Competitività e specializzazione
dell’industria italiana
Sergio de Nardis
ISAE-Istituto di Studi e Analisi Economica
Seminario presso la
Facoltà di scienze statistiche
Bologna
15 dicembre 2005
Aspetti che verranno trattati
1.
Teorie della specializzazione = perché i paesi hanno
ruoli diversi nella divisione internazionale del
lavoro – teorie del “chi vende che cosa a chi” o
pattern of trade (7 slides)
2.
Il caso dell’Italia = come spiegare la collocazione
atipica della nostra industria (12 slides)
3.
Gli sviluppi più recenti = l’industria italiana tra crisi
e trasformazioni (13 slides)
Teorie della
specializzazione
chi vende che cosa a chi
Teorie della specializzazione
perché un paese si specializza in
determinate produzioni piuttosto
che in altre
chi vende che cosa a chi?
3 principali gruppi di teorie
1.
Teorie tradizionali dei vantaggi comparati statici,
basate sulle differenze strutturali che
caratterizzano i paesi
2.
Teorie nuove basate su concorrenza monopolistica,
differenziazione di prodotto e “gusto per la varietà”
3.
Teorie tradizionali/nuove basate sui vantaggi
comparati dinamici: accidente iniziale + processo
cumulativo
Teorie tradizionali dei vantaggi comparati
statici: i paesi sono diversi e, con lo scambio,
traggono vantaggio da queste diversità
(Ricardo-Heckscher-Ohlin-Samuelson)
Si concentrano le risorse in ciò che si sa fare relativamente meglio
(dove c’è un vantaggio comparato); ciò che viene realizzato in casa
viene esportato in cambio di ciò che si sa fare relativamente peggio
Due meccanismi possibili
1.
Teoria ricardiana differenze nella
tecnologia/produttività: n.
di ore di lavoro necessarie
per produrre un’unità di
bene; ci si specializza nei
beni nella cui produzione sì
è relativamente più
efficienti
2.
Heckscher-Ohlin–
Samuelson differenze nella
dotazione relativa dei
fattori; ci si specializza nei
beni la cui produzione
richiede con maggiore
intensità il fattore
abbondante
Implicazioni
1. Note le caratteristiche dei
paesi (tecnologie e dotazioni
dei fattori) e, quindi, i loro
vantaggi comparati, il pattern
of trade (chi vende che cosa a
chi) è univocamente
determinato
2. Specializzazione di tipo
interindustriale: alcune
industrie si concentrano in un
paese, le altre nell’altro;
scambio di prodotti diversi,
scarpe in cambio di microchip
Nuove teorie
basate su concorrenza monopolistica
e gusto per la varietà
(Helpman-Krugman)
Differenze (tecnologiche e/o fattoriali) non spiegano tutto;
anche paesi perfettamente identici hanno convenienza a
specializzarsi e a effettuare scambi commerciali
Meccanismo
Implicazioni
•
1. Indeterminatezza del pattern
di specializzazione; elemento
di casualità su “chi vende che
cosa a chi”
Con economie di scala e
consumatori che hanno
gusto per la varietà, i paesi
possono trarre un
vantaggio non producendo
tutti i beni richiesti dai
consumatori nazionali, ma
concentrando le risorse in
una gamma limitata, farlo
in modo più efficiente
grazie alla maggiore scala
produttiva, esportarli e
importare dall’estero le
varietà non prodotte
internamente
2. Specializzazione di tipo
intraindustriale: ciascun
paese produce ed esporta un
sottoinsieme di beni di una
data industria, importando gli
altri; scambio di prodotti
simili; auto in cambio di auto,
scambio all’interno
dell’industria dell’auto
Teorie vecchie/nuove dei vantaggi comparati dinamici
differenze iniziali di produttività + learning by doing portano a
cristallizzare le specializzazioni
(Myrdal-Kaldor-Krugman)
Meccanismo
Implicazioni
•
1. Possibile arbitrarietà del
pattern of trade + lock in
della specializzazione; per la
circolarità di questo
meccanismo un tipo di
specializzazione può
persistere anche quando i
vantaggi comparati iniziali
che l’avevano determinata
sono venuti meno
Differenze di partenza nelle
produttività determinano
inizialmente “chi vende che
cosa a chi”; l’espansione nel
tempo della produzione
amplifica il vantaggio iniziale
rafforzandolo ulteriormente
attraverso learning-by-doing;
meccanismo circolare, per cui
si fa sempre meglio ciò che si
fa in quantità sempre
maggiore e si fa in quantità
sempre maggiore ciò che si fa
sempre meglio; il trascorrere
del tempo (storia) rafforza il
percorso, come un fiume che
scava il proprio letto sempre
più profondamente (finché
non intervengono movimenti
tettonici che ne modificano il
corso)
2. Si possono trovare
giustificazioni a politiche
protezionistiche temporanee:
proteggere per dare tempo a
un’industria di espandersi e
conquistare, tramite
l’accumulo di conoscenze, una
specializzazione durevole
Digressione sulle virtù dei vantaggi comparati:
non contano i vantaggi assoluti, ogni paese trova
una specializzazione
•
•
PAIA DI SCARPE
ORE DI LAVORO
PER
UN’UNITA’
DI OUTPUT
PRODUTTIVITA
OUTPUT
PER ORA
DI
LAVORO
MICROCHIP
•
ORE DI LAVORO
PER
UN’UNITA’
DI OUTPUT
PRODUTTIVITA
OUTPUT
PER ORA
DI LAVORO
Ita
3
1/3=0,33
6
1/6=0,17
Usa
2
½ = 0,5
1
1
•
•
Prima degli scambi prezzo
relativo del microchip rispetto
alle scarpe Italia=2; Usa = 0,5
Con lo scambio, prezzo
internazionale si colloca tra 2 e
0,5; per esempio a 1
Con apertura agli scambi gli
Usa, pur più produttivi in
assoluto nei 2 beni, hanno
convenienza a produrre solo il
bene dove sono relativamente
più efficienti, cioè microchip
(vantaggio comparato), e
importare scarpe italiane
Infatti se gli Usa realizzassero
scarpe in casa, con un’ora di
lavoro otterrebbero 0,5 unità di
scarpe; se invece impiegassero
quell’ora di lavoro per produrre
microchip, ottengono un’unità di
microchip che possono
scambiare nel mercato
mondiale al prezzo relativo di 1
ottenendo un’unità di scarpa
italiana
Scambio internazionale =
produzione indiretta
Digressione sulle virtù dei vantaggi comparati:
ai vantaggi di produttività corrispondono
vantaggi comparati di costo
•
•
•
•
L’industria nei 2 paesi si divide così:
Italia scarpe 80% microchip 20%; Usa
scarpe 20%, microchip 80%. Quindi
Produttività media Italia
=0,80x0,33+0,20x0,17=0,3
Produttività media Usa=
0,20x0,5+0,80x1=1
Gli Usa pagano un salario triplo
rispetto all’Italia. Nonostante ciò gli
Usa conservano un vantaggio
comparato di costo nei microchip
perché in questa industria la
produttività di un lavoratore americano
è 6 volte maggiore di quella di un
lavoratore italiano
L’Italia è meno produttiva degli Usa in
entrambe le produzioni. Nonostante
ciò presenta un vantaggio comparato
di costo nella produzione di scarpe.
Questo perchè i salari italiani sono 1/3
di quelli americani, mentre la
produttività italiana nelle scarpe è solo
2/3 di quella americana nello stesso
settore
Clup italiano nelle scarpe più basso
nonostante la più bassa produttività;
clup Usa nei microchip più basso
nonostante i più alti salari: qui il
motivo dell’interscambio
CLUP
SCARPE
CLUP
MICROCHIP
ITALIA
SALARI
O=0,30
0,3/0,33=0,9
0,3/0,17=1,8
USA
SALARI
O=1
1/0,5=2
1/1=1
Alcuni punti da sottolineare
1.
Commercio interindustriale prevale tra paesi diversi (per tecnologia e
dotazione dei fattori); tipicamente riguarda lo scambio tra un paese
industriale e un paese in ritardo (per esempio Germania con Egitto).
Commercio intraindustriale prevale tra paesi simili: scambio tra paesi
industriali (per esempio Germania con Francia)
2.
Commercio interindustriale comporta “vincitori e vinti”, cioè industrie
che si espandono (quelle di vantaggio comparato) e industrie che si
contraggono o muoiono (di svantaggio comparato). Ci sono costi sociali
nel modello ricardiano (se il lavoro è specifico a ciascuna industria:
operaio tessile non può diventare meccanico); ci sono costi nel modello
di HecKscher-Ohlin (con l’importazione di un bene si “importa”
dall’estero il fattore che nella nazione importatrice è scarso, pressione
sulle remunerazioni dei proprietari dei fattori scarsi). L’effetto netto del
commercio è positivo, ma si hanno conseguenze distributive a vantaggio
di alcuni e a danno di altri
3.
Commercio intraindustriale comporta più vantaggi (possibilità di
acquistare più varietà di uno stesso bene) e meno costi. Non ci sono
settori che si espandono e altri che si estinguono, ma imprese che si
espandono e imprese che muoiono all’interno di uno stesso settore; il
lavoro può spostarsi da un’impresa all’altra dello stesso settore
4.
Nel 2004, le esportazioni mondiali sono state pari a circa 9000 miliardi
di dollari: circa 50% scambio tra paesi industriali; 30% tra paesi in
sviluppo; circa 20% tra paesi industriali e in sviluppo
Il caso dell’Italia
come spiegare la
collocazione atipica della
nostra industria
L’industria italiana e la divisione internazionale
del lavoro: l’aumento dell’apertura
commerciale sull’estero
Shock da apertura commerciale
•
•
Tra il 1970 e il 2003 è aumentata
l’esposizione internazionale delle
industrie: nel 2003, il 76% della
manifattura europea risultava
oggetto (come export o import)
di commercio internazionale
Apertura ha riflesso tanto una
crescita del commercio intraarea, quanto una maggiore
esposizione alla competizione
delle economie emergenti.
Quest’ultima è stata molto forte
negli ultimi anni: la quota di
esportazioni mondiali di
pertinenza dei paesi emergenti è
passata dal 15 al 30% tra il 1970
e il 2003
Anni
Ita
Germ
Franc
Reg. U.
Media
1970
30,4
31,0
27,1
33,2
30,4
2003
61,1
80,8
72,7
88,6
75,8
L’industria italiana e la divisione internazionale
del lavoro: dotazione dei fattori e commercio
intraindustriale in Europa
1.
L’aumento dell’integrazione commerciale intra-europea ha coinvolto
paesi fondamentalmente simili per tecnologia, dotazione dei fattori,
grado di sviluppo, gusti dei consumatori (italiani, francesi, tedeschi
domandano varietà molto simili di beni)
2.
L’Italia si discosta in parte da questa descrizione per quanto
riguarda la dotazione dei fattori: mentre per la disponibilità relativa
di capitale fisico non è molto distante dalla dotazione delle maggiori
economie europee, l’Italia è scarsamente dotata (in rapporto ai
partner europei) di capitale umano. Secondo le previsioni di
Heckscher-Ohlin, l’Italia dovrebbe essere importatrice netta di beni
ad alta intensità di capitale umano ed esportatrice netta di beni a
bassa intensità di capitale umano
3.
Per questi motivi , l’importanza del commercio intraindustriale
dovrebbe essere per l’Italia più bassa che per gli altri paesi europei
La dotazione fattoriale italiana
Dotazione
relativa di
capitale
Usa=100
Dotazione
relativa di
terra
Usa=100
% della popol.
25-64 con titolo
secondario
% della popol.
25-64 con titolo
terziario o più
Italia
82
31,3
44
12
Germania
87
23,2
83
22
Francia
98
51,5
65
37
Regno Un
96
18,2
65
33
Belgio
96
11,1
62
39
Finlandia
92
75,8
76
40
Stati Uniti
100
100
88
39
Giappone
n.d.
4,0
84
52
Il commercio intra-industriale
gli indici di intra-industry trade nei beni manufatti
Italia
Germ Fran Reg. Belgi Olan Dani
ania
cia
Un. o
da
mar.
Austr Spag Porto
ia
na
gallo
1980
67,3
67,7
86,7
77,9
83,7
76,6
64,9
76,5
69,5
51,3
2001
71,2
78,4
87,5
86,0
91,7
83,3
75,6
89,2
85,1
68,6
Motoveicoli
6
6
5
5
4
4
3
3
2
2
1
1
0
0
Tabacco
Prodotti in carta
Prodotti in legno
Tabacco
Prodotti in carta
Metalli non ferrosi
Navi
Prodotti in legno
Aerospazio
Prodotti chimici non
farmac.
Strumenti ottici, di
precisione e medici
Alimentari e
bevande
Strumenti di
telecomunicazione
Motoveicoli
Prodotti
farmaceutici
Macchine per
ufficio
Prodotti
Macchinari e
apparati elettrici
Ferro e acciaio
ITALIA 8081
Navi
Metalli non ferrosi
Aerospazio
Strumenti di
telecomunicazione
7
Macchine per
ufficio
Altri prodotti
manufatti (mobili,
Strumenti ottici, di
precisione e medici
Macchinari e
attrezzature
Prodotti in metallo
Prodotti
Tessile
Prodotti chimici non
farmac.
Alimentari e
bevande
Prodoti combustibili
Prodotti in metallo
Mezzi e
attrezzature di
Prodotti in gomma
e plastca
Macchinari e
attrezzature
Tessile
Prodotti non
metallici
Altri prodotti
manufatti (mobili,
Abbigliamento
0
Motoveicoli
GERMANIA 0001
Prodotti non
metallici
Calzature e
prodotti in cuoio
Prodotti in gomma
e plastca
Macchinari e
apparati elettrici
Prodotti
farmaceutici
Germania: indice di specializzazione
Ferro e acciaio
GERMANIA 8081
Abbigliamento
8
Mezzi e
attrezzature di
Calzature e
prodotti in cuoio
Tre aspetti:
1) Nei settori tradizionali
2) Molto intensa in tali
settori
3) Persistente, anche negli
anni dell’euro
Prodoti combustibili
Prodotti in legno
Prodotti in carta
Navi
Prodoti combustibili
Alimentari e
bevande
Metalli non ferrosi
7
Tabacco
Aerospazio
Altri prodotti
manufatti (mobili,
Strumenti di
telecomunicazione
Mezzi e
attrezzature di
Macchine per
ufficio
Calzature e
prodotti in cuoio
Abbigliamento
Tessile
Prodotti
Strumenti ottici, di
precisione e medici
Prodotti non
metallici
Prodotti in metallo
Prodotti in gomma
e plastca
Prodotti
farmaceutici
Ferro e acciaio
Macchinari e
apparati elettrici
Macchinari e
attrezzature
Prodotti chimici non
farmac.
Le atipicità dell’Italia
confronto con la
specializzazione dei
partner
Italla: indice di specializzazione
8
7
6
ITALIA 0001
5
4
3
2
1
Francia: indice di specializzazione
8
FRANCIA 8081
FRANCIA 0001
SPECIALIZZAZIONE MANIFATTURIERA
atipica, ma in linea con i fondamentali (ricardiani)
Specializzazione settoriale e produttività relativa
Italia nei confronti dei maggiori concorrenti
1
0,8
0,6
Specializzazione
0,4
0,2
0
-0,2
-0,4
-0,6
-0,8
-1
-1
-0,5
0
Produttività relativa
0,5
1
Atipicità dell’Italia: graduatoria delle somiglianze
delle specializzazioni italiane con i paesi
concorrenti: più simili agli emergenti?
Coefficienti di cograduazione
1.
Bulgaria
0,44
13. Filippine
-0,02
2. Spagna
0,37
14. Germania
-0,08
3. Romania
0,33
15. Messico
-0,18
4. Thailandia
0,29
16. Francia
-0,20
5. Hong Kong
0,25
17. Sud Corea
-0,21
6. Rep. Ceca
0,24
18. Ungheria
-0,22
7. Indonesia
0,22
19. Stati Uniti
-0,34
8. Cina
0,21
20. Singapore
-0,37
9. Brasile
0,16
21. Malaysia
-0,37
10. Taiwan
0,16
22. Giappone
-0,42
11. Polonia
0,12
23. Regno Unito
-0,43
12. Argentina
0,03
Atipicità dell’Italia: somiglianza dei prodotti italiani con
quelli asiatici nei settori a specializzazione comune
Corea
Prod. in
gomma
Taiwan
Hong Kong
0,61
Thailandia
Malaysia
Filippine
0,27
Cina
0,19
Prod.in carta
0,37
Miner non
metallici
Ferro e acc.
Indonesia
0,11
0,16
0,43
0,49
Prodotti di
metallo
0,52
0,66
Macchinario
specializzato
Macchine per
lavor. Metalli
0,45
Altri macch.
Prod. in cuoio
Tessili
0,07
0,43
0,34
Prod. casa
0,31
Art da viagg.
0,48
Calzature
Altri man.
0,17
0,24
0,59
Mobili
Abbigliamen.
0,15
0,40
0,37
0,55
0,22
0,50
0,26
0,60
0,33
0,70
0,21
0,44
0,36
0,28
0,17
0,32
0,62
0,29
0,21
0,46
0,30
0,45
0,61
0,22
0,58
0,36
All’origine della specializzazione
italiana: differenziazione qualitativa
1.
Come è possibile che la specializzazione italiana nei
settori tradizionali sia rimasta intatta a fronte dell’offerta
di prodotti (apparentemente) simili da parte dei paesi
emergenti?
2.
Il precedente interrogativo può essere posto anche così:
perché i consumatori mondiali hanno continuato a
domandare tessile, abbigliamento, calzature, prodotti per
la casa, ecc. all’industria italiana, quando questi “stessi”
beni erano prodotti a costi enormemente più bassi in
altre parti del globo?
3.
L’unica risposta possibile è che non si tratta veramente
degli “stessi” prodotti; i consumatori mondiali
(soprattutto quelli che appartengono alle fasce medioalte) “amano” la differenziazione qualitativa; necessità di
tenere conto di questo aspetto nel calcolo delle
somiglianze tra beni italiani e dei paesi emergenti
Somiglianza qualitativa dei prodotti italiani con quelli
asiatici nei settori a specializzazione comune
Corea
Prod. in
gomma
Taiwan
Hong Kong
0,36
Thailandia
Malaysia
Filippine
0,01
Cina
0,00
Prod.in carta
0,08
Miner non
metallici
Ferro e acc.
Indonesia
0,00
0,07
n.d.
0,39
Prodotti di
metallo
0,08
0,00
Macchinario
specializzato
Macchine per
lavor. Metalli
0,45
Altri macch.
Prod. in cuoio
Tessili
0,00
0,04
0,03
Prod. casa
0,02
Art da viagg.
0,05
Calzature
Altri man.
0,02
0,01
0,15
Mobili
Abbigliamen.
0,01
0,26
0,04
0,00
0,01
0,00
0,00
0,07
0,01
0,00
0,00
0,02
0,05
0,00
0,01
0,02
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
n.d.
0,02
0,00
All’origine della specializzazione
italiana: il Lock-in
1.
2.
3.
4.
Il fatto che i “consumatori mondiali” hanno continuato
domandare prodotti italiani tradizionali, sia pure di
qualità elevata, sembra avere determinato un effetto di
lock in nella specializzazione della nostra industria
Esempio di QWERTYUIOP: tastiera del computer identica
a quella delle macchine da scrivere, pur non essendo più
giustificata da quelle caratteristiche tecniche e
nonostante l’esistenza di soluzioni alternative
potenzialmente più efficienti: accidente storico che per
azioni di feedback (utilizzatori e produttori agganciati a
uno stesso standard) si perpetua
E’ cioè possibile che, seppure sono venute meno le cause
iniziali della specializzazione italiana (abbondanza
relativa di lavoro rispetto ai partner europei), le
produzioni tradizionali si sono rafforzate per l’accumulo
di conoscenza che l’Italia ha conseguito in tali prodotti
Risultato finale è il lock in: “condanna”, da parte del
mercato, a produrre le stesse cose, perché così facendo
le si producono sempre meglio e il mercato ne domanda
ancora di più; circuito di autorafforzamento cumulativo
All’origine della specializzazione italiana:
dotazione dei fattori-produttività, lock in,
upgrading qualitativo
1.
Dotazione fattoriale e produttività. Scarsità relativa di
capitale e presenza di vantaggi comparati di tipo
ricardiano sono all’origine della specializzazione italiana:
all’inizio, nei primi anni ’50, l’apertura fu intraeuropea e
intra –area industriale, nei confronti dei paesi interessati
l’Italia aveva abbondanza relativa di lavoro
2.
Economie dinamiche di scala. fenomeni di lock in della
specializzazione, conseguente a meccanismi di tipo
learning by doing: l’apertura internazionale dell’Italia
non è stata occasione di cambiamento strutturale; essa
ha anzi rafforzato l’esistente, cristallizzando il pattern di
specializzazione (ruolo del territorio e dei vantaggi che si
sviluppano nei distretti industriali)
3.
Differenziazione qualitativa. le economie dinamiche di
scala hanno operato anche per il continuo innalzamento
qualitativo delle produzioni. Grazie a questo processo, le
produzioni “vincenti” dell’Italia sono riuscite, negli anni
della globalizzazione, a non competere in modo diretto
con le economie emergenti; una “barriera qualitativa” ha
protetto le produzioni italiane
Gli sviluppi più recenti
L’industria italiana tra
crisi e trasformazioni
Un forte shock a livello globale
è raddoppiata l’offerta di lavoro mondiale
(ma anche la platea dei potenziali consumatori!)
1.
Nel 1985, l’economia mondiale che risultava integrata
nei traffici internazionali (Nord America, Europa
occidentale, Giappone, Sud America, tigri asiatiche,
Africa) consisteva di 2,5 miliardi di persone
2.
All’inizio del nuovo secolo, in conseguenza del collasso
del comunismo e dell’apertura di Cina e India,
l’economia globale integrata consiste di circa 6 miliardi
di persone
3.
Se Cina, India ed ex “impero sovietico” fossero rimasti
fuori dai traffici mondiali, l’economia globale integrata
sarebbe stata popolata, all’inizio del nuovo secolo, da
circa 3 miliardi di persone
4.
Rischi (impatto di una forza lavoro a basso costo, in
molte sue parti bene istruita), ma anche opportunità
(una formidabile espansione della platea dei
consumatori “in via di arricchimento”)
La crisi competitiva dell’industria italiana
L’ambiente concorrenziale è quindi notevolmente mutato
dalla fine degli anni Novanta:
tre date cruciali per l’industria italiana
1.
Gennaio 1999: tasso di cambio diventa irrevocabilmente
fisso nell’UEM con l’adozione della moneta unica; fine
della possibilità di abbassare, con il cambio, i prezzi e i
costi dell’industria italiana rispetto a tutti gli altri paesi
2.
Dicembre 2001: La Cina entra nel WTO, venendo a
condividere l’apparato di regole entro cui si muove gran
parte del commercio mondiale
3.
Gennaio 2005: azzeramento completo delle quote sulle
importazioni dai paesi emergenti di tessileabbigliamento in atto dal 1974 con l’accordo Multifibre;
l’eliminazione era stata decisa nel 1994 ed è poi stata
realizzata per gradi, con un progressivo phasing out;
l’azzeramento non è un fatto improvviso
Ruolo del cambio
Il cambio influisce sulla competitività dell’intero apparato
produttivo, non solo su alcuni settori
1.
Le svalutazioni del cambio servivano a ridare competitività all’intero
apparato produttivo, non solamente a determinate produzioni;
restituivano competitività tanto ai settori di specializzazione (tessile,
ecc.) quanto a quelli di despecializzazione (chimica, ecc.)
2.
Anche quando molto intense (come nel 1992-95) le svalutazioni della
lira ridavano competitività all’apparato manifatturiero dell’Italia rispetto
ai paesi industriali (in particolare europei), non rispetto ai paesi
emergenti che avevano (e hanno) costi pari a una frazione molto bassa
di quelli italiani
3.
Inoltre, il cambio stabile (fisso) mette in difficoltà in primo luogo i
settori più deboli, non quelli in cui il vantaggio competitivo è molto forte
e radicato; si possono perdere per un cambio persistentemente forte le
produzioni borderline, non quelle che si trovano ai primi posti della
catena dei vantaggi comparati (tessile, calzature, ecc.)
4.
Si soffre l’assenza della svalutazione, ma il vero problema è domestico
(stasi della produttività e, quindi, aumento dei costi unitari di
produzione) e la soluzione deve essere domestica; la svalutazione
abbassa la febbre, ma non cura la malattia, con ripercussioni negative
sul “resto” (tenore di vita)
Ruolo della Cina
un’influenza più determinante:
le quote di mercato, in valore, cinesi e italiane (in parentesi)
1997
2004
Gomma e
plastica
6,7 (6,9)
9,0 (6,5)
4,0 (4,6)
Porodotti
non metall.
6,7 (13,1)
10,5 (11,4)
17,0 (8,0)
26,0 (7,2)
Prodotti in
metallo
3,8 (4,9)
6,9 (5,0)
30,1 (15,7)
31,9 (14,8)
Apparecchi
meccanici
2,5 (10,3)
6,3 (9,8)
Legno e rel.
prodotti
4,1(2,2)
7,4 (2,1)
Macchine
eletteriche
6,0 (2,1)
15,1 (1,7)
Prodotti in
carta
1,4 (3,7)
3,0 (3,9)
Autoveicoli
0,4 (3,6)
0,4 (3,3)
Prodotti
petroliferi
2,0 (2,8)
3,6 (3,2)
Altri mezzi
di trsposrto
1,9 (3,1)
3,5 (3,8)
Prodotti
chimici
2,4 (3,8)
3,2 (3,5)
Altri
manufatti
5,4 (17,8)
13,5 (13,2)
1997
2004
Prodotti
manufatti
5,0 (4,4)
8,0 (3,9)
Prodotti
alimentari
3,2 (3,9)
Prodotti
tessili-abb.
Cuoio e
pelli
Ruolo della Cina: non solo l’Italia è
toccata
1.
La Cina ha guadagnato notevolmente quote di mercato
in alcuni settori di specializzazione dell’Italia (tessile,
prodotti non metalliferi, ecc.), ma anche in industrie che
non rientrano nelle vocazioni produttive italiane
(macchine elettriche, prodotti in legno escl. mobili)
2.
Le erosioni di quote dell’Italia nei settori tradizionali di
specializzazione, calcolate in valore (a prezzi correnti),
sono evidenti, ma non così così marcate (ad eccezione
che negli “altri manufatti” dove la flessione è stata in 7
anni di 4,5 punti, la caduta si è commisurata in circa 1
punto nel tessile-cuoio, meno di 1 punto negli
apparecchi meccanici, in poco meno di 2 punti nel
prodotti non metalliferi). Le diminuzioni sono state però
molto più severe nei volumi: l’Italia vende di meno, ma
a prezzi più alti?
Ruolo della Cina: reazioni di difesa
la rapidità dell’avanzata dei prodotti cinesi induce
richieste di protezione in risposta a comportamenti
che, si asserisce, sono “sleali”, non solo per le
contraffazioni (argomento giusto), ma anche e
soprattutto per l’organizzazione interna della società
cinese (argomento discutibile)
“La Cina farà sempre di più quello
che vuole: le ore, le paghe, i ritmi di
lavoro. Ecco noi le consideriamo
tutte ‘cose loro’, interne. Si tratta di
una realtà che è sfuggita al controllo
del mondo occidentale”
Dichiarazione del Presidente dei calzaturieri italiani; Sole
24 ore, 27 novembre 2005
Quota di mercato dell’Italia a prezzi
costanti e correnti: due storie diverse
5,50
5,00
4,50
4,00
3,50
3,00
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Quota a prezzi correnti
Quota a prezzi 2000
Performance rispetto ai
competitori europei
Molto male a prezzi costanti, non così male a prezzi correnti
Quote di mercato a prezzi costanti
Quote di mercato a prezzi correnti
1,1
1,1
1
1
0,9
0,9
0,8
0,8
0,7
0,7
0,6
0,6
0,5
1990
1992
Italia
1994
1996
Germania
1998
2000
Francia
2002
2004
Regno Unito
0,5
1990
1992
Italia
1994
1996
Germania
1998
Francia
2000
2002
2004
Regno Unito
Esportazioni italiane
anomalie nei “prezzi” all’esportazione
dell’Italia?
Prezzi relativi delle esportazioni
Anomalia soprattutto nei beni di consumo non durevole
dove è più grave la crisi dell’export
Beni di consumo non durevole
Beni di consumo durevole
106
104
101
109
116
99
107
114
102
97
105
112
100
98
110
95
108
93
106
91
104
96
102
94
92
gen-01
118
gen-02
gen-03
101
99
89
100
87
98
85
gen-01
gen-04
103
97
95
gen-02
volumi (ciclo-trend)
volumi (ciclo-trend)
gen-03
gen-04
gen-05
valori medi unitari (ciclo-trend) scala dx
valori medi unitari (ciclo-trend) scala dx
Beni di investimento
Beni intermedi
102
114
100
112
105
120
115
100
110
98
108
96
110
95
105
106
94
104
92
102
90
88
gen-01
90
100
85
95
100
98
gen-02
volumi (ciclo-trend)
gen-03
gen-04
valori medi unitari (ciclo-trend) scala dx
gen-05
80
gen-01
90
gen-02
volumi (ciclo-trend)
gen-03
gen-04
valori medi unitari (ciclo-trend) scala dx
gen-05
Se i valori medi unitari all’export si identificassero con
indici di prezzo si potrebbe essere portati a pensare a
uno shock d’offerta…
Offerta e domanda delle esportazione italiane:
Shock sulla domanda
P
Offerta e domanda delle esportazione italiane:
Shock sull’ offerta
P
S
S1
S
D
D
D1
Q
Q
… o a un potere di mercato degli esportatori di made in
Italy; ma i valori unitari approssimano
imperfettamente i prezzi
L’aumento dei valori
medi unitari risente
di una modifica di
composizione degli
esportatori italiani:
fuori i meno
pregiati, rimane la
qualità più elevata
Totale esportazione:
Valori medi unitari all'esportazione prezzi alla produzione e (UE, Extra UE)
(indici destagionalizzati 2000=100)
120
115
110
105
100
95
2001
2002
2003
prezzi alla produzione
2004
vmu UE
2005
vmu Extra UE
Cuoio e calzature:
Valori medi unitari prezzi alla produzione e (Ue, Extra UE)
Tessile e abbigliamento:
Valori medi unitari prezzi alla produzione e (Ue, Extra UE)
(indici destagionalizzati 2000=100)
(indici destagionalizzati 2000=100)
140
130
135
125
130
120
125
115
120
115
110
110
105
105
100
100
95
95
2001
2002
Prezzi alla produzione
2003
2004
vmu UE
vmu Extra UE
2005
2001
2002
2003
Prezzi alla produzione
2004
vmu UE
vmu Extra UE
2005
Industria italiana tra crisi e trasformazioni
•
•
•
•
•
•
•
Modifica di composizione settoriale dell’export: si riduce il made-in-Italy, aumentano beni di
investimento e intermedi; ma non fino al punto di un mutamento strutturale del modello di
specializzazione che è profondamente radicato
Il made-in-Italy tradizionale è ancora lì, ma è in trasformazione; processo di selezione del più
“adatto”, con un nuovo movimento di specializzazione all’interno dei settori, già avvenuto in
passato; la bassa qualità e le fasi più intensive di lavoro sono spiazzate dai produttori a basso
costo e/o delocalizzate; upgrading delle esportazioni a riflesso del successo/sopravivenza dei
beni a più alta qualità (più elevato valore unitario)
I “più adatti” sono anche i produttori dotati di un potere di mercato: essi difendono i margini di
profitto sul mercato estero (piuttosto che su quello interno meno dinamico), nonostante la
crescente pressione dei competitori a basso costo, grazie a un ulteriore innalzamento della
“barriera qualitativa” (indotto proprio dalle pressioni competitive di tipo “cinese”)
Nella misura in cui questo comportamento consente la tenuta delle quote di mercato a prezzi
correnti, indica un non del tutto scontato punto di forza degli esportatori italiani (di successo) di
made in Italy nei fattori di competitività non di prezzo; ma ciò avviene al costo di una caduta
consistente nei volumi di export e di produzione; un modello di specializzazione inefficiente
quando la performance viene misurata sulle quantità, ma non quando è misurata sui valori?
Qualche ipotesi: la manifattura italiana era, in una sua parte, “protetta” (grazie all’esclusione
della Cina dal Wto, al Multifibre, ecc.) e quindi sovradimensionata? Aumento platea concorrenti
sfronda (i dati in quantità calano), lasciando i più efficienti (i dati in valore tengono); risultato
finale, perdita di peso dell’industria per maggiore apertura?
Sarebbe sbagliato ostacolare questo mutamento (assecondando le asserzioni sul fatto che la
Cina è sleale perché “fa a modo suo”). Ma il cambiamento sarebbe affrontabile più facilmente
se ci fosse un settore dei servizi trainante ed efficiente (liberalizzazioni) che assicurasse la
crescita, in questa fase non conseguibile nell’industria. Forse è soprattutto qui (ritardo dei
servizi) il nodo principale della competitività italiana
Accanto a ciò, un ambiente più favorevole al cambiamento strutturale (welfare orientato alla
mobilità del lavoro e meno ostacoli alla crescita dimensionale delle imprese) e al mutamento
delle specializzazioni (istruzione, capitale umano, ricerca e sviluppo) potrebbe accompagnare,
nel medio-lungo periodo, l’adattamento della nostra industria al mutato ambiente competitivo
questo e molto altro ancora in
IL MODELLO CHE NON C’ERA
L’Italia e la divisione internazionale
del lavoro industriale
di
Sergio de Nardis e Fabrizio Traù
Rubbettino
in uscita a gennaio 2006
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Teorie della specializzazione - Dipartimento di Scienze Statistiche