Pubblicazione trimestrale del Servizio Volontario internazionale - Anno XXII - Aprile 2008 - Sped. in abb. post.art. 20/c. - L. 662/96 - Fil. di Brescia Autorizz. del Tribunale di Brescia n° 64/89 del 12/02/1989 In caso di mancata consegna rinviare all’UFFICIO POSTALE DI BRESCIA CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa. Servizio Volontario Internazionale Meticciarsi con l’uomo esserci 02 Volontario, agente del cambiamento? Forme dell’informale Decostruire per costruire La lezione del ladro esserci 03 Editoriale Meticciarsi con l’uomo PROGETTI 04 Intervista Volontario, agente del cambiamento? 05 Attualità Il Kenya sull’orlo del caos 06 I progetti 06 Venezuela – Lavoro comunitario 07 Venezuela – Denaro in mano al povero... 08 Burundi – Nuovi ambiti d’impegno 09 Burundi – Dal controllo all’autonomia 10 Burundi – Aiutare senza intrometterci 11 Dossier 11 Forme dell’informale 15 News 1. Assemblea SVI 2. Appuntamenti primaverili 3. Volontari on the air 4. Riceviamo e segnaliamo 16 Dai volontari 16 Perù – Nuove prospettive per il Perù 18 Diritti umani Pena di morte nel XXI secolo? 19 Antropologia Decostruire per costruire 20 Globalizzazione Il rischio di una crisi alimentare 21 Ecologia 21 Il valore della biodiversità Case su case (Caracas – Venezuela) 22 Voci d’Oriente 22 La lezione del ladro 23 Suggestioni Unza Unza Time Bilal Gatto nero, gatto bianco www.grist.org 24 Familiarità In copertina Costruendo il futuro (Gitega – Burundi) Esserci a cura del Servizio Volontario Internazionale S.V.I. V.le Venezia, 116 25123 Brescia tel. 030 3367915 fax 030 3361763 http://www.svibrescia.it email: [email protected] 2 Gruppo di redazione Direttore responsabile: Claudio Donneschi; Coordinamento di redazione: Sandro De Toni; Progetti: volontari e commissione Venezuela, volontari e commissione Burundi; Dossier: Aldo Ungari; Dai volontari: area progetti; Diritti Umani: Federico Bonzi; Antropologia Culturale: Lia Guerrini; Globalizzazione: Gabriele Smussi; Ecologia: Gabriele Scalmana; Voci dall’Oriente: Rosario Manisera; Recensioni: Lia Guerrini (cd), Federico Bonzi (libri), Caterina Pedrana (film), Enrico Donelli (web) – Editing: Federico Bonzi, Lia Guerrini, Caterina Pedrana, Claudia Pisano, Terry Rizzini. Realizzazione grafica: Arianna Caldera (impaginazione), Valentina Botturi, Alessandro Cucinelli, Elena Viscardi (progetto grafico), ddt (imaging). Tipografia: GAM - Rudiano (Bs) Come collaborare: CCP: 10236255 CC bancario n° 000000504030 Banca Etica - filiale di Brescia IBAN: IT02L0501811200000000504030 EDITORALE METICCIARSI CON L’UOMO Lo SVI è un organismo che si propone di aiutare le comunità più deboli dei paesi poveri inviando volontari. Essi prestano servizio per almeno tre anni. Non si tratta di aiuti ad emergenze, ma di interventi di accompagnamento di un cammino. Ciò che essi offrono è innanzitutto la disponibilità essere presenti: Esserci! Come il nome di questo giornale. Sostenere il lavoro dei nostri volontari, adottare un volontario, equivale ad adottare non solo un bambino abbandonato o una famiglia in difficoltà, ma un’intera comunità povera. Infatti i volontari SVI lavorano per aiutare comunità o piccole organizzazioni in processi autopromotivi. Per questo chiediamo ai nostri lettori una mano e in questo particolare periodo ricordiamo la firma per il 5 per mille sulla dichiarazione dei redditi a favore dello SVI (codice fiscale 80012670172). Si potrebbero dire molte cose su questo tipo di lavoro. Ma non è possibile raccontare in poche righe che cosa fa un volontario SVI, anche se la lettura di queste pagine potrà contribuire a farsene un’idea e a capirne lo spirito, le aspirazioni, i temi che lo preoccupano. Possiamo però qui tentare di esprimere il “cuore” del suo lavoro. Il cuore è quello di una persona che crede in un mondo migliore; ma non in modo teorico: vi scommette la sua vita, incominciando dal servizio sul campo e continuando poi al ritorno nella realtà che lo ha visto crescere. Chi gli è vicino scopre che la sua speranza rappresenta già di per sé la proiezione di un futuro per cui val la pena di impegnarsi. Trasmette la sua passione sottostimando le difficoltà non per sciocca incoscienza ma perché il cambiamento si realizza solo se non esiti ad incominciarlo. Parte con una carica ideale ma ben presto la sostituisce con quella che gli deriva dall’essere a contatto con persone che hanno un nome e un cognome, una storia ben precisa, difficoltà concrete e voglia di uscirne. Non va ad insegnare ma ad imparare, perché se anche il suo compito è fornire competenza specifica, non smette mai di prendere lezioni da chi non ci si aspetterebbe potesse dargliene. Talvolta si sente frustrato perché non vede l’esito atteso del proprio lavoro. Ma se ha avuto la pazienza di non imporre all’albero i frutti che non era ancora pronto a dare, il raccolto lo farà chi viene dopo, spesso dopo molto tempo. Perché in realtà nulla va perso. Nemmeno per la sua famiglia che lo vede partire e teme di perderlo. Perché ciò che lui dà gli viene reso decuplicato; e l’abbondanza ricade su chi gli è stato vicino. In un mondo ricco di problemi e di personalità prodighe nel promettere tutto in cambio di una delega a gestire il potere, in un mondo disposto a versare sangue pur di difendere bandiere, confini, schieramenti, specificità culturali e religiose, i volontari portano la loro testimonianza semplice ma luminosa, di chi rinuncia ad una parte della propria vita, compresa una quota della propria identità, per mescolarsi e meticciarsi con l’uomo sofferente, marginale e dimenticato, per tornare poi qui a ricordarci ciò che conta veramente su questa terra. “[Il volontario] parte con una carica ideale ma ben presto la sostituisce con quella che gli deriva dall’essere a contatto con persone che hanno un nome e un cognome”. Mario Piazza 3 INTERVISTA VOLONTARIO, AGENTE DEL CAMBIAMENTO? non solo animativi, ma anche tecnici (esperti in agronomia, cooperativismo, salute di base, ecc.)? L’invio di volontari tecnici, per noi risulta essere essenziale per una buona riuscita del progetto. La passione e l’animazione possono essere fattori 1. Quali erano le vostre motivazio- che aiutano nel relazionarsi con il conni alla partenza? E durante il servi- testo locale. Il fatto è che le competenzio? Che cosa vi ha indotti a restare ze tecniche in una società contadina non sono indispensabili, ma aiutano. per 9 anni in Perù? Soprattutto l’esperienza di chi era rientrato da contesti di paesi poveri. La 4. Quale potrebbe essere il ruolo mentalità di queste persone era molto giocato dalle commissioni SVI nelelastica: c’era disponibilità al confron- l’accompagnamento dei progetti? to. Noi cercavamo un’esperienza che, Riteniamo necessario dare maggiore in prospettiva di avere figli, arricchis- potere alle commissioni. Il fatto di esse il nostro rapporto e garantisse loro sere organo consultivo impoverisce il gruppo. Possono tornare ad avere una vista più aperta sul mondo. Pensavamo che un’esperienza in un un ruolo maggiore, se si dà loro un contesto di diversità, di accoglienza e minimo di responsabilità. Importante può essere il lavoro fatto sul territorio, aiuto potesse garantire tutto ciò. Durante l’esperienza l’impegno quoti- valorizzando le reti di relazioni delle diano e il fatto di portare avanti i pro- persone presenti nel gruppo; positive getti, crescendo a fianco della gente, sicuramente le azioni di autofinanzial’armonia con la filosofia della popola- mento. Queste iniziative fanno da trait zione locale ti integrano nel contesto d’union con il territorio, informando e sensibilizzando. e ti incentivano a proseguire. Le commissioni possono giocare an2. Nella vostra esperienza, il corso che un ruolo importante di ponte tra ha costituito una buona base di pre- il progetto e l’Italia, ad esempio stanparazione per il vostro servizio? Lo do vicino ai volontari; spesso chi è via è abbandonato a se stesso. Tenere i si potrebbe migliorare? Come? Il corso è interessante, ma teorico. contatti e curare le relazioni coi volonDopo esser stati sul campo, mi ha dato tari, dando supporto emotivo, stimola l’impressione di essere superficiale. molto chi è via. Servirebbe uno stage, un’esperienza Certo, purtroppo talvolta le commissul campo: quando sei la, la realtà si sioni sono state usate da qualcuno per presenta differente rispetto a come farsi un viaggetto. ti è stata presentata al corso. Questo può creare difficoltà nei volonta- 5. Quali risultati avete ottenuto ri appena giunti sul posto. Di sicuro con la vostra presenza? Ne siete un’esperienza previa di convivenza soddisfatti? con persone di culture differenti sa- Difficile riassumere anni di lavoro in rebbe utile. Specie nelle prime fasi del cosi poco. Di sicuro abbiamo una viservizio l’integrazione nella comunità sione molto più ampia; abbiamo colocale può generare problemi, soprat- nosciuto altre culture, arricchendoci tutto di comunicazione. E calare nel molto. contesto locale modelli di intervento Abbiamo piantato migliaia di piante, presentati al corso può risultare molto migliorando le condizioni di vita della popolazione locale. Importantissimo il impegnativo. fatto di aver creato una cultura agrico3. Come giudicate, a questo pro- la in alcuni ambiti. posito, la preparazione e l’invio nei Gli esiti della nostra azione hanno avuprogetti di volontari con compiti to una certa notorietà, contribuendo a Approfondita e provocatoria intervista a Michela Vergine e Alessandro Simini, volontari SVI a Zurite dal 1998 al 2001 e fino al 2007 all’opera nel pueblo di San Salvador, presso un’altra sede dello IER. Tesi da considerare e discutere. 4 un cambiamento, certo parziale, di alcune comunità locali italiane. 6. Ritenete il volontariato internazionale così come è proposto dallo SVI una forma valida di aiuto allo sviluppo? Secondo voi, come potrebbe svolgere il proprio compito in modo più efficace? Pensiamo che tuttora lo SVI dia la giusta importanza a controparte, partner e beneficiari, specie in merito alla scelta del tipo di volontario adatto per il contesto di intervento. Spesso lo SVI ha una visione troppo centrata del volontario. in alcune realtà servirebbe dialogo e confronto fin dall’inizio, specie su questo tema. La comunità resta il primo agente del cambiamento. 7. Il volontario può davvero servire per lo sviluppo? In che modo è agente dello sviluppo locale? La figura del volontario come catalizzatore del cambiamento è sopravvalutata. Lo stesso ruolo dell’animatore è poco definito, sfuggente. Nei paesi in via di sviluppo, è necessario essere identificabili perché abbia luogo uno scambio. Il mio modo di essere ed il mio pensiero sono mezzo di confronto. Se voglio che l’esperienza di confronto tra me e l’altro sia forte e profonda, devo assumermi la responsabilità della mia identità, anche come agente di cambiamento. Resta il fatto che, a quest’ultimo riguardo, il ruolo strategico è svolto dalla popolazione locale. L’esperienza di servizio noi volontari risulta importante soprattutto come occasione di evoluzione interiore. E per la nostra comunità qui, in Italia, una volta rientrati. Di qui l’importanza di valorizzare l’apporto dei rientrati, a fine servizio. Michela Vergine, Alessandro Simini Intervista raccolta da Andrea Ricca ATTUALITÀ IL KENYA SULL’ORLO DEL CAOS Un paese considerato un’isola di prosperità e di stabilità in un’Africa orientale molto agitata, un paese alleato degli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo internazionale. Nei mesi scorsi c’è stato il rischio che venisse travolto da una spirale di violenza autodistruttrice ed alla fine di gennaio 2008, un mese dopo la rielezione contestata del presidente uscente Mwai Kibaki, si valutava che negli scontri interetnici ci fossero già stati più di mille morti. Scontri a Korogocho durante i disordini (Ph www.korogocho.com) Se la frode elettorale è stata il detonatore della rivolta, le cause sono più profonde, collegate con il modello di sviluppo presente in Kenya e con la persistenza di rivalità interetniche strumentalizzate all’epoca coloniale. (...) Perché negli ultimi anni migliaia di contadini kenioti sono stati costretti a lasciare le campagne e si sono ammassati negli slum di Nairobi? (...) Come mai il Kenya, un tempo capace di sfamare la propria gente, è ora costretto ad importare granoturco, mentre giornalmente voli charter esportano ortaggi all’estero? L’Occidente si è coinvolto nel Kenya interessandosi esclusivamente alle località turistiche, ad investimenti redditizi, alle zone franche dalle quali esportare fiori, ortaggi, tessuti, (...) “La rabbia degli abitanti degli slum e la difficile convivenza fra le varie etnie, incandescente sotto le ceneri della dittatura del presidente Arap Moi, attendeva il momento propizio per la deflagrazione”, affermava il missionario della Consolata P. Antonio Rovelli. (...) La rabbia con la quale i Kalenjin, una federazione di gruppi etnici, hanno saccheggiato e bruciato i beni appartenenti ai Kikuyu, l’etnia del presidente Kibaki, rinvia alle grandi disuguaglianze economiche fra i due gruppi; la rivolta si è anche nutrita delle rivalità fondiarie esacerbate dalla storia. Il colonizzatore britannico, che si appoggiava sui Kikuyu, espulse i Kalenjin dalle terre fertili della vallata del Rift, dove i Kikuyu si erano installati dopo l’indipendenza del 1963. In un paese dalla crescita economica invidiabile (6,1% nel 2006), le disuguaglianze sociali ed economiche si allargano. La maggioranza della popolazione continua a vivere con meno di 2 dollari al giorno, mentre il 10% possiede circa la metà della ricchezza del paese. Gabriele Smussi La versione integrale dell’articolo su www.svibrescia.it 5 PROGETTI LAVORO COMUNITARIO Un sintetico resoconto delle attività condotte nell’ambito del progetto SVI in Venezuela, polo di San Felix. L’impegno con gruppi di base fa da padrone. In tutti i gruppi di salute avviati sono state trasmesse nozioni di igiene e prevenzione sanitaria di base, acquisite a diversi livelli dalle partecipanti: da alcune come informazione personale per migliorare il proprio stile di vita, da altre come conoscenza da praticare e trasmettere ad altre donne. Sono stati realizzati corsi di primo soccorso, salute integrale e medicina naturale. Quanto al lavoro produttivo e alla microimpresa, sono stati realizzati laboratori artigianali (cucina, cucito, ecc.). I formatori appartengono ai gruppi di salute e ad un gruppo di organizzazione comunitaria. I gruppi nati dai corsi si stanno organizzando con attività produttive. Si svolgono anche attività di motivazione al la- voro cooperativo attraverso video di esperienze di altri gruppi, corsi di comunicazione, contabilità e momenti di valutazione e pianificazione. Sono stati anche organizzati viaggi di scambio e studio in altre parti del Paese per la conoscenza di esperienze di altri gruppi. Riguardo al lavoro comunitario si è affiancato un gruppo che si sta occupando delle problematiche della realtà giovanile del proprio quartiere. Si accompagna anche un gruppo di quartiere per la presentazione di progetti alle istituzioni locali e per la promozione dell’organizzazione del consejo comunal (comitato) di quartiere. A favore degli operatori coinvolti nel lavoro con i bambini di strada sono SVI - Area progetti AREA PROGETTO AREA MICRO Dove San Felix – Ciudad Guayana – Venezuela Micro 1 – Obiettivo casa comunitaria Obiettivo Al termine dell’azione nell’area dell’intervento esisteranno gruppi di salute, gruppi di microimpresa e gruppi di quartiere e una rete in grado di collegare i gruppi tra loro e con altre realtà istituzionali e informali. Azione • Creare gruppi per la soluzione partecipata dei problemi comunitari • Formare gruppi alla microimpresa e a stili di vita salutari • Appoggiare le associazioni locali che operano in ambito sociale (bambini di strada, gravidanze precoci, denutrizione infantile, bambini e giovani lavoratori) • Creare connessioni tra gruppi, associazioni e istituzioni locali I Volontari Laura Crawford e Massimo Ginammi, con i piccoli Sara e Mattia Pietro, Marina Moreni e Mario De Carolis con il piccolo Giulio MariaHenrique. 6 stati realizzati vari corsi di formazione. Tre partecipanti si sono iscritti ad un corso universitario specifico per operatori di strada; tutta l’equipe parteciperà a seminari promossi dalla stessa università. La rete delle organizzazioni sociali promossa negli ultimi anni si caratterizza per legami solidi di collaborazione reciproca. Vengono realizzate attività nei quartieri in collaborazione tra diverse organizzazioni della rete. Inoltre si sta svolgendo un’attività di ricerca–azione partecipata in 5 quartieri per individuare possibili ambiti di intervento futuro. Attualmente ne è stata conclusa la prima fase conoscitiva. Acquisto di semplici arredi per ufficio e attrezzature per cucina € 2.000 Micro 2 – Obiettivo microimpresa 1 viaggio di scambio con esperienze di cooperativismo similari € 1.000 1 corso di ricerca fondi € 500 1 corso sulla leadership per promotori comunitari € 500 Totale corsi ambito “sociale” € 2.000 Micro 3 – Obiettivo salute sessuale e riproduttiva 4 corsi per la salute sessuale e riproduttiva 3 corsi per la salute della madre e del neonato 3 corsi per la prevenzione comunitaria dei problemi sanitari Totale corsi ambito “salute” € 600 € 450 € 450 € 1.500 INTERVISTA DENARO IN MANO AL POVERO… “Questa frase è la risposta con cui spesso le persone rifiutano di assumersi la responsabilità di conservare i soldi raccolti in gruppo, siano anche 5000 bolivares (meno di 2 euro). Oppure spiegano appunto perché sono spariti soldi affidati a qualcuno”, raccontano Laura Crawford e Massimo Ginammi da San Felix, Venezuela. Al povero i pochi soldi che riesce a raccogliere scivolano via per gli imprevisti, per le spese improvvise e necessarie (problemi di salute o morte di un familiare, si rompono le venerande scarpe del bambino, già portate da tre fratelli…). Però anche qui, dove i quattrini scarseggiano, c’è il legittimo desiderio di comprarsi ogni tanto qualcosa che vada al di là del pane quotidiano. La difficoltà sta proprio nel risparmiare. E così si ricorre alla creatività, alla fortuna e al credito; e in questo caso chi ci guadagna è sempre chi vende; e i poveri sono sfruttati ancora di più. Mi spiegano che comprare a credito è una forma di risparmio: se non avessi queste rate da pagare, mai raccoglierei tutti i soldi necessari per comprare in una volta sola l’articolo prescelto. E noi che cosa abbiamo a che fare con questa storia di soldi? Con un nuovo gruppo che stiamo accompagnando abbiamo pensato di partire da qui. Il gruppo è nato con il corso di taglio e cucito; e adesso che le signore cominciano a diventare bravine, nel gruppo si sta pensando di dare vita a un business. Per le esperienze passate però stiamo cercando di rispettare i tempi necessari: prima di tutto il gruppo deve diventare tale; e poi deve diventare capace di produrre e vendere qualcosa. La ricerca di un finanziamento sarebbe facile, ma i soldi arriverebbero troppo presto a donne che dal punto di vista lavorativo non si conoscono. Così è nata la proposta di cominciare a lavorare per risparmiare in modo cooperativo. Si apre un libretto bancario con un apporto minimo delle dodici partecipanti (10.000 bolivares, circa 4 euro); e poi tutte le settimane il gruppo fa un’attività di autofinanziamento nell’ambito del quale tutte lavorano insieme o si distribuiscono responsabilità. Tutto il ricavato va nel libretto. L’obiettivo è raccogliere in 6 mesi 6 milioni di bs, circa 500.000 a partecipante. I soldi serviranno alla maggior parte delle donne per l’acquisto di una macchina per cucire; chi già la possiede potrà pensare a un altro acquisto utile per l’attività imprenditoriale, magari una taglia-cuci da mettere a disposizione per il gruppo. Per ora le donne hanno iniziato a fare hallacas – fagot- tini in farina di mais ripieni di carne, NdR - da vendere; ma è presto per dire come va. Alcune si danno da fare; altre vanno più a traino e, se possono, si defilano. Magari il gruppo non arriverà alla meta; però intanto le partecipanti impareranno a conoscersi e si eserciteranno ad avere una piccola attività di produzione e vendita. Nel laboratorio forse sorgeranno conflitti e difficoltà; ma ci sarà il tempo per affrontarli… Vada come vada, alla fine si potrà parlare con più cognizione di causa di fondare una cooperativa di taglio e cucito. E se fallisce tutto, poco male: sarà più bassa la quota raccolta; e tutti avremo imparato qualcosa. Senza dover rendere conto a nessuna istituzione. Nel frattempo, due pomeriggi alla settimana, con le nostre macchine da cucire, noi e le formatrici siamo a disposizione nella casa di una donna del gruppo per fare pratica e realizzare i primi capi d’abbigliamento. A breve una sfilata e vendita dei vari capi… Entusiasmo e costanza. Vedremo. Laura Crawford e Massimo Ginammi Madre venezuelana (ph M.G. Cassa) 7 NUOVI AMBITI DI IMPEGNO PER OICEO PROGETTI Continua il sostegno dello SVI a favore dell’associazione, impegnata nell’assistenza agli orfani di guerra nella cittadina burundese. L’attività che l’OICEO conduce con lo SVI è sempre legata alla scolarizzazione degli orfani più poveri di Gitega e provincia. Nell’anno 2007/2008 i bambini che hanno usufruito di tale assistenza, sono 2173. no le tecniche del cucito, con ottimi risultati. L’obiettivo di questa attività è di formare professionalmente questi ragazzi/e per permettere loro in un prossimo futuro, la possibilità di un minimo di autonomia. OICEO / FAS (Fondo di Assistenza Solidale) Nel 2004 il progetto ha iniziato a concretizzare questa forma di microcredito sull’esempio di Muhammad Yunus (il banchiere dei poveri, premio NOBEL per l’economia). Si è ormai giunti alla fase operativa, definendo un regolamento di ordine interno; e, dal 2004 ad oggi, sono stati concessi molti prestiti alle famiglie affidatarie dei bambini e alle Associazioni, per l’acquisto di terreni agricoli e piccole attività generatrici di reddito. Notevole l’impegno da parte delle famiglie e delle associazioni che hanno ottenuto il prestito, a estinguere il debito in breve tempo. Nell’anno 2007/2008, nonostante la situazione precaria, alcune famiglie sono prossime all’autonomia. Polo Ntobwe Il continuo rimpatrio dei rifugiati comporta conflitti di proprietà e non solo. È molto aumentato il numero dei bambini/ragazzi di strada, con le conseguenze che ne derivano. Per questa dolorosa situazione, l’OICEO sta costruendo a Ntobwe, uno dei più grandi quartieri di Gitega, un centro per accogliere bambini e ragazzi di strada. L’obiettivo è di aiutare queste persone a crescere in modo migliore, grazie alle possibilità di educazione e formazione che il centro potrà fornire. Il centro si avvarrà anche di una sala polivalente a disposizione di tutto il quartiere per: doposcuola, incontri di formazione e informazione, attraverso documentari e film inerenti all’educazione socio-sanitaria. Il centro sarà fornito anche di una piccola biblioteca. Milly Gussago Il nascente centro di accoglienza per bambini di strada a Gitega (Burundi) Polo Anyabututsi Continua l’accompagnamento al gruppo di ragazzi/e che apprendo- Costo di 1 lotto € 900 Si punta a favorire il maggior Micro 1 - Obiettivo sostegno agli ornumero di famiglie possibile. fani Dove: Gitega – Burundi Gli orfani seguiti da OICEO potranno Micro 3 - Obiettivo centro frequentare la scuola. Obiettivo per bambini di strada 4700 orfani della guerra e dell’AIDS potranno frequentare le scuole e 170 1 anno di scuola per 1 bambino or- Esisterà un edificio per ospitare € 50 il servizio. saranno inseriti in famiglie ospitanti. fano Esisterà un centro di accoglienza per Costo di 10 mattoni €8 Micro 2 - Obiettivo terreni per i bambini di strada. Costo di una porta e 1 fi nestra € 50 rifugiati Famiglie di rifugiati rientrati avranno Azione Sostenere finanziariamente le attivi- un terreno su cui edificare una casa di proprietà. tà dell’ass. OICEO AREA PROGETTO - Gitega 8 AREA MICRO - Gitega PROGETTI DAL CONTROLLO ALL’AUTONOMIA Tania Tagliaferro, volontaria rientrata da Mivo lo scorso maggio, in questo stralcio tratto dalla sua relazione di fine servizio, spiega l’approccio metodologico adottato con i batwa coinvolti nel progetto. I batwa sono circa l’1% della popolazione del Burundi. Comunità nomadi, AREA PROGETTO - Mivo di cacciatori e costruttori di vasi in argilla, un tempo vivevano nelle foreDove: Mivo - Burundi ste e si nutrivano di caccia e dei frutti che la foresta offriva loro. Il loro stesso Obiettivo habitat li escludeva fin dal principio 235 famiglie batwa saranno dalla società burundese. Ancor oggi inserite nella locale comunità “mutwa” è sinonimo di “ladro”, “emarginato”, “incapace”. barundi Questa loro vita marginale e e il loro stanziamento in appezzamenti di terAzioni reni sparsi a seguito della distruzione • Garantire alle famiglie batwa delle foreste si sono espressi nel temterra e case po in problemi non indifferenti: bam• Formarle all’agricoltura bini non scolarizzati; assenza di iscri• Realizzare eventi di aggregazione zione all’anagrafe per buona parte tra batwa e barundi della popolazione; mancanza di terre, scarse competenze agricole, cultura del nomadismo; poligamia, vietata I Volontari Marco Bazzoli – Francesca Belotti e dallo stato burundese; pratica della medicina tradizionale e impossibilità Damiano Rossi di accedere alle strutture sanitarie statali per mancanza di soldi; tendenza a AREA MICRO - Mivo preoccuparsi dell’oggi senza pensare al domani. Tutto ciò rende il lavoro con i batwa Micro 1 - Obiettivo Cartà d’idenimpegnativo e complesso. tità Durante una prima fase del progetto Tutte le donne batwa del progetto SVI, durata fino a ottobre 2006, la noavranno la carta d’identità per acce- stra metodologia era di controllo e redere all’acquisto della carte d’assu- golamentazione da parte nostra. Querance maladie che copre per l’80% sto approccio ha fatto sì che animatori le spese mediche per i “vulnerabili”. e batwa svolgessero quanto previsto, ma ha forzato la mano: troppo stress Costo complessivo € 400 per i volontari e scarso profitto per i destinatari, che si sentivano obbligati a svolgere compiti assegnati da altri. Questo ci è stato però utile per capiMicro 2 - Obiettivo mattoni pressati Saranno acquistate due macchine per mattoni pressati (più resistenti e duraturi dei precedenti) e formate al loro utilizzo una o più équipe batwa. Costo complessivo re che il progetto poteva avere esito positivo: se i batwa avessero coltivato le loro proprietà, ne avrebbero tratto guadagno; se gli animatori avessero svolto i loro compiti, avrebbero aiutato i batwa nell’integrazione. Dal gennaio 2007 abbiamo applicato un metodo diverso: lavora chi lo desidera; i volontari sono presenti per dare opportunità di miglioramento a chi vuole approfittarne: microcredito per i campi o doposcuola e prescuola per chi vuole istruirsi. Il lavoro, così impostato, per noi è più leggero e i risultati più consolidati, perché ritenuti importanti dagli stessi batwa. Sono loro, se vogliono davvero coltivare, a presentarsi per chiedere il microcredito, perché sanno che dovranno restituire il prestito per accedervi di nuovo. È necessario continuare con questa metodologia per dare un’opportunità a chi lo desidera. La formazione di 14 associazioni batwa (una per villaggio) è stato il primo passo verso l’autonomia dai bianchi e dallo SVI. Un ottimo aiuto ai batwa è anche il collegamento con altre associazioni, enti o ONG presenti a Ngozi per la ricerca di fondi per il settore agricolo, educativo, sanitario. Rimane focale l’insistenza con i genitori sull’importanza dell’istruzione per adulti e per i più piccoli, così da garantire sempre più l’eguaglianza sociale. Tania Tagliaferro € 1000 “Rimane focale l’insistenza con i genitori sull’importanza dell’istruzione per adulti e per i più piccoli”. 9 PROGETTI AIUTARE SENZA INTROMETTERCI “Da quanto abbiamo potuto vedere in questo breve lasso di tempo, il progetto, da un anno a questa parte, ha preso la piega giusta, e cominciano a vedersi i primi, attesi, risultati”, scrivono Francesca Belotti e Damiano Rossi da Mivo (Burundi). Nonostante i primi esiti positivi dell’azione intrapresa con i batwa, non bisogna fermarsi a questi piccoli, seppur significativi, passi avanti, perché ci vuole sempre costanza e pazienza. Costanza perché i batwa, come pure gli animatori, hanno ancora bisogno di una mano ferma che li guidi verso la giusta direzione, e in questo senso, noi stiamo cercando di proseguire il lavoro ben impostato da Tania, Gabriele e Marco in questi anni. Pazienza perché raggiungere l’ambìto obbiettivo dell’integrazione e dell’autosviluppo non è una cosa veloce. I ritmi sono lenti, non paragonabili a quelli a cui siamo abituati noi occidentali. I risultati, secondo noi, si otterranno solo con una presenza duratura nel tempo, e con un supporto (economico e “psicologico”) che dovrà scemare progressivamente. È chiaro che il processo che condurrà i batwa ad una loro indipendenza non sarà, in un primo momento, esente dal nostro intervento, dalla nostra presenza, dal nostro esserci. Ma stiamo cercando di toglierci il più possibile, lasciando a loro la scelta. Dopo tutto, questa è la filosofia insegnataci al corso. Dobbiamo essere uomini di confine. Aiutare senza intrometterci, sostenere senza creare dipendenza, rispettare e farci rispettare. Il problema più grosso, l’ostacolo più difficile è che siamo i soli, adesso come sempre, gli unici che promuovono questo tipo di cooperazione. Sono abituati a ricevere senza dover fare niente in cambio. E questo li ha portati a sedersi e domandare. Hanno perso, negli anni, la loro dignità. E noi siamo gli unici che stanno cercando di fargliela ritrovare. Ma questo è un problema che tutti conosciamo fin troppo bene e che, purtroppo, non si limita al Burundi, né alla sola Africa. Questo perpetuo bisogno di aiuto non li porterà da nessuna parte, ma è una mentalità difficile da cambiare. Forse non spetta neanche a noi cercare di modificarla, sta a loro rimboccarsi le maniche per cambiare la propria esistenza. Noi siamo qui per dare loro una possibilità in più, una scelta che forse non hanno mai avuto. Il nostro ruolo all’interno del progetto non è ancora ben definito, per via della breve permanenza, quindi seguiamo Marco, che si è improvvisato maestro per spiegarci tutto al meglio. Abbiamo già visitato quasi tutti i villaggi, le parcelles adiacenti ed abbiamo assistito alla nascita di alcuni vitelli. Purtroppo le ultime piogge, molto abbondanti, hanno inondato parecchi campi; e alcuni raccolti sono stati rovinati. Ma anche questo è, per i batwa, un insegnamento. Speriamo che l’anno prossimo torni utile quest’esperienza. Adesso ci attende il corso di kirundi, che ci darà una marcia in più per il contatto con la gente. Ci siamo già resi conto dell’importanza del dialogo, della comunicazione, oltre che con gli animatori, indispensabili intermediari, anche con il resto della popolazione. Sarà una soddisfazione riuscire a comunicare in una lingua così ricca, così interessante. Ci auguriamo di impararlo al meglio! Ni agasaga Francesca Belotti e Damiano Rossi Casetta batwa con copertura in paglia. 10 DOSSIER FORME DELL’INFORMALE Molti sono i modi non istituzionalizzati tramite i quali si organizza la vita sociale in contesti fluidi quali le baraccopoli delle grandi città del sud del mondo. A. Ungari ne presenta le principali caratteristiche in questo dossier che descrive l’informale a Korogocho, noto slum di Nairobi, Kenya. Le informazioni presentate nell’articolo derivano da un’intervista dell’autore a Gino Filippini, da 12 anni attivo nella baraccopoli. Korogocho, Kenya: cure... parentali [ph www.korogocho.org] Premessa: per documentarsi Il fenomeno che ha generato e perpetuato Korogocho e tutti gli altri quartieri di baracche di Nairobi, di molte altre città sparse nel mondo è l’urbanizzazione, un’urbanizzazione senza regole. Si tratta di un un processo inarrestabile in tutto il mondo; e può essere positivo. Ha valenza negativa quando si verifica in assenza di regole. Questa determina una concentrazione eccessiva di persone in spazi molto ristretti e quindi provoca sovraffollamento, promiscuità e precarietà. La biografia sull’argomento è molto vasta. Richiamo qui solo un libro recente: Il pianeta degli slum di M. Davis, edito da Feltrinelli. Se ne può leggere un estratto in www.feltrinellieditore.it. A questo libro fa ampio riferimento anche padre Paolo La Torre, missionario comboniano che vive a Korogocho, nel suo interessante articolo: Quale vita per gli slum? reperibile sul sito http://www.korogocho.org/. La conoscenza dei meccanismi macroeconomici e macrosociali caratterizzanti gli slum è importante per capire in quale contesto vivano miliardi di persone. In questa ottica mi permetto di suggerire anche l’articolo di p. D. Moschetti, altro korogo- chano doc, Il Vangelo in discarica, su Nigrizia [novembre 2007, p. 51]. Avvertenza Le notizie su Korogocho riportate nel dossier sono state raccolte nell’ottobre 2007 da chi scrive con una intervista non registrata a Gino Filippini. I dati, le affermazioni (tranne quelle virgolettate), i commenti, le valutazioni non sono attribuibili a Gino se non con beneficio del dubbio: il testo non gli è stato sottoposto per una verifica. Annotazione L’economia informale è una forma 11 DOSSIER di organizzazione degli scambi che non si manifesta solo nelle baraccopoli, anche se, con un miliardo e più di persone che, su scala mondiale, vivono in slum, proprio in tali contesti essa è dominante. Così descrive il fenomeno S. Latouche [l’articolo è su un sobborgo di Dakar, ma la descrizione è applicabile anche a Nairobi]. “La vita [...] scorre indipendentemente dall’economia ufficiale e dallo stato: si commercia, si scambia, si ricicla, si costruisce, si fanno prestiti e regali, senza la garanzia che essi saranno saldati o ricambiati, ma con la consapevolezza che, attraverso di essi, s’intreccia una rete di riferimento che può funzionare da rete di salvataggio. In una frase: si costruisce una vita completa ma ‘fuori’ dalle logiche del mercato mondiale”. (S. Latouche “L’Africa informale” in Nigrizia, febbraio 2007, pp. 30-31). Insediamento informale Nairobi è una grande e bella città sistemata a circa 1800 m. di altezza su morbide ondulazioni. Non si conosce il numero dei suoi abitanti; la cifra più attendibile è fra i tre e i quattro milioni. Circa la metà di questi è stipata in un cinquantesimo della sua superficie. Korogocho è una delle circa 200 baraccopoli della città. Gino Filippini è l’europeo che da più tempo vive stabilmente nello slum: circa 12 anni. Avendogli chiesto di parlare dell’economia informale che innerva la vita del quartiere, ha tenuto subito a precisare che l’informalità non si riferisce al solo aspetto economico: tutta la vita dello slum è in gran parte informale. “L’insediamento stesso è informale”. Secondo Gino quasi tutto è fuori dal sistema istituzionale: la scuola, le strutture igieniche collettive, i servizi di nettezza urbana, la vigilanza per un minimo di sicurezza, persino i servizi religiosi e le chiese autonome e naturalmente gran parte dell’economia. Tutto il suolo su cui sorge Korogocho è di proprietà pubblica. La gente vi si è insediata in seguito a occupazione dei terreni. Solo alcuni hanno un permesso di proprietà temporanea del terreno. L’autorità pubblica si riserva comunque il diritto alla pianificazione del suolo; quindi può fare allontanare la gente dall’oggi al domani. Fra gli abitanti sono nati nuclei di persone che rivendicano il diritto alla casa; vi è anche un coor- dinamento fra questi gruppi. Il problema della casa è molto complesso, spinoso e delicato e tocca grandi interessi economici. Altri dati che consentono di inquadrare la questione sono i seguenti. 1. La proprietà “dei muri” ( quindi della casa, escluso il suolo) è privata; 2. Una parte degli abitanti vive in “casa propria”; 3. molti vivono in case prese in affitto; le case affittate possono essere di proprietà di persone che pure vivono a Korogocho o di persone facoltose ( fra cui non mancano politici e funzionari) che hanno investito nell’acquisto di proprietà nello slum ma risiedono altrove. Tutto il sistema delle affittanze è informale ma assai rigido. Il padrone ha mezzi spicci per farsi pagare o per liberare la casa in caso di mancato pagamento dell’affitto. A Korogocho vi sono 11.550 baracche (i dati sono riportati da F. Floris su Nigrizia novembre 2002) Il 65% dei residenti paga l’affitto; quindi solo il 35% vive in casa di sua proprietà e il 40% dei proprietari di case non vive a Korogocho. Ho chiesto a Gino: “L’insediamento informale tende a formalizzarsi?” Vita di strada [ph www.korogocho.org] 12 Informalità: centro per la cura della casa [ph www.korogocho.org] “Sì, ma con difficoltà enormi”, ha risposto. Un esempio in parte riuscito di formalizzazione, riqualificazione e ripianificazione di uno slum è quello realizzato a Mathare, che conta circa 300.000 abitanti. Di questi circa 30.000, grazie a un intervento complesso e faticoso appoggiato dell’autorità pubblica, hanno avuto una casa nuova; le strade della baraccopoli sono state realizzate con i servizi collettivi essenziali. svolgono un’attività stabile e continuativa e, mentre all’ingresso di Korogocho sono in edifici sufficientemente strutturati, ma mano ci si inoltra nel quartiere, essi sono ospitati in strutture sempre più precarie. L’attività è “quasi” formale perché di norma i commercianti pagano una tassa per la loro attività. Tuttavia una parte delle merci non deriva dal circuito del mercato formale, ma dall’autoproduzione, in particolare se si tratta di beni agricoli. Il commerEconomia informale cio ambulante è più spostato verso Il commercio l’informale e la precarietà; in questo Nella baraccopoli è esercitato sia in caso i commercianti pagano una sede fissa che ambulante. I negozi tassa giornaliera. DOSSIER L’artigianato Anche in questo settore vi è una gradualità di attività: dall’artigiano con un’officina a quello che lavora quando e dove può con una strumentazione ridottissima, anche se con fantasia e ingegno. Gran parte dell’attività è basata sul riciclo: fornelli, pentolame, letti, sedie, utensili di uso domestico, riparazione di biciclette. Sarti, calzolai, barbieri e molti altri “professionisti” esercitano la loro attività lungo la strada principale. I servizi Dal racconto di Gino due emergono nel ricordo di chi scrive: la raccolta dei rifiuti e dei liquami di fogna e i servizi di sicurezza. Gli abitanti di Korogocho non pagano una tassa comunale per la nettezza urbana perché il servizio non esiste. Vi sono gruppi di pulitori che, dietro piccolo compenso, raccolgono i rifiuti porta a porta. Inoltre con bidoni montati su piccoli carretti e secchi svuotano le fosse con gli escrementi poi riversati in corsi d’acqua fuori dal quartiere. Il servizio di sicurezza e di vigilanza viene svolto, a pagamento, da guardiani. Il compenso è di circa 1 dollaro al mese. I gruppi di “vigili notturni” si sono suddivisi il territorio; talvolta ci sono rivalità tra diversi provider del servizio. Forme di servizio sui generis sono costituite dall’attività deprecabile ma non necessariamente illegale della prostituzione, e da attività, criminose, di spaccio di alcol e droga. Ma sotto questo profilo anche le più strutturate economie formali sono ben dotate di operatori. La scuola La scuola informale più importante di Korogocho è la scuola primaria organizzata presso la chiesa di St Jonh, dove per anni ha operato padre Zanotelli e dove ora svolgono la loro azione pastorale altri padri comboniani in stretto collegamento con la parrocchia di Kariobangi. La scuola è frequentata da circa 800 bambini/e. È gestita del tutto al di 13 DOSSIER fuori dal sistema scolastico dello stato kenyano: per questo dal punto di vista giuridico è da considerarsi informale. Tutte le spese, comprese quelle per gli stipendi degli insegnanti, sono a carico di chi organizza e gestisce la scuola. Gli scolari godono ogni giorno anche della mensa. Il livello di insegnamento è migliore di quello della scuola statale. In Kenya, da qualche anno, tutti i bambini hanno diritto di frequentare una scuola. Il numero degli scolari è così aumentato parecchio: spesso le singole classi delle scuole pubbliche contano cinquanta o più alunni. Nella scuola informale di Korogocho il numero di alunni per classe è meno elevato; ciò rende l’insegnamento più efficace. Al termine del ciclo primario gli alunni hanno la possibilità di entrare nel sistema scolastico formale attraverso gli esami “di stato” che sanciscono il conseguimento del diploma. Non di rado i risultati degli alunni della scuola informale sono migliori di quelli raggiunti nelle scuole statali. La discarica e altre attività promosse nello slum Sul lavoro di recupero di materiali vari in discarica su Esserci si è già scritto molto. Così dicasi dell’espe- rienza degli orti, e del piccolo allevamento, seguita dai giovani studenti animati dal prof. Prati e dai suoi colleghi dell’Ist. Pastori di Brescia. Più volte si è pure parlato dei gruppi di lavoro che coinvolgono donne e giovani in una ampia gamma di attività che sono al tempo stesso formative e lavorative. La religione e le chiese informali A Korogocho vi è un pullulare di chiese molto poco strutturate, costituite anche solo da poche centinaia di aderenti. Non si tratta di chiese tradizionali (confessioni anglicana, cattolica, luterana, battista), ma di quelle che ora vengono chiamate “Chiese iniziate da africani” (o chiese africane indipendenti), per lo più nate su iniziativa di un pastore che si proclama tale. Già nel 1997 The Nairobi Networker (un direttorio dei lavoratori cristiani) ne aveva censite molte decine. Al di là di quelle che paiono esperienze improvvisate, va osservato che si tratta di un fenomeno sociologico e religioso molto diffuso. Credo che ci sia qualcosa di vero in quanto afferma l’antropologo Bernardo Bernardi che attribuisce questo proliferare di piccole aggregazioni su base religiosa al desiderio di africanizzare il cristianesi- mo e alla necessità di una continua costruzione delle identità sociali, “... un fenomeno che si coglie al vivo tra le gente minuta e nei mercati, tra gli stessi barboni e vagabondi dei bassifondi cittadini inventori di nuovi simboli e di nuovi linguaggi...” (B. Bernardi, Africa tradizione e modernità, Roma, Carocci 1998, p. 185). Sul ruolo delle parrocchie della chiesa cattolica a Nairobi è illuminante il saggio “Evangelizzare le periferie africane. La speranza cristiana e la città africana” del gesuita G. Whelan, già parroco alla periferia della città, in La civiltà cattolica, 15 settembre 2007 Per chiudere con parole non mie Desidero chiudere queste pagine con una riflessione di padre Paolo che vive da anni a Korogocho. “Se mettere fine all’economia informale e dare agli abitanti di uno slum case più dignitose significa farle entrare nella pazza corsa competitiva della società del consumo, povera di vita, allora questo non è un intervento che auspico per un miliardo e mezzo di persone. Se invece intervenire in uno slum significa comprendere come mai l’informale generi vita, alternative e r-esistenza, e come mai una baracca ospiti più persone di un grattacielo, allora penso che valga la pena spendere tempo e energie [a tale scopo]”(P. Della Torre “Quale vita per gli slum”, op. cit.). Aldo Ungari Shalom [ph www.korogocho.org] 14 1. Assemblea SVI 3. Volontari on the air Importante appuntamento istituzionale per i soci SVI il prossimo 24 aprile. L’assemblea, oltre a discutere il bilancio 2007, eleggerà in nuovo consiglio che avrà l’impegnativo compito di tradurre in pratica le istanze di cambiamento emerse nelle recenti fasi di dibattito interno. Nel frattempo il comitato costituito per predisporre le future linee di indirizzo dell’organismo, da sottoporre all’approvazione dell’assemblea, sta concludendo i lavori. Il dibattito, svoltosi in un clima di confronto franco e sereno, ha dato buoni risultati, almeno in termini di chiarimento delle diverse posizioni presenti all’interno dello SVI. A marzo sono rientrati in Italia Flavia Bianchi e Roberto Ronca, col figlio Francesco, dopo 3 anni di servizio nel progetto SVI di Zurite. Bentornati! Tre visite tecniche di valutazione ai progetti SVI in Perù (febbraio 2008), Venezuela (marzo 2008) e Uganda (aprile 2008) rispettivamente per Federica Nassini e Bruno Jukich, Elena Matteucci e Giacomo Signoroni, Samuele Saleri. 4. SVI ITALIA VITA DELLO SVI Riceviamo e segnaliamo Dal 23 al 25 maggio 2008 a Firenze, Fortezza da Basso si terrà la V edizione di TERRA FUTURA. Mostra convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Nella costruzio2. Appuntamenti primaverili ne di alleanze trasversali per un futuro sostenibile, la sopravvivenza del Tra questi ricordiamo: nostro pianeta. - L’arte si fa pane, prevista per i La manifestazione è promossa e giorni dal 12 al 20 aprile 2008 (do- organizzata da Fondazione Cultumeniche comprese – apertura h rale Responsabilità Etica Onlus per 16,30-19,30), presso la nostra sede, conto del sistema Banca Etica. Fra con la tradizionale esposizione be- appuntamenti culturali, workshop e nefica di antiquariato e moderna- laboratori, la riflessione alla Fortezza riato a favore dei progetti SVI. Info da Basso si concentrerà sulla necessul sito SVI, in home page o presso la sità di prassi quotidiane guidate da un’ottica di condivisione di bisogni segreteria - Tel 030 33 67 915; - Abbiamo Riso per una cosa se- e risorse. “Esistono già esempi di alria… - La campagna nazionale del- leanze: il commercio equo inizia ad la FOCSIV, cui lo SVI aderisce, si terrà interessare le grandi imprese, e sul sabato 3 e domenica 4 maggio versante dei cambiamenti climatici, una rete mondiale informale - fatta 2008. di scienziati, istituzioni internazioPer tutti gli eventi e per collaborare nali, governi locali, imprese – punta info Segreteria SVI - Tel. 030.3367915 da anni all’ecoefficienza”, dice Ugo – Fax. 030.3361763 – web: www.svi- Biggeri, presidente Fondazione Culbrescia.it - email: [email protected]. turale Responsabilità Etica, “e ancora, molti cittadini si interrogano sui consumi e sull’uso dell’energia; i risultati si vedono: le buone pratiche – per esempio nella bioedilizia - si diffondono rapidamente assieme alla consapevolezza sui problemi. Oggi” - continua Biggeri – “si dovrebbero rendere queste alleanze più esplicite ed efficaci, traducendole in richieste politiche che indirizzino più velocemente verso i cambiamenti necessari, disincentivando economicamente i comportamenti insostenibili”. Info: www.terrafutura.it 15 dai VOLONTARI NUOVE PROSPETTIVE PER IL Uno stralcio con i passi più significativi della relazione di Federica Nassini e Bruno Iukich sulla visita di monitoraggio al progetto Perù tenutasi lo scorso gennaio. PERÙ? Entrare nelle comunità per conoscere direttamente i loro problemi [ph Fabio Serenelli] Gli obiettivi della visita che si è svolta nel mese di gennaio erano di effettuare un monitoraggio dell’ultimo anno di attività del progetto co-finanziato dal Ministero degli Esteri Italiano e di cominciare a raccogliere i primi elementi emersi dalla ricerca-azione in corso per il nuovo, possibile progetto. La ricerca si sta svolgendo tra la popolazione di alcune comunità della Pampa di Anta, in luoghi non lontani dalla sede del progetto di Zurite, in questi giorni in fase di chiusura. Gli esiti della ricerca stanno orientando verso una forma di intervento mai sperimentata prima nella zona dallo SVI, al di fuori del centro IER (Instituto de Educación Rural) dove si è lavorato fino a questo momento. Durante la visita abbiamo incontrato Clara Virdis (sociologa italo-peruana che sta collaborando con lo SVI in questa fase di ricognizione) per conoscere quanto 16 ad oggi da lei realizzato. Clara ci ha comunicato che le tre località individuate per la ricerca-azione (S. Martin, Accoracay e Mayohuaylla) sono emerse in seguito a una prima attività realizzata con i genitori di alcune scuole (le cosiddette escuelas de padres). Per individuare le comunità in cui intervenire, Clara e i volontari si sono chiesti: essendo tutte le comunità della zona comunque bisognose, in quali comunità lo SVI vorrebbe lavorare? La preferenza è andata a quelle comunità in cui vi sono leader, si dà già qualche forma di responsabilità e solidarietà, almeno una parte della popolazione è consapevole delle proprie risorse e problemi ed è disposta ad impegnarsi per un lavoro di autosviluppo. Le tre comunità pilota che stiamo conoscendo poco a poco non hanno chiesto l’intervento dello SVI; questo aspetto, che potrebbe sembrare un elemento di intrinseca debolezza in vista di un possibile intervento futuro, va analizzato nel contesto: nessuna comunità che Clara ci informa delle prime difficoltà emerse in fase di indagine: come entrare nelle comunità? Il primo incontro realizzato ad Accoracay, realtà molto povera con elevato tasso di alcolismo, in cui l’80-90% della comunità parla il quechua, è stato effettuato grazie all’accompagnamento sul posto del Sindaco. La prima assemblea si è tenuta grazie alla proposta di attività “pretesto”, che possano interessare in concreto gli abitanti (ad esempio un corso su come migliorare i piccoli allevamenti di animali domestici). Le attività “pretesto” servono a noi per entrare a conoscere una comunità e per consentire a questa di conoscere noi senza la mediazione di complicate presentazioni “alla occidentale”. Per quanto riguarda Mayohuaylla, Clara precisa che, per entrare nella comunità si è scelto il canale costituito da un gruppo di donne che da anni si riunisce regolarmente. La comunità è costituita da circa 100–150 famiglie che praticano l’agricoltura e l’allevamento e che, oltre alla lingua locale, parlano lo spagnolo. Clara considera positivo il lavoro che si riesce a realizzare quando il gruppo di donne è interessato mentre ritiene difficile intervenire in altre situazioni. Concludiamo l’incontro invitando Clara a lavorare - in questa fase - con i gruppi attivi della comunità senza la pretesa di coinvolgere la comunità al completo. Il consiglio è di passare dall’assemblea della comunità solo per la necessaria presentazione e per le prime informazioni generali, ma di lavorare poi con i soli gruppi attivi. Sul fronte dei possibili partner del progetto, a oggi si sono identificati gli organismi con i quali lo SVI potrebbe lavorare. Per quanto abbiamo potuto constatare, si potrebbe collaborare bene con CADEP (centro andino di educazione e promozione), organismo che opera a livello provinciale e insieme al quale si potrebbe instaurare una rete di collaborazioni con altre entità per collegare associazioni che ora stanno operando sul medesimo territorio, ma svincolate le une alle altre. Altro ente con cui sarebbe possibile avviare una proficua collaborazione è FEMCA, la Federazione delle donne contadine, come anche PLAN, un’organizzazione internazionale di sviluppo comunitario centrato sui bambini, di origine spagnola, con sede a Cusco e gestita da personale peruviano. Un’ultima realtà molto interessante è MIDE (Microcredito per lo sviluppo), che elargisce microcrediti per attività produttive a singoli e gruppi dopo una fase di formazione e di studio di mercato. dai VOLONTARI vive isolata può mai richiedere l’intervento di un’ONG straniera di cui non conosce nemmeno l’esistenza! Tutto dipenderà dagli sviluppi futuri, da come gli abitanti, una volta che ci hanno conosciuti, decideranno di agire. Una volta usciti dal contesto IER , l’impressione è che ci siano condizioni ottimali per un lavoro sul territorio della Pampa di Anta, magari con base a Izcuchaca (centro medio - grande, sede del municipio provinciale, con telefono e mezzi pubblici), ma con un contesto di vita rurale, vicino alla popolazione locale. Il progetto potrebbe svilupparsi su due livelli: il lavoro di base con la popolazione delle comunità rurali e il lavoro di rete con associazioni ed enti presenti nella zona. Il modello, molto leggero [pochi volontari con ruolo di animatori, facilitatori, connettori di risorse], potrebbe avere successo grazie alla disponibilità a collaborare di persone di altre ONG con un approccio e una visione molto simili allo stile di animazione che lo SVI persegue. Lavorare sui due livelli permetterebbe ai volontari di entrare nelle comunità e di conoscere direttamente i loro problemi grazie all’aiuto di promotori e traduttori delle associazioni partner. Allo stesso tempo i volontari potrebbero aiutare le ONG partner nella parte organizzativa e fare da ponte tra queste e le realtà di base. L’intervento avrebbe una valenza strategica perché il tessuto degli enti presenti sul territorio potrebbe essere per lo SVI una risorsa da utilizzare uscendo al tempo stesso rafforzato dal processo di messa in rete. Davvero in questo modo si potrebbe impostare un progetto senza la necessità di realizzare e sostenere ingombranti e costose strutture, né di assumere personale dipendente fisso. Un progetto leggero, come più volte chiesto dagli stessi volontari proprio in questi giorni in fase di rientro. Federica Nassini Bruno Iukich Escuela de tejido (Zurite, Perù) 17 DIRITTI UMANI PENA DI MORTE NEL XXI SECOLO? Il provvedimento penale che maggiormente si oppone ai diritti umani è senza dubbio la pena di morte (oltre alla tortura). La recente approvazione della moratoria contro la pena di morte da parte dell’ONU, più che essere salutata come il raggiungimento di un traguardo, dovrebbe essere vista come il punto di partenza in vista della sua abolizione. L’angosciosa precarietà dell’esistenza dalla condanna all’esecuzione, la sofferenza durante quest’ultima: siamo di fronte a due patimenti, psicologico e fisico, che sono in netto disaccordo con la dignità della persona. Ma è soprattutto la decisione di togliere la vita a negare alla radice il diritto alla vita che ogni individuo possiede. Fin dalla nascita: la società deve preservare questo diritto, e non sopprimerlo. La società non può privare della vita l’individuo; ed è discutibile che lo stesso singolo individuo ne abbia facoltà, addirittura in riferimento a se stesso: Locke, nel ’600, avanzava dubbi circa la legittimità del suicidio; il fatto che l’uomo sia in grado di compiere l’atto non implica necessariamente il diritto di compierlo. Sono due i principali argomenti a sostegno della tesi dell’abolizione ai quali i sostenitori della pena capitale non sono in grado di rispondere. In primo luogo la giustizia umana è e resterà sempre fallibile: è pressoché inevitabile il rischio di uccidere un innocente; e la morte è irreversibile. In secondo luogo viene chiamato in causa lo stesso sistema penale: il carattere della pena è punitivo o riabilitativo? Nel primo caso si ammetterebbe che la pena consiste in un rimedio simile all’azione condannata – poniamo un genocidio: perciò uccidere non sarebbe sempre sbagliato, dipenderebbe da chi lo fa e da perché lo fa. Non ci si stupisca poi se un dittatore condanni a morte i suoi oppositori politici nel nome del bene dello stato – e ciò è successo e succede tuttora. Se invece la pena è riabilitativa, la pena capitale non ha più ragion d’essere, dato che un morto non è di nessun beneficio alla società. La pena di morte ha alcuni vantaggi, secondo i suoi sostenitori. Essi ritengono che sia un deterrente alla lotta del crimine. Al contrario è stato dimostrato, in numerosi studi (già Cesare Beccaria lo sosteneva), che è la certezza della pena e non la sua intensità a indurre una diminuzione dei reati. Bisognerà aggiungere, inoltre, che parecchi omicidi vengono commessi a caldo, senza premeditazione, e sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti. Quindi avrebbe senso che lo stato, più che sulla repressione, investisse sull’educazione. E ancor prima dello stato, sarebbe chiamata a intervenire la famiglia, luogo d’educazione per eccellenza. Si presti infine attenzione al lato paradossale della pena di morte: non si tratta di un omicidio che scaturisce dalla passione, ma è un atto premeditato, frutto di un processo razionale. Si ritorna a quanto dicevamo poco fa: uccidere è giusto a volte? L’unica forma di omicidio che mi permetto di conside18 rare legittimo, lasciandone l’attuazione alla coscienza di ciascuno, è quello della difesa personale – caso d’urgenza che non ammette vie d’uscita. Altro effetto paradossale della pena di morte, in questo caso applicata a reati connessi al terrorismo: essa, anziché ridurre il numero di uccisioni, tende ad incrementarli, dando vita a idoli o martiri “per la causa”. Un secondo vantaggio della pena capitale in questi casi sarebbe di evitare che, una volta scarcerato, l’individuo possa ripetere il reato. A questo riguardo l’ergastolo è secondo me alternativa valida alla pena di morte. All’obiezione dei costi che questa forma di detenzione arreca alla società (mantenimento di una persona a vita in condizioni degne), si può rispondere pensando a forme di compensazione da parte dei detenuti (ad esempio forme di lavoro a fine sociale). Non lavori forzati, ma lavori che mirino alla rieducazione, al ritorno in società. La riabilitazione: un faticoso cammino, ma l’unico che ci è permesso in quanto uomini. Federico Bonzi Kalashnikov in Karamoja (Uganda). Contrastare la morte con la morte? ANTROPOLOGIA DECOSTRUIRE PER COSTRUIRE Come avvicinarsi all’Altro attraverso la decostruzione culturale Sia in antropologia che in altri campi si dibatte spesso dell’atteggiamento che un individuo deve avere quando incontra l’Altro. Anche durante il corso di formazione SVI si è discusso su quale sia il modo più corretto per relazionarsi alla popolazione che accoglierà il volontario. Un termine ricorrente quando si tratta dell’argomento è decostruzione, o meglio, decostruzione culturale. In verità bisognerebbe parlare di “auto-decostruzione”: è necessario decostruire ciò che vi è di ostacolo all’incontro con l’Altro nella propria cultura di appartenenza. Decostruzione dei pregiudizi, degli stereotipi, dei luoghi comuni, delle immagini deformanti, delle categorie linguistiche etnocentriche, etc. Il pregiudizio e lo stereotipo nascono per una necessità: definire l’Altro, diverso da noi, attraverso un limite che ci sia familiare. Fissare l’Altro in categorie per noi rassicuranti, che ci permettano di uscire dallo smarrimento e dalla confusione dell’incontro. Da qui la tendenza a raccontare l’Altro dentro il recinto della propria identità culturale. In questo modo tutte le culture sviluppano stereotipi, che hanno la fondamentale funzione di contribuire alla costruzione di identità individuali e collettive. Ospitati e ospitanti dovrebbero sempre partire dal principio della reciprocità, anche nelle forme di vita e nei modi di pensare: ognuno può dare e ricevere qualcosa; solo così sarà possibile “costruire decostruendo”, ovvero costruire una nuova memoria decostruendo la memoria dominante, quella d’origine. La decostruzione della cultura va intesa come capacità di mettersi in discussione, di rivisitare e rivalutare le proprie idee. Si tratta di un processo di revisione, di decentra- mento delle proprie categorie concettuali. Chi è davvero intenzionato a conoscere e capire l’Altro (e allo stesso modo a farsi conoscere e ad essere capito dall’Altro) deve decentrarsi dal proprio punto di vista, imparando a considerare il proprio modo di pensare non come l’unico possibile o l’unico legittimo, ma come uno fra molti. Per decentrarsi occorre accettare i propri limiti e i propri errori, riconoscere di avere bisogno degli altri, essere disponibili all’ascolto e alla collaborazione. Attraverso il confronto con gli altri si possono scoprire nuovi punti di vista. Soprattutto scoprire che - per l’altro - io sono l’altro. Sarebbe, comunque, un grave errore rinunciare (o sarebbe più opportuno dire “provare a rinunciare”) totalmente alla propria cultura. Innanzitutto, perché noi stessi siamo la nostra cultura (e, come qualcu- no ha detto in un film di qualche anno fa, da te stesso non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx). E poi l’incontro non è per nulla facilitato mascherando l’appartenenza alla propria identità. Anche al più minimalista dei viaggiatori è impossibile partire lasciando a casa il proprio bagaglio culturale. L’importante è abbandonare la presunzione di verità della propria cultura, tipica dell’occidente, che tende a considerare diverso - e per questo inferiore - il pensiero dei cosiddetti popoli “primitivi” o dei popoli di paesi appartenenti ad aree non alfabetizzate. Le culture sono ed esistono in quanto ci sono gli uomini che le condividono. Cercare di capire la differenza tra di esse comporta un doppio movimento della mente: è andare verso l’Altro, ma è anche un ritorno verso noi stessi per vedere e capire la propria cultura. Lia Guerrini “Cercare di capire la differenza tra le culture comporta un doppio movimento della mente: è andare verso l’Altro, ma è anche un ritorno verso noi stessi” 19 GLOBALIZZAZIONE IL RISCHIO DI UNA CRISI ALIMENTARE Alla fine di gennaio 2007, quando i messicani hanno protestato contro l’aumento del prezzo delle focacce di mais, molti hanno sorriso. In settembre 2007, quando lo stesso motivo ha spinto le associazioni di consumatori italiane a boicottare per 24 ore l’acquisto di pasta, è prevalso il folklore. Ma in entrambi i casi il movimento di piazza rifletteva una crisi di ben più ampie proporzioni:, evidenziava le difficoltà crescenti che milioni di persone trovano per riuscire ad alimentarsi: carne e cereali sono diventati inaccessibili per i più poveri, sia nella campagne che nelle città. Un problema che riguarda tutti. Il Messico e l’Italia non rappresentano casi isolati; e le sommosse per fame si moltiplicano: Marocco, Uzbekistan, Yemen, Guinea, Mauritania e Senegal sono stati il teatro di manifestazioni direttamente legate all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di prima necessità. “Questo fenomeno inquieta maggiormente i governi rispetto all’aumento del prezzo della benzina”, dichiarava in gennaio 2008 al Forum di Davos il responsabile di un grande organismo internazionale. Mentre l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) cercava di concludere un accordo che liberalizzasse gli scambi dei prodotti agricoli, erano sempre più numerosi i paesi che limitavano l’esportazione di cereali, introducendo contingentamenti o tasse talvolta proibitive. Dopo Argentina ed Ucraina, Russia e Cina (esportatrice di granoturco) hanno adottato politiche restrittive, con l’obiettivo di privilegiare il mercato interno per evitare tensioni sociali. Nel 2007 c’è stata un’esplosione dei prezzi; numerosi fattori ne sono stati responsabili: l’aumento della domanda, la stagnazione dell’offerta e il costo crescente dei trasporti marittimi. Relativamente all’aumento della domanda, l’imborghesimento di brasiliani, cinesi e indiani li ha spinti ad adottare nuovi gusti alimentari. In meno di una generazione il consumo di carne in Cina è passato da 20 a 50 kg pro capite, incidendo direttamente su cereali da foraggio. Se si tiene conto della crescita economica di alcuni paesi emergenti, il fenomeno è destinato a proseguire. Dal lato dell’offerta, in considerazione dei rischi climatici, i raccolti spesso sono stati mediocri se non pessimi per parecchi granai del pianeta (Ucraina, Australia, …) e le giacenze non sono mai state, da trent’anni, così basse. La stessa Europa, che un tempo non sapeva che farsene delle sue scorte, nel 2008 dovrà importare 15 milioni di t. di cereali, un record. L’impennata dei costi del petrolio, poi, provoca un duplice effetto negativo: rincara il costo del trasporto marittimo (che rappresenta ormai un terzo del prezzo dei cereali) e soprattutto rende i biocarburanti sempre più attraenti: zucchero, mais, manioca e oleaginosi vengono distolti dalla loro finalità nutrizionale. “In alcuni 20 paesi africani, l’olio di palma è direttamente indicizzato sul prezzo del petrolio”, dichiarava Josette Sheeran, direttrice del Programma Alimentare Mondiale (PAM). “Il PAM nutre circa 90 milioni di persone rispetto agli 860 milioni che soffrono la fame. L’aumento del prezzo dei cereali ci obbligherà a fare scelte: nutrire 40% in meno o diminuire del 40% le porzioni offerte?”. Ad Haiti i più poveri sono già costretti a nutrirsi con torte d’argilla. Accanto a pressione demografica, crescita economica e riscaldamento climatico si è aggiunto un quarto fattore: l’errore delle politiche. Il rapporto sullo sviluppo pubblicato in ottobre 2007 dalla Banca Mondiale riconosce che per 20 anni i responsabili si sono dimenticati dell’agricoltura: se il 75% della popolazione povera mondiale vive in spazi rurali, soltanto 4% dell’aiuto pubblico è destinato all’agricoltura nei paesi del Sud del mondo. All’alba del XXI secolo l’agricoltura è diventata il principale problema dell’umanità. Gabriele Smussi Raccolto di mais a Mivo (Burundi) ECOLOGIA IL VALORE DELLA BIODIVERSITÀ La salvaguardia della ricchezza biologica è essenziale per la salute della vita presente e futura sulla terra. La terra è popolata da milioni di specie animali e vegetali, una molteplicità naturale a cui si aggiunge quella indotta dall’uomo che, attraverso selezioni e incroci vari, crea nuove razze, aumenta le varietà moltiplicandone i colori, modificandone i sapori e le forme. Oggi però questa magnifica diversità, dono di Dio e frutto dell’evoluzione biologica e dell’operosità umana, è in pericolo a causa dello sfruttamento eccessivo delle risorse che la terra ci offre. La pesca moderna, ad esempio, sta mettendo a rischio la riproduzione nei mari. Individuati da radar aerei, interi banchi di pesci vengono, infatti, catturati dalle navi attraverso l’uso di reti chilometriche che non consentono scampo. Allo stesso modo la distruzione di milioni di ettari di bosco compromette l’esistenza di animali e piante che hanno in essi il loro habitat naturale: è lo sconvolgimento dell’ambiente alpino ad aver determinato la scomparsa del gallo cedrone e del francolino dai nostri monti e la diminuzione delle trote nei fiumi. Le nuove colture, tipiche dell’agricoltura meccanizzata, tendono sempre più a sostituire le varietà tradizionali. Le piccole mele saporitissime, un tempo così frequenti, sono state rimpiazzate dai grossi frutti provenienti dalle coltivazioni intensive, molto più accattivanti sul piano commerciale ma, forse, non altrettanto buoni. L’inquinamento e il massiccio uso di insetticidi e diserbanti, contribuendo a far diminuire in modo drastico gli insetti, i vermi, i batteri del suolo, le piante spontanee, alterano gli ecosistemi, ne riducono drasticamente la possibilità di vita. Ma il danno agli equilibri naturali porta con sé conseguenze estremamente gravi. La scomparsa degli insetti, ad esempio, impedisce l’impollinazione delle piante; e, se le piante non danno più frutti, gli animali non trovano più cibo: si innesca una catena perversa di eventi che possono portare alla desertificazione dei territori. L’umanità verrebbe così privata di una quantità enorme di risorse. Ad esempio non potrebbero più essere utilizzati i principi alimentari e medicamentosi di molte piante, gli animali non potrebbero più essere di compagnia o di aiuto nel lavoro all’uomo, che non potrebbe più neppure usufruire del loro contributo nello studio di nuovi metabolismi o nella ricerca scientifica. I cambiamenti climatici in corso esigono la massima varietà naturale per selezionare le razze adattabili. Infatti se un bosco o un campo coltivato è abitato da molte specie viventi, è probabile che, all’aumentare della temperatura, qualcuna si adatti al secco; al contrario se una sola specie è presente, risulta difficile che proprio quella possa persistere. Per assicurare il grande bene della vita umana quindi dobbiamo mettere attenzione nella protezione di ogni singola forma di vita perché in natura tutto è solidale. Gabriele Scalmana Umano e non umano a confronto (San Felix, Venezuela) 21 VOCI D’ORIENTE LA LEZIONE DEL LADRO La via della virtù, come quella del successo, è sempre in salita sia per il maestro sia per il discepolo: richiede dedizione, abnegazione e sacrificio di sé. Negli ambienti zen viene spesso raccontata, anche in Giappone, un’antica storia cinese. In una città della Cina viveva una famiglia la cui attività esclusiva era il furto. Quando il padre entrava di nascosto nelle case dei ricchi per trafugare denaro e oggetti di valore, portava sempre con sé il figlio insegnandogli così il mestiere di ladro. In questo modo la famiglia aveva ammassato una considerevole ricchezza. Avanti negli anni, il padre pensava che era tempo di ritirarsi dagli affari e che il figlio ereditasse la sua attività: ma il giovane era davvero all’altezza del compito? Decise allora di mettere alla prova la bravura del figlio per verificare se davvero fosse in grado di ereditare l’attività familiare. Un giorno si presentò finalmente l’occasione per testare le competenze del giovane. Insieme al figlio, il padre s’intrufolò di notte in una residenza signorile per la solita attività truffaldina. Dopo essere entrati nel magazzino, separato dalla costruzione principale, il padre ne uscì rapidamente chiudendo a chiave la porta. Mentre si allontanava frettolosamente, cominciò a gridare a gran voce che un ladro s’era introdotto nel magazzino e stava rubando tutti gli averi della casa. Si può immaginare la sorpresa del figlio! I proprietari con tutta la servitù si svegliarono di soprassalto e di corsa si precipitarono in direzione del magazzino. Prontamente, il giovane ladro rimasto intrappolato trovò rifugio in una cesta ampia e profonda che si trovava per caso vicino a lui. Dopo che i proprietari ebbero aperto la porta e furono entrati nel magazzino, il giovane balzò fuori della cesta e si precipitò fuori all’aperto. Interdetti, i servitori non tardarono a riaversi dallo stupore e cominciarono a inseguirlo. Nel buio, il giovane afferrò una grossa pietra e la scaraventò nel pozzo in mezzo al giardino. Appena, poi, vide che i padroni di casa e i servitori s’erano radunati attorno al pozzo, con un balzo superò la siepe che circondava il giardino 22 e ritornò di corsa a casa sua. Lì trovò il padre che, seduto tranquillamente, stava bevendo una fumante tazza di tè. L’anziano genitore rimase ad osservare per un certo tempo il figlio infuriato e poi, invitandolo a calmarsi, gli chiese di narrargli come fosse riuscito a fuggire. Il giovane, allora, gli raccontò per filo e per segno, tutto quello che aveva fatto per sfuggire all’ira dei suoi inseguitori. Visibilmente compiaciuto, il padre si complimentò con lui per il suo comportamento e gli confermò che ormai poteva ritenersi un ladro perfetto! Anche se può sembrare strano, nei monasteri zen spesso la relazione tra maestro e discepolo viene paragonata al rapporto tra questi due ladri. L’addestramento non può avvenire in un clima di indulgenza e condiscendenza. Sono i bravi discepoli a scegliere un maestro severo tanto da provare dopo quasi rancore ed astio nei suoi confronti. I discepoli ordinari, invece, scelgono un maestro gentile e compiacente, mentre i discepoli che non valgono niente scelgono un maestro solo in base alla sua celebrità e popolarità. In Giappone si credeva che i leoni, per addestrare i figli alla dura vita della savana, facessero rotolare i cuccioli per centinaia di metri da un’altura fino in fondo alla valle. È questa l’azione del maestro nei confronti del discepolo: la loro relazione deve essere pressoché di inimicizia. Solo attraverso il tormento e la sofferenza il discepolo apprende la lezione di vita dal maestro. Nel VI secolo S. Benedetto da Norcia raccomandava al maestro dei novizi di porre davanti agli aspiranti monaci tutte le difficoltà immaginabili e di descrivere la vita che li attendeva ancora più irta di ostacoli di quanto fosse in realtà. Siamo, in fondo, al discorso evangelico della potatura degli alberi perché possano produrre più frutti o, seguendo la saggezza popolare tradizionale, alla sferza necessaria per l’educazione dei figli. Chi ama davvero non sta a blandire il discepolo. Risplende l’aratro che è stato sottoposto alla fatica dell’aratura. La luce della virtù rifulge dopo che si è passati attraverso l’oscurità della prova. Rosario Manisera Kyoto, Kinkakuji: la perfezione è frutto di prove e sacrifici (ph R. Manisera). SUGGESTIONI SUGGESTIONI RECENSIONI Burundi guitar. ASCOLTARE UNZA UNZA TIME No Smoking Orchestra Universal 2000 LEGGERE FABRIZIO GATTI Bilal. Il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi Milano Feltrinelli 2007 VEDERE EMIR KUSTURICA Gatto nero, gatto bianco Serbia, Slovenia e Francia 1998 NAVIGARE www. grist. org La No Smoking Orchestra si costituisce nel 1980 a Sarajevo. Nel 1986 il regista Emir Kusturica entra a far parte del gruppo come bassista; nel 1998 la band compone la colonna sonora del film Gatto Nero Gatto Bianco, con il regista questa volta, e definitivamente, alla chitarra. I film di Kusturica sono sempre caotici, rumorosi e colorati. E così è anche questo cd, carico di suoni zingari, ballate gipsy, echi di jazz, rock e country e di richiami alla musica tradizionale di paesi come Spagna, Grecia, Italia, e a quella classica, con riferimenti a Verdi o Vivaldi. Unza Unza Time è un cd fresco, divertente, ma anche profondamente rispettoso delle proprie radici culturali. Un suono moderno e travolgente, con uno sguardo rivolto al passato. Le inchieste da infiltrato del giornalista Fabrizio Gatti sullo sfruttamento criminale del lavoro e sulla sanità hanno fatto il giro del mondo. Per tre volte è stato rinchiuso dietro le sbarre come immigrato: in Svizzera, nel centro di detenzione di via Corelli a Milano e dopo lo sbarco a Lampedusa. Bilal non è un romanzo, ma la cronaca dettagliata della più grande avventura del Terzo Millennio, vissuta in prima persona dall’autore, che ha risalito le rotte degli immigrati africani (Senegal, Mali, Niger,Tunisia,…) sui camion che attraversano il deserto. Un viaggio nell’impero di chi si arricchisce commerciando carne umana, raccontato con un linguaggio teso che avvince il lettore come in un thriller. È un resoconto lucido e spietato, che mette in luce alcuni retroscena poco noti della politica italiana nei confronti dell’immigrazione. Ambientata tra gli zingari slavi [“il solo popolo che non cambia mai e che sfiora quella che noi chiamiamo civiltà senza lasciarsene contaminare” (E. Kusturica)], la storia procede per accumulazione e fa capo a: 1) una coppia di vecchi, amici e ricchi, un boss delle discariche e un industriale del cemento; 2) una coppia di adulti, antagonisti benché complici in affari loschi; 3) un quartetto di giovani che, dopo un grottesco carosello di avventure buffonesche, approdano felicemente a un doppio matrimonio. Finanziato da un pool di reti televisive europee (Italia esclusa), parlato in dialetti gitani, girato in Slovenia e sulle rive del Danubio in Serbia, scritto con Gordan Mihi, il sesto film di Kusturica è un fantastico mondo contraddittorio e onnicomprensivo, travolgente di vitalità, di divertimento, d’intelligenza e d’allegria. L’intreccio, sconnesso e delirante, ispirato comunque ad una storia vera, è ricco di invenzioni comiche e picaresche, pittoreschi ed esagitati personaggi, insolente visionarietà, ritmo trascinante. E una spudorata gioia di fare cinema. La questione ambientale, a mio avviso di estrema urgenza ed importanza, è incredibilmente assente dalle discussioni che animano la campagna elettorale in vista delle elezioni politiche di aprile. Anche negli Stati Uniti è in corso la campagna elettorale per le imminenti elezioni presidenziali; ma sembra che la discussione sull’ambiente sia molto più presente e vivace. L’organizzazione statunitense senza scopo di lucro Grist, con sede a Seattle, attraverso il sito internet http://www.grist.org (in inglese), raccoglie informazioni intorno a numerose questioni ambientali, in modo competente efficace e vivace. Una delle attività a cui è rivolta la loro attenzione in Lia Guerrini Gabriele Smussi Bubamara questo periodo è monitorare la “sensibilità” ecologica dei diversi candidati alla presidenza, raccogliendo in maniera sistematica e facilmente accessibile interviste, dichiarazioni, promesse e azioni dei candidati alla presidenza. Sarebbe auspicabile la realizzazione di un progetto analogo anche da noi: è necessario far sapere a chi governerà nei prossimi anni che a un ambiente sano, a uno sviluppo sostenibile, alla preservazione della biodiversità teniamo e che siamo disposti a far pressione in questo senso. Chi è disposto ad aiutare? Enrico Donelli Rubrica curata in collaborazione con: CSAM (Centro Saveriano di Animazione Missionaria) - Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia - www.saveriani.bs.it 23 FAMILIARITÀ Si apre il cancello del giardino con la docilità della pagina che una frequente devozione interroga e, dentro, gli sguardi non hanno bisogno di fare caso agli oggetti che sono già precisamente nella memoria. Conosco le abitudini e gli animi e quel dialetto di allusioni che ogni raggruppamento umano ordisce. Non ho bisogno di parlare né di mentire privilegi; bene mi conoscono coloro che qui mi circondano, bene sanno le mie angosce e la mia debolezza. Questo è raggiungere ciò che è più alto, ciò che forse ci darà il Cielo: non ammirazione né vittorie ma semplicemente essere ammessi come parte di una Realtà innegabile, come le pietre e gli alberi. Jorge Luis Borges Poesie (1923-1976) con lo SVI per vivere da protagonisti la solidarietà tra i popoli