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ROBERTA METAFORA
L’esecuzione degli obblighi di fare (fungibili) e di non fare
SOMMARIO: 1. L’esecuzione degli obblighi di fare (fungibili) e di non fare: caratteri generali ed
ambito di applicazione. – 1.2. (Segue). L’esecuzione dell’obbligo di consegna dei minori. -1.3. (Segue).
L’obbligo di reintegra nel posto di lavoro. - 1.4. (Segue). I rapporti tra l’esecuzione degli obblighi di fare e
la nuova misura coercitiva indiretta di cui all’art. 614 bis. - 2. I titoli esecutivi legittimanti l’esecuzione
degli obblighi di fare e non fare. – 3. Le parti del processo di esecuzione degli obblighi di fare e di non
fare. – 4. La fase preliminare. Il precetto e l’inizio dell’esecuzione. – 5. Lo svolgimento del procedimento.
La determinazione delle modalità dell’esecuzione. – 6. Il regime di impugnazione del provvedimento. – 7.
I provvedimenti temporanei ex art. 613 c.p.c. – 8. Il provvedimento di liquidazione delle spese.
1. L’esecuzione degli obblighi di fare (fungibili) e di non fare: caratteri
generali ed ambito di applicazione.
Le pretese esecutive che hanno ad oggetto l’esecuzione degli obblighi di fare o la
distruzione di quanto realizzato in virtù dell’inadempimento di un obbligo di non fare
sono disciplinate dagli artt. 612 – 614 del codice di procedura civile. Siffatte norme si
correlano alle disposizioni dell'art. 2931 codice civile, secondo cui «se non è adempiuto
un obbligo di fare, l'avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese
dell'obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile», e dell'art. 2933
codice civile, secondo cui «se non è adempiuto un obbligo di non fare, l'avente diritto
può ottenere che sia distrutto, a spese dell'obbligato, ciò che è stato fatto in violazione
dell'obbligo».
Diversamente da quanto previsto dall'art. 1220 del codice civile previgente, il
giudice che emette una sentenza di condanna di una parte all'adempimento di un
obbligo di fare o di non fare non può autorizzare il titolare del correlativo diritto a
provvedere egli stesso e direttamente all'esecuzione di tale obbligo a spese della
controparte in caso di inadempimento dell’obbligato, dovendo, in tal caso, l'esecuzione
dei detti obblighi essere attuata secondo le regole stabilite dagli artt. 612 e seguenti del
codice di rito, i quali vietano l'autotutela del creditore, demandando in via esclusiva al
giudice dell'esecuzione la materiale fissazione delle modalità dell'esecuzione1.
Scopo degli artt. 612 e seguenti è di mettere lo strumento dell’esecuzione specifica
a disposizione di chi, “a seguito di una intervenuta violazione, è creditore di un fare o di
non fare” 2 ; pertanto, tramite dette norme è possibile l’attuazione coattiva sia di un
ineseguito credito di fare e di non fare, sia anche di un diritto assoluto (o della
1
Da tempo la giurisprudenza costantemente afferma il principio secondo cui laddove la sentenza
condanni all’adempimento di un obbligo di fare o di non fare, il giudice del merito non ha il potere di
autorizzare il titolare del diritto ad adempiere egli stesso a spese dell’obbligato, dovendo l’esecuzione
dell’obbligo contenuto nel titolo esecutivo avvenire nelle forme previste dall’art. 612 c.p.c. (Cass. 24
maggio 1962, n. 1204; Cass. 18 giugno 1968, n. 2016; Cass. 15 aprile 1970, n. 1043; Cass. 24 luglio
1980, n. 4815; Cass. 6 dicembre 1984, n. 6402; Trib. Roma, 7 dicembre 1994; Trib. Monza 21 febbraio
2005). Pertanto, la sentenza con la quale il giudice del merito autorizzi il creditore a provvedere
direttamente all’esecuzione di uno dei predetti obblighi a spese dell’obbligato, in caso di inerzia di
quest’ultimo, è da ritenersi adottata al di fuori dei poteri conferiti allo stesso giudice dall’ordinamento,
sicché va in parte qua cassata senza rinvio, in quanto inficiata, relativamente e limitatamente a tale parte,
da nullità insanabile: così Cass. 18 gennaio 1992, n. 576.
2
MANDRIOLI, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, in Digesto civ., VI, Torino, 1991,
551.
1
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personalità3), la cui violazione determina l’esigenza di fare qualcosa o di distruggere
quanto compiuto in conseguenza del comportamento antigiuridico4.
L’unico vero limite all’azionabilità dell’esecuzione degli obblighi di fare o disfare,
dunque, non è dato dalla natura dell’obbligo rimasto ineseguito, ma dalla caratteristiche
della prestazione dovuta: tramite il procedimento esecutivo delineato dagli artt. 612 e
seguenti, infatti, il creditore ottiene un risultato equivalente a quello che avrebbe
ottenuto a seguito dell’adempimento spontaneo del debitore; se ne desume perciò che
limite “naturale” 5 all’esecuzione in forma specifica è dato dalla fungibilità o
surrogabilità della prestazione, nel senso che essa può essere eseguita da un terzo o dal
debitore con identica soddisfazione per il creditore6.
Laddove oggetto dell’obbligo sia un facere infungibile è infatti impossibile
eseguire coattivamente la prestazione, essendo insurrogabile il comportamento del
debitore. In tali casi, allora, non potrà azionarsi la procedura di cui agli artt. 612 e
seguenti, rendendosi necessaria l’esecuzione indiretta, attraverso il ricorso a misure
coercitive, consistenti nella “minaccia rivolta all’obbligato di un male maggiore di
quello che gli deriverebbe dall’adempimento spontaneo allo scopo di premere
psicologicamente sull’obbligato perché adempia spontaneamente” 7 ; altrimenti il
creditore avrà diritto soltanto ad essere risarcito per equivalente, in forma generica,
attraverso l’esecuzione forzata8.
3
MANDRIOLI, op. cit., 551, il quale al riguardo richiama come esempio la distruzione delle copie di un
giornale o di un manifesto nel quale si sia fatto arbitrario uso del nome altrui in violazione dell’art. 7 c.c.
4
Deve pertanto ritenersi ampiamente superata quella tesi sostenuta in passato (SATTA, Commentario al
codice di procedura civile, III, Milano, 1966, 12 ss.), secondo cui con l’esecuzione degli obblighi di fare
e di non fare (e più in generale con le esecuzioni dirette) si possono tutelare solo i diritti reali e quelli
assoluti in genere, giacché gli altri diritti, soprattutto le obbligazioni, darebbero luogo solo al risarcimento
dei danni. A tale ricostruzione è stato infatti obiettato che “determinante, ai fini esecutivi, non è il tipo di
diritto da tutelare, sibbene il tipo di obbligo inadempiuto da surrogare. Che poi questo obbligo sia
correlato ad un diritto reale, o ad un diritto personale di godimento, o ancora ad una obbligazione non è in
sé rilevante” (LUISO, Esecuzione forzata, II)- Esecuzione forzata in forma specifica, in Enc. giur., XIII,
Roma, 1998, 2).
5
MANDRIOLI, op. cit., 552; MAZZAMUTO, L’esecuzione forzata, in AA. VV., Trattato di diritto
privato, diretto da Rescigno, XX, 2, Torino, 1998, 347. Conforme nella sostanza, MICHELI, Esecuzione
forzata, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1977, 184, che definisce “fisico” siffatto
limite. Sulla nozione di prestazione fungibile, v. anche PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale
civile, Napoli, 2012, 742.
6
Quanto al tipo di attività surrogabile, e dunque al contenuto dell’obbligo di fare, benché il legislatore
ammetta l’esecuzione specifica di obblighi aventi un contenuto positivo o negativo, la loro attuazione
attraverso l'intervento dell'ufficio esecutivo ex artt. 612 ss. si manifesta sempre in un facere, vale a dire in
una condotta positiva, consistente o nella stessa prestazione cui era originariamente tenuto il debitore
ovvero nell'eliminazione di quanto realizzato in violazione dell'obbligo di astensione: così LUISO, Diritto
Processuale Civile, III, Milano, 2011, 229. Nel medesimo senso si pone anche la giurisprudenza. Si v. ad
esempio, Cass. 9 dicembre 1981, n. 6500, in Foro it., Rep. 1981, voce Esecuzione di obblighi di fare o di
non fare, n. 6, la quale, partendo dal presupposto che è possibile avvalersi dell’esecuzione di cui agli artt.
612 e seguenti solo qualora la condotta del trasgressore si sia concretata in un quid novi, suscettibile di
essere posta nel nulla, poiché solo in tal caso l’intervento del giudice può determinare il ripristino della
situazione preesistente, compromessa ed alterata dal soggetto che era tenuto ad astenersi da qualsiasi
modificazione, ha affermato che l’intimazione, emessa nel corso di un procedimento possessorio a carico
di un titolare di un frantoio di non scaricare residui oleosi sul fondo vicino non fosse eseguibile in forma
specifica mediante distruzione delle strutture del frantoio potenzialmente idonee a consentire scarichi
siffatti.
7
Così PROTO PISANI, Appunti sulla tutela di condanna (trentacinque anni dopo), in Foro it., 2010, V,
257 ss.; cfr. anche SILVESTRI-TARUFFO, voce Esecuzione forzata. III) Esecuzione forzata e misure
coercitive, in Enc. giur., XIII, Roma, 1988, 2; CHIARLONI, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano,
1980, 202.
8
La non attuabilità coattiva degli obblighi aventi ad oggetto prestazioni infungibili ha per molti anni
creato il problema di garantire una idonea a tutela a chi si sia visto riconosciuta la titolarità di un credito
2
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È infungibile sia la prestazione che non può essere materialmente eseguita da un
terzo, sia quella che, “postulando una specifica ed autonoma determinazione di volontà
dell’obbligato, si risolva in una sua condotta strettamente personale e, quindi, del tutto
insostituibile”9.
In particolare, non possono essere eseguite nelle forme degli artt. 612 e seguenti sia
le prestazioni corrispondenti ad un obbligo connotato dall’intuitu personae 10 della
prestazione, sia quelle che possono essere adempiute dal solo obbligato, il quale si trovi
in regime di monopolio, di fatto o di diritto.
Ancora, senza avere alcuna pretesa di approfondire una questione considerata tra le
più “enigmatiche” della materia 11 , non è suscettibile di esecuzione diretta il facere
consistente in un’attività negoziale e, più in generale, nel compimento di atti giuridici,
posto che gli organi esecutivi non potrebbero sostituirsi all’obbligato nel compimento di
attività giuridiche volte a modificare la sfera giuridica dell’obbligato stesso a favore
dell’avente diritto, stante il disposto dell’art. 2908 c.c.12. Al riguardo, è stato osservato13
avente ad oggetto un facere non surrogabile tramite l’opera di un terzo.
Se in molti sistemi processuali stranieri le misure coercitive di portata generale rappresentano da tempo
una realtà ben consolidata (si pensi al contempt of court anglo americano, alle Zwangsstrafen tedesche e
all’astreinte di origine francese [in argomento, v. tra gli altri VULLO, L’esecuzione indiretta tra Italia,
Francia e Unione Europea, in RDP, 2004, 727]), in Italia il ricorso all’esecuzione indiretta è stato
ammesso in via generalizzata solo recentemente, a seguito dell'introduzione da parte della legge 18
giugno 2009, n. 69 dell’art. 614 bis c.p.c. Tale innovazione ha il pregio di introdurre per la prima volta
nel nostro ordinamento un sistema generale di tutela degli obblighi infungibili, caratterizzato dalla
previsione di una sanzione di natura patrimoniale, volta a coartare la volontà del soggetto obbligato alla
esecuzione spontanea dell’obbligo.
Dalla lettura della norma è agevole cogliere l’impronta chiaramente francese del sistema delle astreintes;
da esse, infatti, viene mutuato il carattere accessorio e patrimoniale della sanzione, nonché la sua natura
giudiziale, potendo essa essere pronunciata soltanto da un giudice all’esito di un procedimento
giurisdizionale. A differenza dell’astreinte francese, che richiede per produrre effetti concreti la sua
liquidazione da parte del giudice attraverso un procedimento autonomo rispetto a quello che ha accertato
l’obbligo e destinato ad accertare a sua volta l’effettivo inadempimento, l’art. 614 bis non prevede alcun
procedimento in tal senso; inoltre, essa si applica alle sole obbligazioni di fare infungibile e di non fare (al
contrario, le astreintes trovano applicazione anche per le obbligazioni di fare fungibile, per quelle volte
alla consegna e al rilascio e a quelle a contenuto patrimoniale). Su quest’aspetto, v. amplius, § 1.4.
9
SILVESTRI, Commento all’art. 612, in CARPI –TARUFFO, Commentario breve al codice di
procedura civile, Padova, 2009, 1920. Una questione strettamente a quella appena esaminata nel testo
concerne la natura dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di cui all’art. 2932 c.c. Con
riferimento a tale particolare obbligo di fare, parte della dottrina ha ritenuto la relativa prestazione
fungibile, in quanto suscettibile di essere direttamente attuata tramite il provvedimento del giudice. In
senso contrario, si è sostenuto che la prestazione del consenso negoziale consiste in un facere infungibile
che, come tale, ben potrà essere assistita dalla nuova misura coercitiva di cui all’art. 614 bis c.p.c. (vedi
amplius le considerazioni di CONSOLO, Una buona “novella” al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi
artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della sola dimensione processuale, in Corr. giur. 2009, 741 e ss.)
La giurisprudenza ammette l’esecuzione in forma specifica (ex art. 2932 c.c.) dell’obbligo assunto con il
contratto preliminare, configurando tuttavia la relativa azione quale costitutiva (art. 2908 c.c.); a tal fine, è
però necessario che il contratto preliminare contenga la determinazione degli elementi essenziali del
contratto definitivo, non potendosi il giudice sostituire alle parti stesse per supplire alle carenze del
preliminare (cfr. Cass. 13 settembre 1997, n. 9129, in Foro it., Rep. 1997, voce Contratto in genere, n.
435; Cass., 4 gennaio 2002, n. 59, in Giur. it., 2002, 1134). Nello stesso senso, v. FORNACIARI, I limiti
dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, in REF, 2000, 401.Potenza
10
LUISO, Esecuzione forzata: II)- Esecuzione forzata in forma specifica, in Enc. giur., XIII, Roma,
1998, 3.
11
MAZZAMUTO, L’esecuzione forzata, cit. 328.
12
Dunque, l’attività surrogabile dall’ufficio esecutivo può consistere unicamente nel compimento di
un’opera materiale o nella sua distruzione; pertanto, non è suscettibile di esecuzione forzata ai sensi
dell’art. 612, siccome non implicante un’attività materiale e fungibile di distruzione di opere, la sentenza
che ordina la cessazione della destinazione di un locale, realizzata mediante la locazione del medesimo a
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come esistano “diversi livelli di fungibilità e/o infungibilità, a seconda che si privilegi
l’aspetto materiale o quello giuridico: saranno materialmente infungibili prestazioni che
non consentono la surroga ad opera di terzi (si pensi ai più comuni esempi del cantante
o dell’attore che devono eseguire uno spettacolo musicale o teatrale, o a colui che deve
eseguire una prestazione d'opera intellettuale, come la redazione di un libro), mentre
saranno giuridicamente infungibili prestazioni che, pur consentendo materialmente tale
surroga, in considerazione dell’autonomia di cui gode il soggetto passivo o della
necessaria partecipazione di terzi, tale surroga non consentono (si consideri ad esempio
l’obbligazione del costruttore venditore di appartamenti, compresi in un edificio
realizzato in difformità della licenza edilizia, di ottenere il rilascio del permesso di
abitabilità mediante il pagamento di una sanzione pecuniaria)14.
Va peraltro precisato che è possibile ricorrere all’esecuzione in forma specifica
degli obblighi di fare e di non fare, solo se l’utilità che il creditore intende conseguire
non possa essere ottenuta tramite l'esercizio dei propri poteri sostanziali, vale a dire
compiendo egli stesso l'attività15. In altre parole, occorre che la prestazione da attuare
debba essere compiuta non nella sfera giuridica del creditore, ma in quella del debitore,
superando tutti gli ostacoli, di natura possessoria o meno, che questa sfera giuridica
pone16, onde poter giustificare l’attribuzione al giudice dell’esecuzione del potere di
determinare le modalità dell'esecuzione dell'obbligo17.
Pertanto, se non vi è necessità di incidere la sfera giuridica del debitore per ottenere
la soddisfazione del proprio diritto, come accade qualora l’attività del debitore abbia
come punto di riferimento un bene che è nel possesso del creditore, quest’ultimo potrà
senz’altro compiere esso stesso quelle attività, eventualmente delegandole ad un terzo, e
chiedere all’obbligato le eventuali maggiori spese. Solo se l’attività materiale del
debitore deve aver luogo nella sua sfera giuridica, si renderà necessario l’intervento
degli organi esecutivi. Ad esempio, mentre il conduttore può fare eseguire le riparazioni
spettanti al locatore sul bene a lui concesso in locazione senza dover ricorrere
all’esecuzione in forma specifica, al contrario il locatore che deve far riparare il bene
locato, di fronte alle resistenze del conduttore, dovrà adire l’ufficio esecutivo per
vincere gli ostacoli da questi opposti18.
terzi da parte di un condomino, perché contraria al regolamento di condominio (così testualmente, Cass.
22 marzo 1968, n. 917, in Foro it., 1968, I, 2841 ss., con nota di Borrè). Nello stesso senso, più di
recente, Trib. Potenza, 12 aprile 2007.
13
DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, 305.
14
Cass. 26 marzo 1979, n. 1756, in Foro it., 1979, I, 926 ss., con nota di Barone. In proposito, è
orientamento consolidato e mai smentito da più recente giurisprudenza che il rimedio di cui all’art. 2931
c.c. non sia utilizzabile per la surroga di attività negoziali che concorrono al perfezionamento di
fattispecie costitutive e, più in genere, di atti giuridici ovvero di prestazioni di terzi estranei al rapporto
controverso (v. ad esempio per la promessa del fatto del terzo, Cass. 6 aprile 1966, n. 910, in Foro it.,
1967, I, 354, secondo cui nell’ipotesi in cui il terzo non si obblighi o non adempia l’obbligazione il
promittente deve risarcire il danno al promissario). È stata invece ritenuta suscettibile di esecuzione in
forma specifica la sentanza che condanna alla rimozione delle immissioni aventi carattere permenante,
agendo sulle macchine industriali che le producono (Cass. 27 ottobre 1969, n. 3526, in Foro it., 1970, I,
862, con nota di Borré).
15
LUISO, Esecuzione forzata, cit., 2; MANDRIOLI, Esecuzione forzata, cit., 552.
16
BORRE’, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, Napoli, 1966, 100 ss., in part. 109;
MANDRIOLI, voce cit., 552; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit.,744.
17
I modi di "invasione" della sfera giuridica dell'obbligato, infatti, devono essere definiti dagli organi
della procedura esecutiva: così FABIANI, Esecuzione forzata in forma specifica ed eliminazione dei vizi
e/o difformità dell'opera appaltata, in Foro it., 1999, I, 2636).
18
LUISO, Esecuzione forzata, cit., 3. In senso conforme si esprime anche la giurisprudenza, la quale limita
l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo dell’appaltatore in caso di difformità o vizi dell’opera di cui
all’art. 1668 c.c. alle ipotesi in cui l’opera non sia stata integralmente eseguita o non sia stata consegnata
(Cass. 16 ottobre 1995, n. 10772, in Contratti, 1996, 126; Cass. 29 maggio 1980, n. 3542, in Foro it., Rep.
1980, voce Esecuzione degli obblighi di fare, n. 5). Altre decisioni hanno però ritenuto che la la decisione
giudiziale di condanna ad un obbligo di fare o di non fare non autorizzi il creditore, in caso di
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Ulteriore limite all’ammissibilità dell’esecuzione degli obblighi di non fare
(rectius: di disfare) è la circostanza che “la distruzione della cosa è di pregiudizio
all’economia nazionale”; invero, questo limite tocca, più che la fase esecutiva, la
possibilità per il giudice della cognizione di emanare il provvedimento di condanna alla
rimozione dell’opera: toccherà dunque a quest’ultimo valutare l’attitudine o meno
dell’eventuale distruzione dell’opera a pregiudicare l’economia nazionale19.
La Cassazione ha adottato una interpretazione restrittiva dell’art. 2933 c.c.,
precisando che la limitazione contenuta in questa norma riguarda solo le fonti di
produzione e di distruzione delle ricchezze del paese 20 e non trova riscontro nella
demolizione parziale o totale di un edificio 21 . In sostanza, siffatta norma si riferisce
unicamente alla distruzione di beni adibiti alla produzione e non anche alla distruzione di
beni aventi ingente rilievo economico.
Nell’eventualità in cui il giudice ritenga che la distruzione della cosa realizzata in
violazione dell’obbligo di fare pregiudichi l’economia nazionale, egli, non potendo
attivare la procedura di cui agli artt. 612 e seguenti, non ha altra possibilità che quella di
pronunciare la condanna al risarcimento del danno per equivalente22.
Infine, un discorso a parte va condotto per quanto concerne gli obblighi di pati; in
questi casi, l’obbligato è tenuto a tollerare, a sopportare l’invasione nella propria sfera
giuridica da parte del creditore, affinche quest’ultimo possa compiere una determinata
attività (si pensi al diritto di accedere al fondo del vicino per costruire o riparare il proprio
di cui all’art. 843 c.c.).
Al riguardo, la giurisprudenza aveva in passato affermato il principio secondo cui
l’obbligo di pati deve essere realizzato con le forme del procedimento di cui agli artt.
612 e seguenti23. Detto orientamento è stato, tuttavia, aspramente criticato dalla dottrina,
la quale ha evidenziato la differenza strutturale tra gli obblighi di pati e quelli di fare e
di disfare, i quali, a differenza dei primi, si risolvono sempre in un “operare”. Inoltre, è
stato notato che negli obblighi di pati differente è l’interesse che realizza l’attività del
creditore: talvolta questo interesse può essere soddisfatto dal risultato dell’attività
richiesta dal creditore (ad esempio, la costruzione di un acquedotto in relazione ad una
servitù o l’esecuzione delle opere di rifacimento dei solai e del lastrico solare
sovrastanti la proprietà altrui); in altri casi, invece, il predetto interesse sarà soddisfatto
dallo svolgimento della attività stessa (es. il diritto di cacciare sul fondo altrui). Se
l’interesse dell’attività è correlato al risultato, la tutela esecutiva specifica può operare,
ma essa ha luogo nelle forme dell’esecuzione per consegna o rilascio e non in quella
degli obblighi di fare: in tali casi, infatti, il giudice dell’esecuzione non potrebbe far
altro che nominare l’ufficiale giudiziario perché provveda a consentire all’esecutante
l’accesso nei cespiti di proprietà dell’esecutato 24 ; qualora, invece, l’interesse del
inadempimento del debitore, ad attuare direttamente (ma a spese di quest'ultimo) il comportamento
dovuto (Cass. 18 gennaio 1992, n. 576; Trib. Monza, 21 gennaio 2005), richiedendo che la prestazione sia
ottenuta attraverso l'esecuzione in forma specifica nelle modalità concrete determinate in tale sede (contra
Cass. 2 settembre 1982, n. 4798, che non ritiene necessario provvedere ex art. 612, se la sentenza di
condanna nomini un consulente tecnico, incaricandolo della fissazione delle modalità dell'esecuzione
della prestazione).
19
Diversamente NIGRO, Condanna ed esecuzioni restitutorie nei confronti delle pubbliche
amministrazioni, in RDP, 1968, 677, in part. 702, nel senso che spetterebbe al giudice dell’esecuzione
controllare che non sia intervenuto l’impedimento derivante dal pregiudizio all’economia nazionale.
20
Cass. 15 febbraio 1999, n. 1272; Cass. 5 gennaio 2000, n. 37.
21
Cass. 17 febbraio 2004, n. 3004; Cass. 24 maggio 1996, n. 4770; Cass. 16 aprile 1982, n. 2324, in Giur.it.,
1983, I, 1, 190; Cass. 4 dicembre 1982, n. 6611.
22
Cass. 30 luglio 2004, n. 14599; Cass. 16 gennaio 2007, n. 866; TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 27
ottobre 2003, n. 2160, in Foro Amm., 2004, 997.
23
Cass. 21 marzo 1969, n. 914; Cass. 15 marzo 1980, n. 1749; Cass. 8 aprile 1980, n. 2035.
24
Queste considerazioni sono oggi condivise anche dalla giurisprudenza di merito, per la quale la tutela
esecutiva di cui all’art. 612 non può essere invocata nel caso in cui la sentenza di condanna obblighi il
debitore a permettere l'accesso altrui sul proprio fondo per un periodo di tempo determinato, potendo in
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creditore sia correlato alla attività stessa, l’esecuzione in forma specifica non è idonea a
soddisfare l’avente diritto, rendendosi necessaria, pertanto, l’esecuzione indiretta25, che
oggi potrebbe realizzarsi nelle forme dell’art. 614 bis.
1.2. (Segue). L’esecuzione dell’obbligo di consegna dei minori.
Se le soluzioni sin qui offerte circa l’ambito di applicazione dell’esecuzione degli
obblighi di fare e di non fare presentano un elevato grado di certezza, è altrettanto vero
che in materia esistono molte altre questioni dal carattere assai complesso, in cui, al
contrario, il tasso di opinabilità è assai elevato. Tra queste particolare rilevanza assume
il tema dell’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori: al riguardo, essendo in
questa sede impossibile esporre esaustivamente tutte le complesse problematiche che la
necessità della consegna forzata di un fanciullo all’avente diritto può generare ed anche
in considerazione del fatto che ampi e ragguardevoli contributi sono stati già offerti sul
tema26, l’attenzione si concentrerà solo sull’utilizzabilità dello strumento di cui agli artt.
612 e seguenti per attuare gli obblighi di consegna dei minori27.
La giurisprudenza costituzionale 28 e di legittimità 29 , seguite da parte della
tali casi avvalersi della diversa esecuzione in forma specifica per rilascio di cui agli artt. 608 ss. c.p.c. Sul
punto, si v. Trib. Napoli, 13 aprile 2011, in www.ilcaso.it.
25
LUISO, Esecuzione forzata, cit., 3-4; in senso conforme FORNACIARI, I limiti dell’esecuzione forzata
di obblighi di fare e di non fare, cit., 418.
26
Sul punto, si v. FORNACIARI, L’attuazione dell’obbligo di consegna di minori. Contributo alla teoria
dell’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1991.
27
Invero, numerosissime sono le ricostruzioni offerte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, soprattutto di
merito; ad esempio, ancor prima dell’introduzione in via generalizzata delle misure coercitive nel nostro
ordinamento, non è mancato chi ha sostenuto che, ove l’obbligato non ottemperi all’ordine di consegna
della prole, sia possibile influire sulla sua volontà tramite l’irrogazione di una sanzione sul modello
francese delle astreintes (così CHIARLONI, Misure coercitive e tutela dei diritti, cit., 86); altri hanno
affermato l’utilizzabilità della forza pubblica quale forma di esecuzione di tipo amministrativo
(BAVIERA, Diritto minorile, II, Milano, 1976, 232); altri ancora hanno optato per l’intervento del
Giudice Tutelare (così Pret. Milano, 8 agosto 1986, in Giur.it., 1989, I, 2, 184; Pret. Roma, 16 dicembre
1987, in Foro it., 1990, I, 1392; Pret. Casoria, 13 gennaio 1988, in Foro it., 1989, I, 2665; Pret. Padova,
20 novembre 1995, in Fam. e dir., 1996, III, 269; Trib. Min. Perugia, 13 giugno 1997, in Rass. Giur.
Umbra, 1998, 17; Trib. Catania Paternò, 27 maggio 2004); infine, vi è stato anche anche chi ha proposto
di avvalersi dell’esecuzione prescritta per la consegna dei beni mobili, di cui agli artt. 605 ss. (tale tesi è
stata proposta da CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, Processo di esecuzione, Padova,
1932, I, 36 ss., ed è stata successivamente riproposta da FORNACIARI, L’attuazione dell’obbligo di
consegna di minori, cit., 203).
28
Corte Cost. 25 febbraio 1987, n. 68.
29
Cass. 15 gennaio 1979, n. 292; Cass. 7 ottobre 1980, n. 5374, in Foro it., 1980, I, 2707. In questa
pronuncia, la Suprema Corte ha individuato tre categorie di situazioni possibili, stabilendo, per ognuna di esse, la
soluzione ritenuta più adeguata: 1)- il provvedimento minorile contenuto in una sentenza passata in giudicato,
deve essere eseguito nelle forme di cui agli artt. 612 ss. c.p.c.; 2)- i provvedimenti di giurisdizione volontaria, che,
pur inidonei al giudicato, sono destinati a regolare la situazione in modo "tendenzialmente stabile", vanno eseguiti
facendo ricorso al procedimento ex artt. 612 ss. c.p.c.; 3)- i provvedimenti interinali o cautelari, quali, primi fra
tutti, i provvedimenti presidenziali prodromici tanto al giudizio di separazione che a quello di divorzio, stante la
loro assoluta provvisorietà ed instabilità, vanno eseguiti "in via breve", mediante "forme processuali esecutive
garantite dallo stesso giudice che ha disposto (provvisoriamente) al riguardo", cioè ricorrendo, se necessario, agli
organi amministrativi di polizia. Nello stesso senso sono anche Cass. 19 febbraio 1981, n. 1014, in Foro it., Rep.
1981, voce Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare, n. 9; Cass. 11 novembre 1982, n. 5946, in Dir.
fam. 1983; Cass. 15 dicembre 1982 n. 6912, in Giust. civ., 1983, I, 792; Cass. 12 novembre 1984, n. 5696, id.,
Rep. 1984, voce cit., n. 45, in cui è stato affermato che “I provvedimenti temporanei ed urgenti, adottati dal
presidente del tribunale o dal giudice istruttore nel procedimento di separazione personale a norma dell’art. 708
c.p.c., sono soggetti, in difetto di spontaneo adempimento, ad esecuzione coattiva in via breve, a mezzo
dell’ufficiale giudiziario, salvo che il beneficiario del provvedimento preferisca avvalersi, come gli è
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giurisprudenza di merito30 e della dottrina31, si sono da tempo espresse a favore di tale
ricostruzione interpretativa: l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, infatti,
sarebbe in grado di attuare le garanzie del processo giurisdizionale con un’estrema
duttilità, potendo le regole del processo di esecuzione specifica essere “adattate alle
peculiarità che presenta il coattivo spostamento del minore da una sfera ad altra di
potestà”32.
Più precisamente, la previsione di un giudice diverso da quello competente per il
merito permetterebbe di minimizzare gli effetti traumatici che l’attuazione coattiva
dell’obbligo di consegna può determinare sulla psiche del minore, potendo il giudice
dell’esecuzione dettare le prescrizioni più idonee a salvaguardare la sua posizione. A ciò
si aggiunga che il giudice dell’esecuzione può avvalersi dell’opera di “ausiliari”, quali
psicologi, assistenti sociali, esperti di terapia familiare, così “adattando” le prescrizioni
contenute nei provvedimenti di affidamento alle esigenze peculiari di ogni singola
fattispecie.
È però indubitabile che l’adattamento delle regole di cui agli artt. 612 e seguenti ai
procedimenti di attuazione di consegna dei minori dà luogo a non pochi inconvenienti:
in primo luogo, protagonisti di questa esecuzione sono due organi, quali il giudice
dell’esecuzione e l’ufficiale giudiziario, poco avvezzi a trattare le vicende, delicate, che
concernono i minori33; in secondo luogo, “applicare le regole relative agli artt. 612 ss.
significherebbe immettere la prole in un ingranaggio sordo, lento ed aleatorio”34. Infine,
è stato osservato che “l’obbligo di consegnare un minore comporta un’attività in sé
semplicissima e, in relazione alle modalità della quale, non si vede su cosa dovrebbe
dunque esplicarsi la discrezionalità del giudice”35.
In questo quadro di grande incertezza è intervenuto il legislatore nel 2006,
introducendo un procedimento tipico per il caso di “gravi inadempienze” o di “atti che
arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalita’
dell’affidamento”. Si intende far riferimento all’art. 709 ter c.p.c., il quale prevede un
procedimento di carattere sussidiario e con funzione esecutiva 36 , caratterizzato dalla
previsione di un sistema progressivo di misure coercitive indirette, volte ad assicurare il
rispetto di tutti i provvedimenti in senso lato di affidamento, istruzione ed educazione dei
minori37.
alternativamente consentito, della normale procedura di esecuzione forzata, notifi cando alla controparte il titolo e
l’intimazione ad adempiere; Cass. 1 aprile 1998, n. 3374, in Foro it. Rep. 1998, voce Separazione di coniugi, n.
89; Cass. 10 maggio 2001, n. 6472.
30
Trib. Milano, 30 giugno 1958; Trib. Palermo 16 aprile 1987; Trib. Roma 8 aprile 1988, in Foro it., 1990,
I, 1392 ss. Va, tuttavia, segnalato che, per l’attuazione dei provvedimenti temporanei e urgenti adottati dal
presidente del tribunale a norma dell’art. 708 c.p.c., la giurisprudenza di merito ha riconosciuto competente per
l’esecuzione dei provvedimenti relativi all’affidamento dei minori il giudice tutelare ai sensi dell’art. 337 c.c. e
non, invece, il giudice dell’esecuzione ex art. 612 c.p.c. (cfr. Trib. Cassino 25 giugno 2004, in Nuovo dir., 2004, I,
1004,con nota di n. LOTITO; analogamente. Trib. Palermo, 26 luglio 2001, in Dir. famiglia, 2002, 413; Pret.
Padova 20 novembre 1995, in Famiglia e dir., 1996, 269, con nota di VULLO; P. Roma, 16 dicembre 1987, in
Foro it., 1990, I, 1392, con nota di CANEVELLI).
31
MANDRIOLI, op. cit., 704; FINOCCHIARO, Esecuzione forzata dei provvedimenti di affidamento dei
minori, in Giust. civ., 1981, 324.
32
Cass. 7 ottobre 1980, n. 5374.
33
VACCARELLA, Problemi vecchi e nuovi dell’esecuzione forzata dell’obbligo di consegna dei minori,
in Giur. it., 1982, I, 2, 309; CONSALES, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori: orientamenti
dottrinali e giurisprudenziali, in REF, 2002, 493.
34
SACCHETTI, Problemi e prospettive fra giurisdizione e amministrazione negli interventi giudiziari a
protezione dei minori, in RTPC, 1985, 781.
35
FORNACIARI, L’attuazione dell’obbligo di consegna, cit., 214.
36
Così FINOCCHIARO-POLI, Esecuzione di provvedimenti di affidamento dei minori, in Digesto, Disc.
Priv. Sez. Civ., Agg. III, Torino, 2007, 534.
37
Cfr. GRAZIOSI, L’esecuzione forzata dei provvedimenti del giudice in materia di famiglia, in Dir.
Fam., 2008, 880. Si tratta dunque di una tecnica che si affida allo strumento delle astreintes; con
l’introduzione dell’art. 614 bis c.p.c. si è allora posto il problema della concorrenza di tale misura di
7
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Con tale innovazione, probabilmente, l’annoso problema dell’individuazione di
strumenti idonei per garantire l’effettiva tutela degli interessi del minore troverà
finalmente una soluzione: le nuove regole dettate dall’art. 709 ter, affidandosi agli
strumenti compulsori della c.d. esecuzione indiretta, consentono infatti “al giudice del
procedimento in corso” di pronunciare provvedimenti che valgano non soltanto ad
individuare, se necessarie, nuove modalità dell’affidamento, ma anche ad influire sulla
volontà dell’obbligato per indurlo ad ottemperare volontariamente al contenuto
precettivo del relativo provvedimento.
Il legislatore, accogliendo gli auspici di parte della dottrina 38, ha introdotto una
nuova forma di esecuzione indiretta, la quale presenta il pregio di adattare una serie di
istituti originati in diversi campi del diritto alle esigenze caratterizzanti i rapporti
genitoriali39. Proprio riconoscendo il limite degli strumenti di enforcement a risolvere
un’intera situazione di conflitto, essa consente il cumulo di provvedimenti coercitivi con
le sollecitazioni volte a far intraprendere percorsi di mediazione alle parti (i genitori), di
modo da far prendere loro coscienza del fatto che, al di là della rottura del rapporto
coniugale, sopravvivono le responsabilità verso la prole, il cui interesse deve essere
perseguito in via prioritaria su tutte le altre questioni scaturenti dalla crisi del rapporto
sentimentale.
1.3. (Segue). L’obbligo di reintegra nel posto di lavoro.
Altra questione particolarmente controversa e di difficile risoluzione è quella
relativa alle forme di esecuzione dell’ordine di reintegra nel posto di lavoro.
Al riguardo, esulando dalla presente indagine il tema dell’esecuzione in forma
indiretta dell’obbligo di reintegra tramite gli strumenti previsti ad hoc dall’art. 18 (di
recente modificato dall’art. 1, comma 42 della legge 28 giugno 2012, n. 9240) e dall’art.
ordine generale e quella di cui all’art. 709 ter: sul punto, si v. le considerazioni di VULLO, L’attuazione
dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole, in Commentario del codice civile fondato da
Schlesinger diretto da Busnelli, Milano, 2010, 872 e ivi a nota 11, nonché per una diversa ricostruzione
del problema, CHIZZINI, in AA.VV., La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 172.
38
Sul punto v. CONSALES, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori, cit., 480 ss.
39
L’art. 709 ter, infatti, prevede che il giudice, “in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque
arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può
modificare i provvedimenti in vigore e può anche congiuntamente:
1)- ammonire il genitore inadempiente;
2)- disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3)- disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4)- condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un
minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende”.
40
Le nuove norme introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 superano l'automatismo tra licenziamento
ritenuto illegittimo e reintegrazione del lavoratore, prevedendo solo in caso di licenziamento
discriminatorio (cioè quello determinato: da ragioni di credo politico o fede religiosa; dall'appartenenza
ad un sindacato a dalla partecipazione a scioperi ed altre attività sindacali; dal sesso, dall'età,
dall'appartenenza etnica o dall'orientamento sessuale) la declaratoria di nullità del licenziamento (al pari
di come avveniva con la precedente normativa) e la conseguente reintegrazione (o "reintegro") nel posto
di lavoro con risarcimento integrale (pari a tutte le mensilità perdute ed ai contributi non versati).
Le stesse regole si applicano in caso di licenziamento orale (cioè comunicato solo verbalmente) o quando
il licenziamento è avvenuto in concomitanza col matrimonio, con la maternità o la paternità. Viene invece
previsto che in caso di licenziamento disciplinare (cioè quello motivato dal comportamento del
lavoratore), il giudice può ritenere che non ci siano gli estremi per il licenziamento per due motivi: perché
il fatto non sussiste; oppure perché il fatto può essere punito con una sanzione di altro tipo. Il giudice, in
tal caso, può decidere se applicare, come sanzione, la reintegrazione con risarcimento limitato nel
massimo di 12 mensilità, oppure il pagamento di un'indennità risarcitoria, tra le 12 e le 24 mensilità,
senza versamento contributivo.
Il licenziamento può essere anche motivato da "giustificato motivo oggettivo", cioè da ragioni inerenti
8
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28 dello Statuto dei Lavoratori, nonché mediante quello generale di cui all’art. 614 bis
(di cui, peraltro, è fortemente discussa l’applicabilità alle controversie di lavoro, stante
l’esplicito dettato della norma) 41, ci si può limitare a segnalare come l’orientamento
assolutamente prevalente si sia da tempo espresso per l’incoercibilità dell’obbligo di
reintegra tramite l’esecuzione diretta, attesa l’infungibilità della prestazione 42 . Si
osserva in particolare che l’obbligo del datore di lavoro condannato alla reintegra si
sostanzia non soltanto in un comportamento riconducibile ad un pati, quale è la
riammissione del lavoratore nell’azienda, ma anche in un insostituibile comportamento
attivo, consistente nel ricostruire la posizione lavorativa del dipendente reintegrato,
attribuendogli le mansioni a cui era adibito, e nell’impartirgli le direttive necessarie per
lo svolgimento dell’attività lavorativa, tutte attività che confluiscono nell’esercizio dei
tipici poteri datoriali. In particolare, tale ultimo comportamento non può essere posto in
essere da terzi, né dal giudice per il principio costituzionale sancito dall’art. 41 Cost.
della libertà di impresa43.
"l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa" (c.d. licenziamento
economico). Ad esempio, quando una nuova modalità produttiva o una contrazione del mercato
impongono all'azienda di ridurre il numero di addetti ad una certa mansione. In tal caso, se il giudice
accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, può condannare l'azienda al
pagamento di un'indennità risarcitoria in misura ridotta, da 12 a 24 mensilità, tenendo conto dell'anzianità
del lavoratore e delle dimensioni dell'azienda stessa, oltre che del comportamento delle parti. Se però
ritiene che l'atto è "manifestamente infondato", applica la stessa disciplina della reintegrazione dovuta per
il licenziamento disciplinare. Nonostante le modifiche apportate all’art. 18 cit., resta ancora configurabile
la eseguibilità forzata dell’ordine di reintegrazione tramite l’irrogazione di una misura coercitiva, seppure
in forma “attenuata”: difatti, nelle ipotesi di licenziamento c.d. disciplinare e più in generale in tutti i casi
di licenziamento previsti dai primi due commi della norma è prevista la possibilità per il giudice di
condannare il datore di lavoro al versamento delle mensilità e ai contributi non versati fino al giorno della
effettiva reintegrazione (art. 18, 2° comma).
41
L’art. 614 bis afferma esplicitamente che la misura coercitiva non si applica alle controversie di lavoro
subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409
c.p.c. La norma si ispira alla tesi sostenuta in passato da Chiarloni (Misure coercitive, cit., 230 ss.), per la
quale occorreva rispettare in ogni caso talune sfere di libertà del soggetto obbligato (con il conseguente
sacrificio della possibilità per il creditore di ottenere l’esecuzione in forma specifica del proprio diritto).
Siffatta limitazione, tuttavia, si riferiva soprattutto agli obblighi di fare e di non fare infungibili implicanti
prestazioni di natura lavorativa e personale o comunque di natura intellettuale (per le quali la sanzione del
non adempimento appariva comunque più adeguatamente data dal classico rimedio del risarcimento del
danno per equivalente). Il legislatore del 2009 invece generalizza l’esclusione, stabilendo che le misure
coercitive non operano per tutte le obbligazioni derivanti dai rapporti di lavoro dipendente od autonomo,
risultando escluse anche le obbligazioni di fare e di non fare gravanti sul soggetto datore di lavoro, che in
sé non hanno – nella maggior parte dei casi – alcun elemento di coinvolgimento personale o intellettuale,
come ad esempio è per l’obbligo di di assegnare il lavoratore le mansioni dovute. Proprio in materia di
lavoro, l’introduzione dell’art. 614 bis c.p.c. costituisce allora un’occasione mancata, anche se forse il
legislatore ha in tal modo voluto mantenere una linea cauta, per timore di un aggravamento eccessivo
degli oneri del sistema produttivo: così SANDULLI-SOCCI, Il processo del lavoro, Milano, 2010, 480;
sul punto, si v. anche le considerazioni di DALFINO, Le novità per il processo civile del 2009 e il rito del
lavoro, in www.judicium.it, 26 ss., nonché la nota precedente.
42
Invero, in passato, una parte (seppur minoritaria) della giurisprudenza di merito ha ritenuto applicabile
il combinato disposto degli artt. 2931 c.c. e 612 e ss. c.p.c. a dette situazioni, al fine di assicurarela piena
aderenza dell’essere al dover essere. A questo riguardo, si deve rammentare una decisione del Pretore di
Milano, nella quale si imponeva all’ufficiale giudiziario di
procedere all’ esecuzione coattiva della
sentenza di reintegra, provvedendo a compiere tutte quelle attività necessarie alla ripresa effettiva del
servizio da parte del lavoratore: così Pret. Milano, 26 novembre 1992, in Lavoro e Diritto, 1993, 449 ss.
A favore della coercibilità del provvedimento di reintegra, si v. altresì Pretore di Roma 15 marzo 1992, in
Il diritto del Lavoro, 1992, II, 269 e ss.; Pretore di Milano, 13 ottobre 1983, in Foro it., 1984, I, 3042;
Pretore di Padova, 17 marzo 1980, in Foro it., 1980, I, 1779 e ss.; Pretore di Roma, in Foro it., 1979, I,
2132 e ss.
43
Cass. 11 gennaio 1988 n. 112, in Mass. giur. lav., 1988, 93, con nota di MANNACIO, con riferimento
9
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Pertanto, se l’esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro per le sentenze
di condanna aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro non pone
particolari problemi, trovando applicazione le norme generali del processo esecutivo, è
stata, invece, esclusa l’applicabilità delle norme di cui agli artt. 612 ss. c.p.c. per
eseguire coattivamente l’obbligo di reimmettere il lavoratore nel posto di lavoro.
Per ragioni analoghe, è stata esclusa la possibilità di attuare in via coattiva la
sentenza che contenga l’ordine di riassegnare il lavoratore alle precedenti mansioni o ad
altre di equivalente contenuto professionale, qualora sia stato violato il divieto di
demansionamento di cui all’art. 2103 c.c., nonché i provvedimenti aventi come
contenuto l’ordine di reintegrazione del lavoratore nella sede originaria a seguito di
declaratoria di illegittimità del provvedimento di trasferimento44.
1.4. (Segue). I rapporti tra l’esecuzione degli obblighi di fare e la nuova misura
all'ordine di reintegrazione ex art. 18 della legge n. 300 del 1970 ha affermato che «che il detto ordine di
reintegrazione - salva la indiretta coazione conseguente all'obbligo di continuare a corrispondere la
retribuzione - non è suscettibile di esecuzione specifica, la quale è possibile soltanto per le obbligazioni di
fare di natura fungibile, in cui non può ricomprendersi l'obbligo di reintegrazione. Invero, la
reintegrazione nel posto di lavoro comporta non soltanto la riammissione del lavoratore nell'azienda (cioè
un comportamento riconducibile ad una semplice "pati"), ma anche un indispensabile ed insostituibile
comportamento attivo del datore di lavoro di carattere organizzativo - funzionale consistente, fra l'altro,
nell'impartire al dipendente le opportune direttive, nell'ambito di una relazione di reciproca ed infungibile
collaborazione. Codesti principi devono essere mantenuti fermi, non ravvisandosi ragione alcuna per
discostarsene (cfr., oltre alla già citata Cass. n. 112 del 1988: Cass. 20 gennaio 1978 n. 262; 15 aprile
1976 n. 1355)”. Nel medesimo senso anche, Cass. 11 gennaio 1990, n. 47 e n. 48, entrambe in Dir. e
pratica del lavoro, 1990, 1231. In dottrina, v. per tutti GARBAGNATI, Profili processuali del
licenziamento per motivi antisindacali, in RDP, 1973, 599; MANDRIOLI, L’esecuzione in forma
specifica dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, in RDP, 1975, 9 ss.
44
Al riguardo, la Cassazione è solita affermare che la provvisoria esecutività riconosciuta dal comma 1
dell'art. 431 c.p.c. riguarda solo le sentenze contenenti una condanna al pagamento e non anche le
sentenze che accertano il diritto del lavoratore ad una qualifica superiore e condannano il datore di lavoro
all'attribuzione di detta qualifica, le quali, ancorchè in parte di accertamento e in parte di condanna, non
sono comunque suscettibili di esecuzione forzata, non potendo l'attribuzione della qualifica e il
conferimento delle relative mansioni avvenire senza la necessaria cooperazione del debitore: così, v. tra le
più recenti, Cass., sez. lav., 17 giugno 2004, n. 11364, in Notiziario giurisprudenza lav., 2004, 746; Cass.,
sez. lav., 14 luglio 1997, n. 6381, in Giust. civ., Mass. 1997, 1191; Cass. 4 settembre 1990, n. 9125, in
Notiziario giurisprudenza lav., 1990, 689; Cass. 20 settembre 1990, n. 9584, ivi, 1990, 894.
Inoltre, «il principio per cui l'ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro non è suscettibile
di esecuzione in forma specifica può applicarsi anche nel caso di sospensione in via giudiziaria del
provvedimento di trasferimento del lavoratore ad altra sede di lavoro, sussistendo pure in tale ipotesi la
necessità di un comportamento attivo del datore di lavoro nell'ambito delle proprie competenze
organizzative e funzionali, postoché egli può ottemperare all'ordine di reintegrazione assegnando il
dipendente a mansioni diverse da quelle precedenti, purché ad esse equivalenti. Ne deriva che, ottenuta in
via d'urgenza dal pretore la sospensione del trasferimento, il lavoratore non è passibile di sanzioni
disciplinari qualora senza chiedere allo stesso pretore la determinazione delle modalità di esenzione del
provvedimento di sospensione, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., offra al datore di lavoro le proprie prestazioni
nella sede originaria, rifiutandosi di assumere servizio in quella nuova”: Cass. 19 novembre 1996, n.
10109, in Giust. civ. Mass. 1996, 1541. Infine, per quanto concerne la reintegrazione dei dipendenti
pubblici, sebbene la situazione sia in apparenza analoga, si è esclusa la possibilità per il pubblico
dipendente di ricorrere al procedimento ex art. 612 c.p.c., potendo egli promuovere il giudizio di
ottemperanza davanti al giudice amministrativo (così tra le altre, Trib. Parma, 12 luglio 2005, in Lav.
nella giur., 2005, 1160, con nota di BRUSATI, secondo cui “deve essere dichiarato inammissibile il
ricorso proposto ai sensi dell'art. 612 c.p.c. da un pubblico dipendente per la esecuzione forzata della
sentenza del giudice del lavoro, provvisoriamente esecutiva, di condanna della p.a. datrice di lavoro ad un
fare infungibile”; T.A.R. Marche 19 settembre 2003, n. 997, in Guida al dir., 2003, fasc. 45, 97, secondo
cui “qualora una sentenza del Giudice del lavoro preveda a carico della p.a. obblighi di fare infungibili, il
pubblico dipendente non può avvalersi del ricorso all'art. 612 c.p.c., ma può promuovere il giudizio di
ottemperanza avanti il Tar”.
10
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coercitiva indiretta di cui all’art. 614 bis.
Il discorso sin qui svolto circa l’ambito di applicazione ed i limiti del procedimento
di esecuzione degli obblighi di fare (fungibili) non può ancora ritenersi concluso: la
recente introduzione della misura coercitiva di carattere generale di cui agli artt. 614 bis
nel nostro sistema processuale, infatti, ha dato vita ad un’ulteriore questione di carattere
sistematico, ponendosi il problema di stabilire se l’astreinte italiana sia una semplice
tecnica di esecuzione indiretta o un rimedio avente carattere generale45, applicabile in
ogni caso e, dunque, anche per l’attuazione di prestazioni fungibili, laddove
l’esecuzione degli obblighi di fare, seppure astrattamente possibile, sia di difficile
realizzazione.
Sul punto, va riportata la posizione della dottrina e della giurisprudenza prevalente,
la quale ritiene che la misura coercitiva di cui all’art. 614 bis sia limitata alle
obbligazioni infungibili di fare o non fare46. Ciò per tre ragioni.
Innanzitutto, perché la collocazione della disposizione così suggerisce, visto che
essa va a chiudere un Titolo del codice di rito dedicato all’esecuzione in forma
specifica. Essa, in sostanza, chiude il quadro di un sistema nel quale si afferma che, se
per le obbligazioni fungibili soccorrono gli articoli 612 ss. c.p.c., “per quelle infungibili,
e solo per queste, l’interessato ha l’àncora di salvezza dell’art. 614 bis c.p.c.” 47 . In
secondo luogo, la rubrica della norma discorre di esecuzione degli obblighi di fare
infungibili, così sembrando escludere l’attuabilità di qualunque altro obbligo; infine,
poiché la norma introduce nel nostro ordinamento una pena privata, non è suscettibile di
interpretazioni estensive48.
A ben guardare, però, sussistono margini per una diversa e più ampia
interpretazione. In primo luogo, la rubrica dell’art. 614 bis non è vincolante (giacché nel
nostro ordinamento vige la regola secondo la quale la rubrica non est lex, per cui non
impone alcun obbligo all’interprete); secondariamente, il tenore letterale della legge
(che parla solo di violazione ed inosservanza dell’obbligo senza precisare la tipologia
45
Come accade nel sistema d’oltralpe. Sui caratteri e la natura dell’astreinte nell’ordinamento francese, v.
tra gli altri, ASPRELLA, Il nuovo istituto dell’astreinte, in ASPRELLA-GIORDANO, La riforma del
processo civile dal 2005 al 2009, in Giust. civ., Suppl., 2009, 116; PUCCIARIELLO-FANELLI,
L’esperienza straniera dell’esecuzione forzata indiretta, in AA.VV., L’esecuzione processuale indiretta,
a cura di Capponi, Milano, 2011, 48 ss.
46
AMADEI, Una misura coercitiva generale per l’esecuzione degli obblighi infungibili, in
www.judicium.it, § 2; BOVE, La misura coercitiva di cui all’art. 614-bis c.p.c., in www.judicium.it., § 2;
CHIZZINI, in AA.VV., La riforma della giustizia civile, cit., 164; MANDRIOLI-CARRATTA, Come
cambia il processo civile, Torino, 2009, ASPRELLA, L’attuazione degli obblighi di fare infungibile e di
non fare, in Giur. merito, 2011, 117 ss.; ID., L’esecuzione processuale indiretta nel processo civile, in
REF, 2012, 37 ss.; BUCCI-SOLDI, Le nuove riforme del processo civile. Commento alla legge 18 giugno
2009, n. 69, Padova, 2009, 220 ss.; MERLIN, Prime note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie
per l’attuazione degli obblighi infungibili nella L. 69/2009, in RDP, 1548. In giurisprudenza, si v. Trib.
Milano, 9 giugno 2011; Trib. Modena, 7 marzo 2011, n. 415 secondo cui “la condanna di cui all’art. 614
bis … non può riguardare la condanna ad un fare fungibile, quindi suscettivo di esecuzione forzata”; Trib.
Varese, 16 febbraio 2011, in NGCC, 2011, 876, con nota di Notarpasquale; Trib. Trento, 8 febbraio 2011.
47
BOVE, La misura coercitiva, cit., § 2.
48
A tali considerazioni si aggiunge anche l’ulteriore osservazione secondo cui “se si ammettesse l’uso del
meccanismo coercitivo-sanzionatorio anche nei casi in cui operi l’esecuzione diretta, si rischierebbe di
duplicare le voci di danno in favore del creditore che si vedrebbe riconoscere non solo l’utilità originaria,
ma anche il danno e la somma dovuta a titolo di astreinte”, così introducendosi surrettiziamente una
disposizione analoga all’art. 1382 c.c. (relativa alla clausola penale), ma di determinazione giudiziale
(ASPRELLA, L’esecuzione processuale indiretta, cit., 37).
11
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dello stesso) permette un’applicazione estensiva della disposizione49.
Soprattutto, la tesi estensiva presenta innegabili vantaggi sotto il profilo
sistematico; come accennato, frequentemente ci si può imbattere in ipotesi in cui
l’obbligo, sebbene fungibile, è di complessa attuazione: si pensi, tra i molti esempi, alla
prestazione di consegna di cosa generica o a quello di manutenzione del locatore per
quanto attiene ai servizi comuni. Ancora, si pensi agli obblighi nascenti in capo ai
genitori nell’ipotesi di crisi dei rapporti familiari, tanto che il legislatore ha avvertito la
necessità di prevedere (con l’art. 709 ter c.p.c.) forme di attuazione sotto il diretto
controllo del giudice del merito, con la possibilità di sanzioni indirette, risarcimento del
danno e modifiche peggiorative per il coniuge o il genitore inadempiente.
In tutte le ipotesi menzionate, sebbene le prestazioni siano astrattamente fungibili,
sembra che l’estensione dell’ambito applicativo dell’art. 614 bis comporti un innegabile
vantaggio in termini di effettività della tutela, essendo il risultato conseguibile con
l’esecuzione diretta realizzabile in tempi “irragionevoli”. Peraltro, la soluzione di
estendere il raggio applicativo dell’art. 614 bis, oltre ad aumentare il grado di efficacia
della tutela ottenuta dal creditore, evita altresì “di costringere il giudice a valutare in via
pregiudiziale la infungibilità della prestazione come presupposto legittimante 50, con le
conseguenti complicazioni circa il coordinamento con l’eventuale successiva
opposizione all’esecuzione fondata sul (l’erroneità di) detto presupposto”51.
Dunque, nonostante le indubbie difficoltà connesse all’accoglimento della tesi
estensiva, sembra preferibile affermare che l’art. 614 bis si possa applicare anche per
assicurare l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari aventi ad oggetto obblighi di fare
fungibili di complessa attuazione. Spetterà dunque al giudice della cognizione (anziché
quello dell’esecuzione)52 disporre la comminatoria di cui all’art. 614 bis, onde garantire
la realizzazione materiale dell’obbligo.
2. I titoli esecutivi legittimanti l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare
L’art. 612 prevede quale unico titolo legittimante l’esecuzione degli obblighi di
fare e di non fare la sentenza di condanna.
Da sempre si afferma che tale limitazione si spiega con le caratteristiche
dell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare: poiché detti obblighi sono coercibili
solo in quanto fungibili e il risarcimento del danno in forma specifica può essere
concesso solo se esso sia possibile e non eccessivamente oneroso (art. 2058 c.c.),
«appare di tutta evidenza che il legislatore abbia inteso subordinare l’esecuzione
49
In questo senso, si v. Trib. Terni, 4 agosto 2009, in Foro it., 2011, I, 287; ZUCCONI GALLI
FONSECA, Le novità della riforma in materia di esecuzione forzata, in www.judicium.it., § 4.
50
Spesso è difficile stabilire il confine tra obblighi fungibili ed infungibili. Si consideri ad esempio
l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, pacificamente ritenuto infungibile, in cui tuttavia rientrano
delle attività che sono definite “sottoprestazioni fungibili” (al riguardo, si pensi alle prestazioni che non
integrano poteri discrezionali, come il rilascio del cartellino o l’accesso alla mensa o, ancora, il
pagamento delle retribuzioni, che possono essere coattivamente attuate).
51
ZUCCONI GALLI FONSECA, Le novità, cit., § 4.
52
L’attribuzione al giudice della cognizione del potere di procedere all’attuazione dell’obbligo di fare di
complessa attuazione si giustifica per due diversi motivi: in primo luogo, vi è la lettera dell’art. 614 bis
che espressamente configura come giudice competente per la irrogazione della sanzione quello della
cognizione; secondariamente, trattandosi di un’infungibilità operante non sul piano sostanziale, ma su
quello squisitamente processuale (sul punto, si v. le considerazioni di MAZZAMUTO, L’esordio della
comminatoria di cui all’art. 614 bis c.p.c. nella giurisprudenza di merito, in Giur. it., 2010, 637 ss., in
part. 642), è compito del giudice della cognizione verificare in concreto, tenendo conto dei pregiudizi
ulteriori che possono derivare dalle alterazioni già consumate e dai tempi dell’esecuzione forzata, se
l’irrogazione della misura coercitiva sia ammissibile o se, al contrario la richiesta del creditore sia
manifestamente iniqua.
12
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coattiva di tali obblighi ad un preventivo accertamento giurisdizionale avente ad oggetto
la fungibilità, possibilità e non eccessiva onerosità della prestazione»53.
Tuttavia, già da tempo la dottrina ha optato per una lettura estensiva dell’art. 612,
affermando che l’esecuzione in forma specifica degli obblighi di fare (e non fare) possa
essere azionata sulla base di qualsiasi provvedimento giudiziale di contenuto
condannatorio, anche se non assunto nella forma di sentenza54.
Pertanto, sarà titolo esecutivo idoneo a fondare l’esecuzione forzata degli obblighi
di fare e di non fare anche l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di
cognizione, come peraltro risulta dall’art. 702 ter che espressamente attribuisce ad essa
generale efficacia esecutiva. Si assiste in tal modo ad un aumento dei titoli esecutivi
legittimanti questa forma di esecuzione, giacché il procedimento sommario di
cognizione, nato in sordina come giudizio alternativo alla cognizione piena, è divenuto,
per effetto dell’introduzione del decreto legislativo n. 150/2011 di semplificazione dei
riti55, uno dei principali modelli (accanto al rito del lavoro e a quello ordinario) in cui si
articola il processo civile.
Pertanto, potrà oggi considerarsi titolo esecutivo per l’esecuzione diretta degli
obblighi di fare (tra le altre) l’ordinanza emessa all’esito dell’opposizione ai
provvedimenti amministrativi in materia di diritto all’unità familiare ex art. 20 del d.lgs.
150/2011 o quelle rese in materia di discriminazione di cui all’art. 28 dello stesso
decreto, laddove abbiano ad oggetto la condanna ad un facere fungibile.
A seguito della modifica dell’art. 474, 2° comma, n. 1, inoltre, non pare più dubbia
la possibilità di fondare l'esecuzione sul verbale di conciliazione giudiziale, giacché la
L. 28 dicembre 2005, n. 263, modificando la norma appena citata, espressamente
considera quali titoli esecutivi anche gli «altri atti ai quali la legge attribuisce
espressamente efficacia esecutiva”.
Può dunque essere finalmente abbandonata quell'opinione che escludeva che il
verbale di conciliazione fosse titolo idoneo per l'esecuzione forzata degli obblighi di
fare e non fare56.
53
V. ex multis SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2009, 1007.
ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, 327; secondo DENTI,
L’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1953, 211, l'espressione «sentenza di condanna»
esprimerebbe semplicemente la necessità di un previo accertamento giudiziale dell'esistenza e del
contenuto dell'obbligo da attuare. Anche la giurisprudenza interpreta il termine sentenza in senso ampio,
con riferimento ad ogni provvedimento giudiziale di condanna: così Trib. Roma, 10 settembre 2008, per
la quale il termine sentenza va inteso come qualsiasi provvedimento adottato dal giudice con prevalente
funzione esecutiva, includendo così anche le ordinanze adottate ex art. 700 c.p.c. e quelle rese all'esito di
procedimenti per nuova opera o danno temuto.
55
Su cui v. CONSOLO, Prime osservazioni introduttive sul d.lgs. n. 150/2011 di riordino (e relativa
“semplificazione”) dei riti settoriali, in Corr. giur., 2011, 1485 ss.
56
Per molto tempo sia in dottrina che in giurisprudenza è prevalsa l’idea che il verbale di conciliazione,
pur essendo titolo idoneo ai sensi dell’art. 185 c.p.c. all’esecuzione per le obbligazioni pecuniarie, nonché
all’esecuzione specifica per consegna o rilascio, non legittimasse l’esecuzione degli obblighi di fare e di
non fare, poiché l’art. 612 menzionava quale unico titolo valido per questo tipo di esecuzione la sentenza
di condanna (in tal senso si v. Cass. 13 ottobre 1954, n. 3637, in Giur. it., 1955, I, 1, 345; più di recente,
Cass. 13 gennaio 1997, n. 258, in Foro it., Rep. 1997, voce Esecuzione forzata degli obblighi di fare, n. 1;
Cass. 14 dicembre 1994, n. 10713, id., Rep. 1994, voce cit., n. 2; in dottrina, sostengono tale tesi, DENTI,
L’esecuzione forzata in forma specifica, cit., 211 ss.; LANCELLOTTI, Conciliazione delle parti, in Enc.
dir., VIII, Milano, 1961, 416; BORRE’, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, cit., 233;
MONTESANO, Esecuzione specifica, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 536). Invero, già da tempo, parte
della dottrina aveva manifestato una certa insoddisfazione per la soluzione restrittiva sostenuta
dall’opinione maggioritaria, in virtù dei vantaggi indubbi che la conciliazione poteva apportare sotto il
profilo del guadagno in termini di tempo, di energie e di spese (così già ANDRIOLI, Commento al codice
di procedura civile, III, cit., 327 ss.; più di recente, BRIGUGLIO, Conciliazione giudiziale, in Digesto
civ., III, Torino, 1988, 239 ss.; CASTORO, Il processo esecutivo nel suo aspetto pratico, Milano, 2006,
704; LUISO, Diritto processuale civile, III, cit., 230, il quale in particolare osserva che «è assurdo
pretendere, di fronte ad un accordo delle parti, che il giudice debba emettere ugualmente sentenza – che
54
13
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D’altronde, già da qualche tempo la Corte Costituzionale, dichiarando infondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 612, nella parte in cui non prevedeva tra i
titoli esecutivi idonei a fondare l’esecuzione degli obblighi di fare o non fare il verbale
di conciliazione, osservava che escludere che l’art. 612 c.p.c. fosse idoneo a consentire
l’esecuzione anche se il titolo esecutivo fosse costituito dal verbale di conciliazione
avrebbe comportato la negazione del valore di accelerazione della definizione della
controversia, «che costituisce la principale caratteristica della conciliazione e
comporterebbe un irragionevole seppur parziale sacrificio del diritto di difesa, nonché
una protrazione altrettanto irragionevole dei tempi del processo»57.
Peraltro, anche il legislatore, già prima della modifica dell'art. 474, 2° co., n. 1,
aveva sancito espressamente l'idoneità del verbale di conciliazione ad essere titolo
esecutivo anche per l'esecuzione in forma specifica: gli artt 16, 2° comma, per il verbale
di conciliazione giudiziale, e 40, per quello stragiudiziale, del d.lgs. 17 gennaio 2003, n.
5, nel contesto dell’ormai abrogata disciplina del processo per le controversie societarie,
finanziarie e bancarie, espressamente qualificavano il verbale come titolo per
l'esecuzione degli obblighi di consegna o rilascio e di fare o non fare58.
Discorso più complesso va condotto con riferimento alla conciliazione raggiunta
all’esito di un procedimento di mediazione: stabilisce l’art. 11, 1° comma, del d.lgs. 4
marzo 2010, n. 28 che “se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma
processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo”; laddove le parti
non riescano a raggiungere un “accordo amichevole”, il mediatore può formulare una
proposta su richiesta congiunta delle parti, vincolativamente, ovvero di sua iniziativa,
discrezionalmente, in assenza di richiesta congiunta. Se è raggiunto l’accordo
amichevole o se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, stabilisce l’art. 11,
3° del decreto citato che “si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle
parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la
loro impossibilità di sottoscrivere”59.
Ai sensi del successivo art. 12 “il verbale di accordo, il cui contenuto non è
contrario all'ordine pubblico o a norme imperative, è omologato, su istanza di parte e
previo accertamento anche della regolarità formale, con decreto del presidente del
tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo”. Tale verbale, all’esito dell’omologa,
quindi “costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in
forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale”.
Sennonché, proprio stando all’art. 11 d.lgs. cit., il verbale di accordo costituisce
titolo esecutivo prima ed a prescindere dall’omologazione. Ciò in considerazione della
costituirebbe la trascrizione fedele dell’accordo delle parti – solo perché il verbale di conciliazione non
avrebbe efficacia esecutiva»).
57
C. Cost. 12 luglio 2002, n. 366, in Foro it., 2004, I, 41 ss. e in Riv. es. forz., 2003, 137 ss. con note di
Norelli e Amadei. Dopo il citato intervento della Corte costituzionale e la modifica dell’art. 474 c.p.c.,
anche in giurisprudenza si è finalmente fatta strada l’idea che il verbale di conciliazione possa fondare
un'esecuzione ex art. 612 (Trib. Brescia, 10 giugno 2003, in Mass. Trib. Brescia, 2004, 91; in senso
analogo, Trib. Trani, 2 ottobre 2007, in Corriere del Merito, 2008, 1, 26 ss., la quale ha precisato che il
verbale di conciliazione ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell’art. 612 c.p.c. esclusivamente nei
confronti di chi lo ha sottoscritto, in quanto con il verbale sorge un'obbligazione a titolo personale che
non è trasmissibile agli eredi del sottoscrittore).
58
A cio’ si aggiunga che ai sensi del secondo comma dell’art. 12 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, il verbale
di accordo raggiunto all’esito del procedimento di mediazione ha, se omologato dal presidente del
tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo di mediazione, efficacia di titolo esecutivo anche per
l’esecuzione in forma specifica.
59
Si distingue dunque tra accordo (atto delle parti, che esse devono sottoscrivere ed al quale il mediatore
non partecipa) e relativa verbalizzazione (atto proprio del mediatore – che spetta a lui redigere – ed
espressione dell’epilogo della mediazione). Essi sono atti complementari, giacché al verbale va allegato
l’accordo.
14
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circostanza che la sottoscrizione del verbale viene autenticata dal mediatore, il quale
certifica l’autografia della loro sottoscrizione. Si è dunque in presenza di una scrittura
privata autenticata, costituente titolo esecutivo ancora prima della omologazione ai sensi
dell’art. 474, 2° comma, n. 2 c.p.c. In quanto scrittura privata autenticata, però, il
verbale di accordo può costituire titolo solo per l’espropriazione forzata, mentre, ai
sensi dell’art. 12 cit., esso è titolo per qualsiasi forma esecutiva e, pertanto, laddove
abbia ad oggetto obblighi di fare fungibili, anche per l’esecuzione di cui all’art. 61260.
E’ invece ancora dubbio se gli atti ricevuti da notaio o altro pubblico
ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli permettano l’instaurazione dell’esecuzione
diretta di cui agli artt. 612 e seguenti. Con la riforma dell’art. 474 c.p.c., per questi atti è
venuto meno il limite tradizionale alle obbligazioni di pagamento di somme di denaro in
essi contenute; ciò ha determinato il sorgere del dubbio se i titoli notarili fossero idonei
anche per l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare. La lettera della legge pare
escludere un’interpretazione estensiva, giacché l’art. 474, 3° comma, come modificato
dalle leggi nn. 80 e 263 del 2005, attribuisce al possessore dell’atto pubblico la facoltà
di procedere unicamente all'esecuzione forzata per consegna o rilascio, senza fare
menzione dell’esecuzione degli obblighi di fare e non fare.
La scelta compiuta del legislatore pare invero criticabile, essendo del tutto
irragionevole 61 ; difatti, se la legge ha attribuito efficacia esecutiva ad un atto
stragiudiziale quale il titolo notarile, lo ha fatto all’evidente scopo di accelerare i tempi
necessari per la realizzazione delle ragioni creditorie; dunque, al pari di quanto già
accaduto per il verbale di conciliazione, gli atti pubblici dovrebbero annoverarsi tra i
titoli idonei a dar luogo all’esecuzione degli obblighi di fare; pare infatti formalistica e
contraria al principio di economia processuale la soluzione di costringere il creditore ad
instaurare un processo di cognizione al solo scopo di ottenere un titolo esecutivo
identico a quello di origine notarile62.
Il dubbio circa la possibilità di avvalersi del procedimento di cui agli artt. 612 e
60
E’ stato notato che il decreto n. 28/2010 si pone non solo in linea con i recenti interventi normativi, ma
soprattutto evita il sorgere di “ogni questione intorno alla qualificazione del verbale di conciliazione
stragiudiziale (omologato) in termini di titolo esecutivo “giudiziale” ai sensi dell’art. 474 comma 2 n. 1
c.p.c. ovvero stragiudiziale (quale scrittura privata autenticata) ai sensi del n. 2 art. 474 c.p.c. Pure
essendo indubbio che l’omologa del tribunale non trasforma un titolo stragiudiziale (il verbale di
conciliazione) in provvedimento (e quindi titolo) giudiziale in senso stretto (il controllo del giudice in
sede di exequatur non contiene nessun “accertamento” e non basta perciò per equiparare il titolo
stragiudiziale al titolo giudiziale), ove fosse mancata una previsione quale quella dell’art. 12 comma 2
d.lgs. cit., si sarebbe potuto porre il dubbio se ricondurre il verbale di accordo entro la categoria dei titoli
giudiziali in qualità di “atto” a cui la legge attribuisce efficacia esecutiva ex art. 474 n. 1 c.p.c. idoneo
perciò a costituire titolo per qualsiasi forma di esecuzione forzata.
Probabilmente alla stessa conclusione cui perviene l’art. 12 cit. si sarebbe giunti poi invocando – oltre che
l’art. 474 comma 2 n. 1 c.p.c. - l’esperienza del processo del lavoro, in cui da tempo si ritiene (anche
prima dell’ultima riforma) in via interpretativa che il verbale di conciliazione stragiudiziale omologato è
titolo per qualsiasi forma esecutiva (seppure non si esita a sottolinearne i limiti quanto alla sua capacità di
vincere l’inerzia del datore di lavoro assoggettato ad un obbligo di fare)77. Il testo dell’art. 12 comma 2
d.lgs. cit. elimina ogni dubbio (e va perciò apprezzato) adottando la soluzione più estensiva, a tutto
vantaggio della mediazione”: così TISCINI, L’esito positivo della mediazione civile e commerciale del
d.lgs. n. 28/2010: il verbale di accordo, tra requisiti formali e pregi/difetti sostanziali, in
www.judicium.it., § 7.
61
V., anche per riferimenti DALFINO, Il titolo esecutivo e il precetto, in L’espropriazione forzata
riformata, a cura di G. Miccolis e C. Perago, Torino, 2009, 34.
62
Ritengono invece impossibile procedere ad una interpretazione correttiva del dato normativo BALENA
- BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 130; analogamente SOLDI, Manuale, cit.,
1008; contra RONCO, Commento all’art. 474, in AA. VV., Le recenti riforme del processo civile, I,
diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2007, 581 ss.; DEMARCHI, Il titolo esecutivo, in Il nuovo rito civile,
III, L’esecuzione, Milano, 2005, 12-3; DE STEFANO, Scrittura privata come titolo esecutivo, in Le guide
del professionista, Il Sole 24 ore, 2006, 22.
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seguenti per procedere all'attuazione delle misure cautelari e dei provvedimenti
possessori, invece, è stato ormai risolto in senso negativo: si afferma in giurisprudenza
che poiché a norma dell’art. 669 duodecies c.p.c. l'esecuzione del provvedimento in
materia possessoria dà luogo ad un ulteriore fase del relativo procedimento, di
competenza dello stesso giudice che ha emesso il provvedimento, e non già al
procedimento di esecuzione forzata, è erroneo - e come tale inammissibile - il ricorso,
da parte di chi abbia subito la molestia possessoria, all’art. 612 c.p.c. onde ottenere
l'attuazione dell'ordine impartito dal giudice; inoltre, più in generale, dall'art. 669
duodecies c.p.c. si evince che l'attuazione dei provvedimenti cautelari aventi ad oggetto
obblighi di fare o dare va concepita come una fase dell'unitario procedimento cautelare,
del tutto autonoma dal processo esecutivo di cui Libro III del c.p.c., il quale è
manifestazione di tutela ordinaria e non può essere assimilato alla tutela cautelare63.
La giurisprudenza, in verità, si era espressa in questo senso già con riferimento al
provvedimento d’urgenza ex art. 700, osservando come detti provvedimenti non
costituissero titolo esecutivo, con la conseguenza che la loro esecuzione coattiva non
poteva attuarsi con la procedura prevista dagli artt. 612 e ss., anche in considerazione
della circostanza che nei procedimenti cautelari la fase della cognizione forma un
tutt'uno con quella della esecuzione, per cui è lo stesso giudice che ha emesso il
provvedimento a stabilirne le modalità di attuazione o contestualmente all'emissione del
provvedimento o in un momento successivo64.
Ovviamente nulla vieta al giudice in questa attività di mutuare le forme dagli artt.
612 c.p.c. ss.; ciò peraltro non comporta applicazione diretta delle norme citate, delle
quali si ammette solo l'estensione in via analogica a un diverso procedimento, che non
costituisce una forma di esecuzione forzata (in modo specifico) regolata dal libro terzo
del codice di rito, ma che trova fondamento nello stesso provvedimento cautelare,
dotato di un'intima esecutorietà realizzabile officio iudicis, con una esecuzione
meramente processuale65.
Gli esposti principi, in quanto ritenuti di portata generale, sono di sicuro applicabili
all’intera materia di attuazione di provvedimenti cautelari di altro genere66.
3. Le parti del processo di esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare.
In virtù dei principi generali, il titolo esecutivo e il precetto devono essere notificati
a colui che risulti obbligato in base alle risultanze del titolo stesso, ovvero al suo
successore universale o particolare. Del pari, l’esecuzione in forma specifica degli
obblighi di fare e non fare può essere azionata non solo da chi risulti creditore nel titolo,
ma anche dal suo successore.
In effetti, non è dubbio che il processo possa essere instaurato dal successore o nei
suoi confronti.
In particolare, in tema di successione nel titolo soccorrono
esplicitamente gli artt. 475 e 477 del codice di rito, i quali per opinione ormai pacifica
63
Di recente, Cass. 16 giugno 2008, n. 16220; Cass. 12 marzo 2008, n. 6621; Cass. 12 gennaio 2006, n.
407; Trib. San Benedetto del Tronto, 28 aprile 2010, in Dir. Lav. Marche, 2010, 3-4, 367.
64
Cass. 20 maggio 1977, n. 216.
65
Cass. 20 dicembre 1991, n. 13277; analogamente, con riferimento all’esecuzione di provvedimenti
d'urgenza in materia possessoria, v. Cass. 15 gennaio 2003, n. 481, nonché Cass. 12 gennaio 2006, n. 407
e Cass. 12 marzo 2008, n. 6621; Cass. 16 giugno 2008, n. 16220, per le quali l’esecuzione dei
provvedimenti interinali di reintegrazione deve avvenire omettendo l'osservanza delle formalità
dell'ordinario processo di esecuzione e, quindi, senza preventiva notificazione del precetto, bastando, nei
confronti dell'intimato, che il provvedimento sia notificato in forma esecutiva, con la conseguenza che le
spese del precetto, ove intimato, non sono ripetibili.
66
Così, esplicitamente, Trib. Novara, 16 gennaio 2006, in www.novaraius.it, 2007, per la quale un
ulteriore dato che non permette di equiparare l'esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare alla
attuazione dei provvedimenti cautelari è rappresentato dalla diversità del giudice che vi presiede, atteso
che la prima è diretta dai giudice dell'esecuzione e la seconda dal giudice che ha pronunciato il
provvedimento cautelare, a nulla rilevando l'eventuale identità personale dei due magistrati.
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ammettono la azionabilità del titolo da e contro il successore a titolo universale e
particolare67.
Dunque, grazie alla previsione contenuta nell’art. art. 475 c.p.c. il successore può
ottenere la spedizione in forma esecutiva del titolo; se, pertanto, costui può ritenersi
legittimato ad iniziare un'esecuzione, a maggior ragione dovrà essergli riconosciuto il
diritto di proseguire un'esecuzione già instaurata, attività che potrà realizzare
procedendo al compimento dei necessari atti esecutivi, successivamente alla morte del
suo dante causa.
Correlativamente, nel caso in cui il debitore abbia trasferito a terzi la proprietà del
bene oggetto dell’esecuzione, titolo esecutivo e precetto potranno essere notificati
all’avente causa del debitore.
Sennonché, poiché l’esecuzione degli obblighi di fare e disfare (analogamente a
quella per consegna o rilascio) provoca un'incisione del possesso o della detenzione del
bene dell'obbligato68 (più precisamente, più che la soppressione del possesso in capo
all’obbligato, la sua compressione, al fine di consentire il compimento delle operazioni
materiali da parte degli ausiliari del giudice), deve ritenersi che l'unico soggetto che può
spontaneamente adempiere è il possessore (o detentore) del bene sul quale gli ausiliari
del giudice devono operare (anche laddove costui non risulti titolare dell’obbligo)69.
Da tali premesse discende che soggetto passivo di questa esecuzione deve ritenersi
chi sia in concreto destinatario della pretesa esecutiva, a prescindere dalla circostanza
67
In particolare, se ciò è espressamente indicato dall'art. 475 c.p.c. per il caso di successione dal lato
attivo, qualora essa avvenga dal lato passivo, il tenore letterale dell'art. 477 c.p.c. — per il quale il titolo
esecutivo è efficace solo nei confronti degli «eredi» del debitore — è interpretato estensivamente e,
pertanto, detto titolo sarà efficace anche nei confronti del successore a titolo particolare. In particolare, la
dottrina che più si è occupata della questione (LORENZETTO PESERICO, La successione nel processo
esecutivo, Padova 1983, 342 ss.174 ss.) afferma che la successione a titolo particolare nell’obbligo, anche
se avvenuta successivamente alla conclusione del processo di cognizione, determini l’opponibilità del
titolo al «terzo» (rispetto alle parti individuate nel titolo in senso documentale). Diversamente opinando,
ben poche esecuzioni in forma specifica potrebbero raggiungere gli esiti sperati, potendo il debitore
sostituire a sé – dopo la cristallizzazione del titolo – un altro soggetto al solo fine di eludere il proprio
obbligo (LUISO, L’esecuzione ultra partes, Milano, 1984, 4; Cass., 14 giugno 2001, n. 8056). Oltre a
questa considerazione di ordine pratico, si pongono solidi argomenti interpretativi e sistematici. In primo
luogo, l’art. 477, 2° comma, c.p.c. nulla prevede in merito alla successione a titolo particolare mortis
causa dal lato passivo, ma, fissando un principio generale in tema di processo esecutivo, chiarisce come
interpretazioni restrittive non siano ammissibili. Inoltre, con riferimento al processo di cognizione, gli
artt. 110 e 111 cod. proc. civ. e l’art. 2909 cod. civ. stabiliscono per le ipotesi di successione a titolo
universale ed a titolo particolare differenti regimi, i quali, in ogni caso, mai distinguono ulteriormente tra
le ipotesi di successione tra vivi e quelle a causa di morte (MANDRIOLI, In tema di rapporti tra
estensione soggettiva del giudicato ed estensione soggettiva del titolo esecutivo, in RDP, 1985, 472 ss.).
Si può, quindi, ragionevolmente concludere che risulta principio dell’ordinamento quello in base al quale
gli effetti del rapporto (come accertato in via cognitiva), che investono i successori nel rapporto
medesimo, comprendono necessariamente anche gli effetti esecutivi riconnessi a tale accertamento, al di
là del momento in cui la successione sia avvenuta (LUISO, L’esecuzione, cit., 206, il quale parla, però, di
rapporto di dipendenza, e non di successione).
In definitiva, anche laddove la successione a titolo particolare avvenga dopo la conclusione della fase
cognitiva, il suo verificarsi renderà il successore a titolo particolare successore non solo nei diritti in cui è
subentrato, ma anche negli obblighi che ad essi (ed al rapporto accertato) sono riconnessi (diffusamente,
LORENZETTO PESERICO, La successione, cit., 182 ss., 365; LUISO, L’esecuzione, cit., 291, 295; in
giurisprudenza v. Cass., 1 luglio 2005, n. 14096, ed in particolare Cass., 17 gennaio 2003, n. 601).
68
LUISO, L'esecuzione ultra partes, cit., 27 ss.; BORRE’, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e non
fare, cit., 101 ss.
69
Dunque, il soggetto passivo dell'esecuzione degli obblighi di fare e non fare deve essere individuato
sulla base degli effetti concreti che produrrà l'esecuzione: titolo esecutivo e precetto devono essere
notificati a chi esercita sul bene il potere di fatto, nonché al proprietario, se questi è soggetto diverso dal
procedente o dall'esecutato. Infatti, la costruzione o la demolizione dell'opera incide, oltre che nella sfera
giuridica del detentore corpore, anche nella sfera giuridica del proprietario.
17
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che una tale qualifica risulti dal titolo esecutivo o dal precetto 70 ; nonostante tale
estraneità formale, questo terzo deve considerarsi l'effettivo soggetto passivo
dell'esecuzione, giacché solo lui, trovandosi nel possesso o nella detenzione del bene, è
in grado di permettere l’attuazione coattiva dell’obbligo e soddisfare la pretesa
esecutiva dell'avente diritto71.
Il soggetto istante, dunque, se vuole che l’azione esecutiva possa avere
concretamente inizio, deve indirizzare gli atti esecutivi nei confronti di chi si trovi nel
possesso o nella detenzione del bene, nonostante non sia menzionato quale soggetto
passivo né nel titolo esecutivo, né nel precetto.
In altre parole, parte passiva deve ritenersi colui che, sebbene non sia destinatario
della notificazione degli atti preesecutivi (quali il titolo esecutivo e il precetto), subisce
il compimento di quelli esecutivi72.
Nelle esecuzioni dirette (al pari di quanto accade nell’espropriazione), ciò che
importa ai fini dell’acquisto della qualità di soggetto passivo dell’esecuzione (e a
contrario di terzo estraneo ad essa) è l’essere stati o meno destinatari della pretesa
esecutiva.
Peraltro, l’idea secondo cui ciò che consente di individuare la parte passiva
dell’esecuzione è la direzione impressa dal soggetto attivo al processo, mediante la
proposizione della domanda esecutiva, trova conferma nel dettato normativo del
novellato art. 608 c.p.c., a mente del quale “l’esecuzione inizia con la notifica
dell’avviso con il quale l’ufficiale giudiziario comunica almeno dieci giorni prima alla
parte, che è tenuta a rilasciare l’immobile, il giorno e l’ora in cui procederà”: non
sembra sia dubitabile che solo in tale attività sia ravvisabile la pretesa esecutiva.
70
Il caso in cui l'istante notifica il titolo esecutivo e il precetto nei confronti di colui che dal titolo risulta
debitore della consegna o del rilascio, ma agisce poi esecutivamente nei confronti di colui che è nella
detenzione corpore del bene oggetto dell'esecuzione viene definito «modulo senza contraddittorio»
(LUISO, L'esecuzione ultra partes, cit., 74 ss., 184 ss., 305 ss., spec. 367). Esso si differenzia dal caso in
cui il creditore dell'esecuzione forzata in forma specifica preannuncia la sua azione nei confronti del terzo
notificando a questi titolo esecutivo e precetto - c.d. «modulo con contraddittorio».
71
La correttezza di quest’orientamento sembra essere confermata anche da quelle decisioni della
giurisprudenza di legittimità secondo cui la successione di un terzo avente causa nel diritto sul bene
oggetto dell'esecuzione non vale a trasmettere sul terzo l'obbligo dell'attuazione del comando contenuto
nel titolo esecutivo pronunciato nei confronti del dante causa, qualora il trasferimento del diritto non sia
stato seguito dal trasferimento del possesso sulla cosa; il comando (contenuto nel titolo esecutivo) si
impone al terzo acquirente del bene solo se egli si trova nel possesso o nella detenzione della cosa oggetto
dell'esecuzione, essendo costui l'unico soggetto attraverso il quale l'adeguamento imposto dalla sentenza
può essere concretamente attuato: così Cass. 17 gennaio 2003, n. 601, in Riv. esec. forz., 2004, 205 ss.
Nello stesso senso, tra le tante, Cass. 14 giugno 2001, n. 8056, in Giust. civ., 2002, I, 95 ss. e in Foro it.,
2002, I, 1486 ss., con nota di Caponi, secondo cui, diversamente opinando, si verificherebbe
l'inconveniente ben più grave di lasciare l'avente diritto privo della tutela, «in conseguenza di maliziose
manovre di colui nei cui confronti è intervenuta la sentenza di condanna». Vedi però Cass. 8 gennaio
2003, n. 73, in Riv. esec. forz., 2004, 205, a mente della quale, nel processo di esecuzione forzata ex art.
612 per l'attuazione di un'ordinanza di reintegrazione del possesso, la legittimazione passiva
all'esecuzione sussiste in capo all'autore dello spoglio anche se egli abbia perduto il possesso del bene
oggetto dell'esecuzione per averlo alienato a terzi, non potendo il creditore agire nei confronti degli aventi
causa, essendo questi ultimi estranei al giudizio in cui si è formato il titolo esecutivo. Invero, tale
affermazione lascia perplessi, poiché, così ragionando si finisce per condannare il processo esecutivo ad
una prosecuzione inutile perché l'originario esecutato contro il quale di dovrebbe procedere non sarebbe
più in possesso dei beni al momento della conclusione dell'esecuzione e quindi il processo esecutivo non
potrebbe realizzare il suo scopo.
72
LUISO, L’esecuzione, cit., 74 ss., 379; MANDRIOLI, In tema di esecuzione per consegna o rilascio
contro il terzo possessore o detentore, in Riv. dir. civ., 1985, I, 579 ss., in part. 590, 596. Sul punto, per
più ampie considerazioni, sia consentito rinviare a METAFORA, L’opposizione del terzo possessore
avverso l’esecuzione in forma specifica e i suoi rapporti con l’opposizione di terzo ordinaria, in Giur. it.,
2006, V, 1004 ss., in part. 1007.
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Dalle svolte considerazioni ne esce confermato che, ai fini dell’individuazione del
soggetto passivo dell’esecuzione, ciò che importa è che costui sia stato destinatario
degli atti esecutivi (o anche di quelli preesecutivi, quali la notificazione del precetto),
costituendo il possesso o la detenzione del bene mero elemento che condiziona la scelta
del creditore nell’imprimere all’azione esecutiva una specifica direzione73.
Nel processo di esecuzione forzata degli obblighi di fare, allora, la qualità di parte
esecutata si assume con la notifica del ricorso che il procedente formula ai sensi dell’art.
612 c.p.c.
Il fatto che l’azione esecutiva possa essere indirizzata nei confronti di chi, al
momento della proposizione del ricorso, riveste la qualità di possessore del bene non
esclude tuttavia che costui possa reagire all’attività intrapresa dalla parte istante,
contestandone la legittimità; in particolare, potrà proporre opposizione di terzo ordinaria
qualora ritenga di essere titolare di un diritto autonomo ed incompatibile con quello
risultante dal titolo esecutivo, mentre potrà agire con l’opposizione all’esecuzione, ove
intenda far valere un diritto prevalente ma compatibile rispetto al diritto accertato nel
titolo esecutivo, in tal modo contestando non l’accertamento in esso contenuto, ma solo
il procedimento di attuazione forzata74.
4. La fase preliminare. Il precetto e l’inizio dell’esecuzione.
A differenza dell’art. 605 c.p.c., l'art. 612 non specifica il contenuto del
precetto per obblighi di fare 75 , né prevede la necessità di inserirvi una
descrizione dell'obbligo di fare o non fare rimasto inadempiuto; ciò nonostante, la
73
In passato prevaleva in giurisprudenza la tesi della c.d. efficacia erga omnes o ultra partes del titolo
esecutivo nelle esecuzioni in forma specifica (si v. ex multis, Cass. 24 marzo 1943, n. 681, in Foro it.,
1943, I, 747; Cass. 13 giugno 1951, n. 1511, in Giur. compl. cass. civ., 1951, II, 585; Cass. 15 aprile
1953, n. 976, in Foro it., 1953, I, 1279; Cass. 14 gennaio 1967, n. 151; Cass. 15 luglio 1959, n. 2303, in
Giur. it., 1962, I, 1, 330; Cass. 15 novembre 1974, n. 3649; Cass. 16 febbraio 1976, n. 508, in Foro it.,
1976, I, 2194; Cass. 5 aprile 1977, n. 1299, in Giust. civ., 1977, I, 1169; Cass. 17 novembre 1981, n.
6104, in Foro it., Rep. 1981, voce Esecuzione forzata in genere, n. 51; Cass. 6 maggio 1986, n. 3024, in
Foro it., 1987, I, 876; Trib. Roma 6 giugno 1987, n. 13854, in Temi Rom., 1987, 127 ss.; Pret. Napoli 30
novembre 1987, in Arch. loc., 1988, 172. In dottrina per la tesi dell'efficacia erga omnes dell'ordine di
rilascio si esprimevano MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Milano,
1923, 596; CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1960, 409; SATTA,
Commentario al codice di procedura, III, cit., 344). Per codesto orientamento, l'ordine contenuto in una
sentenza di condanna o in un'ordinanza di convalida dello sfratto doveva ritenersi operativo nei confronti
di chiunque, essendo efficace non solo verso chi risultava obbligato nel titolo esecutivo, ma anche di
chiunque si trovasse a detenere i beni nel momento in cui la sentenza veniva portata ad esecuzione; ciò
indipendentemente dalla posizione concretamente rivestita da detti terzi, fossero stati meri detentori sine
titulo o a titolo precario o, invece, titolari di un autonomo diritto al godimento del bene nei confronti
dell'esecutante.
74
Sul punto, sia consentito rinviare per un’ampia trattazione del problema a METAFORA, L’opposizione
di terzo all’esecuzione, Napoli, 2010, 214 ss.
75
Più precisamente, la disciplina dell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare “non stabilisce
espressamente che debbano esser preventivamente notificati titolo esecutivo e precetto” (così
testualmente BRUSCHETTA, Studi per una teoria dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non
fare, 2012, 128). Sennonché, si può rimediare a tale lacuna normativa ricorrendo all’art. 479 c.p.c. che
impone per qualunque tipo di procedimento esecutivo (sia in forma generica per espropriazione che
specifica) l’onere per il creditore di preannunciare il suo intento di agire notificando titolo esecutivo e
precetto (così BRUSCHETTA, op. cit., 128, il quale richiama i precedenti dottrinali di REDENTI,
Diritto processuale civile, III, Milano, 1957, 304, nonché, più di recente, di LUISO, Diritto processuale
civile, cit., 230).
19
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dottrina ritiene che una tale descrizione, pur se sommaria ed eventualmente per
relationem, debba, per ragioni sistematiche, esservi76.
Al pari di quanto accade nell'esecuzione per consegna e rilascio, inoltre, anche con
il precetto con cui si intima l’adempimento dell’obbligo risultante dal titolo esecutivo è
possibile chiedere il pagamento delle spese sostenute per la redazione dell’atto, che
possono essere autoliquidate a cura della parte creditrice77.
Una volta notificato il titolo esecutivo ed il precetto, la parte ha l’onere di
instaurare il procedimento esecutivo depositando il ricorso sottoscritto da un difensore
munito di procura presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione 78 con il quale è
tenuto a specificare la prestazione indicata nel titolo e richiedere di conseguenza la
determinazione delle modalità con cui procedere alla sua attuazione.
Non è ormai dubbio che con siffatta attività il creditore dia avvio al processo
esecutivo79.
L’individuazione del momento in cui ha inizio l’esecuzione ha rilievo sotto
molteplici aspetti: in primo luogo, perché il precetto non perda efficacia a norma
dell’art. 481 c.p.c. costringendo il creditore alla sua rinnovazione, occorre che il
deposito del ricorso ex art. 612 avvenga entro e non oltre novanta giorni dalla sua
notificazione. In secondo luogo, solo a decorrere dal deposito del ricorso è possibile
proporre le opposizioni esecutive di cui agli artt. 615, 2° comma, 617, 2° comma e 619
c.p.c.80; ancora, nell’ambito delle controversie di lavoro, segna il momento a partire dal
quale il giudice d’appello può disporre la sospensione dell’esecuzione; infine, la
presentazione del ricorso permette il prodursi della interruzione permanente del termine
prescrizionale del diritto fatto valere dal creditore81.
5. Lo svolgimento del procedimento. La determinazione delle modalità esecutive.
Nonostante il silenzio del legislatore, costituisce principio pacifico che siano
applicabili gli artt. 484, 485 e 488 del codice di rito relativi all’espropriazione forzata82:
pertanto, ricevuto il ricorso, il cancelliere ha l’onere di formare il fascicolo d’ufficio nel
quale devono essere inseriti tutti gli atti processuali, nonché il titolo esecutivo e il
precetto debitamente notificati83. Una volta compiuta tale formalità, il Presidente del
tribunale o della sezione procederà alla nomina del giudice assegnatario dell’affare sulla
base delle vigenti tabelle.
Il giudice dell’esecuzione, esaminato il ricorso, provvede all’instaurazione del
76
CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, III, Roma, 1956, 95, nt. 806; DENTI,
L’esecuzione, cit., 230; MANDRIOLI, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, cit., 560.
77
Così, Cass. 20 gennaio 1994, n. 457; con riferimento al precetto ex art. 605, Cass. S.U., 24 febbraio
1996, n. 1471, in Foro it., 1996, I, 1689.
78
A norma dell’art. 26 c.p.c. il giudice competente per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non
fare è il magistrato designato dal Presidente del tribunale del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto.
79
Vedi per tutti, CRIVELLI, L’esecuzione in forma specifica, cit., 1384.
80
Va ricordato che la sospensione dei termini processuali in periodo feriale indicata dall'art. 1 della legge
7 ottobre 1969, n. 742 non si applica ai procedimenti di opposizione all'esecuzione, come stabilito
dall'art. 92 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, a quelli di opposizione agli atti esecutivi ed a quelli di
opposizione di terzo all'esecuzione). Sul punto, tra le molte, si v. Cass. 22 giugno 2007, n. 14591, in Riv.
cancellerie, 2007, 5, 571, con precipuo riferimento all'appello avverso un provvedimento di carattere
decisorio, avente valore di sentenza, reso nel procedimento esecutivo di obblighi di fare e di non fare,
avendo detto appello valore di opposizione all'esecuzione ex art. 615 per contestare il diritto della
controparte ad agire "in executivis" nelle forme di cui agli artt 612 ss. (sul punto, amplius, § 6).
81
CASTORO, Il processo di esecuzione, cit., 758.
82
CASTORO, Il processo di esecuzione, cit., 758-759, per il quale siffatte norme si applicano
all’esecuzione degli obblighi di fare in virtù di interpretazione estensiva o quanto meno per analogia.
83
Cass. 11 luglio 1975, n. 2773, in Foro it., 1976, I, 325 ha affermato che non occorre che il titolo
esecutivo sia depositato all’atto della proposizione del ricorso, bastando che esso venga inserito nel
fascicolo dell’esecuzione prima che il giudice provveda con ordinanza a determinare le modalità
esecutive.
20
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contraddittorio con la parte obbligata e tal fine fissa con decreto l’udienza di
comparizione delle parti, concedendo termine all’istante per provvedere alla
notificazione84.
Se nessuna delle parti compare, si farà applicazione dell’art. 631; se invece esse
compaiono, si procederà a dettare le modalità dell’esecuzione, sentita la parte obbligata.
Come è noto, il processo di esecuzione non è improntato all’osservanza piena del
principio del contraddittorio85, tanto che la giurisprudenza, basandosi su tale assunto, ha
affermato che la mancata audizione del debitore non costituisce di per sé causa di nullità
84
Il giudice, tuttavia, nel fissare l'udienza per l'audizione della parte obbligata non deve applicare la
disciplina ordinaria relativa al termine minimo a comparire ex art. 163 bis c.p.c.: Cass. 23 marzo 2006, n.
6470, in REF, 2006, 425.
85
V. ex multis, Cass. 26 gennaio 2005, n. 1618; Cass. 19 agosto 2003, n. 12122, in Foro it., Rep. 2003,
voce Esecuzione forzata in genere, n. 26; Cass. 28 giugno 2002, n. 9488, in Mass. Foro it., 2002, 685;
Cass. 30 luglio 1997, n. 7109, in Foro it., Rep. 1997, voce Esecuzione forzata in genere, n. 22; Cass. 25
febbraio 1994, n. 1929, in Foro it., Rep. 1994, voce cit., 44; Cass. 24 luglio 1993, n. 8293, in Giur. it.,
1994, I, 1, 1042, con nota di GILI; Cass. 23 giugno 1989, n. 2985; Cass. 13 febbraio 1988, n. 1550; Trib.
Cassino, 16 maggio 2002 in Gius, 2003, 4, 493. Condivide la posizione seguita dalla giurisprudenza gran
parte della dottrina più risalente (così LIEBMAN, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione,
Roma, 1936, 173 ss.; FURNO, Disegno, cit., 17 ss., 82-83; ID., La sospensione del processo esecutivo,
Milano, 1956, 10-11; DENTI, L’esecuzione, cit., 13; MARTINETTO, Contraddittorio (principio del), in
Noviss. dig. it., Torino, 1959, 460; ALLORIO-COLESANTI, Esecuzione forzata (dir. proc. civ.), in
Noviss. dig. it., Torino, 1960, 734 ss.; COLESANTI, Il terzo debitore nel pignoramento di crediti, II,
Milano, 1967, 234 ss.) V. inoltre SATTA, L'esecuzione forzata, Torino, 1963, 229-30, il quale, sulla
premessa della profonda disuguaglianza dei soggetti del processo esecutivo, afferma che, pur essendo
anche l'esecuzione esercizio dell'attività giurisdizionale, «il debitore non sta di fronte al suo creditore
come il soggetto di un conflitto giuridico, ma come il portatore di un interesse economico», in quanto la
formazione del titolo esecutivo consuma il potere di eccezione del debitore. Più di recente si sono espressi
a favore della tesi che nega la vigenza del principio del contraddittorio nel processo esecutivo,
MASSARELLI, Ragionevole durata dell’espropriazione immobiliare e realtà territoriale, in Riv. esec.
forz., 2003, 100 ss., nonché, con ampie e articolate argomentazioni, RASCIO, Note problematiche sulla
violazione dell’art. 485 c.p.c. e sulle sue conseguenze, in AA. VV., Scritti sul processo esecutivo e
fallimentare in ricordo di Raimondo Annecchino, Napoli, 2005, 558 ss. Questa ricostruzione, tuttavia, è
da tempo oggetto di serrate critiche da parte della dottrina più moderna, la quale, partendo dall'esigenza
imprescindibile di un conflitto di parti in qualsiasi tipo di processo e quindi anche nel processo esecutivo,
afferma che anche tale processo «tende a comporre una lite attraverso la soddisfazione della pretesa»
(MANDRIOLI, L’azione esecutiva, cit., 452) e ha, quindi, natura contenziosa.
In particolare, si sostiene che l'eguaglianza delle parti e quindi la garanzia del contraddittorio devono
ritenersi assicurate anche all’interno dell’esecuzione forzata, essendo tale processo stato costruito in
modo che, ogni qualvolta il giudice dell'esecuzione debba assumere un provvedimento, il debitore non
solo ne sia messo a conoscenza, ma sia anche posto in grado di compiere preventivamente le attività
assertive e probatorie idonee a influire sul contenuto del provvedimento giudiziale. A tal fine, si osserva,
riveste notevole importanza il disposto dell’art. 485 c.p.c. il quale, imponendo al giudice dell’esecuzione
di «sentire le parti» prima di provvedere, conferma che il processo esecutivo italiano è ispirato al rispetto
del principio del contraddittorio (affermano la piena cittadinanza del principio del contraddittorio nel
processo esecutivo LA CHINA, L’esecuzione forzata e le disposizioni generali del codice di procedura
civile, Milano, 1970, 367 ss.; PROTO PISANI, Dell’esercizio dell’azione, in Commentario del codice di
procedura civile, a cura di Allorio, I, 2, Torino, 1973, 1093-1094; TARZIA, Il contraddittorio nel
processo esecutivo, in Riv. dir. proc., 1978, 203 ss.; LUISO, L’esecuzione ultra partes, cit., 5 e 185 ss.;
ID., Diritto processuale civile, III, cit., 61 ss.; MERLIN, Principio del contraddittorio e terzo
proprietario del bene in due recenti pronunce, in Giur. it., 1986, IV, 327 ss.; ORIANI, L’opposizione agli
atti esecutivi, Napoli, 1987, 256 ss.; VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino,
1993, 87 ss.; GILI, Principio del contraddittorio ed esecuzione forzata, in Giur. it., 1994, I, 1, 1044 ss.;
MURRA, Parti e difensori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XIII, Torino, 1995, 270; BIFFI, Successione nel
processo esecutivo e principio del contraddittorio, in Riv. dir. proc., 1998, 600 ss.; CALIFANO,
L’interruzione del processo civile, Napoli, 2004, 408 ss.), nonché, con riferimento alla esecuzione forzata
in forma specifica degli obblighi di fare, l’art. 612 c.p.c. che impone al giudice di sentire la parte
obbligata prima di pronunciare ordinanza determinativa delle modalità esecutive.
21
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del procedimento, a meno che l’interessato non deduca la lesione di un interesse
sostanziale86.
All’esito dell’udienza, il giudice provvede con ordinanza a determinare le modalità
pratiche del fare (o del disfare), designa l’ufficiale giudiziario deputato a sovraintendere
le operazioni e indica le persone cui spetta di realizzare l’opera non eseguita o di
distruggere quella compiuta.
Invero, le indicazioni del giudice sono sempre di massima; generalmente, infatti, si
rende necessaria la nomina di un consulente a cui può essere demandato anche il
conferimento dell’incarico dei soggetti tenuti alla realizzazione materiale dell’opera87.
Le parti (tanto l’obbligato, quanto il procedente) possono contestare la nomina del
consulente, lamentando non solo l’assenza dei requisiti di idoneità dello stesso, ma
anche proponendo censure di mera opportunità. Per la Cassazione, tali doglianze,
investendo la regolarità formale di un provvedimento esecutivo, quale l’ordinanza ex
art. 612, non possono che essere fatte valere tramite l’opposizione agli atti esecutivi88.
Resa l’ordinanza, si chiude la c.d fase “autorizzativa” e si dà luogo a quella c.d.
realizzativa, consistente nel compimento delle opere (ovvero delle attività di distruzione
dell’opus realizzato in violazione dell’obbligo di non fare); tale fase si svolge a cura
dell’ufficiale giudiziario e con l’ausilio dei terzi incaricati nominati dal giudice
dell’esecuzione.
6. Il regime di impugnazione del provvedimento.
Per orientamento pacificamente invalso in giurisprudenza, l’ordinanza
determinativa delle modalità esecutive ha natura di provvedimento revocabile o
modificabile, ove non abbia avuto ancora esecuzione, dallo stesso giudice che l'ha
emessa ai sensi dell’art. 487 c.p.c. 89, nonché impugnabile con l'opposizione agli atti
esecutivi, in virtù dell’art. 617 c.p.c.90.
Per poter correttamente individuare il regime di impugnazione del provvedimento
determinativo delle modalità esecutive, tuttavia, occorre ricordare che costituisce
principio pacifico quello secondo cui il giudice dell'esecuzione, nel dare le indicazioni
necessarie per l'attuazione dell'obbligo, ha il potere-dovere di interpretare il titolo
86
Vedi tra le molte Cass. 13 ottobre 2009, n. 21682; Cass. 4 aprile 2003, n. 5327, in Arch. civ., 2004, 244,
la quale, tra l’altro, precisa che si tratta di un vizio che non dà luogo a nullità insanabile, e che perciò si
sottrae all'onere della parte di denunciarlo nel termine di cui al’art. 617, 2° comma, c.p.c.
87
Cass. 24 novembre 1986, n. 6901.
88
Cass. 16 novembre 1994, n. 9696.
89
Cass. 18 marzo 2003, n. 3992, in Gius, 2003, 14, 1578 ss.; Cass. 27 agosto 1999, n. 9012, in REF,
2000, 611 ss.
90
Cass. 3 maggio 2011, n. 9676, in NGCC, 2011, 1192 ss., con nota di Rendina; Cass. 6 maggio 2010, n.
10959; Cass. 5 giugno 2007, n. 13071; Cass. 17 maggio 2007, n. 11458; Cass. 18 marzo 2003, n. 3992,
cit.; Cass. 1 febbraio 2000, n. 1071, in Foro it., 2001, I, 1028; Cass. 27 agosto 1999, n. 9012, cit.; Cass.
10 febbraio 1998, n. 1354; Trib. Roma, 24 luglio 2009. Al riguardo, è stato ritenuto motivo di
opposizione agli atti esecutivi la contestazione dell'inizio dell'esecuzione senza la richiesta al giudice
dell'esecuzione della determinazione delle modalità dell'esecuzione (Cass. 14 aprile 1999, n. 3663),
nonché la mancanza nella persona incaricata dal giudice per l'esecuzione dell'obbligo dei requisiti tecnici
necessari (Cass. 16 novembre 1994, n. 9696). Secondo Cass. 20 maggio 2009, n. 11703, non è
ammissibile l'opposizione agli atti esecutivi proposta avverso il rigetto dell'istanza di modifica o revoca
dell'ordinanza di fissazione delle modalità dell'esecuzione chiesta una volta scaduto il termine per
l'opposizione agli atti esecutivi. Cass. 17 maggio 2007, n. 11458 ha precisato che se, nelle more del
procedimento di esecuzione in forma specifica, il giudice dell'esecuzione modifichi l'ordinanza
impugnata, dando luogo a un provvedimento ricognitivo di quello precedente, detto provvedimento, in
quanto privo di contenuto precettivo autonomo, non ha bisogno di essere a sua volta impugnato, poiché
l'opposizione già proposta è idonea a rimuovere gli effetti scaturenti da quello precedente.
22
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esecutivo91. In particolare, nell’interpretare la sentenza di condanna, deve procedere sulla
base del dispositivo e delle osservazioni espresse dal giudice nella motivazione92.
Non è tuttavia chiaro quale sia l’ampiezza del potere del giudice dell'esecuzione di
interpretare, specificare e integrare – nella determinazione delle modalità
dell'esecuzione attraverso ordinanza – il contenuto dell'obbligo delineato nel
provvedimento di condanna.
Premesso che il titolo esecutivo deve senza dubbio contenere una, pur generica,
indicazione della prestazione da adempiere poiché questa deve essere determinata o
determinabile, per poter risolvere il problema relativo all’effettiva natura dell’ordinanza
emanata ai sensi dell’art. 612 c.p.c., occorre preliminarmente stabilire quali siano i
rapporti tra questa e il titolo esecutivo. È infatti necessario appurare fino a che punto
l’ordinanza del giudice dell’esecuzione possa “supplire all’eventuale difetto di
concretezza nell’accertamento della sanzione contenuto nella condanna”93, dovendosi
negare decisamente una qualsivoglia fungibilità tra la sentenza di condanna e
l’ordinanza in questione. L’una e l’altra, infatti, assolvono a due differenti funzioni,
consistendo la prima essenzialmente nell’accertamento di una situazione giuridica
sostanziale suscettibile di materiale attuazione e l’altra nella fissazione delle modalità di
realizzazione effettiva di quella situazione.
Tale distinzione, chiara e netta in astratto, sfuma quando si passa nella pratica a
dover attuare il comando contenuto nella sentenza di condanna, non essendo sempre
facile individuare il limite tra la funzione del giudice di direzione del processo esecutivo
e la sfera della pretesa materiale94. Al fine di evitare tali inconvenienti, si è soliti in
dottrina distinguere tra il caso in cui la sentenza di condanna determinativa dell’obbligo
di fare o di disfare contenga già gli elementi fondamentali delle modalità di esecuzione
e l’ipotesi in cui, al contrario, non contenga una sufficiente individuazione di tali
modalità, precisando che, mentre nella prima ipotesi l’intervento del giudice deve
limitarsi al mero completamento delle modalità già individuate dalla sentenza di
condanna, dovendo semplicemente rapportare la statuizione contenuta in quest’ultimo
provvedimento a tutti gli aspetti contingenti della realtà di fatto, nel secondo caso, il
giudice dell’esecuzione sarà chiamato a compiere una attività ben più complessa,
dovendo procedere all’integrazione del titolo esecutivo secondo sua discrezionalità95.
Risulta così ampiamente superato quell’indirizzo giurisprudenziale, ormai risalente
nel tempo, che limitava i poteri dell’ufficio esecutivo in sede di determinazione delle
modalità di esecuzione alla sola designazione dell’ufficiale giudiziario e dei terzi
esecutori dell’opera96.
Detto revirement ha tuttavia posto l’esigenza di stabilire i confini tra il potere di
determinazione delle modalità di esecuzione e la sfera della pretesa materiale, essendo
tali confini assai labili, a causa della particolare natura dell’obbligo di fare.
91
Precisa la giurisprudenza che l’interpretazione del titolo non è tendenzialmente censurabile in sede di
legittimità: così Cass. 22 marzo 1996, n. 2510; Cass. 24 novembre 1986, n. 6901.
92
Così Cass. 4 giugno 2004, n. 10649, secondo cui la mancata specificazione nel titolo esecutivo delle
singole opere da effettuare non si traduce in un difetto di certezza e di liquidità del titolo, se dalla lettura
complessiva della sentenza le opere risultino comunque identificate; in senso analogo, App. Bari, 30
novembre 2005, secondo cui in mancanza di precisazione, in sentenza, delle modalità di esecuzione, spetta
al giudice, in sede di esecuzione della sentenza, provvedervi, sentita la parte obbligata.
93
MANDRIOLI, voce cit., 562.
94
BORRE’, Recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e
di non fare, in Foro it., 1968, I, 2841 ss.
95
MANDRIOLI, voce cit, 562.
96
Cass. 21 luglio 1969, n. 2742, in Foro it., Rep. 1969, voce Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di
non fare, nn.11 e 12; Cass. 21 maggio 1964, n. 1249, id., 1964, I, 2011; Pret. Spezzano della Sila 17
gennaio 1962, in Foro it., Rep. 1962, voce cit., nn. 7 e 8; Cass. 12 luglio 1951, n. 1925, id., Rep. 1951,
voce cit., nn.2 e 3.
23
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Come è stato autorevolmente osservato97, l’attività del “fare” non può mai essere
totalmente cristallizzata nella sanzione esecutiva contenuta nella sentenza di condanna,
ma abbisogna, nel suo concreto attuarsi, di ulteriori specificazioni, e ciò al fine di
rapportare il comando contenuto nella sentenza alla concreta realtà di fatto. Più
precisamente, l’accertamento contenuto nel titolo esecutivo non sempre garantisce
l’individuazione di tutti gli aspetti dell’operazione necessaria a realizzarlo, per cui
soltanto l’adempimento dell’obbligazione prevista dal titolo, nella sua concreta
attuazione tramite l’attività materiale dell’obbligato o l’intervento dell’organo
giurisdizionale, è in grado di rivelare la necessità di eventuali ulteriori messe a punto98.
Ciò, unitamente al fatto che l’opinione prevalente 99 ravvisa nell’esecuzione in
esame lo svolgimento in via giurisdizionale di un operazione atta a surrogare
praticamente quella non compiuta o fornita personalmente dal debitore, comporta che il
giudice dell’esecuzione debba innanzi tutto interpretare il titolo esecutivo per appurare
se esso contenga o meno già una sufficiente individuazione delle modalità concrete
dell’esecuzione, in quanto, qualora esso manchi degli elementi sufficienti per consentire
la materiale attuazione del comando contenuto nella sentenza, egli dovrà procedere alla
sua integrazione in sede di pronuncia dell’ordinanza ex art. 612 c.p.c.
E’, allora, evidente che il problema dell’individuazione dei limiti funzionali
dell’ordinanza di determinazione delle modalità esecutive sia strettamente legato a
quello relativo all’attribuibilità al giudice dell’esecuzione del potere di interpretare il
titolo esecutivo, dato che attraverso il riconoscimento di tale potere in capo al giudice si
finisce per attribuire a quest’ultimo un certo margine di specificazione (ed integrazione)
della sentenza di condanna.
Al riguardo, la giurisprudenza, nell’individuare i caratteri che la sentenza di
condanna deve presentare per rispettare il disposto dell’art. 474 c.p.c., ha operato una
distinzione fra l’ipotesi che la condanna abbia ad oggetto l’obbligo di fare un quid novi
e quella in cui si disponga la condanna al ripristino della situazione preesistente,
stabilendo che mentre nel primo caso il giudice della cognizione deve precisare tutte le
modalità necessarie per l’attuazione dell’obbligo di fare, dato che gli elementi essenziali
dello stesso non sono altrimenti desumibili se non dal giudicato, nell’altro, invece,
l’ordine di ripristino può trovare un valido modello di riferimento nella situazione
97
BORRE’, Esecuzione forzata, cit., 210 ss.; MONTESANO, Esecuzione specifica, cit., 546.
Secondo BORRE’, Esecuzione forzata, cit., 212 ss., è difficile se non impossibile ridurre l’operazione
del fare in quei termini di automatismo esecutivo che caratterizzano i processi di consegna e pagamento
forzato. In questi ultimi, infatti, l’attività esecutiva è rivolta all’attuazione di un obbligazione a priori
individuata dal legislatore e perciò tipica, consistente rispettivamente nel pagamento di una somma di
denaro e nella consegna di una cosa, per cui non sono necessarie, in relazioni ai singoli casi concreti,
particolari autodeterminazioni dell’organo esecutivo. Viceversa, nel caso dell’obbligo di fare, la natura
atipica della realtiva obbligazione comporta che il giudice della cognizione non sarà mai in grado di
prevedere e conseguentemente fissare tutte quelle concrete modalità necessarie per l’esecuzione
dell’obbligo, modalità la cui necessità o opportunità potrà esser rilevata solo al momento in cui la
costruzione o la distruzione dell’opera individuata nel titolo esecutivo dovranno essere materialmente
attuate.
99
Si veda al riguardo ANDRIOLI, Commento, cit., III, 322, il quale scrive che: “l’ufficio esecutivo non si
sostituisce al creditore nell’esercizio del suo diritto o, se vuolsi, controlla l’esercizio che il creditore fa del
suo diritto, ma si surroga al debitore nell’adempimento dell’obbligo che gli incombe”. Cfr. anche
REDENTI, Diritto processuale civile, III, Milano, 1957, 301; DENTI, L’esecuzione, cit., 17 ss.;
MANDRIOLI, Natura giurisdizionale e portata “sostitutiva” dell’esecuzione specifica, in Giur. it., 1986,
IV, 1 ss. Contra SATTA, Esecuzione Forzata, Torino, 1952, 3 ss., il quale, limitando l’esecuzione
specifica alle sole situazioni giuridiche finali (ovvero ai diritti assoluti) finisce per equiparare
l’esecuzione processuale in esame alle sole ipotesi di esercizio del diritto giurisdizionalmente controllato,
negando così la presenza e l’operare, nel nostro ordinamento, di un vero ed autonomo processo esecutivo
diverso da quello espropriativo. Tale tesi è ormai da ritenersi superata, posto che, come si è già osservato,
la dottrina prevalente ha dimostrato che l’esecuzione in esame realizza sempre diritti relativi, diritti, cioè,
alla cui soddisfazione il creditore non può provvedere egli stesso, occorrendo sempre la collaborazione
del soggetto obbligato.
98
24
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anteriore così come risultante dal giudicato, dal quale potranno perciò desumersi i limiti
dell’attività del fare100.
Lo storico problema del grado di liquidità del titolo, invero, ha confini ben più
ampi di quelli appena delineati con riferimento all’esecuzione in forma specifica degli
obblighi di fare, tanto da aver suscitato il recente intervento delle Sezioni Unite della
Corte di cassazione101, la quale, a seguito della rimessione operata dalla Terza Sezione
al Primo Presidente102, ha preso, tra l’altro, posizione sul contrasto originatosi in seno al
Supremo Collegio circa la nozione di liquidità del titolo esecutivo103, ritenendo che il
giudice dell’esecuzione ben può interpretare il titolo esecutivo tenendo conto dei dati
che, pure se non siano stati in esso puntualmente indicati, siano acquisiti al processo di
cognizione che quel titolo ha originato.
Ripudiata così la teoria documentale 104 , la giurisprudenza riconosce
definitivamente in capo al giudice dell’esecuzione (come dell’opposizione) il potere di
interpretare e, dunque, di integrare il titolo esecutivo; con l’ammettere il potere del
giudice dell’esecuzione (e del giudice dell’opposizione a seguito dell’istanza del
debitore ex art. 615) di controllare la portata del titolo esecutivo si ottiene il sicuro
vantaggio di costringere le parti del rapporto controverso “al parlare chiaro: il creditore
procedente indicando con precisione nel precetto la prestazione richiesta ed i suoi
perché, il debitore con altrettanta precisione contestando ciò che si ritenga non dovuto,
perché negato o non accertato, ponendolo a base delle opposizioni che possono
precedere o seguire l’inizio dell’esecuzione od affidandole al giudice dell’esecuzione ai
fini del suo controllo sull’estensione del titolo”105, con un evidente vantaggio in termini
di economia processuale.
100
Cfr. Cass. 22 luglio 1999, n. 7887; Cass. 13 marzo 1995, n. 2911, in Foro it., Rep. 1995, voce
Esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare, n. 1; Cass. Sez. Un. 15 gennaio 1987, n. 245;
Cass. 21 luglio 1984, n. 4277, id., Rep. 1984, voce cit., n.1; Cass. 27 marzo 1980, n. 2028, id., Rep. 1980,
voce cit., n. 6.
101
Cass., Sez. Un., 2 luglio 2012, n. 11066, in www.cortedicassazione.it, secondo cui “la sentenza, fatta
valere quale titolo esecutivo, non si esaurisce nel documento giudiziario, in cui è consacrato l'obbligo,
essendone consentita l'interpretazione extratestuale, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel
processo in cui è stata emessa. Ne consegue che il giudice dell'opposizione all'esecuzione non può
dichiarare d'ufficio la illiquidità del credito, portato dalla sentenza fatta valere come titolo esecutivo,
senza invitare le parti a discutere la questione e ad integrare le rispettive difese, anche sul piano
probatorio”.
102
Si v. Cass. 14 dicembre 2011, n. 26943, in REF, 2011, 719 ss. ed in REF, 2012, 142 ss., con nota di
Majorano, affiancata dall’ordinanza “gemella” di Cass. 14 dicembre 2011, n. 26944.
103
Sino ad oggi sul problema della liquidità del titolo esecutivo si sono fronteggiati due opposti
orientamenti: il primo che sostiene la necessaria autosufficienza del titolo, per cui la condanna ha valore
di titolo esecutivo solo ove palesi elementi sufficienti a quantificare il credito con calcolo puramente
matematico (così per tutte Cass. 23 aprile 2009, n. 9693); l’altro, secondo cui è ben possibile
l’integrazione extratestuale, purché i dati integrativi siano acquisiti al processo di formazione del titolo
giudiziale (v., ex multis, Cass. 15 giugno 2007, n. 14000). Sul punto, per un’ampia e completa
illustrazione degli opposti indirizzi giurisprudenziali, si v. la Relazione dell’Ufficio del Massimario su
contrasto 25 gennaio 2012, n. 16, in REF, 2012, 142 ss., nonché MAJORANO, Questioni controverse in
tema di poteri di rilevazione officiosa del giudice dell’opposizione e di interpretazione del titolo
esecutivo, in REF, 2012, 159 ss., in part. 171 ss.
104
Sull’antica e mai superata disputa relativa alla natura del titolo esecutivo e per una chiara ed esauriente
illustrazione della celebre polemica tra Liebman e Carnelutti, si v. VACCARELLA, Titolo esecutivo,
precetto, opposizioni, Torino, 1983, 32 ss.
105
Così Cass., Sez. Un., 2 luglio 2012, n. 11066, cit., in motivazione. Sembrano tuttavia condivisibili le
considerazioni svolte da chi (CAPPONI, Incerto diritto nell’incerto titolo, in REF, 2012, 173-174)
osserva come l’ampliamento e la generalizzazione del potere di integrazione del titolo esecutivo da parte
del giudice dell’esecuzione, come di quello dell’opposizione, non va salutata favorevolmente, giacché
ingenera “prassi corrive” nella confezione del documento titolo, che favoriscono il proliferare di giudizi
di opposizione (che sono e restano veri e propri giudizi di cognizione) e il conseguente aumento del
carico contenzioso civile. In particolare, occorre chiedersi – ma si tratta di una questione assai complessa
25
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Il riconoscimento operato dalla corrente giurisprudenza del potere di integrazione
del titolo comporta come diretta conseguenza la necessità di individuare in quali casi
l’ordinanza emanata ai sensi dell’art. 612 c.p.c. perda la sua natura esecutiva per
acquistare quella di provvedimento decisorio, come tale appellabile.
La giurisprudenza prevalente opera al riguardo un distinguo, affermando che,
qualora l’ufficio esecutivo si limiti a designare gli organi minori della procedura e a
determinare le modalità dell’esecuzione del titolo esecutivo (il tutto previa
interpretazione da parte del giudice del titolo esecutivo, al fine di superare gli eventuali
margini di incertezza e genericità che la sentenza di condanna all’adempimento di un
obbligo di fare, per la sua stessa natura, può presentare), il relativo provvedimento
dovrà essere adottato con la forma dell’ordinanza, come tale revocabile dallo stesso
giudice che lo ha emesso, ex art. 487 c.p.c., ed impugnabile dagli interessati con il
rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi106. In tali sentenze si legge che rimangono
provvedimenti esecutivi: 1)- “quelli complementari e determinativi delle specifiche
modalità di attuazione pratica del titolo, cui non sia aggiunta altra decisione dirimente
una controversia sostanziale ed ulteriore tra le parti contendenti o … sostanzialmente
estranea al contenuto della precedente statuizione esecutiva”; 2)- “quelli modificativi
delle modalità già determinate quando risulti l’impossibilità di compiere l’esecuzione
con tali modalità, con l’unico limite invalicabile” di non modificare il titolo esecutivo
nel suo contenuto.
Viceversa, il provvedimento emesso in sede di determinazione delle modalità
pratiche del fare perde la sua natura esecutiva ed assume natura di sentenza, come tale
impugnabile con l’appello, quando con esso il giudice dell’esecuzione determini
modalità di esecuzione contrastanti con il tenore del titolo o decida su questioni attinenti
alla portata sostanziale dello stesso107.
Dunque, la giurisprudenza di legittimità attribuisce natura di sentenza, come tale
appellabile, in primo luogo al provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione risolve,
in sede di determinazione delle modalità pratiche del fare, l’eventuale controversia che
sia insorta fra la parti circa la conformità o meno al comando contenuto nel titolo
che meriterebbe ben altro approfondimento – se l’errore del giudice nell’attività di completamento del
titolo sia censurabile tramite l’opposizione agli atti esecutivi, in quanto rientrante nel concetto di
irregolarità formale per come inteso dal diritto vivente; oppure, come a me pare, se le censure contro
l’attività di integrazione del titolo debbano essere fatte valere con il rimedio dell’opposizione
all’esecuzione, venendo in essa dedotto che il giudice, tramite la scorretta integrazione del titolo
esecutivo, ne ha oltrepassato i limiti, così incidendo sulla posizione di diritto soggettivo del debitore.
106
Cfr. Cass. 6 maggio 2010, n. 10959, secondo cui qualora, con riguardo all'esecuzione di una sentenza
di condanna alla demolizione di opere edili, in sede di comparizione delle parti davanti al giudice
dell'esecuzione ai sensi dell’art. 612 c.p.c. insorgano contestazioni circa la necessità o meno del rilascio di
apposita concessione amministrativa per il compimento dei lavori, ovvero in ordine all'individuazione del
soggetto tenuto a richiedere il provvedimento concessorio, le relative questioni non investono l'esistenza
del titolo ed il diritto dell'esecutante, ma attengono alle modalità dell'esecuzione stessa. Ne consegue che
il provvedimento con cui il suddetto giudice statuisca sulle indicate questioni, così come il provvedimento
con cui si limiti a disporre la sospensione dell'esecuzione fino al rilascio della menzionata concessione,
integrano atti del processo esecutivo, come tali non impugnabili con l'appello: Cass. 5 giugno 2007, n.
13071, in
Imm. e propr., 2007, 10, 659; Cass. 18 marzo 2003, n. 3979; App. Roma, 19 aprile 2006; Cass.
4 gennaio 1977, n. 21, in Foro it., 1977, I , 656; Cass. 15 dicembre 1975, n. 4129, id., Rep. 1975, voce
Esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare, n. 7; Cass. 4 giugno 1974, n. 1627, id., 1975, I,
1197; Cass. 27 agosto 1969, n. 3041, id., 1970, I, 160.
107
Cfr. Cass. 14 maggio 1991, n. 5370, in Foro it., 1992, I, 1868 nella quale si legge: “qualora il pretore,
oltrepassando i limiti fissati dal titolo, disponga che le opere siano eseguite con modalità con esso
contrastanti o, comunque, destinate ad incidere su posizioni di diritto soggettivo, oppure decida una
controversia circa la conformità o meno al titolo esecutivo delle opere che la parte vittoriosa pretende che
siano eseguite, o circa la già avvenuta esecuzione in conformità con il titolo esecutivo, affermata dalla
parte soccombente, il relativo provvedimento, pur conservando forma di ordinanza, ha natura di sentenza,
in quanto risolve un vero e proprio giudizio di merito, ed è, come tale, impugnabile mediante appello”.
26
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esecutivo dell’esecuzione spontanea già attuata dal debitore108.
La stessa soluzione viene estesa, in secondo luogo, anche a situazioni in cui non si
fa questione sul preteso adempimento del debitore. Così, è da tempo ritenuto appellabile
il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 612 c.p.c., nell’ipotesi in cui il giudice, nel
determinare le modalità dell’esecuzione, determini modalità contrastanti con il tenore
del titolo esecutivo, finendo così per alterare il comando contenuto nella sentenza di
condanna109.
Infine, la natura di sentenza (con la conseguente sua appellabilità) è stata
riconosciuta anche al provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, oltre a
determinare le modalità delle esecuzione forzata, risolve questioni circa il diritto della
parte istante a procedere ad esecuzione forzata, qualora egli, in quella sede, venga
chiamato a decidere se sia ammissibile la procedura esecutiva di cui agli artt. 612 e
seguenti del codice di rito110.
A ben vedere, la Cassazione, proprio a causa della varietà delle fattispecie concrete
poste a base del suesposto orientamento giurisprudenziale, non ha sempre fornito
identica motivazione per giustificare la tesi dell’appellabilità del provvedimento ex art.
612 c.p.c.
Difatti, mentre alcune sentenze ricostruiscono la tesi dell’appellabilità del
provvedimento come rimedio contro l’abnormità dell’ordinanza determinativa delle
modalità dell’esecuzione, altre, invece, prospettando il provvedimento giudiziale
emesso ai sensi dell’art. 612 c.p.c. come decisione di una opposizione all’esecuzione,
configurano l’appello come ordinario mezzo di impugnazione avverso tale decisione. In
tale ultimo caso, infatti, il provvedimento emanato perde la sua natura esecutiva, avendo
sostanzialmente deciso su una opposizione all’esecuzione attinente al preteso
adempimento dell’obbligo da parte del debitore, sebbene quest’ultima sia stata iniziata
irritualmente, essendo stata introdotta in forma orale in occasione dell’udienza
esecutiva. Essendosi in presenza di un vero e proprio giudizio di cognizione, va allora
applicato il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, con la conseguenza
che l’ordinanza emessa non può che essere qualificata sentenza a tutti gli effetti, per cui
essa è impugnabile conformemente alla sua natura, convertendosi il vizio formale,
consistente nella sua erronea denominazione, in motivo della sua impugnabilità111.
Come accennato, può invece accadere che il giudice dell’esecuzione, con il
provvedimento che formalmente determina le modalità di esecuzione, incida sul
contenuto del titolo, alterando il comando contenuto nella sentenza di condanna; in tal
108
Così, tra le altre, Cass. 9 marzo 2012, n. 3722; Cass. 9 dicembre 1985, n. 6204, in Foro it., Rep. 1985,
voce Esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare, n. 4; 12 ottobre 1977, n. 4346, id., Rep.
1977, voce cit., n. 10; App. Napoli, 26 giugno 2008.
109
Cfr. Cass. 15 maggio 1953, n. 1376, in Foro it., Rep. 1953, voce Esecuzione forzata degli obblighi di
fare o di non fare, n. 7; si vedano altresì Cass. 14 gennaio 1977, n. 190, id., Rep. 1977, voce cit., n. 7;
Cass. 15 dicembre 1975, n. 4129, id., Rep. 1975, voce cit., n. 7; Cass. 11 novembre 1975, n. 3800, ibid.,
n. 6.
110
Cass. 15 luglio 2009, n. 16471, per la quale il provvedimento con cui il giudice determina le modalità
dell'esecuzione, ancorché emesso in forma di ordinanza, ove dirima una controversia insorta fra le parti in
ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, ha
natura sostanziale di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a
procedere ad esecuzione forzata, ed è pertanto impugnabile con l'appello; Cass. 8 ottobre 2008, n. 24808;
Cass. 23 maggio 2006, n. 12117; Cass. 18 marzo 2003, n. 3990, in Arch. civ., 2004, 98. In senso analogo,
si v. già in precedenza Cass. 10 dicembre 1991, n. 13287, in Foro it., Rep. 1991, voce Esecuzione forzata
degli obblighi di fare o di non fare, n. 9; Cass. 20 settembre 1990, n. 9584, id., Rep. 1990, voce cit., n. 5;
Cass. 24 febbraio 1987, n. 1926, id., Rep. 1987, n. 7.
111
Fortunatamente la diversa qualificazione operata dalla giurisprudenza (provvedimento abnorme o
decisione sull’opposizione all’esecuzione) dell’ordinanza determinativa delle modalità esecutive non ha,
oggi, pratico rilievo: in entrambi i casi alla parte interessata è attribuito il rimedio dell’appello, essendo il
legislatore ritornato sui suoi passi, con l’abrogazione ad opera dell’art. 49, 2° comma della legge 69/2009
dell’ultimo inciso dell’art. 616 che qualificava la decisione conclusiva dell’opposizione all’esecuzione
come inimpugnabile.
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caso, l’ordinanza emanata ex art. 612 c.p.c. non va qualificata come decisione di
un’opposizione non proposta nelle forme di rito, ma come provvedimento che invade
abnormemente la sfera del potere cognitivo. In tali ipotesi, dunque, l’appello tende ad
assumere, nell’ottica della giurisprudenza, non tanto la funzione di generalizzato mezzo
di controllo sul contenuto dell’accertamento operato dal giudice nella sede della
determinazione delle modalità esecutive, quanto la caratteristica di rimedio-limite
contro l’evasione del provvedimento dal suo tipo legale. L’appello, viene allora “a
fondarsi non sul dato strutturale di un contrasto tra le parti, in cui sia possibile scorgere
il rudimento del primo grado di un giudizio dichiarativo, ma invece sul dato, meramente
funzionale dell’incidenza del provvedimento stesso sulla sfera della pretesa
materiale”112.
Invero, ammettere in capo al giudice dell'esecuzione un potere determinativo delle
modalità di esecuzione, al fine di consentire la concreta attuazione del comando
inevitabilmente generico contenuto nella sentenza di condanna, significa attribuirgli la
individuazione di aspetti sostanziali relativi all’obbligo e all’adempimento, ossia di
statuire sulla sostanza del diritto fatto valere113. Ne consegue che se si vuole riconoscere
all’appello la natura di rimedio contro l’abnormità dell’atto, occorre negare la spettanza
al giudice dell’esecuzione del potere di specificare il contenuto della sentenza di
condanna, riducendo la sua funzione alle designazioni di cui al comma secondo dell’art.
612114.
Si è visto, però, che la giurisprudenza, superando il precedente orientamento,
riconosce al tribunale, oltre al compito di designare gli organi minori della procedura,
anche quello di determinare le modalità concrete di attuazione del titolo esecutivo;
ammettere l’appello, allora, non può più significare fornire alla parte un rimedio contro
un provvedimento abnorme, ma ipotizzare un controllo ordinario sull’accertamento
compiuto dal giudice, attribuendo in ultima analisi a quest’ultimo poteri cognitivi.
Da qui l’evidente contraddizione in cui incappa la giurisprudenza, la quale da
sempre tenta di trovare un punto di equilibrio tra le due possibili ricostruzioni
dell’appellabilità, configurando l’appello come rimedio avverso l’abnormità del
provvedimento determinativo delle modalità dell’esecuzione, ma al tempo stesso
attribuendo al tribunale il potere di specificazione del titolo esecutivo115.
Questa ricostruzione è stata allora duramente criticata dalla dottrina la quale,
partendo dalla considerazione che la natura degli obblighi di fare rende impossibile
concepire un potere di specificazione delle modalità esecutive che non comporti
l’implicita attribuzione di poteri cognitivi, ritiene questo tentativo della giurisprudenza
destinato a risolversi in uno “sforzo verbale”116.
Di fronte alle difficoltà della giurisprudenza, vi è chi in dottrina ha tentato di
risolvere o piuttosto di superare il problema, mediante la modificazione delle premesse
cui era partita la giurisprudenza per giungere alle conclusioni contestate. Scopo della
dottrina è, in particolare, quello di conciliare l’integrabilità del titolo esecutivo con la
natura esecutiva della procedura di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c., respingendo, tuttavia,
per la sua incongruenza, la tesi dell’appellabilità del provvedimento del giudice
dell’esecuzione.
112
Così BORRE’, Esecuzione forzata, cit., 203.
Cfr. BORRE’, Esecuzione forzata, cit., 205; MONTESANO, Esecuzione specifica, cit., 545.
114
Cfr. per quest’ultima conclusione ANDRIOLI, Commento, cit., III, 331, nonché GUIDETTI, Sulle
“modalità dell’esecuzione” di cui all’art. 612 c.p.c., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1966, 1610 per il quale:
“il 1° comma dell’art. 612 cod. proc. civ. deve essere interpretato alla luce della seconda parte della stessa
norma, là dove si legge che il pretore nella sua ordinanza designa l’ufficiale giudiziario che deve
procedere alla esecuzione e le persone che devono provvedere al compimento dell’opera non eseguita o
alla distruzione di quella compiuta. Altri poteri il pretore non ha e in conseguenza tutte le determinazioni
dell’opera da eseguire debbono essere contenute nel titolo esecutivo”.
115
Così Cass. 1 marzo 1968 n. 674 e 17 gennaio 1968, n. 124, cit.
116
In tal senso v. BORRE’, Recenti orientamenti giurisprudenziali cit., 2845.
113
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Secondo una risalente opzione interpretativa, tale conciliazione è realizzabile
riconoscendo al creditore il potere di specificare nel precetto le modalità esecutive non
contemplate nella sentenza di condanna, ma essenziali per la concreta attuazione
dell’obbligo di fare117. In particolare, il creditore non avrebbe solo il potere, ma anche
l’onere di stabilire nel precetto gli elementi determinativi dell’opera non specificati nel
titolo esecutivo, in modo da enunciare al debitore, insieme al titolo, la pretesa esecutiva,
mentre all’ordinanza ex art. 612 spetterebbe unicamente il compito di attuarla, non
essendo consentita al giudice dell’esecuzione alcuna specificazione della pretesa118. Ne
consegue, allora, che il giudice dell’esecuzione non potrà emanare provvedimenti che
alterino le modalità dell’esecuzione fissate dal titolo esecutivo e dal precetto, non
avendo facoltà ed obblighi diversi da quelli che spettano agli organi di ogni altro
processo esecutivo. Ciò, tuttavia, non comporta per il debitore la perdita della possibilità
di difendersi, in quanto a quest’ultimo è riconosciuta la facoltà di contestare il contenuto
della pretesa esecutiva mediante la proposizione di un’opposizione all’esecuzione
avverso il precetto notificato dal creditore.
Tale ricostruzione, però, non ha incontrato il favore della dottrina prevalente119, che
ha rilevato come la già rilevata atipicità del fare rende arduo se non impossibile che il
precetto possa da solo svolgere il compito di specificare il contenuto dell’obbligo di
fare, che in realtà solo il progressivo svolgimento dell’attività esecutiva è in grado di
rivelare alle parti e al giudice. Inoltre, la funzione di specificazione della pretesa
esecutiva da parte del precetto non è affatto prevista dalla legge, che, a differenza di
quanto accade per l’esecuzione per consegna o rilascio – dove l’art. 605 del codice di
rito prevede l’obbligo per il creditore di indicare nel precetto la descrizione sommaria
dei beni oggetto della procedura – non prevede affatto l’onere per il creditore di
effettuare un’analoga specificazione del titolo esecutivo120.
Secondo un’altra ricostruzione, invece, è eccessivo ridurre la funzione del giudice
dell’esecuzione alla mera designazione degli organi minori della procedura; ben può
essergli riconosciuto il potere di specificare il contenuto dell’obbligo di fare risultante
dal titolo esecutivo, sempre che l’accennata funzione di messa a punto degli ulteriori
aspetti di determinazione dell’obbligo sia adattata entro lo schema del processo
esecutivo e realizzata incidenter attraverso di esso.
Ciò è quanto ha fatto il legislatore, che ha attribuito al giudice dell’esecuzione il
potere di disciplinare la propria attività, dando altresì rilevanza alle istanze ed
osservazioni delle parti, intese come contributo collaborativo alla fissazione delle
concrete modalità del fare. Ciò non esclude, anzi implica, la possibilità di una garanzia
cognitiva, ma la soluzione adottata dal legislatore impone che tale garanzia operi ex
post, dunque come un’autonoma eventualità rispetto alla determinazione giudiziale,
senza confondersi con il contenuto del contraddittorio operato in sede di emanazione
dell’ordinanza ex art. 612.
Per questa dottrina, tuttavia, dato che la determinazione compiuta dall’ufficio
esecutivo è in grado di incidere sulla sfera materiale della parte, non potrà ricostruirsi
117
MONTESANO, Esecuzione specifica, cit., 544 ss.
Secondo il MONTESANO, op. cit., 549 ss., infatti, l’essenza del processo di esecuzione degli obblighi
di fare o di non fare consisterebbe non nel surrogare l’attività dovuta e non prestata dal debitore, ma
nell’aggredire il bene del debitore su cui dovrà essere eseguita l’opera; in altri termini, il fine dell’attività
processuale esecutiva non si identifica con il compimento dell’opera, ma si concreta nel porre a
disposizione del creditore il bene sul quale essa deve essere fatta. Da questa premessa ne discende come
inevitabile corollario che l’individuazione degli elementi essenziali dell’operazione sostitutiva
dell’adempimento non viene compiuta dal giudice con l’ordinanza ex art. 612, avendo quest’ultima
unicamente la funzione di realizzare il superamento della resistenza possessoria dell’obbligato, ed
essendo l’operazione del fare già stata determinata dal titolo esecutivo e dal precetto.
119
BORRE’, Esecuzione forzata, cit., 183 ss.
120
Così MANDRIOLI, Natura giurisdizionale, cit., 7. Vedi tuttavia sul punto supra, § 4.
118
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l’accennata garanzia nei termini dell’opposizione agli atti esecutivi 121 , dovendo essa
necessariamente operare sul piano del merito.
A tal fine, viene prospettata la possibilità di impugnare il provvedimento
determinativo delle modalità dell’esecuzione con l’opposizione ex art. 615 c.p.c., intesa,
tuttavia, come rimedio utilizzabile non solo nelle ipotesi in cui è dal debitore contestata
l’azione esecutiva in sé, ma anche in quelle in cui la parte o un terzo (e dunque anche il
creditore, qualora la determinazione giudiziale lo abbia pregiudicato) deducono un
danno dallo svolgimento dell’attività esecutiva122.
Altra parte della dottrina 123 ha offerto una diversa ricostruzione, ritenendo
esperibile avverso l’ordinanza determinativa delle modalità dell’esecuzione avente
carattere decisorio, il rimedio del ricorso straordinario per Cassazione ai sensi dell’art.
111 Cost.
La Cassazione, che in un primo tempo aveva accolto quest’orientamento 124, ha,
successivamente, preso le distanze da tale tesi, sottolineando che, se è vero che
l’ordinanza ex art. 612 può avere contenuto decisorio, qualora con essa il giudice
determini modalità contrastanti con il contenuto del titolo esecutivo ovvero decida su
controversie attinenti alla portata sostanziale dello stesso, è altresì vero che, perché un
provvedimento giurisdizionale possa essere oggetto di ricorso per Cassazione ai sensi
dell’art. 111 Cost., è necessario che esso presenti, oltre al requisito della decisorietà,
quello della definitività, caratteristica, quest’ultima, non ravvisabile nel caso in esame,
121
In tal senso BUCOLO, nota a Cass. 15 dicembre 1975, n. 4129, in Giur. it., 1978, I, 1, 2055, il quale
ritiene che, “attesa l’incidentalità del processo di accertamento commesso dal pretore in simili
contingenze (esso si induce a tale decisione di integrazione del titolo esecutivo perché quest’ultimo gli
appare monco, incompleto), incidentalità che appare dimostrata tanto dalla chiara strumentalità della
pronuncia, quanto dalla mancanza di una sua genesi autonoma, dovrebbe ammettersi non l’impugnazione
ordinaria che è un gravame tendente ad una pronuncia rescissoria e quindi un mezzo eccedente nella sua
funzione le più modeste esigenze, meramente rescindenti, che nel caso si rendono evidenti”, ma il rimedio
dell’opposizione agli atti esecutivi previsto e disciplinato dagli artt. 617 e ss. c.p.c. Per un approfondito
esame dei provvedimenti impugnabili con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi si rinvia a
ORIANI, L'opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 247 ss..
122
BORRE’, Esecuzione forzata, cit., 218 ss.; ID., Recenti orientamenti, cit., 2846 ss. L’autore in
questione, dunque, per poter ammettere l’applicabilità alle fattispecie in questione del rimedio
dell’opposizione all’esecuzione, è costretto a sposare l’opinione sostenuta da quella parte della dottrina
(FURNO, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942; MANDRIOLI,
L’azione esecutiva, Milano, 1953, 482 ss.) che, a differenza di quella prevalente, ritiene che il rimedio di
cui all’art. 615 non sia limitato alla contestazione dell’azione esecutiva in sé, potendosi con tale
strumento anche contestare l’attività esecutiva nel suo pratico svolgimento, ottenendo così la rimozione
non dell’esecuzione nel suo complesso, ma solo di un’illegittimità materiale, eventualmente relativa
anche ad un singolo atto. Viene allora prospettata un concetto di opposizione di merito più ampio di
quello elaborato dalla dottrina prevalente, comprensivo, oltre che dell’opposizione ex art. 615 in senso
stretto, cioè dell’opposizione diretta a contestare il diritto di procedere ad esecuzione forzata, anche
dell’opposizione volta a contestare “ l’aggressione esecutiva nel suo concreto svolgimento, ovverosia a
reprimere e a correggere quelle lesioni materiali che derivano non dal titolo ma appunto dall’articolarsi, in
concreto, dell’attività degli organi esecutivi”: così BORRE’, Esecuzione forzata, cit., 222.
123
Cfr. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, III, Torino, 1993, 126. Tale autore, in verità,
sostiene che, nel caso in esame, il rimedio da utilizzare sia dato dall’opposizione all’esecuzione ex art.
615, intesa, tuttavia, in senso ampio, come mezzo utile per contestare anche il come dell’esecuzione,
qualora questo incida sulla sfera materiale delle parti. Tale autore, tuttavia, forse consapevole delle
difficoltà di ordine pratico e logico conseguenti all’accoglimento di tale ricostruzione dogmatica, si
esprime favorevolmente anche sulla utilizzabilità del ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111
Cost.
124
Cass. 4 dicembre 1981, n. 6428, in Foro it., Rep. 1981, voce Esecuzione degli obblighi di fare o di non
fare, n. 8.
30
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essendo l’ordinanza, in virtù del principio della prevalenza della sostanza sulla forma,
impugnabile con l’appello125.
Invero, anche a voler trascurare la circostanza che la ricostruzione appena riportata
contrasta con il diritto vivente, presupponendo per la sua operatività l’inapplicabilità del
principio della prevalenza della sostanza sulla forma, principio ormai pacificamente
ammesso e dai più ritenuto incontestabile, non pare revocabile in dubbio che ammettere
l’esperibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. risulta soluzione
poco appagante, non solo perché tale rimedio appare molto farraginoso e quindi nella
sostanza poco garantista per la parte che intenda contestare il contenuto dell’ordinanza
ex art. 612 c.p.c., ma anche perché esso finisce inevitabilmente per rendere più difficile
alla Corte di cassazione il compito di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme
interpretazione della legge, alterando così la sua funzione istituzionale di nomofilachia.
Allo stato attuale, dunque, la soluzione giurisprudenziale appare indubbiamente la
più opportuna, essendo quella che offre al soccombente le maggiori garanzie dal punto
di vista delle tecniche di tutela processuale.
Peraltro, anche laddove la parte erri nell’individuazione del rimedio esperibile,
proponendo ad esempio appello avverso l’ordinanza con cui il giudice abbia statuito in
ordine alle modalità esecutive, ritenendo che la contestazione originariamente sollevata
inerisca alla portata sostanziale del diritto di procedere ad esecuzione forzata, ove il
giudice adito dovesse non condividere la ricostruzione effettuata dal debitore appellante,
questi potrebbe ricorrere al rimedio, avente ormai portata generale, della rimessione in
termini di cui all’art. 153 c.p.c. e dar corso agli altri rimedi esperibili contro l’ordinanza
del g.e., quale l’istanza di revoca o, nel caso in cui il provvedimento esecutivo abbia già
avuto esecuzione, l’opposizione agli atti esecutivi.
Più in generale, una volta effettuata dalla parte interessata la scelta in ordine al
rimedio da utilizzare contro l’ordinanza di cui all’art. 612 c.p.c., se il giudice adito
dovesse dichiarare inammissibile lo strumento di tutela introdotto, dovrebbe
riconoscersi alla parte la facoltà di proporre comunque successivamente il diverso
rimedio originariamente scartato, anche se fosse decorso il relativo termine perentorio
di decadenza, sul presupposto della scusabilità dell’errore iniziale e consentendole di
ottenere il beneficio della restituzione del termine definitivamente spirato.
Va infine precisato che in deroga al carattere sostitutivo dell’appello, allo scopo di
evitare di alterare i meccanismi di distribuzione della competenza all’interno della
giurisdizione civile previsti dal codice di rito, il giudice di secondo grado deve ritenersi
investito della controversia solo per quanto riguarda il contenuto decisorio della stessa,
escludendosi che egli possa statuire anche in ordine alle modalità dell’esecuzione
disposte dal tribunale126.
7. I provvedimenti temporanei ex art. 613 c.p.c.
Analogamente a quanto previsto nell’ambito dell’esecuzione per consegna o
rilascio, l’art. 613 c.p.c. stabilisce che laddove nel corso della procedura sorgano delle
«difficoltà» il giudice dell’esecuzione potrà emettere i provvedimenti più opportuni per
provvedere alla loro risoluzione127.
Nonostante la diversa formulazione letterale, la stretta affinità esistente tra l’art.
125
Cass. 12 agosto 1991, n. 8776, in Giur. it., 1992, I, 1, 481; Cass. 5 novembre 1987, n. 8122, in Foro
it., Mass., 1987, 1348.
126
Questa è la soluzione seguita dalla giurisprudenza: v. in tal senso Cass. 24 febbraio 1987, n.1926 in
Foro it. Mass. 1987, 316.
127
Sulla portata della norma in commento, si v. Pret. Siracusa, 9 novembre 1994, in Giur. it., 1995, I, 2,
159, la quale ha escluso che alla fase di attuazione di un provvedimento cautelare avente ad oggetto un
obbligo di fare possa applicarsi l’art. 613, per il giudice adito dovrà risolvere le eventuali difficoltà insorte
con ordinanza, su istanza della parte che ha interesse all'attuazione, e non con decreto, su istanza
dell'ufficiale giudiziario, come avviene nell’ambito dell’esecuzione forzata vera e propria.
31
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613 e l’art. 610 c.p.c. (che ammette il ricorso al g.e. quando nel corso dell’esecuzione
per consegna o rilascio sorgano difficoltà che non ammettono dilazione), sembra
imporre che il concetto di difficoltà di cui narra l’art. 613 debba essere interpretato alla
luce della diversa disposizione prevista per l’esecuzione per consegna o rilascio128 e, più
in generale, che ogni questione involgente l’interpretazione dell’art. 613 possa essere
risolta anche alla luce dell’art. 610.
Al riguardo, una prima questione che ha occupato la dottrina e la giurisprudenza
concerne la legittimazione ad adire il giudice per risolvere le difficoltà insorte.
Nonostante l’art. 613 individui nel solo ufficiale giudiziario il soggetto abilitato, la
maggioranza della dottrina ritiene legittimate anche le parti, facendo leva proprio
sull’art. 610 c.p.c., che attribuisce esclusivamente ad esse la legittimazione a rivolgersi
al giudice dell’esecuzione129.
Deve invece escludersi che i terzi estranei al procedimento esecutivo degli obblighi
di fare possano avvalersi dello strumento in questione: poiché, come meglio vedremo,
scopo delle disposizioni di cui all’art. (610 e) 613 non è quello di mettere in discussione
la legittimità del processo esecutivo o di determinare un arresto dello stesso (come
accade nel caso in cui vengano sperimentate le opposizioni esecutive), ma è quello di
meglio determinarne l’azione perché questa di fronte a difficoltà possa proseguire 130, il
terzo deve ritenersi carente (non di legittimazione, quanto) di interesse a chiedere
l’adozione dei provvedimenti urgenti di cui agli artt. 610 e 613, essendosi affermata la
convinzione che la tutela di tali soggetti debba realizzarsi con i rimedi esperibili
nell’ambito del processo di cognizione (opposizione ordinaria ex art. 404 c.p.c., ovvero
128
Per ZANZUCCHI – VOCINO, Diritto processuale civile, III, Milano, 1964, 260, «l’asserita diversità
fra l’ipotesi dell’art. 610 e quella dell’art. 613 non esiste», trattandosi sempre «nell’un caso non meno che
nell’altro … di difficoltà sorgenti nel corso … dell’esecuzione»; ORIANI, L’opposizione agli atti
esecutivi, Napoli, 1987, 231, sostiene che «il concetto di difficoltà si presenta unico in entrambe le norme,
perciò suscettibili di proficua integrazione». In senso analogo, MONTESANO, Esecuzione specifica, in
Enc. Dir., XV, Milano, 1966, 558; LUISO, Esecuzione, cit., 10; MANDRIOLI, Esecuzione, cit., 565.
Contrario sembra invece CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, III, Roma, 1956, 112, a
detta del quale, «nonostante l’identità dell’espressione, risulta una sostanziale diversità tra l’art. 610 e
l’art. 613 da ciò che l’iniziativa per provocare il provvedimento è attribuita alla parte anziché all’ufficiale
giudiziario, e, ancora più chiaramente, dal carattere temporaneo, che il provvedimento ha secondo una o
secondo l’altra disposizione».
129
BORRE’, Esecuzione, cit., 352; LUISO, voce Esecuzione, cit., 10; SATTA, Commentario, III, cit.,
455; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, II, Padova, 2009, 251; CAPPONI, Manuale
di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2010, 316. In senso contrario, CASTORO, Il processo di
esecuzione, cit., 766 e DENTI, L’esecuzione forzata in forma specifica, cit., 229 ss., - la cui opinione è
condivisa anche da MANDRIOLI, voce Esecuzione, cit., 565 -, il quale però osserva come limitare la
legittimazione al solo ufficiale giudiziario non avrebbe notevole rilevanza pratica, in quanto in presenza
delle opposte allegazioni delle parti «che diano origine ad una questione (e quindi a difficoltà relative
all’esecuzione) l’ufficiale giudiziario non tanto può, quanto deve provocare l’intervento» del giudice
dell’esecuzione. Il problema dell’individuazione dei soggetti legittimati a ricorrere al giudice
dell’esecuzione risulta invece assai trascurato dalla giurisprudenza. A parte un precedente di merito assai
risalente (Pret. Montevarchi, 14 marzo 1956, in Foro it., Rep. 1956, voce Esecuzione per consegna o
rilascio, n. 15-18, per il quale «se pure ai sensi dell’art. 610 c.p.c. la richiesta di tali provvedimenti deve
essere proposta dalle parti e ai sensi dell’art. 613 c.p.c. essa deve essere proposta dall’ufficiale
giudiziario, ciò nonostante, avendo il pretore facoltà di provvedere d’ufficio, egli può disporre in
ambedue i casi i provvedimenti medesimi su richiesta sia delle parti che dell’ufficiale giudiziario»), la
Cassazione ha più di recente ammesso sia pure in obiter la legittimazione delle parti a ricorrere al g.e.,
avvalendosi dello strumento disciplinato dall’art. 613 c.p.c. (Cass. 1 febbraio 2000, n. 1071, in Foro it.,
2001, I, 1028 ss.; Cass. 6 dicembre 1984, n. 6402, in Foro it., Rep. 1984, voce Esecuzione forzata degli
obblighi di fare o di non fare, n. 2).
130
SATTA, Commentario, III, cit., 441; SCARSELLI, L’opposizione di terzo all’esecuzione per
consegna o rilascio, in Dir. e giur., 1995, 310.
32
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con le opposizioni esecutive)131.
La norma in esame nulla dispone in ordine alle forma introduttiva dell’istanza da
proporre al giudice dell’esecuzione; l’assenza di ogni indicazione normativa si giustifica
con la considerazione che, prevedendo l’art. 613 la sola legittimazione dell’ufficiale
giudiziario, normalmente quest’ultimo rivolge la sua istanza al giudice dell’esecuzione
in forma meramente verbale.
Laddove sia una delle parti a rivolgersi al giudice per l’eliminazione delle difficoltà
insorte nel corso del procedimento, essendo ormai imposto l’obbligo di stare in giudizio
innanzi a tutti i magistrati togati (e quindi in tutti i processi esecutivi) con il ministero di
un procuratore legalmente esercente (art. 82, 3° comma), deve invece ritenersi che unica
forma della domanda di parte sia il ricorso scritto da depositarsi in cancelleria, ai sensi
dell’art. 486 c.p.c.132.
L’interpretazione dell’art. 613 alla luce dell’analoga disposizione contenuta
nell’art. 610 permette poi di risolvere anche talune questioni sorte in relazione alle
modalità di svolgimento del procedimento.
L’art. 613, infatti, si limita a stabilire che per la risoluzione delle insorte difficoltà
il giudice debba utilizzare il decreto; ciò lascia dunque desumere che egli può
legittimamente decidere senza la preventiva audizione delle parti133. È tuttavia possibile
che il giudice dell’esecuzione, avvalendosi del generale disposto dell’art. 485 134 ,
convochi le parti per ascoltarle; in tal caso, il relativo provvedimento, in quanto emesso
in contraddittorio tra le parti, dovrà avere la forma dell’ordinanza135.
131
Così PUNZI, La tutela del terzo nel processo esecutivo, Milano, 1971, 147, in part. 154 ss., secondo
cui la conclusione circa l’impossibilità di un concorso della normativa che trova la propria fonte negli
artt. 610 e 613 con le opposizioni esecutive non esclude comunque la possibilità di un coordinamento
degli artt. 610 e 613 con la normativa delle opposizioni, giacché “attraverso l’autocontrollo, sollecitato
con la richiesta al pretore ex art. 610 o ex art. 613, si realizza pur sempre una verifica preventiva che,
destinata a permettere l’ulteriore corso dell’esecuzione, vale a prevenire il compimento di atti illegittimi o
inopportuni e l’insorgere di conflitti per la lesione di posizioni di interesse di terzi, compimento di atti o
conflitti che, una volta realizzatisi e divenuti, quindi, attuali giustificano in via successiva l’esperimento
delle opposizioni in sede esecutiva per iniziativa delle stesse parti (artt. 615 e 617 c.p.c.) o dei terzi (art.
619 c.p.c.)”.
132
DE DEVITIIS, La risoluzione delle difficoltà nelle esecuzioni in forma specifica: in particolare, il
regime dei provvedimenti del g.e., in AA. VV., Scritti sul processo esecutivo e fallimentare in ricordo di
Raimondo Annecchino, Napoli, 2005, 151. Contra, SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 1028,
la quale ritiene che l’istanza possa essere presentata senza l’osservanza di forme particolari, a decorrere
dall’inizio della procedura esecutiva e fino alla sua conclusione.
133
In tal senso si è espressa anche la Cassazione, con riferimento all’omologo art. 610, a mente della
quale, «il decreto del pretore che si limiti ad impartire “i provvedimenti temporanei occorrenti”, proprio
perché non contiene alcuna statuizione capace di provocare un giudizio di cognizione, non deve essere
emesso previa audizione dell’altra parte» (Cass. 4 ottobre 1994, n. 8079, in Rep. Foro it., 1994, voce
Esecuzione per consegna o rilascio, n. 6; conforme Cass. 9 maggio 1994, n. 4484, id., Rep. 1994, voce
cit., n. 7; Cass. 2 novembre 1993, n. 10815, id., Rep. 1993, voce cit., n. 7; Cass. 16 ottobre 1992, n.
11346, id., Rep. 1992, voce cit., 2).
134
Così CROCI, L’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, in AA.VV., La nuova esecuzione forzata,
diretta da P.G. Demarchi, Bologna, 2009, 1197.
135
DE DEVITIIS, La risoluzione, cit., 155. Secondo quest’ultimo A., peraltro, non bisogna enfatizzare la
differenza tra ordinanza e decreto: a parte che nel nostro ordinamento esistono molte ipotesi di
provvedimenti resi in forma di decreto all’esito di giudizi svoltisi con l’immediata attuazione del
contraddittorio tra le parti (come ad es. accade in tema di procedimenti camerali e per il procedimento di
cui all’art. 28 dello Statuto dei lavoratori), resta fermo che “nel processo esecutivo decreti ed ordinanze
sono di norma assoggettati allo stesso regime (revocabilità e modificabilità finché non abbiano avuto
esecuzione, nonché opponibilità con le forme e nei termini previsti dall’art. 617 c.p.c.), a meno che la
legge non preveda espressamente una disciplina diversa”. In giurisprudenza, fanno riferimento ad ipotesi
in cui il g.e. aveva provveduto con ordinanza dopo aver ascoltato le parti, Cass. 10 ottobre 2003, n.
15176, in Arch. civ., 2004, 921 ss.; Cass. 16 maggio 1998, n. 4925, in Rep. Foro it., 1998, voce
Esecuzione per consegna o rilascio, n. 6; Cass. 9 maggio 1994, id., Rep. 1994, voce cit., 7; Cass. 10
33
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Il decreto e l’ordinanza così pronunciati sono revocabili e modificabili sino a che
non abbiano avuto esecuzione, come previsto dall’art. 487 c.p.c.; sono peraltro
impugnabili con l’opposizione agli atti esecutivi136, e non sono ricorribili in Cassazione
ai sensi dell’art. 111 Cost.137.
L’analisi dell’art. 610 c.p.c. permette altresì di individuare la portata ed i confini
del concetto di difficoltà che il giudice dell’esecuzione deve risolvere nel corso
dell’esecuzione.
Premessa la sostanziale concordia in dottrina circa la differenza tra le «difficoltà» e
le questioni che possono costituire oggetto di opposizione agli atti esecutivi 138 , è
possibile distinguere tra chi ritiene che le difficoltà cui si riferisce l’art. 613 siano di
natura unicamente materiale (i.e. tecnica), con conseguente esclusione di ogni questione
capace di provocare un giudizio di cognizione139 e chi, invece, afferma che l’art. 613
legittimi il g.e. a risolvere anche questioni di opportunità e di diritto, le quali pur
tuttavia non sono tali da dar vita ad una vera e propria controversia, ma semplicemente
ad una risoluzione, incidenter tantum, di una questione tramite un provvedimento del
giudice dell’esecuzione140.
8. Il provvedimento di liquidazione delle spese.
Come è noto, in tema di esecuzione forzata, l’art. 95 c.p.c. (secondo il quale le
spese sostenute dal creditore procedente e dagli intervenuti utilmente partecipanti alla
distribuzione del ricavato sono a carico di chi ha subito l'esecuzione, fermo il privilegio
febbraio 1994, n. 1365, ibid., voce cit., n. 4-5; Cass. 2 novembre 1993, n. 10815, in Foro it., Rep. 1993,
voce cit., n. 7; Cass. 22 agosto 1989, n. 3735, id., Rep. 1989, voce cit., n. 3.
136
Cass. 10 dicembre 1991, n. 13287, in Foro it., Rep., 1991, voce Esecuzione forzata di obblighi di fare
o di non fare, n. 9, secondo cui l’ordinanza resa ai sensi dell’art. 613 (al pari di quella emessa dal g.e. per
la determinazione delle modalità esecutive) ha natura di provvedimento ordinatorio del procedimento
esecutivo, revocabile dallo stesso giudice che lo ha emesso, ai sensi dell'art. 487 c. p. c., o impugnabile
dagli interessati con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi.
137
Cass. 10 ottobre 2003, n. 15176, in Arch. Civ., 2004, 921, per la quale i provvedimenti destinati a
risolvere le difficoltà di ordine materiale insorte nel corso della esecuzione, non possono essere impugnati
con ricorso per cassazione che, se proposto, va, per l'effetto, dichiarato inammissibile, investendo un
provvedimento affatto privo di contenuto decisorio.
138
Così SATTA, Commentario, III, 440 ss.; BUCOLO, Il processo esecutivo, cit. 1054; TRISORIO
LIUZZI, L’esecuzione dei provvedimenti di rilascio d’immobili, in REF, 2003, 7.
139
FURNO, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942, 119;
BUCOLO, op. cit., 1054; TRISORIO LIUZZI, L’esecuzione, cit., 7.
140
DENTI, L’esecuzione, cit., 111 ss., secondo cui, poiché le situazioni sulle quali l’art. 610 è chiamato
ad operare riguardano «la fisiologia e non la patologia del processo esecutivo», le difficoltà cui si riferisce
la norma riguardano questioni di natura processuale, consistenti in «contestazioni che si risolvono in
divergenze di opinioni circa il corso del procedimento esecutivo», in tal modo differenziando l’ambito di
applicazione dell’art. 613 rispetto all’art. 618 c.p.c., essendo l’opposizione agli atti esecutivi volta a
risolvere una vera e propria contestazione circa la legittimità di un atto dell’esecuzione, da risolvere
tramite lo strumento del giudizio di cognizione ordinario. Manca invece in giurisprudenza un analogo
approfondimento della questione: la scarna casistica sull’argomento denota «una chiara tendenza a
riprendere tralaticiamente espressioni e massime comunemente adottate dalle decisioni precedenti» (DE
DEVITIIS, La risoluzione, cit., 162). Al riguardo, pare che la Cassazione privilegi un’interpretazione
restrittiva delle norme in questione, riducendo il potere del giudice dell’esecuzione alle mera risoluzione
di difficoltà materiali (Cass. 10 febbraio 1994, n. 1365, per la quale il giudice della esecuzione è chiamato
a risolvere le sole difficoltà di ordine materiale insorte nel corso della esecuzione, precisando altresì che
questi ha anche il potere di interpretare il titolo esecutivo ai soli effetti della soluzione delle questioni che
rientrano nella sua competenza funzionale; Cass. 25 febbraio 1983, n. 1455, in Foro it., Rep. 1983, voce
Esecuzione forzata in genere, n. 8, a mente della quale i provvedimenti resi dal pretore ex art. 613 c.p.c.
hanno l'esclusiva funzione di rimuovere le difficoltà di ordine tecnico che sorgono in sede di concreta
attivazione del comando contenuto nel provvedimento costituente titolo esecutivo; Analogamente, Cass.
10 ottobre 2003, n. 15176, in Arch. Civ., 2004, 921 ss.).
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stabilito dal codice civile) trova applicazione con esclusivo riferimento
all'espropriazione, in quanto destinata a concludersi con la distribuzione del ricavato, e
non anche all'esecuzione per consegna e rilascio o all'esecuzione degli obblighi di fare e
non fare, ipotesi in cui il regime delle spese risulta viceversa disciplinato,
rispettivamente, dagli artt. 611 e 614 c.p.c., i quali espressamente prevedono che le
spese sono liquidate dal giudice dell'esecuzione, con decreto ingiuntivo costituente
titolo esecutivo contro il soggetto esecutato141.
Le spese dell’esecuzione sono, dunque, a carico dell’obbligato (a meno che non si
tratti di un’esecuzione di fare avviata a seguito dell’inadempimento di un obbligo di
pati, in quanto in quel caso esse gravano sul procedente142); pertanto, l’avente diritto,
una volta anticipate le somme necessarie, per ottenerne il rimborso deve chiedere al
giudice dell’esecuzione la pronuncia di un decreto ingiuntivo, sulla base della nota
spese vistata dall’ufficiale giudiziario143.
Quanto alle spese effettivamente liquidabili, si afferma in dottrina che se per la
pronuncia del decreto ingiuntivo basta che la richiesta formulata dalla parte procedente
sia correlata dalla nota delle spese, redatta dalla stessa parte istante e vistata
dall’ufficiale giudiziario procedente (che ha il compito di attestare l’effettiva
riconducibilità delle spese indicate alle operazioni esecutive), dal raffronto dell’art. 95
con gli artt. 611 e 614 si evince che nelle esecuzioni dirette il creditore procedente non
ha un generico diritto alla ripetizione di tutte le spese sopportate per portare a materiale
compimento il comando contenuto nel titolo esecutivo 144 , ma può chiedere solo la
liquidazione di quanto ha dovuto anticipare in conseguenza dell’inadempimento
dell’obbligo. Ad esempio, nell’esecuzione di un facere consistente nella realizzazione di
un manufatto, il procedente non ha diritto ad ottenere tutti gli esborsi sostenuti laddove
siano stati utilizzati materiali più costosi di quelli già usati145.
Ciò allora ha indotto la dottrina ad affermare che il controllo che il giudice deve
compiere a fronte della domanda del soggetto procedente non deve limitarsi ad un mero
riscontro formale della pretesa avanzata, ma deve scendere anche nel merito della
stessa146. Ne consegue che il g.e. pronuncerà il decreto ingiuntivo nei limiti in cui riterrà
le spese denunciate congrue e riferibili all’esecuzione, lasciando a carico della parte
procedente quelle non giustificate dalla natura del rapporto cui si riferisce il titolo
esecutivo.
Premesso che le spese liquidabili integrano un credito di valuta, per cui l’importo
non può essere maggiorato di rivalutazione o di risarcimento del danno da lucro
cessante, in caso di mancata istanza ad opera della parte sul punto 147 , la dottrina
maggioritaria ritiene che le spese liquidabili con il procedimento ex art. 614 siano non
141
Cass. 29 maggio 2003, n. 8634, in Gius, 2003, 22, 2527
ed in Arch. civ., 2004, 378.
LUISO, Esecuzione, cit., 10. In senso analogo, CRIVELLI, L’esecuzione in forma specifica degli
obblighi di fare e non fare, in AA.VV., Esecuzione forzata e processo esecutivo, coordinamento a cura di
A. Crivelli, Torino, 2006, 1400, per il quale “coloro che fanno valere un obbligo di pati in capo
all’obbligato non hanno … diritto al rimborso delle spese sostenute, se non per quelle che furono
necessarie per vincere la resistenza e gli ostacoli, poiché infatti quelle necessarie per la realizzazione
dell’opera o dell’attività che l’altro deve subire sono certamente a carico dell’avente diritto stesso”.
143
Tra i soggetti legittimati ad avanzare domanda ex art. 614 rientra anche l’ausiliario del giudice che, di
propria iniziativa, abbia anticipato le spese necessarie alla procedura esecutiva (così CRIVELLI, op. cit.,
1400, il quale richiama il precedente di Cass. 908/1953).
144
Ad esempio, non rientrano tra le spese liquidabili con il decreto ingiuntivo anche le spese relative al
precetto, in quanto attinenti ad un atto prodromico all'inizio dell'esecuzione forzata (Cass. 20 gennaio
1994, n. 457; con riferimento all’art. 611, si veda altresì Giudice di Pace Avola, 3 marzo 2000, in Arch.
Loc., 2000, 628) da liquidarsi dall'istante nel precetto stesso.
145
SOLDI, Manuale, cit., 1029.
146
MANDRIOLI, Esecuzione, cit., 772; CARRATO, L’esecuzione in forma specifica, Milano, 2005, 244;
ARIETA – DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di
Montesano e Arieta, Padova, 2007, 1530. Contra DENTI, L’esecuzione, cit., 230; BORRE’, Esecuzione
forzata, cit., 1966, 356.
147
Cass. 17 settembre 2003, n. 13666, in Arch. civ. 2004, 921 ed in Contratti, 2004, 495.
142
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soltanto le spese materiali sopportate per la costruzione o la distruzione del bene, ma
anche i diritti e gli onorari (ora compensi148) del difensore149.
Una risalente decisione di merito150 aveva escluso che la parte potesse utilizzare
per la liquidazione delle spese sopportate per la nomina del difensore lo strumento di
cui all’art. 614, potendo avvalersi del ricorso monitorio ex art. 633 c.p.c.;
quest’orientamento deve però ritenersi ampiamente superato, avendo la Cassazione
affermato che un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 614 (alla luce dei
principi della ragionevole durata del processo e della sollecita soddisfazione del diritto
della parte che ha ragione) consente al creditore di chiedere tramite il procedimento di
liquidazione delle spese il rimborso non solo delle spese materiali affrontate
nell'esecuzione (di cui il processo verbale delle operazioni redatto dall'ufficiale
giudiziario costituisce prova scritta), ma anche delle spese di rappresentanza tecnica151.
La dottrina, pur condividendo tale conclusione, ha rilevato come la ratio della
rimborsabilità delle spese di rappresentanza tecnica ex art. 614 sia da ricercarsi, più che
nella ragionevole durata dei processi, nell'evidente contrarietà al principio di
ragionevolezza e di economia processuale di imporre all'istante un differente regime del
recupero delle varie spese sostenute nel corso dell'esecuzione (diversamente, infatti, si
costringerebbe il creditore a procedere di fronte allo stesso giudice sia ex art. 614 per il
recupero delle spese materiali, sia attraverso l'instaurazione di un procedimento
monitorio per le spese di rappresentanza152).
La previsione dell'art. 614, inoltre, deve essere coordinata con il disposto dell'art.
52 disp. att., secondo cui la liquidazione del compenso degli ausiliari è disposta con
decreto del giudice che li ha nominati. La lettura combinata delle due disposizioni
richiede al giudice dell'esecuzione di provvedere alla liquidazione (con decreto) del
compenso dell'ausiliario (terminata l'opera ovvero richiesto compenso a completamento
di stati di avanzamento) ponendola provvisoriamente a carico del creditore procedente.
Il creditore, dopo aver anticipato le spese, richiederà il rimborso di quanto pagato ex art.
614. Secondo una parte della dottrina, il meccanismo previsto dall'articolo in commento
(anticipo da parte del creditore dei costi dell'esecuzione e successiva possibilità di
rimborso nei limiti in cui sia provato l'effettivo pagamento) non consentirebbe al
giudice dell'esecuzione di disporre, ex art. 612, la costituzione a carico del debitore di
un fondo spese per il compenso dell'ausiliario prima dell'inizio dell'opera, neppure in
casi di opere di complessa esecuzione153.
Laddove il giudice dell'esecuzione abbia, ai sensi dell’art. 612, deciso contestazioni
circa il diritto di procedere ad esecuzione forzata, le spese relative alla fase aperta con
tale contestazione devono essere liquidate con l'ordinanza ex art. 612, trattandosi di un
provvedimento decisorio, sostanzialmente conclusivo di un giudizio di opposizione
all'esecuzione. La giurisprudenza ha di conseguenza escluso che le spese relative a tale
fase processuale, se non liquidate dal giudice in ordinanza, possano esserlo ex art. 614,
148
L’art. 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo
2012, n. 27 ha espressamente abrogato le tariffe professionali. Risulta così definitivamente superata la
distinzione tra onorari e diritti; ne sia riprova la circostanza che il decreto 2 0 l u g lio 2 0 1 2 , n . 1 4 0
( p ub b lic ato i n GU n.1 9 5 d el 2 2 ago sto 2 0 1 2 ) n o n rip r e nd e l a lo gi ca ta ri ffaria d e ll a
r i gid a p r ed et er mi n az io n e d i gr i gl ie l iq uid ato r ie, ma si li mi ta ad o ffr ire p ara me tri p er
i “co mp e n si” o mn i co mp r en s i va me n te co n sid er at i.
149
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 712; LUISO, Esecuzione forzata,
cit., 10.
150
Così Pret. Buccino, 20 giugno 1989, in Arch. Civ., 1990, 65.
151
Cass. 26 maggio 2003, n. 8339, in REF, 2004, 444 ss., con nota di Farina; Cass. 11 novembre 2003, n.
16936, in Guida al diritto, 2004, 12, 43; in precedenza, si vedano già Cass. 16 febbraio 1994, n. 4752, in
Foro it., 1995, I, 881; Trib. Napoli, 20 ottobre 1971, in Rep. Foro it., 1972, voce Esecuzione degli
obblighi di fare, nn. 14 – 16.
152
FARINA, Le spese giudiziali nel processo di esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare. Una
lettura costituzionalmente orientata della Cassazione dell'art. 614 c.p.c., in REF, 2004, 450, spec. 455.
153
CROCI, L'esecuzione forzata per obblighi di fare e non fare, cit., 1199.
36
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per cui la parte che ne ha interesse deve impugnare l'ordinanza ex art. 612 per omessa
pronuncia154.
Non è inoltre da escludere la possibilità per la parte istante di recuperare il proprio
credito alle spese ed ai compensi professionali anche attraverso un ordinario processo di
cognizione o attraverso un procedimento di tipo ingiuntivo 155. In tal caso, tuttavia, il
provvedimento non avrà ipso iure la provvisoria esecuzione che l’art. 614 garantisce
senz’altro al provvedimento di liquidazione delle spese.
Il decreto di liquidazione ex art. 614, infatti, sia che venga emesso al termine della
procedura che nel corso di essa, è da ritenersi provvisoriamente esecutivo156.
Siffatto principio risulta pacifico anche nella giurisprudenza di merito, per la quale
il richiamo all’art. 642 compiuto nell’art. 614 permette di ritenere che il giudice
dell'esecuzione forzata di fare o di non fare, ove riscontri la correttezza delle spese
documentate, provveda con decreto provvisoriamente esecutivo, senza che per tale fine
sia necessaria una dichiarazione apertis verbis nel contenuto del provvedimento157.
Avverso il decreto provvisoriamente esecutivo, l’obbligato può promuovere
opposizione158 159.
In relazione al contenuto dell’opposizione, la giurisprudenza mette in evidenza la
differenza tra questo strumento e quello dell’opposizione all’esecuzione.
Nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per il rimborso delle spese
anticipate dalla parte istante, ben può l'opponente in tale sede far valere contestazioni
circa la congruità delle spese 160 , ma non può far valere gli eventuali vizi
dell’esecuzione, i quali dovranno essere dedotti con i differenti strumenti
dell’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi 161 . Inoltre, poiché il rapporto
processuale tra creditore e debitore è oggettivamente autonomo e scindibile rispetto a
quello intercorrente tra il creditore ed il prestatore d'opera che ha eseguito i lavori, non
154
Cass. 26 maggio 2003, n. 8339, in REF, 2004, 444 ss.
La competenza sulla liquidazione delle spese spetta al giudice dell'esecuzione sia nel caso in cui la
liquidazione sia richiesta dall'istante ex art. 614, sia nel caso in cui essa sia domandata nelle forme
ordinarie (Cass. 11 novembre 2003, n. 16936, in Guida al Diritto, 2004, 12, 43). La circostanza che
soggetto legittimato ad agire sia la parte e non direttamente il difensore esclude che nel caso di specie
possa invocarsi il recente art. 14, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 che espressamente riconduce al rito
sommario di cognizione “le controversie previste dall’art. 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794 e
l’opposizione proposta a norma dell’art. 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo
riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali”.
156
SOLDI, Manuale, cit., 1029, la quale testualmente afferma che “il richiamo alla disposizione dettata
dall’art. 642 c.p.c. deve essere interpretato nel senso che il decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell’art. 614
c.p.c. deve essere provvisoriamente esecutivo”. In senso conforme, CRIVELLI, L’esecuzione, cit., 1399.
157
Giudice di pace Tarcento, 17 aprile 2004; analogamente, Trib. Roma, 7 settembre 2009, per la quale
ciò si desume dal più generale principio di esecutività immediata delle decisioni sulle spese del giudizio
che dovrebbe desumersi dal complesso delle disposizioni contenute nel codice di procedura civile in
materia di spese (artt. 92, 611, 614, 186 ter, 186 quater, 641 u.c. e 669-septies c.p.c., e art. 53 disp. att.,
c.p.c.
158
Giudice competente a conoscere dell’opposizione è lo stesso giudice che ha pronunciato il
provvedimento di liquidazione, essendo quest'ultima competenza di carattere funzionale e non derogabile,
ai sensi dell’art. 614 c.p.c. (vedi Cass. 14 marzo 2001, n. 3735, la quale di conseguenza ritiene
inammissibile il reclamo proposto avverso il decreto di liquidazione delle spese; Cass. 4 aprile 1985, n.
2314. Cass. 11 novembre 2003, n. 16936, cit. ha precisato, in conseguenza di quanto appena affermato,
che alle controversie in questione si applica la sospensione dei termini processuali ai sensi dell'art. 1,
legge 742 del 1969).
159
Qualora il giudice abbia qualificato impropriamente come ordinanza il provvedimento di liquidazione
delle spese, siffatto provvedimento è comunque da ritenersi soggetto ad opposizione ex art. 645 c.p.c.
(anziché al ricorso per cassazione), in virtù del principio della prevalenza della sostanza sulla forma: così
Cass. 12 luglio 2011, n. 15341; Cass. 30 novembre 2010, n. 24260; Cass. 14 marzo 2001, n. 3735.
160
Cass. 3 dicembre 2009, n. 25394.
161
Cass. 15 novembre 1993, n. 11270; Cass. 7 dicembre 1972, n. 3552; Trib. Macerata, 9 giugno 1994, in
Gius 1994, 73.
155
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sussiste litisconsorzio necessario nei confronti di quest'ultimo, essendo onere, se mai,
del creditore medesimo chiamare in causa il terzo cui abbia anticipato le spese per
esserne garantito162.
Infine, si discute se sia possibile utilizzare il meccanismo procedurale in discorso
anche per il recupero delle spese anticipate per l’attuazione dei provvedimenti cautelari.
Al riguardo, la giurisprudenza che ha affermato l'eseguibilità dei provvedimenti
cautelari relativi ad obblighi di fare e di non fare secondo le modalità previste dagli artt.
612 ss., ha coerentemente ritenuto che la competenza sulla liquidazione delle spese
spettasse al giudice dell'esecuzione163.
Diversamente la giurisprudenza che ha escluso l'applicabilità degli artt. 612 e
seguenti all'attuazione dei provvedimenti cautelari, la quale ha coerentemente affermato
la competenza del giudice che ha disposto la misura164.
Per la giurisprudenza prevalente, in particolare, l’applicabilità nell'esecuzione del
provvedimento cautelare dell’art. 614 appare preclusa dalla circostanza che le spese dei
provvedimenti d'urgenza vanno regolate dalla sentenza che definisce il giudizio165.
Le somme sborsate dalla parte, anche per l'esecuzione forzata di un obbligo di fare,
sono infatti semplicemente anticipate, non essendosi ancora realizzato il presupposto
per un definitivo diritto di pretesa, giacché è rimessa al giudice di merito ogni
valutazione in ordine al comportamento processuale delle parti e le relative conseguenze
in ordine alla ripartizione tra le stesse delle spese anticipate. La giurisprudenza che ha
affrontato il tema delle modalità di liquidazione delle spese vive sostenute per
l'esecuzione della misura cautelate ha fatto ricorso ai menzionati principi, pervenendo
alla conclusione della esclusione della possibilità di ricorso ad un separato processo per
il conseguimento dello scopo anzidetto.
Una volta affermato il principio della unitarietà e inscindibilità della fase di
cognizione con quella di esecuzione della misura cautelare, la giurisprudenza è
pervenuta alla conclusione che è inammissibile che una pronuncia sulle spese
dell'esecuzione dei provvedimenti d'urgenza sia contenuta in un provvedimento emesso
dal giudice dell'esecuzione, e non con funzione meramente anticipatoria dell'onere delle
spese, ma di liquidazione definitiva delle stesse, suscettibile di passare in giudicato,
quale il decreto ingiuntivo166, dovendo invece il diritto al loro rimborso farsi valere nel
giudizio di merito167.
Siffatte conclusioni, tuttavia, sono suscettibili di essere riviste alla luce
dell’attenuazione del nesso di strumentalità operato dalla riforma del 2005.
Se è infatti vero che l'attuazione dei provvedimenti cautelari aventi ad oggetto
obblighi di fare non dà luogo ad un processo esecutivo, è altresì vero che l’allentamento
del nesso di strumentalità rende non più necessaria l’instaurazione del giudizio di merito
sull’esistenza del diritto fatto valere in sede cautelare, per cui potrebbe ragionevolmente
162
Cass. 3 dicembre 2009, n. 25394, cit.
Cass. 19 ottobre 2005, n. 20199, in Guida al diritto, 2005, 47, 49; vedi altresì App. Napoli, 11 aprile
2000, in Giur. merito, 2001, 33, con nota di Flammia, per la quale la liquidazione delle spese dei
provvedimenti d’urgenza pur nelle forme dell’esecuzione ex art. 612 è riservata al giudice di merito a
conclusione del relativo giudizio, con conseguente inapplicabilità dell’art. 614.
164
Pret. Catania, 3 dicembre 1994.
165
La Suprema Corte ha infatti sempre sostenuto che la liquidazione delle spese rientrasse in ogni suo
aspetto e in tutta la sua estensione nella competenza esclusiva ed inderogabile del giudice investito della
questione di merito (cfr. Cass. 9 maggio 1983, n. 3192; Cass. 6 novembre 1993, n. 10994).
166
Trib. Novara, 16 gennaio 2006, in www.novaraius.it, 2007.
167
Cass. 30 marzo 2007, n. 7922, la quale ha altresì affermato che il regolamento di competenza avverso
la sentenza, con la quale il giudice, che abbia concesso una misura cautelare, accolga l'opposizione
proposta avverso il decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 614 c.p.c. emesso per le spese dell'attuazione di
detta misura, dichiarando che su tali spese deve provvedere il giudice della causa di merito, è
inammissibile, in quanto tale pronuncia non definisce il giudizio con una pronuncia sulla competenza, ma
con una dichiarazione di improponibilità).
163
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sostenersi che l'ordinanza che concede la cautela possa essere utilizzata per ottenere dal
giudice che l'ha concessa un decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 614, per le spese
sostenute per l'attuazione della misura cautelare.
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L`esecuzione degli obblighi di fare