Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, 86 00187 ROMA ANNO XXIX N. 4 . Aprile 1981 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo 111170 - dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale Alla vigilia del Consiglio europeo di Maastricht risoluzione politica dell'Assemblea dei Delegati del CCE L'Assemblea dei Delegati del Consiglio dei Comuni d'Europa, riunita a Roma il 19 e il 20 marzo 1981 alla vigilia del Consiglio Europeo di Maastricht, mentre constata la paralisi deii'Europa, intende solennemente ricordare le gravi questioni che chiedono in modo prioritario una chiara risposta dei Governi degli Stati europei. Di fronte all'inquietudine suscitata dall'evoluzione delia situazione economica e sociale delilEuropa,la prima risposta politica che dovrebbero date i Governi riguarda il bilancio delia Comunità, che è attualmente al limite di rottura. I Governi devono ormai precisare con la massima rapidità la ptopria posizione nei riguardi delia ristmtturazione di tale bilancio in favore di politiche comuni in materia regionale, sociale, energetica, industriale, tenendo conto del necessario adattamento - nel pieno rispetto dei princìpi enunciati dal Trattato di Roma - delia Politica Agricola Comune, che penalizza attualmente le agricolture povere e accresce gli squilibri regionali. I Governi devono pronunciarsi per l'aumento delle risorse proprie delia Comunità al fine di permettere al bi- lancio comunitario di produrre reali effetti trainanti. Lo sviluppo del Sistema Monetario Europeo, la creazione del Fondo Europeo di riserva non possono più aspettare. Il secondo banco di prova delia volontà politica dei Governi sta nelia loro capacità o meno di riconoscere il compito essenziale, che deve svolgere il Parlamento Europeo, come rappresentante democraticamente eletto dei cittadini europei, nella elaborazione delie politiche comunitarie, che non possono più continuare a decidersi in un giro di esperti delia Commissione e dei Governi. <L'amarezza e la delusione che si fanno sempre più sensibili in molti europei~non si possono combattere che con l'entrata in campo di tutte le forze politiche e sociali democratiche. L'Assemblea dei Delegati conferma che ciò esige uno sviluppo fondamentale neli'ambito istituzionale e in particolare in quel che riguarda le relazioni fra le Istituzioni: il potere e il ruolo del Parlamento Europeo e delia Commissione Esecutiva di Bruxelles, embrione naturale del futuro Governo dell'Europa. Conferma altresì la propria fiducia nel Parlamen- 2 aprile 1981 COMUNI D'EUROPA to Europeo, che deve svolgere il ruolo di Assemblea Costituente che gli spetta. L'Assemblea dei Delegati denuncia l'abuso che viene fatto della regola dell'unanimità da parte dei Governi nazionali, e ricorda che nessun progresso è più possibile senza l'abbandono progressivo di tale regola. D'altra parte, l'Assemblea dei Delegati afferma che l'Europa non deve in alcun caso accettare che nel suo seno si sviluppino le più gravi minacce d a democrazia, come quella che ha appena sperimentato la Spagna, e vede in questi avvenimenti una ragione per ribadire la posizione costante del CCE in favore della partecipazione della Spagna alla Comunità Europea e per impegnarsi nella accelerazione del processo di integrazione che deve, prima di qualsiasi considerazione economica, essere sostenuta come una necessità politica e confermare l'ancoraggio della Spagna d'Europa democratica. L'Assemblea dei Delegati del CCE rinnova infine l'impegno attivo dell'insieme dei Comuni e delle Regioni d'Europa, principale forza di pressione democratica nella costruzione europea, che non si è potuta realizzare e non si realizzerà senza l'appoggio popolare di tutti i cittadini europei. Deciso ad agire in stretta alleanza con il Parlamento Europeo, il Consiglio dei Comuni d'Europa reclama la formazione di un Fronte Democratico Europeo, che riunisca i Poteri locali e regionali e tutte le forze politiche e sociali del progresso. (Approvata aff'unanimità meno un 'astensione) (fa cronaca dei favorì sarà pubblicata nel prossimo numero) XIV Stati generali del Consiglio dei Comuni d'Europa Madrid: 23-26 settembre 1981 Tema generale: Le autonomie locali e regionali, fondamento della democrazia, e l'unità politica dellJEuropa allargata Temi di lavoro: I) il Parlamento europeo: lo sviluppo dei poteri e delle risorse proprie della Comunità per superare la crisi economica, in particolare la disoccupazione, e per assicurare l'equilibrata pianificazione del territorio; 11) le strutture dei Poteri locali e regionali e il loro rapporto con gli stati nazionali, in un quadro europeo e in vista della creazione di una Europa federata. per informazioni rivolgersi a: Segreteria AICCE: piazza di Trevi, 86 - 00187 Roma - tel. 678.45.56 - 679.73.20 aprile 1981 COMUNI D'EUROPA LYeconomia italiana di fronte a un crocevia Pubblichiamo il testo di u n documento elaborato dall'Uffiio economico del Movimento jéderalista europeo edadottato dalla Direzione nazionale del Movimento il13 dicembre 1980. Su questo testo, preparato prima dei provvedimenti finanziab approvati dal Governo italiano, si è svolta n e l h sede dell'AICCE una Tavoìa rotonda cui hanno partecipato il presidente del19AICCE,U mberto Serafini, il vicepresidente del MFE, Alberto Majocchi, e i comkpondenti da Roma dei quotidiani «The Tinzes Business newsw di Londra, John Earle, e del nDe Telegraafw d i Amsterdam, Ysbrand Hiddes Galema. Successivamente, il 28 mattina, il documento è stato oggetto d u n 'altra approfondita analisi da parte di esperti economici e finanziari italiani, nel corso di una manziestazione promossa dal Centro italtano d i formazione europea (CIFE). Infine lo stesso Comitato centrale del MFE, dopo ampio dibattito, ha votato una risoluzione sul documento, che riportiamo integralmente i n questo stesso numero di tComuni dlEuropa~. * * 1 . L'Italia si trova di fronte ad una svolta decisiva. Dopo aver fronteggiato l'attacco alle istituzioni democratiche, che ha presentato anche il volto diabolico del terrorismo, deve confrontarsi con una crisi economica grave che, come si usa dire, tende a provocare il suo distacco dall'Europa. Con un'inflazione galoppante, che devasta il tessuto economico-sociale del paese, e con una politica economica che realizza il consenso soltanto intorno al momento assistenziale, l'Italia è destinata a divenire per il prossimo ciclo storico, che può durare alcuni decenni, un'area arretrata nell'ambito dei paesi industrializzati. Ciò non comporta l'uscita dell'Italia dall'Europa, beninteso a meno di una caduta in un regime illiberale e a patto che l'Europa consolidi la sua unità sul terreno politico-costituzionale; ma significa che vi potrà restare come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo, cioè con una economia strutturalmente più debole. Il prezzo da pagare sarebbe assai elevato: l'Italia rimarrebbe esclusa dall'esperienza industriale più avanzata, quella connessa con la rivoluzione scientifica. Inoltre, con un'economia statica si approfondirebbe il divario fra il Nord ed il Mezzogiorno e diventerebbe più difficile l'inserzione delle nuove leve di giovani diplomati e laureati nel processo produttivo. 2. Di fronte a questo crocevia ciò che bisogna soprattutto tener presente è che la ripresa è possibile solo a patto di riprendere in mano il controllo del processo economico prima che il deterioramento economico-sociale diventi irreversibile. È questo il punto cruciale. Ogni considerazione economica che non riconosca questo fatto e questa necessità non è che un alibi per nascondere l'incapacità di governare, la resa agli interessi corporativi e la rinuncia a servire gli interessi generali. È su questo punto che si vedrà se esiste ancora, o se non esiste più, la volontà di risanare la situazione anche nel campo economico, oltre che in quelli del terrori- smo e dell'efficienza dell'amministrazione. In questo quadro la stessa «moralizzazione~potrebbe diventare, secondo le peggiori tradizioni italiane, l'ultimo alibi per nascondere il fatto che l'Italia va alla deriva e nessuno prowede. Vale dunque una premessa: si può avanzare qualunque proposta istituzionale, di governo o economica, ma se non si dice nel contempo che cosa si crede di dover fare per rimettere sotto controllo la situazione economica, si bara al gioco non solo nei confronti dell'Italia, ma anche nei confronti dell'Europa. La sconfitta dell'Europa a due velocità dipende in gran parte dall'Italia. Solo se l'Italia riuscirà ad impostare una politica di ripresa economica, potrà far pesare maggiormente nelle scelte della programmazione europea anche le esigenze di Grecia, Spagna e Portogallo, favorendo uno sviluppo armonico e equilibrato della Comunità. 3 . La ripresa economica non è possibile senza l'eliminazione dei privilegi corporativi e senza ragionevoli sacrifici, equamente distribuiti, di tutte le parti sociali. È dunque necessaria l'unità nazionale nel senso vero del termine, cioè come impegno di non sfruttare, per scopi politici di parte, interessi economici di parte incompatibili con l'interesse generale. Qualunque sia la formula politica utilizzata, ciò che conta è che, nella presente situazione dell'economia e della società, si possono ottenere risultati effettivi solo con la convergenza dei partiti democratici sui prowedimenti concreti indispensabili. Un punto di partenza c'è: il consenso circa l'obiettivo di restare nello SME e di non svalutare. Anche il presidente del Consiglio Forlani, nel suo discorso prog r a m m a t i ~ ha ~ , ribadito questa posizione. Si tratta in effetti di una scelta decisiva: l'Italia o resta nello SME o promuove l'Europa a due velocità ponendosi da sola al livello più basso. Ma SOMMARIO Pag. Alla vigilia del Consiglio europeo di Maastricht (risoluzione politica dell'Assemblea dei delegati del CCE) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l L'economia italiana di fronte ad un crocevia (documento del MFE) . . 3 Alcune considerazioni sulle società finanziarie regionali in Europa, di Giuseppina Usai . . . . . . . . . . . 6 Cronaca delle istituzioni europee, di Piero Soldati . . . . . . . . . . . . . . 7 Politica agricola comune, climatologia e meteorologia, di Domenico Vento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Mezzogiorno d'Italia, terremoto, mezzogiorno d'Europa, di Gabrieie Panizzi . . . . . . . . . . . . . . . 1 0 Una lingua per l'Europa (I1 parte), di Andrea Chiti Batelli . . . . . . . . 1 3 3 SUI terreno dei fatti questa scelta non è stata ancora operata né dal governo né dai partiti. Dopo l'avvio dello S M E I ~lira si è svalutata rispetto allo scudo e le riserve valutarie effettivamente disponibili si stanno rapidamente esaurendo. La scelta di stare in Europa, condivisa dal governo e dall'opposizione, rischia quindi di rimanere una petizione di principio se non viene affrontato con decisione il problema del risanamento dell'economia italiana e se, nello stesso tempo, non viene perseguito con determinazione l'obiettivo di far avanzare in Europa la costruzione delllUnione economica e monetaria, allo scopo di assicurare il controllo dei fattori inflazionistici che non dipendono dal quadro italiano. A questo riguardo va osservato che l'obiettivo italiano e quello europeo non sono perseguibili separatamente. Per un verso, solo la decisione di avanzare verso la moneta europea può rendere veramente credibile la volontà di procedere verso il risanamento. Per l'altro verso, è evidente che non si può passare da un accordo di cambio, con parità fisse ma aggiustabili, ad una vera e propria Unione monetaria senza aver ristabilito condizioni di equilibrio nell'economia italiana, perché gli altri Stati della Comunità sono disposti ad assistere con prestiti l'Italia durante la fase del riaggiustamento, ma non a finanziare i nostri sperperi. 4. C'è un punto da tener presente: la prospettiva di un rientro graduale dall'inflazione si è nei fatti dimostrata irrealistica. Dopo un lungo periodo di instabilità monetaria le aspettative inflazionistiche si sono consolidate. In queste condizioni una politica anche moderatamente restrittiva ha forti effetti deflazionistici sulla produzione e sull'occupazione, ma incide in misura molto ridotta sulla dinamica dei prezzi. Per queste ragioni un piano a medio termine, fondato unicamente su misure di controllo della massa monetaria, è destinato al fallimento. Vi possono essere indicazioni diverse sulle politiche da adottare, ma in ogni caso occorre preliminarmente mutare l'orientamento delle aspettative, perché con le aspettative ora prevalenti qualunque tentativo di ottenere effetti a medio e lungo termine risulterebbe vano. Gli argomenti contro la politica dei due tempi sono giusti, ma solo se non vengono invocati, in modo meccanico, al solo scopo di nascondere la necessità di invertire dawero la tendenza con prowedimenti puntuali e adeguati. Se non si realizzano misure antinflazionistiche radicali, capaci di incidere in modo efficace sui comportamenti di tutti gli operatori per dare il senso all'opinione pubblica che si è invertita la tendenza, non si possono awiare con risultati positivi le politiche necessarie per riportare il sistema economico a livello europeo. 5. L'inversione di tendenza è possibile soltanto se: a) viene congelato in termini monetari il livello della spesa pubblica corrente, riducendo così il livello del disavanzo grazie all'aumento delle imposte legato all'inflazione che ancora permane nel sistema. L'imposizione di questo vincolo, che ha nei confronti dell'opinione pubblica un effetto importante di annuncio che si vuole effettivamente cambiare strada, aprile 1981 COMUNI D'EUROPA provoca questi effetti positivi: 1) si awia una razionalizzazione della spesa, che è la premessa per aumentarne la produttività; 2) si riduce il deficit, rompendo la spirale perversa per cui il costo del debito pubblico allarga le dimensioni del disavanzo richiedendo ulteriori emissioni di titoli pubblici; 3) si rende possibile in prospettiva un consolidamento del debito pubblico, al fine di restituire autonomia alla gestione della politica monetaria. b) Si realizza, con gli strumenti disponibili e nel quadro dei dispositivi comunitari, il blocco di prezzi, salari e stipendi. Ciò implica, in particolare, il blocco della scala mobile per un periodo di tempo definito (non superiore ad un anno). Questa misura, che vale di per sé come segnale che si intende effettivamente porre sotto controllo l'inflazione, è anche indispensabile per evitare che la crescita automatica di salari, stipendi e pensioni impedisca il successo del blocco della spesa pubblica corrente. Per quanto riguarda i prezzi, per una serie di prodotti essi vengono determinati sul mercato europeo, dove non è possibile realizzare misure di controllo diretto. In questo caso, l'obiettivo di una stabilità dei prezzi pari almeno alla media europea si può conseguire indirettamente attraverso la fissità del cambio. Un blocco diretto (o un controllo più rigido) è invece necessario per i settori non esposti direttamente alla concorrenza internazionale (a partire dai prezzi dei servizi pubblici). I1 sacrificio imposto per un periodo stabilito a priori a chi dispone di redditi da lavoro dipendente, nei confronti dei percettori di altri redditi, può essere compensato con misure di natura fiscale a carattere perequativo. Ma, in ultima istanza, l'accettazione dei sacrifici non può fondarsi che sulla percezione di una seria volontà politica volta a realizzare l'obiettivo di un effettivo rientro dall'inflazione. Va ancora detto che per le imprese la competitività è parzialmente garantita dalla stabilizzazione del costo del lavoro, mentre eventuali aumenti di altre componenti di costo - importazioni rincarate all'origine sul mercato mondiale e beni prodotti da settori non esposti alla concorrenza internazionale e non controllabili direttamente - possono essere compensati attraverso misure fiscali (ad esempio, con la fiscalizzazione degli oneri sociali). C)Viene creata l'Agenzia del lavoro e si può quindi bloccare la politica di trasferimenti assistenziali alle imprese che non riescono ad equilibrare i loro bilanci. Questa misura, che è oggi sostenuta da opinioni autorevoli, consente di intervenire sulla mobilità interaziendale, con corsi di riqualificazione e garanzia del salario. Diventa così possibile rovesciare la tendenza attuale per cui, con motivazioni di carattere apparentemente sociale, vengono premiati i cattivi imprenditori, che dovrebbero invece sopportare le conseguenze della loro condotta sino alla sanzione del fallimento. La creazione dell'agenzia deve essere accompagnata da una riforma della Cassa integrazione guadagni. I lavoratori coinvolti in processi di ristrutturazione aziendale, in attesa di rientrare nel processo produttivo, non devono restare inattivi o. come generalmente awiene, andare ad alimentare il mercato del lavoro nero. Si tratta invece di utilizzare questa forza lavoro in attività socialmente utili, awiando concrete esperienze di servizio civile. 6. Se si realizza l'inversione di tendenza si può awiare una politica di riconversione produttiva necessaria per ritornare a livello europeo, che deve essere nel contempo una politica di sviluppo del Mezzogiorno e di garanzia del livello di occupazione. La politica industriale si è finora fondata essenzialmente su incentivi di natura finanziaria o creditizia. Questi, d'altro lato, rappresentavano la contropartita per gli oneri impropri assunti a proprio carico dai produttori attraverso il sostegno di un'occupazione non necessaria nel quadro dell'attività aziendale. In particolare, il fenomeno ha avuto dimensioni più consistenti nel settore delle partecipazioni statali; ma anche le grandi imprese private hanno sopportato un costo legato al perseguimento di obiettivi sociali di carattere generale. Con la fine della politica assistenziale si tratta di garantire, attraverso l'attivazione di una domanda pubblica adeguata e stabile nel tempo, un clima di certezza per le grandi imprese, sia pubbliche che private, liberate dal peso soffocante degli oneri impropri. In questo modo si possono rapidamente attivare nuovi investimenti, consolidando l'occupazione produttiva. I1 mercato europeo deve diventare il quadro di riferimento per le scelte aziendali; e, per quanto riguarda il finanziamento, le grandi imprese devono essere in grado di attingere risorse sul mercato europeo dei capitali. Questa è l'unica garanzia reale che verranno perseguiti obiettivi di eff~cienza.Nello stesso tempo occorre avere presente che senza un potere europeo, e quindi senza una politica industriale di livello pari a quella delle superpotenze, non si potrà recuperare il terreno perduto nei confronti del Giappone e mantenere il passo con lo sviluppo dell'industria americana, non solo in Italia, ma in tutta Europa. L'operatore pubblico deve anche associare il settore produttivo in programmi di ricerca applicata, che mirino altresì a favorire la crescita della piccola e media industria ad alto valore aggiunto. Questo settore deve giocare infatti un ruolo importante nello sviluppo economico del Mezzogiorno. 7. I1 processo di ristrutturazione industriale si diffonde oggi su scala mondiale. L'Italia ne è rimasta finora esclusa a causa delle rigidità imposte al sistema. Occorre tuttavia essere consapevoli del fatto che, se si vuole un'industria moderna, l'occupazione in questo settore non cresce. La difesa del livello di occupazione, e il riassorbimento delle energie, soprattutto giovanili, attualmente disoccupate, devono quindi essere affidati al settore terziario e ai programmi di creazione di infrastrutture. Lo sviluppo di un terziario avanzato può fornire l'indispensabile supporto all'industria e attivare una rilevante occupazione compatibile con le caratteristiche dell'offerta di lavoro (giovani diplomati e laureati). Si owierebbe tra l'altro all'assurdità della situazione attuale caratterizzata da una forte disoccupazione intellettuale e, nello stesso tempo, da gravissime carenze in settori, soprattutto della pubblica amministra-* promosso dalla nostra Agenzia settimanale di stampa eEuropaRegioni~,in collaborazione con il MFE, si è tenuta il 29 marzo u.s., presso la sede dellYAssociazione,una tavola rotonda per illustrare il documento economico sulla crisi italiana e l'Europa, redatto dal MFE, a cui hanno partecipato giornalisti della stampa estera a Roma, giornalisti italiani ed esponenti di movimenti ed organizzazioni federaliste, nonché della Comunità europea. Nelle foto (sopra): ai tavolo della presidenza, da sinistra, Alberto Majocchi, vice presidente del MFE, che ha introdotto il dibattito, il presidente dell'AICCE, Umberto Seralini, i corrispondenti del tDe Telegraaf~di Amsterciam e del tThe Times Business news, di Londra; (sotto): la sala di riunione delllAICCE, a Piazza Trevi, durante la tavola rotonda. aprile 1981 zione (territorio, beni culturali, solidarietà sociale etc.), che richiedono in larga misura lavoro qualificato. I programmi di infrastrutture possono rispondere a precise esigenze delle collettività locali e dello stesso apparato produttivo, e in particolare possono essere indirizzati sia a migliorare i trasporti, le telecomunicazioni e le condutture di energia (metanodotti), sia a realizzare progetti d i risanamento urbano nelle aree metropolitane degradate. Queste linee di intervento sono compatibili con lo sviluppo del Mezzogiorno. Un segno d i svolta potrebbe essere costituito anche in questo campo, d a una decisione pubblica di grand e rilievo - in ipotesi la costruzione del ponte sullo Stretto d i Messina -, come simbolo d i una diversa volontà generale, volta a legare strettamente il Mezzogiorno all'Europa. Nello stesso tempo, si deve cogliere I'occasione offerta dalla coincidenza tra seconda revisione del regolamento del Fondo europeo di sviluppo regionale e rinnovo della legislazione sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno per porre a fondamento della nuova politica meridionalista una stretta connessione tra misure comunitarie e misure nazionali e regionali, da realizzarsi anche con l'istituzione d i una snella Agenzia tecnica al servizio della Comunità, del governo nazionale e delle regioni, al posto della vecchia Cassa per il Mezzogiorno, divenuta ormai il simbolo per eccellenza della politica assistenziale. 8. Sull'economia italiana si è abbattuta anche la catastrofe del terremoto, che ha colpito tra l'altro le zone più fragili del paese dal punto d i vista economico-sociale. Occorre quindi far fronte alle esigenze finanziarie urgenti della ricostruzione; ma non è pensabile d i reperire le risorse necessarie fra le pieghe del bilancio, e neppure con il ricorso a nuove imposte che, come è avvenuto con l'aumento della benzina, andrebbero a colpire le categorie di reddito già più falcidiate dall'inflazione. L'unico strumento finanziario capace di far fronte a queste esigenze straordinarie è quindi il prestito; e le condizioni sono favorevoli per I'emissione di u n prestito denominato in scudi sul mercato europeo dei capitali. I1 prestito ha una funzione interna, in quanto incide sulle disponibilità liquide del pubblico, al fine di evitare che la nuova domanda generata dalla ricostruzione alimenti ulteriori effetti inflazionistici; e una funzione esterna in quanto, per la quota collocata sul mercato internazionale, fornisce la valuta necessaria per pagare le importazioni addizionali legate alla crescita della domanda. I1 sottoscrittore italiano è posto al riparo dal rischio di svalutazione della lira, in quanto alla scadenza viene rimborsato sulla base dell'equivalente in lire dell'ammontare espresso in scudi. Nello stesso tempo, I'emissione può avvenire a costi più contenuti, in quanto chi acquista i titoli è disposto ad accettare tassi di interesse più bassi, grazie alla garanzia di conservazione del valore capitale. L'emissione del prestito in scudi per la ricostruzione può rappresentare I'occasione per avviare una liberalizzazione dei movimenti di capitale e per integrare il mercato italiano nel 5 COMUNI D'EUROPA mercato europeo dei capitali. Nella stessa prospettiva si deve collocare anche la proposta del Tesoro di procedere ad u n progressivo consolidamento del debito pubblico fluttuante attraverso I'emissione di titoli di Stato denominati in scudi. La sottoscrizione è certo facilitata se ai prestatori viene garantita la possibilità di investire alla scadenza il proprio denaro sul mercato europeo dei capitali. Se la ricostruzione viene finanziata in larga misura ricorrendo alla solidarietà europea, è necessario prevedere adeguate misure di controllo sull'impiego dei fondi a livello comunitario. L'idea, autorevolmente sostenuta, di creare un' Agenzia modellata sull'esempio della Tennessee Valley Authority, che abbia il compito d i cogliere l'occasione della ricostruzione per awiare u n processo reale d i sviluppo delle aree interne del Mezzogiorno, può essere favorevolmente accolta dagli Stati della Comunità se collegata ad u n controllo d a parte di una apposita commissione che operi all'interno del Parlamento europeo. 9. Questo insieme d i misure, che mira a debellare il flagello dell'inflazione e ad awiare su basi solide una nuova fase d i sviluppo economico, presuppone, come requisito necessario per avere probabilità d i successo, un rafforzamento della prospettiva europea. Se questa condizione non si realizza, il progetto manca d i credibilità politica. I1 risanamento dell'economia italiana è quindi strettamente legato all'avanzamento in Europa della costruzione dell'unione economica e monetaria. Nel breve periodo- questo implica: a) una decisione che elimini il vincolo dell'l O h per I'IVA in modo da consentire, attraverso l'aumento delle risorse proprie, un rafforzamento delle politiche comuni e u n aumento del bilancio comunitario almeno fino ad u n livello pari al 2 , 5 Oh del PIL europeo, come indicato dal Rapporto MacDougai1 e come proposto, alla conclusione della sua presidenza della Commissione, da Jenkins; b) la creazione del Fondo monetario europeo, per garantire il passaggio alla seconda fase dello SME. In questo modo lo scudo potrà effettivamente essere impiegato nei regolamenti internazionali, al di là delle sue attuali funzioni di unità di conto. La creazione della moneta europea, e il rafforzamento parallelo del bilancio comunitario, rappresentano in effetti le condizioni essenziali per la realizzazione di u n progetto che miri al risanamento dell'economia italiana. Ma queste decisioni europee, che implicano u n trasferimento di competenze, non vengono prese anche e soprattutto perché nella struttura istituzionale attuale della Comunità l'esecutivo è troppo debole e quindi non offre le garanzie indispensabili. Per questo il governo e i partiti in Italia devono sostenere con vigore I'iniziativa assunta all'interno del Parlamento europeo d a un gruppo di deputati, volta ad awiare, sulla base del voto europeo e delle sue potenzialità, una profonda riforma istituzionale della Comunità. Il futuro delllItalia e dell'Europa dipende dall'esito d i questo tentativo, perché senza una effettiva capacità di governo a livello europeo non si può formare la volontà politica europea indispensabile per affrontare la sfida della storia. La risoluzione federalista I1 Comitato centrale del Movimento federalista europeo, riunito a Roma il 28 marzo 1981 horda che già la Direzione nazionale del 13 dicembre 1980, con il documento <L'economia italiana di fronte a un crocevia,, ha denunciato lo stato di crisi dell'economia italiana indicando - che solo una radicale inversione di tendenza può evitare che l'Italia diventi un'area arretrata nell'ambito dei paesi industrializzati - che un rientro graduale dall'inflazione è ormai impossibile, in quanto le aspettative inflazionistiche si sono consolidate e quindi una manovra monetaria restrittiva ha effetti soltanto sui livelli di produzione e di occupazione, e non sul tasso di inflazione - che una radicale inversione di tendenza è possibile soltanto con una politica di controllo dei prezzi e dei redditi, accompagnata da una drastica riduzione del disavanzo pubblico - che solo su questa base è possibile una politica attiva di riconversione industriale, che deve essere sostenuta dalla creazione di una agenzia del lavoro d e v a che il governo - con la manovra monetaria strozza la produzione aggravando in misura insopportabile i contrasti sociali - con le concessioni retributive ai gruppi più forti e con la dilatazione della spesa pubblica improduttiva alimenta la disgregazione corporativa dello Stato - con la svalutazione della lira favorisce il rafforzamento dell'Europa a due velocità denuncia la gravità della manovra in corso per attaccare la scala mobile, senza aver prima posto sotto controllo l'inflazione propone che, nel quadro di una drastica politica di rientro dall'inflazione, venga sospeso per un periodo non superiore a un anno il funzionamento della scala mobile senza intaccarne il meccanismo -, contemporaneamente all'introduzione delle nuove aliquote IRPEF in modo da garantire una compensazione di natura fiscale per i redditi più bassi osserva che una politica di risanamento implica l'eliminazione dei privilegi corporativi e ragionevoli sacrifici, equamente distribuiti, di tutte le parti sociali e non è quindi possibile senza l'unità nazionale, intesa come irnpegno di non sfruttare, per scopi politici di parte, interessi economici di parte incompatibili con l'interesse generale &adisce che la creazione di un governo che esprima l'unità nazionale non è possibile senza un rafforzamento della prospettiva europea e, in particolare, senza un deciso impegno per una riforma delle istituzioni che renda più efficace il governo della Comunità, al fine di garantire il rafforzamento delle politiche comuni, l'unione monetaria e un'attiva partecipazione dell'Europa all'instaurazione di un nuovo ordine economico e monetario internazionale riafferma che senza un rilancio coraggioso del processo di integrazione europea la convergenza per le economie dei paesi membri diventa irrealizzabile e l'ulteriore sviluppo della Comunità impossibile. 6 Alcune considerazioni sulle società finanziarie regionali in Europa* di Giuseppina Usai Le Finanziarie Regionali, quali strumento di intervento dei pubblici poteri a livello regionale, sono presenti nella realtà di alcuni paesi della C.E.E., ma non di tutti. Le Finanziarie Regionali, infatti, esistono in Belgio, Francia, Italia ed Olanda, quali organismi che operano finalisticamente per lo sviluppo economico a livello regionale. In altri paesi quali Danimarca e Germania, I'attività di intermediazione finanziaria per lo sviluppo regionale è di pertinenza di organismi del sistema bancario. Caratteristiche differenti presentano Gran Bretagna e Irlanda, dove la politica degli investimenti nelle uassisted area* e nelle uprogramm regions~,è gestita completamente da enti della pubblica amministrazione quali 1'I.D.A. (Industria1 Development Authority) per l'Irlanda e la N.E.B. (National Enterprise Board) per la Gran Bretagna. È pure da notare che la presenza e l'incisività dell'azione, nei paesi CEE in cui le Finanziarie Regionali operano, varia da paese a paese. E certo che le Finanziarie Regionali si sono sviluppate ed hanno assunto rilevanza soprattutto nell'economia regionale italiana, mentre, tra i paesi in cui esse sono presenti, l'Olanda è quello in cui hanno minore rilevanza. Può essere opportuno, comunque, presentare qualche cenno, seppure sintetico, sulle finalità, natura e risultati conseguiti dalle Finanziarie Regionali in Francia, Belgio e Olanda, mentre, owiamente per la realtà delle Finanziarie Regionali Italiane non si può che rinviare alle pregevoli analisi fatte da autorevoli studiosi. aprile 1981 COMUNI D'EUROPA regione Brabante. Altre importanti finanziarie che operano, fornendo capitali di rischio alle imprese sono la S.N.I. (Societé Nationale d'Investissement) e le S.R.I. (Societé Régionale d'Investissement). La legge 2.7.1962 istitutiva della S.N.I. impone-un orientamento degli investimenti della società verso le regioni dove maggiori sono gli squilibri territoriali e settoriali. Beneficiari degli investimenti, in particolare, sono le piccole medie imprese che non possono accedere facilmente al mercato dei capitali. Sia la S.N.I. che la S.R.I. sono enti di diritto pubblico con struttura di società per azioni. La S.N.I. può acquistare partecipazioni azionarie, che hanno durata temporanea, ed obbligazioni convertibili in azioni. Al momento della costituzione il capitale sociale era sottoscritto per circa 114 dallo Stato, 1l2 da Istituti Finanziari di pubblico interesse e circa 114 da altri azionisti. Una legge del marzo 1976 ha imposto che solo lo Stato e le istituzioni di interesse pubblico possono essere azionisti delle società. L'attività della società è sottoposta alla vigilanza di commissari governativi che controllano se la gestione della SNI risponde agli obiettivi di politica nazionale. La legge istitutiva della SNI ha previsto la struttura delle SRI che ha come oggetto sociale di favorire la creazione e l'ampliamento di aziende industriali e commerciali che operano sul piano regionale. Tali SRI esistono sulla carta, ma non sono state ancora costituite. La SNI presenta un'attività molto varia sia riguardo ai settori economici che per la localizBELGIO zazione delle imprese. Tale politica risponde all'esigenza di mantenere l'equilibrio generale In Belgio le Società di Sviluppo Regionale sopur intervenendo a sostegno delle piccole imno state istituite in base all'art. 15 della legge prese in difficoltà. Una strategia di diversifica15 luglio 1970 sull'organizzazione della pianizione degli investimenti ha consentito di coprificazione e decentralizzazione economica. re i notevoli rischi che esistono necessariamente Le S.D.R., oltre a fornire al Consiglio Economico Regionale di competenza informazioni per la «sua funzione pubblica di promozione e dati che sono necessari all'elaborazione del economicas. progetto del Piano regionale, dispongono, in base alle norme statutarie, di un potere genera- FRANCIA le sia per la promozione di attività industriali Le S.D.R. francesi, sono Società per azioni che per l'assetto del territorio. Esse possono, istituite con decreto del 30 giugno 1955 nel con proprie risorse, espropriare, ristrutturare, quadro dei prowedimenti di sviluppo regionavendere immobili nonché svolgere tutte quelle le. In base al loro statuto possono intervenire: azioni tendenti a fare aumentare gli investimenti pubblici e privati previsti dal Piano. Con - con acquisto di partecipazioni di minoil concorso tecnico e finanziario delle S.N.I. e ranza nella misura massima del 25 % del loro con indicazioni del uOffice de Promotion In- Capitale Sociale e del 35% del capitale delle dustrielle~possono fare eseguire direttamente imprese finanziate; progetti industriali. - con concessioni di crediti a medio termiAttualmente esistono in Belgio sette S.D.R. ne (da sei a otto anni) con prezzi propri e di di cui cinque operano nella regione del «Gewecrediti a lungo termine. stelijsche Economische Raad voor Vlaanderen*, Per agevolare l'attività delle S.D.R. lo Stato una nella regione Vallonia ed, infine, tre nella accorda benefici fiscali e, per i primi dodici an(*) Comunicazione presentata da Giuseppina Usai, proni di attività, garantisce un dividendo minimo fessore incaricato all'Università di Cagliari, al Convegno del 5%. svoltosi al .Forte Village~il 9, 10 e 11 ottobre 1980 sul teAttualmente le S.D.R. sono quindici, distrima .Finanziarie regionali. Il sostegno alle attività economibuite su tutto il territorio nazionale. che locali e la gestione dei fondi speciali,. Alcune si sono limitate ad una sola regione (SDR Bretagne, Pas de Calais, Picardie) altre si sono sviluppate in un territorio interregionale (Mediterranée che copre Provenza e Corsica ecc.). In relazione alla dimensione assunta non solo nelle varie regioni francesi, ma anche all'estero si può riconoscere come il criterio guida degli investimenti delle SDR francesi sia stato spesso la redditività dell'investimento, piuttosto che la soluzione di obiettivi prioritari di sviluppo economico. Inoltre prowedono, in sede locale, a risolvere i problemi di riconversione e ristrutturazione industriale e di assetto del territorio le S.E.M. (Société Mixte locales d'Equipement). Molte società sono sorte per costruzione di autostrade, zone industriali attrezzate e costruzione e gestione di mercati di interesse nazionale. OLANDA I1 Paese ha rivolto essenzialmente a due aree la politica di sviluppo regionale: area del NordEst e la parte meridionale di Limburgo, zona minerario-carbonifera da riconvertire. Tra gli istituti finanziari che forniscono prestiti e capitali di rischio il più importante a livello nazionale è il uDe Nationale Investeringsbank~che controlla il 32% del capitale della Nederlandsche Partecipatie Maatschappij (N.P.M.) di Amsterdam che è una società di partecipazione. A11'Aia opera la Financierings Maatschappij Industrie1 Garantiefonds. Nelle uaree di sviluppo* cioè a Nord-Est del Paese è stata creata la finanziaria De Noordelijke Ontwikkelings Maatschappij (NOM), svolge la sua attività di finanziaria di partecipazione nelle imprese già esistenti e nelle imprese ex-novo, nonché in joint-ventures con capitali stranieri. Nel Sud Limburgo operano la SEOL (Stichting Economische Ontwikkeling ZuedLimburg) e I'ETiL (Economiche Technologish Institut Limburg) come centri di assistenza e consulenza ai nuovi progetti di localizzazione industriali. Condusioni Le Finanziarie Regionali nel Belgio, Francia ed Olanda, seppure con comportamenti e tipologie differenti, hanno come obiettivo comune lo sviluppo economico della regione. In questa prospettiva le Finanziarie Regionali trovano nella Programmazione una guida ai loro investimenti, assolvendo, più coerentemente, l'obiettivo di sviluppo regionale. L'osservazione che si può muovere alle varie situazioni dei paesi CEE è che, oggi, di fronte ai «mutamenti strutturali dell'economia», la via nazionale allo sviluppo della regione non è sufficiente a garantire lo sviluppo e, quindi, il recupero del divario regionale. Le imprese che operano nelle regioni meno favorite sono, per il modo con cui ricercano lo sviluppo, uestran e o ai nuovi mutamenti strutturali deli'economia. Infatti, a dimostrazione di ciò è difficile trovare, in queste regioni, imprese a forte potenziale di crescita e, se esistono, esse sono gestite totalmente da iniziative straniere. aprile 1981 COMUNI D'EUROPA Cronaca delle Istituzioni europee I problemi della partecipazione del1'Italia agli strumenti finanziari CEE 1. Molti elementi che compongono il quadro della politica economica e finanziaria della Comunità fanno pensare (e fanno temere) che si arriverà al vero e proprio negoziato sulla riforma del bilancio sulla base di iniziative del Consiglio e delle amministrazioni nazionali che avranno già svuotato i possibili contenuti della riforma. Se è vero che uno dei nodi della riforma è dato dalla necessità di cambiare radicalmente i meccanismi della politica agricola, le ultime vicende dei prezzi agricoli indicano che la tendenza è invece per una rinnovata difesa degli interessi corporativi, a detrimento di una visione globale, coerente ed organica delle politiche comunitarie. In uComuni d'Europa9 n. 211981 davamo una valutazione positiva delle posizioni assunte dal Ministro del Tesoro Andreatta nel Consiglio finanze del 16 febbraio: non prevedevamo che all'interno del governo italiano, sulla spinta delle organizzazioni di categoria, potesse prevalere, nel giro di poche settimane, la posizione irresponsabile del ministro dell'agricoltura Bartolomei. Di fatto il ministro del tesoro ha compiuto nel successivo Consiglio finanze del 16 marzo un drastico cambiamento di rotta, schierandosi insieme al collega francese contro le proposte della Commissione e contro le sue stesse proposte (condivise da inglesi e tedeschi), tese a definire un quadro finanziario certo per le spese della PAC. Risulta così evidente che il governo italiano, dopo aver sostenuto per anni l'obiettivo di affiancare ai tradizionali strumenti di garanzia del mercato per i prodotti continentali una più accentuata politica a favore delle strutture agricole, chiede oggi: a) il mantenimento dell'attuale PAC, con strumenti di finanziamento open-ended; b) un aumento dei prezzi e delle spese agricole superiore al tasso di aumento delle risorse proprie; C) la garanzia comunitaria anche per i prodotti strutturalmente eccedentari; 4 la penalizzazione delle altre politiche di bilancio ad effetti strutturali (Fondo Sociale e Fondo Regionale). di Piero Soldati servizi della Commissione si sono mossi sinora alla ricerca, spesso impietosa, di quei settori di bilancio che possono consentire risparmi ed economie sostanziali e che i settori più colpiti potrebbero essere quelli per i quali l'Italia ha mostrato una notevole propensione al.. . ritardo o alla mancata utilizzazione. Le proposte, ancora generiche, che ricordiamo di seguito, presentate dal ministro Scotti prima in Consiglio dei Ministri e poi alla Giunta Affari Comunitari del Senato non debbono essere sottovalutate e l'autocritica che egli fa deve sollecitare il governo e le forze politiche a prendere rapidamente delle decisioni coerenti c m le conclusioni del rapporto Scotti. Per quanto riguarda il Fondo Sociale, il rapporto afferma che ai1 problema è rappresentato dalla possibilità di gestione da parte della struttura pubblica del tipo di programmi finanziati dal F.S.E. Infatti, solo se si è in condizione di garantirne il funzionamento ed il controllo in tempi brevi, si può sperare di ottenere risultati tangibili e all'altezza delle disponibilità finanziarie esistenti*. (Poiché gli orientamenti definiti dalla Commissione - prosegue Scotti - privilegiano i progetti finalizzati che rispondano a specifiche occasioni d'impiego o a tipiche situazioni di crisi territoriali o settoriali, è facile prevedere che la nostra possibilità di finanziare, attraverso il F.S.E., il considdetto consolidato regionale, si ridurrà proporzionalmente alla maggiore rigidità con cui la Comunità pretenderà il rispetto degli orientamenti e alle più ampie capacità dei nostri partners europei di presentare progetti finalizzati^. a11 problema che si deve affrontare nei prossimi anni - propone il Ministro Scotti - è quello della valorizzazione dei finanziamenti comunitari su progetti finalizzati ed iniziative convergenti verso una politica attiva del mercato del lavoro~.In questo senso ale azioni auspicabili per far fronte a questa situazione sono di due tipi: a) quelle che presuppongono le manifestazioni di una specifica volontà politica di rinnovamento dell'intero sistema; b) quelle che presuppongono un semplice adeguamento delle procedure verso standard 2. Qualunque esercizio a livello governativo di maggiore efficienza, anche sulla base di moo parlamentare per migliorare l'efficacia dei delli operativi in vigore in altri paesi CEE. fondi comunitari nei confronti dell'Italia viene Per quanto riguarda il Fondo Regionale, così a perdere di significato, se il governo italia- Scotti afferma che uun più razionale utilizzo no continuerà a sostenere una linea di condotta dei contributi comunitari è ipotizzabile solo perdente in partenza. nell'ambito di un intervento coordinato, colloCi chiediamo fino a che punto il ministro cabile nel quadro di una effettiva azione di Scotti potrà accettare una situazione di questo programmazione, che, sulla base delle esigenze genere, senza trarne le conseguenze politiche di ristrutturazione e potenziamento dell'attiche più volte, alla fine del 1980, aveva lasciato vità industriale, anche nella prospettiva di risoluzione degli attuali punti di crisi, prospetti intravedere. Il rapporto Scotti, ricordato in Comuni obiettivi di sviluppo articolati territorialmente d'Europa di febbraio, individuava correttamen- e settorialmente, individuando l'insieme degli te le carenze dell'Italia, da una parte, e della strumenti necessari al loro raggiungi mento^. Sul piano pratico al'azione deve rivolgersi alComunità, dall'altra: è bene che si sappia che i la limitazione delle richieste di contributi per progetti di irrilevante dimensione, al maggiore ricorso all'art. 12 FESR e all'istituzione di un fondo di rotazione agganciato anche alle possibilità di bonifico per i progetti a favore degli investimenti realizzati negli Stati meno prosperi (bonifici SME, n.d.r.)~. Sul versante comunitario aè ipotizzabile I'accentramento del coordinamento dell'attività di intervento per lo sviluppo regionale in un'Agenzia alla quale non competerebbero compiti gestionali, propri degli Stati*. 3. La Commissione, come abbiamo ricordato più volte, si appresta a decidere, all'inizio di maggio, i suoi orientamenti sulla riforma del bilancio: colpisce la pervicace volontà dell'Esecutivo comunitario di escludere le forze politiche ed il Parlamento europeo da un dibattito che, a livello nazionale, sarebbe stato da tempo al centro delle discussioni politiche. Immaginiamo infatti che in Italia il Parlamento dia mandato al governo di preparare un progetto di riforma del bilancio dello Stato: non è difficile prevedere che già la fase preparatoria all'interno del governo sarebbe accompagnata da discussioni parallele nei partiti, fra gli esperti e nelle forze economiche e sociali. Per la Commissione esecutiva tutto ciò è inconcepibile ed essa preferisce invece preparare le sue proposte nel chiuso della sua struttura tecnocratica, riservandosi piuttosto la possibilità di compromessi di basso profilo con i rappresentanti delle amministrazioni nazionali. Si conoscono tuttavia alcuni orientamenti generali, almeno per il Fondo Regionale e Sociale, sui quali è opportuno che ci si cominci a confrontare. Politica regionaie avi è una questione fondamentale - afferma la Commissione in un recente rapporto interno - cioè di sapere se si vuole escludere o no l'idea di limitare le operazioni del Fondo Regionale a taluni Stati membri (un fondo netto) e, in conseguenza, di eliminare progressivamente o abolire l'attuale sistema delle quote*. Politica s o c d e «Il.regolamento del Fondo Sociale deve essere riesaminato entro il 1982 e, se necessario, già nel 1981: considerato l'effetto reciproco fra le operazioni di politica regionale e sociale sembra opportuno un esame coordinato di queste politiche. Ciò condurrebbe alla presentazione di alcune idee per l'esame del Fondo Sociale nella prima parte del 1981,. 4. Su questi temi è nostra convinzione che le organizzioni dei poteri locali non possano restare a lungo assenti, ma che devono intervenire al più presto con proprie proposte specifiche. Una proposta operativa potrebbe essere quella di organizzare una estresa, (la Conferenza degli anni '60 sulla PAC) per la riforma del Fondo Sociale e del Fondo Regionale, alla quale chiamare le Regioni, il CCE, la Commissione, il Parlamento europeo ed i ministri europei interessati. Invitiamo sin d'ora gli amministratori locali dell'AICCE a dare una risposta a questa nostra proposta. 8 aprile 1981 COMUNI D'EUROPA Politica agricola comune, climatologia e meteorologia di Domenico Vento Pubblichiamo questo articolo di Domenico Vento, dell'llfficio centrale di ecologia agraria e difesa delle piante coltivate dalle avversità meteoriche del Ministero dell'agricoltura e foreste, per suoi indubbi njYessi sia sui comuni rurali, che, più in generale, sulle amministrazioni regionali. 1. Introduzione Uno dei problemi sempre di attualità ed urgenti del mondo agricolo è la sicurezza del reddito e la sua comparabilità con quello di altri settori produttivi dell'economia. La sua soluzione dovrebbe spettare per lo più all'intera comunità nazionale o sovranazionale; esso è un problema peraltro implicitamente previsto anche dall'art. 39b del Trattato della Comunità Europea (l), in cui si fa riferimento ad alcuni concetti, che dovrebbero essere ispiratori della politica agricola comune. E pure vero d'altronde che quest'ultima è in grande difficoltà e che non è ancora chiaro se debba essere modificata o rifondata (l). In ogni caso però, assieme ai molti problemi di carattere politico, essa dovrà certamente affrontarne di altrettanto importanti, ma più propriamente scientifici, anche se legati, essi pure, alla necessità sia della diminuzione dei rischi di produzione e di commercializzazione dei prodotti, sia dell'incremento dei raccolti. In tale settore, tra l'altro, dovrebbero avere un peso particolare nell'impostazione dei programmi di attività, per esempio i risultati e le acquisizioni provenienti da indagini e ricerche climatiche e meteorologiche finalizzate all'agricoltura. La climatologia e la meteorologia hanno entrambe, come oggetto di studio, l'atmosfera, cioè a5000 milioni di milioni di tonnellate di aria (2); la prima è stata per l'appunto definita come lo studio del clima, cioè dell'einsieme delle manifestazioni atmosferiche, compresa la loro frequenza e variabilità, che in un periodo sufficientemente lungo finiscono per verificarsi in una localitàs (3). La seconda è invece una scienza che studia le proprietà dell'atmosfera e i fenomeni fisici, che in essa hanno luogo. gia agraria, cioè dello studio dei rapporti tra fattori fisici e processi produttivi in agricoltura, possono concorrere sia a selezionare opportunamente le colture in base alle proprie esigenze biologiche, sia a predisporre le pratiche più adeguate in dipendenza delle specie agrarie e dei loro momenti fenologici. Qui nasce il concetto di rischio climatico, variabile da soggetto a soggetto vegetale, ma che significa, in concreto, che per ogni coltura esiste una situazione ambientale ottimale di sviluppo e tanto più ci si allontana da essa, tanto più ne viene intaccato il rendimento produttivo. E chiaro dunque che per qualunque operatore agricolo viene ad essere doverosa la conoscenza di tale rischio al momento di programmare la propria attività. I1 clima non è solo un bene nazionale, ma di tutta la comunità umana, tant'è vero che si è sentita l'esigenza di coordinare tutte le conoscenze climatiche, in generale, in un Programma Climatologico Mondiale lanciato recentemente dall'Organizzazione Meteorologica Mondiale. Esso mira a coordinare, approfondire e a rendere disponibile per tutti i possibili utenti, come un bene comune globale, i dati climatici di qualunque natura e da qualunque parte provengano. Ciò dovrebbe consentire di valutare meglio il cosiddetto effetto climatico, che ogni azione dell'uomo può produrre sulla sua stessa esistenza ed anche p.e. su quella delle piante. Tale diminuzione climatica è così importante in agricoltura che è stato detto (l), esaminando gli attuali problemi della politica agraria della Comunità europea: aogni analisi che trascurasse la dimensione ecologica dell'agricolturas (che, come visto, coinvolge strettamente anche quella climatica) asarebbe ormai sospetta e pericolosas. In effetti in tal caso, rimanendo all'ultimo aggettivo, si potrebbe pensare che si vogliono superare i veri problemi dell'agricoltura con soluzioni inadeguate in quanto mancanti di elementi essenziali di giudizio e di programmazione. E dunque inevitabile che non si prescinda dal favorire le attività in grado di approfondire quanto più possibile le conoscenze climatiche necessarie all'agricoltura, se si vogliono «portare le popolazioni rurali allo stesso tenore di vita delle popolazioni cittadine, l'economia agraria allo stesso livello di quella industriale, (4). D'altronde la CEE ha già istituito un programma di studi climatologici finanziato (cioè con proprio concorso di spese al 50% ) al fine di promuovere, nell'ambito della Comunità, ricerche relative a temi, che si possono sintetizzare come appresso indicato: - conoscenza del clima e modelli climatici; - interconnessioni fra clima e problemi umani. Anche l'Italia, in tale ambito, ha avuto un suo gruppo di ricerche finanziate; esse sono condotte da istituti scientifici ed università. 3. Meteorologia Le conoscenze meteorologiche possono essere orientate: I - sia alla previsione a breve, media e lunga scadenza della esuccessione delle situazioni meteorologiche in un determinato giorno, settimana, mese o stagione* (3); il che in agricoltura, unitamente ad altri elementi biovegetali, può concorrere alla formulazione di utilissime previsioni di carattere agiometeorologico; I1 - sia ad interventi positivi su alcune manifestazioni atmosferiche che, se lasciate al loro sviluppo naturale, potrebbero provocare danni alle colture; il che rientra nella scienza relativamente giovane della modifica artificiale del tempo. La meteorologia, come ogni altra scienza, è internazionale; ma anche come servizio, per sua stessa natura, è eminentemente sovranazionaie; per tale concorso di motivazioni sono plurinazionali molti degli importanti programmi di lavoro che la riguardano. Senza stare ad insistere sulla mole di studi correlati al punto I, si può qui, per tutti, ricordare il progetto GARP (programma di ricerca globale sull'atmosfera) dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale. I1 GARP tenta di aunire i ricercatori di tutto il mondo in un unico S ~ O ~ ~(2) O Dper intensificare e rendere ottimali, tra l'altro, i rilievi meteorologici su tutto il globo, al fine di capire l'origine dei fenomeni atmosferici per prevederne l'apparizione e " mettere di definire quantitativamente parametri ambientali che, nell'ambito della ecolo- rampa di lancio dei razzi antigrandine Oblako utilizzati daiia difesa sovietica deiia Repubblica di Moldavia. aprile 1981 l'evoluzione. L'Europa, a tale scopo, ha predisposto un apposito satellite, il Meteosat, e un elaboratore molto potente a Reading, vicino Londra, specificamente istituito per il miglioramento delle tecniche di previsione a media scadenza (cioè fino a 10 giorni). In riferimento poi al punto 11, si può dire che i soggetti atmosferici sono un po' tutte le cosiddette awersità, per ognuna delle quali sono tuttora in atto studi allo scopo di attenuare le conseguenze negative sulla vita di ogni giorno. Molte di queste awersità, considerata la loro frequenza, possono dar luogo in alcune aree geografiche ad un rischio atmosferico, analogo al climatico, definibile, come p.e. la frequenza e l'intensità del danno dovuto alla grandine. Ne risulta allora assolutamente doverosa sia la sua definizione, sia la predisposizione di azioni miranti a ridurlo al minimo, se non addirittura ad eliminarlo. A volte i danni alle colture provocati dalle awersità atmosferiche sono così elevati da assumere le proporzioni di veri e propri udanni sociali*; il che sottintende che non dovrebbe essere compito del singolo operatore agricolo approntare adeguate difese,, bensì della comunità, nazionale o sovranazionale, che dunque dovrebbe intervenire per mettere in atto azioni di identificazione delle cause e dei rimedi necessari alla prevenzione. Spesso, in tale quadro, un serio approccio ai problemi fa nascere naturalmente una collaborazione scientifica internazionale. <Sembra pertanto lecito applicare (in campo agrario) alle attività prevalentemente sperimentali (del tipo appena considerato) la possibilità, prevista dall'art. 41a del Trattato, di un coordinamentov (4) comunitario delle ricerche. «Ciò è molto importante perché una vasta diffusione degli esperimenti - condotti con criteri omogenei - può vantaggiosamente supplire ad una lunga durata degli stessi, ed è pertanto lecito augurarsi che.. . la sperimentazione.. . di una efficiente difesa aantiatmosfericav (cioè contro le awersità atmosferiche) venga compresa tra le direttive proposte dalla CEE - ai sensi dell'art. 43 - a tutti gli Stati membriv (4). Alcuni dei problemi di difesa dalle awersità del resto sono già affrontati in collaborazioni internazionali. Se ne ricordano qui di seguito alcune: il Grossversuch IV e il PEP. a) Grossversuch IV Si tratta di una collaborazione europea (Italia, Francia e Svizzera) che vuole accertare quanto è efficace un sistema preventivo di lotta antigrandine messo a punto nella Repubblica sovietica di Moldavia. E una ricerca attualmente al massimo di attenzione nei settori internazionali specializzati, compresa I'Organizzazione Meteorologica Mondiale. Essa dovrebbe aver termine nei 1981-1982. Si ricorda peraltro anche il progetto italojugoslavo di difesa comune antigrandine in una zona di confine attorno a Gorizia. Esso è al momento nella fase conclusiva dei problemi diplomatici connessi. 6) PEP Si tratta di un progetto di studio, awiato COMUNI D'EUROPA sotto I'egida dell'organizzazione Meteorologica Mondiale, al fine di studiare come incrementare artificialmente la quantità di pioggia in zone in cui sono carenti le risorse idriche per la popolazione. Una grossa parte delle operazioni in campo è previsto che sia effettuata in Spagna. 4. Considerazioni finali I1 Clima e la Meteorologia sono, si è detto, un bene comune e la loro migliore valorizzazione richiede la risoluzione di problemi, la cui dimensione di approccio spesso non può che 9 Esso è stato proposto dalla CEE che, insieme all'ENEL, ne è responsabile per la gestione e per il funzionamento. CEE ed ENEL lo hanno peraltro finanziaLo al 50% (8). Ancora più specificamente per l'agricoltura si può del resto affermare «che il potenziale intervento dell'energia solare nei consumi agricoli.. . può considerarsi, almeno in parte, tecnologicamente maturo (p.e. per) tutte le applicazioni che richiedono calore a bassa temperatura e modeste potenze meccaniche ed elettriche, (9). Nel quadro del ubmtto tempov sono invece centro operativo radar del Grossversuch IV. Aeroporto militare di Ernmen (Lucerna) - Svizzera. essere almeno europea. L'augurio allora è che ciò sia pienamente recepito dalla politica agraria comunitaria. Tale esigenza si fa intanto già strada ed è, si può affermare, implicita p.e. in Italia nel Piano Agricolo Nazionale (5), laddove p.e. si prevede la <istituzione di una rete agrometeorologica per la conoscenza dei dati più particolareggiati sul clima in funzione di una più idonea dislocazione delle colture e per una difesa più efficace e tempestiva*. Ugualmente è la medesima esigenza a farsi viva quando si intende sfruttare p.e. il <bel tempo, ed il <cattivo tempov a scopi energetici. Si ricordino p.e. i piani di impiego dell'energia solare. L'energia proveniente dal sole è ricevuta dalla Terra in quantità tale che uin un solo anno è 10 volte superiore a tutte le riserve conosciute di energia fossile e uranio, (6). Si può anche dire che in un anno la sua quantità, a livello del suolo, può considerarsi pari «a quasi 70.000 miliardi di tonnellate di petrolio equivalente (tep), cioè quasi diecimila volte il consumo attuale, (7). Per utilizzare al meglio esistono vari progetti quale p.e. il Progetto Solare nell'ambito del Progetto Finalizzato Energia del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Ancora. in questo settore di utilizzazione dell'energia solare' è di rilievo i' progetto Eurelios, che a maggio 1981 dovrebbe inaugurare vicino a Catania una centrale operativa, che, particolarmente imgenere, è portante. awiati i progetti di sfmttamento dell'energia eolica e delle arisorse idrauliche, (6). Sono dunque molte e particolarmente importanti, com'è owio, le attività ed i servizi sensibili all'andamento climatico ed ai processi meteorologici dell'atmosfera. Va da sé allora che ogni sforzo nella direzione degli studi e delle ricerche in materia devono essere favoriti ad ogni livello, anche europeo ed oltre, in quanto essi saranno di certo remunerativi; basti pensare che, riguardando il settore agricolo, da calcoli molto accurati compiuti in campo internazionale risulta che una adeguata assistenza meteorologica migliora di almeno il 5 % la produzione globale. Riferimenti bibliografici (I) V. Guizzr - Modifica o rifondazione della politica agricola comune - Comuni d'Europa, Anno XXM, n . l. 1981. (2) L. BROOMHEAD - Meteorologia del bel tempo - Scienza. anno XXI.n. 10. ottobre 1980. (3) E. ROSINI - Clima e microclimi - Grande Enciclopedia Fabbri della Natura, n. 89. Fabbri Editori, 1981. (4) C. TREBESCHI - 11 rischio atmosfericoe meteorico in agricoltura - Banca e Credito Agrario. 1959. (5) GAZZETTA UFFICIAIJ. supplemento srraordinario al n . 288 del 20 ottobre 1980 - Piano Agricolo Nazionale - Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica, Comitato interministeriale per la politica agricola e alimentare. (6) M. MAGGI- L'energia alternativa più antica del mondo Scienza e Vita. anno 111. n. 3. marzo 1981, Rusconi. (7) G. FRANCIA - La stazione solare a torre Sant'Ilario:risultati, siainbientale, vita oggi, anno V, n , 2, tuazione, febbraio 1981. (8) P. DEPAOLI - Alla prova del Sole - Scienza e Vita, Anno 111. n. 3, marzo 1981, Rusconi. (9) P. ACCARDO - Attuali applicazioni in agricoltura dell'energia solare, Vita oggi, anno V, n. 2, febbraio 1981. 10 COMUNI D'EUROPA Mezzogiorno d'Italia, terremoto, mezzogiorno d'Europa di Gabriele Panizzi Riportiamo questo intervento del consigliere regionale del Lazzo, Gabrieie Panizzi, membro dell'Esecutivo dell'AICCE, tenuto recentemente a/ Consiglio regionale, per il lucido inquadramento del problema meridionale nell'indispensabile quadro europeo. Abbiamo colto l'occasione per riproporre anche &une pagine del libro a CrLrto si è fermato a d Eboliw , di Carlo Levi, che non hanno bisogno di commento. * Forse si sta awerando la profezia di Giustino Fortunato: «il Mezzogiorno, sappiatelo pure, sarà la fortuna o la rovina dell'Italias. I1 Mezzogiorno, quello esfasciume pendulos, come Giustino Fortunato lo chiamava. Questa domanda credo sia doveroso porcela in occasione della discussione circa l'eventuale esclusione di quella parte del Lazio che fin dagli inizi dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno, attraverso la Cassa per il Mezzogiorno, era stata inclusa negli ambiti di detto intervento straordinario. La discussione credo debba essere posta in relazione ad alcuni fatti contingenti, la questione del terremoto, ad esempio, ed in relazione ad altri fatti più strutturali che riguardano il modo come, durante questi 30 anni, nel Mezzogiorno si è intervenuti e la collocazione europea del Mezzogiorno, senza considerare la quale, forse 30 e 30 anni ancora saranno destinati a trascorrere piangendo sulle amare sorti del Mezzogiorno senza, però, riuscire a dare un contributo per risolverle. Non sto qui a dire lo squarcio drammatico che per la realtà meridionale è conseguito alla vicenda del terremoto. Voglio dire soltanto che, forse, il terremoto, paradossalmente, rende sostenibile, più che se non vi fosse stato, l'argomento di mantenere il Lazio nell'ambito dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno con alcune considerazioni che farò tra poco. Credo che lo scenario di arretratezza, connotato dalle vicende della camorra che ci sta rendendo ancora una volta famosi su scala europea e forse mondiale, deve imporre una considerazione circa la possibilità di procedere alla cosiddetta ricostruzione: ho timore quando si usa questo termine in conseguenza di eventi sismici, perché dirlo è facile, tradurlo in realtà è oggettivamente molto più difficile e, soprattutto, è molto difficile (stavo per dire impossibile, ma mi trattengo dal pronunciare questa parola perché sarebbe oltre modo sfiduciata e grave) che la ricostruzione awenga in termini rapidi e bene, in una realtà come quella meridionale dove lo Stato non esiste, dove non esiste capacità imprenditoriale, dove esiste immensa una profonda sfiducia da parte di tutti i cittadini che, come è stato detto diecimila volte, hanno percepito lo Stato, il governo, la società soltanto attraverso il carabiniere, soltanto attraverso colui che impone le tasse, i balzelli, mai attraverso interventi che fossero un contributo alla risoluzione dei drammatici e millenari problemi del Mezzogiorno. Se questa è la situazione, è difficile che avvenga non soltanto una ricostruzione degli abitati ma anche la costruzione dell'intero tessuto economico e produttivo, perché poi questo problema è il problema del Mezzogiorno. Dobbiamo quindi stare molto attenti a determinare un regresso di quelle zone di frontiera, come anche io amo chiamare almeno una parte della Regione Lazio, che potrebbero consentire alle stesse popolazioni del Mezzogiorno (a quelle della Campania, ad esempio) un riferimento importante in termini di lavoro almeno nel periodo di tempo (lungo purtroppo, a mio parere) durante il quale si dovrà procedere alla costruzione di un tessuto produttivo e alla ricostruzione degli abitati. Quindi - ripeto paradossalmente le vicende del terremoto devono far meditare anche coloro che hanno sostenuto, in sede di Ministero per gli Interventi straordinari per il Mezzogiorno, di Consiglio di Ministri, sui giornali, anche recentemente, doversi tagliare quelle parti del Lazio e delle Marche in quest'ultimo trentennio compresi nel territorio dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno. Anche costoro dovranno ripensare alle loro posizioni, perché - ripeto - la fascia meridionale del Lazio può costituire un argine per una fuga che, vergogna del nostro Stato, si sta ormai accentuando non solo e non tanto nel territorio nazionale, ma addirittura nel territorio europeo. A migliaia fuggono dal Mezzogiorno per raggiungere le zone ricche del centro Europa: là dove ci si ricorda dei problemi delle aree depresse, e quindi del Mezzogiorno d'Italia, in termini che non riguardano le modificazioni strutturali di quelle zone. Ora gli interventi awengono in termini di sussistenza o di beneficienta, che, certo, non può non essere apprezzata in questo drammatico momento, ma che lascia tuttavia irrisolto il problema del Mezzogiorno d'Italia. Non è possibile che soltanto in questi momenti, attraverso forme di assistenza e di beneficienza, si riconosca che i problemi del Mezzogiorno d'Italia ed eventualmente delle altre aree marginali d'Europa, siano da affrontare su scala comunitaria. Questa vergogna della fuga dei nostri meridionali che vanno ad aggiungersi a coloro che già fuggirono, perché lavoro non trovarono né buone condizioni di vita nella terra che li vide nascere, deve essere considerata anche dal punto di vista di una sorta di barriera operativa, produttiva che dobbiamo mantenere, anzi intensificare nella nostra regione di frontiera, in quella parte del Lazio cioè che fino ad oggi è stata considerata nell'ambito territoriale degli interventi straordinari del Mezzogiorno. Se così dovesse non awenire, il mio convincimento è che vi sarebbero inconvenienti gravi anche per la stessa città di Roma. Essa diventerebbe meta di coloro che vanno cercando di arrangiarsi, di campare alla giornata la propria vita e che potrebbero quindi trovare più opportuno venire nelle nuove borgate intorno a Roma a congestionare ulteriormente aprile 1981 questa metropoli nazionale, dove già molte difficoltà si incontrano per la risoluzione dei problemi abitativi e del lavoro. Quindi guardino i governanti, le forze politiche, le organizzazioni delle parti sociali (imprenditori e lavoratori), guardino il problema della esclusione o meno della zona del Lazio in termini che siano più generali, soprattutto in questo momento in cui la situazione del Mezzogiorno è drammatica. Non si pensi che una modesta quota, quale quella che potrebbe, in via ipotetica, essere risparmiata eliminando, tra le zone di intervento, il Lazio e le Marche (in base alle esperienze finora maturate, tale quota è intorno al 7 % , 8% dell'intervento complessivo dello Stato italiano nel Mezzogiorno), possa dare un contributo reale alla risoluzione dei problemi del Mezzogiorno. Viceversa si valutino i danni che conseguirebbero alla eliminazione dell'intervento nell'ambito laziale e marchigiano. E d'altra parte si pensi anche che se dovesse awenire la esclusione del Lazio non sarebbero solo manchevoli, in questa zona, gli interventi nazionali, a sostegno delle attività produttive e di sviluppo; sarebbe anche impossibile intervenire attraverso gli strumenti finanziari comunitari, ai quali credo debba porsi molta attenzione (dovremmo migliorare la utilizzazione delle risorse comunitarie attraverso un miglioramento della nostra capacità di progettare interventi). Un discorso più generale va quindi fatto per il Mezzogiorno. Temo che persista da parte dei nostri governanti, di una larga fascia della cosi detta classe politica, una sostanziale incultura europea. Ritengo inoltre, che si debba molto criticare l'intervento nel Mezzogiorno durante questi trent'anni, il che non significa dire che tutto debba essere buttato a mare. Ma credo che se a trent'anni di distanza, nonostante gli sforzi che si sono susseguiti, ci troviamo ancora a dover constatare, attraverso le tragiche vicende del terremoto, lo stato dell'arretratezza in cui il Mezzogiorno continua a versare, allora forse vi sono delle ragioni strutturali, che caratterizzano il nostro Mezzogiorno, che il nostro Stato non è in condizioni di rimuovere in relazione alla dinamica della economia su scala internazionale e quindi dobbiamo capire come meglio agganciare il discorso del Mezzogiorno d'Italia all'Europa. I1 Mezzogiorno d'Italia è una delle aree del mezzogiorno d'Europa e il mezzogiorno d'Europa non sta soltanto al sud, sta anche al nord, sta ovunque vi siano aree marginali e periferiche rispetto a quell'area centrale d'Europa che è cresciuta sul sangue degli emigranti, non soltanto meridionali italiani, ma spagnoli e portoghesi e greci e turchi e jugoslavi, che sono arrivati a consentire che il centro Europa, in una economia di tipo capitalistico, potesse avere la crescita che l'ha caratterizzata nonostante la situazione di difficoltà - certo tutto è relativo - che in questo momento riguarda anche l'economia delle aree centrali, e quindi forti, d'Europa. Ebbene noi dobbiamo richiedere, attraverso un'attenta politica del nostro Stato, sordo, attraverso i suoi governi, al linguaggio europeo, che finalmente vengano messi in atto prowedimenti genuinamente politici che consentano alle istituzioni comunitarie europee di aprile 1981 11 COMUNI D'EUROPA avere risorse proprie di gran lunga superiori a quel modesto 0,8% dei prodotti lordi dei singoli Paesi comunitari, per poter intervenire a sanare quegli squilibri che - ripeto - sono stati gli stessi che hanno determinato la crescita portentosa delle economie e delle società europee centrali. Dobbiamo chiedere che vengano messi in atto provvedimenti politici per consentire l'accrescimento delle risorse proprie della Comunità europea portandole - come è stato scritto rare un nuovo provvedimento per gli interventi straordinari per il Mezzogiorno, restando conniventi con una politica intergovernativa europea fallimentare, che non consente il superamento degli squilibri tra zone ricche e zone povere del nostro continente, né un rapporto nuovo tra i Paesi europei e i Paesi del Terzo Mondo - devono uscir fuori dal grigiore che domina il dibattito sul Mezzogiorno ormai da trent'anni e comprendere che la via del sud, la via della rinascita meridionale, non è quella di Leggere e meditare Col 1981 «Comuni d'Europa» entra nel suo 29' anno di vita: può considerarsi una delle più longeve riviste federaliste di tutta Europa. La raccolta delle sue annate rappresenta la memoria storica dell'AICCE, per non dire di tutto il CCE; di riflesso si ritrova nelle sue pagine l'intera storia delle battaglie per l'unità europea e della partecipazione ad essa dei militanti di base dal 1952 ad oggi. Crediamo che la veste dimessa della nostra rivista non inganni nessuno: la ricchezza delle sue informazioni alle fonti, il rispecchiare le riflessioni dei principali cervelli pensanti che sono stati e sono dietro al processo di integrazione sovranazionale, le documentate magagne di tanto pseudo-europeismo siamo convinti non siano sfuggiti a nessuno. «Comuni d'Europa» ha resistito economicamente fino ad oggi, ma i costi editoriali crescono vertiginosamente: chi vuole che questa rivista, unica nel suo genere, continui a vivere e anzi migliori, dovrebbe sentire l'obbligo morale di abbonarsi (se la riceve in omaggio) e di procurarci abbonamenti (anche sostenitori o benemeriti) e inserzioni pubblicitarie. nel famoso rapporto MacDougall - al 2,5 % , almeno dei prodotti nazionali lordi dei Paesi CEE. Soltanto in questo modo vi sarà la possibilità di interventi realmente più efficaci per affrontare la nostra questione meridionale. D'altra parte non possiamo dimenticare che il problema del Mezzogiorno, dal punto di vista dell'apparato produttivo che lo deve caratterizzare, si pone in relazione sia alla politica agricola europea sia alla politica industriale. Le due cose sono connesse. La politica agricola europea sarà la tomba dell'Europa se non si provvederà a modificare la politica agricola comune, smettendola di sostenere le agricolture dei Paesi forti a scapito delle agricolture dei Paesi deboli e quindi anche del Mezzogiorno di Italia, da una parte; dall'altra proprio in relazione agli onerosi prelievi nella politica agricola comune, liberando risorse finanziarie per gli altri interventi, ad esempio, in materia di politica industriale. Tali interventi, però, non possono non essere ricondotti ad una visione federale dell'Europa, attraverso la quale si possa finalmentè privilegiare il momento politico rispetto a quello economico. Oggi sono le multinazionali a stabilire, senza alcuna possibilità di contestazione (né da parte degli organi comunitari europei, né da parte dei governi nazionali, né a maggior ragione, da parte delle Regioni) di aprire e chiudere i cancelli delle fabbriche in relazione a valutazioni di opportunità che attengono giustamente alla loro sfera di intervento, ma che sarebbe dovere dei governi nazionali contrastare non con un ritorno a vecchie forme di nazionalismo ma con il coraggio di affrontare la questione su scala sovranazionale, europea. Questo è il problema del Mezzogiorno di Italia. I nostri governanti - che si accingono a va- togliere una fetta di territorio che per trent'anni è stato parte dell'ambito dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno, ma consiste nell'individuazione delle politiche che consentano davvero di rimuovere quegli ostacoli che scoprimmo nel 1860 e che sono presenti nella più feconda letteratura meridionale e meridionalista (da Fortunato a Salvemini a Einaudi a Gobetti a Gramsci a Musatti). La linea della rinascista meridionale credo sia stata in questi anni disattesa proprio a causa della incapacità di collocare la questione meridionale in una dimensione diversa rispetto a quella clientelare, dell'assistenza parassitaria, dello scoordinamento e della mancanza di un piano e del collegamento alla realtà nazionale. Questi discorsi dobbiamo avere l'onestà di farli. Pertanto diciamo che non occorre giungere alla eliminazione di zone territoriali di intervento; è necessario, viceversa, ricercare i modi attraverso i quali, dopo aver collocato il problema nella dimensione europea, poter determinare una maggior selezione degli interventi a sostegno di iniziative estranee alla camorra, alle clientele, allo sperpero del pubblico denaro, ma volte a vantaggio dei produttori reali, degli agricoltori che vogliono realmente risolvere una delle più grosse questioni del Mezzogiorno, quella agricola appunto. Occorre cioè, individuare criteri e meccanismi di selezione anche se paradossalmente possono portarci a nessun intervento straordinario nella zona laziale e10 in quella marchigiana. Un modo corretto di intervenire dopo trent'anni è dimostrare che non vi sono le condizioni per l'intervento straordinario, la situazione economica complessiva essendo tale da non richiedere sostegno: questo modo noi possiamo onestamente accettare. Infatti dobbiamo non rinserrarci in una dimensione provinciale, o, peggio ancora, di mantenimento degli interventi per il sostegno di attività parassitarie e clientelari. Dobbiamo quindi affrontare la discussione con severità perché vogliamo essere meridionali e meridionalisti, ma non potremmo farlo se dovessimo soltanto etichettare il maggior o minor tasso di meridionalismo con la eliminazione, appunto, di una modesta quota di interventi, quella che atterrebbe al Lazio e alle Marche, o se, viceversa non dovessimo avere il coraggio di rivendicare una più approfondita discussione sulle questioni, nei termini generali (ai quali ho fatto riferimento) e di merito. E con questo spirito che noi socialisti riteniamo debba essere rivendicata la permanenza degli ambiti territoriali laziale e marchigiano nella zona di intervento straordinario e, con il Governo e con tutti coloro che si occupano di questo argomento, debba essere affrontato il problema delle modalità di intervento, dei collegamenti nazionali e internazionali della questione. Con altrettanta serenità di quella con cui chiediamo il mantenimento della nostra Regione e delle Marche nell'ambito territoriale dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno, potremmo così anche accettare la ulteriore diminuzione dell'intervento straordinario. Quindi vogliamo fare una valutazione complessiva; non vorremmo essere esclusi dal potere fare questa valutazione. Siamo una Regione di frontiera che ha titoli per affrontare con serenità questa discussione, siamo attenti e pensosi dei rapporti col Mezzogiorno: non ci si venga a dire che è soltanto con una modesta decurtazione territoriale che ci si etichetta con un tasso di meridionalismo maggiore di quello che finora vi è stato. da ((Cristosi è fermato a EboZi:, dt' Carlo Levi Una organica federazione di infinite autonomie Già il treno ci riportava, oltre la capitale, verso il sud. Era notte, e non mi riusciva di dormire. Seduto sulla dura panca, andavo ripensando ai giorni passati, a quel senso di estraneità, e alla totale incomprensione dei politici per la vita di quei paesi verso cui mi affrettavo. Tutti mi avevano chiesto notizie del mezzogiorno; a tutti avevo raccontato quello che ave- vo visto; e, se tutti mi avevano ascoltato con interesse, ben pochi mi era parso volessero realmente capire quello che dicevo. Erano uomini di varie opinioni e temperamenti: dagli estremisti più accesi ai più rigidi conservatori. Molti erano uomini di vero ingegno e tutti dicevano di aver meditato sul %problemameridionale* e avevano pronte le loro formule e i loro schemi. COMUNI D'EUROPA Ma così come queste loro formule e schemi, e perfino il linguaggio e le parole usate per esprimerli sarebbero stati incomprensibili all'orecchi0 dei contadini, così la vita e i bisogni dei contadini erano per essi un mondo chiuso, che neppure si curavano di penetrare. Erano, in fondo, tutti (mi pareva ora di vederlo chiaramente) degli adoratori, più o meno inconsapevoli, dello Stato; degli idolatri che si ignoravano. Non importava se il loro Stato fosse quello attuale o quello che vagheggiavano nel futuro: nell'uno o nell'altro caso era lo Stato, inteso come qualcosa di trascendente alle persone e alla vita del popolo; tirannico o paternamente prowidente, dittatoriale o democratico, ma sempre unitario, centralizzato e lontano. Di qui la impossibilità, fra i politici e i miei contadini, di intendere e di essere intesi. Di qui il semplicismo, spesso ammantato di espressioni filosofeggianti, dei politici, e I'astrattezza delle loro soluzioni, non mai aderenti a una realtà viva, ma schematiche, parziali, e così presto invecchiate. Quindici anni di fascismo avevano fatto dimenticare a tutti il problema meridionale; e, se ora dovevano riproporselo, non sapevano vederlo che in funzione a qualcosa d'altro, alle generiche finzioni mediatrici del partito o della classe, o magari della razza. Alcuni vedevano in esso un puro problema economico e tecnico, parlavano di opere pubbliche, di bonifiche, di necessaria industrializzazione, di colonizzazione interna, o si riferivano ai vecchi programmi socialisti arifare l'Italia,. Altri non vi vedevano che una triste eredità storica, una tradizione di borbonica servitù, che una democrazia liberale avrebbe un po' per volta eliminato. Altri sentenziavano non essere altro, il problema meridionale, che un caso particolare della oppressione capitalistica, che la dittatura del proletariato avrebbe senz'altro risolto. Altri ancora pensavano a una vera inferiorità di razza, e parlavano del sud come di un peso morto per l'Italia del nord, e studiavano le prowidenze per owiare, dall'alto, a questo doloroso stato di fatto. Per tutti, lo Stato avrebbe dovuto fare qualcosa, qualcosa di molto utile, benefico e prowidenziale: e mi avevano guardato con stupore quando io avevo detto che lo Stato, come essi lo intendevano, era invece l'ostacolo fondamentale a che si facesse qualunque cosa. Non può essere lo Stato, avevo detto, a risolvere la questione meridionale, per la ragione che quello che noi chiamiamo problema meridionale non è altro che il problema dello Stato. Fra lo statalismo fascista, lo statalismo liberale, lo statalismo socialistico, e tutte quelle altre future forme di statalismo che in un paese piccolo-borghese come il nostro cercheranno di sorgere, e l'antistatalismo dei contadini, c'è, e ci sarà sempre, un abisso; e si potrà cercare di colmarlo soltanto quando riusciremo a creare una forma di Stato di cui anche i contadini si sentano parte. Le opere pubbliche, le bonifiche, sono ottime cose, ma non risolvono il problema. La colonizzazione interna potrà avere dei discreti frutti materiali, ma tutta l'Italia, non solo il mezzogiorno, diventerebbe una colonia. I piani centralizzati possono portare grandi risultati pratici, ma sotto qualunque segno resterebbero due Italie ostili. I1 problema di cui parliamo è molto più complesso di quanto pensiate. Ha tre diversi aprile 1981 aspetti, che sono le tre facce di una sola realtà, lontano dalla vita, idolatrico e astratto, perpee che non possono essere intese né risolte sepa- tueranno e peggioreranno, sotto nuovi nomi e ratamente. Siamo anzitutto di fronte al coesi- nuove bandiere, l'eterno fascismo italiano. stere di due civiltà diversissime, nessuna delle Senza una rivoluzione contadina, non avremo quali è in grado di assimilare l'altra. Campamai una vera rivoluzione italiana, e viceversa. gna e città, civiltà precristiana e civiltà non più Le due cose si identificano. I1 problema mericristiana, stanno di fronte; e finché la seconda dionale non si risolve dentro lo Stato attuale, continuerà ad imporre alla prima la sua teocra- né dentro quelli che, senza contraddirlo radizia statale, il dissidio continuerà. La guerra at- calmente, lo seguiranno. Si risolverà soltanto tuale, e quelle che verranno, sono in gran parte fuori di essi, se sapremo creare una nuova idea il risultato di questo dissidio secolare, giunto politica e una nuova forma di Stato, che sia anora alla sua più intensa acutezza, e non soltan- che lo Stato dei contadini; che li liberi dalla loto in Italia. La civiltà contadina sarà sempre ro forzata anarchia e dalla loro necessaria indifvinta, ma non si lascerà mai schiacciare del tut- ferenza. Né si può risolvere con le sole forze del to, si conserverà sotto i veli della pazienza, per mezzogiorno: ché in questo caso avremmo una esplodere di tratto in tratto; e la crisi mortale si guerra civile, un nuovo atroce brigantaggio, perpetuerà. I1 brigantaggio, guerra contadina, che finirebbe, al solito, con la sconfitta contane è la prova: e quello del secolo scorso non dina, e il disastro generale; ma soltanto con sarà l'ultimo. Finché Roma governerà Matera, l'opera di tutta l'Italia, e il suo radicale rinnoMatera sarà anarchica e disperata, e Roma di- vamento. Bisogna che noi ci rendiamo capaci sperata e tirannica. di pensare e di creare un nuovo Stato, che non I1 secondo aspetto del problema è quello può più essere né quello fascista, né quello lieconomico: è il problema della miseria. Quelle berale, né quello comunista, forme tutte diverterre si sono andate progressivamente impove- se e sostanzialmente identiche della stessa relirendo; le foreste sono state tagliate, i fiumi si gione statale. Dobbiamo ripensare ai fondasono fatti torrenti, gli animali si sono diradati, menti stessi dell'idea di Stato: al concetto d'ininvece degli alberi, dei prati e dei boschi, ci si è dividuo che ne è la base; e, al tradizionale conostinati a coltivare il grano in terre inadatte. cetto giuridico e astratto di individuo, dobbiaNon ci sono capitali, non c'è industria, non c'è mo sostituire un nuovo concetto, che esprime risparmio, non ci sono scuole, l'emigrazione è la realtà vivente, che abolisca la invalicabile diventata impossibile, le tasse sono insopporta- trascendenza di individuo e di Stato. L'indivibili e sproporzionate: e dappertutto regna la duo non è una entità chiusa, ma un rapporto, malaria. Tutto ciò è in buona parte il risultato il luogo di tutti i rapporti. Questo concetto di delle buone intenzioni e degli sforzi dello Sta- relazione, fuori della quale l'individuo non to, di uno Stato che non sarà mai quello dei esiste, è lo stesso che definisce lo Stato. Indivicontadini, e che per essi ha creato soltanto mi- duo e Stato coincidono nella loro essenza, e deseria e deserto. vono arrivare a coincidere nella pratica quotiInfine c'è il lato sociale del problema. Si diana, per esistere entrambi. Questo capovolusa dire che il grande nemico è il latifondo, il gimento della politica, che va inconsapevolgrande proprietario; e certamente, là dove il mente maturando, è implicito nella civiltà conlatifondo esiste, esso è tutt'altro che una istitu- tadina, ed è l'unica strada che ci permetterà di zione benefica. Ma se il grande proprietario, uscire dal giro vizioso di fascismo e antifasciche sta a Napoli, a Roma, o a Palermo, è un smo. Questa strada si chiama autonomia. Lo nemico dei contadini, non è tuttavia il maggio- Stato non può essere che l'insieme di infinite re né il più gravoso. Egli almeno è lontano, e autonomie, una organica federazione. Per i non pesa quotidianamente sulla vita di tutti. I1 contadini, la cellula dello Stato, quella sola per vero nemico, quello che impedisce ogni libertà cui essi potranno partecipare alla molteplice vie ogni possibilità di esistenza civile ai contadi- ta collettiva, non può essere che il comune nini, è la piccola borghesia dei paesi. È una classe rale autonomo. È questa la sola forma statale degenerata, fisicamente e moralmente: incapa- che possa awiare a soluzione contemporanea i ce di adempiere la sua funzione, e che solo vive tre aspetti interdipendenti del problema meridi piccole rapine e della tradizione imbastardi- dionale; che possa permettere la coesistenza di ta di un diritto feudale. Finché questa classe due diverse civiltà, senza che l'una opprima non sarà soppressa e sostituita non si potrà pen- l'altra, né l'altra gravi sull'una; che consenta, sare di risolvere il problema meridionale. nei limiti del possibile, le condizioni migliori per liberarsi dalla miseria; e che infine, attraQuesto problema, nel suo triplice aspetto, preesisteva al fascismo; ma il fascismo, pure verso l'abolizione di ogni potere e funzione sia non parlandone più, e negandolo, l'ha portato dei grandi proprietari che della piccola borghealla sua massima acutezza, perché con lui lo sia locale, consenta ai popolo contadino di vistatalismo piccolo-borghese è arrivato alla più vere, per sé e per tutti. Ma l'autonomia del cocompleta affermazione. Noi non possiamo og- mune rurale non potrà esistere senza l'autonogi prevedere quali forme politiche si preparino mia delle fabbriche, delle scuole, delle città, di per il futuro: ma in un paese di piccola borghe- tutte le forma della vita sociale. Questo è quelsia come l'Italia, e nel quale le ideologie picco- lo che ho appreso in un anno di vita sotterralo-borghesi sono andate contagiando anche le nea. classi popolari cittadine, purtroppo è probabile Così avevo detto ai miei amici, e andavo ora che le nuove istituzioni che seguiranno al fasci- rimeditando mentre il treno, nella notte, ensmo, per evoluzione lenta o per opera di vio- trava nelle terre di Lucania. Erano i primi aclenza, e anche le più estreme e apparentemen- cenni di quelle idee che dovevo poi sviluppare te rivoluzionarie fra esse, saranno riportate a negli anni seguenti, attraverso le esperienze riaffermare in modi diversi, quelle ideologie; dell'esilio e della guerra. E in questi pensieri ricreeranno uno Stato altrettanto, e forse più, mi addormentai. aprile 1981 COMUNI D'EUROPA Una lingua per l'Europa* Monolinguismo e nazionalismo VI1 Pro o contro I'esperanto? Resta allora da chiedersi: quale lingua, inventata, dunque, proporre per l'Europa? Credo che a questa domanda si debba rispondere in tre punti: 1 ) E incontestabile che la lingua inventata più diffusa, che ha accumulato maggiori esperienze, e quindi maggiori prove della sua funzionalità, e che dispone ormai di una letteratura e di un novero di traduzioni e di testi originali imponente è I'esperanto. Essa non è più - giunge ad affermare Alessandro Bausani in un articolo che si citerà fra poco - una lingua da tavolino, restata sperimentale, ma ormai «lingua viva, socialmente parlata. 2) Sembra ragionevole pertanto la tesi del suo fondatore che, in sintesi, suonava: «certo, il mio progetto, come ogni progetto, è perfezionabile. Oggi, però, atteniamoci all'esperanto, che è una realtà consolidata: l'unione fa la forza. Poiché è indubbio (anche Zamenhof ne era cosciente) che una lingua come quella da me inventata potrà essere scelta come lingua ufficiale solo per decisione di un'autorità statale plurinazionale, attendiamo, per eventuali perfezionamenti, quel momento, e per ora restiamo uniti». 3) Detto questo però occorre insistere sul fatto che: - una volta fatto proprio il principio della validità - o, come dicono i francesi, della viabilittF- di una lingua inventata, di contro agli storicisti orecchianti che obiettano il carattere della lingua come formazione storica, fantastica e popolare, e quindi l'impossibilità a pzion di una lingua studiata a tavolino (quasi che l'italiano del Tasso e del Leopardi non lo fosse altrettanto); - una volta, dicevo, confutata tale obiezione con la prova dell'uovo di Colombo, e cioè dell'esperienza giornaliera dell'esperanto (you cannot fight against facts, they don 't mindat all, diceva Disraeli), per cui gli awersari di quel tipo soiio solo, ormai, oppositori per partito preso, che ignorano i dati di fatto e si comportano come quell'aristotelico secentesco che rifiutava di guardar la luna e gli astri attraverso il cannocchiale, per non aver il dispiacere di dover ammettere che Aristotele, almeno su quel punto, aveva sbagliato; - una volta ammesso insomma che si può, e perciò si deve scegliere una lingua inventata, si deve anche ammettere che questa è indefinitamente perfezionabile, e perciò si deve dar tutto il suo peso alla ricordata osservazione di Zamenhof: oggi I'ido (e cioè un esperanto perfezionato), I'interlingua o le altre soluzioni (*) La prima parte di questo saggio, sul quale, data l'importanza dell'argomento, .Comuni d'Europa, intende aprire un ampio dibattito, è stata pubblicata sul numero di febbraio del periodico. Vogliamo infine toccare, avvicinandoci alla conclusione, un ultimo punto, e non il meno proposte potranno considerarsi premature e fuori tempo; ma domani, se e quando vi sarà importante. Non c'è dubbio che oggi la mobilità della un'autorità politica europea, e poi mondiale, popolazione mondiale in genere, ed europea decisa a scegliere una lingua inventata come in particolare, è incomparabilmente più granlingua ufficiale, non vi sarà nessuna ragione de di un tempo, e quindi i contatti più facili e per scegliere I'esperanto così com'è e a occhi I'internazionalimo più diffuso, a cominciare chiusi (pur non dovendosi sottovalutare il vandalla moda: degli abiti come delle canzoni o taggio fondamentale, e a breve-medio termine dei films (per non parlare dei suoi aspetti negaincolmabile, di cui esso gode disponendo, cotivi, o addirittura criminali e morbosi, dalla me ricordavo, di tutti gli stmmenti necessari, e droga alla violenza). in particolare di una vastissima letteratura, 01Una volta l'uomo comune, se non era in sentre che di una vastissima esperienza, che agli so proprio «servo della glebau, era ugualmente altri progetti fanno difetto, almeno in quella incatenato alla sua terra d'origine, e ancora proporzione). cinquant'anni fa la situazione era senza conLa soluzione razionale, dunque, appare fronti più statica che non oggi. quella che già molti anni addietro indicava uno E tuttavia ancor oggi l'uomo comune è stretdei maggiori giottoiogi di allora, Bmno Mitamente legato alla propria nazione, in essa gliorini, e che oggi sostanzialmente ribadisce, passa l'intera esistenza, in essa parla, per tutta non meno autorevolmente, un esperto della la vita, una sola lingua. vaglia di Alessandro Bausani, nel suo volume In tal modo -- è stato osservato da altri, e a Le lingue inventate (Roma, Ubaldini, 1974), mio avviso molto pertinentemente - il monoche tutti gli europeisti e federalisti profani in glottismo costituisce l'aspetto e il modo essenmateria - e sono i più - dovrebbero leggere. ziale attraverso il quale nelle masse si manife(Chi non ha tempo potrà contentarsi dell'artista, si intrattiene e si conserva, o addirittura si colo sullo stesso argomento pubblicato da Bauincrementa, se non il nazionalismo - perché il sani nel l o numero del 1981 della rivista milapopolo non è, spontaneamente, nazionalista nese di Franco Angeli, «Affari Sociali Interna- almeno quello spirito conservatore, istintizionali~,dove questi confuta con mano maevamente timoroso del nuovo, che è una delle stra le obiezioni avanzate contro una lingua «artificiale*dallo storicismo e dallo stmtturali- cause, e non la meno importante della diffusa insensibilità, di cui dicevo all'inizio, per i prosmo: e potrà avere così un avant g o i t rivelatore blemi internazionali in genere e per quelli della genialità e finezza del ricordato volume dell'unità europea in specie. di questo grande arabista, che è anche un granOra, per porre rimedio a un tale stato di code studioso dei problemi dell'internazionalise, lo studio delle lingue vive, o anche di una smo linguistico). sola, non è sufficiente e non raggiunge lo scoTale soluzione dunque è che quell'autorità po, per due ragioni: politica europea nomini una commissione di l ) Anzitutto perché una lingua viva è semesperti, designati dalle competenti università pre una lingua enormemente difficile, specie (e cioè dalle facoltà interessate) dei vari paesi per chi non ha contatti diretti col mondo dei membri, col compito di presentare nel termine parlanti tale lingua ed in detto mondo non è, perentoiio massimo di un anno - e previi, almeno per un certo tempo, immerso (e questo eventualmente, gli ulteriori esperimenti suggeresta, ancora oggi, privilegio di pochi). riti da Umberto Broccatelli, dei quali si dirà al Coloro che guardano con sufficienza - quatermine dell'Appendice - un progetto di lingua inventata giudicato valido: sul quale si do- si a una forma d'innocua, e curiosa, pazzia vrebbe poi prendere, a livello politico, la deci- alla battaglia dei fautori di una lingua inventata, senza nemmeno essersi presi la briga di sfosione definitiva, pro o contro (l'alternativa, scontata, essendo - lo si voglia o no, lo si dica gliarne una grammatica e un dizionario, sottovalutano oltre ogni limite da un lato la diffio no - l'inglese). Naturalmente su tale decisione non si po- coltà di cui dicevo (imparare bene l'inglese in massa è, oggi, impresa praticamente impossitrebbe tornare per qualche generazione: non essendo così facile cambiare una lingua ufficia- bile, e non solo in Italia, e che quindi discrimile a livello internazionale, sia pur solo in qual- na e «ghettizza» la maggioranza della popolache dettaglio, come si può passare dalle gom- zione); dall'altro la notevole facilità, comparame piene agli pneumatici in un'automobile, o tivamente, di una lingua inventata, che può dal magnete allo spinterogeno. Ma non è assur- essere appresa con un tempo e una fatica dieci do immaginare, e anzi sarebbe sotto ogni pro- volte inferiori, e con un profitto dieci volte più filo auspicabile - se la scelta sarà quella da noi grande. 2) In secondo luogo una lingua vivente caldeggiata - che l'autorità politica europea (e, domani, mondiale) continuasse a favorire, anche importante come l'inglese, ma non an.nelle stesse forme, studi in argomento, in vista cora ufficialmente affermata - costituisce per i di possibili modifiche, anche profonde, che, più una amotivazione» ancora oggi troppo dedopo un cinquantennio o più di esperienza di bole per indurre a compiere gli sforzi necessari una lingua inventata - e in particolare in vista a superare le grandi difficoltà relative, a comindel salto futuro dalla Federazione europea alla ciare da quelle dell'ortografia e della pronunFederazione mondiale - potrebbe essere op- zia (quest'ultima, oltre tutto, tutt'altro che geograficamente uniforme) che rendono l'inportuno adottare. 14 sostenere abbastanza disinvoltamente una conversazione), senza neppur essi raggiungerlo (questo awerrà, per coloro che proseguono gli studi, negli ordini superiori): e la situazione è sostanzialmente la stessa - il prof. Holscher ne dà interessanti conferme - anche negli altri paesi. L'inglese è insomma, e resterà, una soluzione di élite, cioè discriminante: come volevasi dimostrare. Si può essere, e anch'io sono, contro I'egualitarismo democratico in tutti i campi e a ogni costo, che degenera non di rado in un irresponsabile populismo (14); ma non qui, in ordine a una questione vitale per tutti (torna ancora, prepotente, il ricordo di Don Per una lingua ausiliaria «democratica» Milani). Così, se I'inglese si affermerà, de jure o de Occorre insistere in modo particolare sul tefacto, come lingua ausiliaria ufficiale, le masse ma accennato sopra, al punto l , giacché I'igno- da poco accedute all'italiano (o al francese, ranza in ordine ad esso è, si può dire, universaecc.), nel frattempo divenuti anch'essi alberole. Ortega y Gasset ha rilevato, ne La ribeffione niamente dialetti - si ritroveranno tutte al deffe masse, l'estrema aridità, elementarità e punto di partenza e avranno di fronte un altro rozzezza ma soprattutto l'estrema uniformità duro ostacolo alla loro emancipazione - impadel latino che si scriveva, alla fine dell'Impero rare una lingua così difficile come l'inglese - e romano, nelle più lontane province, dalla Spa- un'altra causa di disuguaglianza. (Tutte, ovgna alla Dacia. Egli attribuisce erroneamente il viamente, meno quelle, appunto, di lingua infenomeno alla generale decadenza socio- glese; e non è una adisparità~da pigliar a gabpolitica e alla estrema centralizzazione di detto bo: gli anglo-parlanti, o almeno quelli dotati Impero, mentre esso è semplicemente dovuto, di spirito internazionalistico e di senso demoo almeno prevalentemente dovuto, al fatto che cratico, dovrebbero esser i primi a rifiutare una lingua viva, sempre complessa e difficile, questo ingiusto vantaggio nei apunti di partenmal si presta, è bene ripeterlo, a divenir una za%). Ebbene, Holscher dimostra - esempi ed akoiné*, ed i più non riescono a impararla, ma esperimenti alla mano - che quella difficoltà solo a balbettarla, riducendola - come i pellepuò esser superata con una lingua inventata: rossa nei films western - a poche parole, ovle prove fatte, e non sono poche, rivelano, senviamente dappertutto le stesse. za un'ombra di dubbio, che quello che è imBasta pensare che in inglese la sola vocale a possibile con I'inglese è possibile - il che non ha sette suoni, e altrettanti ne ha il gruppo ea, vuol dir agevole - con I'esperanto (o con altra per rendersi conto che è e sarà così anche oggi: tanto più che non sono queste, ortografiche e lingua di pari facilità): anche i meno dotati, al fonetiche, le difficoltà più gravi di detta lin- termine della scuola dell'obbligo, parlano e comprendono, e non balbettano, questa lingua, specie rispetto a una lingua inventata. gua (15) - il che sarà ancora più vero con I'afÈ particolarmente istruttivo in proposito un fermarsi di nuovi, e più moderni e pratici, meopuscolo - a carattere divulgativo, certo, ma todi d'insegnamento (16) -, oltre ad esser singolarmente acuto e informato - di un dotmeglio disposti a impararne un'altra, per le rato esperantista tedesco, il prof. Erich Holscher gioni che chiarisco in nota (17); mentre è al(13), il quale fornisce una risposta convincente alla giusta esigenza formulata, in ordine trettanto facilitata - ed è un ultimo punto all'Europa unita, da un federalista (e esperantista) italiano, Umberto Broccatelli, quando (14) Rinvio, in proposito, al mio volume, di prossima scrive, nell'articolo già citato: pubblicazione, Oìtre /a democrazia rappresentativa? glese così poco pratico e disadatto alla funzione di lingua internazionale. Una lingua facile, accessibile, chiara, e per di più fornita del crisma dell'ufficialità fornirà quella amotivazione))che dicevo (per restare ai curiosi neologismi che oggi proliferano) e farà compiere così un altro passo importante sulla via del cosmopolitismo e della lotta contro il nazionalismo, così come contro le disuguaglianze, dentro e fuori d'Europa. aLa lingua federale dovrebbe essere impiegata correntemente come lingua ufficiale nel governo, nel parlamento, nei tribunali federali. Sarebbe la lingua con la quale ogni cittadino europeo potrebbe farsi intendere in ogni regione della Federazione di lingua diversa dalla propria. La lingua federale dovrebbe essere insegnata in tutto il territorio della Federazione nelle classi della scuola dell'obbligo, in maniera che al termine della scuola i ragazzi ne possano avere una piena padronanza effettiva,. Realizzare questo nelle odierne condizioni in Italia è manifestamente impossibile per I'inglese: bisognerebbe insegnare questa lingua in luogo deff'italiano, e con tutta probabilità non si riuscirebbe ugualmente. Solo i più dotati possono avvicinarsi a quell'obiettivo (esprimersi e leggere correntemente, al termine della scuola dell'obbligo, la lingua straniera, capire correntemente una lezione o una conferenza, (13) E. Holscher, Esperanto: die internationde Sprache, Norimberga, Deutscher Esperanto-Bund,s.d. (19641. aprile 1981 COMUNI D'EUROPA (15) E ciò sarà ancor più vero, naturalmente, quando I'esperanto, o una lingua altrettanto facile (e cioè inventata), sarà lingua internazionale ufficiale e i discenti si sentiranno così, in qualche modo, in permanente e organico rapporto con una società tendenzialmente bilingue. (16) Tali metodi sono stati studiati sistematicamente, tra l'altro, nell'ambito del Consiglio d'Europa, e precisamente in seno al Consiglio per la cooperazione culturale esistente in tale organizzazione: e , naturalmente, con lo scopo di facilitare l'apprendimentosoprattutto dell'inglese (altra conferma involontaria, ma significativa, della difficoltà di questa lingua): ma sono metodi adattabili senza grande difficoltà - e infatti in parte già adattati - anche per altre lingue. Si vedano vari volumi in argomento editi nel 1980, appunto per il Consiglio d'Europa, dalla Pergamon Press di Oxford (verranno prossimamente tradotti anTrim, DeveLoche in italiano) e , segnatamente, di J.L.M. ping a unit scheme e, di vari autori, Way stage eng/ish e T /eve/. (17) Chi studia I'esperanto infatti acquisisce una buona base - e non è l'ultimo vantaggio - per apprendere molto più facilmente una lingua indo-europea, viva o morta, dalle radici delle quali I'esperanto è formato e alla cui struttura si ispira: anche sotto questo profilo, dunque, il tempo che ad esso si dedica non è perduto. È un altro dato importante e da non sottovalutare. non meno degno di rilievo - la formazione dei docenti (18). Molti non lo sanno, è vero; ma molti di più non b vogfiono sapere: e non c'è peggior sordo ... Conclusione Ho cominciato con Einaudi e con Einaudi voglio finire. In una pagina particolarmente severa egli evoca, come ho ricordato, la .triste sorte degli stati italiani del Rinascimento, posti al bivio fra il progresso dell'unità e la decandenza nella divisione, e adattatisi passivamente a quest'ultima: <e allora - egli osserva - la possibilità di scelta durò solo, forse, qualche decennio)). Oggi la scelta di una lingua ufficiale per l'Europa - dirà qualcuno, ma a torto - è forse meno drammatica, ma ha certamente davanti a sé un margine di tempo machiavellicamente ancora più ristretto: dum Romae consufitur, Saguntum expugnatur, diceva Tito Livio. E si presenta in realtà non come una scelta tra un aventaglio~di opzioni possibili, come dicono i francesi, ma proprio come un ferreo dilemma. O I'inglese, o una lingua inventata. Si può essere, e molti purtroppo sono, contro la lingua inventata. Ma allora non bisogna barare: ciò che si vuole è in tal caso la Finlandia linguistica, lo squallore del monoglottismo universale nel giro, al massimo, di qualche generazione: tertium non datur. al/ faut voufoir dicono i francesi - fes consequences de ce qu'on veub. Ma soprattutto non bisogna nascondersele, o meglio, fingere d'ignorarle. Per dirla ancora con Rubén Dario: i, Caffaremos ahora para fforar despue?? (19). Bibliografia supplementare L'aggravarsi della crisi linguistica comunitaria è all'origine di alcune proposte di soluzione apparse in due delle riviste - quella tedesca e quella italiana - che gli uffici nazionali delle Comunità pubblicano nei rispettivi paesi membri, e precisamente: I ) di Carl Vossen (aEG Magazins, 1979, n. 10) il quale ricorda che il Vaticano torna a insistere sul latino come lingua internazionale. (cfr. anche Ugo Carlotti, Latine Loquamur, <Comunid'Europa*, ottobre 1979). Valgono contro questa proposta, e aggravate, le obiezioni relative alla difficoltà dell'inglese. La soluzione valida, in tale ordine d'idee, avrebbe potuto essere il latino semplificato (Latino ~ i n eflectione) ideato all'inizio del secolo dal grande matematico G. Peano, che costituisce una delle proposte più se(18) Va1 la pena di insistere su tale argomento: anche qui una formazione in massa d'insegnanmk, per I'inglese, praticamente impossibile. Anche per queste, dunque, esso resterà una soluzione di élite, nell'immediato futuro. e una soluzione *distruttivas, nel senso che ho detto. in un futuro più lontano: due mali da evitare. È vero, come obietta lo Haarmann. che oggi questa ariconversiones dall'inglese (in buona parte già lingua internazionale di fatto) a una lingua nuova implicherebbe,per l'immediato, costi notevolissimi; ma a medio-lungo termine il vantaggio, anche economico (per non parlare di quello politico e morale, che è preminente) sarebbe indiscutibile. (19) È il verso che segue a quelli prima citati: *Taceremo ora, per piangere poi [quando sarà troppo tardi]?>. aprile 1981 15 COMUN! D'EUROPA 3) di Nora Galli de' Paratesi (<Comunità Eurorie di lingua internazionale. Purtroppo tale proposta - spazza via di un colpo le lingue inventate, marciando a pee,, maggio-giugno e novembre-dicembre 1980) passo dell'oca in favore di un trilinguismo in cui (così alha il difetto di essere rimasta allo stato di progetto, che invece fa sfoggio di grande competenza (viziata, senza la massa di esperimenti e soprattutto senza la meno egli spera) sia garantita al tedesco una posizione ade~urtroDD0. dall'affermazione. dawero singolare. mole d'ainfrastrutturew che ha I'esperanto (lettera- guata (si vedano specialmente le PP. 121-1511. E ContraPr - - - - ~ r~. r poniamo, all'uno e all'altro, gli argomenti - analoghi ai che delle due Superpoténze, gli Stati Uniti, tura abbondante, nonché dizionari e grammatiche nostri, come risulta fin dal titolo, e a quelli Bausani parla una lingua di origine europea,, sì che il russo, in tutte le lingue) e che rende quest'ultimo - e non dell'esperantista Richard Schulz (owiamente del tutto e indO-eurO~ea sembra di capire, di immediatamente utilizle altre lineue inventate " ignorati dallo Schwenke), Europaische Hochsprache oder zabile. Non si devono tuttavia sottovalutare i non Sprachimpeno/~mus?~i~ ~o~~~~ des Spracherpro&lems non sarebbe; affermazione che fa idealmente il paio con quella, assai recente, di Ida Magli nella ~Repubindifferenti sviluppi che la proposta di Peano ha in den Landem der Europiischen Gemeinschaften, Gerlinblica~,che chiama i senatori boni vires, e con l'altra avuto tramite 1'uAcademia pro Interlingua~,e su cui gen, Bleich, 1979 (anch'esso con molta bibliografia). - come su tutto il problema delle lingue inventate e della loro storia - fornisce esauriente bibliografia il volume ricordato del Bausani. L'interlingua, dunque, non è un progetto da scartare a priori; I giovani incontrano l'Europa 2) dell'euro-deputato (e deputato al Bundestag) Olaf Schwenke (aEG Magazinw, febbraio 1980 = <Comunità europee,, maggio-giugno 1980) sostanzialmente in favore del bi- o tri-linguismo, di cui si è detto nel testo. La superficialità e l'incompetenza dello Schwenke è provata dal fatto che egli scarta senza nemmeno discuterla la soluzione di una lingua inventata. La scelta dell'esperanto, egli scrive <si scontrerebbe contro un'opposizione generale e, in particolare, col rifiuto dei parlamentariw: il che è certo, e anche logico, se I'esperanto dovesse sostituire in toto, dall'oggi al domani, tutte le altre lingue della Comunità (ciò che nessuno chiede, il gradualismo essendo ovviamente - qui sì - indispensabile). Ma se si lascia da parte questa soluzione assurda, scelta manifestamente di proposito per gettar il discredito sugli avversari e troncar subito il discorso, come fa lo Schwenke ad essere così sicuro di quel rifiuto? Chi glielo ha detto? <Aspetta, dimme un po' famm'er piacere 1 ma 'ste frescacce tu come le sai?,, verrebbe tL 'Europa non è e non può piiì essere un riferimento mitico o u n ideale lontano a cuiguardare voglia di chiedergli, col Pascarella de La scojerta delllAmenca.Se quell'intuizione a priori di cui egli senza pensare ai problemi concreti di oggi e alle soluzioni che dobbiamo trovare). ha il privilegio - cioè se un'affermazione così avCon questo incisivo tichiamo al realismo l'assessore Bassi, rappresentante del Comune di Fiventata e gratuita - risponde al vero, c'è da scomrenze, ha introdotto, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, la manr;festazione con la mettere, intuizione per intuizione, che l'asserita avquale il5 febbraio scorso è stato nlanciato, a un mese dala chiusura, il concorso a l giovani inconversione, assoluta e unanime, dei parlamentari eurotrano l'Europa# indetto nel novembre 1980 dalla RAI-GR3 e dalla BBC-Italian Service. pei sia dovuta al fatto che essi n o i hanno mai nepLa s o b h concretezza che ha carattenkzato tutto lo svo/gersi della manifestazione menta una pure aperto, e tanto meno sfogliato, il adossier espeparticolare segnalazione tanto è stata lontano dall'europeismo manierato e astratto del quale ranto,, e sono in materia di un'ignoranza enciclopetroppo volte siamo stati spettatoti specialmente nelle iniziative cui erano interessati studenti e scodica (Schwenke in testa, naturalmente). L'idea che laresche. prima di decidere ci si debba informare - evidente Stavolta avrà certamente giovato anche la suggestione dei sei temiproposti ai concorrenti, tutquando si tratta di stabilire la politica europea del civolo verzotto o dei pelati di ti esplicitamente centrati, senza pen3asi, sui problema dell'unione politica delllEuropa e sulla questo, se vegnimo a dir e1 merito, si occupa in sonecessità della presenza attiva deiia Comunità per kolvere le grandi sfide dei nostti giorni. stanza il Parlamento europeo) - non sfiora neppure In questa ottica si è ancora inserito il rappresentante del Comune di Firenze quando ha definila testa degli Schwenke (e sono purtroppo legione) to achiara e urgente) la anecessità non solo di armonizzare le politiche economiche ma anche di quando si tratta di una questione (sorbole!,dicono a avere una politica estera comune europea3 e quando ha dichiarato che ale possibilità di avere sucBologna) come quella della scelta di una lingua ufficesso in questa sfida passano principalmente daiilEuropa; e non dal/'Europa degli stati e dei gociale per l'Europa. Tale superficialità dell'euro-deputato tedesco - verni ma soprattutto da quell'Europa dei popoli cui dobbiamo prepararci anche con una nuova cultura e una nuova mentalità#. che confina con la malafede - è confermata (una aIn questo l'informazione e i mezzi di comunicazione di massa hanno un ruolo importante, conferma dawero non necessaria) dalla sua propocosì come è decisivo il ruolo della scuola, momento pn'ncipale dell'educazione deigiovani e quinsta, se la si può chiamar così (tLrumteneatis amicz) di compensare, a titolo di contentino, le lingue di sedi dei fututi cittadini d'Europa>. conda classe, escluse dal *Direttofio tri-linguisticow Di amentalità nuova) ha parlato anche il provveditore agli studi, Gullotta, osservando che (lingue che dunque anche Schwenke ammette - e l'Unità d'Europa non può essere opera d i vertici, sui quali pesano remore sempre piiì evidenti, l'kmissione è particolarmente significativa - essema deipopoli e soprattutto deigiovani che di mentalità nuove sono i naturaliportaton, anche per re in tal modo direttamente e immediatamente mil'istintiva capacità, loro propnà, di invidividuare tematiche concrete per sostanziare l'attività eunacciate: una vera excusatio non jetita) con l'istituropea. zione di un apposito <Fondolinguistico per le minoAnalogo concetto ha svolto il presidente della giunta regionale della Toscana, Mano Leone, ranze, (è significativo anche il nome) in seno al Conche ha richiamato l'esigenza di una conoscenza esatta della realtà, dei problemi e delle prospettisiglio per la cooperazione culturale del Consiglio ve dell'Europa. d'Europa. *Attaccati al pennello!~,diceva quel pazI rappresentanti degli enti radiofonicipromototi dell'iniziativa, Mario Pinzauti per il GR3 e zo (l); u (1) Merita, a suo modo. di essere apprezzata, di contro all'ipocrisia dello Schwenke, la bnitale sincerità di Harald Haarmann (Grundfiagen der Sprmhenregelung in den Stauten der Europairchen Gemeinschaft, Amburgo, Europa-Kolleg, 1973, ricco di molta bibliografia) che con rozzezza tutta teutonica - e con forti tinte nazionalistiche , Andrew Mango per la BBC, hanno quindi chiarito le modalità del concorso non senza osservazioni di merito fra le quali devante quella proposta dai giornalista bdannico che ha fatto propria una classica intuizione politica dei federalisti nel ticordare che l'aggravarsi della criii economica, senza chiari nferimentipolitici unitati, spinge le nazioni d'Europa a (cercarela salvezza separatamente#. Le molte centinaia di studenti delle scuole seconda& fiorentine presenti ala manifestazione ne hanno animato la conclusione con numerosissime domande cui hanno risposto soprattutto Mario Santi e Giovanni Saiimbeni dell'ufficio romano delle Comunità. Antonio Massimo Piccinini aprile 1981 COMUNI D'EUROPA di quel gerarca fascista che diceva, durante la guerra, che l'Italia si sarebbe difesa unguibus et rostnbus: sono questi gli <esperti, - stavo per dire i cerretani e i Cagliostro - a cui ci si affida per risolvere, ex informata conscientia, i problemi linguistici internazionali ed europei). Si deve tuttavia riconoscere alla Galli almeno il merito di dire, con maggior sincerità degli altri, qual è l'obiettivo perseguito: solo ed esclusivamente l'inglese, come lingua franca europea e universale. A scongiurare i rischi connessi a tale soluzione, dei quali si è detto nel testo, basta, secondo lei, praticare la politica dello struzzo. ]e te baptise cupe, diceva quel prete francese a una bella bistecca che egli mangiava di venerdì. Non diversamente fa la Galli quando scrive, con candore dawero virginale: nSe si nesce a scindere a livello di m e n t h à generale il binomio bdinguismo-estsaneazione culturale e a difiondere il concetto di lingua veicolare come strumento neutm di comunicazione, pnuo delle minacce di "colonialismo" culturale-linguistico, non c'è bisogno di scegliere una lingua senza nazioneu. Volete risolver i problemi dell'inquinamento? Se riuscite a diffondere a livello di mentalità generale l'idea che Seveso non è stato un disastro, e costituisce invece un fatto perfettamente sneutro,, il gioco è fatto. Così anche le superstiti, ancorché ipocrite, preoccupazioni dello Schwenke possono esser disinvoltamente messe da parte. Si farebbe troppo onore a chiamare bamboleggiamenti del genere uideologia~,tanto più che essi sono contraddetti dalla stessa autrice, quando afferma, senza punto rendersi conto della contraddizione, che l'inglese si va sempre più affermando proprio per la upotenza globale - politica, economica, cwlturale [sottolineato da noi] - del gruppo che lo parl a ~Ex . ore tuo te f u d i o . I1 rischio sarebbe ulteriormente prevenuto, secondo la Galli - e qui comincia lo sfoggio di competenza, ma fuori luogo e a vanvera - dallo studio della lingua veicolare ua scopi speciali, (cioè superficialmente e male): il che da un lato determina le condizioni di inferiorità e di correlativa dominanza di cui si è detto nel testo; e dall'altro rende senza senso ejèhlam P h z le obiezioni che la Galli muove - e che vorrebbero essere dotte - contro una lingua inventata, fondate sul fatto che ule lingue sono o r n i insegnate in un modo che è calato completamente nella cosiddetta ' 'competenza comunicativa", che presuppone una lingua viva con tutte le sue stratzficazioni socuui e di situazione=:il che è vero, certo, per chi voglia diventare professore di francese, o di tedesco, o di giapponese; ma non per chi vuole imparare una lingua molto più superficialmente, a fini pratici e ausiliari, o, come con elegante eufemismo dice la Galli - anche qui da giudicarsi ex ore suo - ra scopi speciali,. I1 meglio è nemico del bene, e quello che vale per chi studia l'inglese perché vuole approfondire nell'originale Shakespeare, o Shelley o Keats, o scriver dissertazioni accademiche sul cockney o sugli slangs dell'Oklahoma, dell'Ontario o del Queensland, non vale per chi lo studia per vendere Asti spumante o tonno in scatole, e crede che occuparsi di Lyly o di Donne significhi interessarsi di belle ragazze, e non di eufuismo o di poesia metafisica: e sono i più, come illustri specialisti di pedagogia linguistica spiegano dottamente, scoprendo l'ombrello (2). Le altre due obiezioni, e altrettanto inconsistenti, della Galli contro una lingua inventata sono: a) che essa non è così facile come qualcuno potrebbe credere. Verissimo: dunque, essa argomenta, (2) È fra questi Louis C.D.Joss (a30 Jours d'Europe~. settembre 1980): <La maggior parte degli studenti. egli ritiene doveroso informarci [e a fortion', aggiungiamo noi, coloro che non vanno oltre la scuola dell'obbligo] trovano la motivazione principale dello studio di una lingua nella sua utilità,. Sapevamcelo, si diceva una volta. sostimiamola con una lingua molto più difficile, come l'inglese; anzi, giacché ci siamo, addirittura col bilinguismo anglo-francese. Così ragionava Cecco Grullo (3); 6 ) che una lingua inventata, e in particolare I'esperanto, è legata a un'ideologia internazionalistica che la Galli dichiara frettolosamente usorpassata,. Sia pure: ma, anche dato e non concesso che ciò sia vero (e che la Galli sia dispensata dal proporne un'altra, sostitutiva - che è per noi il federalismo -), resta che dalla qualità dell'ideologia alla qualità dei suoi prodotti non c'è passaggio. La validità poetica della Divina Commedia non dipende dalla validità filosofica del tomismo o astronomica del sistema tolemaico: amuor Giove, l'inno del poeta resta,. Così il valore dell'esperanto sarebbe lo stesso se lo scopo del suo ideatore fosse stato, per assurdo, quello di accrescere la confusione delle lingue, e non quello di favoriie la fratellanza universale. Vale qui in pieno .il principio dell'eterogenesi dei fini: l'America non è meno America, per il fatto che Cristoforo Colombo l'abbia creduta l'India. (La critica che si può rivolgere all'ideologia esperantista e il punto debole che in essa si può rilevare - ora opportunamente corretto dagli esperantisti italiani essendo se mai un altro, appunto quello a cui si è fatto allusione per ultimo: e cioè l'errore funzionalistico di credere che la diffusione, a livello internazionale, di una lingua inventata possa essere strumento valido per l'unità politica del genere umano, laddove all'inverso solo questa potrà imporre quella); 4) infine un articolo del ricordato esperantista Umberto Broccatelli (ucomunità Europee,, novembre-dicembre 1980) da cui vogliamo riprendere almeno questa proposta, per chi ritenesse (le precauzioni non sono mai troppe) che gli esperimenti, pur molto probanti, citati dallo Holscher, di cui si è detto nel testo (ai quali, da quando egli scriveva, molti altri ne sono seguiti) non fossero ancora sufficienti: rLe Comunità potrebbero Jinanziare un esperimento, condotto in maniera ngomsamente scientzfica, mirante a v h t a r e l'apprendibi&à e la funzionalità dell'esperantou (in confronto diretto, aggiungiamo noi, e nell'ambito dello stesso esperimento, con I'apprendibilità e la funzionalità dell'inglese). *Questa mi sembra una proposta concreta, basata sull'unico metodo digiudizio valido: quello scientifico della spen'mentazioneu. Purtroppo vi sono molte più probabilità che il metodo dell'ignoranza, del pregiudizio, del partito preso e del fatto compiuto - potentemente sostenuto da quello, decisivo, del diritto del più forte (metodi di cui abbiamo visto sopra molteplici e non commendevoli esempi) - prevalgano su quello scientifico: spovera e nuda vai filosofia...D. Per concludere ancora con Broccatelli: a Conoscere per deliberare, diceva Einaudi: sembrerebbe del tutto ovvio che su una cosa non sipossa giudicare senza conoscerla. Ma in materia di lingua internazionale molte persone si ritengono in grado di giudicare e condannare senza saperne nulla*. Ciò non può essere senza perché: vuol dire che la routine e il diritto della forza contano per essi, coscientemente o no, più della forza della ragione. nulla awiene a caso, ma tutte le cose sono collegate da inestricabili vincoli di necessità,, dice una celebre sentenza dei Sette Sapienti: o u d h khrima maten gh%netai, aiià punta eklogointa kai ex anagke. (3) Peggio se al bilinguismo si sostituisce, vagamente, un plurilinguismo non meglio definito: come ha fatto al solito confondendo soluzioni di élite e problema di una lingua ufficiale europea e mondiale - un Convegno internazionale organizzato, il 25-28 ottobre 1980, dall'Università di Trento: convegno ricco di dotte relazioni, ma scarso di discernimento e di senso pratico. (In senso analogo R. Scherrer: Sprachenvielfat: Hemmschuh der europaischen Einigung? ~EuropaischeRundschau~(Vienna, 1980, n. 1). Società finanziarie regionali (continuazioneddlapag. 6) Gli investimenti esteri, soprattutto americani, sono in espansione nella CEE proprio in quei settori tecnologicamente avanzati e ad alti rendimenti. Paradossalmente tali investimenti, come h a dimostrato Lamfalussy, sono stati abbondantemente finanziati d a prestiti privilegiati alle uzone di s v i l u p p o ~dei paesi CEE. Se è vero, come è vero, che la partecipazione delle imprese ai amutamenti strutturali delle eco no mie^ è una necessità per poter conseguire livelli soddisfacenti di reddito e per evitare indesiderate dipendenze politiche conseguenti alla divisione internazionale del lavoro, la politica industriale cui deve uniformarsi la programmazione regionale e quindi l'attività delle F.R., è la politica industriale a livello europeo. Tale politica h a sempre più bisogno di nuovi strumenti finanziari, che ne alimentino l'integrazione. La Finanziaria di sviluppo europeo, avanzata dal CEEP risponderebbe meglio all'esigenza delle trasformazioni strutturali dell'impresa europea. In sintesi essa, con partecipazione al capitale di rischio potrebbe: 1) agevolare e sostenere progetti comuni di interesse europeo delle imprese e delle regioni della CEE; 2) stimolare il progresso tecnico e le applicazioni industriali della ricerca; 3) facilitare la razionalizzazione della gestione dell'impresa che opera in contesti internazionali sempre più ampi; 4) contribuire a fare realizzare la politica economica della CEE. COMUNI D'EUROPA Organo del1'A.I.C.C.E. A N N O XXIX - N. 4 APRILE 1981 Direttore resp. : UMBERTO SERAFINI Redattore capo: EDMONDO PAOLINI . DIREZIONE, REDAZIONEE 6.784.556 AMMINISTRAZIONE 6.795.712 Piazza di Trevi, 86 - Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma , Abbonamento annuo per la Comunità europea, ivi inclusa l'Italia, L. 10.000 - Abbonamento annuo estero L. 12.000 - Abbonamento annuo per Enti L. 50.000 - Una copia L. 1.000 (arretrata L. 2.000) - Abbonamento sostenitore L. 300.000 - Abbonamento benemerito L. 500.000. I versamenti debbono essere effettuati sul c/c postale n. 35588003 intestato a: Istituto Bancario San Paolo di Torino, Sede di Roma - Via della Stamperia, 64 - Roma (tesonere deU'AICCE), oppure a mezzo assegna circolare - non trasfenbile - intestato a <IAICCEB,speczfiando sempre la causale del versamento. Aut. Trib. Roma n. 4696 dell'll-6-1955 LITOTIPOGRAFIA RUGANTINO ROMA Associato aII'USPI Unione Stampa Periodica Italiana - 1981