- Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, 86 00187 ROMA ANNO XXIV N. 12 Dicembre 1976 Spedizione in abbonamento postale Gmppo 111/70 - ORGANO - M E N S I L E D E L L ' A I C C E , ASSOCIAZIONE dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale UNITARIA D I COMUIVI, PROVINCE, REGIONI I1 compromesso europeo di U. S. E' certo che la ratifica della Convenzione elettorale europea non può darsi per scontata in tutti e nove i Paesi della Comunità. Giorni orsono a Parigi ho parlato a lungo con un comunista, segretario di una associazione di sinistra di Enti locali, e mi ha conlerinato che il PCF non è stato ancora « illuminato »: inutilmente ho domandato al fratello separato francese che cosa se ne farà della sovranità nazionale illimitata quando tedeschi, inglesi e irlandesi continueranno a rovesciare nelllAtlantico il biossido di titanio, con pregiudizievole conseguenza per i pescatori (e non soltanto per i pescatori) francesi; inutilmente gli ho chiesto con quale peso un singolo paese europeo potrebbe sperare, in prospettiva, di impostare diversamente il rapporto Nord-Sud e preparare - col terzo e quarto mondo - una cogestione democratica dei problemi correlati del prezzo delle materie prime (ivi incluso il petrolio), del prezzo dei prodotti industriali, della distribuzione dei prodotti alimentari, del regolamento dei consumi, e di una stabilizzazione del riferimento monetario in senso non imperialista. Il a compagno » francese, pur pagando un tributo puramente verbale a una non meglio definita « Europa dei popoli D, ha continuato a dichiararsi fino in fondo nemico delle elezioni europee. Frattanto è tutt'altro che chiaro lo atteggiamento che prenderà Chirac, questo salvatore della patria » che, fondato il suo rasseinhleinerit, ne ha subito insediato gli uffici, emblematicamente, in uno degli edihci più caratteristici della speculazione fondiaria che sta minando la Parigi che noi amiamo (il grattacielo di Montparnasse): sicché Giscard ha i suoi grossi problemi, più grossi di Mitterand. E dico tutto ciò per restare in Francia: infatti le preoccupazioni per la ratifica non finiscono interamente nell'esagono del gollismo. Ciò malgrado ritengo che sia un errore tentare di costruire le premesse della democrazia europea senza che i suoi nemici se ne accorgano o comunque facendo il minor chiasso possibile, in modo che almeno se ne accorgano un po' di meno. Mi pare invece utile, anzi necessario, iniziare subito la campagna elettorale comunitaria, convinto come sono che la base popolare - tutta la base - sia istintivamente europea e aperta alla sovranazionalità, fin- COMUNI D'EUROPA ché non intervengono a scoraggiarla i quadri misoncisti di taluni partiti politici e le infinite organizzazioni corporative della società europea e delle sue componenti nazionali. Bisogna chiarire per prima cosa che le elexioni europee più che per se stesse sono importanti per il nuovo quadro politico che istituiscono. Con la Convenzione elettorale europea i governi hanno ammesso - iI questo in fondo lo storico passaggio che ci interessa e da questo deve muovere la nuova politica - che al processo di integrazione europea per via intergovernativa e diplo[natica si prospetta, in un quadro che si conclude idealmente col Parlamento eletto, un'alternativa: l'integrazione diretta dei popoli, delle società nazionali, cioè una specie di momento costituente continuativo, di cui episodi centrali sono lo sviluppo della presa di poteri reali della Confederazione europea sindacale, l'incontro diretto delle Regioni e dei Poteri locali europei col relativo esercizio di poteri di iniziativa e di controllo, la gestazione di una scuola europea e di strumenti sovranazionali di una politica della cultura e della ricerca, e via così. Le elezioni europee, il Parlamento europeo eletto, la irrecusabile trasformazione di questo Parlamento in Assemblea costituente nei riguardi del nuovo patto europeo n saranno dunque d'ora innanzi i punti di riferimento di una ampia azione alternativa di costruzione dell'Europa: diciamo alternativa - ripetiamolo -, perché non deve concludersi necessariamente in decisioni dei governi nazionali, e insomma non è un puro sforzo di persuasione di altri, che poi in realtà decidono. In questo quadro si colloca il problema dei programmi, che si proporranno in occasione della campagna elettorale europea. Sarà bene analizzare talune esigenze di questi programmi. La prima, direi, L: la seguente: poiché fra i punti essenziali di un programma per le elezioni europee non può non esserci quello degli stessi poteri da conferire al Parlamento europeo e, in definitiva, alle istituzioni comunitarie, occorrerà tenere ben presente un'altra fondamentale alternativa. Da molte parti ci si lamenta del modello di sviluppo complessivo di questa nostra società europea occidentale: ebbene o le istituzioni comunitarie si avviano decisamente in senso federale, e allora potremo parlare della costruzione di un nuovo modello di sviluppo europeo, o si opta per soluzioni confederali, c allora - a parte altre considerazioni occorrerà rinunciare allo stesso discorso di un modello di sviluppo europeo, poiché ci sarà al contrario un moto centrifugo, una balcanizzazione europea, una serie di opzioni differenziate da parte delle singole nazioni, in funzione del proprio più o meno stretto rapporto coloniale con le Superpotenze e di quel tanto di spazio che ciascuno riuscirà a guadagnarsi nel suo piccolo e con differenziati accordi bilaterali. Qui si deve collocare la critica di coloro che, con molFoto in prima pagina: il 23 novembre SI e riunita a Roma la Direzione nazionale delI'AICCE, oltre che per affrontare problemi di organizzazione interna, per uno scambio di idee sul momento politico europeo, alla vigilia del Bureau del CCE e della Conferenza regionale di Parigi, che si sono svolti rispettivamente il 6 e il 7-8 dicembre. ta astrattezza, si propongono un modello italiano o europeo meridionale di sviluppo, di estrema austerità e con contorni di accesa idealità, dimenticando che l'Italia, tanto per fermarci ad essa, è un Paese di economia prevalentemente trasformatrice e che, se non vuole partecipare alla lotta imperialista per determinare con la forza o addirittura con le armi i bassi prezzi delle materie prime (tra cui il petrolio), essa è destinata da sola a darsi un'economia poco più che silvo-pastorale, che ovviamente potrebbe essere imposta solamente nzutili militari, o che più probabilmente sfocerebbe in un'economia, tutt'altro che ideale, levantino-coloniale. In conclusione bisogna stabilire subito, prima di approfondire qualsiasi programma o piattaforma elettorale europea, che un Parlamento costituente (a cui venga insomma affidato il progetto di Unione europea) e una effettiva Federazione europea - in cui debbono incontrarsi l'Europa del nord e quella mediterranea - sono la condizione sine qua tioti di un nuovo modello di sviluppo europeo. L'alternativa è qui confederale (vagamente unionista) e balcanica. Ciò premesso, credo che dobbiamo distinguere, in vista delle elezioni europee, tra i programmi transnazionali dei partiti o gruppi politici - programmi che non potranno non essere antagonisti o in ogni modo (anch'essi!) alternativi - e le piattaforme che, per esempio, il movimento europeo sindacale o il movimento europeo delle autonomie potranno darsi per ispirare alcuni motivi di fondo, che dovrebbero essere comuni ai diversi gruppi politici, o per lo meno a quelli di più profonde radici popolari, nell'ipotesi che si voglia costruire una autentica Federazione europea. Queste piattaforme dovrebbero essere le risultanti dei motivi ispiratori di quello che da anni chiamiamo il « fronte democratico europeo D: ci06 quel fronte che oggi si pone globalmente, per quanto abbiamo or ora rilevato, come l'opposto del fronte di coloro che rifiutano di portare il controllo democratico a quei livelli dove già opera la sovranazionalità privata, cioè il fronte delle multinazionali e dei nazionalisti, il fronte di coloro che, hon gré mal gré, saranno costretti, non accettando la sovranazionalità federale, a ripiegare nel ghetto nazionale e nell'area coloniale, con scarse o nulle prospettive per ogni iniziativa democratica di ampio respiro. I programmi dei partiti o gruppi politici, a loro volta, dovrebbero orientarsi verso obiettivi non tanto dedotti dai proclami che si accompagnano, stancamente, alle tradizionali scuole politiche quanto costruiti sul riconoscimento - da diversi angoli visuali della utilità comune nel fare reciproche rinunce e nel darsi obiettivi, per i quali poi il gruppo politico parlamentare che sarà eletto si troverà in condizione di trovare appoggi permanenti nei rispettivi Paesi. Mi spiego: non si tratta di calare in un programma partitico comunitario un ammasso di istanze contradditorie che, sotto una bandiera comune, in realtà mettano insieme interessi e convinzioni contrastanti di diversi Paesi, talché non si trovi poi la forza di portare avanti, nella battaglia parlamentare e politica generale, alcunché di comune, cioè di sovranazionale. Si tratta di studiare attentamente nell'ambito di ciascuna forza politica, cosa di comune si può prospettare per esscrc soggetti di una batta- dicembre 1976 glia non transitoria e non puramente verbale. In effetti, teniamolo bene a mente, il Parlamento europeo, che attualmente è una assemblea poco più che consultiva, si darà poteri non perché ingegneri costituzionali avranno progettato e deciso nei loro studi che un Parlamento europeo dovrebbe avere queste o quelle altre competenze, ma essenzialmente in base a due fatti: 1) che il Parlamento eletto si trovi di fronte I'interlocutore naturale di ogni Parlamento, cioè un governo, e nel nostro caso un qualsiasi corpo europeo che eserciti la funzione esecutiva e rispetto al quale si possano far crescere iniziative sia sul terreno del controllo, sia su quello delle regole generali - leggi - nel cui àmbito si vuol far camminare l'Esecutivo, sia finalmente su quello dello stimolo e dell'incoraggiamento all'iniziativa politica; 2) che i gruppi politici del Parlamento europeo abbiano - come affermato sopra - obiettivi transnazionali, concreti, dietro i quali sia stata mobilitata una precisa zona di elettorato europeo e in funzione dei quali, quindi, i gruppi siano spinti a condurre una battaglia incessante contro le resistenze dei governi nazionali e anche di tutte le altre componenti nazionaliste e multinazionali cc private del quadro politico. Infine c'è un particolare compromesso europeo che consigliamo alllItalia, come consiglieremmo a qualsiasi Paese economicamente meno sviluppato, che dovesse condurre la sua lotta democratica e popolare all'interno della Comunità e per lo sviluppo della Comunità. Da una parte ai Paesi della Lotaringia comunitaria, cioè ai Paesi con le regioni più ricche e sviluppate della Comunità (ci rientra anche, in realtà, una fetta di Italia) essa deve e naturalmente può chiedere (anche perentoriamente dal momento che è oltretutto comodo e sicuro mercato di smercio dei partners attraverso l'unione doganale - l'Italia è il terzo mercato mondiale della Germania di Bonn, piaccia o dispiaccia -) una diversa regola di scambio comunitario e, in definitiva, un diverso modello di sviluppo. In realtà il Trattato della CEE prevedeva in 12 anni, con il rinvio ammesso di altri 3 anni (cioè 1958-1969 o 1958-1972) la completa realizzazione di una unione doganale - ciò è in gran parte avvenuto - e di un'unione economica - ciò non si è quasi per nulla realizzato, salvo che per la politica agricola, beninteso per la politica agri. cola dei prezzi e quasi per niente delle strutture -: insomma si è realizzato quanto giovava di più o immediatamente alla Germania federale, alla Francia e ai Paesi Bassi e, in altri termini, alle regioni ricche di Europa, creando cosi una maggiore distanza fra i ricchi e i poveri. Fra il 1972 e il '73, dopo che nel 1971 gli USA avevano anche formalmente rifiutato di onorare la convertibilità del dollaro, scatenando o sollecitando il sisma monetario internazionale, i nostri partners comunitari ci proposero la « moneta europea dell'unione doganale » - se possiamo chiamarla cosi - cioè o tassi fissi di cambio infracomunitari o una oscillazione entro un margine assai ridotto (quello che sarà poi chiamato serpente): la consueta insipienza del governo italiano accettò con accenti di sprovveduto trionfalismo questo passo « verso la moneta europea » senza chiedere, nel rispetto del Trattato e di quell'articolo 2 che prevede una Comunità eu- COMUNI D'EUROPA dicembre 1976 3 1,'Eu.ropa deve fure da sc? 11 momento euro - americano Stanley Hoffmann secondo sono tramontati i tempi del giovane Fullbrigth e di Acheson, ma anche quelli del discorso di Kennedy alla Paulskirche di Francoforte - un americano ascoltato come Hoffmann ci richiama alla realtà: l'importante è che gli europei ascoltino gli americani, ma decidano per conto loro, superando la filosofia perniciosa della ragion di Stato. Cambridge (Massachusetts), novembre I l prof. Stanle!l Hoffmann è unii~ersalmente ricoiiosciuto conie irno dei più qualificati esperti aniericani di affari europei. I suoi lr~nghisoggiorni di stlrdio in Francia gli consentono un approccio 'dal di dentro ' che -. manca a niolti dei suoi colleghi. I l prof. Hoffmanti è professore di Scienze Politiche alla Harvartl Universitv e professore associato del Centro di Affari Ititernazionali della stessa università. Tra le sue numerose opere, la più celebre è « Gulliver's Troubles » che, già i1ell'amnziccare del titolo alla satira di Jotiathan Swift, suorla la sveglia alla diplomazia americaria. Di lui è più coilosciuto nel nostro puese il disincantato intervento ne « I l caso italiano V , l'opera collettiva edita da Garzanti. I l prof. Hoffmann non fa parte del business di relazioni università-governo. I l suo giudizio è perciò di uno studioso svincolato dalle pastoie della politica spiccia. L'intervista, in esclusiva per K Comuni d'Europa », è a cura di Lzrigi Troiani. D. Ciò significa iiz pratica la rinuncia alla speranza di ottenere l'integrazione politica attraverso l'integraziorie istituzionale, dopo che già si è dovuto rinunciare all'ottenimento dell'integrazione politica attraverso quella econonzica. R. Credo che il Parlamento europeo eletto a suffragio universale e popolare godrà certamente di un maggior prestigio. La mia personale opinione è che però tutto ciò inciderà con un debole riflesso sull'ampiezza delle divisioni esistenti tra gli europei. D. E ciò dipenderebbe da una precisa volontà degli Stati europei... R. Credo proprio di sì. Vi è una mancanza di interesse comune all'integrazione negli Stati membri della CEE. Lo Stato resta il nucleo essenziale, l'obiettivo dei loro interessi. La Comunità mi sembra resti essenzialmente una sistemazione molto interessante per la soluzione dei problemi pratici; ma la base dell'interesse degli uomini politici orD. Prof. Hoffniunn, la fase di assestamento istituzionale all'interno dei paesi tnembri dinari verte tuttora sul proprio paese. Con il tempo non è da escludere un mutamento, della CEE si è conclusa. Le elezioni nella ma non ritengo possa avvenire ora: certaRFT hanno chiuso il ciclo di consultazioni politiche che qzrest'anno cadevano quasi con- mente qualcosa potrà cambiare, ma non vetelnporaneamente in diversi paesi delllEitro- do elementi per un impatto nell'immediato. pa dei Nove. Ciò dovrebbe consentire, ove ve ne fosse la volontà, tcil rilancio della coD. Uno dei maggiori ostacoli all'integraziostruzione europea. Che giudizio dà lei delne europea viene in genere identificato nella l'attuale motnento comunitario, soprattutto rispetto al processo dell'integrazione politi- politica tenuta dagli Stati Uniti verso l'Europa. Cosa pensa lei clell'atteggiatnento staco-istituzionale? tunitense verso l'integraziolie comunitaria. R. Non mi sembra vi siano novità rilevan- Ritiene che la prossitna Amministrazione inti rispetto a quanto ho ad esempio scritto vertirà una rotta che, tutto somtnato, nell'ulin « Atlantic Lost ». La mia impressione è timo decennio non le si è mostrata troppo che non sia al momento in atto un grosso favorevole? sforzo per portare avanti una nuova fase di R. Non so quale potrà essere la politica integrazione. Non credo che la Comunità possa scomparire o subire un collasso, ma non americana verso la Comunità europea nel vedo un grande progresso al momento. Ciò prossimo futuro: credo che dipenderà intederiva in parte da ragioni interne: le socie- ramente dalle scelte della gente. Non mi rità europee continuano ad essere dominate sulta comunque che negli ultimi anni, sociascuna dalle proprie preoccupazioni, e inol- pratutto dopo la crisi potrolifera del '73, gli tre sussistono le differenze tra i vari livelli USA abbiano attuato una cattiva politica verso l'Europa. Molte critiche ad esempio si rieconomici degli stati membri. 11 problema volgono al nuovo ruolo del Giappone o della dell'inflazione, ad esempio, si presenta in modi piuttosto diversificati. Rispetto alle ra- RFT ... gioni esterne v'è da dire che non sempre D. Come 'longa manus ' degli Stati Uniti... si ha accordo sulla politica estera. La mia insomma non è un'analisi molto ottimistica. R. Esattamente. Per quello che concerne i rapporti tra Stati Uniti e RFT, e tra Stati D. Sì, non è molto incoraggiante. Però di- Uniti e CEE non mi sembra che vi sia stamentica l'avvicinarsi delle elezioni del Parla- to un qualche significativo mutamento. La mento europeo. Per gli europeisti conviiiti la Germania è sempre stata dal 1949-50 un punoccasione di un Parlawzento europeo eletto a to assolutamente cruciale per la politica suffragio universale e diretto costituisce il estera americana. D'altro canto però si è acpunto di partenza per una ripresa del proces- curatamente evitato di farne una specie di so integrutivo. Lei condivide l'idea di chi ve- alleato ovviamente favorito. Ritengo probade nel Parlamento europeo più rappresenta- bile che continui tale politica verso 1'Eurotivo un elemento fondamentale in grado di pa, e mi chiedo perché sarebbe un fatto mutare gli ingredienti della situazione da lei negativo per la CEE. Comunque non vedo descritta? occasioni di grande discontinuità nella politica americana verso l'Europa. R. No, non credo proprio. D. Resta però che spesso gli osservatori hanno interpretato decisioni e atti del governo tedesco occidentale conle espressione del volere di Washington. Ad esempio per quanto riguarda la politica adottata dopo la 'rivoluzione' portoghese del '74. verso i socialdemocratici di Mario Soares. R. Non sono d'accordo. Per un po' gli USA diressero una politica di elevato coinvolgimento nelle cose portoghesi in funzione anticomunista. Sono sicuro che mai pensarono di utilizzare i socialdemocratici tedeschi per aiutare i socialisti portoghesi. Non penso che l'iniziativa della SPD sia stata sollecitata da Washington. Sono certo che si sia avuto un reciproco consenso, ma vi è diversità tra il gradimento e il farsi promotori di un'iniziativa. D. A proposito dei comunisti, proprio la questione comunista sta creando nuovi problenii nei rapporti euro-americani. Quale crede sarà l'atteggiamento statunitense se il PCI ditlenterà parte formale del governo, elo se il PCF andrà al potere con il cartello delle sinistre francesi? R. Non ne ho proprio idea. Posso cercare di indovinare: penso che la politica americana non subirà mutamenti essenziali. Ciò che potrà cambiare, forse, sarà il tono delle sue prese di ~osizione. SOMMARIO dicembre 1976 Pag. 11 compromesso europeo, di U.S. l I1 momento euro-americano secondo Stanley Hoffmann . . . . 3 Lettere al direttore: Storioni e piccioni . . . . . . . . . . . 4 Aggregazione e disaggregazione nel Mediterraneo: i rapporti regionali e il contesto internazionale, di Roberto Aliboni . . . . . . . 5 Cronaca delle Istituzioni europee: l'attività della CEE da settembre a novembre, di Pier Virgilio Dastoli. . . . . . . . . . . . 9 Europa e Terzo mondo, di Guido Montani . . . . . . . . . . l 3 I libri: Le regioni italiane e 1'Europa . . . . . . . . . . . l4 Lo scambio ineguale (un'intervista a M. Valeria Agostini) . . . . 15 t . COMUNI D'EUROPA D. Però il problema del peso di questi partiti eventuali forze di governo nelle strutture comunitarie si pone, e di riflesso ciò interessa anche gli USA. Ecco, ritiene che questa presenza di tipo nicovo dei comunisti cambierebbe molte cose nella CEE? R. Non so. Ma non credo. Nel caso francese, che conosco meglio, è mia opinione che i socialisti starebbero molto attenti, se andassero al governo con i comunisti, a mantenere il controllo della politica estera, a non consentire un ruolo dei comunisti al riguardo. E i socialisti avranno necessità di forti connessioni a livello europeo, come contrappeso ai comunisti. Così non penso che l'eventuale presenza nelle istituzioni europee porrà eccessivi problemi alla CEE. Riguardo ai problemi che si possono porre agli Stati Uniti, credo che qualsiasi governo americano continuerà in effetti a dire di non approvare, di non poter approvare un accresciuto ruolo dei comunisti, augurandosi magari che diminuisca. I1 contrario potrà essere affermato in privato, mai in pubblico. Qualsiasi governo americano incontrerebbe considerevoli difficoltà nel presentarsi al Congresso, poniamo per far approvare una legge di aiuti all'Italia, se' nel governo vi fosse la presenza dei comunisti. Anche se la stessa Amministrazione fosse favorevole a tale partecipazione. D. Sembra di capire che I'amministraziotie Carter non farù registrare novità di rilieilo i t ~proposito. Benché il nuovo Presidente, durante la sua campagna, abbia parlato di itn diverso atteggiamento verso gli Alleati, e di un dii~ersoatteggiame?lto verso il problema comiinista in Ei~ropa occidentale. R. La campagna elettorale... Carter è appoggiato da uomini, come Brzezinski ad esempio, che hanno criticato eccessivamente il relativo disinteresse di Kissinger all'Europa fino al '73. Dimenticando che dopo il '73 Kissinger ha riparato largamente i danni da lui stesso effettuati prima sui rapporti euro-americani. Di ciò gli uomini di Carter non hanno tenuto conto - se deliberatamente o meno non s o - soprattutto durante la campagna. D. Un'ultima domanda: nel suo saggio inserito nel libro « Il caso italiarlo », a rappresentare l'Italia, nella formula allegorica da lei adottata, sceglie la volpe, piuttosto inerme, bistrattata e spelacchiata, ma tictto sommato sempre abbastanza soddisfatta. Come mai quest'accostamento? R. Avevo bisogno di caratterizzare la storia italiana del dopoguerra attraverso la figura di un animale. La tipologia riguardava sopratutto la vostra politica estera. Ho derivato l'allegoria dal tipo medio di diplomatico italiano incontrato nelle mie ricerche. Posso garantine che quanto ho messo in bocca alla volpe nel mio saggio è esattamente quanto mi son sentito dire nel vostro Ministero degli Affari Esteri. Non ho inventato niente. Mi rendo conto che vi sono delle affermazioni per certi versi buffe se non preoccupanti. Ma si è trattato soltanto di una trascrizione oggettiva. dicembre 1976 Lettere al direttore bile la mia disponibilità a prender per oro colato le perline del Mott », il quale « avrebbe dovuto conoscere », e io con lui, « la Interpretazione economica degli Stati 'Uniti Caro Direttore, d'America di Charles A. Berard », nonché le ho letto con gran divertimento la brillan- opere di Gore Vidal e del Bitrr, che con le tissima recensione di Mario Bastianetto che sue affermazioni « fanno a pugni D. l o avevo scritto (pag. 1458): « Osservaziohai pubblicato nel numero di ottobre, relativa a un mio studio sull'etrropeisrno educa- ni felici, quelle del Mott, anche se prospeitii70, e in specie universitario: la quale, tra tano un quadro idillico ed eccessivamente l'altro, prova che il suo autore ha avrtto la ottimistico della situazione nord-americana, costanza (senza dubbio ammirevole, date le da correggere con qrtanto scritto in propodimensioni sesquipedali di quel mio scritto) sito - come si è ai~rttooccasione di riferire in precedenza - da Denis de Rongemont di leggerne u n buon settimo. Conle Kobacei~ - il personaggio de Le (che dice, in sintesi, quel che dicono Bastiaanime morte, che, a u n ricevimento in cui si netto e gli atttori da lui citati), « nonché con o f f r e ogni sorta di leccornie, si attacca su- quanto sopra riferito nel capitolo dedicato bito, ed esclitsivamente, a u n grosso storio- alla contestazione studentesca » ( e cioè da ne, e lo spolvera da solo, « non degnando di autori che dicono più e peggio, sugli Stati uno sguardo tutte le altre cianciafrùscole ,) Uniti, di Bastianetto e compagni). Tu che vuoi da me?, dicono a Napoli (con - così Bastianetto si attacca solo ai miei capitoli dedicati all'europeismo sttb-universi- l'accento s~ill'u). Devo esser messo in croce solo perché tali tario. E non ha poi grande importanza se, all'opposto di Kobacev, egli non degna di critiche non sono riferite in quel settimo del uno sguardo proprio lo storione: voglio dire wiio scritto che Bastianetto ha letto? tittta la parte tttliversitaria e introduttiva (ahimè, più di mille pagine) che di quella 2) A proposito della scarsa considerazioda lui considerata doveva, almeno nelle mie ne che ho esternato à longueur de pages, e intenzioni, esser giustificazione e fonda- che ribadisco, per la pedagogia ertropea » merito. - quella, per intendersi, dell'europeisrno che Per questo - e poiché, come dicevo, Ba- io chiamo N d'appélation contrblée » - Bastianetto riesce ad esser esilarantissimo - stianetto scrive: darei prova di assai scarso senso dell'hu« Chiti-Batelli non lo dice esplicitamente, mour, e di minor perspicacia, se entrassi in ma si capisce » ( e io confermo che Bastiapolemica con lui, prendendo sril serio, e netto ha capito bene) « che egli si trova, nei prendendomela, con le sue caustiche battu- confronti della pedagogia » (sottolineato da te. Me ne guarderò bene: tanto più che, m e ) , in una posizione analoga di quella in quando le divergenze sono di fondo, ogni di- cui Don Ferrante si trovava nei confronti sc~issione è sterile, e il solo atteggiamento del contagio: non essendo né sostanza, né (t costruttivo » è quello del Br~inelleschi di accidente, il contagio era rtn'invenzione dei fronte a Donate110 che voleva fargli troppo medici m. correggere il Cristo ligneo che stava scolCosì, con lcn abile tour de passe-passe, pendo: To' il legno e fallo tic ». Me ne quella clie il Chiti-Batelli, come don Ferguarderò bene, dttnqiie. e m i limiterò a due rante, non sa bene che cosa sia, diventa piccole « rilesse a punto ». non la neb~ilosa e inconsistente pedagogia pseudo-etiropea degli europeisti in pantofole, nla la pedagogia tout court. l ) A proposito di una mia lunga citazione Sara, forse, u n po' « malhonn2t », come didi icn atitore americano - il Mott - il quale parla del valore quasi di mito che hanno, cono i francesi; ma è certo molto spiritoso. o avevano, per la famiglia borghese staruni- Spiritoso e meritato. Giacché anch'io - sitense, i valori della Costituzione e della Co- mile al piccione della barzelletta, che si era rnunità politica - fatto pressoché sconosciu- ritrovato all'inferno, pttr avendo iiissuto semt0 in Europa - Basticinetto trova inconcepi- pre vita intemerata, perché una volta, una sola, si era lasciato tentare da una graziosissima colomba, senza sospettare che si trattasse dello Spirito Santo - anch'io, dicevo, che ptir ho visslrto non meno intemeratamente ( e ho infatti sempre trattato coi guanti gialli ttitti gli scritti firmati da BastiaNUOVI ENTI TERRITORIALI LOCALI netto), non ho poi manifestato uguale apprezADERENTI ALL'AICCE zamento per vari opiiscoli dell'A.E.D.E., sospettando ancor meno di quel piccione che Abitanti fossero anch'essi farina del suo sacco. Comune di: Ssno peccati clie non si perdonano, e che meritano l'inferno. Atessa (CH) . . . . . . 9.276 Per questo - ma solo per quesro - no?; 3.895 Castronuovo di Sicilia (PA) . applicherò a « Comuni d'Europa » il proverbio « dagli amici m i guardi Iddio », e ti Mesagne ( B R ) . . . . . 27.304 ringrazio anzi di aver ospitato la corrosiva recensiot~edi Bastianetto: « stimolante », coPonte Dell'Olio (PC) . . . 5.011 me si dice oggi, in un'epoca in cui difettario Settimo Torinese (;O) . . 42.710 gli or,noni. Cordialmente tiro. Andrea Chiti-Batelli Storioni e piccioni I I I I 1 I dicembre 1976 COMUNI D'EUROPA Aggregazione e disaggregazione nel Mediterraneo: i rapporti regionali e il contesto internazionale di Roberto Aliboni direfiore delle rirercl~e dello / A I Questo articolo è tratto d a una relazione presentata alla V Assemblea generale del Comitato di coordinanlento fra i porti del Mediterraneo Nord-Occidentale, tenuta a Tolone il 1315 settembre 1976. La relazione f a parte dei lavori di ricerca che l'Istituto a f f a r i internazionali (IAI) di Roma conduce sul Medi. terraneo nel quadro di un progetto finanziato col contributo della Fondazione Ford. Perché il Mediterraneo è importante? Innanzitutto, perché la svolta impressa agli avvenimenti mondiali dal repentino aumento del prezzo del petrolio ha fra i suoi protagonisti i paesi arabi e l'Iran, cioè dei paesi che si affacciano direttamente sul Mediterraneo o che si trovano nella zona contigua del Vicino Oriente. Nessuno dubita dell'importanza di quella svolta, ma un miglior rilievo al suo ruolo storico è forse dato da un paragone che Guido Carli - l'ex governatore della Banca d'Italia - ebbe a tracciare in un suo articolo dell'anno scorso ( l ) , rifacendosi a una nota controversia sulla storia del Mediterraneo animata da Henri Pirenne. Nell'VIII secolo, a seguito della conquista da parte degli arabo-mussulmani del Mediterraneo meridionale, solo la loro marineria era in grado di dominare il mare ed esportare tessuti e spezie verso l'Europa. Quest'ultima non aveva da dare in cambio che oro. La base monetaria europcea si accumulò, pertanto, presso i governi arabi, analogamente a quanto accade oggi con le attuali monete di riserva, ma senza che vi fosse alcuna possibilità di riciclaggio. La deflazione conseguita dovette essere uno dei fattori più importanti della grande depressione che subì I'economia europea di quei tempi. Da quella depressione si uscì, molto lentamente, anche grazie all'ancoraggio dell'economia europea all'argento, stabilito da Carlo Magno. Questo richiamo fa pensare che, se uno degli edifici che ospitano la Commissione della Comunità a Bruxelles s'intitola proprio a Carlo Magno, potrebbe trattarsi di un riferimento non puramente retorico. Qualcuno forse ha pensato che valeva la pena ricordare quell'imperatore perché aveva risolto all'epoca sua, per compiere la sua opera di costruzione europea, uno dei problemi oggi più scottanti per chi si è posto lo stesso programma: il problema di una moneta europea:. Queste considerazioni introducono un secondo motivo dell'importanza del Mediterraneo, e cioè il travaglio della costruzione europea. ( I ) G . CARI.I, O p p o r ~ u n i f à e limiri del rirolo degli mondiale, n Banca Sfafi nel sisrema rian (Ronia), gennaio 1975. pp. 7-14. Diversamente dal petrolio, siamo qui di fronte a una mera possibilità di svolta storica, un'aspirazione sul cui successo è certo difficile fare previsioni. Tuttavia, il processo di unificazione europea, per quanto debole e travagliato, sprigiona dinamiche politiche ed economiche che non si debbono sottovalutare. Questo processo garantisce alle economie mediterranee ed africane un mercato impor.tante, e spesso più liberale di altri mercati industrializzati. Inoltre, con la convenzione di Lomé, e in particolare con lo Stabex - il meccanismo di stabilizzazione dei proventi delle esportazioni di prodotti di base dei partners meno sviluppati della convenzione -, nonché con l'approccio cosidetto « globale » della politica mediterranea, la Comunità europea ha dato prova di un'immaginazione e di una lungimiranza politica che senza dubbio la distinguono positivamente nel contesto dei rapporti nordsud, anche se non la esentano da critiche. Aver parlato delllEuropa ci suggerisce un terzo elemento di importanza del Mediterraneo, e cioè il movimento di rinnovamento politico che percorre l'Europa del Sud, dopo la caduta del regime tirannico della Grecia e di quello reazionario del Portogallo. In questo clima la successione al generale Franco in Spagna è dovuta avvenire nel contesto di mutamenti che potrebbero presto -riconsegnare questo paese alla democrazia europea. Questo movimento, infine, potrebbe rafforzare le attuali opposizioni di sinistra in Francia e in Italia, portando a mutamenti clamorosi nel governo di questi due paesi. Questo rinnovamento politico si accompagna a pressanti richieste di adesione alla Comunità Europea. La facciata mediterranea delllEuropa sta ponendo quindi a quest'ultima il grave problema di essere più grande e di trovare così una soluzione alle maggiori disparità economiche che questo allargamento comporterebbe. E' una sfida più grave di quanto a prima vista sembrerebbe. I fattori d'importanza che abbiamo finora ricordato si uniscono al persistere del conflitto del Medio Oriente. 11 conflitto medioorientale riguarda l'area con le maggiori riserve di petrolio nel mondo e per questo ed altri motivi vi si registra la compresenza più massiccia e delicata delle superpotenze. Quest'ultimo punto merita di essere sottolineato. Le due superpotenze sono in conflitto su tutti gli scacchieri del mondo, m a nel Mediterraneo esse realizzano una forte presenza tattica - oltre che strategica -, cioè sono fisicamente a contatto e debbono quindi gestire un equilibrio assai più difficile e precario di quello strategico o di quello che riguarda altre zone nella quale la loro presenza è più o meno mediata da altri protagonisti. Solo l'Europa centrale conosce un dispiegamento tattico delle forze come quello del Mediterraneo. Ma l'Europa centrale, in quanto epicentro, anche storico, del conflitto est-ovest, è anche il luogo privile- 5 giato della distensione e della deterrenza, le quali rendono il conflitto diplomaticamente gestibile. Nulla di questo nel Mediterraneo, dove i conflitti possono anche presentarsi in superficie secondo il modello estovest, ma dove hanno invece una radice autonoma ben salda. Questa scarsa propensione dei conflitti mediterranei a d essere gestiti con gli strumenti tradizionali della distensione, insieme al contatto fisico delle flotte, rendono assai più probabile che altrove l'incidente e il rischio di conflitto. Occorre anche considerare che ad una forte presenza tattica è sempre associata una considerevole presenza politica. Ciò è perfettamente visibile nelllEuropa centrale. Ma qui l'interferenza politica è gestita in un quadro multilaterale - come la Nato e il Patto di Varsavia - e questo quadro consente una maggior autonomia ai partners più deboli. Nel Mediterraneo questo quadro multilaterale manca, e sono assai più intensi i rapporti bilaterali fra ciascun paese dell'area e le grandi potenze. Ora, non c'è dubbio che, attraverso i rapporti bilaterali, l'intrusione delle superpotenze è assai più profonda e subordinante. Ecco allora che abbiamo elencato quattro motivi che sottolineano l'importanza del Mediterraneo. Ce ne sono molti altri, m a questi quattro appaiono i più decisivi: il petrolio e gli effetti economici e finanziari che esso genera, particolarmente per l'Europa; l'edificazione europea coi suoi riflessi mediterranei e subsahariani: il risveglio politico delilEuropa del Sud; il conflitto del Medio Oriente e la sua interazione con una presenza delle superpotenze particolarmente attiva e penetrante. Ora, i fattori che abbiamo enumerato esercitano una forza d'aggregazione o disgrega. zione nel Mediterraneo? Che rapporto c'è fra l'equilibrio regionale e quello globale? C'è solo conflitto o anche cooperazione? Per rispondere a queste domande è necessario partire da qualche considerazione più generale sull'assetto globale delle relazioni internazionali. L'equilibrio globale resta bipolare, anche se, com'è noto, è in via di proliferazione il possesso dell'arma atomica: un processo che porrà nel prossimo futuro gravissimi problemi. Tuttavia, per un arco di tempo ancora ragionevolmente lungo, le potenzialità dei nascenti arsenali nucleari non avranno la stessa rilevanza strategica di quello delle superpotenze. In questo mondo che resta bipolare occorre sottolineare che le spinte alla cooperazione e all'integrazione fra i due blocchi non hanno assunto una rilevanza apprezzabile. I1 processo di distensione sta indubbiamente subendo delle pause. D'altra parte, il significato pratico della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione europea, conclusasi solennemente a Helsinki l'anno scorso, non è andato al di là della sanzione delle frontiere europee uscite dalla seconda guerra mondiale. Perciò, più che occuparsi dell'assetto bipolare che, sia pure con queste sue debolezze, si può dare per scontato, e più che occuparsi di scenari multipolari globali cioè di situazioni in cui i poli dotati di sufficienti attributi militari e politici si accrescono -, vale la pena di volgere la nostra attenzione alllOccidente, avendo dell'occidente una visione forse per alcuni aspetti indebitamente allargata, cioè comprensiva della COMUNI D'EUROPA .-.--.-.---A coordinata nord-sud. Quale assetto ha questo Occidente allargato: unipolare o multipolare? Gerarchizzato o paritario? Quale è la sua difesa? Quale la sua divisione del lavoro? Evidentemente non intendiamo rispondere dettagliatamente a queste domande, ma solo fare delle riflessioni generali. La prima di queste riflessioni è che l'assetto dell'occidente è senza dubbio unipolare: gli Stati Uniti occupano il vertice di una struttura sulla cui forma si può discutere ma che è senza dubbio gerarchizzata, sia dal punto di vista militarc. sia da quello economico. E' utile soffermarsi un attimo sull'evoluzione di questa unipolarità. L'egemonia degli Stati Uniti è oggi diversa da quella degli anni cinquanta e degli anni sessanta. Negli anni sessanta abbiamo assistito a sviluppi politici ed economici che tendevano a conferire ai rapporti iriternazionali un indiriz7.o più equilibrato, cioè a far evolvere I'unipolarismo degli Stati Uniti: il successo della Comunità europea, che negli anni sessanta indubbiamente conobbe un vertice, e i l grande tentativo di fondare una difesa atlantica realmente comune, cioè corredata di forme di partecipazione europea alla gestione e al controllo dell'arma nucleare. Questi disegni sono entrambi falliti: per la difesa non si è fatto nulla c la Comunità è quasi in declino. Il risultato ì: che I'unipolarità degli Stati Uniti, in alcun modo temperata, è evoluta da forme imperiali - cioè da relazioni contrattuali e partecipanti - a forme nettamente imperialistiche. Inoltre l'Europa ha perso gran parte del privilegio che la legava agli Stati Uniti. Restano fra Europa e Stati Uniti legami grandissimi, soprattutto culturali, ma dal Terzo Mondo sono indubbiamente erriersi nuovi potenti ai quali gli Stati Uniti sono per forza di cose altrettanto interessati. Se ritenessimo interamente negativo questo sviluppo, peccheremmo di eurocentrismo. In effetti, negli anni sessanta. era positivo il tentativo di riequilibrare i rapporti atlantici, ma mancava una reale considerazione dei rapporti coi paesi emergenti. L'assetto attuale, sia purc in modi assai discuiibili, tiene conto dell'emergenza di nuovi paesi. Nel momento in cui ci si pone ancora una volta il problema di uscire dall'unipolarismo imperialista evolvendo verso un assetto multipolare dell'Occidente il fatto che in qualche modo il sistema internazionale abbia preso atto dell'emergere di nuovi paesi, cioè di nuovi poli, è ovviamente assai importante. Siamo qui a un punto cruciale. Abbiamo sempre di fronte a noi lo stesso problema, quello di far evolvere l'occidente verso relazioni internazionali multipolari - oggi negli anni settanta, come ieri negli anni sessanta. E però c'è una difl'erenza di fondo. Ieri, la nostra immagine intellettuale del multipolarismo era limitata al solo mondo atlantico - e forse era limitata anche nei fatti. Oggi, questa stessa immagine, confortata dei fatti, si è allargata ai paesi del Terzo Mondo. Non possiamo più pensare a un polo europeo, accanto a quello americano.' Dobbiamo pensare anche ad altri poli, agli arabi, agli iraniani, ai latino-americani. Quest'ultima considerazione ci introduce direttamente nella tematica multipoiare. Abbiamo detto che il mondo occidentale è oggi unipolare e abbiamo fatto alcune con- dicembre 1976 p siderazioni sulle caratteristiche di questa unipolarità. Dobbiamo ora discutere lo scenario multipolare. il quale non costituisce - come quello unipolare - la realtà sotto i nostri occhi, bensì un progetto, un auspicio. Come viene formulato lo scenario multipolare, in linea generale? Limitandoci all'Occidente allargato, si prevede la costituzione di tre grandi blocchi, fatti ciascuno di un nord industrializzato e di un sud meno sviluppato: gli Stati Uniti e il Canada con l'America Latina; il Giappone e l'Australia con il Sud-est delllAsia; l'Europa col Mediterraneo in senso lato - - cioè fino all'Iran - e l'Africa subsahariana. All'interno di questi blocchi, avverrebbero mutamenti significativi nella divisione del lavoro, grazie a forme di protezione economica, finanziaria c commerciale nei confronti degli altri blocchi. Ora, chi guardi con un minimo di attenzione questo scenario, non può non scorgervi, sotto nuove denominazioni, un assetto ben noto, quello degli imperi coloniali e della ricerca degli spazi vitali. Durante il periodo fra le due guerre ha scritto Sidney Dell in un noto volume (2) - il mercato mondiale cra diviso in una serie di compartimenti, sicché gli scambi erano confinati all'interno di aree che fossero quanto pii1 possibile autosufficienti. Ognuno di questi segmenti dell'economia mondiale - l'Inghilterra e il Commonwealth, i l Belgio, la Francia, l'Italia, l'Olanda e i rispettivi territori coloniali, la Germania e 1'Europa orientale e meridionale, il Giappone e la sua « sfera di co-prosperità * - aveva come proprio nucleo centrale una grande e avanzata industria manifatturiera che necessitava tanto del rifornimento delle materie prime tratte dalle aree dipendenti quanto dei mercati che queste ultime potevano provvedere n. Così formulato. lo scenario multipolare va quanto meno preso con cautela, se non proprio respinto. Ciò, per motivi diversi. Perché quello scenario è stato uno dei fattori della seconda guerra mondiale e, quindi, dobbiamo presumere che esso contiene fortissime dosi di conflittualità. Inoltre, la disgregazione di quello scenario, avvenuta con la guerra, non ha solo seppellito per sempre gli imperi coloniali, ma ha anche la possibilità di legami privilegiati e unilaterali fra paesi industrializzati e non industrializzati. Questo tipo di legame è esattamente quello che t: oggi contestato nei rapporti globali nord-sud: è impensabile che esso venga invece accettato e reso organico in un contesto regionale. Perché dovrebbe? Diciamo, allora, che lo scenario multipolare, che vogliamo sostituire a quello unipolare in cui oggi viviamo, ha una prima caratteristica: esso non deve prevedere poli dualistici, al cui interno, cioè, si ritrovi su scala regionale quel tipo di rapporto che viene rifiutato su scala globale. Potremo, così, immaginare un polo europeo e un polo africano - per fare degli esempi - ma non un polo eurafricano, e via dicendo. In secondo luogo, lo scenario multipolare che ci sembra auspicabile dovrebbe avere un'altra caratteristica importante. e cioè non dovrebbe essere formato da blocchi chiusi fra di loro, perchk questa ì: una situazione ( 2 ) T r u < l e Alot.\. irtirl Curntnoti bfurkrr,\, Londori, Con1963, p . 259. rtable. di conflitto che rende lo scenario non solo instabile, ma anche inaccettabile. Lo sienario dovrebbe prevedere invece delle forme ben salde di integrazione e cooperazione fra i poli. Questa dovrebbe essere la sua caratteristica fondamentale. Non ci si deve però nascondere che si annida proprio qui una grande difficoltà. In efl'etti, come la logica della disintegrazione a livello mondiale L' quella pertinente allo scenario multipolare che abbiamo respinto, così la logica dell'integrazione mondiale è pertinente allo scenario unipolare. E' dunque possibile costruire uno scenario multipolare che sia fondato sulla logica dell'integrazione, posto che apparentemente è questa una logica che appartiene allo scenario opposto? La domanda può essere formulata meglio: è concepibile uno scenario multipolare fondato su un processo d'integrazione dell'economia internazionale diverso da quello operante oggigiorno nello scenario unipolare? L'integrazione capitalista dello scenario unipolare ha delle caratteristiche che bisogna richiamare. Questa integrazione ha conosciuto più l'approfondimento del la base capitalistica nelle regioni già industrializzate che non un suo allargamento ai paesi meno sviluppati. In altri termini gli investimenti esteri, in particolare quelli delle imprese multinazionali, si sono in maggior parte diretti verso l'Europa e il Giappone. La parte andata ai paesi meno sviluppati è assai minore in termini relativi. Dal punto di vista tecnologico, mentre sono state decentrate in Europa e Giappone prevalentemerite le produzioni arrivate al secondo stadio del ciclo descritto da Raymond Vernon, cioè quelle ancora abbastanza nuove (trasferite per affrontare o prevenire la concorrenza sui mercati esteri), invece sono state prevalentemente decentrate verso i paesi meno sviluppati le produzioni del terzo stadio, cioè quelle con tecnologia molto standardizzata o con un ciclo produttivo molto frazionato. Passare dall'approfondimento all'allargamento della base capitalistica potrebbe costituire proprio quell'integrazione diversa che dovrebbe caratterizzare il nostro scenario multipolare. Si tratta di un processo tlitficile, che richiede una ferma volontà politica per essere portato a termine. Per ora dobbiamo registrare solo insuccessi. Quando è scoppiata la crisi petrolifera, i11 effetti, è stato proposto di riciclare I'eccedente finanziario dei paesi esportatori di petrolio verso i paesi privi di risorse specifiche o pregiate, per metterli in grado di acquistare i beni strumentali necessari allo sviluppo e/o di acquisire gli investimenti diretti e le tecnologie utili allo stesso scopo. Esisteva già da numerosi anni inoltre uno schema per realizzare questa operazione con apposite emissioni di liquidità internazionale. Nulla è stato fatto, anche se gli studi compiuti e i negoziati in corso hanno dato indicazioni precise circa i settori da decentrare, i relativi finanziamenti, I'assistenza tecnica necessaria, i modi per trasferire la tecnologia. bna ricerca condotta, mediante un'inchiesta in Europa, dall'Istituto Afl'ari Internazionali (3) ha accertato una grande cautela da parte delle multinazionali dicembre 1976 ad investire nei paesi del Mediterraneo meridionale, se non addirittura un vero e proprio disinteresse. Queste difficoltà vanno sottolineate, perché le analisi in qualche modo ispirate alle dottrine dell'imperialismo, con quel tanto di determinismo che le caratterizza, danno invece per scontato che il capitalismo sia già pronto a decentrare settori e tecnologie standardizzate e a imporre una divisione internazionale del lavoro nuova ma ugualmente subordinante. Non esistono grandi evidenze di questa strategia: l'allargamento della base capitalistica mondiale non sembra vicino. In ogni caso, le analisi in questione ne respingono l'eventualità per diversi motivi. Soprattutto, perché gli investiment i esteri sono compiuti in settori a tecnologie standardizzate e da imprese multinazionali. Queste integrano il paese ospite nel capitalismo mondiale in via del t - ~ t t osubordinata e lo rendono quindi impotente e alienato. Questi argomenti sono in gran parte validi. Tuttavia essi generano atteggiamenti e proposte che non sembrano altrettanto validi. Vediamo quali. Taluni scenari multipolari o regionali, come per esempio gli scenari mediterranei, suggeriscono che la divisione del lavoro, una volta elimiiiati gli Stati Uniti dalla scena. sarebbe più equa. Questa è un'illazione senza fondamento. Alle multinazionali arnericane si sostituirebbero quelle giapponesi ed europee, mentre nulla della situazione sociale e sindacale delllEuropa e del Giappone fa pensare a decentran~entidiversi da quelli cui si pensa correntemente, c che - sottolineamolo ancora - neppure trovano cospicue attuazioni. I1 problema, in effetti, t: più grosso e riguarda la contraddizione in cui si dibatte tutto l'occidente di fronte a processi economici e finanziari che sono ormai in gran numero transnazionali e che vengono affrontati con risposte nazionali e magari anche nazionaliste. Le imprese multinazionali sono Fra questi processi e noi pensiamo che l'integrazione diversa del nostro scenario multipolare dovrebbe prevedere fra le sue procedure di cooperazione un controllo comune almeno sulle imprese multinazionali. Certamente è difficile, però si può fare. Le multinazionali hanno programmato la produzione mondiale solo perché non lo hanno fatto i governi. Occorre avere istituzioni transnazionali per fare il lavoro che oggi fanno le imprese multinazionali. I paesi che lamentano l'intrusione delle multinazionali, e l'applicazione di una divisione internazionale del lavoro egemonizzata da quelle imprese, hanno dunque ragione. La questione però non si risolve rifiutando l'ingresso alle multinazionali, le qual i spesso sono le uniche detentrici della tecnologia, bensì cercando di praticare un controllo nazionale chiaro - come del resto già fanno molti paesi - e soprattutto una cooperazione internazionale appropriata. Altrimenti si ricade in scenari di forte conflitto. Per concludere sullo scenario multipolare, un'ultima riflessione. Abbiamo detto che questo scenario dovrebbe fondarsi sull'allargamento della base capitalistica .e sull'instaurazione di procedure dirette ad avvicinare le istituzioni nazionali ai processi transnazionali. Abbiamo sostenuto uno scenario multipolare fondato sull'inteprazione e la 7 COMUNI D'EUROPA --- cooperazione. Dobbiamo dire che il pcith di questo scenario non va certo esente d a conflitti. In effetti, anche se lo scenario non prevede l'emergere di poli CC l'un contro I'altro armati », nondimeno prevede I'emergere di poli, e questo fatto urta con gli interessi precostituiti. Il path del nostro scenario implica una maggiore partecipazione al potere dei nuovi poli e pertanto la fine del potere assoluto degli Stati Uniti. Quindi implica dei conflitti e delle resistenze. Ora, su questo punto occorre dire che la iniziativa spetta ai nuovi poli. Addossare agli Stati Uniti la colpa delle divisioni fra europei fa troppo onore agli Stati Uniti e toglie troppe responsabilità dalle spalle degli europei, o degli arabi. Quando alla fine del 1973 gli europei si sono trovati di fronte all'aumento del prezzo del greggio, ogni paese ha dato una sua risposta, ma nessuno ha seriamente pensato a imboccare la strada di una politica energetica comunitaria. In quel- Nettuno prenziutn con la bantlieru ti' onore COMUNE 01 NETTUNO Comune di Nettuno PROUIWCII D I R O l l I - Cittadini, la Commissione per l'assetto del territorio e dei poteri locali, operante a Strasburgo. in seno all'Assemblea del Consiglio d'Europa, ha assegnato a N E T T U N O la "BANDIERA D'ONORE del CONSIGLIO EUROPEO". Tale ambito riconoscimento, attribuito alle Comunità locali che si distinguono per le attività tese a sviluppare l'ideale europeistico, premia l'azione, oggi rafforzata dal gemellaggio con la Città di Traunreut, che il Comune di Nettuno, a nome della cittadinanza, ha svolto e continua a svolgere nell'ambito del Consiglio Nazionale dei Comuni d'Eurooa. La consegna della "Bandiera", da parte del Sen. PIKET, Vice Presidente della predetta Assemblea. avverrà domenica 5 dicembre p.v., alle ore 16,30. Nella circostanza, questa Amministrazione,convinta della notevole rilevanza sociale della istituzione della "Federazione Europea" intende riafiermare ogni impegno e assicurare il proprio sforzo maggiore nele sedi competenti, perchè si giunga rapidamente alla ratifica della convenzione europea e alla sollecita approvazione della legge che permetta alle popolazioni di designare direitamente, nella prossima primavera del 1978. i propri rappresentanti al Parlamento Europeo. L a Commissione p e r l'assetto del territorio e dei poter1 locali, operante a S t r a s b u r g o , i n seno all'Issemblea del ~ dlEuropa, ~ ha ~ assegnato ~ a mettuno ~ la ~ l BIINDIERII D'ONORE DEL CONSIGLIO EUROPEO Tale a m b i t o riconoscimento, a t t r i b u i t o alle Comunlth locali che s i distinguono p e r l e a t t i v i t a tese a sviluppare I'lderle europeistico, p r e m i a l ' a z i o n e , oggi r a f f o r z a t a dal aemellaaalo con l a Citta d i Traunreut. che il Comune d l Net-tuno, a nome della cittadinanza, ha svolto e continua a evolg e r e nell'amblto del Consiglio Nazionale dei Comuni d'Europa. L a consegna della "Bandiera,,, da parte del Sen. PIUET, Ulce Presidente della predetta Issemblea, avverr6 domenica 5 dicembre p.v., alle o r e 18,30. Mellr clrcoetanza, questa Immlnlctrazlone, convlnta della notevole rllevanza coclale della Istltudone della "Federadone Europea,, Intende rlaffermare ognl Impegno e assicurare Il p m p r l o sforzo magalore nelle sedl c o m p e t e n t i , perchè sl mlunga rapidamente alla ratlflca della wnvenzione europea e alla solleclia appmvazlone della lemme che permetta alle popolazlonl d l declgnare direttamente, nella pmsslma prlmavera del 1878,l p r o p r i rappresentanti a l Parlamento Europeo. N.lluno. Nettuno. li 2 dicernbm 1976 li 2 dicembrm I976 IL YNOACO IL S I N D A C O IPinlonr>Simeonil L A ~ ~ ~ K F W ~ ~ I I T A M N ~ Iitosia S LA R CÌTTADINANZA E E' MVTTATA AD A 1 m - I1 5 rlicenihre 2 stata consegnata al Coniitne d i Nettilno lu Bandiera d'onore del Consiglio d'Eirropa nel corso d i icnri grande nianifestuziotie svoltasi nella sala consilicire del Contune. Nelle foto: (in alto) i mattifesti futti affiggere d a l l ' A ~ ? ~ t n i ~ ~ i s t r a z civica; ione ( s o t t o ) il Borgoi~ia.stro (li Traunreut, Frawz Haberlunder, premia uti preside della cittadina laziale uninlatore della Giornatu europea delle Sct4ole; al tavolo della presidenza (da sinistra) l'assessore regionale del Luzio, Panizzi, m e m b r o dell'Esecutivo dell'AICCE, il senatore Piket, in ruppresentat~zudel Cotisiglio d'Europa, il Borgomastro d i Traunreut ( c o m u n e gemellato con Nettiino), il .vindaco d i Nettiit~o,S i n ~ e o n i .r il consigliere regionale del Lazio, Lazzaro. l ~ dicembre 1976 COMUNI D'EUROPA le condizioni non c'era altra soluzione che quella di fare come volevano gli americani. La crisi della costruzione europea è il punto più debole di questo scenario. Purtroppo però, se non si supera questa debolezza, non si scorgono alternative probabili all'attuale scenario unipolare. Gli scenari multipolari diversi dallo scenario multipolare fondato sull'integra~ione e la cooperazione che qui abbiamo sostenuto, appaiono non solo poco accettabili ma anche più conflittuali e insolubili. Ci siamo chiesti, all'inizio, quale rapporto vi fosse fra l'equilibrio regionale mediterraneo e l'equilibrio globale, se vi fossero fattori prevalentemente aggreganti o disag-greganti, se vi fosse conflitto o cooperazione. Le considerazioni sin qui svolte, ci hanno già permesso di fornire, più o meno esplicitamente, qualche risposta. In ogni caso, chiarite le premesse, possiamo ora procedere più speditamente. Vorrei illustrare tre punti. I1 primo è che il Mediterraneo non è un polo, bensì un'area in cui stanno emergend o più poli. I due grandi poli emergenti sono la Comunità europea e il mondo arabo. Questi due poli sono collegati indubbiamente da fitte relai.ioni, ma questo non significa che siano operanti anche fattori di aggregazione. Paradossalmente, si può dire che l'unico fattore di aggregazione sia costituito dalla presenza delle due superpotenze. Una rappresentazioiie più incisiva di tanti discorsi di questa aggregazione operata dalle superpotenze è forse data dall'episodio dell'allarme atomico che vi fu durante l'ultima guerra arabo-israeliana. In quel momento tutto il Mediterraneo era sicuramente coinvolto. Neppure si può dire che le imprese multinazionali abbiano dato una struttura unitaria al Mediterraneo. Infatti, queste quando investono nei paesi della riva sud sono nella stragrande maggioranza compagnie petrolifere e quando invece investono nei paesi della riva nord sono imprese manifatturiere o di servizi. Nemmeno la Comunità europea, che pure ha svolto un'opera molto interessante, ha fornito un quadro di riferimento aggregante. In effetti i suoi legami sono bilaterali, cioè con ogni singolo paese arabo, e malgrado ogni s f o r ~ ocostituiscono una politica globaie solo dal punto di vista di Bruxelles. Questo non per fare critiche ingenerose alla Comunità, ma perchti la situazione è oggettivamente difficile. Dunque, non esistono spinte aggregative di rilievo. Invece, vi sono importanti fattori di disaggregazione. Uno di questi è costituito dal movimento di adesione alla Comunità da parte dei paesi delllEuropa meridionale: dalla Turchia al Portogallo, dalla Grecia alla Spagna, da Cipro a Malta. Questo movimento, che come abbiamo detto pone gravi problemi alla Comunità, può avere due esiti. Può indebolire la Comunità o comunque perdersi in una autonoma disgregazione della Comunità, oppure può rafforzare la Comunità. Nel primo caso questi paesi resterebbero nell'orbita germanica ed è questa un'ipotesi che qui non ci interessa. Nel secondo caso creerebbero un movimento centripeto verso l'Europa e una demarcazione più netta verso la riva sud del Mediterraneo come pure verso altre zone esterne. Questo è un fattore di rilievo. Ma soprattutto rilevante è che la stessa emergenza del mondo arabo tende a porsi in termini divisivi rispetto al Mediterraneo. Innanzitutto la ricchezza finanziaria derivata dal petrolio continua ad avere negli Stati Uniti il suo luogo preferito di investimento. Ma anche se si pensa a una diversificazione di questo rapporto degli arabi con gli Usa, si scorge una volontà e una convenienza degli arabi a sviluppare piuttosto il loro stesso mercato. Già si vedono i tentativi di creare mercati finanziari arabi, mentre sicuramente seguiranno importanti sviluppi integrativi nei paesi arabi. Inoltre il mondo arabo ha acquisito, nello stesso corso della recente vicenda petrolifera, la consapevolezza della importanza dei suoi rapporti con l'Africa e con il subcontinente asiatico. Se queste due aree si svilupperanno, aumenterà il consumo del petrolio arabo e si diversificherà la clientela dei produttori. E poiché il consumo di petrolio dipende dal grado di sviluppo industriale e agricolo, ecco che nasce la grande impresa di investire nello sviluppo di questi paesi l'eccedenza finanziaria petrolifera per vendere poi loro più petrolio e per accrescere I'interscambio industriale e/o agricolo a termine (4). Nel momento in cui emerge, il mondo arabo si percepisce in realtà al centro di una rete di rapporti internazionali che è assai più vasta di quella che eredita dalla tradizione coloniale e su cui in definitiva sono solo gli europei a credere ancora. Anche questo dunque è urlo sviluppo disaggregativo importante, che occorre tenere nel massimo conto. Disaggregazione, tuttavia, non significa disgregazione, non implica conflitti, non esclude la cooperazione. Al contrario, se la disaggregazione porta a una maggiore chiarezza di rapporti, essa può costituire la base per una migliore cooperazione. Ora, non c'è dubbio che fra il polo europeo e quello arabo esistono eccellenti possibilità di cooperazione. Questo è il secondo punto che intendiamo richiamare. Gli Stati Uniti esercitano un'influenza crescente sul mondo arabo, non solo sul piano finanziai-io ma anche su quello politico. Basta pensare ai mutamenti in Siria. Nondimeno l'Europa resta per gli arabi un partner importante perché - a parte altri fattori come le migrazioni e il turismo - essa è un cliente di primo piano per gli acquisti di petrolio e possiede tecnologie spesso più adatte di quelle americane (come nel settore agricolo). D'altra parte, gli europei oltre ad essere fortissimi acquirenti di petrolio, trovano nei paesi arabi fattori indispensabili al loro stesso interesse. Il commissario Claude Cheysson e Chedly Ayari, ora presidente della Banca araba per lo sviluppo delllAfrica, li hanno enumerati spesso: materie prime, spazio, manodopera (5). Sono fattori che gli europei non hanno e che uniti ad altre complementarietà potenziali costituiscono senza dubbio la base di una fruttuosa cooperazione. E' questo lo orizzonte del dialogo euro-arabo. Occorre però dire, sempre con Cheysson, che c'è innanzitutto nel dialogo euro-arabo un'ispirazione politica. Questa ispirazione politica è meno forte negli europei che negli arabi e fra gli stessi arabi esistono diversità di atteggiamento considerevoli. Tuttavia, sarebbe vano puntare sul dialogo euro-arabo se si rifiutassero le sue implicazioni politiche. Queste implicazioni si esprimono ora nel problema del riconoscimento delllOlp, ma nel lungo andare consistono nell'attuazione del mondo multipolare di cui abbiamo parlato a lungo in precedenza. I1 dialogo euro-arabo sottintende due sbocchi: l'unità europea e quella araba, senza di che esso resterebbe utile ma poco significativo. I1 fatto che esso prosegua è di buon segno, perché significa che le due parti continueranno ad essere sottoposte, quasi costrette, a questo stimolo unitario. Infine, il terzo punto riguarda l'emergere dei poli microregionali: la Germania, l'Iran, 1'Arabia Saudita. La Germania è al centro di una zona che comprende il Mediterraneo, nella quale operano di fatto forti elementi di integrazione. Un economista italiano, Marcello De Cecco, ha parlato di « vocazione germanica del Mediterraneo (6) e ha messo in evidenza come la Germania, esercitando una domanda di merci, turismo e lavoratori mediterranei, abbia permesso alle economie mediterranee di venire in possesso di marchi, che poi queste ultime, anche grazie a una solida politica di penetrazione commerciale bilaterale, rimettono alla Germania per acquistare soprattutto beni strumentali. Se a questo si aggiunge che la Germania dovrà decidersi presto a compiere investimenti diretti all'estero, anche per risolvere i problemi di decentramento tecnologico che la sua economia impone, il cerchio si arricchisce e si stringe. E' soprattutto l'Europa meridionale che e investita da queste prospettive. L'Iran e I'Arabia Saudita hanno la stessa funzione, pur se complicata da importanti rivalità. Con i prestiti, gli aiuti e gli investimenti e - a differenza della Germania anche con le armi, questi due paesi stanno emergendo come poli importanti nell'area del Vicino Oriente e dell'oceano Indiano. Questi sviluppi non sono positivi. I poli di cui parliamo non hanno una loro indipendenza. Sono anelli nella catena che regge lo scenario unipolare. I paesi che hanno rapporti con questi poli intermedi hanno un solo modo per evitare l'effetto di subordinazione che ciò comporta: accelerare i rispettivi processi d'integrazione, l'Europa, il mondo arabo. Perché in un contesto integrato essi hanno maggiori possibilità di autonomia e controllo. Se ora consideriamo nel loro assieme i punti che abbiamo sviluppato, scopriamo che ci suggeriscono una stessa risposta. Gli aspetti politici ed economici della cooperazione, le sequenze attivate dall'Europa del Sud con il risveglio iniziato a Lisbona e quella attivata nel mondo arabo con l'ultima guerra arabo-israeliana, il significato negativo dell'emergere di poli intermedi nella regione, suggeriscono agli europei di accelerare il processo della loro unità e agli arabi di fare altrettanto. Questa appare in definitiva la premessa sia per migliori relazioni mediterranee, sia per un più equilibrato assetto dell'occidente. Noi non possiamo essere certi che sarà così, però possiamo lavorare insieme in questa direzione. )) (4) Si vcda in proposito l'intervista al Prol. Issam El-Zaim, siil dialogo curo-arabo sii El Moudjahid ,,. 3 giugno 1975. (6)Sirlla i~ocaziotle rnediferrailea [lell'econornia iralia(5) Si vedano i loro interventi nel voliime dell'lai o cura di A . ZWI, E ~ i r o p a - M e t i i t e l - l - a ~ i eqrralr < ~ : r u o j ~ e r a : i < ~ tra: ririli riora. a Prospettive Settanla *, aprile-giugno 1975, pp. 5-9. ~ i e , Il Mulino, Bologna. 1975. COMUNI D'EUROPA dicembre 1976 9 pp.p-- Cronaca delle Istituzioni europee I1 successo del programma dipendc in. fine. per la Coinmissionc, da misui-c concrete concernenti altri aspetti della polidi Pier tica economica e sociale. A tale proposito la Commissione esamina con particolare L'evoluzione congiunturale nella Comuni- lia, sarebbe stata tale da pregiudicare 10 attenzione la politica degli investimenti, deltà presenta, nell'uitimo periodo, alcuni ele- equilibrio dell'economia italiana, aveva au- la concorrenza e la protezione del consumenti positivi, in particolare per quel che torizzato, il 21 luglio 1976, l'Italia a man- matore. riguarda la ripresa della produzione indu- tenere fino al 5 novembre 1976 l'obbligo Dall'analisi svolta nel programma, la Comstriale ed il rallentamento del ritmo di in- di deposito. missione conclude che « l'effettiva soluzioNel mese di settembre, la Commissione ne dei problemi di coordinamento delle poflazione. Fattori negativi, strutturali alla situazione e le autorità italiane hanno avuto una se- litiche economiche potrà essere soltanto di economica e sociale della Comunità, hanno rie di consultazioni sulla possibilità di abro- natura politica ed istituzionale. A questo mantenuto la loro influenza squilibrante su gare anticipatamente le misure di deposi- proposito - prosegue l a Commissione tutta l'area dei paesi membri, specialmente 10. Al termine di Queste consultazioni, il anche se al momento attuale non sono imper la disoccupazione e l'andamento della governo italiano ha chiesto alla C ~ m m i s - mediatamente realizzabili sensibili progresbilancia commerciale. sione di essere autorizzato a ridurre al 45% si in materia istituzionale, è necessario L'azione della Comunità dovrebbe orien- l'importo di deposito a partire dal 15 otto- tuttavia migliorare e sviluppare gli strutarsi quindi, sulla base dei dati congiuntu- bre 1976 e ad effettuarne successivamente menti ed i metodi di coordinamento delle rali, più verso la rimozione degli squilibri la graduale eliminazione in quattro fasi di politiche economiche e monetaria nell'atstrutturali, che verso la risoluzione od il 45 giorni ciascuna; in tal n ~ o d oil deposito tuale quadro politico ed istituzionale D. Poiriassorbimento degli elementi ciclici della verrebbe completamente soppresso il 15 ché è fuor di dubbio - conclude la Commissione - che l'elezione diretta darà un situazione economica. Proprio gli squilibri aprile 1977. strutturali sembrano oggi, di fronte alla La Commissione ha quindi adottato una nuovo impulso alla Comunità, l'urgente e svolta istituzionale, creare i maggiori osta- decisione, a modifica dell'autorizzazione del necessaria ripresa degli sforzi per realizcoli per l'integrazione economica e politica 21 luglio. il 29 settembre 1976 (G.U. L2680 zare l'Unione Economica e Monetaria si dell'Europa. 1.10.1976). inserirà in una prospettiva più favorevole a. . 11 10 settetrihre 1976, il Comitato MonetaDal 4 al 6 1976 si è svolta a La politica economica e monetaria rio ha esaminato, per quanto di sua com- nila l'assemblea annuale del Fondo Monesul piano monetario gli ultimi mesi sono Petenza, la situazione in Danimarca. Fran- tario Internazionale. Parlando a nome della Comunità eurostati caratterizzati da ampi movimenti del- ~ i ae Gran Bretagna, oltre che in Italia, gli relativi all'armo- pea, Duisenberg, Ministro delle finanze olanle monete degli Stati membri. Il rialzo del marco tedesco ha avuto per effetto I'ap- nizzazione degli strumenti nazionali di PO- dese, ha dichiarato che per ridurre la disoccupazione e rafforzare la ripresa econoprezzamento delle monete del serpente, ri- litica comunitaria. politica economica a me- mica la Comunità europea promuoverà gli piano spetto alle altre monete comunitarie, mentre il franco francese, in particolare, è stato og- dio termine, la Commissione ha trasmesso investimenti produttivi e ridurrà I'inflazioal Consiglio il progetto di « IV program- ne. Egli ha indicato che la Comunità si getto di forti speculazioni. a medio termine sforzerebbe di rafforzare la cooperazione I corsi di cambio delle monete che nqn ma di politica alla decisione del Consiglio economica e monetaria interna del Merfanno parte del serpente si sono infatti seriL63 5.3.1974). cato comune, per promuovere uno sviluppo sibilmente alterati, rispetto alle monete che de' l8 febbraio 1974 (" I1 Quarto programma considera che, nei economico simultaneo in tutti i paesi memsono mantenute f r a loro entro una fascia prossimi quattro anni, l'obiettivo principale bri. Evocando la riforma del sistema moche in nessun momento può superare, a vista, il 2,250/0. L'attuale situazione è quindi della politica economica sia a livello netario internazionale, Duisenberg ha didovrà essere il ri- chiarato che essa apportava un contributo caratterizzata da divari medi di una certa munitario che nazionale entità f r a i tassi di riferimento ed i tassi pristino di una situa7.ione di pieno im- sostanziale alla risoluzione dei problemi finanziari dei paesi in via di sviluppo. Piìi di cambio a vista delle monete fluttuanti, piego. rispetto alle monete comunitarie del serritorno al'a piena occupazione i m ~ l i - generalmente, ha precisato, la Cee contica, per la ~ o m m i s s i o n e ,il conseguimento nuerà a cercare una maggiore cooperaziopente. La situazione della bilancia dei pagamenti temporaneo di almeno due obiettivi fonda- ne con questi paesi, tanto in seno alla Conitaliana è rimasta precaria, mentre la liqui. mentali della politica economica: ferenza di Parigi quanto in altre istanze. dità interna presenta livelli notevoli nono- il prodotto nazionale lordo deve au- Secondo Duisenberg il Fondo Monetario destante l'istituzione del deposito temporaneo mentare più rapidamente e più regolarmen- ve diventare uno strumento incoraggiante per ogni operazione di acquisto di divise o te di quanto non sia avvenuto nel corso l'adozione di politiche economiche che permettano una stabilità delle economie interdi accredito di conti esteri in lire, nella misu- degli ultimi cinque anni; ra del 50°/o dell'importo di operazione. - il tasso di inflazione deve essere ri- ne. Egli ha espresso il parere che I'aumenLa persistente congiuntura negativa della dotto a livelli accettabili. to previsto dagli Accordi della Giamaica Italia sul piano monetario ha posto ancora dovrebbe bastare a coprire i bisogni di ripristino della piena occupazione deprestito dei paesi membri, soprattutto se una volta il nostro paese in una condizione ve essere fondato iiioltre su una strategia quelli che hanno eccedeme finanziarie departicolare, che ha richiesto misure di salsu tre elementi: positano le loro eccedenze di quota in movaguardia più incisive di quelle peraltro auuna politica d i sviluppo attiva ed neta liberamente utilizzabile. Duisenberg ha torizzate ad altri paesi membri, come la Gran equilibrata sia dal punto di vista regiona- anche sottolineato Irimportanza che i PaeBretagna e l'Irlanda. le che da quello settoriale: infatti più il si B~~~~ attribuiscono al serpente monetaPrima della scadenza del 5 agosto 1976, ritmo di aumento del PNL e quindi quello ,io europeo. il governo italiano ha chiesto alla Commisdella domaiida globale e rapido, più le prosione l'autorizzazione a mantenere, per un spettive di riassorbimento della disoccu- La politica sociale periodo di tre mesi, l'obbligo di deposito pazione migliorano; autorizzato, conformemente all'art. 108 paNell'ambito dei problemi legati alla poliragrafo 3 Cee, dalla decisione della Com- un impegno sostanziale delle parti tica della piena occupazione, la « piaga » missione del 5 maggio 1976 (v. Comuni sociali di integrare in materia di redditi i della disoccupazione giovanile ha assunto, d'Europa D, settembre 1976). La Commissio- limiti generali; così per le istituzioni comunitarie come una politica attiva e prospettiva del- per i governi nazionali, un'importanza prene, dopo aver proceduto ad un esame della situazione economica italiana e consta- l'occupazione per realizzare un equilibrio minente. tato che l'abolizione delle misure di carat- migliore tra l'offerta e la domanda di m a I1 9 agosto 1976, la Commissione ha aptere monetario, adottate in maggio dalllIta- nodopera. provato un progetto di raccomandazione L'attività della CEE da settembre a novembre 1976 (( - COMUNI D'EUROPA 10 agli Stati membri sulla preparazione professionale dei giovani disoccupati o minacciati dalla disoccupazione. La raccomanda~ionetende a promuo-dere negli Stati membri varie forme di corsi che permettano, al termine della scuola di obbligo, di garantire una preparazione protcssionale appropriata per tali giovani. Per ridurre gli ostacoli alla preparazione professionale, la Commissione raccomanda provvedimenti di due tipi: - i giovani minacciati dalla disoccupazione dovrebbero beneficiare di agevolaiioni per seguire i corsi nelle ore di lavoro; - inoltre, essi dovrebbero beneficiare di indennità per consentire loro di far fronte alle spese di sostentamento, di iscrizione ai corsi ed alle spese accessorie di partecipazione. dicembre 1976 lavoratori migranti e di giovani inferiori a 25 anni (art. 4); - 245 milioni di U.C. per operazioni a favore di lavoratori disoccupati o sottoccupati in regioni meno sviluppate, di lavoratori altamente qualificati o di gruppi di imprese e di industrie di fronte al progresso tecnico (art. 5); - 0,9 milioni di u.c. per stiidi ed esperienze pilota (art. 7). La raccomandazione prevede infine un coordinamento a livello nazionale e a livello locale tra i servizi di orientamento, Formazione professionale e collocamento, nonchk associazione dei datori di lavoro e dei sindacati alle attività di formazione. 11 6 ugosto 1976 è stata pubblicata la quarta relazione sulle attività del Fondo Sociale Europeo, relativa all'esercizio 1975. Durante tale esercizio le risorse messe a disposizione del fondo hanno raggiunto complessivamente 376.56 milioni di u.c., di cui: - 131.06 milioni di U.C. per le operazioni di riadattamento a favore dei lavoratori dell'agricoltura e dell'industria tessile, di Le domande relative alle regioni, presentate in base all'art. 5, sono state meno numerose rispetto al 1974. Le operazioni riguardanti questo settore hanno comunque rappresentato circa 1'8S0/o d?i finanziamenti accordati a norma dell'art. 5. Tuttavia, progresso l'avvio di nuove operazioni di tecnico e K gruppi di imprese », destinate a svilupparsi, dovrebbe garantire a medio termine un migliore equilibrio. L'intervento delle Comunità viene comunque ad incidere su una situazione di squilibri strutturali che le politiche nazionali non riescono a riassorbire o, talvolta, accentuano in taluni aspetti. In particolare i disoccupati hanno scavalcato i 5.000.000 di unità nel mese di ottobre. Soltanto la Danimarca (111.900 disoccupati, pari al 5,S00 della forza lavoro) e la Germaiiia (943,686, 4,1°/o) hanno fatto riscontrare un calo nella disoccupazionr. I! Belgio ha visto aumentare il numero dei disoccupati del lo0% da ottobre '75 a ottobre '76, raggiungendo quota 230.751 pari al1'8,70h delle forze-lavoro: la Francia è a (( 955.352, con un incremento dell'lO/o (pari al 5,6'?/0 del totale); 1'Italia ha superato il milione, toccando il livello di 1.119.211 (6O/0 della popolazione attiva) con un aumento del 6Vo; l'Olanda è a quota 205.152 (4,T0/0 del totale) in rialzo del 2%; la Gran Bretagna ha il record dell'incremento della disoccupazione con 20% fino a raggiungere la cifra di 1.320.923 (5,746 della forza lavoro); i l Lussemburgo è passato da 292 a 356 disoccupati; l'Irlanda infine ha segnato un aumento de11'8Oh, denunciando 16.762 disoccupati, pari al 5,6O/0 del totale dei lavoratori. Durante la sessione 15-19 novembre 1976 del Parlamento Europeo, la Commissione ha presentato i l primo bilancio sociale. Si tratta di un riepilogo delle spese e del loro finanziamento. Dai dati forniti dall'esecutivo risulta che nel 1975 i regimi di previdenza sociale hanno coperto fra 1'80 e il 98O/o delle prestazioni. L'aliquota più cospicua delle spese è assorbita dalle pensioni di vecchiaia (40%) con punte massime per la Gran Bretagna (50%) ed il Lussemburgo (55('%). L'assistenza malattia rappresenta il 30°4 delle spese. Una considerazione interessante riguarda le entrate dei regimi previdenziali. In Italia il 65% dei contributi è pagato dai datori di lavoro, mentre in paesi come la Danimarca e l'Irlanda tale percentuale scende rispettivamente al 10 e 209'0. Infine la Commissione rileva che Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi sono i paesi che spendono di più per il settore sociale: il 33O/0 del Tabella 6 - Confronto tra il bilancio 1976 e il bilancio previsto per il 1977 (nelle varie fasi d'elaborazione) 1976 (l) Settori Stanziamenti d'impegno stamment~ di pagamenio ( o/o 1; 1977 (Progetto preliminare] 1 o ~ranz1ame.l di pagamento I T o, ~ var~azmne(n ?o 3,l I 1 1 4/2 1977 (Progeiro Consiglio -Prima lertura) s;:;~! la l Variazione in % Stanziamenti di pagamento Commissione Stanziamentid'intervento Settore agricolo Seitore sociale Settore regionale Serrore ricerca -energia industria trasporri Seitore cooperazione allo sviluppo Rimborso e aiuto agli Stati membri e varie Stanziamentidi funzionamento Personale Funzionamenio Informazione Aiuti e sovvenzioni 347 172 OSO 347 172 OSO Riserva per imprei>isti Rzmborso aglt Stat~mernbrr del 10% delle risorse proprie Totale Commissione Altre isutuzioni Toiale generale La nuova presentazione di questa tabella e necessaria pcr consentire il confronto obiertivo Ira gli stanziamenri del 1976 e del 1977, dara l'applicazione piu ampia prrvisra per il 1977 della disrinrioiii fra stanziamenti d'impegno e sranziamenti di pagamenro Nel 1976, gli stanziamenti d'impegno erano autorizzati per tre settori ricerca, Fondo regionale e Fondo sociale, nell'ulrimo dei quali le c'autorizzazioni a, corrispondevano a sranziamenti d'impegno ( 1 ) Compresi i bilanci suppleiivi 1 e 211976. ('1 La differenza fra gli sranziamenri d'impegno e gli sranziamenri di pagamento ( = 72.5 182809 u.c.) corrisponde alla differenza fra c~sranziamentid'impegno e ,-sranziamenri di pagamento,, nei settori interessati (voce 3 200, capiiolo 33. voce 3 620, Fondo sociale, Fondo regionale e FEAOG - orienramenro). NB dicembre 1976 reddito nazionale; contro il 28010 delllItalia ed il 23O.o dell'Irlanda e della Gran Bretagna. Nella seduta del 18 novembre, il Parlamento Europeo ha esaminato la raccomandazione proposta dalla Commissione per la formazione professionale. Il Parlamento in particolare ha criticato la forma della proposta, non vincolante per gli Stati membri, e la genericità delle soluzioni indicate. Il bilancio delle Comunità Nel mese di settembre, il Consiglio ha Dresentanto al Parlamento il progetto di bilancio generale delle Comunità Europee Der il 1977: tale progetto costituisce il ri. sultato del lavoro della Commissione, dell'esame preliminare da parte del comitato dei rappresentanti permanenti e degli incontri fra il Consiglio ed una delega7.ione del Parlamento Europeo. La procedura di concertazione, prevista dal trattato del 22 luglio 1975, assegna al Parlamento Europeo il potere di esaminare il progetto del Consiglio e proporre eventuali emendamenti. Il Consiglio deve esaminare a sua volta i suggerimenti dell'Assemblea, rinviando il progetto a quest'ultima per una seconda lettura. L'ultima parola spetta comunque al Consiglio. Il Parlamento Europeo, riunito in sessione straordinaria a Lussemburgo dal 25 al 27 ottobre 1976, ha esaminato per la prima volta i1 progetto di bilancio presentato dal Consiglio. Nella risoluzione approvata al termine del dibattito, il progetto viene giudicato del tutto inadeguato a esercitare un impatto sull'at tuale situazione economica, con l'aggravante della mancanza di una qualsiasi coerente politica economica e sociale. Il Parlamento critica in particolare la tendenza del Consiglio ad impedire che il bilancio sia usato per ridurre le disparità economiche esistenti tra le regioni europee e per combattere la disoccupazione. Il Parlamento europeo deplora che I'Italia e la Francia non abbiano ancora ratificato il trattato del 22 luglio 1975, criticando il persistente squilibrio nella ripartizione degli stanziamenti, per tre quarti destinati all'agricoltura. Nella seduta del 27 ottobre, l'Assemblea vota su 180 emendamenti al progetto, chiedendo al Consiglio sensibili aumenti per il Fondo Regionale, per le ricerche nell'aereonautica, per aiuti ai giovani agricoltori e per la cooperazione con i paesi in via di sviluppo. Il progetto così emendato è tornato al Consiglio. In seconda lettura il Parlamento dovrà dire nella sessione di dicembre, l'ultima parola sulle spese non obbligatorie e dovrà approvare o respingere i l p r o getto di bilancio nel suo complesso. Nella sessione del 23 riovetnhre 1976, il Consiglio dei Ministri ha adottato una serie di emendamenti del Parlamento Europeo, nella forma in cui questo li aveva proposti - e che diventano quindi definitivi - e una seconda serie di emendamenti cui ha apportato delle modifiche - che devono quindi essere oggetto di una nuova deliberazione del Parlamento Europeo. Tra gli emendamenti adottati definitivamente in particolare quello relativo al Fondo Sociale. 1l COMUNI D'EUROPA Problemi istituzionali 1:l 20 settembre 1976, nella sede del Consiglio delle Comunità a Bruxelles, ha avuto luogo la firma solenne dei documenti relativi all'elezione dei membri del Parlamento Europeo a suffragio universale e diretto. I documenti firmati sono: a ) una decisione del Consiglio, immediatamente esecutiva; h ) un atto (comunemente chiamato la Convenzione) che contiene le disposizioni, la cui adozione è raccomandata agli Stati membri. L'Atto entrerà in vigore il primo giorno del mese che segue il momento in cui saranno ricevute le prime notifiche previste dalla decisione; se si vuole che le elezioni abbiano luogo durante il periodo maggiogiugno 1978, il tempo disponibile per ratifica della Convenzione e adozione delle leggi elettorali nazionali appare appena su% ciente. L'atto contiene norme relative al numero dei rappresentanti, al periodo di durata della legislatura, alle immunità ed al doppio mandato, alle incompatibilità con cari- IJ7adrsionedel CCE al Congresso europeo dell'AGE Thomas Philippovich. Dal 7 al 10 ottobre si è tenuto a Nizza e a Monaco il XIV Congresso dell'Associazione dei Giornalisti Europei, che ha fermato l'attenzione soprattutto sulla decisione dei Nove di indire per il maggio-giugno 1978 la elezione a suffragio universale diretto del Parla,vento europeo. A tale scopo, è stato deciso di creare una apposita Commissione di lavoro affidata al vice presiderite Jean Pierre Gouzy. AI congresso ha portato l'adesione del Consiglio dei Comuni d'Europa il Segretario generale Thomas Philippovich che ha sottolineato la più che ventennale azione del CCE in favore della creazione di istituzioni democratiche federali, elette direttamente dal popolo europeo, e l'attuale azione di mobilitazione degli Enti territoriali europei per la battaglia elettorale. Il Congresso si è concluso con una risoluzione nolitica che nubblichiamo integralmente. la risoluzione Il XIV Congresso dell'Associazione dei Giornalisti Europei, riunito a Nizza e a Monaco dal 7 al 10 ottobre 1976. davanti alla recente evoluzione della politica comunitaria: 1. - sottolinea la portata della decisione dei Nove di eleggere a suffragio universale diretto, nel maggio-giugno del 1978, l'Assemblea Parlamentare Europea, conformemente ai Trattati di Parigi e di Roma, allo scopo di associare i popoli al controllo democratico degli orientamenti e delle attività della Comunità; 2 - ricorda, in questa occasione, che fin dalla sua fondazione, 1'A.J.E. ha combattuto senza cedimenti p e r la nascita di un'Europa popolare, e ritiene che oggi sia stato compiuto un primo importante passo in tale direzione; 3 - constata tuttavia che il progetto di elezione diretta non può mascherare la degradazione del processo di unificazione, caratterizzata dall'abbandono di fatto dell'unione economica e monetaria - i residui del bilateralismo -, l'assenza di qualsiasi accordo sui progetti di unione (politica) europea. legati alla presentazione del rapporto Tindemans; 4 - derlirncia l'offensiva già avviata contro I'eleziorie del Parlamento europeo a suffragio universale diretto; 5 - chiede ai suoi membri di vigilare - da un lato affinché l'elezione diretta non sia una semplice concessione, effimera ed aleatoria, degli Stati in cambio dell'accettazione implicita di uno statns quo politico paralizzante in seno alla Comunità; - dall'altro affinché le procedure di ratifica della Convenzione elettorale europea abbiano luogo in tutti i paesi interessati prima dell'estate del 1977 e siano seguite senza indugio dall'approvazione delle leggi elettorali nazionali, affinché la data stabilita per la consultazione elettorale nel corso della primavera del 1978 non sia in alcun modo spostata; 6 - lancia un appello alle forze politiche e sociali dei paesi della Comunità affinché si diano, in vista delle elezioni, vere organizzazioni federali. piattaforme d'azione comuni e programmi politici europei; 7 - si riilolge alle istanze comunitarie e ai poteri pubblici nazionali affinché creino le condizioni propizie ad un vastissimo dibattito nell'opinione pubblica sul ruolo dell'Europa nel mondo e in particolare nel bacino del Mediterraneo, sull'avvenire della nostra società democratica e della Comunità in quanto tale e infine sui mezzi di cui essa dovrà disporre per risolvere i problemi essenziali del nostro tempo e per contribuire efficacemente al mantenimento della pace. Solo questo dibattito di fondo inciterà i nostri concittadini, coinvolti e convinti, a « votare europeo *, in massa, quando verrà il momento. COMUNI D'EUROPA che nazionali, alla procedura elettorale, alla data delle elezioni. All'atto seguono: a) una dichiarazione della Danimarca per la quale le autorità danesi possono stabilire le date in cui si procederà alle elczioni dei membri dell'Assemblea di Groenlandia n; h) del Regno Unito che applicherà le disposizioni di questo atto soltanto nei confronti del Regno Unito »; C ) della Germania Federale relativa agli impegni internazionali per il Land di Berlino. In occasione della tirma di questi documenti, i presidenti del Consiglio, della Commissione e del Parlamento hanno pronunciato brevi interventi. Il Presidente del Parlamento, Spenale, ha affermato in particolare che per i Nove, la legge europea direttamente applicabile in tutti gli Stati membri non sarà più imposta ai cittadini senza che questi abbiano contribuito alla sua elaborazione tramite il loro rappresentanti direttamente eletti. Con ciò viene loro finalmente restituita un'importante parte della sovranità dei popoli, vent'anni dopo i trattati di Parigi e di Roma D. « Bisogna che tutti i militanti dell'Europa - ha concluso Spénale, si sentaiio mobilitati per ottenere le ratifiche, per ottenere che le leggi elettorali nazioiiali siano promulgate in tempo, che i cittadini si sentano interessati e motivati, che nella primavera 1978 quando, senza altri ritardi, la parola s a r à -loro data, questa prima consultazione dimostri la volontà ardente dei nostri popoli di costruire l'Europa della democrazia, della solidarietà, della speranza n. Rinviamo alla prossima cronaca la consueta panoramica dei commenti e le prime iniziative (nei partiti, nei parlamenti nazionali e nei governi) in vista delle scadeiize legislative e della campagna elettorale. 0 I riflessi delle elezioni politiche italiane e tedesche sulla composizione del Parlamento Europeo Le elezioni del 20 giugno in Italia e quelle del 3 ottobre in Germania Federale hanno avuto riflessi importanti sulla composi. zione del Parlamento europeo, sia in relazione ai rapporti di forze fra gruppi politici, sia per i l rinnovamento all'interiio delle delegazioni nazionali. Camera dei Deputati e Senato italiani hanno nominato il 6 ottobre 1976 la nuova delegazione, che rimarrà in carica tino alle elezioni dirette del 1978. 1 36 membri della delegazioiie, ripartiti per gruppi politici sono: Democristiani (15): Giovanni Bersani, Peter Brugger, Maria Luisa Cassanmag-nago. Emilio Colombo, Mario Fioret, Luigi Granelli, Giosuè Ligios, Mario Martinelli, Luigi Noè, Ferruccio Pisoni, Ernesto Pucci, Camillo Ripamonti, Rolando Riz, Mario Scelba, Vincenzo Vernaschi; Comunisti (12): Giorgio Amendola, Carlo Galluzzi, Nilde Jotti, Silvio Leonardi, Aldo Masullo, Michele Pistillo. Renato Sandri, Altiero Spinelli, Vera Squarcialupi, Giut seppe Vitale, Protogene Veronesi; Socialisti (5): Aldo Ajello, Francesco Albertini, Ciiuseppe Aniadei, Pietro Lezzi. Mario Zagari; Liberali (2): Enzo Bettiza, Michele Cifarelli; MSI - Destra Nazionale (2): Alfredo Covelli, Armando Plebe. Con queste nomine, il gruppo comunista 6 passato da 14 a 17 deputati, i socialisti da 67 a 65, i democristiani da 51 a 50, i liberali da 26 a 27 (Cifarelli è passato dal gruppo socialista a quello liberale), i non iscritti (cui aderiscono i rappresentanti del MSIJ da 6 a 3. Anche le elezioni tedesche avraniio dei riflessi sulla coiuposizione della delegazione tedesca. Il nuovo Bundestag si riuniia il 14 dicembre per eleggere la nuova delegazione. In seguito ai progressi registrati dalla CDU-CSU (democratici-cristiani) ed alla flessione delllSPD, si prevede che il gruppo DC al Parlamento Europeo otterrà 2 seggi in più e quello socialista due in meno. Invariati dovrebbero rimanere invece i liberali. La politica energetica e il vertice delllAja La scottante attualità della crisi energetica. fattasi più drammatica con il previsto aumento del prezzo del greggio, ha riproposto all'attenzione delle istituzioni eul La composizione della nuova Commissione europea Presidente: Kov JENKINS (G. Bret.) Membri Guido Kichard Claude Etienne Antonio Fiiin Olav Wilhelm Lorenzo Francois Christophei Ravniond Henk BRUNNER (Germania) BURIiE (Irlanda) CHEYSSON (Francia) DAVIGNON (Belgio) GIOLITTI (Italia) GUNDELACH (Daniin.) HAFERKAMP (Germania) NATALI (Italia) OKTOLI (Francia) TUGENDHAT (Inghilt.) VOUEL (Lussemb.) VREDELING (P. Bassi) dicembre 1976 capi di governo della Cee hanno dato una risposta formalmente possibilista ai paesi delllOPEC e del Terzo Mondo, ma che contiene un'evidente, rigida pressione. Tenuto conto della precaria situazione economica e sociale del mondo industrializzato, il consiglio europeo ha giudicato che ogni onere aggiuntivo sul piano del costo del petrolio va dedotto dai fondi che l'Europa potrebbe mettere a disposizione dei Paesi emergenti. Da ciò una « pressione sui paesi del Terzo Mondo perché convincano >,I'OPEC a moderare le proprie richieste in materia di prezzi petroliferi; un aumento eccessivo (superiore alle capacità ed all'evoluzione dell'economia occidentale) potrebbe provocare il fallimento dei negoziati di Parigi sulla creazione di un nuovo ordine economico mondiale ». In cambio del non-aumento » del prezzo del greggio o di una sospensione (così come proposta da Andreotti), l'Europa non 6 stata comunque capace di offrire nessuna proposta di un nuovo e diverso rapporto tra sviluppo e sottosviluppo» e co. munque non è stata in grado di fare la benche minima concessione. Ha prevalso ancora una volta - dunque - un'Europa assenteista, in attesa delle proposte degli altri (i paesi delllOPEC si dovrebbero riunire nel Qatar il 20 dicembre) o di segnali concreti d'oltre oceano (quando si insedierà il nuovo presidente USA, Carter). Le istituzioni europee (Commissione e Parlamento) - come ha dichiarato il commissario Brunner il 16 novembre - potranno e dovranno ora assumere le proprie responsabilità. (< Le altre decisioni del Vertice I Nove hanno reso noto un documento sulla situazione congiunturale della Comunità. dove persiste fra paese e paese disparità nell'evoluzione dei prezzi, dei costi e delle bilance dei pagamenti e dove si sta notando un rallentamento della produzione ed un risveglio della dinamica inflazionistica. ropce il tema della politica energetica coIn particolare i paesi più colpiti dalla crisi (Francia, Italia e Gran Bretagna) domunitaria. Nella seduta del 16 iiovemhre 1976, i l Par- vranno perseguire una politica rigorosa in lamento Europeo ha approvato una risolu- materia monetaria, di bilancio e di redditi, zione, nella quale giudica irresponsabile lo per ridurre i disavanzi della bilancia dei pagamenti, i tassi d'inflazione e spezzare la atteggiamento del Consiglio dei Ministri di fronte alla minaccia che grava sull'approv- spirale della svalutazione monetaria. I capi di governo hanno esaminato nelvigionamento energetico della Comunità e di conseguenza sulla sua indipendenza po- le linee generali » il rapporto Tindemans, incaricando i ministri degli esteri e la litica ed economica. Intervenendo a nome della Commissione, Commissione di approfondire l'esame del il Commissario Brunner ha condiviso le cri- documento, riferendo annualmente (sic!) agli tiche del Parlamento. affermarido che « nel stessi capi di stato e di governo sui procampo energetico ancora non 6 stato rea- gressi conseguiti ». Come dire che I'Unione europea può attendere. lizzato nulla di concreto ». Quasi a voler confermare il giudizio neIl Consiglio Europeo ha infine approvato gativo espresso da Parlamento e Commissio- la composizione della nuova commissione, che si insedierà a Bruxelles a partire dal ne sulla propria incapacità di elaborare una politica energetica coerente, comune e con- 1" gennaio 1977. L'accordo sulla lista dei nuovi commiscreta, il Consiglio Europeo dei capi di governo, riunito all'Aja il 29 e 30 noi~emhre sari è stato facilitato dalle innovazioni che 1976, si è concluso praticamente con un nul- il prossimo presidente, Roy Jenkins, ha in. la di fatto sul piano interno comunitario e tenzione di introdurre nel funzionamento con il prevalere della linea dura » sul pia- della Commissione e dei criteri che inten. no dei rapporti con i paesi esportatori di de seguire nell'attribuzione degli incarichi. In pratica, secondo il progetto di Jenkins. petrolio. Fiduciosi nel rinvio della Conferenza Nord- verrebbero abolite le responsabilità s e t t o Sud (prevista per il l5 dicembre, ma che pro- riali, mentre si procederebbe ad un dovebabilmente sarà fatta slittare in primavera), i roso raggruppamento delle competenze. (( Europa 13 COMUNI D'EUROPA dicembre 1976 Terzo mondo di Guido Montani Nell'attuale dibattito sul risanamento e la ristrutturazione dell'economia italiana non si prendono afl'atto in considerazione i problemi derivanti dalla collo. cazione internazio:? nale delllItalia, la sua neiessità di commerciare con i paesi europei del Mercato comune e con quelli del Mediterraneo. Per questo, poiché l'unica strategia che viene indicata per il commercio estero è quella di « esportare di più e di importare di meno n, si finisce sempre per prendere misure unicamente per incoraggiare le industrie esportatrici e per proteggere il mercato interno dalla concorrenza internazionale. Questo indirizzo di politica economica, ormai condiviso - o almeno non contrastato - da tutte le forze politiche, rappresenta in realtà un fattore importante di disgregazione dell'ordine mondiale perché, spingendo l'Italia allo isolamento, costringe anche i paesi economicamente più deboli ad adottare misure analoghe e per il Terzo mondo ciò significa abbandonare ogni speranza di cooperazione e di sviluppo. Occorre invertire l'attuale tendenza all'autarchia dell'economia europea e mondiale e l'Italia può contribuire in modo importante all'instaurazione di un « nuovo ordine econornico mondiale », come chiedono i paesi del Terzo mondo. Ma per comprendere come sia possibile questa inversione di tendenza e quale può essere il compito dellJItalia occorre dare uno sguardo, seppur sommario, alle principali caratteristiche del « vecchio ordine economico mondiale. ed alle cause che ne hanno provocato la crisi. Nell'epoca della guerra fredda, il mondo venne spartito in due grandi zone di influenza: una dominata dagli Stati Uniti, l'altra dalllUnione Sovietica; L'ordine economico internazionale corrispondente a questa fase dell'equilibrio mondiale si fondava in effetti su istituzioni che dipendevano principalmente dalle grandi potenze continentali. A occidente, grazie alla creazione del Fondo Monetario Internazionale ed alla utilizzazione del dollaro come moneta di riserva, si assicurò un regime di cambi fissi, per circa un trentennio. La stabilità monetaria, fondata sulla supremazia del dollaro, fu la premessa indispensabile per la ripresa e lo sviluppo del commercio internazionale, in specie fra. Europa e Stati Uniti. Gli Stati Uniti favorirono poi anche la formazione di un grande mercato atlantico, attraverso I'istituzionalizzazione di conferenze per le riduzioni tariffarie (nel GATT) e l'introduzione della regola del multilateralismo. La guerra fredda fra le superpotenze impose una concentrazione dei loro sforzi nei punti di maggior tensione, come l'Europa e il nord-est asiatico. L'America, in particolare, assicurò a più riprese agli europei ingenti aiuti finanziari, che si rivelarono indispensabili per la ripresa delle economie europee dopo il secondo conflitto mondiale. Questa situazione di particolare tensione internazionale favoriva anche I'enIarginazione dei paesi del Terzo ,mondo che proprio allora, grazie al definitivo indebolimento delle potenze europee dopo il secondo conflitto mondiale, si stavano emancipando dalla condizione coloniale, ma, abbandonati a se stessi, non riuscivano ad assumere alcun ruolo attivo nella politica internazionale. La politica del neutralismo » rappresentava la copertura ideologica di questa situazione. Era così inevitabile che nelle istituzioni monetarie internazionali o nelle conferenze per le riduzioni tariffarie le esigenze dei paesi sottosviluppati - esigenze di crediti e di apertura dei mercati più ricchi alla loro produzione manufatturiera - venissero sistematicamente ignorate. (luesto ordine economico, che Per altro favorì lo sviluppo delle economie europee e di quelle nord-americane e del Giappone a tassi fino ad allora impensabili, venne mesSO in discussione da due circostanze: la contestazione da Parte cinese. nel rmndo orientale, della leadership sovietica e , nel mondo occidentale, dalle nuove Pretese di indipendenza avanzate dagli europei nei confronti dell'America. Negli anni della guerra fredda, gli Stati Uniti favorirono la messa in comune delle istituzioni economiche e politiche degli europei, perché SOIO uniti essi avrebbero potuto costituire un saldo argine alla politica espansionistica sovietica in Europa. Ma una volta creato il Mercato comune, gli Stati europei si rafforzarono a tal punto che cominciarono a pretendere di condurre i loro affari in modo indipendente - e a volte contrastante - dalle direttive americane. Basta ricordare a questo proposito le minacce di de Gaulle di convertire i dallari francesi in oro nel caso in cui gli Stati Uniti non avessero raddrizzato la propria bilancia dei pagamenti e i contrasti euro-americani sorti in occasione delle trattative per il K e n n e d y Roirild. Questa incrinatura nel vecchio ordine economico mondiale venne ben presto aggravata dalla protesta organizzata dai paesi del Terzo mondo nei confronti dei paesi più ricchi. A partire dal 1964, con la Conferenza sul Commercio e lo Sviluppo, ~I-ganiZzatadall'O.N.U. a Ginevra, si sono succedute senza interruzione le richieste del Terzo mondo per la stabilizzazione dei prezzi internazionali delle materie prime (dalle cui quotazioni dipendono i ricavi indispensabili a finanziare lo sviluppo), di più adeguati aiuti finanziari e tecnici e, infine, di un minor Protezionismo da parte dei paesi più prosperi nei confronti dei manufatti provenienti dal Terzo mondo. La crisi economica mondiale affonda pertanto le sue radici sulla crisi dei rapporti fra Europa e America e fra paesi industrializzati e Terzo mondo. La contestazione del dollaro come moneta di riserva, fatta dagli europei, ha costretto il governo americano a dichiarare I'inconvertibilità del dollaro in oro ed ha aperto una fase di incertezza sui mercati finanziari e monetari, con continue oscillazioni delle parità che hanno alimentato e facilitato le manovre della speculazione internazionale. Il mercato internazionale delle materie prime, infine, è caratterizzato dall'anarchico confronto fra paesi venditori e compratori, dove chi riesce a coalizzarsi in oligopoli spunta anche i prezzi più alti. In sostanza, si assiste in questi anni alla disgregazione del mercato mondia1,. Da una situazione di ordine economico instaurato nel primo dopoguerra - un ordine certo imperfetto e ingiusto, ma nel quale è stato possibile lo sviluppo rapidissimo delle economie occidentali - si sta ora scivolando verso una situazione di anarchia, in cui si accentua e si consolida la politica del a ciascuno per sé D. Questo stato di cose contrasta singolarmente con le aspirazioni del Terzo mondo per un « nuovo ordiGe economico moridiale ». L'anarchia del mercato lascia mano libera ai più forti, ai monopoli ed alle coalizioni che riescono ad imporsi ai paesi meno industrializzati o privi di materie prime, che devono subire le condizioni imposte dal mercato. Lo sviluppo economico può essere programmato con qualche speranza di successo solo in condizioni di stabilità economica e grazie aila cooperazione con i paesi in cui già esiste una consistente domanda, capace di assorbire senza difficoltà le nuove produzioni provenieilti dal Terzo mondo. L'attuale tendenza all'anarchia non solo è un freno allo sviluppo delle economie mature, ma rappresenta anche un ostacolo insuperabile per il decollo delle econonlie più arretrate. Per invertire la tendenza al disordine non basta fare appello, come spesso si dice, alla cooperazione internazionale. L'esperienza della storia ha ormai dimostrato che lo spirito di cooperazione è ampiamente compatibile con il progressivo scivolamento verso il nazionalismo economico. Un ordine economico internazionale più progressivo può essere instaurato solo se l'attuale equilibrio bipolare in crisi verrà sostituito da un equilibrio multipolare. L'unità politica delllEuropa è la risposta alla crisi economica mondiale e la premessa per la (:reazione di un ordine economico in cui le esigenze di stabilità e sviluppo delle economie mature risultino compatibili con le aspirazioni del Terzo mondo. Oggi esiste la concreta possibilità di riavviare il processo di costruzione delllUnione economica e monetaria europea. Nel 1978 gli europei saranno chiamati alle urne per eleggere il Parlamento europeo, cioè per far partecipare direttamente le forze pelitiche e sociali alla costruzione dell'Europa. E' necessario pertanto che i partiti prendano coscienza di questa occasione storica e che cornincino, sin da ora, ad elaborare dei programmi europei in cui siano accolte le soluzioni adeguate ai gravi problemi Curopei e mondiali. La creazione di una moneta europea rappresenterebbe il punto di avvio per la rea- ABBONATEVI A COMUNI D'EUROPA il 1977 sarà il 25" anno di rigorosa e libera battaglia per gli Stati Uniti d'Europa L lizzazione di una effettiva unione economica europea. Una moneta europea avrebbe la stessa importanza del dollaro nel commercio internazionale e consentirebbe di porre su basi nuove la riforma del sistema monetario internazionale. Inoltre, la creazione della moneta europea contribuirebbe ad eliminare la inflazione mondiale, grazie al ritorno alle parità fisse in Europa e nell'area atlantica. Nei confronti del Terzo mondo, un esecutivo europeo consentirebbe di affrontare in modo coerente ed efficace i rapporti economici verso l'estero delllEuropa. Un governo europeo potrebbe facilitare lo sviluppo delle industrie di punta dei settori tecnologicamente all'avanguardia con una politica delle commesse industriali. Inoltre, poiché l'economia europea è strutturalmente piìi aperta a1 commercio internazionale dell'economia americana, il governo europeo avrebbe interesse ad allacciare stretti rapporti di cooperazione e di assistenza con i paesi del Mediterraneo, i paesi Arabi e quelli africani, da cui potrebbe importare le materie prime di cui ha necessità e verso cui potrebbe esportare beni capitali e le tecnologie europee indispensabili per avviare un efficace decollo economico di questi paesi. L'economia europea, infine, potrebbe aprire le sue Frontiere alla importazione di manufatti ad alto contenuto di lavoro provenienti dal Terzo rnondo perche, grazie alla possibilità di programmare spostamenti di mano d'opera da alcuni settori industriali europei non pii1 competitivi a quelli tecnologicamente pii1 avanzati, diventerà possibile modificare radicalmente la tariffa esterna comunitaria, che oggi rappresenta un serio ostacolo - specie per i prodotti agricoli - all'intensifcazione degli scambi commerciali fra Europa e Terzo rnondo. I partiti italiaiii si trovano così ad un bivio importante. L'Italia è il paese più colpito dalla crisi economica mondiale, a causa della sua economia hialistica, e si dimostra pertanto incapace di mantenere i livelli di benessere e di occupazione che sembravano possibili fino a pochi anni fa. L'Italia è anche il paese in cui più acute sono le tensioni fra gli ideali internazionalistici ed europeistici dei partiti e le tentazioni autarchiche. L'Italia senza l'Europa è condannata al sottosviluppo. Ma l'Italia non può nemmeno restare nel Mercato comune così come funziona oggi, perché in assenza di una moneta europea e di un esecutivo europeo, t inevitabile che si accentui il divario fra regiorii ricche e povere d'Europa. Occorre pertanto che i partiti italiani prendano coscienza del fatto che il risanamento e la ristrutturazione dell'economia italiana hanno un seiiso solo se progettati nella prospettiva di inserire l'economia italiana nella Unione economica e monetaria europea. Un nuovo modello di sviluppo europeo, in cui si preveda l'espansione delle industrie tecnologicamente all'avanguardia e si intensifichino i rapporti con il resto del mondo ed i paesi soitosviluppati, 6 coerentemente pensabilc. Nel quadro nazionale ci si può avviare solo sulla triste via dell'autarchia e del sottosviluppo. Ma ciò che è più triste constatare è che su questa via non si avvierebbe solo l'Italia. La chiusura delle frontiere italiane spingerebbe molti altri paesi a fare altrettanto e soffocherebbe sul nascere le speranze del Terzo mondo di instaurare ~ 1 1 1nuovo ordine economico mondiale più progressivo. dicembre 1976 COMUNI D'EUROPA 14 T libri Le regioni italiane e 1'Eiiropa E' il titolo di un denso volume (Milano 1976, Giuffré editore, lire 10.000), che raccoglie gli atti del convegno internazionale promosso e organizzato dalla Regione Piemonte nello scorso aprile. Esso giunge opportuno e tempestivo anche per lo spazio ampio dedicato alle elezioni europee dirette, con contributi fra gli altri - di Sptnale, presidente del Parlamento Europeo, di Patijn, relatore nel P.E. di un progetto di convenzione per le elezioni dirette (poi modificato dal Consiglio dei Ministri della Comunità) e di Maccanico, segretario generale della Camera dei Deputati (« Problemi della legislazione elettorale in Italia in relazione alle elezioni per il Parlamento Europeo .). - Numerosi e qualificati gli interventi nel triplice dibattito. Ne ricordiamo solo alcuni, cioè quelli di: Badini Confalonieri (PLI), Iotti (PCI), Romita (PSDI), Vittorelli (PSI), Bodrato (DC), Compagna (PRI), Scarascia Mugnozza (membro della Commissione esecutiva della Comunità europea), Bersani (vice-presidente del Parlamento Europeo), Bufardeci (vice-presidente dell'AICCE), Trebeschi (Sindaco di Brescia), Triva (membro della Commissione parlamentare di deputati e senatori per le questioni regionali), Militello (segretario nazionale della Federbraccianti), Paganelli (vice-presidente del Consiglio regionale piemontese), Giuliano Paietta (responsabile della sezionc emigrazione del PCI), Mancino (presidente della Giunta regionale della Campania), Pistone (segretario della Federazione piemontese dell'AICCE), Arata (vice-presidente del Consiglio regionale della Toscana), Boano (presidente della Commissione politica del P.E.), Rampi (assessore della Regione Veneto), Sabatini (presidente del MoCLI).' . QUOTE SOCIALI E IMPEGNO EUROPEO Malgrado l'inflazione galoppante, le fonti finanziarie dell'AICCE sono rimaste quasi invariate. Occorre, però, che tutte le quote dei Comuni, delle Province e delle Regioni ci arrivino tempestivamente. Vorremmo ricordare a tale o a quelli proposito ai nostri Soci dei nostri Soci che eventualmente si sentano trascurati - che la nostra attività non consiste solo in un « servizio europeo », ma anche e soprattutto nella difesa (nelle opportune sedi europee) del punto di vista dei poteri locali e regionali a noi aderenti e in nome dei quali parliamo. Quest'opera, non sempre appariscente ma - crediamo estremamente efficace, va appoggiata ANCHE col pagamento delle quote: noi non possiamo fare miracoli. I1 versamento può essere effettuato sul c/c postale n. 35588003 intestato all'Istituto Bancario San Paolo di Torino - Sede di Roma - Via della Stamperia, n. 64 - 00187 Roma oppure mediante accreditamento sul conto bancario n. 14643, intestato all'Associazione ita'liana per il Consiglio dei Comuni d'Europa, presso l'Istituto Bancario San Paolo di Torino - Sede di Roma. - Il presidente del Consiglio regionale piemontese, Sanlorenzo, con Serafini e Martini. Dopo alcuni saluti (fra cui quello del Sindaco di Torino, Novelli) il volume si apre con una relazione introduttiva di Dino Sanlorenzo, presidente del Consiglio regionale piemontese e vice-presidente dell'AICCE, su « Le Regioni per una nuova Europa »; seguono le relazioni di Patijn, di Picco, consigliere regionale piemontese e rappresentante locale del Consiglio italiano del Movimento Europeo, e del segretario generale delI'AICCE, Serafini (. Le elezioni europee, il quadro politico e il Consiglio dei Comuni d'Europa P). Una seconda giornata dei lavori vede le relazioni di Vercellino, membro del Fondo sociale europeo e responsabile del settore emigrazioiie della CGIL ( C Interventi e ruolo anticrisi del fondo sociale sul mercato del lavoro europeo ed italiano >,), di Aragona, presidente del consiglio regionale della Calabria, di Marri, assessore al dipartimento servizi sociali della Regione Umbria, e del segretario generale aggiunto dell'AICCE. Martini ((CRelazioni tra Regioni, Stato e Comunità europea: l'azione dell'AICCE ))). La ter7a giornata, presieduta dal sen. Oliva. presidente della Commissione per le questioni regionali del Senato della Repubblica, vede le relazioni del presidente della Giunta regionale piemontese. Viglione (. Le Regioni, le leggi ed i regolamenti comunitari secondo la legge 382 n ) , di Maccanico e delllAlIcanza nazionale dei contadini ( q Nota sulla politica agricola comunitaria D). - Comuni Popolnzionc Fino a 6.000 ab. da 6.001 a 10.000 10.001 » 20.000 n 20.001 D 50.000 oltre 50.000 Iniporto lire 4.000 10.000 20.000 40.000 2,00 per ab. Province: L. 1,00 per abitante. Regioni: L. 2,50 per abitante. Altri Enti: quota da definirsi, con un ininimo di L. 30.000 annue. COMUNI D'EUROPA dicembre 1976 ineguale Dato l'interesse suscitato dal volume di Maria Valeria Agostini « Regioni europee e scambio ineguale » (frutto di una ricerca promossa dall'AICCE, d'intesa con l'Istituto affari internazionali di Roma) « Comuni d'Europa » ha voluto intervistare l'autrice per un ulteriore contributo all'importante e attuale tema. 1 - 15 -- Lei intitola il suo libro: Regioni eirropee e scambio ineguale Perché e il? che senso si può parlare di un rapporto fra sqililihri regionali e integrasione europeo? S. E' a tutti chiaro che gli squilibri economici interregionali sono un fenomeno preesistente alla costituzione della CEE che affonda le sue radici in varie e complesse ragioni storiche, geografiche ed economiche. Ciò non toglie però che la costituzione di un comune e vasto mercato in cui le aree economicamente meno sviluppate sono venute a diretto contatto con quelle di più antica e fiorente industrializzazione abbia, a mio parere, contribuito a d un approfondimento degli squilibri. Lo testimoniano del resto i dati pubblicati dalla stessa Commissione delle Comunità europee nei suo rapporto su « l'evoluzione regionale nella Comunità - Bilancio analitico 1971 ». Da essi si ricava che la partecipazione delle regioni « periferiche » alla occupazione totale coInunitaria è andata diminuendo dal 22,31°h del 1950 al 20,10°/~ del 1960 e al 19,86% del 1968; quella del Mezzogiorno è passata nello stesso periodo dal 9,36% a11'8,22Oh. Negli anni più recenti, col sopravvenire della crisi e con l'estendersi della disoccupazione anche alle aree N forti >,,l'aumento dei divari può essere misurato in termini di reddito. Nel 1970 il prodotto nazionale lordo pro-capite ad Amburgo e nella Regione parigina è stato rispettivamente di cinque e quattro volte superiore a quello registrato dalle più povere regioni della Comunità, l'Irlanda occidentale e il sud dell'Italia continentale. Nel 1975 le cifre relative a d Amburgo e alla regione parigina hanno rispettivamente superato di sei e cinque volte la cifra più bassa. Già all'epoca della firma del Trattato di Roma, del resto, numerose personalità del mondo politico ed accademico e la stessa Commissione economica per l'Europa delle ~ ~unite, esprimevano ~ i i ~loro timori ~ circa i i riflessi che un'integrazione fondata essenzialmente sull'abolizione delle barriere doganali avrebbe potuto esercitare sui processi di industrializzazione e sulla ripartizione del reddito f r a regioni a diverso sviluppo economico di partenza. e ~ e t t i ,come stato ampiamente dimostrato non solo dalla teoria, ma anche dalla storia - attraverso numerosi casi concretamente determinatisi -, la liberalizzazione degli scambi favorisce la concentrazione della ricchezza stimolando il trasferimento di risorse e di forza lavoro verso le regioni già inizialmente più ricche. Purtroppo il Trattato di Roma - pur contenendo in sé le premesse per ulteriori possibili evoluzioni in senso più favorevole ad uno sviluppo equilibrato - si fondava su una concezione essenzialmente liberistica dello sviluppo economico. Si può anzi dire che in esso l'armonico sviluppo di tutte le Regioni della Comunità fosse un atto di fede nella sola capacità di riequilibrio delle forze'di mercato. Basti Pensare al diverso peso che il Trattato attribuiva ai due momenti della costituzione di un mercato comune ), e del graduale ravvicinamento delle politiche economiche ». E basti considerare che il primo - sicuro elemento d i propulsione dello sviluppo - v lungi dall'essere considerato anche come un fattore di approfondimento degli squilibri, sembrava assurgere, nell'articolo 2, a Strumento Per la realizzazione dell'obiettivo di uno « svilupp0 armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità a . Tutte le più grosse realizzazioni susseguitesi poi nel campo dell'integrazione europea. si suno mosse in un'ottica cui era per lo meno estraneo il problema del conseguimento di un riequilibrio economico-territoriale. L'esempio più Chmoroso è senza dubbio rappresentato dalla politica agricola comune che. assorbendo dal 70 a11'80s del bilancio comunitario in dieci anni (fra il 1962 e il 19721, ha destinato ai prodotti ortofrutticoli, che costituiscono la parte essenziale della produzione del Mezzogiorno, solo il 2.2% dei contributi Feoga e lo 0,7O/h al vino. E' a tutti noto come dalla politica agricola comunitaria abbiano tratto vantaggi essenzialmente le agricolture più ricche dell'Europa centrale e come l'Italia, che pur presentava la più alta percentuale di Popolazione agricola oltre che i più gravi problemi regionali, sia stata Per lunghi anrii pagatorc netto del Feoga. Accanto a una politica agricola dirigistica, si è invece attuata in campo industriale, come era del resto nello spirito del Trattato, la più vasta liberalizzazione degli scambi non solo all'interno della Comunità, ma anche verso i paesi terzi attraverso la adozione di una tariffa esterna comune mal'O bassa. Ciò ha determinato, a mio parere, ali'innest0 automatico dei processi e di arretratezza che mulativi di propri delle economie aperte a diverso livello di ricchezza iniziale. anche un condidelle misure di politica 'Onomica industriale. In Italia* ad delle inte delle misure di dustrie del susseguitesi 'ltirni 'lia giustificazione! "due meno parziale, nella necessità di non segna- re passo imprese di oltr'hlpe. Nel c o m ~ l e s s o .quindi, credo si possa affermare che il processo di integrazione europea abbia contribuito ad una divaricazione 'quilibri e, se gli effetti squilibranti sono stati limitati, ciò è probabilmente dovuto solo ai notevoli sforzi fatti dalle politiche regionali nazionali. 2 - Ma la Comilnità si è recetitemente dotura di 1 t t ~ 0 s t r ~ ~ m e n tfinanziario o specifjco e ha espresso in più occasioni la ilolotitò di orientare irl senso regionlile anche i preesistetlti fondi serto- riali. Ritiene che questi strumenti di intervento e in particolare il fondo europeo per lo sviluppo regionale siano sufficienti per incidere sugli squilibri e invertire la tendenza alla divaricaziorie insitu nelle forze di mercato? Certamente no. E questa non è un'opinione mia, ma è un assunto largamente condiviso anche negli stessi ambienti della Commissione di Bruxelles. E' fuori dubbio che la creazione del Fori. do europeo per lo sviluppo regionale ha rappresentante un punto di svolta nella storia degli strumenti finanziari comunitari. I fondi settoriali, infatti, erano ben lungi dalllattuare una redistribuzione di risorse a favore delle regioni economicamente meno prospere. Tralasciando di considerare la Banca europea per gli Investimenti che, come è noto, non interviene con so"venzioni, ma con prestiti a tasso di mercato, si pensi che il fondo agricolo per il miglioramento delle strutture dal 1964 ad oggi non ha destinato al Mezzogiorno che il 4,50/~ di t u t t e le ,-isorse effettivamente spese e che il Fondo sociale solo dopo la riforma ha assunto quelle caratteristiche di maggiore elasticità che gli permettono di tener conto, nel19incanalare i finanziamenti, di diversi gradi di e di urgen. 2, nelle varie regioni. ~i~~ al 1973 i contributi del fondo sociale si sono diretti in maggior misura verso la ~ ~ ~ ~federab b l le tedesca che verso 1qtalia. il 1973 l'Italia ha percepito ogni anno in media tra il 27 e il 280h di tutti i finanziamenti concessi dal ~ ~ ~ d ~ . M, è con il ~~~d~ di sviluppo regionale che li^ vede assegnato a~ il 400,~ delle risorse: & la prima volta che la comunità si dota di uno stru. mento decisamente perequativo. u n esame a delllattività del Fondo europeo per lo sviluppo regionale in questi primi due anni di funzionamento, del resto conferma in pieno questa caratteristica del ~ ~ fra ~il 1975 d e i ~primi: mesi del 1976 a l ~~~~~~i~~~~ è stato erogato oltre i~ 450/0 (205,17 milioni di u.c.) dei contributi del ~ ~ superando ~ dcosì la~ già , a l t a quota assegnata a l nostro paese. Ma evidentemente l'esistenza e il funzionamento di uno strumento finanziario perequativo sono tutt'altro che sufficienti anche per un avvio al superamento degli squilibri regionali. Anzitutto il complesso delle risorse del Fondo è largamente inadeguato. Non occor. rono grosse congetture per capire che un miliardo e trecento milioni di unità di conto ( 1 U.C. è equivalente a 625 lire) in tre anni sono una cifra irrisoria in confronto ai gravi problemi di sviluppo di molte regioni della Comunità. Ma anche se le risorse fossero ampliate il ~~~d~ non potrebbe co. munque di per sé garantire uno sviluppo equilibrato, si sovrappone, infatti, ad un complesso di altri strumenti che solo in parte, e in nessuna misura per il Feoga, sono orientati in senso regionale e che, mancando di u n coordinamento effettuano interventi parziali e frammentari, senza rispondere ad una visione globale dei problemi. Gli interventi finanziari, poi, non possono essere che uno degli strumenti di una politica di riequilibrio territoriale. La situazione del Mezzogiorno dopo più di venticinque anni di intervento straordi- i ~ dicembre 1976 COMUNI D'EUROPA nario è una chiara testimonianza del fatto risorse è stata il frutto di lunghi ed esteche fino a quando gli squilibri non sono nuanti negoziati in cui alla più alta dotaconsiderati nel concreto, e non solo nelle zione proposta dalla Commissione e calaffermazioni di principio, come un proble- deggiata dai paesi beneficiari si sono opma « centrale » che deve permeare tutti gli posti i paesi pagatori e in particolare la indirizzi di politica economica, le risorse Repubblica federale tedesca. La Germania, erogate non rappresentano che un pallia- anzi, a un certo punto, decretò che il Fontivo, qualcosa che può ritardare le tenden- do avrebbe dovuto essere considerato in ze alla divaricazione, ma che non risolve ogni caso sperimentale e che non si sarebbe dovuto dar adito a d automatico rini problemi di Fondo. novo allo scadere del triennio. Non credo 3 - Alla fine del 1977, i primi tre anni di che la questione sarà riproposta in concreto, ma credo che la battaglia per una sosperimentazione del Fondo europeo per l o sviluppo regionale verranno a sca- stanziale rivalutazione dell'entità del Fondenza. Quali sono a SUO parere, i nodi do, resa tanto più indispensabile dai tagli del prossimo negoziato per il rinnovo ad essa apportati dall'inflazione (la Come quali le prospettive per una solu- missione calcola che i 500 milioni di U.C. zione favorevole ad una maggiore inci- stanziati per il '77 dovrebbero essere portati a 750 solo per riacquistare il loro orisività del Foizdo? ginario valore in termini reali) sarà aspra. Restando inteso che il Fondo regionale Quali saranno gli esiti di questa battaglia per quanto migliorato e potenziato non può è difficile' a dirsi: molto dipenderà dal cliche costituire uno degli strumenti della ma anche politico, oltre che economico che politica regionale e non la politica regio- si affermerà di qui ad un anno. nale vera e propria e volendo concentrare Dal punto di vista tecnico credo che i l'attenzione sui suoi meccanismi di funzio- principali problemi che dovrebbero essere namento, credo che il punto cruciale del affrontati siano quello del tipo di complenegoziato sarà rappresentato dalla questio- mentarietà del Fondo e del coordinamento ne dell'entità del Fondo. con gli altri strumenti finanziari e con le Come si ricorderà l'attuale dotazione di altre politiche comunitarie. Le M o n n i e r p e r la scuola NICOLA REMINE GIUSEPPE BUSCEMI L'EDILIZIA SCOLASTICA problemi - prospettive pagg. IV-600 - - legislazione L. 20.000 Il volume si propone di offrire a quanti operano nella scuola e per la scuola una rassegna, chiara e completa, dei problemi più significativi dell'edilizia scolastica e delle soluzioni legislative che, via via nel tempo, sono state adottate in questo settore. In questi ultimi tempi, poi, con l'attivazione delle competenze dell'ente Regione, il discorso sull'edilizia scolastica ha assunto un'ulteriore dimensione: la definizione e la reciproca delimitazione dei compiti e delle funzioni degli organi dello Stato, delle Regioni e degli Enti territoriali minori. CASA EDITRICE F. LE MONNIER Via Scipione Ammirato, 100 - 50136 Firenze a Per quanto riguarda il primo punto si ricorderà che i regolamenti del Fondo hanno lasciato libertà agli stati membri di scegliere - nel rispetto, in ogni caso, dell'aggiuntività dell'aiuto comunitario - fra il cumulo di questo e dell'incentivo nazionale per ogni singolo investimento e I'ampliamento invece del numero degli investimenti finanziati, fermi restando i livelli di incentivazione per progetto. Tutti i paesi hanno praticamente optato per questa seconda soluzione, conservando così la manovra degli aiuti e beneficiando solo di un potenziamento delle risorse a tal fine disponibili. Già nel libro mi domandavo se, per rendere il Fondo più operativo e fargli svolgere un ruolo di inquadramento di progetti nelle politiche e nelle priorità comunitarie, non sarebbe stato il caso di prevedere I'addizionalità dell'aiuto comunitario progetto per progetto. Solo in questo modo, infatti, è attuabile una reale selezione a livello comunitario, mentre col sistema della redistribuzione dell'aiuto su un maggior numero di investimenti, i progetti presentati alla Commissione finiscono per non essere altro che delle pezze d'appoggio per I'ottenimento da parte di ogni singolo stato membro della quota ad esso risenata. Di questo stesso avviso mi è sembrato essere il direttore generale della politica regionale Renato Ruggiero in un suo intervento alla Confindustria del 10 giugno 1976 sulle prospettive del Fondo, anche se poi la Commissione nella prima relazione annuale sul Fondo europeo di sviluppo regionale ha mostrato invece di propendere per il sistema fin qui adottato. Il problema resterebbe comunque quello di far accettare ai Paesi membri, gelosi delle proprie prerogative, una forma di intervento comunitario che indubbiamente sottrae ad essi spazi di manovra per trasferirli al livello delle istituzioni europee. Per quanto riguarda il coordinamento la Commissione ha già preso delle iniziative in tal senso attraverso la creazione di un gruppo interservizi per il coordinamento degli strumenti finanziari della Comunità, e di sottogruppi per l'esame delle varie iniziative comunitarie. Si tratta di strutture organizzative interne molto importanti che se, evidentemente, non hanno il potere di cambiare il segno delle politiche comunitarie, possono tuttavia contribuire all'eliminazione di discrasie e contraddizioni di Funzionamento. Ancor più nettamente in questa direzione si muove una idea di Renato Ruggiero, manifestata in occasione del già citato incontro alla Confindustria: quella di invitare le istituzioni della Comunità ad unire, per ogni proposta o decisione, un'analisi delle conseguenze di tale azione sull'equilibrio territoriale. Contribuendo ad una migliore conoscenza dei problemi questa iniziativa avrebbe, a mio parere un impatto molto rilevante. In sede di deliberazione del Consiglio dei ministri, infatti, di fronte a misure capaci di produrre effetti negativi sulle regioni più deboli, i paesi d a esse toccati si troverebbero nelle migliori condizioni per opporsi o pretendere delle modifiche, mentre ai paesi avvantaggiati sarebbe estremamente difficile difenderle fino in fondo. Anche queste misure di coordinamento, comunque, per quanto positive non possono produrre che effetti parziali. Per affrontare in maniera seria ed inci- dicembre 1976 siva gli squilibri presenti nella Comunità, che non sono solo territoriali ma - come ha messo drammaticamente in evidenza la congiuntura economica attuale - investono l'intero campo economico e sociale, occorrono dei chiari indirizzi di programmazione europea con un'articolazione nazionale e regionale coerenti. - Nel suo libro lei dedica un intero capitolo alle regioni. In che senso e in che misura esse possono svolgere un ruolo attivo per l'innesto di un meccanismo di sviluppo eqiiilibrato in Europa? I1 tema del regionalismo viene sempre più sovente trattato in convegni, dibattiti e scritti dedicati alla politica regionale: le regioni e il decentramento tendono ad entrare come elementi di primo piano nella concezione stessa della politica regionale. Cionondimeno nell'attuale assetto istituzionale e politico dell'Europa dei Nove i rapporti centralistici e internazionali risultano di gran lunga prevalenti e all'interno degli Stati nazionali, nonostante il manifestarsi di diffuse e rilevanti spinte autonomistiche, permangono differenze sostanziali da paese a paese: a situazioni relativamente avanzate - anche se in gran parte ancora in fase di costruzione - come quella italiana, si contrappongono situazioni come quelle francese e inglese, caratterizzate da una prevalente natura tecnico-amministrativa del potere regionale. E' mia convinzione che la conquista di più ampi margini di potere da parte delle autonomie locali costituisca un problema politico di primo piano non soltanto per un approfondimento delle conquiste democratiche ma an&e per una più coerente impostazione delle scelte economiche e per una loro più efficace incidenza. Del resto per comprendere l'importanza del ruolo delle istituzioni regionali e locali per l'impostazione e l'attuazione di adeguati interventi di riequilibrio, basta considerare i guasti che il loro mancato coinvolgimento ha prodotto fino ad ora. E' ormai largamente diffusa la convinzione che gran parte dei fallimenti delle politiche regionali in Europa si debbono fare risalire proprio all'assenza. o comunque a una presenza troppo poco significativa dei poteri locali. Il peso politico ed amministrativo degli enti regionali nella comunità può assumere una grande rilevanza sotto un duplice aspetto. Anzitu t to le regioni europee potrebbero intervenire ad orientare a monte il processo di integrazione. Enti regionali e locali dotati di automia e di poteri reali hanno infatti tutte le possibilità di contribuire all'innesto di un processo di integrazione in cui la politica regionale non costituisca più qualcosa a latere, un elemento aggiuntivo, quasi accessorio del meccanismo di sviluppo, ma uno dei suoi elementi determinanti. In secondo luogo l'intervento regionale si rende addirittura imprescindibile a valle, nella fase, cioè, di attuazione delle politiche comunitarie. Spesso i provvedimenti comunitari non possono che essere generali ed astratti riferendosi a realtà ampie e variegate quali sono quelle dei nove paesi della CEE. In molti campi è anzi opportuno che essi mantengano quei requisiti di elasticità che li rendano adattabili alle varie realtà territoriali. Ora credo che sia dificil- 4 COMUNI D'EUROPA mente contestabile l'opportunità che a questa attività di adattamento provvedano non solo gli stati nazionali, ma anche e soprattutto enti territorialmente meno ampi che, proprio per le loro dimensioni, sono a più diretto contatto con i problemi e le esigenze reali delle varie parti del territorio. Un solo esempio basta a comprendere la importanza di entrambi gli aspetti del problema trattato. Si è dibattuto molto dentro e fuori del parlamento italiano circa lo spazio da riservare alla conferenza regionale nell'attuazione delle direttive comunitarie del 1971 sulle strutture agricole. Come è noto il tentativo del governo di avocare a sé ogni potere adducendo la riserva di competenza governativa nel campo dei rapporti inter- REGIONI EUROPEE E SCAMBIO INEGUALE VERSO UNA POLITICA REGIONALE DI MARIA VALERIA AGOSTiNI S ~ I E T ÀEDITRICE IL MuUNO nazionali è stato parzialmente battuto e, seppure nel quadro delle norme dettate dalla legge 153 del 1975, è stata riconosciuta alle regioni la potestà di legiferare in merito. Nonostante questo, però, i problemi restano e sono di rilevanza tale, da richiamare con forza l'attenzione sul primo dei due aspetti evidenziati. Le direttive del 1971, privilegiando I'azienda efficiente e tendendo ad accelerare il processo di emarginazione delle imprese marginali, non possono non destare serie preoccupazioni in particolare nel Mezzogiorno ove estremamente precarie se non del tutto inesistenti si presentano le possibilità di riassorbimento delle eccedenze di forza lavoro agricolo da parte dei settori secondario e terziario. Piegare queste direttive alle esigenze poste dalla concreta situazione attuale è un compito arduo e spropositato per le regioni, dati anche i troppo ristretti margini loro lasciati dalla 153 e dalle direttive stesse. Ecco allora il problema spostarsi a monte, al fatto, cioè, che le regioni non hanno potuto portare il loro contributo di migliori conoscitrici delle sin- 17 gole realtà concrete né in sede comunitaria all'atto dell'elaborazione delle direttive, né in sede nazionale in fase di determinazione degli indirizzi da far valere dai rappresentanti italiani nel consesso europeo. Se questo fosse avvenuto probabilmente esse non si troverebbero oggi a dover fare i salti mortali per non incorrere nelle sanzioni di non conformità della Comunità e dello Stato italiano. 5 - Di fronte all'attuale crisi economica dell'area capitalistica, come vede la situazione delle regioni meno sviluppate della Comirtzità? E' da presumere che se ne esca con una divaricazione degli squilibri, con un restringimento del divario risultante dal declino delle aree N forti » o con una ripresa durevole ed equilibrata che itzvesta anche le aree periferiche n? La situazione economica attuale è indubbiamente fonte di grosse difficoltà in ogni parte del territorio comunitario. Gli stessi sintomi di ripresa fatti registrare da alcuni paesi e in particolare dalla Repubblica federale tedesca non sono esenti da elementi di incertezza che fanno seriamente dubitare sull'innesto di una reale inversione di tendenze. I tassi di inflazione si mantengono alti ovunque anche se differenziati da paese a paese; la disoccupazione - specie giovanile - permane e r i s c h i a di diventare cronica; la produzione industriale è molto lontana dall'aver recuperato i ritmi degli anni precedenti la crisi energetica. E' certo comunque che i divari economici fra paesi membri e ancor più quelli fra .regioni forti e regioni deboli della Comunità sono in forte aumento. Basti pensare alle recenti vicende monetarie che hanno messo in drammatica evidenza la precarietà del processo di integrazione europea e basti ricordare il tentativo di Tindemans di dare un avallo formale alla ripartizione delllEuropa in aree ricche e povere. Sono a tutti presenti del resto le conseguenze particolarmente nefaste che un processo inflazionistico sostenuto e in gran parte incontrollabile come l'attuale produce sulle strutture delle aree economicamente meno forti. Gli stanziamenti pubblici pluriennali a favore dello sviluppo subiscono drastiche svalutazioni, le imprese. più deboli e meno efficienti, non riescono ad adeguare tempestivamente i prezzi e possono incontrare maggiori difficoltà; i redditi delle famiglie appartengono spesso in più larga misura alle categorie meno difese dalle drastiche decurtazioni di valore reale proprie del processo inflazionistico. Ai danni dell'inflazione si aggiungono poi quelli delle indiscriminate misure deflattive adottate con sempre maggior frequenza dai governi. L'andamento via via più ravvicinato delle politiche di stop and go proprio di questi ultimi anni rischia così di aggravare ancor più la situazione delle aree economicamente meno forti e di alimentare le tendenze alla divaricazione degli squilibri già insite nei meccanismi di mercato. Certo il problema del sottosviluppo e del declino industriale, oltre ad approfondirsi, potrebbe nella situazione attuale tendere ad allargarsi interessando aree che fino a ieri potevano essere annoverate f r a quelle industrialmente più forti. Per rendersi conto di questo basta considerare quanto mettono in evidenza i più recenti dati del 18 commercio internazionale. La divisione internazionale del lavoro fra paesi sviluppati che ha costituito in gran parte il motore dello sviluppo sostenuto negli anni '50 e '60 sembra in via di esaurimento mentre per molli prodotti industriali, già appannaggio del mondo industrializzato, si va delineando in maniera netta la concorrenza vincente di alcuni paesi in via di sviluppo. D'altra parte, come ha osservato recentemente « The Economist », sembra volgere a termine la « grande èra della crescita commerciale » all'interno della Comunità, stimolata dalla riduzione delle tariffe, dato che a la maggior parte dei benefici della specializzazione sono effetti una tantum della creazione di un'unione doganale ». Sembra certo, insomma, che l'Europa andrà incontro in un prossimo futuro a dei profondi mutamenti qualitativi nella sua struttura produttiva, né i tentativi di ritardare il processo attraverso l'adozione di misure protezionistiche può risolvere i problemi di fondo. Ora l'atteggiamento nei confronti di questi mutamenti può essere duplice. O si resta passivi e si lasciano operare le tendenze spontanee. E in tal caso, a mio parere, gli adattamenti saranno sicuramente traumatici e costituiranno la fonte di nuovi e più profondi squilibri. O si interviene attivamente. In effetti, io credo che la situazione attuale, essendo suscettibile di intaccare anche la parte più dura » dell'organismo comunitario, potrebbe rappresentare un punto di svolta nella concezione della politica regionale: non più una politica dualistica e assistenziale, ma la dimensione territoriale della politica economica e delle politiche seltoriali. Anche in certi ambienti comunitari del resto - come testimonia il rapporto Maldague -, si ha presente l'esigenza di un mutamento sostanziale, di carattere anche qualitativo, dei modelli di sviluppo e degli stessi modi di vita nei paesi della Comunità. Le gravi difficoltà di oggi, insomma - se si affermasse una concreta volontà politica di ripresa economica duratura ed equilibrata - potrebbero costituire l'occasione per un ripensamento del processo di integrazione europea e la base per uno sforzo comune di ristrutturazione industriale e di riequilibrio economico-territoriale. 6 - Ma, proprio in consideraziotie della crisi, quali sono, a suo parere, oggi in concreto le prospettive politiche per l'itlstaurazione di una politica regionale ileramente incisiva ed efficace? Mi dispiace quasi rispondere a questa domanda: è avvilente. dopo aver sostenuto la presenza in una situazione di crisi dei germi per una svolta positiva, ammettere poi che non si intravcdono nell'immediato le condizioni politiche per realizzarla. In effetti parlare di una efficace ed incisiva politica di riequilibrio a livello comunitario si~nifica dover spostare il discorso sui progressi nel campo dell'integrazione eLll.op~a. R4i sembra di aver già messo in luce i,i,mt. i risultati f n o ad ora conseguiti nel ~~riinpodell'inteprazione non siano tali da ~,oiiii.:isLare gli squilibri ma tendano, anzi, : o i n p l ~ ~ s s i ~ ~ a n ~ cadn t ealimentarli. Ora c'è irii'iilti-a coiisider-alione ovvia da fare: l'in~i:i~ii-:t~ioiie di un nuovo modello di svilup- COMUNI D'EUROPA po comunitario che, nel farsi carico dei vari problemi evidenziati dalla crisi, si proponga anche una più razionale ed equa ripartizione territoriale del reddito e della ricchezza, non può prescindere dal superamento dello stadio dell'unione doganale e dal conseguimento dell'unione economica. Ora, come è a tutti noto, i passi avanti in questa direzione sono stati negli ultimi tempi molto scarsi. Jacques Nagels su « Paese Sera » del 3 luglio 1976 affermava che a partire dal 1969 il tetto del livello di integrazione tende a raggiungere una soglia minima ... e addirittura ad oltrepassarla n. In effetti di fronte alla crisi economica, si è assistito a sempre più frequenti episodi di ripiegamento dei singoli paesi su se stessi. Gli stessi risultati fin qui conseguiti sono stati messi in discussione: la relativa certezza dei cambi è saltata con lo sganciamento delllItalia, della Gran Bretagna, delllIrlanda e successivamente della Francia dal serpente monetario; le continue svalutazioni di queste monete mettono in difficoltà la politica agricola comune costringendo a frequenti mutamenti dei montanti compensativi; le misure protezionistiche cui gli stati sono spesso costretti a far ricorso (si pensi all'imposta italiana sull'acquisto di valuta) mettono in discussione la stessa unione doganale; le politiche congiunturali sono scoordinate e sempre meno efficaci in mancanza di un quadro complessivo coerente. I legami fra squilibri regionali e processo di integrazione europea d'altronde non sono mai venuti in così drammatica evidenza. Credo si possa affermare con sufficiente certezza che se si fosse agito in tempo e con misure adeguate sugli squilibri, oggi si avrebbero contraccolpi meno violenti e politiche meno disgreganti, con grossi vantaggi per la stessa integrazione. In questo quadro tutt'altro che incoraggiante, il solo spiraglio di luce è dato dalla decisione di tenere le elezioni dirette del Parlamento europeo nel 1978. La decisione è sicuramente di grande importanza e appare priva di fondamento, nella situazione attuale, la polemica se si dovesse pensare prima ad un raiforzamento dei poteri del parlamento e solo in seguito alle sue elezioni dirette. E' evidente infatti che i partiti democratici potranno ottenere più facilmente ooteri reali oer il oarlamento facendone un argomento della campagna elettorale piuttosto che esercitando pressioni diplomatiche o sottoscrivendo inascoltati ordini del giorno dell'attuale « innocuo » Parlamento europeo. Le elezioni rappresentano un importante momento di aggregazione di forze politiche al di là delle frontiere nazionali (sono già in corso di elaborazione programmi comuni) e l'occasione per un maggior coinvolgimento dell'opinio. ne pubblica europea nell'impresa della costruzione comunitaria. Certo il superamento dell'attuale impasse passa attraverso il riconoscimento di ampi poteri a questo organismo e la fondazione di una Costituente europea che getti le basi per l'avvio di un diverso modello di integrazione. Se questo non avverrà in un lasso di tempo accettabile il rischio è che il Trattato di Roma - in gran parte superato dalle mutate condizioni economiche, oltre che politiche - sia sempre più spesso contravvenuto dai paesi membri, e che delllEuropa unita non resti che l'idea. dicembre 1976 I1 compromesso europeo (coritirircazione doll<i pag. 2) ropea di equilibrato sviluppo ("), un deciso avvio verso le politiche comuni previste dall'unione economica e una loro attuazione secondo i bisogni delle regioni più povere; né l'insipiente governo italiano (ricordiamolo, lo abbiamo detto: l'Italia è un paese consumatore irrinunciabile per i suoi partn e r ~ ,specie la Germania) chiese una parziale messa in comune delle riserve monetarie europee, almeno in funzione del miglioramento per taluni Paesi ricchi del rapporto fra export e import infracomunitari a partire dall'instaurazione delll« unione doganale D: ma tese la mano e si fece concedere dai governi consociati e particolarmente da un cancelliere tedesco, poco disposto a rispettare la filosofia di Jean Monnet e gli impegni assunti dal suo Paese, un insignificante fondo regionale comunitario, una cassetta del Mezzogiorno più utile per allenare le nostre Regioni a un comportamento sovranazionale che a modificarne in concreto il loro livello economico. L'Italia senza dubbio ha il diritto e la possibilità, formale e sostanziale, di chiedere un nuovo modello di sviluppo europeo e, come premessa, una programmazione economica e una pianificazione del territorio contestuali: a cui ci si può avvicinare senza compiere atti particolarmente rivoluzionari, ma semplicemente portando avanti le politiche comuni - tutte le politiche comuni - previste dal Trattato della CEE, ampliandone in base all'esperienza il ventaglio, coordinandole e realizzandole in base alle esigenze di tutto il territorio comunitario (cioè di tutte le sue regioni). Ciò è quanto il CCE e in esso I'AICCE chiedono da un pezzo; ciò è quanto è stato ampiamente specificato nel nostro recente libro Regioni europee e scambio ineguale ( 5 " ) ; ciò è quanto hanno chiesto i rap)) presentanti delle Regioni italiane nella Conferenza regionale comunitaria svoltasi - su istanza del Consiglio dei Comuni d'Europa a Parigi tra il 7 e 8 dicembre ( N ... Deve mutare il generale quadro di riferimento e deve avanzare un nuovo progetto di società, basato su una diversa gerarchia dei consumi, su una differente geografia degli investimenti e su una effettiva programmazione economica democratica a livello europeo ... » ecc. ecc.). Ma dall'altra parte per poter chiedere dignitosamente ed efficacemente tutto ciò, fra non molto anche insieme agli altri Paesi europei meno sviluppati che entreranno nella Comunità (Grecia, Portogallo, Spagna democratica), per non parlare delllIrlanda che già vi è dentro, l'Italia, che fa bene a non accettare la scandalosa teoria dell'integrazione a due velocità, di cui ha parlato il notaio - (*) Articolo 2 del Trattato istitutivo della CEE: a La Comunità ha i l compilo di promuovere, mediante I'instaurazione di un Mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso dellc attività economiche nell'insieme della Comunità. un'espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta. un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano n. Per tutta questa tematica si veda in a Comuni d'Europa D, gennaio 1974: N I1 fondo regionale: dono o debilo? D. ('*) u Regioni europec e scambio ineguale verso una politica regionale comunitaria? s di Maria Valeria Agostini (è il frutto di uno studio condotto in comune dall'lstituto per gli Affari inlernazionali di Roma e dalI'AICCE - Bologna 1976, Società editrice Il Mulino). - dicembre 1976 Tindemans, deve, a sua volta, rendersi credibile e integrabile. Per credibile rimandiamo i nostri lettori a un vecchio articolo uscito nella nostra rivista (nel numero di marzo 1972) e intitolato emblematicamente « I levantini della Comunità». Senza ofl'esa per i levantini, il comportamento delllItalia nell'àmbito della Comunità è il comportamento classico dei venditori ambulanti e dei mercanti mediorientali di tappeti: prende i soldi (pochi in verità) e sbaglia i conti o finge di sbagliarli, non rispetta le regole del giuoco, tenta furtivamente di raggirare i clienti ma in realtà è pigra e non riesce a curare i suoi interessi, soprattutto non riesce a darsi una decente organizzazione moderna, vincendo tradizionali, millenarie costumanze di un popolo povero abituato ad « arrangiarsi D. Per integrabile non intendiamo certamente riferirci all'integrabilità, cui spesso fa allusione il rcigiunàtt Helmut Schmidt, cancelliere della Germania federale: ad avviso di questo signore i ricchi si possono integrare con i ricchi e i poveri se ne devono stare con i poveri, al massimo utilizzando qualche elemosina, concessa loro tanto per evitargli di fare pazzie. No, no di certo: per integrabile noi intendiamo un Paese povero ma dignitoso, che sappia darsi un ordinamento civile; che abbia un'amministrazione centrale non risibile come quella italiana; che possieda una anagrafe fiscale organizzata con un minimo di serietà; che riduca le spaventose zone di parassitismo e riesca, nei limiti del possibile, a commisurare i consumi alla sua capacità di produrre; che sappia far funzionare a scopi di incremento produttivo i propri istituti di credito, le proprie banche; che - dal momento che si tratta di un popolo intelligente - organizzi la produzione industriale degli italiani in modo che, Paese come è di economia di trasformazione, renda il più elevato possibile il valore aggiunto (e non il profitto speculativo), al fine di sopperire all'aumento dei costi delle materie prime, che debbono essere importate prevalentemente dal terzo mondo (in testa, ovviamente il petrolio); che sposti i consumi comprimendo la domanda individuale voluttuaria ed espandendo la domanda sociale; che riduca il costo spaventoso della previdenza sociale e di tutte le forme di assistenza pubblica (talché non si possa venire a raccontare che il salario operaio è troppo alto: se si prende il salario netto esso, sovente, non raggiunge neanche le medie europee) e renda adeguati certi servizi, senza i quali - un esempio per tutti - si spiega perché le mamme-lavoratrici italiane sembrino le più deboli d'Europa e quindi bisognevoli di esoneri dal lavoro ben più lunghi che negli altri Paesi; che non si vanti delle punte di organizzazione avanzata » della classe lavoratrice e delle provvidenze ottenute dal momento che l'Italia ha il minor tasso comunitario di popolazione attiva (ufficialmente), mentre ha la percentuale più alta di lavoro occulto (nero); che non pianga sull'alta percentuale di disoccupazione quando non riesce a mettere ordine sul terreno del doppio lavoro; che ha una preoccupante fascia di ceto medio povero al limite della miseria (si tratta di milioni di persone), mentre falangi di « lavoratori » con a colletto e cravatta » al servizio dello stato, del parastato e degli enti locali non conducono un lavoro produttivo e talora non conducono alcun lavoro (naturalmente ci0 deriva nticlie dall'incapacità COMUNI D'EUROPA delle nostre strutture amministrative di re- Comunità non sarà più la somma algebrica (statica) delle sue componenti, ma vedrà una cepire sane iniziative ed eventuali tentativi di cambiare le cose da parte dei più volen- diversa dinamica del tutto e delle parti, e terosi e coscienti degli stessi colletti bian- un ripiano sovranazionale della ricchezza chi); che insomma non abbia le vergogne del- prodotta avverrà necessariamente nell'intela nostra urbanistica, dei nostri ospedali, resse generale. Non potrà non esserci, per della nostra scuola, dei nostri mercati ge- esempio, una politica federale di sovvenzionerali, delle nostre bustarelle, del nostro fin- ne alle scuole e all'istruzione professionale, to olio d'oliva, del consumo di pesce medi- un consiglio europeo delle ricerche, una larterraneo pescato dai giapponesi. So bene - ga messa in comune del Fnow-how e perfino - per ragioni di politica dell'ambiente è una vecchia abitudine italiana - che mi verranno contestate puntigliosamente una - quella imposizione comunitaria dei plus parte delle cose o r ora richiamate: gli ita- valori di agglomerazione di cui parla partiliani sono fatti così, protestano su bazzeco- colarmente Giovanni Magnifico nella ediziole per K motivi di principio », quando ci stan- ne italiana del suo N European Monetary Unino montagne di cose della più grande impor- fication ». L'inseguimento, in questo contetanza da affrontare in adempimento dei sto, sarà possibile » e utile a tutti. Ecco: la sola ipotesi delle elezioni europee normali doveri civili. Bene: l'Italia bizantina offre la realtà viva di una strada alternatie parolaia non è integrabile nella Comunità europea non perché è povera, ma perché va, popolare, per la costruzione delllEuropa, esprime una classe dirigente incapace (per una strada che non passa più esclusivamente attraverso gli uffici e i salotti della diplocarità, anche qui: nella maggior parte, non tutta!), malgrado le doti indiscutibili del mazia e apre il varco ad onesti compromessuo popolo (dei suoi figli migliori, come si si europei, che dovranno essere portati avanusa dire) e perché, in linea generale, il no- ti, per il bene delllEuropa ma anche del restro Paese - visto dal di fuori - risul- sto del mondo - di cui l'Europa è un eleta come un simpatico coacervo plurifami- mento non certo insignificante, anche se essa non è più l'ombelico del mondo -, dal liare e non una società civile. Di queste cose italiane ha parlato in buo- fronte democratico europeo: quest'ultimo vena parte l'economista Giorgio Fuà in un pre- drà la convergenza di partiti e di gruppi pozioso libretto, recentemente uscito e ricco litici transnazionali, del movimento europeo di utili cifre, intitolato «Occupazione e ca- dei sindacati, del movimento europeo delle pacità produttive: la realtà italiana »: leg- autonomie. Il momento costituente dell'ingiamolo, riflettiamoci, emendiamoci o pro- tegrazione europea è dunque cominciato: mettiamo (credibilmente) di emendarci. non si tratta di contemplarlo o di fare proQuando poi gli amici tedeschi, non sapen- nostici, si tratta di trasformarlo in un'aud o come,contraddire alle nostre ragioni d a tentica, pacifica rivoluzione, che crei per il noi espresse in modo corretto (cioè in un bene di tutti la nuova società europea. modo nuovo), ricorressero all'altro espediente di dirci che loro non possono calarsi in una Comunità europea sovranazionale imCOMUNI D'EUROPA bavagliata da una « politica economica diriOrgano delllA.I.C.C.E. gista », facciamoci una bella risata: dai tempi di Rathenau (di cui un editore italiano ANNO XXIV - N. 12 DICEMBRE 1976 ha recentemente ristampato « L'economia nuova m, con una acuta introduzione di Lucio Villari) fino ad oggi la Germania è il paese Direttore resp.: UMBERTO SERAFINI d'Europa che pianifica di più, in maniera Redattore capo: EDMONDO PAOLINI esplicita o sottobanco; e non ci venga pertanto a raccontare che non. può fare onestaE DIREZIONE, REDAZIONE mente in Europa quel che fa con ottimi riAILIILIINISTRAZIONE 6.784.556 Piazza di Trevi, 86 - Roma sultati e creazione di ricchezza a casa pro6.795.712 pria (la Germania non programma forse il Indir. telegrafico: Comuneuropa Roma commercio internazionale addirittura a lungo termine?). Abbonamento annuo L. 3.500 - AbboCiò premesso, rimane il dubbio, sic r e b ~ t s namento annuo estero L. 4.000 - Abstantibus, se questa Italia, meno sviluppata bonamento annuo per Enti L. 15.000 degli altri, riuscirà inai a raggiungere il liUna copia L. 300 (arretrata L. 600) vello di sviluppo delllEuropa più agiata. In Abbonamento sostenitore L. 200.000 una interessante recensione sulll«Unità » (del 6 ottobre) del libro di Fuà, intitolata « Un Abbonamento benemerito L. 400.000. impossibile inseguimento n, Luciano Barca ci I versamenti debbono essere effettuaha ricordato che in base alle indicazioni di ti si41 c / c postale n. 1133749 intestato a: Fuà, proprio se tutto va bene (velocità quasi « giapponese » di sviluppo), noi potremmo « Comuni d'Europa, periodico mensile raggiungere la Francia, quanto a prodotto Piazza di Trevi, 86 - Roma » (speciinterno per abitante, in un po' più di un ficaiido la causale del versamento), quarto di secolo: da qui Barca ne ricava oppure a mezzo assegno circolare che noi potremmo raggiungere solamente una non trasferihile - intestato a Europa che orienti diversamente il proprio Comuni d'Europa ». modello di produzione e di consumo. I n un certo senso sono d'accordo con Barca, ma Aut. Trib. Koma n. 4696 del1'11-6-1955 richiamando quanto ho scritto sopra: cioè che cambiare il modello di sviluppo europeo Associato all'USPI vuol dire darsi - per esprimermi col linUnione Stampa guaggio della scuola politica di Barca - soPeriodica Italiana vrastrutture Federali, cioè creare una Comunità politica europea, democratica ma sol l l l J ~ l i ' ~ C R 4 t l A X I CANTINO - ROMA - 1976 prattiitto sovranazionale. In questo caso la (( - 0 Appello del Movimento Federalista Europeo agli Italiani. Entro il 1978 elezione europea moneta europea governo europeo. m Di~endeanche da te ottenere auesti risultati. Fa sentire la tua voce al tuo partito o al partito per il quale voti. Per I'ltalia e giunto il momento della scelta o I'italia in Europa, o a f.ne delle speranze dt fare dell'ltalia n , paese moderno e civile Questa sce ta riguarda tutt!, nessuno escluso Con I'elezione europea del 1978 e cio che si puo fare sin da ora per ottenere il migi or risultato possibile tutti sono n causa E bisogna tener presente che l'elezione europea sargun successo se, e solo se, ciascuno farà quantoè nelle sue possibilità perche l'opera dei partiti, pur essendo necessaria, non è certo sufficiente. C'e un punto su cui far leva: il programma elettorale europeo dei partiti. E, a patto di chiedere l'essenziale, e di chiederlo in molti, si può riuscire perchè ogni partito temerebbe di perdere voti se il suo programma non corrispondesse alle aspettative manifestate dagli elettori. D'altra parte, agendo per la formazione di buoni programmi europei, si agisce nel contempo per garantire I'interesse e la partecipazione degli elettori, per accelerare la trasformazione europea dei partiti, e per sviluppare la tendenza già in atto verso la candidatura europea delle grandi personalità. Due problemi sono dunque cruciali: l'essenziale in materia di programmi europei. e il modo per far si che siano in molti a chiederlo ai partiti. Circa il programma europeo, va premesso che il Mercato Comune non puo reggere ancora oer molto temoo senza una moneta eurooea e un esecutivo eurooeo. Con l'economia europea del ~ ' e r c a t oComune, le monete dei paesi meno forti sono ccndannate alla debolezza. E il caso italiano. Tutti sanno che la necessità di difendere la lira obbliga I'ltalia ad una politica protezionistica che la distacca dall'Europa, anche se nessuno dice apertamente che questa politica divide I'Europa e riconduce I'ltalia all'impoverimento. Bisogna dunque chiedere un esecutivo europeo - in pratica un collegamento diretto tra la Commissione della Comunità e il Parlamento europeo e la moneta europea. per togliere di mezzo la causa della divergenza delle politiche nazionali e consentire il progressivo sviluppo di una politica europea. Circa il modo per far si che siano in molti a rivolgere questa richiesta ai partiti, e per evitare che pervenga agli stessi partiti una somma disordinata di richieste particolari che non servirebbe a nulla, il Movimento Federalista Europeo offre agli Italiani La formazione entro il 1978 di un esecutivo europeo collegato con il Pari suoi servigi. Da più di trent'anni il M.F.E. e alla testa della lotta per l'Europa; e per dimostrare con i fatti lamento europeo. e capace di aglre, per tradurre in pratica il verdetto dei che I'Europa non e un interesse di parte ma I'interesse di tutti, non ha mai partecipato alle elezioni corpo elettorale. politiche. Per la stessa ragione non parteciperà nemmeno all'elezione europea. Il M.F.E. può dunque costituire 11 tramite mediante il quale i cittadini di tutte le parti democratiche La creazione entro i1 1978 di una moneta europea, per sbarrare la strada possono chiedere al proprio partito, o al partito per il quale votano, di inserire nel loro programma al ritorno del nazionalismo economico e consentire una giusta e efflcace un testo europeo la moneta europea e I'esecutivo europeo. A questo scopo il M.F.E. ha p-posto che è a disposizione di tutti i cittadini. Offrendo agli Italiani la possibilità di intervenire direttamente nel politica sociale. regionale, agricola e industriale della Comunita europea orocesso di formazione del Droaramma eurooeo dei oartiti. il M.F.E. ha fatto il orirno oasso. Il secondo passo. la vigilanza sulla formazione'di questi programmi, con la possibilità di far L'adozione di posizioni europee sui principali problemi di politica estera pesare, anche durante la campagna elettorale europea la minaccia della pubblica denuncia dei partiti per restituire l'indipendenza all'Europa e garantire il suo contributo alla che non inserissero nei loro programmi la moneta europea e I'esecutivo europeo, potrà essere distensione e alla libertà di tutti i popoli. c o m' ~ i u t asolo se un grande numero di cittadini sosterra l'azione del M.F.E. L'Europa è la vla della ragione. In questa ora grave, nella quale la ragione sembra di nuovo travolta, il M.F.E. esorta gli Italiani ad avere fiducia nella rag@% SAREBBE UN INGANNO SENZA COPIE DI QUESTO TESTO DA INVIARE Al PARTITI POSSONO ESSERE RICHIESTEAL MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO Movimento Federalista Europeo Sezione Italiana dell'unione Europea dei Federalisti 20135 Milano via San Rocco 20 tel. (02) 573246 Questa pagina e pubblicata nell'interesse degli Europei che vogliono l'unità dell'Europa. Essi sono circa 1'80%. ma non hanno mai avuto sinora, e non avranno fino all'elezione europea, il potere di stabilire l'indirizzo della politica europea.