ritroviamo nel suo gioco simbolico e nelle vicende delle
favole.
Poiché in tutti questi processi il bambino contemporaneamente al piacere del gioco sta anche
controllando la sua realtà facilmente deformabile, sarà proprio inutile immettere gratuitamente nel
suo campo percettivo quel “lupo” che da sempre interviene per mettere scompiglio ma che solo più
tardi acquisterà un significato creativo per il bambino.
Lo vediamo infatti più tardi, quando superati i tre anni il bambino è praticamente padrone del suo
corpo e del linguaggio, grazie al quale potrà assegnare un valore alle immagini che gli si fanno
incontro condividendole con i coetanei ai quali avrà il piacere di presentare un gioco o un oggetto
come fossero una parte di se stesso, ma anche il gusto macabro di presentarsi, magari nel
travestimento, come un mostro, andando a compensare l’immagine che si è costruito di se stesso.
Questo ulteriore sviluppo dell’identità, che solo ora può anche essere giocosamente trasformata
nel suo lato peggiore, lo accompagnerà a nuove forme di apprendimento e con esso al
riconoscimento delle differenze.
UNA METODOLOGIA: LAVORARE PER PROGETTI
Il lavoro per progetti è un metodo di lavoro e di intervento educativo controllato e non direttivo, il
cui procedimento è un’indagine sui bisogni e le richieste non formalizzate dai bambini ma rilevate
dall’occhio attento delle educatrici: qualcosa nella sezione, in un gruppo di bambini, o in un singolo
bambino sta prendendo forma, come un bisogno o un’idea non espressa; l’intenzione non
riconosciuta del bambino o dei bambini può essere riconosciuta dalle educatrici che allora
impronteranno un progetto. Potrà trattarsi di un miglioramento degli spazi perchè col tempo si
sviluppano nuove esigenze, o potrà essere l’ampliamento dell’offerta ludica perchè certi giochi non
suscitano più interesse, ma anche l’uso improprio di un certo gioco o giocattolo ci può suggerire
che quel bambino o quei bambini stanno cercando di fare qualcos’altro; oppure si vuole suscitare
un certo interesse per un’area tematica ancora sconosciuta ai bambini perchè le educatrici hanno
intercettato la possibilità da parte degli stessi bambini di sviluppare certe capacità o abilità (per es.
riguardo la modalità di modificare aspetti delle routine, ma anche quella di elaborare una fiaba).
Allora è il momento di progettare un intervento, il più dettagliato possibile, suddiviso in fasi
temporali, basato su specifici obiettivi e corredato dal materiale occorrente che verrà utilizzato
nelle varie fasi, per indurre un certo gruppo di bambini a fare un’esperienza significativa.
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Ma cosa significa “esperienza significativa”? – Significa accompagnare il bambino verso la sua
prossima tappa evolutiva (“zona di sviluppo prossimale”) grazie alla comprensione delle
esperienze fatte, col corpo e la mente, che gli avranno permesso di procedere ulteriormente; è
significativo cioè tutto ciò che è inerente all’ “accrescimento” ; ma significativo è anche fornire ad
ogni singolo bambino occasioni di apprendimento, di sviluppo di abilità specifiche e comprensione
di fenomeni che, in base all’età, possano accrescerlo soddisfacendolo positivamente, cioè
riempiendo la sua misura di soddisfazione personale (autostima) in modo da renderlo
sufficientemente autonomo.
Gli obiettivi che un tale procedimento vuole conseguire sono molto spesso già dichiarati nel
Progetto educativo generale e riguardano il più delle volte le competenze cognitive, creative e
socio-affettive, procedendo dall’iniziale conoscenza dell’ambiente (non è forse l’ambientamento un
progetto?), in cui lo sviluppo e il consolidamento di relazioni affettive possa andare oltre i soli
genitori; e poi lo sviluppo delle proprie capacità percettive, il riconoscimento delle fasi temporali del
Nido (routine), lo sviluppo espressivo-creativo-comunicativo, e non ultimo l’autonomia a tavola e al
bagno.
Durante questi processi le educatrici dovranno tendere ad individuare le possibili difficoltà o
problematiche legate soprattutto al processo di crescita e benessere dei bambini.
Le strutture d’intervento del lavorare per progetti vengono costruite gradualmente in funzione
dell’obiettivo da raggiungere, avviando una riflessione professionale sulle strategie e su gli stili da
adottare, nonché una verifica in cui sia possibile osservare l’evolversi del contesto, rilevando se,
come e quando ogni bambino apporti il suo contributo all’evolversi dell’esperienza e delle
competenze che vengono acquisite.
Saper abbandonare l’idea di programmare anticipatamente un intervento che presume di
prevedere un percorso e il suo risultato finale, significa assumere un atteggiamento di ricerca in cui
la progettualità si auto-costruisce.
L’osservazione dell’attività spontanea dei bambini ad esempio, ci consente di individuare delle
“costanti” nei loro atteggiamenti e nelle operazioni che compiono, in modo da tradurle in progetti
finalizzati e nella valutazione dei risultati raggiunti, coadiuvata dalla documentazione necessaria a
comunicare l’esperienza portata avanti dai bambini e le modalità di attuazione.
Sarà quindi necessario definire per iscritto il perchè dell’intervento (motivazione), il numero dei
bambini coinvolti, in cosa consiste, cosa era stato osservato e in che circostanza (contesto), quale
obiettivo si vuole raggiungere e cosa si decide di fare (programmazione del percorso educativo e
le modalità organizzative necessaria per realizzarlo) e in quanto tempo, trascorso il quale si farà
una valutazione del risultato raggiunto o del mancato risultato.
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RACCONTARE STORIE (LE FIABE):
Sarà bene che nel raccontare una storia o una fiaba il gruppo di bambini non sia eccessivo, e
comunque sia collocato in uno spazio apposito come una specifica stanza o uno specifico angolo
della sezione. Altra cosa importantissima, come s’è visto, sarà la scelta di ciò che, secondo l’età e
gli interessi del gruppo di bambini, verrà raccontato. I bambini dovrebbero anche avere modo di
intervenire esprimendo i propri apprezzamenti e le proprie reazioni rispetto ciò che ascoltano.
Questo permetterà all’educatrice di annotare i commenti dei bambini in modo da prolungare
l’assunto con altre e nuove proposte così come è in uso nel “lavoro per progetti.
La scelta di un numero limitato di bambini permetterebbe proprio questo tipo di interazione, mentre
il grande gruppo si troverebbe costretto al silenzio per poter ascoltare.
E’ sconsigliabile leggere di seguito una seconda favola ai bambini, perchè impedirebbe loro di
elaborare le proprie sensazioni, ancora vaghe, e sentire che la prima storia raccontata potrebbe
avere qualcosa di importante che andrebbe persa se non gli viene ripetuta. Ed è proprio questo il
motivo che induce i bambini a richiedere il bis di una storia, specie quando questa ha una trama
troppo articolata che va analizzata il più possibile con i pochi strumenti che i bambini hanno a
disposizione.
Raccontando una storia si apre una porta misteriosa, e pertanto l’adulto dovrà sceglierla con cura
senza sentire il bisogno di dare troppe spiegazioni ai bambini che intuendone direttamente il
senso, potranno elaborarla non intellettualmente ma simbolicamente.La “strada per uscire dal
bosco” ad esempio, può direttamente arrivare al bambino in tutto il suo significato simbolico di
“sforzo emotivo di trovare se stessi e diventare più autonomi nel conoscere il mondo” o di “trovare
la via di uscita da una situazione difficile”.
E’ raro trovare in un adulto, fosse anche un educatore, la voglia di conoscere il significato
simbolico delle immagini della fantasia. Per lo più ci si accontenta di subirne la fascinazione e la
conoscenza a priori del lieto fine. Le fiabe, se intese come indicazioni comportamentali, raccontano
del male, di ciò che è sbagliato e rende “stregati”, e la cura da apportare attraverso il giusto
comportamento. Nella fiaba come nel sogno si deve compiere una certa impresa per ristabilire un
equilibrio che è andato perduto e che provoca una reazione benefica e vivificante, raggiungendo,
col lieto fine, una pace interiore col mondo. Una stessa fiaba potrà far scoprire al bambino aspetti
sempre nuovi via via che cresce, e sarà solo lui ad intuire quali significati hanno importanza in un
dato momento.
Molte fiabe contengono certi simbolismi di natura sessuale che fortunatamente rimangono al livello
preconscio nella mentalità del bambino. Dice Bettelheim: “Cappuccetto Rosso deve essere estratta
dallo stomaco del lupo come un taglio cesareo; viene così suggerita l’idea della gestazione e del
parto. Con esse, sono evocati nell’inconscio del bambino riferimenti a una relazione sessuale.
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Come fa un feto a entrare nel ventre materno? si chiede il bambino, e decide che può essere
successo soltanto perchè la madre ha inghiottito qualcosa, come ha fatto il lupo”.
Secondo Bettelheim, il lupo, che ha i più diversi significati, in questa favola è l’incarnazione della
malvagità sottoforma di seduttore e altri connotati edipici che qui non approfondiamo.
Poiché il bambino non è in grado di comprendere le trasformazioni interiori, gli espedienti delle
fiabe, sottoforma di personaggi costretti a subire incantesimi e sortilegi fino ad essere trasformati in
animali (draghi, serpenti, rane ecc.), sono necessari per intendere la sostituzione di una cosa con
un’altra, per esempio la madre buona e la matrigna cattiva. Ascoltando una storia il bambino può
intuire le connessioni tra gli elementi e imparare a credere che certe trasformazioni siano possibili.
Le fiabe trattano di processi interiori esteriorizzati nei personaggi, e di problemi emotivi attinenti al
processo di crescita facendo sì che il bambino, a mano a mano che cresce, sia all’altezza di
affrontarli. La paura del buio, ad esempio, può rappresentare la paura dell’indistinto, lo stato
d’animo del completo disorientamento provocato dall’insicurezza circa lo stare insieme o meno dei
genitori, l’insicurezza del durare, la paura di avere sbagliato o dell’essersi comportato “male” e
pertanto non sentirà più la protezione dei genitori da cui invece dovrà dipendere.
La fiaba narra di quel ‘bene’ e di quel ‘male’ che il bambino piccolo ancora non conosce, al punto
da confondere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. La fiaba restituisce l’ordine ricreandolo nei
ruoli e nei comportamenti dei personaggi che si armonizzano con la mente del bambino perchè
parlano il linguaggio dei simboli. La problematica della fiaba trova la sua soluzione attraversando
paure, speranze, desideri e avversioni che vanno a intrecciarsi con i primi pensieri del bambino.
Per questo motivo non c’è fretta di presentargli una realtà problematica che ancora non sarebbe in
grado di gestire. Lo vediamo dal grado di tensione e agitazione che vivono i bambini quando la
situazione familiare non corrisponde ai loro bisogni di sicurezza ontologica (ciò che li fa sentire
“esistenti”).
Le educatrici dovrebbero tenere presente il sistema simbolico dei bambini corrispondente all’età e
quindi al grado di comprensione di un assunto. Molte volte le fiabe possono addirittura creare nel
bambino un senso di frustrazione per il fatto di non averla capita, ragione per cui gli è impossibile
beneficiare del valore del suo contenuto.
Oltre al fatto che non si dovrebbe leggere una fiaba qualunque solo per passare mezz’ora, si deve
tenere presente il motivo per cui si racconta, cioè i suoi obiettivi:
- è per la memorizzazione? – è per il confronto sociale tra coetanei? – è per un’elaborazione
cognitiva? – è per il riconoscimento degli elementi che la costituiscono? – è per un’elaborazione
espressiva con i colori?
e il contesto entro cui si svolge la narrazione: - è prima di pranzo? – è prima di andare a dormire?
– è durante la mattinata?
Ogni contesto, se ben osservato e valutato, può diventare un mezzo per lo sviluppo di particolari
progetti. La fiaba certamente lo è, ma quando è troppo articolata, come quasi sempre avviene, può
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complicare il percorso progettuale che non lo necessita. Una storiella semplice, come vedremo, è
meglio, e può essere un buon veicolo per portare avanti in progetto che, seppur senza intenzioni
direttive, vuole suscitare un certo interesse nel quale possano convergere diverse aree tematiche
da cui far ripartire nuove possibilità di sviluppo.
Un esempio:
“Due amici, il gatto Gino e l’orsetto Lollo ( o due animali uguali con caratteristiche diverse),
stanno sempre insieme: giocano con la palla o a nascondino, ma anche con le costruzioni; a volte
hanno anche litigato, però poi fanno la pace e vanno a riposare insieme, pranzano insieme e la
sera, dopo aver giocato tutto il giorno, tornano a casa dalle mamme che hanno preparato la cena
(similitudine con la vita dei bambini).
Un giorno decidono di costruire un aquilone; vanno poi in cima alla montagna, in alto (contrario
di ‘basso’) dove c’è vento, così che l’aquilone si muove forte come se volesse volare. Quando Gino
(chi è dei due?) chiede a Lollo di lasciargli prendere l’aquilone, questo, prima di essere afferrato
vola via trascinato dal vento; ora vola in alto tra le nuvole, sempre più lentamente però, ma sempre
più in alto. Quando arriva la sera l’aquilone è ancora lì; i due amici sono rimasti sempre a
guardarlo. Sembra proprio che ora si sia fermato a parlare con la luna…”
Sarà possibile che i bambini vogliano sentirsela ripetere, o che uno di loro la voglia raccontare, o
che sia l’educatrice a chiedere se qualcuno la vuole raccontare agli altri. – In ogni caso ci sono
molte implicazioni: da quelle relative alla memoria a quelle sociali o emozionali.
L’educatrice scomporrà, per analizzarli con i bambini, tutti gli elementi che costituiscono la storia.
Domanderà: “Chi è Gino? E Chi è Lollo? – Cosa fanno insieme? – Cosa costruiscono? – Dove
vanno poi? – Perché l’aquilone vola via? – Dove va? – Cosa c’è in cielo? - Con chi sembra che
parli?”
L’attività immaginativa del bambino potrà essere il veicolo per quella cognitiva che si tradurrà nella
capacità di mettere in ordine temporale la successione degli eventi e le loro differenze
(giorno/notte) sviluppando l’area linguistica, e potrà anche svilupparsi in forma grafica, creando
nuovi contesti progettuali (come dei LINK) che l’educatrice potrà valutare (giocare a palla, costruire
un aquilone, andare sulla montagna, contrapposta all’idea di ‘pianura’, - approfondire la
conoscenza degli animali, ecc.); ma anche ciò che riguarda la meteorologia (com’è il cielo oggi? Cosa c’è? – Come ci si veste?) che può dare lo spunto per un pannello meteorologico in cui
applicare giornalmente l’immagine grafica (sole, nuvole, pioggia) preparata che corrisponde a ciò
che si vede dalla finestra.
La stessa cosa si potrà fare con la storia di Cippo l’uccellino:
STORIA DI CIPPO L’UCCELLINO
Quando il sole è nel cielo e la luce illumina la campagna, Cippo si sveglia e comincia la giornata
cinguettando; quando ha fatto colazione con le briciole di pane che trova sul terrazzo del signor
Gianni, vola in alto sugli alberi e cerca i suoi amici. Dopo aver giocato con loro gli viene fame e
cerca le mele rosse e le pere verdi che sono appese sugli alberi, e quando ha mangiato a sufficienza
continua a volare e giocare fino a quando è sera e spunta la luna in cielo. Ora è buio, non si può
più giocare, si ritira nella sua casetta sull’albero e… buona notte!
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L’educatrice avrà raccontato la storiella lentamente con voce chiara; sarà bene che abbia
preparato delle schede che illustrano le fasi principali della giornata dell’uccellino da mostrare ai
bambini durante la narrazione. Le finalità di questa operazione, oltre al piacere dell’intrattenimento
e della condivisione, possono riferirsi alla verifica di alcune competenze (memoria, percezione
spaziale e temporale, linguistica, ecc.) con domande del tipo:
- Cosa c’è nel cielo, la mattina, quando Cippo si sveglia?
- Cosa mangia Cippo?
- Chi cerca per giocare?
- Fino a quando gioca?
- Cosa fa quando è buio?
L’educatrice potrà anche invitare i bambini ad esprimere le preferenze rispetto alle immagini e
quindi ai vari momenti della giornata. In un secondo momento si potrà sollecitare i bambini ad
imitare l’educatrice stessa raccontando la storiella, utilizzando le schede illustrate così da
coinvolgere emotivamente il gruppo di bambini che potrà interagire con ricchezza di immagini ed
espressioni personali sollecitando il potenziamento delle capacità di espressione linguistica e la
capacità di ricostruire la successione degli avvenimenti.
Storie come queste possono sembrare troppo limitate e semplici agli occhi di zelanti educatrici, ma
sono invece sufficientemente lineari per evitare che, come è capitato, i bambini restino frustrati per
il fatto di non capire la complessità di certi contenuti.
L’ALBERO DI NATALE: BASI CULTURALI E “DIDATTICHE”
Comunemente nel mese di Dicembre ci si appresta a festeggiare il Natale, la tradizionale
ricorrenza della presunta nascita di Gesù, che è il mito, più o meno riconosciuto, del popolo
cristiano. Altri popoli, e sono tanti, con altre religioni, non riconoscono né Gesù come loro
rappresentante “spirituale”, né il suo natale, cioè la sua nascita. In effetti è risaputo che la nascita
di Gesù, censita dai romani, non corrisponde affatto al 25 Dicembre, che invece corrisponde
all’antica celebrazione pagana (cioè dei non credenti in un solo dio) del solstizio d’Inverno, quando
la notte più lunga e più buia dell’anno simboleggiava anche l’inizio del ritorno alla luce, quella luce
che in seguito è stata attribuita all’avvento di Gesù Cristo.
Si tratta di un culto del Nord Europa dove l’Inverno pare non finisca mai. E’ solo nel XVIII secolo
(1.700) che venne inaugurata la festa celebrativa più o meno così come noi la conosciamo. Non a
caso l’albero è un abete, quello tipico delle foreste del Nord Europa. Ma l’albero è da sempre e in
tutti i luoghi anche e principalmente il simbolo della vita, come lo vediamo rappresentato già nel
mito dell’Eden, dove la mela rappresenta il passaggio dall’incoscienza alla conoscenza (come
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accade anche a Biancaneve che con la mela “avvelenata” passa dallo stato infantile a quello della
giovinezza e dei desideri). Anche il Buddha si risveglia e ottiene l’illuminazione proprio sotto un
grande e antico albero. L’albero cioè rappresenta simbolicamente la trasformazione dell’uomo che
da solamente naturale si fa spirituale. Questi miti non sono stati inventati dall’uomo, come un film,
ma si sono presentati alla mente dell’uomo dell’antichità come qualcosa di compiuto, come una
rivelazione naturale o come un istinto che proviene dalla parte più profonda dell’essere.
Il fatto che l’albero di Natale sia così addobbato richiama alla mente “l’albero della cuccagna”,
pieno di abbondanza di tutti i tipi, un’abbondanza però che essendo soprattutto di natura spirituale
viene rappresentata con “doni” che sembrano venire dal cielo, con “pomi”, cioè mele, rosse e
cariche di vita ma anche dorate, cioè preziose, provenienti dalle regioni dell’anima, testimoniate
anche dalle luci che riflettono, come un ricordo antico e profondo di cose perdute. Tutto ci racconta
di un “nutrimento spirituale” che deve essere celebrato da chi non se ne nutre più. Allora ecco che
con l’approvazione “dall’alto” si dà l’avvio a questo stordimento “festoso” che però non nutre e non
soddisfa più nessuno, ma che si accetta perchè s’è sempre fatto. Ma i bambini no, non hanno
bisogno di questo stordimento; i bambini ancora si nutrono a quella fonte che per tanti si è seccata.
Non c’è bisogno al Nido di proseguire l’opera di suggestione che si compie a casa, altrimenti
sarebbe inutile lo statuto degli Asili Nido che chiede di fornire al bambino un’autonomia che si
sviluppa a partire dal lavoro e-ducativo cioè quel lavoro di ex-ducere – “condurre fuori”, esternare
qualcosa che evidentemente è dentro, è già in loro. Si tratta infatti di “realizzare” quel “progetto” di
vita che, come un puzzle invisibile è già dentro ogni bambino, quel “disegno” tracciato nello
schema evolutivo personale che permetterà ad ognuno di loro di evolversi secondo natura e non
secondo le superstizioni, i pregiudizi e le credenze.
L’e-ducatrice, in quanto “conduttrice” di valori che devono “prendere forma”, non può presentare ai
bambini qualcosa di pre-confezionato e condizionato da una sola cultura, specie in un momento
come quello che stiamo vivendo, con una vastità di popoli provenienti da tutto il mondo e con
culture completamente diverse le une dalle altre. Cosa allora una “conduttrice” potrà condurre
senza cadere in una cultura escludendo così le altre? Se è vero che il Natale è l’allegoria della
nascita dell’unico dio e dell’unica verità che vale per tutti, come possiamo lasciare emergere il
senso di una sola cultura dimenticando le altre? Durante l’ambientamento non ci sono modalità
che valgono per uno e non per l’altro bambino, non ci sono differenze in base alla cultura, e perchè
allora dovremmo crearle noi? Le finalità e gli obiettivi del Progetto educativo sono orientate ad
accogliere e valorizzare le differenze attraverso uno stile relazionale che non conosce i confini
geografici e culturali. E’ proprio la presenza di altre culture che dovrebbe allargare i nostri confini
mentali e creare le premesse per un ampliamento delle coscienze in direzione di una verità
planetaria e non settaria.
Ciò che va “condotto fuori” da ogni bambino è qualcosa di “puro”, di inedito e di nuovo, qualcosa
di incondizionato che dobbiamo riconoscere come unico nella sua peculiarità.
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Il lavoro che può essere portato avanti con i bambini durante il periodo che precede il Natale deve
necessariamente tenere conto dell’ingenuità culturale degli adulti, ma non può divenire veicolo di
quelle intenzioni e aspettative che durante il resto dell’anno si vuole evitare per lasciare liberi i
bambini di elaborare il loro mondo a partire da una base neutrale e non culturalmente
condizionata, faziosa e di parte.
“Natale” è solo una parola per i bambini; se questa parola evoca fanatismi ed eccitazione in vista di
Babbo Natale, dei regali o quant’altro, questo non è un problema che debba entrare in un Asilo
Nido che abbia realmente compreso la lezione pedagogica della modernità.
Pertanto si dice che l’ingenuità culturale degli adulti, intesi però come famiglia e non come
educatori, potrà anche essere in parte soddisfatta, senza però che le reali ragioni del Nido
vengano per questo snaturate. Si avrà pertanto cura di portare avanti progetti con i bambini che
abbiano anche richiami con la festa dell’albero dai cui rami sbocciano degli oggetti pensati (dai
bambini) per i genitori. Come sempre si avrà cura di portare avanti le ragioni del Progetto
educativo che non ha a che vedere con le diversità di etnie e religioni ma con un terreno comune a
tutti i bambini approfondendo le tematiche inerenti all’età e alle competenze del singolo.
L’idea progettuale di un “albero della cuccagna”, un ramo cercato dai bambini esplorando il
giardino, può essere un approccio iniziale ad un progetto basato sulla trasformazione della natura
e alle risposte che a tale trasformazione i bambini danno, senza intermediari ma in piena
autonomia.
OSSERVAZIONE E DOCUMENTAZIONE:
Ciò che deve essere osservato è lo svolgersi degli aspetti fondamentali del Progetto educativo e gli
specifici processi in cui sono coinvolti i bambini, individuando senza nessuna interpretazione lo
svolgersi dei fenomeni nel loro farsi, ed eventualmente stabilire come intervenire. L’osservazione
(vedi allegato “A”) deve essere pura e senza interpretazioni personali perchè queste, comunque,
distorcono la realtà. Deve essere una “registrazione” di ciò che accade, rilevando dati oggettivi che
possano permettere una verifica. In passato si istituivano cartelle in cui venivano rilevate delle
osservazioni specifiche riguardo il comportamento sociale, il livello di acquisizione del linguaggio,
la motricità ecc. Le schede avevano incolonnate tutte le possibilità a cui si rispondeva con un “si” o
con un “no” rispetto le capacità del singolo bambino. Per esempio si chiedeva se il bambino
sapeva usare la forchetta, o se sapeva orientarsi nello spazio, o utilizzava i giochi in maniera
corretta o se partecipava o meno alle attività proposte. Oggi forse potrebbe sembrare un
questionario diagnostico, ma permetteva, a chi non è in grado di cogliere i fatti importanti che
riguardano un bambino, di fornire indizi anche molto importanti che potrebbero passare “inosservati”.
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Quasi anticipando il lavoro di riflessione che si compie con il Diario delle educatrici, attraverso
l’osservazione ci si domanderà quali strategie si devono mettere in atto per superare certe difficoltà
o per aiutare quel certo bambino a superarle. Osservando una certa situazione o un certo
comportamento potremmo portare avanti un certo tipo di intervento o riflessione che andrà poi
scritta nel Diario accompagnata dagli eventuali risultati.
Sarebbe bene anche stabilire chi o cosa si ha intenzione di osservare e perchè, il contesto entro il
quale si osserverà e in quale momento. Osservare per esempio qualcosa che generalmente passa
“inosservato”, come le routine apre nuove prospettive di conoscenza dei bambini; anche il
momento del pranzo è un veicolo di informazioni. L’osservazione precede la raccolta scritta del
Diario in cui vengono appuntati momenti particolari che acquistano un significato per la storia del
bambino e diventa una riflessione sulla pratica educativa portata avanti dalle educatrici che devono
essere capaci di cogliere i fatti. Nel Diario vengono descritte le modalità dell’intervento educativo,
le problematiche affrontate e i risultati degli interventi.
Molto spesso però, nel Diario delle educatrici troviamo scritto ciò che i bambini hanno fatto, quasi
un elenco delle meraviglie che i bambini compiono in virtù delle proposte delle educatrici che si
sentono perciò gratificate. Ma l’intenzionalità delle educatrici non può esaurirsi nel descrivere
“quanto” i bambini “si sono incuriositi” o cosa hanno trovato in giardino o di fronte al colore rosso.
Si dovrebbe prendere nota di come i bambini reagiscono e se nascono dei problemi. Ma neanche
va bene che il bambino sia visto e riconosciuto come un fenomeno problematico solo perchè una
educatrice non è in grado di sostenerlo o contenerlo, ma ci domanderemo: “Cosa vogliamo
raccontare del Progetto educativo che è il contenitore da cui tutto viene emanato?” E poi,
pensando al modo di documentarlo ci dobbiamo chiedere “Come lo racconto?” – “A chi?”.
Non si tratta di portare avanti un’azione educativa per documentarla, ma si porta avanti un’azione
educativa che verrà documentata.
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ALLEGATO “A”
OSSERVAZIONE - ASILO NIDO Le Farfalle
I bambini osservati appartengono alla sezione Medi, sono diciassette, con tre educatrici fisse e una
mobile. L’andamento della giornata ha compreso i seguenti momenti: l’accoglienza (Medi e Grandi
nella sezione Medi fino alle ore 8,30 c.), la colazione (frutta), attività varie, il cambio, il riposo, il
ricongiungimento.
ACCOGLIENZA (DESCRIZIONE):
All’apertura delle 7,30 sono presenti due educatrici, Gaetana e Francesca (i nomi possono essere
tutti inventati); alle ore 7,50 ci sono già due bambine. Entrano due genitori con la bimba Caterina, e
dopo i saluti e le comunicazioni usuali, la affidano all’educatrice Francesca che, registrata
sull’apposito notes la presenza della piccola, la invita sul tappeto insieme alle altre due bambine che
stanno giocando con le costruzioni accanto all’educatrice Gaetana. Dopo qualche minuto arriva
Nicolò; la mamma lo saluta, il bimbo entra tranquillo accolto da Gaetana.
I bimbi seduti insieme alle educatrici sul tappeto giocano con costruzioni e macchinine; Nicolò
lancia una piccola palla morbida e la rincorre, ma sopraggiunge una bimba più grande e se la
prende. Ora arriva Andrea con la nonna che lo spoglia aggiungendo rivolta a Gaetana “Oggi pare
che non faccia storie”; nel frattempo il piccolo si avvia velocemente verso la sezione dei Grandi per
cui la nonna lo rincorre ridendo e, una volta “riacciuffato”, gli spiega: “Andiamo a mettere le scarpe
a posto”, e aggiunge “ Ci sono le scarpette tue e quelle degli altri bimbi”. Mentre Andrea entra,
Nicolò veloce passa attraverso il cancelletto, la nonna di Andrea gli dice con un sorriso: “Dove vai
tu?” Interviene Francesca a riportarlo in sezione. Andrea raggiunge gli altri sul tappeto, sul quale
tutti e cinque i bambini presenti giocano tranquilli ( sono le 8,15 ) emettendo qualche suono ( i più
piccoli ) o interagendo verbalmente con le educatrici ( le due bambine più grandi ). L’educatrice
Francesca prende un cestino con dei libri e li mette su un tavolino dove, nel frattempo, si sono
dirette due bambine e, dopo aver aiutato una delle due a sedersi meglio ( girando la sedia ‘cubetto’
dalla parte più alta ), va ad accogliere Aurora che nel frattempo è arrivata portando un palloncino a
forma di fiore. L’educatrice Gaetana le si avvicina, e dopo averle chiesto “cos’hai portato?” le
propone di mettere il palloncino sul filo blu attaccato alla parete. Nel frattempo arriva l’educatrice
Elisa e la collega Francesca si reca con i bambini grandi nella propria sezione, accogliendo, cammin
facendo, gli altri tre bimbi appena arrivati.
Arrivano Sara e Andrea (gemellini), il papà “spoglia” prima Sara e la affida ad Elisa, poi sempre
con calma “prepara” il fratellino, lo saluta e va via. L’arrivo di Valentina, accompagnata dal papà è
sereno. Intanto due bimbi piccoli si avvicinano al tunnel di gomma giallo e dopo essersi nascosti
all’interno, uno esce e sorride all’altro. I bimbi si muovono nello spazio tranquillamente. Valerio
arriva col papà, piange; il papà dice: “Oggi è così, ha detto ‘Nido oggi no’!...” Gaetana stabilisce col
papà di affacciarsi alla finestra, e con Valerio in braccio (che ha smesso di piangere quasi subito)
aspettano il passaggio del papà il quale si sofferma per risalutare il figlio che ora appare sereno.
L’educatrice Gaetana torna sul tappeto e comincia a cantare una canzoncina mentre i bimbi le si
fanno intorno. Gli arrivi in contemporanea di Luca e di Leonardo si svolgono regolarmente; lo
stesso dicasi di Nicolò C. Tutti i 13 bambini presenti alle 8,55 sono disposti liberamente nello
spazio con maggior concentrazione nei due tappeti centrali su cui stazionano, in attesa di altri arrivi,
le educatrici Gaetana e Francesca. Poco prima delle ore 9.00 arriva l’educatrice Cristina, che
sorridendo ai bambini presenti occupa il tappeto su cui era seduta Elisa, la quale si allontana dalla
sezione con un bambino per rientrare subito dopo. Intanto entra Samuele che dopo un abbraccio
scambiato con l’educatrice Elisa si avvia verso il tappeto dove l’educatrice Cristina sta leggendo un
libretto ai bambini.
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Anche Cristian e Ginevra entrano senza la minima difficoltà. La mamma del primo, dalla finestra si
affaccia uscendo per rivedere il figlio, e vedendolo seduto in terra vicino ad altri bambini accenna
un sorriso e si allontana. Le educatrici di tanto in tanto si scambiano qualche informazione circa i
bambini. In questo momento il tunnel è “assaltato” da quattro bambini che in piedi battono con le
mani sul tetto tondeggiante dello stesso per poi scivolare lungo i fianchi di morbida gommapiuma.
Cristian, il più piccolo, gattona in ginocchio tentando con le mani di spingere in avanti una sedia
‘cubetto’ alla quale dopo poco si appoggia per tirarsi su in piedi, resiste qualche secondo e poi si
siede in terra. Passa una bimba e gliela porta via. Cristian gattona altrove.
Alle 9,20 arriva Greta, una bambina in ambientamento da circa una settimana; si stacca dalla
mamma che la affida a Gaetana, la quale la abbraccia e bacia e poi la mette giù. La bimba va a
prendere subito dei birilli colorati, li mette sul tavolino vicino a Gaetana poi si avvia sul tappetone
vicino alla sopraggiunta educatrice Tania che le parla a voce bassa. Dopo una breve esplorazione
torna da Gaetana che la accoglie a braccia aperte, al che Greta appare subito sorridente e si mette in
braccio all’educatrice che seduta sul tappeto canta “il cocomero”. Due bambini giocano in piedi al
pannello delle catenelle e serrature, poi guardando verso il cancelletto osservano l’arrivo di (un
altro) Nicolò.
Alle ore 9,30 sono presenti 17 bambini e 4 educatrici; vengono riposti i giochi dalle educatrici che,
a piccoli gruppi, invitano i bambini a recarsi nella zona pranzo per la frutta.
ACCOGLIENZA (VALUTAZIONE):
Come da descrizione il clima durante tutta l’accoglienza è sereno e tranquillo. Si notano attenzioni
da parte di una nonna che rimanda al nipote la dimensione collettiva del Nido, e si nota un buon uso
delle seggioline a ‘cubetto’. A buon fine vanno anche alcuni piccoli interventi che riguardano il
bisogno dei genitori di essere rassicurati circa il benessere dei figli. L’ultimo ambientamento
(Greta), dovuto al ritiro di una bambina il mese scorso, è stato portato avanti serenamente. Ora la
nuova bambina gioca autonomamente anche se a tratti torna a fare rifornimento affettivo da Gaetana
che è l’educatrice di riferimento.
Una nota nuova è la presenza di una bella tenda alla finestra della sezione.
COLAZIONE ( DESRIZIONE ):
Ore 9,40: Tutti i bimbi Medi, raggiunta la zona pranzo, si dispongono a 6 a 6 nei tre tavolini attorno
ai quali trovano posto anche le educatrici che, preso il piattino con le banane già tagliate a rondelle,
lo fanno circolare da bambino a bambino; dopo di che i bambini devono l’acqua dai bicchierini già
predisposti all’interno di un vassoietto di metallo insieme alla brocchetta. Dopo circa dieci minuti,
sempre a piccoli gruppi i bambini tornano in sezione dove cominciano i giochi e le attività
COLAZIONE ( VALUTAZIONE ):
La disposizione dei bambini intorno ai tavoli avviene in modo ordinato e abbastanza silenzioso. Il
materiale dei bicchieri e della brocca è tutto in vetro come di consueto. Positivo è anche il modo di
rientrare in sezione, di tre gruppetti, quelli dei rispettivi tre tavolini.
LE ATTIVITA’ ( DESCRIZIONE ):
Ore 10.00 circa: Anche stavolta i bambini silenziosamente si dirigono verso la sezione orientandosi
sui tappetoni dove si sono sedute le due educatrici Gaetana e Cristina. I bimbi sono dieci, infatti gli
altri sette sono andati nella zona sonno a giocare. L’educatrice Cristina interviene relativamente ad
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un litigio tra due bambini a causa di un giocattolo conteso. Due berretti in lana, passando di mano in
mano vengono indossati dai bambini, più o meno agevolmente in relazione all’età. Alcuni sorridono
durante il tentativo di infilarseli in testa e provano e riprovano. Intanto Gaetana, dopo aver allestito
nella zona pranzo una sabbiera contenente pasta, lascia il cancelletto aperto per consentire il
passaggio dei bambini che attratti dalla novità escono quasi tutti. L’educatrice interviene dicendo ad
alcuni di loro ( 5 ) “noi ci andiamo dopo”, e richiuso il cancelletto pone al centro del tappeto un
cesto con pentolini, catenelle e materiali vari. I bambini “pescano” dal cesto, guardano interessati
gli oggetti, li battono sul tappeto, li agitano per sentire il rumore, li maneggiano, si portano al collo
le catenelle in plastica, li dispongono a mucchietti ecc. Ginevra trova un mazzo di chiavi e
avvicinatasi al cancelletto prima sbircia attraverso le doghe gli amici intorno alla sabbiera, poi con
le chiavi tenta di aprire il cancelletto. Dopo un po’ alcuni bimbi, sotto la guida dell’educatrice,
passano dalla sabbiera alla sezione e viceversa. Nel frattempo accanto alla sabbiera è stato allestito
un tavolino dove alcuni bimbi in piedi giocano con degli animali di gomma provando a metterli
dentro un contenitore blu.
All’interno della sezione l’educatrice Cristina passa con il cestino raccogliendo i materiali che i
bambini lasciano cadere dalle loro manine direttamente dentro il cestino che viene così riposto. Poi
prende un libro e circondata da cinque bambini si siede su un tappeto; uno di loro si stacca e va a
infilarsi nella tana raggiunto poco dopo da un altro bambino. Una bambina si alza per andare a
maneggiare il pannello delle serrature e chiavistelli posto lì vicino. Intanto rientra qualcuno dalla
sabbiera e si unisce al gruppo dei “lettori” che di tanto in tanto cercano di accaparrarsi il libro degli
animali (oggetto di contesa). – Dalla zona pranzo giunge improvviso un pianto accorato: una
bambina ha battuto incidentalmente la fronte al tavolino di legno. Viene prontamente soccorsa e
consolata, le viene applicato del ghiaccio, e poi la pomata ARNICA. Dopo poco la bambina torna
tranquilla ai suoi giochi.
Alle 10,45 circa, i due sottogruppi si ricongiungono mentre il terzo gruppo formato da 6 bambini si
trova nella zona sonno dove l’educatrice Tania sta giocando con un foulard, nascondendo di volta in
volta il viso dei bambini per poi svelarlo sorprendendo gli altri. Nella suddetta stanza ci sono anche
dei libri, le costruzioni e le sacche del gioco euristico.
LE ATTIVITA’ ( VALUTAZIONE ):
Anche questa parte della mattinata viene vissuta con entusiasmo da parte di tutti. Ci si pone il
dubbio circa l’idea di “rispolverare” le modalità di utilizzo del cestino dei tesori. Con le educatrici
ci si sofferma sull’opportunità di informare telefonicamente la mamma della bimba che ha battuto la
fronte per “prepararla” quando arriverà nel pomeriggio alla vista del “bernoccolo”.
Di fatto, questo tipo di accortezza rientra nelle ordinarie modalità del servizio.
IL PRANZO ( DESCRIZIONE ):
Finite le attività, come di consueto, i bambini si recano al bagno in piccoli gruppi per lavare le
manine o essere, all’occorrenza, cambiati. Come per il momento della frutta ogni bambino riprende
il proprio posto, e difatti si ritrovano tutti seduti quando arriva il carrello con le scodelline per la
pasta e fagioli; mangiano quasi tutti con il cucchiaino, qualcuno si aiuta con le manine. In ogni
tavola trovano posto i vassoietti con i bicchierini d’acqua, che i più tengono davanti a sé mentre
qualcuno lateralmente. Le educatrici servono lo sformato di patate e verdure. I bimbi che hanno
finito tornano in sezione; altri si attardano rimanendo con un’educatrice. Anche in questa occasione,
come per la mattina, i bimbi vengono divisi in tre sottogruppi alternandosi nella zona sonno. Si
gioca prima con le palline che vengono rincorse da alcuni; poi si ascolta un po’ di musica,
precisamente canzoncine che i bambini mimano stando in piedi sotto alla mensola dell’apparecchio
CD, cioè in direzione della fonte sonora.
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IL PRANZO ( VALUTAZIONE ):
Anche il pranzo si svolge con regolarità. La divisione in sottogruppi consente una migliore gestione
e assicura un clima di maggiore serenità.
CAMBIO ( DESCRIZIONE ):
Intorno alle 11,40 mentre i due sottogruppi rientrati in sezione giocano liberamente, inizia
contestualmente il momento del cambio che si svolge nella zona apposita all’interno della sezione
per i cambi “leggeri”, e nel bagno dei grandi per gli altri.
CAMBIO ( VALUTAZIONE ):
Il momento del cambio avviene con cura e precisione.
RIPOSO ( DESCRIZIONE ):
Subito dopo le ore 12.00 i bambini raggiungono la zona sonno che nel frattempo è stata approntata
con lettini a cassetto e materassini; all’interno trovano posto circa dieci bambini; per gli altri viene
allestita la zona limitrofa alla precedente. Così, in penombra, i bambini si addormentano alla
presenza di due educatrici.
RIPOSO ( VALUTAZIONE ):
I bambini si recano volentieri nel luogo del riposo e non hanno difficoltà ad addormentarsi.
RICONGIUNGIMENTO ( DESCRIZIONE ):
L’unico ricongiungimento entro le ore 14.00 è quello di Greta. Quando suona il citofono la bambina
ripete più volte “è mamma…”, segue l’educatrice verso l’apposito armadietto per il cambio delle
scarpette e, dopo aver anche indossato il cappottino, esce in giardino, si avvia verso la casetta di
plastica, entra e si affaccia dalla finestrella dalla quale vede arrivare la mamma. Questa si informa
presso l’educatrice sulla mattinata trascorsa dalla figlia al Nido.
A partire dalle 14,10 alcuni bambini si svegliano e trovano ad aspettarli due educatrici. A gruppetti
giocano liberamente fino a quando la sezione è al completo. Dopodiché parte una musichetta che i
bambini certamente conoscono perchè si muovono, a modo loro, seguendone il ritmo.
Alle 15,30 circa, con le modalità già descritte, i bambini fanno la merenda (pane sciapo di Blera
tagliato a fettine fine e marmellata). Vengono distribuite le fettine e improvvisamente cala il
silenzio. Dopo la merenda e dopo essere stati puliti i bambini vengono divisi negli spazi in attesa
dell’uscita che avviene prima delle 16,30. Quando entrano i parenti quasi tutti i bambini sono intenti
a giocare con costruzioni di vario genere. All’improvviso Nicolò comincia a piangere. Ma subito
dopo viene consolato dalla stessa mamma che s’è fatta strada tra le persone.
RICONGIUNGIMENTO ( VALUTAZIONE ):
Interessante la disinvoltura che Greta dimostra dopo poco tempo dall’inizio dell’ambientamento. La
bambina in giardino, pur intuendo l’entrata in scena della mamma si compiace di nascondersi nella
casetta posta sotto la palma per uscire allo scoperto subito dopo.
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Si fa evidente che i bambini apprezzano molto la merenda; subito dopo aver bevuto volentieri
l’acqua alcuni di loro, tra i più grandi, battono allegramente le mani sul tavolo.
Insolitamente, all’apertura (anticipata per richiesta e comodità), tra i genitori e i nonni ne sono
arrivati molti tutti insieme, intonando entusiastici auguri natalizi. Presumibilmente, a causa di
questo momento di “confusione” Nicolò, non individuando subito il volto della mamma fra tutti i
genitori, si mostra smarrito e non trattiene il pianto.
RESOCONTO DELL’ INCONTRO PARTECIPATO TRA LE PARTI:
Come di consueto, al fine di ottimizzare i tempi, le educatrici partecipano all’incontro con entrambi
i coordinatori suddivise un due sottogruppi. Dopo la lettura delle osservazioni si analizzano le
tematiche educative scaturite dalle stesse:
Relativamente all’accoglienza riteniamo opportuno soffermarci sulla frase della nonna di Andrea
“Ci sono le scarpette tue e degli altri bimbi…”, attraverso la quale emerge la dimensione collettiva
del Nido, ossia l’esistenza degli “altri” che aiuta il bambino a superare, gradualmente, il suo senso
di onnipotenza e facilita il passaggio dal principio del piacere (da cui il bambino è “governato”) a
quello di realtà (con il quale, prima o poi, bisogna fare i conti).
La sedia polifunzionale a “cubetto” ed il gesto apparentemente scontato dell’educatrice Francesca,
ci consentono di parlare del ruolo di ‘facilitatore’ dell’adulto (come insegna la Montessori) attento
ai bisogni dei bambini, ma soprattutto di ‘anticipatore’ degli stessi. Ciò permette di offrire ai
bambini uno spazio pensato, pianificato ed organizzato nei minimi particolari, tale da soddisfare il
bisogno di esplorazione a garanzia del loro benessere generale.
Anche i gesti calmi del papà dei gemellino Sara e Andrea ci offre lo spunto per approfondire la
tematica dell’individualità dei gemelli che non vanno assimilati come fossero un tutt’uno, ma come
portatori di personalità distinte, con tutto ciò che ne consegue al livello di desideri, emozioni,
pensieri ecc. Pertanto sarà cura delle educatrici offrire loro opportunità relazionali differenziate pur
nell’ambito di una stessa sezione (per esempio organizzare giochi in due distinti sottogruppi).
Rispetto all’episodio del papà di Valerio, si pone l’accento sull’importanza di concordare e
condividere con i genitori strategie educative adeguate alle necessità dei bambini. Ciò crea
un’alleanza psicologica fra educatrice e genitori alimentando un più profondo senso di fiducia.
Facendo riferimento al momento delle attività si è parlato dei piccoli incidenti che fatalmente
possono accadere durante la permanenza dei bambini al Nido, della necessità di mantenere la calma,
di intervenire tempestivamente e dell’opportunità di comunicare telefonicamente ai genitori
dell’accaduto al fine di spiegare, quali dirette testimoni, la dinamica dei fatti. Ciò dà la possibilità al
genitore di avere notizie e chiarimenti di “prima mano” e in tempo reale per decidere il da farsi.
Si specifica inoltre, l’importanza e la peculiarità del famoso “cestino dei tesori”, nonché
l’opportunità di differenziare quello contenente materiali non strutturati di vario genere offerto da
un’educatrice. Il cestino dei tesori infatti, è diretto ad una fascia di bambini più piccoli in grado di
stare seduti ma non ancora di camminare. E’ proprio questo che determina le modalità di fruizione
dello stesso cestino; mentre ai bambini della sezione Medi può essere offerta la “scatola dei Tesori”.
Tra gli appunti dei Diari si legge inoltre, dell’introduzione di un piccolo libro cartonato raffigurante
oggetti relativi al pasto: piatto, posate, bavaglino, ecc. Tale libro, guardato nel momento che
precede il pasto, sembra essere “atteso” dai bambini (“Ora lo aspettano”, dice un’educatrice) e aver
assunto valenza di ‘rituale di passaggio’.
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IL BAMBINO CHE MORDE:
Perché si comunica con i denti? – Cosa si vuole comunicare? Spesso si dice che è una forma di
relazione affettiva che richiama l’ormai perduto senso che la bocca aveva durante l’allattamento. E’
comunque certo che per il bambino si tratta di una forma diretta di conoscenza delle cose esterne.
Con la bocca ci si nutre e si comunica, ma è anche la sede dei denti che spuntano e provocano
dolore, così come doloroso è stato abbandonare il seno materno. A chi morde verrebbe da
chiedergli (e si dovrebbe chiedere alla mamma) se ha ricevuto il latte direttamente dalla mamma o
se il seno gli è stato tolto troppo presto o troppo tardi, e in questo caso potremmo anche supporre
che il suo piacere è stato interrotto o prolungato, e lo cerca in tutto ciò che è umano, vivo, gonfio e
morbido. E’ il “principio del piacere” che con caparbio desiderio cerca ancora soddisfazione.
Potrebbe però anche trattarsi di una reazione alla paura, una difesa momentanea che pertanto non
va stigmatizzata per non dare l’avvio ad un ruolo (quello del morsicatore) che rischierebbe di
consolidarsi a causa del pregiudizio degli adulti. Si dovrà invece avere cura di riconoscere le
circostanze, per esempio osservare se viene morso sempre lo stesso bambino oppure se si rivolge
indistintamente a tutti, o solo a chi gli toglie il gioco, ecc. Osservare se nel momento cruciale si
tratta solo di attacco o di difesa. L’educatrice si dovrebbe anche domandare se quel bambino
subisce un atteggiamento autoritario da parte degli adulti, o se lo spazio al Nido è sufficientemente
adeguato ai suoi bisogni, se è cioè accogliente e stimolante. Uno spazio male organizzato può
creare conflitti tra bambini; oppure i conflitti che il bambino percepisce nell’aria sono quelli dei
genitori a casa o delle stesse educatrici al Nido.
Per imparare a relazionarsi i bambini hanno certamente bisogno di scambi, che a volte si
traducono in piccoli conflitti. L’educatore non dovrà necessariamente intervenire, specie se
l’eventuale litigio si è appena manifestato e non si prevedono reali incidenti.
L’intervento troppo tempestivo dell’educatore può bloccare un’azione pulsionale che il bambino
deve poter avere modo di sentire e il tempo di conoscere realizzandola in piena libertà.
C’è anche la possibilità che un bambino morda perchè a casa tutto gli è consentito, o perchè il
papà che resta fuori casa molto tempo si senta per questo un po’ in colpa e allora dà libero sfogo a
giochi fisici in cui sembra che si mordano a vicenda come fanno i felini.
A volte può essere molto utile mettere a confronto il morsicatore e il morsicato in uno spazio
protetto in cui possano giocare, anche con i genitori presenti se è necessario, poiché a volte il
numero di bambini elevato può agitare alcuni di loro, specie se hanno problemi di identità, cioè
rischio di spersonalizzazione. Quando infatti è a rischio la sua stabilità ontologica, il bambino è
incerto e disorientato, e può reagire in modi imprevisti. Questo è il momento in cui ha più bisogno
di essere contenuto dall’adulto.
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LE ATTIVITA’:
Le attività riguardano i diversi contesti di esperienza: psicomotorie, grafico-pittoriche, di
manipolazione, assunzione di ruoli, di narrazione ecc.
Fare delle attività in cui c’è bisogno di spiegare troppe cose non serve a niente. Le educatrici non
dovrebbero mai sostituirsi ai bambini creando, per esempio, cartelloni complicati di cui i bambini
non possono beneficiare come un’esperienza propria. E’ anche sbagliato appendere troppo in alto
i “lavoretti” dei bambini, perchè per loro è come se sparissero, insieme alla loro improbabile
esperienza. Il ruolo dell’educatore è quello di mantenere e sostenere il piacere del bambino (e non
il proprio) nelle attività che lo accompagnano verso le diverse esperienze, abilità e i diversi
apprendimenti. E’ pertanto necessario proteggere il bambino da quelle condizioni che potrebbero
inibirlo e frustrarlo. Se facciamo richieste inappropriate, più grandi di lui, rendiamo il bambino
insicuro e goffo. Se durante un’attività qualcuno dei bambini non vuole partecipare come invece
sembrava inizialmente, bisognerà capire perchè senza necessariamente prenderlo in braccio,
perchè tale “coccola” in futuro potrebbe continuare a sostituirsi alle attività. La verifica
sull’atteggiamento passivo del bambino va fatta ripresentandogli a distanza di tempo la stessa
attività un po’ “mascherata diversamente”.
Nell’attività di “travasi di pasta” non c’è da stupirsi se qualche bambino avrà la tendenza a
mettersela in bocca, visto che poi gliela facciamo trovare nel piatto a pranzo. Ed è inutile cercare di
spiegare al bambino qual è la differenza, perchè comunque sarebbe una sterile spiegazione che
non lo convincerebbe mai. Si tenterà invece di mettere a disposizione del gioco un tipo di pasta
alternativo al menù, una pasta che per la difficoltà a masticare non si mangia al Nido, come le
“rotelline” o le “farfalle” che nel caso nostro sarebbero molto coerenti e credibili…
Per i più grandi dei Grandi che conoscono ormai bene il Lego e i suoi colori, si potrebbe improntare
un progettino che prevede l’utilizzo di pezzetti di carta velina colorata da loro stessi strappati e poi
incollati con lo stick su cartoncini colorati, fino a formare un fitto mosaico. Per rinforzare il senso di
questi lavori potremmo svilupparne la conoscenza cromatica attraverso le rime di una filastrocca:
“Noi siamo il rosso e il giallo – facciamo insieme un ballo e per combinazione – viene fuori
l’arancione.
Noi siamo il giallo e il blu –e non balliamo più – abbiam tanto ballato che il verde abbiam
formato.
Noi siamo il blu e il rosso – giriamo a più non posso – uniti nell’affetto formiamo un bel violetto.
Noi siamo blu, rosso e giallo – e dalla nostra unione viene fuori un bel marrone”.
Le canzoncine usate dalle educatrici, dovrebbero poter essere mimiche e gestuali per stimolare il
bambino all’imitazione. Le parole da sole non hanno senso per lui, o quasi; sono parte del
‘motivetto’ musicale ma non sono propedeutiche; per esserlo hanno bisogno di riferimenti spaziali,
cioè corporei (in quanto il corpo si muove – inevitabilmente – nello spazio).
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DOMANDE – STIMOLO NEL COLLOQUIO PRELIMINARE CON I GENITORI:
Per prima cosa prendere appunti su nome e cognome di tutti in famiglia e i numeri telefonici. Poi:
- Principali abitudini del bambino.
- I giochi preferiti.
- Cosa mangia e cosa non mangia – in che orario (dovrà abituarsi e attenersi a quello del Nido).
- Eventuali intolleranze alimentari.
- Abitudini del sonno (a che ora?; è cullato? Porta con sé un oggetto? Il ciuccio? Ecc.)
- Ha già frequentato il Nido? (se non è troppo piccolo). Com’è stata l’esperienza?
- Come si relaziona con gli altri bambini? E con gli adulti?
- Aspetti del carattere del bambino.
-Il tempo dell’attesa del piccolo (stati d’animo ecc.) e l’esperienza della gravidanza ecc.
- Cosa vi aspettate da questa nuova esperienza?
- Raccontare e definire i modi e i tempi dell’ambientamento (che si dovranno ben conoscere).
- Raccontare come si svolge la giornata al Nido (dando modo al genitore di capire).
- Raccontare gli obiettivi del servizio*
* (questo degli obiettivi è un discorso a parte. Tutti i nostri libri ne parlano e anche questa
dispensa. Gli obiettivi comunque sono quelli del Progetto educativo. Se un’educatrice non li
conosce è meglio che cambia mestiere. (Comunque lo scrivente è sempre a disposizione per
rivedere l’argomento).
- Definire l’occorrente necessario per il permanere del bambino al Nido (cambio, lenzuola, ecc.)
E’ fondamentale che le informazioni apprese non restino lettera morta. L’educatrice non dovrà
accontentarsi di aver fatto questo colloquio solo perchè va fatto e poi, con un sospiro di sollievo,
dimenticarsene. Le informazioni prese sono già parte del lavoro di conoscenza del bambino grazie
alla quale ci si potrà permettere di fare pronostici e programmare un intervento, almeno quello
iniziale, il più delicato.
Per le modalità di relazione-intervento con i genitori, e vista la delicatezza dell’assunto si rimanda a
“L’autonomia progettata”, da pag.32 a pag.35.
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REGOLE GENERALI:
-
E’ strategia il saper cogliere simultaneamente tutti gli aspetti esistenti, quindi quelli presenti
e quelli potenziali (le cose che potrebbero accadere se…), e cioè avvantaggiarsi: quindi
preparare gli interventi (transizioni, giochi, attività, routine), predisponendo delle situazioni
che facilitino il lavoro. La strategia impedisce di farci trovare impreparati, e pertanto
l’insorgere del disordine deve essere prevenuto “pensando prima”, creare le condizioni per
evitare la confusione nel transito dei bambini dalla sezione alla mensa e viceversa; nel farli
mettere seduti senza che debbano attendere il pasto evitando così l’inquietudine dei
bambini. Le transizioni devono essere riconosciute dai bambini e accettate come un gioco,
orientandoli in procedure riconoscibili e piacevoli. Ogni spazio dovrà essere lasciato in
ordine, sgombro da tracce di attività precedenti in modo che ogni esperienza risulti
perfettamente compiuta. Ogni ambiente esercita una diretta influenza sul comportamento
dei bambini e pertanto l’organizzazione e gli spazi all’interno del Nido hanno un valore e un
significato di intenzionalità educativa che l’educatore deve conoscere e apprezzare per
consentire ai bambini di organizzare le proprie esperienze e conoscenze.
-
Si dovrà prestare particolare attenzione nell’assegnare un posto ad ogni cosa, valutandone
di volta in volta il grado di funzionalità.
-
Non si può chiedere a un bambino che piange di sedersi, né lo si prende inutilmente in
braccio (ha sonno?)
-
Nelle transizioni i bambini saranno radunati per gruppetti e accompagnati da un’educatrice
che li precede. Mai tutti insieme.
-
I lettini verranno sistemati mentre i bambini pranzano.
-
All’accoglienza della mattina è giusto che il genitore si faccia carico della separazione già
prima di entrare al Nido, senza tenerli in braccio – se possono camminare – e senza
scavalcare il cancelletto. L’educatrice dovrà spiegare e rifiutarsi di accoglierlo al di sopra
del cancelletto, ma abbassarsi al suo livello.
-
Senza delega del genitore nessuno ritira un bambino, e resta fuori della struttura.
-
E’ assolutamente inutile cercare di convincere un bambino a compiere un’azione
servendoci delle parole, per quanto persuasive, ma bisogna accompagnarlo a rispettare
certe regole facendogli sentire che lo comprendiamo. Frasi del tipo: “Non puoi fare come
vuoi tu”, accompagnate da un moto di stizza irrigidiscono il bambino che imparerà a
mancarci di rispetto. Un atteggiamento persuasivo deve essere accompagnato da
complicità, da una spiegazione indirizzata da un linguaggio ludico e fantastico.
-
Consolare un bambino può creare dipendenza se questo può rappresentare per il bambino
una facile vittoria sulla debolezza di un’educatrice che non sa cosa altro fare. Solo nel reale
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bisogno di affettività o sicurezza è consigliabile scegliere di prenderlo in braccio; con
un’azione attiva, e non passiva.
-
Ad un bambino che piange non va detto che “mamma è andata al lavoro”, perché questo
non significa niente per lui. Il “lavoro” potrebbe anche essere qualcosa che non gliela
restituisce più, a meno che la mamma non usi dire la stessa cosa.
-
Quando una mamma afferma che il suo bambino non mangia “questo” o “quello” è
probabile che il bambino continuerà a non mangiarlo. Un educatore non può accontentarsi
di una tale banalizzazione e lasciare subito la presa smettendo di sentirsene responsabile.
Si deve tenere conto, e questo va detto, che ogni bambino ha i suoi tempi, e non è affatto
un fenomeno compiuto ma appena iniziato, e l’adulto non deve rassegnarsi ma capirne le
ragioni. Le educatrici non devono emettere giudizi, ma cercare soluzioni ai problemi. E
questo vale per tutte le azioni e le mansioni che tendono a realizzare appieno il Progetto
educativo.
-
Si deve evitare di restare sedute specie in presenza dei genitori.
-
All’esterno si avrà cura di organizzare comunque interventi in linea con il Progetto
educativo, evitando di lasciarsi andare alla de-responsabilizzazione (v. “Autonomia
progettata, pag.41-42)
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Ogni responsabilità ricadrà su chi avrà omesso di prendersela.
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I fatti personali dovranno restare fuori del cancello.
Tutto ciò scritto è solo una puntualizzazione su aspetti che si ripresentano nel tempo; è una breve
guida che non elude la necessità di approfondire i temi qui non trattati. Quanto scritto non deve
rimanere solo teoria. Non ci si potrà accontentare solo di provare soddisfazione
per quegli
argomenti facilmente compresi; non ci si dovrà accontentare di aver capito solo qualcosa, ma tutto.
Solo attraverso l’approfondimento di quanto qui scritto si potrà capire realmente. Tutto potrà
essere discusso ma mai ignorato.
Si avrà quindi l’obbligo di soddisfare tutto ciò qui contenuto, intendendolo come traccia del lavoro
di cui ci si è presi incarico.
© Karuna s.r.l. 2013 – Proprietà riservata
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Guida pratica alla comprensione delle procedure nell`asilo nido