IL PUNTO
Le notizie di LiberaUscita
Aprile 2006 - N° 23
SOMMARIO
LE LETTERE DI AUGIAS
321 - Non aiuterò mai mio figlio a morire – di Corrado Augias
322 – La chiesa dalla parte degli oppressi – di Corrado Augias
LIBRI, TV E ARTICOLI
323 - Laici in ginocchio – libro di Carlo Augusto Viano
324 - Di nessuna chiesa. La liberta’ del laico - libro di Giulio Giorello
325 - Eutanasia in TV – Confronti: politica e religione – di Giampietro Sestini
326 - Eutanasia e suicidio assistito in TV – di Giampietro Sestini
327 - Il furore ideologico su famiglia e bioetica – di Stefano Rodota’
328 - Il 74% degli infermieri favorevoli all’eutanasia – di G. Vecellio
329 - Dialogo sulla vita - colloquio fra il cardinale Martini e il prof. Marino
NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE
330 - Equinozio d’autunno - di Urbano Cipriani
331 - Scambio di messaggi con Sophie In’t Veld
332 - Dibattito sul suicidio assistito
NOTIZIE DALL’ESTERO
333 - Spagna – un nuovo caso Sampedro
334 - Olanda – condanna a 15 mesi per aiuto al suicidio
335 - Belgio – differenze fra eutanasia e suicidio assistito
336 - USA – proseguono le polemiche sul caso Terri Schiavo
PER SORRIDERE......
337 - Le vignette di Brusco – Berlusconi e gli italiani
LiberaUscita
Associazione per la depenalizzazione dell’eutanasia
Sede: via Genova 24, 00184 Roma
Tel. 0647823807 – 0647885980 – fax 0648931008
Sito web: www.liberauscita.it - email:[email protected]
321 - NON AIUTERÒ MAI MIO FIGLIO A MORIRE – DI CORRADO AUGIAS
Gentilissimo Augias,
non sono d'accordo con lei sull'eutanasia.
Sono mamma di una disabile di 33 anni che, a causa di una nascita male assistita, non
parla, non cammina, non mangia da sola, non controlla gli sfinteri, il suo livello cognitivo è
compromesso, a meno di un miracolo non sarà mai autosufficiente.
Basta per non considerarla una persona? Lei comunica con me e con le persone che
l'amano con gli occhi, da uno sguardo serio a uno gioioso capiamo il suo stato d'animo, da
un suo sorriso riesco a percepire se ha male o è serena, la sua è una vita non degna di
essere vissuta?
Lei ha citato «l'atto d'amore» della mamma francese che ha ucciso un figlio paraIizzato e
cieco. Noi continuiamo a lottare per offrire a quella creatura tutte le opportunità che la
tecnica e la scienza offrono, lottiamo perché venga riconosciuto il suo diritto a una vita
dignitosa che non si misura sicuramente a seconda delle sue limitazioni ma in base a
quanto questa società vuole investire affinché non vi siano cittadini di serie A o cittadini di
serie B, C, D.
L'eutanasia è una scorciatoia per esonerare chi di dovere dal sostenere le persone con
gravi disabilità, se le terapie antalgiche per i malati di cancro fossero veramente messe in
atto correttamente, se le famiglie non fossero penaIizzate nell' assistenza, se le persone
disabili venissero considerate e non solo a parole, se il rispetto per la vita fosse veramente
al primo posto nel pensiero che chi governa, forse non saremmo qui a discutere sulla
opportunità dell' eutanasia.
Marina Cometto - combot@alice. it
Risponde Augias
Questa lettera merita il più profondo e commosso rispetto. Per un altro aspetto mostra a
quali spaventosi equivoci la parola eutanasia possa dare luogo.
Citavo giorni fa il caso di una donna francese che, con l'aiuto del suo medico, ha ucciso il
figlio diventato tetraplegico e quasi cieco a seguito di un incidente d'auto.
Relitto dal punto di vista fisico, il giovane Vincent, ventenne, era però lucidissimo e molto
robusto. La sua condanna era di sopravvivere per cinquanta o sessant'anni steso su un
letto e in una condizione fisicamente vegetativa. La madre riusciva a comunicare con lui
utilizzando l'unico organo che Vincent poteva controllare: il pollice destro.
La donna gli ripeteva una per una le lettere dell'alfabeto, Vincent la bloccava premendo il
dito su quella voluta. E qui subentra una differenza fondamentale. La figlia della signora
Cometto ha un livello cognitivo compromesso; il giovane Vincent era al contrario
intellettualmente integro, prigioniero però di un corpo ormai inutilizzabile, una prigione
orribile dalla quale gridava la sua volontà di uscire nel solo modo possibile.
Aveva mandato un messaggio al presidente Chirac reclamando il suo diritto a morire. Ed è
per questo che il tribunale ha in pratica assolto la madre e il medico anche se con
l'espediente legale di un 'non luogo a procedere'. Eutanasia non vuoI dire eliminare i
disabili o i meno fortunati ma aiutare a morire persone che in piena coscienza (o quando
avevano piena coscienza) reclamano per se stesse il diritto ad abbandonare una
condizione da loro ritenuta insostenibile.
L'eliminazione dei disabili la facevano gli spartani, o i nazisti. Aiutare a morire chi lo chiede
è un gesto di immensa, fraterna generosità. E coraggio.
322 - LA CHIESA DALLA PARTE DEGLI OPPRESSI – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di domenica 23 aprile 2004
Caro Augias, ho 45 anni, abito in provincia di Firenze e sono una persona di fede.
Catechista da dodici anni presso la mia parrocchia, attiva in tante iniziative di carità e
presente nei problemi della mia parrocchia, dei parrocchiani che conosco e, di tante
persone che mi chiedono aiuto, anche di altre religioni o atei. Non credo che sia giusta
l'ingerenza della Chiesa su problemi politici e leggi italiane, per esempio i futuri Pacs.
Ritengo che un vero Stato debba tutelare le scelte dei cittadini. Inoltre la Santa Sede
indirizza, forse inconsciamente (lo spero, almeno) troppe persone di fede ad abbracciare
un Partito anziché un altro. Da sempre ci sono partiti che tendono ad ingraziarsi le
persone religiose, siamo in tanti e ciò significa tanti voti. Possibile che nessuno si accorga
che siamo manovrati in nome di Gesù Cristo? Il nostro maestro e Signore non ha mai
parlato di politica; si è accorta la Santa Sede che c'è un sacerdote che ha osato profanare,
un sacramento come il battesimo e ha battezzato le bandiere di Forza Italia? L'ho sentito
dall'alto del pulpito e forte del suo ministero, minacciando gli elettori, pochi giorni prima del
voto, con queste parole: "Chi vota a sinistra fa peccato mortale". Sono rimasta
esterrefatta. lo credo in Gesù Cristo, nella sua vita, nella sua morte e resurrezione come
sola Via di salvezza. I peccati mortali sono altri, ben descritti nel catechismo a pagina 127.
Rossana Daldone – Antella - (Firenze)
Risponde Augias
I preti sono uomini anche loro, hanno le loro simpatie, comprese quelle politiche. Fa
impressione però apprendere che un prete si schieri così apertamente dalla parte del
potere, un prete di base voglio dire, uno che parla ai suoi parrocchiani; per le alte
gerarchie il discorso sarebbe diverso, come diverse sono le loro responsabilità e gli
interessi. Stasera andrà in onda su Raiuno un film molto bello che s'intitola "La buona
battaglia", la regia è di Gianfranco Albano, interprete principale Flavio Insinna. Racconta la
storia di don Pietro Pappagallo, un prete trucidato dai nazifascisti alle Fosse Ardeatine in
quel tragico 24 marzo 1944 insieme ad altre 335 persone. C'erano insegnanti, operai,
studenti, commercianti, c'erano molti ebrei, tutti quelli che i tedeschi e i loro sgherri fascisti
(qui la feroce banda Koch) avevano rastrellato. E c'erano preti, come don Pappagallo,
nato in Puglia, a Terlizzi, uomo pio, trascinato riluttante nella ferocia della guerra. Ci si può
chiedere: qual è la differenza?
Don Pappagallo in fondo faceva anche lui politica, proprio come il prete di Antella che
malediceva a pochi giorni dal voto chi avrebbe votato per la sinistra. La differenza c'è, ed è
profonda e per quel che poco che ne so io, riguarda proprio l'essenza del messaggio
cristiano: don Pappagallo, stava con i comunisti e con gli altri antifascisti della Resistenza,
stava dalla parte di coloro che in quel momento erano perseguitati e oppressi, come Gesù.
Se si ha presente il vangelo, un prete che dal pulpito difende chi ha il potere dà veramente
l'impressione di un atto contronatura. Il film è bello, ben girato, con ottimi interpreti. Qua e
là prende lo spettatore alla gola. Gli ricorda che da queste parti abbiamo vissuto momenti
molto più dolorosi degli attuali, ma con assai più salde certezze.
323 - LAICI IN GINOCCHIO – LIBRO DI CARLO AUGUSTO VIANO
di: Mario Ricciardi – da: il Riformista di martedì 28 marzo 2006
Gli esiti del referendum sulla fecondazione artificiale sono stati per alcuni una sorpresa e
per altri una conferma. La scoperta che la chiesa esercita ancora un'influenza sugli
orientamenti elettorali degli italiani, o la conferma che non ha mai cessato di farlo.
Come c'era da prevedere, l'intervento dei vescovi è stato vissuto come un'ingerenza del
potere ecclesiastico volta a interferire con la libera formazione dell'opinione dei cittadini. In
particolare l'attivismo del cardinal Ruini ha provocato una reazione vivace nella politica
italiana la cui intensità non accenna ad attenuarsi anche a mesi di distanza dal
referendum. Ne è testimonianza la simpatia con cui molti a sinistra, e non solo, guardano
all'impegno sui temi della laicità della Rosa nel pugno; e l'interesse suscitato da diversi libri
che hanno ripreso il vecchio dibattito sulla libertà della cultura in un paese che ospita nella
propria capitale, sia pure nelle forme di un'entità statale sovrana, la sede della chiesa
cattolica.
Sul fronte laico la prima reazione è stata quella di uno dei più brillanti filosofi italiani, Giulio
Giorello, che con il suo Di nessuna chiesa (Cortina, 2005) ha lanciato il primo grido
d'allarme. In realtà, la posizione di Giorello non quella tradizionale dei liberali "laici" italiani,
che spesso avevano una robusta venatura anticlericale. Lo studioso milanese, al contrario,
è da sempre attento a temi che si muovono al confine tra riflessione scientifica, metafisica
e teologia, e ha dato un contributo importante alla diffusione di autori e opere della
tradizione radicale protestante.
Si potrebbe dire che l'ispirazione di Giorello non è quella dell'illuminismo anticristiano, di
cui si sente l’eco in molti laici italiani, ma che piuttosto essa proviene dalla società inglese
degli anni della "rivoluzione gloriosa", con il suo brulicare di chiese che erodevano la
pretesa al monopolio sulle idee dei fedeli attraverso la diffusione della lettura diretta delle
scritture da parte dei credenti, liberi di cercare ciascuno la propria via alla salvezza.
Di segno diverso è, invece, il libro di Carlo Augusto Viano, uno dei più importanti storici
della filosofia attivi nel nostro paese, che con il suo Laici in ginocchio (Laterza, 2006)
riprende proprio lo spirito più classico della tradizione laica italiana, il cui scopo è la
completa separazione tra religione e sfera pubblica, con la conseguente ascrizione del
culto e della fede a una dimensione privata, che nessuna conseguenza dovrebbe avere
per le regole della convivenza civile.
Come c'era da aspettarsi il libro di Viano ha in parte un taglio storico. L'autore delinea in
modo essenziale, ma di grande efficacia, le complesse vicende che portano prima alla
nascita, all'interno della tradizione cristiana, di uno specifico problema di rapporto con il
potere civile; e poi alla crisi delle soluzioni che a tale problema erano state date dai
pensatori del medio evo.
La formazione degli stati nazionali è, in un certo senso, il punto di non ritorno per la
pretesa politica del pontefice romano. Nel nostro paese la cosa ha una dimensione
ulteriore, le cui conseguenze si avvertono ancora oggi. Lo stato unitario in Italia non nasce
semplicemente contro la chiesa, ma addirittura da una guerra (sia pure con limitato
spargimento di sangue) contro il potere temporale. La presa di Porta Pia ha un valore
simbolico nella formazione dell'identità culturale dei liberali italiani che non poteva che
rendere difficile il rapporto che essi avrebbero avuto con i cattolici.
Rileggere le pagine di cattolici liberali come Passerin d'Entreves o Jemolo è interessante
proprio per il senso doloroso, che diventa quasi disagio esistenziale, di questa cesura tra
la lealtà politica e quella religiosa.
Meno tormentato è invece lo stile di Viano, quando afferma che credenze e pratiche
religiose «non sono in sé più rispettabili di altri corpi di credenze e pratiche». Ciò che esso
sembra richiedere è l'interdizione di temi e motivi religiosi dalla vita pubblica della nazione.
Gli italiani dovrebbero essere lasciati liberi di decidere e sbagliare, contando solo sulle
proprie risorse intellettuali e morali, senza l'aiuto del clero.
C'è da aspettarsi che il libro di Viano susciterà una discussione vivace (un'anticipazione
l'avremo oggi in un dibattito organizzato dal Centro studi "Politeia" presso l'Università degli
Studi di Milano). Anche chi non condivide le punte più aspre della polemica di Viano, deve
riconoscere la sincerità e la forza dell'indignazione che la anima. Sentimenti, bisogna
ammettere, che talvolta le gerarchie ecclesiastiche finiscono per ispirare anche a chi ha un
atteggiamento più aperto di quello di Viano sul valore pubblico della religione.
324 - DI NESSUNA CHIESA. LA LIBERTA’ DEL LAICO - LIBRO DI GIULIO GIORELLO
Giulio Giorello, editorialista del Corriere della Sera, docente di Filosofia della scienza
all’Università degli Studi di Milano, è l’autore di un breve volumetto dal titolo “Di nessuna
chiesa. La libertà del laico”. Editore Cortina, Milano, anno 2005, euro 7,50, pag. 79.
Ecco la sua sintesi in ultima di copertina: “Uno spettro si aggira per l'Europa: il relativismo,
cioè il dogma che non c'è nessun dogma. Chierici e laici hanno stretto una santa alleanza
in nome dei nostri valori e delle nostre radici. Forse non sanno che dietro quel fantasma ci
sono il corpo dell'individuo, la libertà della ricerca, le garanzie dei diritti e la stessa
genuinità della fede.
Tutto cancellato, se vince il progetto dei teo-con? Affatto, se il laico ha non solo la volontà
di reagire ma anche la forza di attaccare. Non questa o quella chiesa, ma la "presunzione
di infallibilità" che può viziare qualsiasi istituzione o comunità, compresa quella degli
anticlericali. Essere laico vuoI dire non solo esercitare l'arte del sospetto ma anche agire
per una solidarietà che non ha bisogno di un fondamento”.
Scrive Giorello: “Nulla vieta di considerare la "vita" come qualcosa di sacro, magari
intendendo quest'ultimo termine non solo nell' accezione cristiana. Ma ciò non può essere
spacciato come fatto scientifico, e neppure come sua norma. In contesti come la
fecondazione assistita, lo statuto dell' embrione umano, le diagnosi preimpianto, ecc.,
l'alternativa è tra un intervento responsabile e un irresponsabile inchinarsi al caso.
Cosa altro è, infatti, il ricorso a un fiat della vita umana, il quale, per sua stessa natura,
precluderebbe ogni possibilità di indagine o di cura? Perché demandare a una qualche
forma di stato etico o teocratico il diritto/dovere di rappresentare e vincolare scelte così
strettamente personali? Perché presupporre che i singoli cittadini vivano sempre in una
condizione di "minorità" che impedirebbe loro di assumersi le proprie responsabilità? Non
sarebbe molto più umano lasciare a ciascuno il peso della propria sofferenza, ma anche
quello della propria scelta?
Negare delle opportunità oggi concretamente disponibili in nome di un qualche valore, che
come ogni valore non è necessariamente condiviso, significa ancora .una volta
discriminare i membri di una comunità in modo arbitrario.” (gps)
325 - EUTANASIA IN TV – CONFRONTI: POLITICA E RELIGIONE – DI G. SESTINI
Venerdì 31 marzo, alle ore 23:10, è andata in onda su RAI 2 una puntata di “Confronti”
dedicata a “Politica e religione”, in cui Paolo Flores d’Arcais, direttore di “Micromega”, e
Renato Farina, vicedirettore di “Libero”, sono stati intervistati da Gigi Moncalvo.
Una parte non secondaria del dibattito ha trattato dell’eutanasia.
Paolo Flores d’Arcais ha sostenuto che “non esiste incompatibilità fra eutanasia e
religione”: Ciascun essere umano ha il diritto di sottrarsi alla tortura, e tale diritto non può
essergli negato nè da un’eventuale maggioranza parlamentare nè dalla Chiesa cattolica.
Renato Farina dapprima ha tentato di definire l’eutanasia come “uccisione” di persone
(ossia omicidio), poi ha replicato con i soliti “slogan”: no all’eutanasia perchè anche i dolori
più atroci sono “controllabili”, no all’eutanasia anche a consenzienti perchè inevitabilmente
si “scivola” sui non consenzienti (leggi: bambini in Olanda); no all’eutanasia perchè la vita
è sacra.
Il dibattito ha affrontato anche il tema dell’intromissione della Chiesa in politica.
D’Arcais ha contestato Ruini quando invita i cattolici ad imporre la loro morale religiosa a
tutti gli italiani attraverso la legge. Ruini parli di “peccati”, non di “reati”.
Farina ritiene invece che “l’etica della maggioranza” debba essere rispettata (e quindi
imposta anche alle minoranze) e che sia “più importante obbedire a dio che agli uomini”
(chissà se sarebbe dello stesso parere se i cattolici fossero minoranza?).
Circa il peso reale che gli appelli di Ruini possono avere sull’elettorato, D’Arcais ritiene che
gli italiani siano abbastanza laici da distinguere la religione dalla politica, mentre reputa
che le pressioni della Chiesa hanno influenza (anche se impropria) sul comportamento dei
politici.
Farina ritiene invece che i principi religiosi non hanno valore se restano chiusi nell’animo
delle persone, e quindi debbono tradursi in indicazioni politiche.
In conclusione: nulla di nuovo sotto il sole. La controriforma avanza e gli “atei devoti” fanno
da apripista.
Sempre più le prossime elezioni misureranno il livello di civiltà di questo popolo.
326 - EUTANASIA E SUICIDIO ASSISTITO IN TV – DI GIAMPIETRO SESTINI
Il 12 aprile u.s. alle ore 23:30 è andata in onda su canale 4 una puntata de “L’antipatico”
dedicata all’eutanasia. Conduttore Maurizio Belpietro, partecipanti Carlo Giovanardi e
Silvio Viale.
All’inizio della trasmissione è stato trasmesso l’intervista di un medico sul tema “Suicidio
assistito o eutanasia?” L’intervistato riferiva il caso di una signora che ha fatto ricorso al
suicidio assistito soltanto perchè “si era rotto un braccio” e concludeva assimilando questo
caso alle pratiche eugenetiche di memoria nazista.
Viale ha ricordato che l’interruzione della vita può avvenire per sospensione delle cure
(accanimento terapeutico), incremento dei farmaci (cure palliative) e intervento del medico
su decisione del malato terminale (eutanasia attiva), affermando che rientra nel dovere
professionale del medico di prolungare la vita del malato e, se necessario, assisterlo nella
sua decisione di porre termine alle proprie sofferenze.
Giovanardi ha ribadito la sua contrarietà all’eutanasia attiva, che porta inevitabilmente a
sopprimere persone non consenzienti oppure consenzienti che però hanno cambiato idea.
Viale ha fatto presente che l’eutanasia attiva viene praticata non solo in Olanda ma anche
in Italia: da alcune ricerche i casi possono essere stimati in un migliaio l’anno. La pratica
eugenetica nazista era cosa totalmente diversa, in quanto veniva praticata scientemente
per eliminare individui non graditi, contro la loro volontà. La differenza fra cure palliative e
eutanasia attiva è molto labile.
Giovanardi ha paventato che l’eutanasia porti alla eliminazione di persone coscienti (come
nel caso della signora che si era rotto il braccio) ed ha ricordato il caso di Terri Schiavo,
morta dopo 15 giorni di digiuno in “modo crudele”, per decisione del marito che si era
risposato e malgrado la disponibilità dichiarata dai genitori di curarla a casa.
E’ stato quindi trasmesso un breve estratto del noto filmato di un suicidio assistito
effettuato in una clinica svizzera di Dignitas. Il filmato mostra il dr. Sobel che prepara un
pozione e ammonisce una paziente sulle conseguenze mortali e irreversibili che ne
derivano se sarà assunta. Nonostante ciò, la paziente beve la pozione.
Viale ha precisato che l’autopsia condotta su Terri Schiavo ha dimostrato che non poteva
assolutamente sentire nessun dolore o stimolo in quanto il suo cervello era
completamente distrutto.
Giovanardi è tornato sul rischio dell’eutanasia nazista.
Viale, infine, dopo aver ricordato che circa 800.000 persone si sono iscritte alla Exit
svizzera, ha dichiarato che ritiene suo dovere di medico assistere i pazienti anche quando
chiedono di essere lasciati morire in pace.
LiberaUscita ringrazia Silvio Viale per aver affrontato decisamente e chiaramente il
confronto con due interlocutori pregiudizialmente contrari all’eutanasia, in quanto anche il
conduttore Belpietro era chiaramente d’accordo con Giovanardi.
Da parte nostra, ci limitiamo a ricordare che lo stesso Papa Giovanni Paolo II, giunto
stremato al termine della vita, ha invocato “lasciatemi andare dal Padre mio”.
327 - IL FURORE IDEOLOGICO SU FAMIGLIA E BIOETICA – DI STEFANO RODOTA’
da: la Repubblica di sabato 1 aprile 2006 (prima pagina)
in questa infuocata e sgangherata campagna elettorale si discute di alcuni temi come se si
trattasse di pagine bianche che i futuri legislatori potranno riempire a loro piacimento, e
non di questioni sulle quali già il Parlamento si è pronunciato in maniera impegnativa.
Non si tratta di questioni di poco conto, ma di quelle che accendono gli animi:
riconoscimento delle coppie di fatto, diritti degli omosessuali, eutanasia, donazione
terapeutica. E su ciascuna di esse esistono documenti internazionali che l’Italia ha
sottoscritto, che sono stati approvati dal Parlamento. Sono, in primo luogo, la Carta
europea dei diritti fondamentali e la Convenzione europea di biomedicina. Proviamo a
seguirne la trama, per trame qualche indicazione per l'oggi e per il futuro.
L'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali afferma che "il diritto di sposarsi e il diritto di
costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano
l'esercizio". Questa norma ha profondamente cambiato la formula contenuta nell'articolo
12 della Convenzione europea dei diritti de!l'uomo del 1950. Per tre motivi.
E’ stato cancellato il riferimento a "l'uomo e la donna": questo costituisce un evidente
riconoscimento della legittimità delle unioni tra persone dello stesso sesso. Non si parla
più di un diritto di sposarsi e di costituire una famiglia come era scritto nella Convenzione,
lasciando intendere che si trattava di un unico diritto. Ormai siamo chiaramente di fronte a
due diritti distinti e separati: il matrimonio tradizionale e le altre forme di unione sono così
posti sullo stesso piano, e queste ultime non possono più essere considerate come una
eccezione. L'innovazione è profonda, il quadro istituzionale è del tutto cambiato.
La parola "famiglia", nella Carta dei diritti fondamentali, è adoperata in senso lato,
descrittiva di ogni forma di comunione di vita e non può, quindi, essere interpretata in
modo restrittivo, obiettando, ad esempio, che l'articolo 29 della nostra Costituzione ne
parla di famiglia fondata sul matrimonio. Peraltro, guardando davvero a fondo nella
Costituzione, non si può ignorare che nell'articolo 2 si parla di diritti inviolabili dell'uomo
"sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità".
Già studiosi e giurisprudenza hanno riconosciuto che le convivenze rientrano appunto tra
quelle formazioni sociali. Nel nostro sistema, dunque, non esistono ostacoli
all'accoglimento della innovazione operata a livello europeo.
D'altra parte, il riferimento alla legge nazionale contenuto nella Carta, non significa che le
legislazioni dei diversi paesi possano trascurare quella innovazione o svuotarla del tutto di
significato. Nell'articolo 52 della stessa Carta, infatti, si dice esplicitamente che deve
essere rispettato il "contenuto essenziale" dei diritti e delle libertà da essa riconosciuti. Ed
è proprio questa la linea progressivamente adottata negli altri paesi che evidentemente, a
differenza di noi, prendono sul serio l'Europa.
Siamo, dunque, di fronte ad un diritto fondamentale, il cui rispetto è necessario per
rendere possibile il libero sviluppo della libertà di ciascuno, come vuole la nostra
Costituzione. Basterebbe questa considerazione per escludere la legittimità di
discriminazioni nei confronti degli omosessuali. Discriminazioni che, essendo fondate su
una "condizione personale", violerebbero quanto è detto nell'articolo 3 della Costituzione in
materia di eguaglianza. E questo principio è stato ribadito dall'articolo 21 della Carta dei
diritti fondamentali, che vieta appunto le discriminazioni basate sulle "tendenze sessuali".
Questa norma fu oggetto di attacchi, con toni smodati, da parte di qualche deputato
quando il Parlamento italiano votò la Carta dei diritti. E questa fu una bella prova di
ignoranza, perché il divieto di discriminazione era già contenuto nel Trattato di
Amsterdam. La faziosità acceca, ed impedisce di vedere addirittura le norme che
dovrebbero semplicemente essere applicate. Ma ora la strada è nitidamente indicata, e si
tratta di seguirla.
Ancora più chiara è, o dovrebbe essere, la questione del testamento biologico o delle
direttive anticipate, cioè di quei documenti che consentono a ciascuno di dare liberamente
disposizioni che riguardano la fine della vita. Impropriamente questo tema è stato
classificato con I'etichetta dell'eutanasia, con il deliberato proposito di suscitare le
preoccupazioni che questa parola continua ad evocare. Ma, guardando alla concreta
situazione giuridica, dobbiamo concludere che qui la strada non solo è indicata, ma
tracciata in modo preciso.
L'articolo 9 della Convenzione europea sulla biomedicina parla chiaro: "Al momento di un
intervento medico concernente un paziente che al momento dell'intervento non è in grado
di esprimere il proprio volere, devono essere presi in considerazione i desideri da lui
precedentemente espressi". Questa convenzione è stata firmata dall'Italia e ratificata con
la legge 28 marzo 2001, n. 145, che l'ha introdotta nel nostro ordinamento.
Non si può, quindi, discutere intorno alla opportunità di riconoscere il testamento biologico,
come fanno alcuni candidati. Questo è un impegno già assunto a livello internazionale,
che l'Italia non può violare. L'unico vero problema è il colpevole ritardo del Governo, che
avrebbe dovuto emanare alcuni decreti per adattare i principi della Convenzione
all'ordinamento italiano (della cui assoluta necessità, per quanto riguarda il testamento
biologico, si può anche dubitare). Il prossimo Governo, quale che esso sia, deve soltanto
adempiere a questo obbligo.
Poiché il tema dell’eutanasia è entrato con prepotenza tra quelli elettorali, bisogna una
volta ancora sottolineare come esso non abbia nulla a che fare con il divieto
dell'accanimento terapeutico, già previsto dal codice deontologico dei medici seguendo
una indicazione data anche da Pio XII fin dal 1957. Interrompere le cure quando non
apportano più alcun beneficio al morente, e anzi ne prolungano inutilmente la sofferenza,
è ormai un imperativo morale e un obbligo giuridico. Altrimenti si fa terrorismo ideologico,
si falsifica la realtà, si viola l'umanità stessa delle persone che, a parole, si dichiara di voler
proteggere.
A questa lista delle ignoranze e delle falsificazioni deliberate, che hanno inquinato la
campagna elettorale, conviene aggiungere la questione della cosiddetta clonazione
terapeutica, della ricerca sulle cellule staminali. Anche qui un riferimento ai documenti
internazionali, ed è ancora la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ad
assumere rilevanza. Nel suo articolo 3 si vieta soltanto la "clonazione riproduttiva degli
esseri umani", di persone identiche ad un essere già vivente. Il divieto è mirato, e la sua
specificità dice chiaramente che le forme di clonazione non riproduttiva sono ammesse e
che non può essere posto questo ostacolo per limitare la ricerca scientifica. E ci si deve
augurare una discussione più distesa proprio sulla ricerca riguardante le cellule staminali
embrionali, senza rifugiarsi nell'ipocrisia di chi, ad esempio, si oppone alla utilizzazione
degli embrioni congelati, che altrimenti andrebbero distrutti, e suggerisce di acquistare
all'estero le linee cellulari necessarie. Come dire: noi ci salviamo l'anima e profittiamo del
lavoro "sporco" fatto da altri.
Ignorare i dati di realtà e le norme giuridiche è frutto di accecamento ideologico.
Dopo le elezioni conosceremo tempi in cui, per queste materie, il furore cederà alla
riflessione? Ne dubito, ma me lo auguro.
328 - IL 74% DEGLI INFERMIERI FAVOREVOLI ALL’EUTANASIA - DI G. VECELLIO
da: “notizie radicali” del 18 aprile 2006
Bisogna dirlo a Carlo Giovanardi: all'ombra della Mole proliferano nazisti.
Accade questo: la dottoressa Michela Paschetto ha realizzato un sondaggio i cui risultati
sono stati giudicati così interessanti e "clamorosi" da essere pubblicati sull'ultimo numero
di Torino medica, l'organo ufficiale dell'Ordine dei medici: "nella certezza di aprire un
dibattito sereno".
Da questa inchiesta emerge che tre infermieri su quattro dicono sì all'eutanasia, il 74 per
cento degli interpellati; e il 44 per cento si è trovato più volte di fronte a pazienti che hanno
chiesto espressamente e ripetutamente di morire perché venisse posto fine alle loro atroci
e senza speranza sofferenze. L'83 per cento di questo 74 per cento è favorevole alla
"dolce morte" passiva, il 46 per cento anche a quella attiva.
Il 76 per cento degli infermieri interpellati invoca il testamento biologico; e l'8 per cento si
dice disposto a praticare l'eutanasia anche illegalmente, senza richiesta esplicita del
paziente. 37 infermieri su 100 si dicono disposti ad aiutare il loro paziente a mettere fine a
un calvario, anche ricorrendo al suicidio assistito.
La maggioranza degli interpellati ha fra i 30 e i 40 anni, lavora in terapie intensive, lungodegenze e chirurgie. Molti sono cattolici: "il 76 per cento degli infermieri che crede è
favorevole all'eutanasia volontaria. Il contatto quotidiano con il dolore ha messo in crisi le
loro convinzioni", dice la dottoressa Paschetto, che aggiunge: "La mia convinzione
dimostra quanto gli infermieri vivano e ‘sentano' il problema. Oltre il 50 per cento dice di
essersi documentato molto, partecipando a convegni, leggendo libri e articoli.
E' un tema, questo, che può essere confinato tra quelli solitamente definiti dei "diritti civili"?
O non è anche questo un problema sociale? Quante persone coinvolge e riguarda?
L'enorme sofferenza, dolore, avvilimento nel constatare che il proprio corpo non risponde
più, non è anche questo un qualcosa che a giusto titolo di può definire "problema sociale"?
Come sia, i risultati del sondaggio torinese confermano quelli emersi da un'indagine del
Centro di Bioetica dell'Università cattolica di Milano: il 4 per cento dei rianimatori
interpellati ha ammesso di praticare la cosiddetta "iniezione letale": e lo fa senza legge,
senza ordine, senza controllo, senza "governo", sulla base di quello che dice loro la
coscienza. Coscienza che senz'altro sarà più che rispettabile, ma si sarebbe assai più
garantiti e tutelati se ci fosse una legge che regolamenta e "governa".
I sondaggi dicono che solo 8 italiani su 100 pensano che bisogna prolungare la vita del
malato terminale, ignorandone la sofferenza, e si dicono contrari all'eutanasia, gli altri 92,
con varie sfumature, ritengono che sia necessario superare l'attuale normativa repressiva.
Quello che pensava Indro Montanelli, e con lui pensano Margherita Hack, Luigi Veronesi,
Rita Levi Montalcini, i premi Nobel Jacques Monod, Luis Pauling e George Thompson, per
limitarsi ad alcuni "nazisti" come li qualificherebbe Giovanardi.
Più nazista di tutti, nazista ad honorem, Tommaso Moro, che la chiesa cattolica ha
proclamato santo dei politici. Nella sua opera più famosa, Utopia, si legge: "Nella migliore
forma di repubblica i malati incurabili sono assistiti nel miglior modo possibile. Ma se il
male non solo è inguaribile, ma dà al paziente continue sofferenze allora sacerdoti e
magistrati, visto che il malato è inetto a qualsiasi compito, molesto agli altri, gravoso a se
stesso, sopravvive insomma alla propria morte, lo esortano a morire liberandosi lui stesso
da quella vita amara, ovvero consenta di sua volontà a farsene strappare dagli
altri…sarebbe un atto religioso e santo".
329 - DIALOGO SULLA VITA - COLLOQUIO CARD. MARTINI - PROF. MARINO
a cura di Daniela Minerva - da: L’espresso n. 16/2006
Carlo Maria Martini: «Caro professor Marino, ho letto con molto interesse e partecipazione
il suo libro "Credere e curare" . Mi ha colpito da una parte il suo amore per la professione
medica e il suo interesse dominante per il malato e dall'altra la sua obiettività di giudizio, il
suo equilibrio nel trattare problemi di frontiera, là dove le esigenze mediche si incontrano e
talora sembrano scontrarsi con le esigenze etiche. Ho visto come lei non vuole rinunciare
né alla sua oggettività professionale di medico né alla sua coscienza di uomo e anche di
credente. Tutto ciò mi pare molto importante per quel “dialogo sulla vita" che Interessa
giustamente tanto I nostri contemporanei, soprattutto per quei casi limite in cui gli
ardimenti della scienza e della tecnica destano da una parte meraviglia e gratitudine e
dall'altra suscitano preoccupazione per la specie umana e la sua dignità.
Tutto questo rende necessario e urgente un "dialogo sulla vita" che non parta da
preconcetti o da posizioni pregiudiziali ma sia aperto e libero e nello stesso tempo
rispettoso e responsabile».
Ignazio Marino: «Vedo anch'io molte ragioni per un dialogo oggettivo, approfondito e
sincero sul tema della vita umana. Viviamo infatti un momento storico particolare in cui il
progresso scientifico ha rivoluzionato la posizione dell'essere umano nei confronti della
vita, della malattia e della morte.
Oggi, diversamente da ieri, si può nascere in molti modi diversi, si può essere curati con
terapie straordinarie e mantenuti per lungo tempo, in un reparto di rianimazione, in uno
stato che può essere chiamato "vita" semplicemente dal punto di vista delle funzioni
fisiologiche. La morte è sempre più considerata come un evento eccezionale da evitare e
non il naturale traguardo a cui giunge inevitabilmente ogni vita umana.
Questi cambiamenti influenzano non solo il corso della nostra esistenza ma anche il modo
di concepire la vita, la malattia e la morte. Per questo non è possibile ignorare gli
innumerevoli quesiti etici che emergono dai continui cambiamenti legati alle nuove
tecnologie e alle possibilità che la scienza mette a disposizione degli uomini.
Il dialogo su questi temi e il confronto tra uomini di diversa formazione e con differenti ruoli
all'interno della società può contribuire alla circolazione di idee e posizioni volte ad
individuare punti di incontro e non di divisione.
Su temi così delicati, infatti, il rischio è di cadere in facili contrapposizioni e
strumentalizzazioni che non portano alcun vantaggio se non quello di creare fratture nella
società. Invece, se il ragionamento viene condotto onestamente e con spirito di sincera
apertura, è possibile individuare percorsi comuni o per lo meno non troppo divergenti».
L’INIZIO DELLA VITA
Martini: «Sono pienamente d'accordo sulle sue premesse. Là dove per il progresso della
scienza e della tecnica si creano zone di frontiera o zone grigie, dove non è subito
evidente quale sia il vero bene dell'uomo e della donna, sia di questo singolo sia
dell'umanità intera, è buona regola astenersi anzitutto dal giudicare frettolosamente e poi
discutere con serenità, così da non creare inutili divisioni.
Penso che potremmo iniziare qualche esperimento di un simile dialogo partendo dall'inizio
della vita e in particolare da quella prassi, oggi sempre più comune, che si chiama
"fecondazione medicalmente assistita" e alla sorte degli embrioni che vengono utilizzati a
questo scopo.
Su ciò vi sono non poche divergenze di pareri e anche incertezze di vocabolario e di
prassi. Vuole chiarire un poco questo punto, sulla base della sua competenza?».
Marino: «Oggi è possibile creare una vita in provetta, ricorrendo alla fecondazione
artificiale. In presenza di problemi di fertilità all'interno di una coppia, la fecondazione
artificiale può servire allo scopo di completare una famiglia con un figlio. Tuttavia, questa
pratica si è diffusa in Italia e in molti altri paesi del mondo senza una regolamentazione
prevista dalla legge.
La scienza e le sue applicazioni mediche hanno camminato più rapidamente dei legislatori
e, per questo motivo, ora ci troviamo ad affrontare il problema di migliaia di embrioni
umani congelati e conservati nei frigoriferi delle cliniche per l'infertilità, senza che si sia
deciso quale dovrà essere il loro destino.
L'attuale legge italiana, per evitare di perpetuare la produzione di embrioni di riserva che
non vengono utilizzati, ha scelto una via semplicistica: crearne solo tre alla volta e
impiantarli tutti nell'utero della donna. Ma questo numero, se si ragiona su base scientifica,
dovrebbe essere flessibile e determinato caso per caso, secondo le condizioni mediche
della coppia.
Però, la scienza viene in aiuto per suggerire delle alternative alla creazione e al
congelamento degli embrioni. Esistono delle tecniche più sofisticate di quelle utilizzate
oggi, che prevedono il congelamento non dell'embrione ma dell'ovocita allo stadio dei due
pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici, quello femminile e quello
maschile, sono ancora separati e non esiste ancora un nuovo Dna.
In questa fase non è possibile sapere che strada prenderanno le cellule nel momento in
cui inizieranno a riprodursi: potrebbero dare origine ad un bambino come a due gemelli
monozigoti. Non c'è l'embrione, non c'è un nuovo patrimonio genetico e quindi non c'è un
nuovo individuo.
Dal punto di vista biologico non c'è una nuova vita. Possiamo allora pensare che essa non
ci sia nemmeno dal punto di vista spirituale e quindi che non esistano problemi nel
valutare l'idea di seguire questa strada anche da parte di chi ha una fede?».
Martini: «Capisco come questi fatti angustino molte persone, soprattutto quelle più
sensibili ai problemi etici. E insieme sono convinto che i processi della vita, e quindi anche
quelli della trasmissione della vita, formano un continuum in cui è difficile individuare i
momenti di un vero e proprio salto di qualità. Questo fa sì che quando si tratta della vita
umana, occorre un grande rispetto e un grande riserbo su tutto ciò che in qualche modo la
manipola o la potrebbe strumentalizzare, fin dai suoi inizi.
Ma ciò non vuoi dire che non si possano individuare momenti in cui non appare ancora
alcun segno di vita umana singolarmente definibile. Mi pare questo il caso che lei propone
dell'ovocita allo stadio dei due protonuclei. In questo caso mi sembra che la regola
generale del rispetto può coniugarsi con quel trattamento tecnico che lei suggerisce. .
Mi pare anche che quanto lei propone permetterebbe il superamento di quel rifiuto di ogni
forma di fecondazione artificiale che è ancora presente in non pochi ambienti e che
produce un doloroso divario tra la prassi ammessa comunemente dalla gente e anche
sancita dalle leggi e l'atteggiamento almeno teorico di molti credenti.
Ritengo comunque opportuna una distinzione tra fecondazione omologa e fecondazione
eterologa. Ma mi sembra che un rifiuto radicale di ogni forma di fecondazione artificiale
fosse basato soprattutto sul problema della sorte degli embrioni. Nella proposta che lei
illustra tale problema potrebbe trovare un superamento».
LA FECONDAZIONE ETEROLOGA
Marino: «Lei ha accennato anche alla distinzione tra fecondazione omologa ed eterologa.
Il problema è molto discusso.
Infatti, se il desiderio di una coppia di creare una famiglia non può essere compiuto a
causa di problemi di infertilità o per la presenza di malattie genetiche in uno dei due
potenziali genitori, perché non ricorrere al seme o all'ovocita di un individuo esterno alla
coppia? Non potrebbe rappresentare una soluzione per riuscire ad andare incontro a quel
desiderio di famiglia? Il patrimonio genetico conta comunque di più?
Riflettendo su questo tema, la mia prima valutazione sarebbe in favore della fecondazione
eterologa, se questa è l'unico mezzo per avere un figlio e se per la donna è importante
avere una gravidanza.
Però mi sono confrontato anche con chi sostiene che la fecondazione eterologa non di
rado introduce un disequilibrio nella coppia tra il genitore biologico, che trasmette al figlio
parte del proprio Dna e l'altro.
Alcuni studi pubblicati su riviste scientifiche e condotti in paesi dove la fecondazione
eterologa è ammessa, hanno evidenziato che si può effettivamente creare un nucleo
familiare psicologicamente sbilanciato a favore del genitore che ha trasmesso al figlio una
parte del proprio patrimonio genetico, come se in qualche modo un genitore valesse più
dell'altro.
Un'altra questione riguarda la trasparenza: il bambino che nasce da una fecondazione
eterologa dovrebbe esserne informato? E, se la risposta è affermativa, è giusto seguire un
percorso che può creare traumi psicologici, anche se nasce dal desiderio di avere un
figlio? Vietare per legge il ricorso alla fecondazione eterologa significa limitare la libertà dei
cittadini o va interpretata come una tutela per il futuro di chi verrà dopo di noi?".
Martini: «Le obiezioni di natura psicologica che lei ha ricordato sono appunto tra i motivi
che hanno bloccato non pochi sul fatto di procedere sulla via della fecondazione eterologa,
anche se ciò può comportare sofferenze per alcuni. Si aggiunge dal punto di vista etico la
protezione del rapporto privilegiato che col matrimonio si viene ad istituire tra un uomo e
una donna.
Personalmente tuttavia rifletto anche sulle situazioni che si vengono a creare con le varie
forme di adozione e di affido, dove al di là del patrimonio genetico è possibile instaurare
un vero rapporto affettivo ed educativo con chi non è genitore nel senso fisico del termine.
Sarei dunque prudente nell' esprimermi su quei casi che lei ricorda, dove non è possibile
ricorrere al seme o all'ovocita all'interno della coppia. Tanto più là dove si tratta di decidere
della sorte di embrioni altrimenti destinati a perire e la cui inserzione nel seno di una
donna anche single sembrerebbe preferibile alla pura e semplice distruzione.
Mi pare che siamo in quelle zone grigie di cui parlavo sopra, in cui la probabilità maggiore
sta ancora dalla parte del rifiuto della fecondazione eterologa, ma in cui non è forse
opportuno ostentare una certezza che attende ancora conferme ed esperimenti».
LA RICERCA SULLE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI
Marino: «I problemi connessi con gli embrioni hanno suscitato aspre discussioni anche
sull'utilizzo a scopo di ricerca delle cellule staminali prelevate dagli embrioni stessi. Il
referendum sulla procreazione medicalmente assistita del giugno 2005 chiedeva, tra le
altre cose, di abrogare l'articolo della legge 40 in cui si vieta l'utilizzo di queste cellule
staminali.
Dal punto di vista scientifico è ipotizzabile, anche se non ancora confermato, che le cellule
staminali embrionali siano le più adatte ai fini di ricerca, per individuare terapie per curare
malattie molto gravi, dal morbo di Parkinson all’Alzheimer ecc. Esistono altri tipi di cellule
staminali, prelevate da tessuti adulti o dal cordone ombelicale, che già oggi vengono
utilizzate con qualche successo.
Quasi tutti i ricercatori concordano sul fatto che non sia necessario creare embrioni con il
solo scopo di prelevarne le cellule staminali: si possono infatti acquistare linee cellulari per
condurre le ricerche, e, inoltre, studi molto recenti condotti sui topi hanno dimostrato la
possibilità di ottenere cellule che abbiano le stesse caratteristiche delle staminali
embrionali senza dover creare degli embrioni.
Resta in sospeso la questione che riguarda gli embrioni conservati nelle cliniche per
l'infertilità e che con ogni probabilità non verranno mai utilizzati da nessuna coppia. La loro
fine è certa, ma è meglio lasciarli morire nel freddo oppure utilizzare le preziose cellule per
scopi di ricerca?
In una visione di ortodossia religiosa, si tratta di vite e come tali non possono essere
soppresse per prelevare le cellule a scopo terapeutico, anche se un giorno quegli embrioni
saranno comunque distrutti. Si tratterebbe della diversità tra uccidere e il lasciar morire.
Questo punto è eticamente superabile? Non è opportuno chiedere la donazione delle
cellule staminali embrionali da destinare ai laboratori per sostenere la ricerca a favore di
malattie oggi incurabili?».
Martini: «Innanzi tutto sono impressionato dalla prudenza con cui lei parla dell'efficacia
terapeutica delle cellule staminali. Mi pare di capire che siamo ancora nel campo della
ricerca e che quindi non è onesto propagandare certezze sull'efficacia curativa di queste
cellule prima che ciò sia stato debitamente provato. Mi rallegro anche per il fatto che non è
più ritenuto necessario creare degli embrioni con lo scopo di produrre le cellule staminali e
che sono stati elaborati metodi alternativi che non pongono problemi alla coscienza. È un
motivo in più per avere fiducia in quella intelligenza che il Signore ha dato all'uomo perché
superi i problemi che la vita pone.
È nel nome di questa stessa intelligenza che non vedo possibile pensare a una
utilizzazione di cellule staminali embrionali per la ricerca. Ciò sarebbe contro tutti i principi
esposti finora».
GLI EMBRIONI CONGELATI ESISTENTI
Marino: «La sua risposta mi permette di allargare la riflessione alla sorte degli embrioni
esistenti anche al di là di quanto sopra ipotizzato. Quando essi non vengono utilizzati, che
cosa sarebbe etico fare?
Attualmente non è stata individuata una soluzione, se non quella di abbandonare le
provette nei congelatori. Ma è eticamente corretto ed accettabile tollerare che migliaia di
embrioni umani restino congelati nelle cliniche per l'infertilità, attendendo semplicemente
che si spengano nel freddo con il passare degli anni?
Non potrebbero per esempio essere destinati a donne single che desiderano avere una
gravidanza? Oppure a coppie con problemi legati a malattie genetiche che non possono
ricorrere alla fecondazione artificiale normale per evitare il rischio di trasmissione del
difetto genetico? ».
Martini: «Mi pare che qui siamo di fronte a un conflitto di valori, più evidente nel caso della
donna single che desidera avere una gravidanza, ma esistente anche, per i motivi che ho
detto sopra, per coppie che per gravi ragioni mediche non possono ricorrere alla
fecondazione artificiale normale.
Là dove c'è un conflitto di valori, mi parrebbe eticamente più significativo propendere per
quella soluzione che permette a una vita di espandersi piuttosto che lasciarla morire. Ma
comprendo che non tutti saranno di questo parere. Solamente vorrei evitare che ci si
scontrasse sulla base di principi astratti e generali là dove invece siamo in una di quelle
zone grigie dove è doveroso non entrare con giudizi apodittici».
ADOZIONI PER SINGLE
Marino: «Ci sono poi altri problemi, connessi allo sviluppo della vita, in particolare alla cura
che la società deve avere per i bambini che non hanno una famiglia. In questi casi si apre
la possibilità e l'utilità, anzi quasi la necessità di un'adozione.
Oggi in Italia le adozioni non sono ammesse; per i single e, più in generale, la legislazione
è molto complessa e rende difficile ogni tipo di adozione. Mi chiedo se, dal punto: di vista
etico, sia preferibile che un bambino orfano o abbandonato dai genitori passi la vita in un
istituto o sulla strada piuttosto che avere una famiglia composta da un solo genitore?
Siamo sicuri che sia questa la strada giusta per garantire la migliore crescita possibile a
quel bambino?
Del resto, se un genitore rimane vedovo, anche alla nascita del primo figlio, nessuno
pensa che il bambino non debba continuare a vivere nel suo nucleo familiare anche se il
genitore è solo uno. O ancora, la Chiesa sostiene che in presenza di un feto, in qualunque
circostanza si debba invitare la donna a portare a termine la gravidanza, anche se il padre
è assente o contrario, e quindi si tratterà di sostenere una madre che nei fatti sarà single.
Perché allora non sostenere anche le adozioni per i single, una volta accertata la
motivazione, i mezzi e le capacità del potenziale genitore di assicurare una crescita
serena al bambino adottato?».
Martini: «Lei si pone domande serie e ragionevoli su un tema complesso, sul quale non ho
sufficiente esperienza. Ma penso che il punto di partenza è la condizione che lei esprime
in chiusura. Occorre cioè assicurare che chi si prende cura del bambino adottato abbia le
giuste motivazioni e abbia anche i mezzi e le capacità per assicurarne una crescita
serena.
Chi è in tale condizione? Certamente anzitutto una famiglia composta da un uomo e una
donna che abbiano saggezza e maturità e che possano assicurare una serie di relazioni
anche intrafamiliari atte a far crescere il bambino da tutti i punti di vista. In mancanza di ciò
è chiaro che anche altre persone, al limite anche i single, potrebbero dare di fatto alcune
garanzie essenziali.
Non mi chiuderei perciò a una sola possibilità, ma lascerei ai responsabili di vedere quale
è la migliore soluzione di fatto, qui e adesso, per questo bambino o bambina. Lo scopo è
di assicurare il massimo di condizioni favorevoli concretamente possibili. Perciò, quando è
data la possibilità di scegliere, occorre scegliere il meglio».
ABORTO
Marino: «Uno dei temi più difficili da affrontare, su cui ci si interroga in continuazione
proprio per la sua delicatezza e complessità, è l'aborto. In Italia, lo Stato ha regolato la
materia, sforzandosi di coniugare il principio dell'autodeterminazione delle donne con la
libertà di coscienza dei medici che possono scegliere l'obiezione.
In questi anni in Italia abbiamo potuto constatare gli effetti della legislazione sull'aborto.
Per quanto ciascuno di noi riconosca che l'aborto costituisce sempre una sconfitta,
nessuno può negare che la legge ha permesso di ridurre il numero complessivo degli
aborti e di tenere sotto controllo quelli clandestini, evitando di mettere a rischio la vita delle
donne esposte a gravi disastri come le perforazioni dell'utero fatte dalle "mammane" per
indurre l'aborto.
Di fronte a casi estremi come una donna che ha subito una violenza, una gravidanza in
un'adolescente di undici o dodici anni, una donna senza le possibilità economiche di
allevare un bambino, come si pone la Chiesa?
Se si ammette il principio della scelta del male minore e, come suggerisce la Chiesa
cattolica, quello di affidare la risposta all'intimo della propria coscienza (conscientia
perplexa: quella condizione in cui un uomo o una donna a volte si trovano ad affrontare
situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile la decisione), non sarebbe
eticamente corretto spiegare apertamente questo punto di vista? E sostenerlo anche
pubblicamente?».
Martini: «Il tema è molto doloroso e anche molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto
voler fare tutto quanto è possibile e ragionevole per difendere e salvare ogni vita umana.
Ma ciò non toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e
diversificate che possono verificarsi e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e
più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana.
Ma è importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il
principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella
visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio
promette all'uomo.
Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona. Anche chi non avesse questa
fede, potrebbe però comprendere l'importanza di questo fondamento per i credenti e il
bisogno comunque di avere delle ragioni di fondo per sostenere sempre e dovunque la
dignità della persona umana.
Le ragioni di fondo dei cristiani stanno nelle parole di Gesù, il quale affermava che "la vita
vale più del cibo e il corpo più del vestito" (cfr Matteo 6,25), ma esortava a non avere
paura "di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima" (cfr Mt
10,28).
La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto. Nel
vangelo secondo Giovanni Gesù proclama: "lo sono la risurrezione e la vita: chi crede in
me, anche se muore, vivrà" (Gv 6,25). E san Paolo aggiunge: "lo ritengo che le sofferenze
del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in
noi" (Rom 8, 18). V'è dunque una dignità dell'esistenza che non si limita alla sola vita
fisica, ma guarda alla vita eterna.
Ciò posto, mi sembra che anche su un tema doloroso come quello dell'aborto (che, come
lei dice, rappresenta sempre una sconfitta) sia difficile che uno Stato moderno non
intervenga almeno per impedire una situazione selvaggia e arbitraria. E mi sembra difficile
che, in situazioni come le nostre, lo Stato non possa non porre una differenza tra atti
punibili penalmente e atti che non è conveniente perseguire penalmente. Ciò non vuoi dire
affatto" licenza di uccidere", ma solo che lo Stato non si sente di intervenire in tutti i casi
possibili, ma si sforza di diminuire gli aborti, di impedirli con tutti i mezzi soprattutto dopo
qualche tempo dall'inizio della gravidanza, e si impegna a diminuire al possibile le cause
dell'aborto e a esigere delle precauzioni perché la donna che decidesse comunque di
compiere questo atto, in particolare nei tempi non punibili penalmente, non ne risulti
gravemente danneggiata nel fisico fino al pericolo di morte.
Ciò avviene in particolare, come lei ricorda, nel caso degli aborti clandestini, e quindi è
tutto sommato positivo che la legge abbia contribuito a ridurli e tendenzialmente a
eliminarli.
Comprendo che in Italia, con l'esistenza del Servizio Sanitario Nazionale, ciò comporta
una certa cooperazione delle strutture pubbliche all'aborto. Vedo tutta la difficoltà morale
di questa situazione, ma non saprei al momento che cosa suggerire, perché
probabilmente ogni soluzione che si volesse cercare comporterebbe degli aspetti negativi.
Per questo l'aborto è sempre qualcosa di drammatico, che non può in nessun modo
essere considerato come un rimedio per la sovrapopolazione, come mi pare avvenga in
certi paesi del mondo.
Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle situazioni limite,
dolorosissime anch'esse e forse rare, ma che possono presentarsi di fatto, in cui un feto
minaccia gravemente la vita della madre. In questi e simili casi mi pare che la teologia
morale da sempre ha sostenuto il principio della legittima difesa e del male minore, anche
se si tratta di una realtà che mostra la drammaticità e la fragilità della condizione umana.
Per questo la Chiesa ha anche dichiarato eroico ed esemplarmente evangelico il gesto di
quelle donne che hanno scelto di evitare qualunque danno recato alla nuova vita che
portano in seno, anche a costo di rimetterci la vita propria.
Non riesco invece ad applicare tale principio della legittima difesa e/o del male minore agli
altri casi estremi da lei ipotizzati, né mi avvarrei del principio della conscientia perplexa,
che non so bene che cosa significa.
Mi pare che anche nei casi in cui una donna non può, per diversi motivi, sostenere la cura
del suo bambino, non devono mancare altre istanze che si offrono per allevarlo e curarlo.
Ma in ogni caso ritengo che vada rispettata ogni persona che, magari dopo molta
riflessione e sofferenza, in questi casi estremi segue la sua coscienza, anche se si decide
per qualcosa che io non mi sento di approvare».
COMPENSI PER LA DONAZIONE DI ORGANI?
Marino: «C'è un argomento che mi tocca da vicino, dato che da più di venticinque anni mi
occupo di trapianti di organo. Grazie ai trapianti oggi migliaia di persone, altrimenti
destinate a morte certa, guariscono e conducono un'esistenza piena da tutti i punti di vista.
Il limite principale ad una maggiore diffusione di questa terapia è legato all'insufficiente
numero di donazioni e quindi di organi da trapiantare, e di conseguenza molte persone
muoiono in lista d'attesa.
Per aumentare il numero di donatori, in alcuni paesi e principalmente in Gran Bretagna, è
stata avanzata l'ipotesi di stabilire un compenso per le famiglie che accettano di donare gli
organi del proprio parente dopo la morte. Il dubbio è se sia eticamente corretto proporre
vantaggi materiali o denaro in cambio della donazione degli organi.
Si potrebbe in questo modo probabilmente aumentare il numero delle donazioni e dei
trapianti e rispondere così alle esigenze dei malati che attendono in lista un organo che
salverà loro la vita.
Eppure questa ipotesi contiene in se il presupposto per un comportamento non equo. Non
si rischia di instaurare una situazione in cui solo i meno abbienti, incentivati da un
compenso, saranno disposti a donare gli organi mentre i più ricchi si limiteranno a
riceverli? E la donazione, proprio in quanto tale, non dovrebbe sempre e solo basarsi sul
principio dell'uguaglianza? ».
Martini: «Personalmente sento molto ciò che lei afferma in conclusione, cioè l'importanza
del principio dell'uguaglianza e i pericoli gravissimi di una ipotesi di retribuzione per gli
organi. Mi pare che la strada è invece quella di propagandare il più possibile il principio
della donazione e far crescere la coscienza collettiva su questo punto. C'è davvero da
auspicare che non vi sia più chi muoia in lista d'attesa, mentre vi sono organi disponibili».
HIV E AIDS
Marino: «La questione dell'uguaglianza ci porta direttamente ad interrogarci su problemi e
malattie che affliggono milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto nei paesi più poveri
e svantaggiati per i quali l'idea di uguaglianza rimane un sogno molto lontano se non una
mera utopia.
Come non pensare subito all’Aids? Circa 42 milioni di persone nel mondo sono portatrici
del virus dell'Hiv. Nel solo 2005 secondo i dati riferiti dalle agenzie dell'Onu, 3 milioni di
persone sono morte di Aids mentre si sono registrati 5 milioni di nuovi infetti. Il 60 per
cento dei portatori del virus vive nei paesi più poveri dell'Africa Sub-Sahariana, con
un'incidenza media nella popolazione tra il 5 e il 10 per cento e punte che arrivano sino al
25-30 per cento in alcuni paesi come il Botswana o lo Zimbabwe.
L'Hiv è la piaga di un continente che genera non solo ammalati ma orfani, povertà,
impossibilità di migliorare le condizioni di vita. Nel mondo occidentale, oggi il virus viene
tenuto sotto controllo grazie ai progressi nelle terapie farmacologiche che permettono ad
un sieropositivo di condurre un'esistenza del tutto normale, con un'aspettativa di vita
paragonabile a quella delle persone non affette dal virus.
Fino a pochi anni fa, il costo annuale per i farmaci di una persona sieropositiva si aggirava
intorno a dieci mila euro, una cifra proibitiva che poteva essere sostenuta soltanto dai
paesi dove era presente un sistema sanitario nazionale. Oggi i prezzi, in regime di
concorrenza, hanno subito un crollo, fino ad attestarsi a metà 2003 su 700 euro per i
farmaci di marca (prodotti dalle multinazionali farmaceutiche) e intorno a 200 euro per i
generici di fabbricazione indiana, brasiliana e tailandese.
Nonostante questi importanti passi avanti, in molti paesi africani la spesa procapite in
sanità non supera i 10 dollari l'anno per cui, nei fatti, l'accesso ai farmaci e alle terapie per
contrastare l'Aids è negato e il virus continua a diffondersi.
Sappiamo che l'Aids si può in parte contrastare con la prevenzione e l'utilizzo dei
profilattici.
Come è accettabile non promuovere l'utilizzo del profilattico per contribuire a controllare la
diffusione del virus? È o non è un dovere dei governi fare scelte e prendere decisioni su
questo tema? E, rispetto alla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, non si tratterebbe
comunque di optare per un male minore e contribuire alla salvezza di tante vite umane?».
Martini: «Le cifre che lei cita destano smarrimento e desolazione. Nel nostro mondo
occidentale è assai difficile rendersi conto di quanto si soffra in certe nazioni. Avendole
visitate personalmente, sono stato testimone di questa sofferenza, sopportata per lo più
con grande dignità e quasi in silenzio.
Bisogna fare di tutto per contrastare l'Aids. Certamente l'uso del profilattico può costituire
in certe situazioni un male minore. C'è poi la situazione particolare di sposi uno dei quali è
affetto da Aids. Costui è obbligato a proteggere l'altro partner e questi pure deve potersi
proteggere.
Ma la questione è piuttosto se convenga che siano le autorità religiose a propagandare un
tale mezzo di difesa, quasi ritenendo che gli altri mezzi moralmente sostenibili, compresa
l'astinenza, vengano messi in secondo piano, mentre si rischia di promuovere un
atteggiamento irresponsabile.
Altro è dunque il principio del male minore, applicabile in tutti i casi previsti dalla dottrina
etica, altro è il soggetto cui tocca esprimere tali cose pubblicamente. Credo che la
prudenza e la considerazione delle diverse situazioni locali permetterà a ciascuno di
contribuire efficacemente alla lotta contro l'Aids senza con questo favorire i comportamenti
non responsabili».
LA FINE DELLA VITA
Martini: «Ma credo che è giunto il momento per il nostro dialogo di passare ad un'altra
serie di problemi che riguardano la vita, e precisamente quelli che si riferiscono alla fine di
essa. È necessario vivere con dignità, ma per questo morire anche con dignità. Ora, come
lei sa, qui si pongono, soprattutto in Occidente, problemi molto gravi».
Marino: «Lei pensa certamente anzitutto all'eutanasia, una parola attorno a cui si crea
sempre molta confusione attribuendole diversi significati. Per questo preferisco non
parlare in astratto, ma esprimermi in maniera molto concreta.
Si può o no ammettere che una persona induca volontariamente la morte di un'altra,
sebbene gravemente ammalata e in preda a dolori fisici devastanti, per alleviare questo
dolore?
Di fronte ad una situazione irreversibile in cui la morte è inevitabile, ritengo sia
assolutamente necessaria la somministrazione di farmaci come la morfina, che alleviano il
dolore e accompagnano il malato con maggiore tranquillità nel passaggio dalla vita alla
morte. È quanto viene fatto, in queste drammatiche circostanze, in tutte le rianimazioni
negli Stati Uniti. lo stesso, pur soffrendone perché un medico vorrebbe sempre poter
salvare la vita dei suoi pazienti, lavorando negli Stati Uniti ho deciso diverse volte di
sospendere tutte le terapie. È un momento doloroso per la famiglia e, le assicuro, anche
per il medico ma è una onesta accettazione che non si può fare più nulla se non evitare di
prolungare sofferenze inutili e lesive della dignità del paziente.
L'Italia è ancora gravemente carente in proposito, in assenza di una legge che
regolamenti la materia al punto che se io eseguissi lo stesso tipo di procedimento nel
nostro paese potrei essere arrestato e condannato per omicidio, mentre si tratta solo di
non accanirsi con terapie senza senso.
Non sono invece d'accordo nel somministrare una sostanza velenosa per provocare
l'arresto del cuore del malato e quindi indurre la morte. E, pur condannando il gesto, non
sono tuttavia certo che si possa condannare la persona che lo compie.
Faccio un esempio: in un recente film vincitore del premio Oscar, dal titolo "One Million
Dollar Baby", viene descritto il dramma di una donna ridotta in stato semivegetativo dopo
un grave incidente sportivo, che chiede ad un uomo, il suo principale punto di riferimento
nella vita, di aiutarla a porre fine alla sua sofferenza fisica e psicologica. L'uomo inizialmente rifiuta poi accetta perché ritiene che quello sia un atto d'amore estremo verso
l'essere umano a cui si tiene di più. Pur non riuscendo a giustificare l'idea della
soppressione di una vita, mi chiedo, in situazioni simili, come si può condannare il gesto di
una persona che agisce su richiesta di un ammalato e per puro sentimento d'amore? E
d'altra parte è lecito ammettere il principio di non condannare una persona che uccide?».
Martini: «Sono d'accordo con lei che non si può mai approvare il gesto di chi induce la
morte di altri, in particolare se è un medico, che ha come scopo la vita del malato e non la
morte.
Neppure io tuttavia vorrei condannare le persone che compiono un simile gesto su
richiesta di una persona ridotta agli estremi e per puro sentimento di altruismo, come pure
quelli che in condizioni fisiche e psichiche disastrose lo chiedono per sé. D'altra parte
ritengo che è importante distinguere bene gli atti che arrecano vita da quelli che arrecano
morte. Questi ultimi non possono mai esser approvati. Ritengo che su questo punto
debba sempre prevalere quel sentimento profondo di fiducia fondamentale nella vita che,
malgrado tutto, vede un senso in ogni momento dell'esistere umano, un senso che
nessuna circostanza per quanto avversa può distruggere. So tuttavia che si può giungere
a tentazioni di disperazione sul senso della vita e a ipotizzare il suicidio per sé o per altri,
e perciò prego anzitutto per me e poi per gli altri perché il Signore protegga ciascuno di
noi da queste terribili prove. In ogni caso è importantissimo lo star vicino ai malati gravi,
soprattutto nello stato terminale e far sentire loro che si vuole loro bene e che la loro
esistenza ha comunque un grande valore ed è aperta a una grande speranza. In questo
anche un medico ha una sua importante missione».
ACCANIMENTO TERAPEUTICO E INTERRUZIONE DELLE TERAPIE
Marino: «Connesso con questo tema è quello dell'accanimento terapeutico. La tecnologia
attuale è in grado di mantenere in vita malati che fino a pochi anni fa non venivano
nemmeno condotti in un reparto di rianimazione. Il progresso scientifico permette di
prolungare artificialmente anche la vita di una persona che ha perso ogni speranza di
ritrovare una condizione di salute accettabile. Per questo appare urgente affrontare il problema dell'interruzione delle terapie.
Ogni forma di accanimento terapeutico andrebbe evitata perché contrasta con il rispetto
della dignità umana.
Per la Chiesa, la sospensione delle terapie viene considerata come accettazione di un
fatto naturale, di non accanirsi più. Il Catechismo della Chiesa cattolica dice: "L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai
risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento
terapeutico.
Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni
devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da
coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli
interessi legittimi del paziente".
Esistono strumenti legali, come il testamento biologico, che permettono al singolo individuo
di indicare con precisione, e in un momento di tranquillità emotiva, fino a che punto si
desidera accettare il ricorso a terapie straordinarie.
Il testamento biologico rappresenta uno strumento molto valido per aiutare il medico e la
famiglia a prendere la decisione finale. Dovrebbe basarsi su regole flessibili e indicare
anche una persona di fiducia in grado di interpretare le volontà di quell'individuo tenendo
conto degli ulteriori progressi della scienza.
Molti paesi lo hanno adottato con buoni risultati. In Italia un disegno di legge è stato
presentato al Senato da molto tempo ma attende ancora di essere discusso.
Non sarebbe il momento di avviare una riflessione seria e condivisa per introdurre al più
presto anche nel nostro paese una legislazione in merito alla fine della vita, cioè a uno dei
momenti più importanti della nostra esistenza?».
Martini: «Il testo da lei citato del Catechismo della Chiesa cattolica mi pare esauriente al
proposito. Se si volesse legiferare su questo punto è però importante che non si
introducano aperture alla cosiddetta eutanasia di cui abbiamo parlato sopra. Per questo
sono incerto anche sullo strumento del testamento biologico.
Non ho studiato l'argomento e non saprei dare un parere decisivo. Ritengo con lei che una
riflessione seria e condivisa sulla fine della vita potrebbe essere utile, purché sia appunto
seria e condivisa e non si presti a speculazioni di parte e soprattutto non introduca in
qualche modo aperture a quella decisione sulla propria morte che ripugna al senso
profondo del bene della vita, come sopra si è detto».
LA SCIENZA E IL SENSO DEL LIMITE
Marino: «In conclusione, vorrei proporre una riflessione più generale. La conoscenza, il
progresso scientifico, l'avanzamento tecnologico creano straordinarie opportunità di
crescita per il nostro pianeta ma allo stesso tempo mettono nelle mani di ricercatori e
scienziati un grande potere, legato al fatto di essere in grado di intervenire sui meccanismi
che regolano l'inizio della vita e la sua fine. La scienza corre più veloce del resto della
società e anche dei parlamenti, incaricati di fissare delle regole ma il più delle volte
incapaci di intervenire tempestivamente.
A mio modo di vedere andrebbe richiesta con fermezza un'assunzione di responsabilità da
parte di ogni scienziato coinvolto in un campo della ricerca che interviene sull'essenza
della vita, sulla sua creazione e sulla sua fine. Fermo restando che la valutazione
razionale è indispensabile, l'arbitrio del ricercatore dovrebbe essere disciplinato anche dal
senso di responsabilità bilanciato dalla valutazione dei rischi e delle conseguenze.
Non si tratta di appellarsi alla fede o alla religione ma di puntare su una presa di coscienza
da parte di ogni scienziato. Questo non significa voler arrestare il progresso scientifico ma
preservare e rispettare il nostro bene più prezioso, ovvero la vita.
Ma la storia purtroppo ci insegna che l'appello alla responsabilità individuale a volte non
basta. Per questo gli scienziati devono fornire ogni informazione utile e alla fine
dovrebbero essere i parlamenti, o meglio le istituzioni sovranazionali, a fissare le regole
sulla base del comune sentire dei cittadini».
Martini: «Tutti siamo pieni di meraviglia e di stupore, e quindi anche grati a Dio, per il
formidabile progresso scientifico e tecnologico di questi anni che permette e permetterà
sempre più e meglio di provvedere alla salute della gente. Insieme siamo consci, come lei
dice, del grande potere che è nelle mani di ricercatori e di scienziati e della ferma
assunzione di responsabilità che deve permettere ad essi di ricercare sempre valutando i
rischi e le conseguenze delle loro azioni. Esse devono sempre contribuire al bene della
vita e mai al contrario.
Per questo occorre anche talora sapersi fermare, non varcare il limite. lo sono inclinato a
nutrire fiducia nel senso di responsabilità di questi uomini e vorrei che avessero quella
libertà di ricerca e di proposta che permette l'avanzamento della scienza e della tecnica,
rispettando insieme i parametri invalicabili della dignità di ogni esistenza umana. So anche
che non si può fermare il progresso scientifico, ma lo si può aiutare ad essere sempre più
responsabile.
Come lei dice, non si tratta di appellarsi alla fede o alla religione, ma di puntare sul senso
etico che ciascuno ha dentro di sé. Certamente anche leggi buone e tempestive possono
aiutare, ma come lei afferma, la scienza corre oggi più veloce dei parlamenti. Si esige
quindi un soprassalto di coscienza e un di più di buona volontà per far sì che l'uomo non
divori l'uomo, ma lo serva e lo promuova.
Anche le istituzioni sovranazionali debbono prender coscienza del pericolo che tutti
corriamo e del bisogno di interventi tempestivi e responsabili. In tutta questa materia
occorre che ciascuno faccia la sua parte: gli scienziati, i tecnici, le università e i centri di
ricerca, i politici, i governi e i parlamenti, l'opinione pubblica e anche le chiese.
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, vorrei sottolineare soprattutto il suo compito
formativo. Essa è chiamata a formare le coscienze, a insegnare il discernimento del
meglio in ogni occasione, a dare le motivazioni profonde per le azioni buone.
A mio avviso non serviranno tanto i divieti e i no, soprattutto se prematuri, anche se
bisognerà qualche volta saperli dire. Ma servirà soprattutto una formazione della mente e
del cuore a rispettare, amare e servire la dignità della persona in ogni sua manifestazione,
con la certezza che ogni essere umano è destinato a partecipare alla pienezza della vita
divina e che questo può richiedere anche sacrifici e rinunce. Non si tratta di oscillare tra
rigorismo e lassismo, ma di dare le motivazioni spirituali che inducono ad amare il
prossimo come se stessi, anzi come Dio ci ha amato e anche a rispettare e ad amare il
nostro corpo.
Come afferma san Paolo, il corpo è per il Signore e il Signore è per il corpo. Il nostro corpo
è tempio dello Spirito Santo che è in noi e che abbiamo da Dio: perciò non apparteniamo a
noi stessi e siamo chiamati a glorificare Dio nel nostro corpo, cioè nella totalità della nostra
esistenza su questa terra (cfr. l Cor 6,13.19-20) ».
Commento. Dopo la pubblicazione del colloquio fra il cardinale Carlo Maria Martini e lo
scienziato Ignazio Marino, pubblicato sul settimanale l'Espresso di questa settimana con il
titolo "Dialogo sulla vita", mons. Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la
vita, ha dichiarato: "Condivido l'istanza di comprensione evangelica che ispira le parole del
cardinale Martini verso chi abbia commesso per pietà atti di eutanasia chiesti da un
parente. Anche la depenalizzazione di certi atti potrà essere considerata e raccomandata
dalla legge umana, ma l'atto in sè dell'interruzione volontaria della vita è e rimane
moralmente negativo e chi veramente vuole il bene del prossimo fa di tutto per risparmiare
e prevenire tali eventi".
Su “La Repubblica” di domenica 23 aprile si legge che il cardinale messicano Javier
Lozano Barragàn, ministro della salute della santa sede, dopo le riflessioni del cardinale
Martini ha dichiarato: “Presto il Vaticano pubblicherà un documento sull’uso dei condom
da parte di persone affette da malattie gravi, a partire dall’Aids”.
Siamo ancora lontani dalla direzione giusta, ma è pur sempre una prima, piccola
correzione di rotta. Che sia dovuta al vento che è cambiato? (gps)
330 - EQUINOZIO D’AUTUNNO - DI URBANO CIPRIANI
Firenze, Rifredi, venerdi 24 marzo 2006. Presso il cinema “Nuovo sentiero” viene
proiettato “Equinozio d’autunno”, un “evento socio culturale inerente a dibattito su
tematiche di degenza ospedaliera in condizioni di coma e discussione su pratica
dell’eutanasia”. Così è scritto nell’invito mandato a Libera Uscita.
Produttori un gruppo di giovani che sono al loro primo cortometraggio proiettato su grande
schermo. Sono presenti tutti i componenti del cast, insieme ad amici e conoscenti. I posti a
sedere della sala (accogliente e spaziosa) sono occupati per i due terzi. Mi trovo in mezzo
a giovani. I più anziani sono il sottoscritto e un buon vecchio signore dall’aria modesta ed
acquiescente che poi viene presentato come un medico (pediatra in pensione) del
movimento per la vita a fronte di me rappresentante dell’associazione per l’eutanasia. Di
fronte a lui io rappresento il movimento… per la morte? “Per la buona morte”, cercherò di
dire in apertura del discorso.
Pensieri non espressi in sala sono riaffiorati nel mio cervello:
Primo: il ricordo di quando in collegio dai salesiani, a Strada in Casentino, Provincia di
Arezzo, ( i tedeschi ancora nell’Italia del Nord), i buoni padri ci facevano fare “l’esercizio
della buona morte”: quando i miei capelli bagnati dal sudore della morte, sollevandosi sulla
mia testa, annunzieranno prossimo il mio fine, misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
Quando le mie labbra pallide e livide ispireranno agli astanti la compassione e il terrore,
misericordioso Gesù abbiate pietà di me…Il libretto di meditazione si intitolava “Il giovane
provveduto” e risaliva direttamente a Don Bosco. Questa era la buona morte.
Secondo: le parole di Philip Dick: “Lo strumento base per camuffare la realtà consiste nel
camuffare le parole. Se tu puoi controllare il significato di una parola tu puoi controllare
coloro che devono usare queste parole.”
Eviterò lo scontro, mi comporterò come un buon santo laico, paziente e tollerante.
Ma non ce n’è stato bisogno. La sala è piena di giovani e la tesi del filmato è favorevole
all’eutanasia… di Terry Schiavo, a cui il film nei titoli di coda era dedicato.
In sala nessuno sapeva di Eluana Englaro. Mi sono congratulato con i giovani protagonisti
per aver scelto un tema così impegnativo e poco allettante…Quanto al fatto che solo Terry
faccia notizia e non Eluana, ho sommessamente osservato quanto l’Italia in questo
momento sia una colonia dell’Impero americano e quanto la cappa mediatica delle nostre
antenne TV riesca a oscurare permanentemente da troppo tempo “il bel cielo d’Italia”.
Ci hanno messo in mano un cannocchiale che ci fa vedere le cose lontane e ci nasconde
quelle vicine.
Nel filmato si vede la ragazza (Eliana) in coma nel suo letto d’ospedale in seguito ad un
incidente stradale che si stacca dal lettino con un effetto di dissolvenza (v. Le Invasioni
barbariche), percorre non vista i corridoi, esce sul viale sottostante, incontra la sua alter
ego che gli ricorda il suo diritto inalienabile di scegliere tra il coma permanente e
l’eutanasia volontaria.
Nel prendere la parola dopo il movimento per la vita, anch’io ho evocato Eluana dal suo
letto d’ospedale di Lecco, l’ho presentata agli astanti nella sua situazione di interminabile
tortura e, sostituendomi al padre Beppino Englaro, ho denunciato l’ignominia della nostra
società, il groviglio di omertà di tutti noi che teniamo Eluana da 14 anni su un letto di
contenzione, vittima sacrificale ai nostri complessi di colpa per la correità diretta e indiretta
con tutte le forme di violenza che nel mondo d’oggi ci garantiscono la situazione di
privilegio in cui viviamo…(beh, nel contesto colloquiale della sala il tono delle parole è
stato meno aggressivo, ma la sostanza c’è).
In positivo ho ricordato i passi avanti fatti qui in Toscana sul versante della terapia del
dolore, effetto collaterale indiretto ma efficace della “minacciosa” nostra richiesta di
eutanasia…Pur ricordando che siamo tra i pochi in Europa a non dotare il kit delle squadre
di pronto soccorso con una fiala di morfina.
La potenza negativa dell’ideologia è venuta fuori quando il mio buon interlocutore medico,
pur dovendo riconoscere l’art. 3 della Convenzione di Oviedo che legittima le disposizioni
anticipate, ha avuto da dire che anche quelle sono discutibili: quello che il testamentario
ha scritto non ha valore se non porta una data molto recente, perché nel frattempo
potrebbe aver cambiato idea. D’altronde la tentazione suicida troppo spesso è frutto di uno
stato di depressione alla quale si può e si deve porre rimedio circondando il malato di cure
e di affetto, evitando la soluzione del cronicario, mettendo in atto tutte le terapie
antidolore… Perché nessuno ha mai visto una persona desiderare di morire…
A tutto c’è rimedio, ma senza interrompere il dono meraviglioso che è la vita umana.
Ne consegue che l’eutanasia non si può mai accettare.
Insomma l’ultima parola spetta al nostro angelo custode. Per il bene di tutti, nessuno di noi
può ancora decidere di se stesso.
Nel momento in cui termino questi appunti, a conferma della nostra situazione coloniale,
trovo nella newsletter di oggi 28 febbraio 2006 la notizia: Terri voleva morire così.
"Per 15 anni un sacco di gente ha parlato di me senza conoscermi. Adesso è il mio turno".
Michael Schiavo era il marito di Terri, la donna che un anno fa morì 13 giorni dopo che i
medici le avevano staccato - per ordine del tribunale - il tubicino di alimentazione forzata
che da 15 anni la teneva in vita in stato vegetativo. A un anno esatto di distanza il "caso
Terri Schiavo" - che nella primavera 2005 appassionò e divise l'America per intere
settimane - riesplode sotto forma di due libri: “Terri: the truth” (Terri, la verità) - da ieri nelle
librerie – scritto dal marito; e “A life that matters” (La vita che conta) – che esce oggi scritto da Bob e Mary Schindler, i genitori di Terri.
331 - SCAMBIO DI MESSAGGI CON SOPHIE IN’T VELD
Dopo la trasmissione “otto e mezzo” del 23 marzo scorso dedicata all’eutanasia,
LiberaUscita ha inviato alla europarlamentare olandese Sophie In’t Veld il comunicato
diramato nell’occasione (vedi IL PUNTO n. 22), accompagnato dal seguente messaggio
“Cara Sophie, ti invio per conoscenza il comunicato che la nostra associazione ha inviato
oggi a tutti i soci e simpatizzanti. Abbiamo visto la trasmissione TV "Otto e mezzo": grazie
per aver accettato di partecipare e per aver spiegato le vere ragioni che hanno indotto
l'Olanda ad autorizzare l'esperimento di Groningen. Cordiali saluti. Giampietro Sestini”
Sophie ci ha risposto così:
“Caro Giampiero,
Per mezzo di questo messaggio vorrei ringraziare per i tantissimi complimenti e messaggi
di sostegno in seguito alla trasmissione "8 e mezzo" sull'eutanasia in Olanda. Purtroppo è
impossibile ringraziare tutte e tutti personalmente ed individualmente.
Il dibattito sulla legge su l'eutanasia in Olanda si è fatto per molti anni, considerando con
grande cura tutti gli elementi e punti di vista diversi. La discussione continua ancora su
varii aspetti della questione.
Le reazioni alla trasmissione dimostrano che c'è un grande bisogno - in Italia come al
livello europeo - di un dibattito pubblico su queste difficili questioni etiche. Lo scambio di
opinioni ed di esperienza sarà molto utile.
Sophie In't Veld
Member of the European Parliament
D66 / ALDE Group - Wiertzstraat 60 - ASP 10 G 157
tel:+32 2 284 7796, fax: +32 2 284 9796 - www.sophieintveld.nl - [email protected]”
332 - DIBATTITO SUL SUICIDIO ASSISTITO
Da: Associazione Libera uscita <[email protected]>
A: [email protected]
Data: martedì 18 aprile 2006 2.23.54
Oggetto: Suicidio assistito anche per malati mentali?
Cari amici, come ben sapete, la nostra associazione sostiene la depenalizzazione
dell'eutanasia, cosidetta attiva, a tre precise condizioni:
a) la persona si trovi in uno stato di malattia terminale, patologico o accidentale
gravemente invalidante e irreversibile, causa di sofferenze fisiche o psichiche
insopportabili e senza prospettive di miglioramento;
b) la persona, in piena autonomia e libertà, abbia chiesto espressamente, in modo
ponderato e reiterato, di morire;
c) la persona, al momento della richiesta, sia pienamente capace di intendere e di volere.
Ciò premesso, sosteniamo anche la legalizzazione del testamento biologico, con ciò
ritenendo che la "capacità di intendere e volere" può sussistere anche al momento della
sottoscrizione dello stesso.
Poi abbiamo appreso della sperimentazione a Groningen dell'eutanasia su bambini, ossia
su persone certamente affette delle patologie di cui al punto a), ma non in grado di
intendere e volere. Su questo aspetto, che apre la strada al principio del "mercy killing"
(uccisione per misericordia), è iniziato un dibattito nell'associazione, che dovrà trovare
una sintesi prima della ripresentazione della nostra proposta di legge nella prossima
legislatura. Sempre sperando di non scontrarci con un'opposizione preconcetta, come
accaduto nella attuale legislatura, ormai terminata.
Ora si profila il caso di persone capaci, sia pure temporaneamente, di intendere e di volere
ma non affette da patologie indicate al punto a). Si tratta di persone malate mentalmente
(es: Alzheimer) o in depressione acuta e prolungata. Per introdurre un dibattito
sull'argomento, che si richiama al principio della "autodeterminazione" della persona
umana, mi permetto di inviarvi un articolo pubblicato su The Sunday Times del 16 aprile
scorso.
Considerato che le decisioni dovranno essere assunte dal Comitato Direttivo, saremo grati
ai singoli soci e simpatizzanti se vorranno inviarci la loro opinione su ambedue gli
argomenti.
Cordiali saluti
Giampietro Sestini
SUICIDIO ASSISTITO ANCHE PER MALATI MENTALI?
di Daniel Foggo – da: The Sunday Times - 16 aprile 2006
Ludwig Minelli, fondatore della clinica “Dignitas” di Zurigo, intende aprire una catena di
cliniche di alto livello per concludere la vita delle persone con malattie mentali quale la
depressione cronica.
"Non diciamo mai no," dice Minelli in un'intervista su Sunday Times Magazine di oggi 16
aprile 2006, "Anche quelli che soffrono di Alzheimer hanno momenti di lucidità in cui
possono scegliere di morire una volta raggiunto un certo punto, ad esempio quando non
possono più riconoscere i loro bambini." Aggiunge che potrebbe aiutare a morire chi sia in
stato di depressione clinicamente riconosciuta per 10-12 anni, ma non coloro che stanno
soffrendo per una depressione transitoria anche se acuta.
Le dichiarazioni del Minelli hanno fatto arrabbiare gli avversari, che temono ora che un
maggior numero di inglesi si recheranno in Svizzera per concludere la loro vita. Il suicidio
assistito è illegale in Gran Bretagna, anche se una proposta di legge che consente ai
malati terminali di porre fine alla propria vita è in seconda lettura alla Camera dei Lords il
mese prossimo.
I programmi del Minelli, tuttavia, vanno oltre la portata della legge. Egli insiste che i malati
mentali hanno gli stessi diritti di quelli con malattie terminali di scegliere come morire.
"l'idea di essere malato terminale come condizione per il suicidio assistito è un’ossessione
britannica" ha detto. "Dobbiamo aprire centri consultivi in cui la gente possa discutere
apertamente i problemi e chiedere il parere circa i metodi ed i rischi, senza il timore di
perdere la loro libertà perchè stanno in una istituzione pubblica. Questi centri possono
essere credibili soltanto se offrono il suicidio assistito."
Il dott Peter Saunders, segretario generale del “Fellowship medico cristiano”, afferma:
"Minelli non capisce che tentare il suicidio è una richiesta di aiuto. Una volta che le
esigenze fisiche e psico-spirituali hanno una risposta il desiderio del suicidio tende ad
scomparire. E’ ridicolo affermare che un malato di Alzheimer, che non può ricordarsi dopo
due minuti che cosa gli hanno detto, possa avere la capacità di capire e pesare una
decisione sul suicidio. Il potenziale di abusi è orrendo."
I dati pubblicati nell'ultima settimana hanno evidenziato che 5.755 persone si sono uccise
nel 2003, un livello più basso dei precedenti. La riduzione è stata più rapida fra i giovani,
storicamente il gruppo più vulnerabile. Malgrado questo, è poco ciò che le autorità
britanniche possono fare per bloccare la gente che si reca in Svizzera per fruire dei servizi
del dr. Minelli, anche se chi li aiuta potrebbe incorrere in azioni giudiziarie.
Un GP, Michael Irwin, è stato fermato ed è stato interrogato dalla polizia dopo aver
ammesso di aver tentato di aiutare a morire un amico malato terminale in Gran-Bretagna.
Inoltre ha aiutato altre cinque persone a mettersi in contatto con Dignitas per morire in
Svizzera.
Da quando è stata istituita nel 1998, Dignitas ha assistito al suicidio di più di 450 persone,
di cui 42 cittadini del Regno Unito. Il caso più recente è stata la dr. Anne Turner di Bath,
morta a Zurigo in gennaio. Dignitas può funzionare perché il sistema legislativo svizzero
consente di aiutare la gente ad uccidersi. La legge in Inghilterra e nel Galles prevede
invece che lo stesso sia atto punibile fino a 14 anni di carcere. La maggior parte dei soci
di Dignitas erano malati terminali, ma ci sono stati anche casi isolati di persone non
malate terminali che sono state aiutate a morire. Nel 2003 Jennifer e Robert Stokes,
entrambi sofferenti di depressione, sono morti ognuno nelle braccia dell’altro dopo essere
andati alla clinica per uccidersi. Minelli, 74 anni, ha ammesso che nessuno dei due era
malato terminale ma ha affermato che la legge britannica non potrebbe perseguirlo
perché nessuno dei suoi assistenti ne darebbe mai la prova.
La necessità per i cittadini britannici malati terminali di andare a morire in Svizzera
sarebbe eliminata se la proposta di Lord Joffe per l’assistenza al suicidio venisse
approvata. Lord Joffe ha detto: "posso assicurare che preferirei che [la nuova] legge sia
applicata anche a pazienti non ancora malati terminali ma che stanno soffrendo
insopportabilmente" ma ha aggiunto: "credo che questa legge dovrebbe inizialmente
essere limitata."
Il dr. Brian Iddon, MP di Sud-Est Bolton e presidente dell’alleanza “curare non uccidere”,
costituita per opporsi alla legge Joffe, ha dichiarato: "mettere a morte delle persone che
sono mentalmente malate solo perchè sono mentalmente malate è ripugnante."
Baroness Finlay of Llandaff, consulente in cure palliative che siede nel Comitato ristretto
della Camera dei Lord che esamina la proposta di legge Joffe, dice: "sappiamo dagli
psichiatri che esistono persone che tentano il suicidio e che anni dopo sono realmente
felici di non esserci riusciti."
“Dignity in dying”, il gruppo pro eutanasia già conosciuto come “Associazione per
l’eutanasia volontaria”, ha aggiunto che non potrebbe approvare i punti di vista di Minelli.
"Stiamo facendo una campagna a nome di quanti sono malati terminali e mentalmente
capaci" ha detto un portavoce "in questo senso potete stare sicuri che non si sta
nuocendo alla gente vulnerabile."
Da: alessandro capece <[email protected]>
A: Associazione Libera uscita <[email protected]>
Data: martedì 18 aprile 2006 - 9.33.00
Oggetto: Opinione su legge eutanasia
Per poter beneficiare del suicidio assistito deve bastare che la volontà del sofferente sia
chiaramente espressa.
Sulle condizioni del sofferente e la sua capacità di intendere e di volere si potrebbero
facilmente inserire gli oscurantisti per insinuare dubbi e sollevare eccezioni, in modo da
rinviare all'infinito la decisione e prolungare le sofferenze dello sventurato "oggetto del
dibattito", che è poi l'obiettivo dei sadico-sofisti.
La stragrande maggioranza degli italiani è favorevole al suicidio assistito. Perciò diamoci
sotto. Gruppi parlamentari e approvazione della legge con assistenza esterna dei
sostenitori a tamburo battente. Se il dibattito parlamentare ristagna, raccolta firma e
referendum propositivo.
Il ferro si batte quando è caldo. Ora o mai più. Ce la faremo certamente entro il 2006.
Alessandro Capece
Da: franco.toscani1 <[email protected]>
A: "Associazione Libera uscita" <[email protected]>
Data: martedì 18 aprile 2006 -10.52.05
Oggetto: Suicidio assistito anche per malati mentali?
Carissimi,
la discussione è senz'altro importante e delicata, e credo sia opportuno sottolineare alcuni
punti che forse rischiano di essere travisati.
Innanzitutto, la natura terminale o meno della malattia di Alzheimer, e delle altre demenze
evolutive senili. Queste non sono semplici (anche se gravissimi) disturbi psichici, sono
delle malattie terminali. Ciò è sottolineato da tutto il mondo scientifico, che denuncia il fatto
che, pur essendo appunto terminali, questa loro natura non viene in genere riconosciuta,
tanto da non inserire questi malati in programmi di cure palliative, ma anzi, da sottoporli ad
inaccettabili trattamenti di sostegno vitale (accanimento terapeutico), quali nutrizione
artificiale, antibioticoterapie, ecc.(se necessario vi potrò fornire bibliografia e spiegazioni
più approfondite). Il problema è che, a differenza del cancro, la fase terminale può durare
anche una decina di anni. Le demenze gravi, quindi, inducono a riflettere quanto sia
scorretto basare esplicitamente o implicitamente la definizione di "terminalità" su elementi
temporali. Ovviamente ciò comporta nuovi problemi, quali ad esempio la "competence"
che nel cancro spesso viene conservata fino QUASI alla fine (nelle fasi finali la
maggioranza è comatosa, soporosa, in delirio ecc.), mentre nelle demenze si perde molto
prima.
Un'altro pregiudizio da sfatare è che il demente grave non soffra: il fatto che dimentichi
rapidamente quanto gli succede non comporta il non percepire dolore e sofferenza.
Un'osservazione tragica, spesso riportata in letteratura è la seguente: il malato di demenza
grave perde progressivamente ogni capacità: di ricordare, di capire, di relazionare, di
muoversi autonomamente, di alimentarsi, ecc, MA non perde la capacità di soffrire,
almeno fino a stadi tanto avanzati da comportare, come dello stato vegetativo
permanente, la quasi totale distruzione della corteccia cerebrale.
Personalmente anch'io ritengo che un elemento importante per rendere lecita l'eutanasia
sia la richiesta consapevole del malato, ma in questo caso bisognerebbe accettare e
raccogliere gli orientamenti e le decisioni del soggetto all'inizio della malattia, quando è
ancora in grado di scegliere (potrebbe scegliere di morire lasciando ai medici il giudizio: ad
esempio, quando le mie condizioni lascino supporre la perdita totale di
piacere/serenità/ecc, e/o quando lasciassero supporre sofferenza).. Il fatto che in seguito
tale richiesta non venga più espressa non è un buon argomento per negargli una morte
dignitosa: allora bisognerebbe ammettere che la sospensione delle terapie salva-vita valga
solo fino a che il malato è in grado di chiederla: poi, quando entra in coma, non
richiedendola più, gli si potrebbe "saltare addosso" con ogni sorta di trattamenti!!
Personalmente, non ho alcuna obiezione nemmeno al suicidio di persone con grave
depressione non responsiva ai trattamenti farmacologici: la depressione è una malattia
terrificante, della quale il suicido è probabilmente la fine naturale.
Sul fatto che quando uno chiede di morire vuol dire che chiede di essere aiutato, è spesso
vero, ma non sempre, e non è poi cosi' difficile capire quando non lo è.
Sul fatto che chi è stato sottratto al suicidio spesso a distanza di tempo se ne rallegra, bè,
bisogna vedere il motivo, la circostanza che lo avevano indotto, e soprattutto conoscere
cosa è poi cambiato nella sua vita. Non è un argomento accettabile: allora bisognerebbe
obbligare i Testimoni di geova alle trasfusioni perchè, poi, si rallegrerebbero di essere
ancora vivi!
Sulla eutanasia ai neonati con gravissime malformazioni, invece, credo si dovrebbe
essere prudenti, perchè in questi casi la decisione è di altri - dei genitori - che possono
essere condizionati da valutazioni sulla LORO sofferenza più che su quella del bambino.
Ci sono patologie che certamente, a mio avviso, giustificano una soppressione, quali la
spina bifida, l'anencefalia, l'atresia del tubo digerente, ma bisognerebbe stare attenti
perchè altre patologie potrebbero essere giudicate "eutanasizzabili" solo per pregiudizio.
Un bambino Down non è di natura sua un "infelice" ma lo può diventare in un contesto che
lo emargina. In questo caso la tentazione eugenetica potrebbe essere di fatto presente.
Saluti,
Franco Toscani
Da: Giuliano degli Antoni <[email protected]>
A: <[email protected]>
Data: mercoledì 19 aprile 2006 -11.39.18
Oggetto: quesito
La mail del Sig. Sestini merita tutta la nostra attenzione e il nostro impegno perchè,
sempre che non avvenga un qualche colpo di coda (è un semplice modo di dire, non un
riferimento a coccodrilli, alligatori e rettili vari), sono finite le vacanze, elettorali, pasquali, e
speriamo anche quelle di governo, e quindi bisogna tornare alla realtà delle cose da fare,
dell'economia, del lavoro, della scuola, della ricerca, dei poveri, degli immigrati (tutti
uomini. della famiglia umana. con o senza permesso di soggiorno); bisognerà rimboccarsi
le maniche, non aver paura di sporcarsi le mani, non temere qualche schizzo,e cercare
seriamente di por fine a questa quasi totale deriva cui ci ha ridotto dopo 5 anni un governo
indecoroso e populista.
Quindi torniamo anche alle cose che ci interessano di più e che più muovono la nostra
sensibilità di cittadini, e cittadini di LiberaUscita. Il Sig. Sestini doverosamente ci rende
conto delle difficoltà emerse dallo"scontro con un'opposizione preconcetta" nella ormai
deceduta legislatura. certamente viene in bocca il sapore amaro a ripensare a certe
posizioni "oltranziste" di certi "moderati": ciononostante guardiamo orgogliosi al fatto che
uno dei nostri temi fondamentali viene ripreso in pieno nel programma di governo
dell'Unione: parlo del Testamento biologico, che nella presentazioine di legge del
Deputato On. Benvenuto presenta il titolo "Disposizioni in materia di Dichiarazione
anticipata di volontà sui trattamenti sanitari". L'Unione ne parla nel suo programma nel
capitolo "I nuovi diritti" al capoverso "tutelare chi soffre" pag 71 e testualmente dice:"
Vogliamo costruire un sistema di garanzie per la persona malata, che abbia come
premessa il consenso informato e l'autodeterminazione del paziente, garantendo a tutti i
cittadini le cure palliative e tutte le terapie del dolore disponibili. Tra queste garanzie il
rifiuto dell'accanimento terapeutico e del dolore non necessario.Lo strumento più efficace
per rendere effettivo questo diritto è la Dichiarazione anticipata di volontà ( o Testamento
biologico) secondo quanto indicato nelle raccomandazioni bioetiche conclusive...".
applaudo il fatto che nel programma dello schieramento vincente le elezioni sia prevista la
realizzazione di una legge, o meglio di un insieme di leggi, che dovrebbero regolare la
Dichiarazione Anticipata di Volontà. osserviamo, en passant, che le cose non saranno così
facili come sembra: durante la fase di estensione materiale della/e legge/i secondo me si
ripresenteranno difficoltà. e questo perchè le proposizioni riportate e che portano la firma
impegnativa dei leaders dei partiti facenti parte dell'Unione, sono volontariamente vaghe e
non affrontano in nessun senso i momenti topici della proposta di legge a suo tempo
presentata , 30.06.2003, e che è stata senz'altro presa in esame dalla Commisione
Nazionale di Bioetica ( d'ora in poi CNB) nel formulare la sua Opinione del 18.03.2003
citata esplicitamente nel capitoletto sul Testamento Biologico facente parte del programma
dell'Unione. a mio avviso i punti che potrebbero essere oggetto di controversia, viste le
posizioni fin qui esplicitate dalle componenti politiche sull'argomento e più in generale sugli
argomenti passibili di controversie in materia di bioetica, sono tre . e precisamente :
1) il secondo comma dell'art 2. dove viene preso in considerazione il concetto di durata del
Testamento e della sua "attualità"
2) il punto b del primo comma dell'art 1. quando parla della volontà di non essere
sottoposti ad alimentazione e idratazione forzate.
3) il comma due dell'art 1. quando prende in considerazione la figura del "fiduciario".
anche se poi ripresa nell'art 4 come oggetto di decisione del giudice tutelare.
1) questo punto è uno dei più discussi soprattutto su basi divulgative e "terroristiche" da
coloro che osteggiano il Testamento: dicono infatti, e molti media hanno fatto da gran
cassa, che non è giusto che uno stabilisca in anticipo quello cui non vuole essere
sottoposto perchè o potrebbe cambiare idea, oppure nel tempo durante il quale il
soggetto è incapace di intendere la scienza medica potrebbe aver fatto significativi
progressi nel campo della patologia invalidante del soggetto in questione. a questa banale
osservazione si è risposto, anzi risponde la stessa CNB ai punti 7 ed 8 della relazione
citata, fondamentalmente con una considerazione e cioè che un soggetto debitamente
informato ed invitato a riflettere su ogni, ripeto ogni, rischio implicito nella scelta che sta
per intraprendere, qualora confermasse la sua ferma volontà di redigere il suo Testamento
biologico, "...con la sua firma manifesterebbe senza equivoci l'intenzione di assumersi
personalmente e pienamente almeno sul piano etico, tale rischio... trattandosi di un
soggetto maggiorenne, autonomo, informato e capace di intendere e di volere......non si
vede perchè il rischio che egli coscientemente deciderebbe di correre dovrebbe operare
nel senso di togliere validità alle sue indicazioni". queste considerazioni hanno implicite il
concetto di "attualità" del Testamento: inteso come volontà da eseguire se riguardano solo
una situazione instauratasi immediatamente dopo la stesura delle volontà stesse: ma si
può logicamente obbiettare che il concetto di "attualità" esprime un requisito logico e non
strettamente temporale, inoltre il diritto positivo ha già da tempo preso in considerazione
l'accettazione delle volontà espresse, anticipatamente al momento topico, dal soggetto
nelle sue piene facoltà: esmpio la legge sui trapianti di organi del 1999.
questa posizione però è anche premessa per la considerazione sul vincolo che le decisioni
dell'estensore del Testamento avrebbe sulle competenze del terapeuta. anche qui la CNB
mi pare affronti abbastanza bene l'argomento esprimendo il concetto del carattere "non
assolutamente vincolante" nè "meramente indicativo" delle volontà del paziente. vale a
dire che il carattere non assolutamente vincolante nè meramente indicativo delle volontà
del paziente non costituiscono una violazione della sua autonomia, anzi essa vi esprime
tutta la sua importanza: il medico non deve seguire automaticamente i desideri del
paziente ma ha l'obbligo di valutarne l'attualità in relazione alla situazione clinica
presentatasi e agli sviluppi della medicina e della farmacologia eventualmente avvenuti nel
lasso di tempo trascorso tra l'estensione delle volontà e la necessità di applicarle. questo
anche in linea con l'art 9 della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina che
recita."...tenere in considerazione i desideri precedentemente espressi non significa che
essi debbano essere necessariamente eseguiti.". non a caso viene usato il termine
"desideri", tradotto dall'originale esteso in francese che dice:"les souhaits prècèdemment
exprimès au sujet d'une intervention medicale par un patient qui, au moment de
l'interention n'est pas en ètat d'exprimer sa volontè seront pris en compte." saranno tenuti
in considerazione. non: saranno eseguiti.
2) il problema dell'alimentazione e idratazione forzate sono di capitale importanza, non
solo mediaticamente, perchè coinvolgono concetti cardine delle posizioni di coloro che
osteggiano il Testamento; e d'altra parte anche per coloro che lo promuovono rappresenta
uno spauracchio non da poco. il problema è stabilire se l'alimentazione e idratazione
forzate sono una forma terapeutica o un espletamento dei bisogni naturali della vita: a
questo problemino si aggiunge anche la responsabilità del medico o della famiglia del
paziente nel somministrare sofferenze estreme al paziente non in grado di esprimersi. tutti
siamo reduci dalla tristissima esperienza del caso Terry Schiavo, è passato solo un annoera fine marzo 2005, e ricordiamo la incredibile montagna di stupide fandonie prodotta da
coloro che non volevano fosse sospesa l'alimentazione forzata. nel caso specifico di Terry,
non ha sentito nessuna sofferenza semplicemente perchè i suoi centri superiori della fame
e della sete erano "staccati" dalla corteccia cerebrale per cui non c'era nessuna
sensazione di coscienza. dire che è morta tra indicibili sofferenze è semplicemente non
vero. in tutti gli altri casi in cui al coma profondo si associa una mancanza di sensibilità si
dovrebbe procedere come nel caso di Terry; nei casi di incertezza dovrebbe essere una
commissione mista tra medici, parenti e quant'altri, tipo associazioni, a decidere del caso:
anche per eliminare il dubbio o la possibilità di un indebito vantaggio derivante dalla morte
del paziente.
3) anche la questione del fiduciario a mio avviso è importante. la nomina prevista dal
comma 2 del art 1 che prevede da parte dell'estensore delle volontà di nominare un
"curatore" o "fiduciario" rappresenta un momento di chiarezza, di estrema tutela, di
salvaguardia contro qualsiasi tentativo di paternalismo nel rapporto medico-paziente e che
è già presa in considerazione nelle legislazioni di altri paesi (California, Oregon, Michigan);
rappresenta una forma di tutela "terza" che potrebbe addirittura, come suggerisce la CNB,
prevedere la figura di un medico che poi dovrebbe controfirmare il Testamento biologico.
per questi motivi mi pare che nella proposta di legge del 30.06.2003 essa figura sia
passata in sordina e a mio avviso in una prossima discussione potrebbe vedere
amplificata la sua importanza. anche perchè, sempre secondo me, potrebbe
rappresentare una specie di captatio benevolentiae nei confronti dei detrattori della ns
proposta: la figura di un "terzo" è sempre presa come tutela massima in ogni controversia.
Ricapitolando . mi pare che la proposta di legge presentata suo tempo sia buona e
esplicativa di una situazione cui si vuol porre rimedio. le difficoltà che potrebbe intervenire
nella discussione mi paiono superabili, compresa la questione della sospensione
dell'alimentazione forzata. d'altra parte la stessa CNB nelle sue conclusione alla Opinione
del 18.12.2003 dice:
(riporto in sintesi)
Le dichiarazioni anticipate sono legittime hanno valore bioetico a patto rispettino questi
criteri:
1) carattere pubblico in forma scritta e mai orale estese da soggetti maggiorenni, capaci di
intendere e di volere, informati e non sottoposti a qualche ordine di condizionamento o
pressione
2) non contengano finalità eutanasiche ( e questo è il momento di eventuale contrasto con
la sospensione della alimentazione forzata)
3) auspicio della presenza di un medico al momento della estensione il quale poi
eventualmente potrebbe controfirmare
4) massima personalizzazione alla estensione delle volontà nel senso di bando ad ogni
forma prestampata, modulistica. redazione non generica e non equivoca.
si chiude la Opinione con alcuni auspici come:
a) una futura normativa biogiuridica
b) obbligo per i medici di considerare le "dichiarazioni" escludendone il carattere
vincolante
c) la figura dei fiduciari da coinvolgere obbligatoriamente anche nelle decisioni
terapeutiche.
d) apposite metodiche di conservazione e consultazione dei dati, compresi nella
"dichiarazione", che siano sensibili alla legge sulla privacy.
a queste posizioni della CNB fa da contraltare la dichiarazione del Prof. D'agostino,
presidente della CNB, che in una lettera al Corrriere di Paolo Mieli ritorna un pò
ottusamente sulla querelle dell'"attualità". per semplice curiosità riporto parte della sua
lettera:
"vedo che lei, caro Mieli, mi annovera tra i firmatari di un appello a favore della
legalizzazione del «testamento biologico». Non è così e vorrei brevemente precisarle il
perché. Sono convinto che ogni paziente abbia un assoluto diritto a rifiutare qualsiasi
terapia gli venga proposta, anche al limite l'unica terapia in grado di salvargli la vita; ma
una cosa è un rifiuto meditato, successivo a un approfondito colloquio con i medici ed
eventualmente con i familiari (oltre che con se stessi); altra cosa è un rifiuto
burocraticamente registrato su un pezzo di carta, redatto magari parecchi anni prima il
verificarsi dell' evento morbosoe/o terminale, che la legge, se approvata, imporrebbe come
vincolante anche in situazioni in cui potrebbe essere risolutivo un banalissimo intervento
medico..." a dimostrazione che questa tipologia di lotta noon può dirsi mai finita.
anche i cinque articoli che compongono la proposta di legge sulle "Norme per la
depenalizzazione dell'eutanasia" presentata dal Sen. Battisti il 17.02.2004 sono
ineccepibili e nella forma e nella sostanza.
importante il detto all'art 2 dove viene citato il Testamento biologico per riaffermare
l'impunibilità del medico che applicando l'eutanasia ottempera ad un desiderio espresso
precedentemente nei dovuti metodi dal paziente.
altrettanto importanti, soprattutto di queste arie, l'estensione dei requisiti indispensabili. e
qui ci possiamo collegare con quanto richiesto esplicitamente dal ns Sig Sestini.
sia l'eutanasia nei confronti dei neonati ammalati di malattie incurabili o portatori di
sofferenze indicibili o con prospettive di vita non degne di essere vissute: situazione
chiamata "mercy killing"; sia l'eutanasia applicata a persone non capaci di intendere e di
volere e che non abbiano precedentemente sottoscritto un Testamento biologico; sia
l'eutanasia dei malati di mente rappresentano variabili di uno stesso tema: la decisione di
somministrare la morte da parte di persone terze SENZA un precedente assenso del
paziente. ad un primo esame, senz'altro il più viscerale, mi viene spontaneo il negare
queste possibilità: sessantacinque anni sono troppo pochi e non è ancora passata la
terribile realtà dell'operazione T4. per fortuna subentra anche la fiducia che la storia,
almeno in certe situazioni, faccia esperienza: non è detto che non si riesca ad impostare a
prevedere situazioni, strutture che siano di tutela ai diritti fondamentali di ogni essere
umano, anche a coloro cui ci riferiamo. questi diritti comportano senz'altro il diritto alla vita,
ma anche a che questa vita sia sopportabile. il problema da risolvere è che il concetto di
"dignità" e di "sopportabilità" sono concetti soggettivi, difficilmente oggettovabili a
situazioni e persone diverse. ragionando un pò ed immedesimandomi nelle situazioni: io
se avessi un bambino che fosse affetto da malattie anche non terminali ma che
implicassero SICURAMENTE dolori indicibili, anche e soprattutto in considerazione
dell'età infante del bambino che gli impedirebbe la esplicitazione di dette sofferenze, non
ci penserei molto, col pianto nel cuore, a prendere la decisione più difficile: quella della
soppressione medicalmente assistita, o se questa fosse impossibile, a mettere in atto io
stesso questa decisione assumendomene tutte le conseguenze; delle quali quelle interiori,
psicologiche sarebbero senza dubbio quelle meno sopportabili. questo atteggiamento mi
sforzo di estenderlo anche alle altre categorie di persone sottoposte alla nostra attenzione
dal Sig Sestini; certamente la nostra cultura, l'introiezione del concetto di bambino, l'effetto
intenerente della stessa fisicità del neonato sono cose che culturalmente hanno la loro
importanza. ma bisogna sforzarsi di pensare di creare le stesse possibilità per chiunque.
se pensiamo che il dolore sia la minaccia peggiore della vita umana: quando poi esso è
costante, intensissimo, fiaccante,totalizzante non concede tregua e non permette
l'epletamento dell'aspetto "umano" della vita. è questo il discrimine. quando a questo
dolore , del quale io non ho una visione trascendente, dovesse essere, senza il benchè
minimo dubbio, senza possibilità di soluzione, sarebbe comprensibile la decisione di
sopprimere la vita.
l'argomento come si vede è molto complesso e merita una doverosa riflessione
cordialità.
giuliano degli antoni
Da: Maria Elinda Giusti <[email protected]>
Data: mercoledì 19 aprile 2006 -13.48.51
A: <[email protected]>, <[email protected]>
Oggetto: Suicidio assistito anche per malati mentali?
Per quanto mi riguarda, non sono favorevole al suicidio assistito in caso di depressione,
per quanto acuta o cronica
Resto dell'idea però che queste problematiche depistino un pò la nostra battaglia: una
cosa sono i bambini, che non si possono esprimere, ma soffrono e non possono porre fine
alla loro sofferenza se non con un gesto estremo e dolorosissimo dei genitori. Un'altra
cosa è : dobbiamo prenderci carico di trovare soluzioni anche a chi le soluzioni (brutali,
estreme, ma possibili) le ha?
Il caso del protocollo di Groningen riguarda bambini con una aspettativa di vita
bassissima, con sofferenze fisiche non sedabili. La decisione viene presa dai genitori
insieme con equipe mediche specializzate e che valutano il caso specifico nella sua
complessità.
Ad oggi i casi in cui è stato applicato il protocollo di Groningen sono 22, a dispetto della
"strage di innocenti" di cui parla Giovanardi.
Altro caso ancora è il progresso di una malattia degenerativa che porta ad handicap legati
alla percezione e alla memoria, tali da "estraniare" la persona dalla propria vita (non
riconoscere i figli, ecc...)...in questo caso penso sia legittimo, quando ancora le capacità lo
consentono, potersi esprimere nel testamento biologico per porre fine a una condizione
così avvilente per sè (se se ne ha coscienza...) e per gli altri.
come figlia mi chiedo: sarei poi in grado di farlo?
ogni caso andrebbe esaminato a sè
cordiali saluti a tutti
maria elinda
Da: Maria Antonietta di Chio - " <[email protected]>
A: [email protected]
Data: Sun, 23 Apr 2006 -18:15:56
Oggetto: Problemi vari
Cari amici, l'invito di Giampiero Sestini mi sembra molto importante e credo anch'io che si
debba discutere a fondo, finalmente, dopo che le elezioni sono avvenute, con buona
soddisfazione di tutti, sulla questione centrale della nostra associazione: l'eutanasia. Il
dibattito finora è stato molto dispersivo e, se si aggiunge che siamo pochi a partecipare,
sempre gli stessi, non si può dire che abbia dato contributi importanti. Intanto cerchiamo di
chiarire le cose: il progetto di legge, a suo tempo da noi preparato, ricalca grosso modo la
legge olandese e quella belga. Successivamente si è sollevata la questione dell'eutanasia
sui bambini e la proposta di allargare l'eutanasia a malati mentali o altro, che non possono
esprimere il consenso. In realtà il problema era già presente in Olanda ancor prima della
legge, quando l'eutanasia veniva praticata seguendo alcune procedure, poi ratificate dalla
legge. L'eut. non-volontaria era ed è praticata, senza che l'opinione pubblica o l'istituzione
giudiziaria trovi molto da ridire. Anzi si è deciso di promulgare la legge proprio perché
questi casi vengano alla luce e siano trasparenti, il che non vuol dire condannati, così
come il protocollo di Groningen vuole rendere pubblici e trasparenti i casi di eutanasia
neonatale, già prima praticati e non perseguiti o condannati, perché considerati in linea
con gli obblighi della professione medica. Quindi il tutto viene riportato a corrette
procedure, che di per sè dovrebbero garantire la moralità e l'accettabilità sociale della
pratica. Invece il problema va impostato diversamente, in un certo modo capovolto: ci
dobbiamo chiedere se l'eutanasia non volontaria è moralmente e socialmente accettabile
e, se la risposta è positiva, allora studiare le procedure più corrette e trasparenti per
attuarla.
Io ho trattato l'argomento in un documento, che è stato pubblicato nel Punto n.18 e che vi
invito a leggere, perché dovrebbe essere la base su cui impostare la discussione.
Esprimere le nostre opinioni a ruota libera, seguendo le personali sensibilità ed
esperienze, senza una valutazione razionale dei fondamenti morali e giuridici e dei fatti,
che avvengono negli altri paesi, ci potrebbe portare a decisioni poco meditate e affrettate.
Di fronte a noi abbiamo la proposta di legge radicale, che ovviamente accetta in pieno la
posizione olandese, ma non è obbligatorio che noi ci appiattiamo su di essa.
I radicali, a cui va tutto il mio rispetto, per i quali sono stata candidata nelle elezioni
precedenti, quando erano gli unici a presentare nel loro programma la legalizzazione
dell'eutanasia, e di cui conosco bene il dr. Viale, da quando ero vicepresidente di Exit Italia, sono bravissimi nel sostenere in modo perentorio le loro tesi con dati e affermazioni,
che sono invece discutibili, se non addirittura non veritieri. Così il numero delle eutanasie
praticate in Italia non è ovviamente accertabile, visto che l'eutanasia è illegale e
gravemente sanzionata. Su ciò che rimane nascosto si può dire tutto e il contrario di tutto.
E anche se i dati fossero veri, bisognerebbe analizzarli per vedere di quale eutanasia si
parli: se si tratti di eutanasia attiva volontaria o non-volontaria o involontaria o di semplice
interruzione di trattamenti, che eutanasia non è.
Il dr. Viale ha mostrato alla Tv, come in una scuola torinese, un pezzo di un filmato
svizzero sull'eutanasia, o tutto ( non ho visto il programma), ma ha spiegato di che cosa
veramente si tratti e quanto differisca dalla situazione svizzera ciò che i radicali vogliono?
Fra l'altro debbo correggere il comunicato di Sestini: il suicidio assistito del filmato non è
opera di Dignitas, ma dell'associazione svizzera "Exit-Romande", presieduta dal dr. Sobel,
che aiuta a suicidarsi i suoi soci, secondo regole molto severe, che si è data e che ha
voluto testimoniare appunto con quel filmato molto bello.
Nel mio documento e proposta sostengo in pieno la posizione svizzera, che mi piacerebbe
fosse adottata in Italia, anche se forse sarebbe più facile arrivarci attraverso una legge ad
hoc piuttosto che attraverso una revisione dell'art.580 del nostro CP.
Sempre in Tv, a Otto e mezzo, Capezzone ha sostenuto a spada tratta il protocollo di
Groningen, insieme alla signora olandese, insistendo sulla prima categoria di bambini, per
i quali è previsto, ed ignorando completamente la seconda e terza categoria, che
Giovanardi e Ferrara si sforzavano di presentare. Questo modo di sostenere le proprie
tesi, falsando o ignorando i dati, non mi piace. Si può arrivare alle stesse conclusioni, cioè
accettare in toto il protocollo, ma solo dopo averlo analizzato attentamente e aver riflettuto
su ciò che esso implica.
Avrei ancora molte cose da dire, per es. sul testamento biologico, su cui Giuliano ha
espresso osservazioni pertinenti. Ho partecipato in modo molto fattivo alla stesura del
progetto di legge Benvenuto e conosco quindi molto bene l'argomento, ma anche lì
porterei delle modifiche, suggerite da fatti avvenuti in questi ultimi anni. Ma una cosa alla
volta.
Debbo, però, riproporre i dati sull'eutanasia non-volontaria in Olanda, che avevo immesso
nel forum e che non hanno suscitato alcun commento, perché, pur essendo un' appendice
al mio documento, non sono pubblicati sul Punto. Senza quei dati non si può avere un
quadro chiaro della situazione olandese.
E vorrei invitare di nuovo a vedere il film "L'olio di Lorenzo" di G. Miller o a informarsi
sulla vicenda per riflettere sui limiti della cosiddetta scienza medica, che ovviamente
scienza non può essere, sulla subalternità dei genitori riguardo alla competenza dei medici
e sul valore da attribuire alla qualità della vita e all'intensità della sofferenza.
APPENDICE 1. L’EUTANASIA NON VOLONTARIA
In Olanda il dibattito pubblico si è incentrato fin dall’inizio sull’eutanasia volontaria
(richiesta di morire informata e reiterata), ma questo non ha escluso l’eutanasia nonvolontaria, che viene indicata con una sigla eufemistica e circonlocutoria: Lawer (life –
terminating acts without explicit request of the patient).
Sui 97 casi di Lawer, riportati nel I rapporto della Commissione Remmelink, solo in 13 vi
era stata una discussione del problema, pur in assenza di una richiesta esplicita. Degli altri
84 casi, 69 erano di pazienti incapaci di valutare la situazione, 9 di pazienti parzialmente in
grado di farlo e 6 di pazienti totalmente in grado di farlo.
A questi si aggiungono casi di eutanasia neonatale e in pazienti psichiatrici, uno dei quali
confermato dalla Corte suprema nel 1994.
La depenalizzazione ufficiale del 1994 non ha determinato spostamenti significativi, ma la
storia dei precedenti 20 anni mostra un progressivo allargamento della tolleranza sociale e
giuridica. Infatti la progressiva accettazione, a partire dagli anni ’70, del diritto di un
paziente competente di ricevere "il beneficio" della dolce morte, ha agito da cuneo nel far
penetrare nella sensibilità morale della società l’idea che certi tipi di vita non siano degni di
essere vissuti e che sopprimere pazienti sofferenti o handicappati, anche in assenza di
richiesta, significhi agire in modo benefico e possa rientrare nel concetto di normale prassi
medica.
In un articolo di Lancet 2003, pp.395-399 vengono riportati questi dati: in un sondaggio è
risultato che il 57% dei medici intervistati ha almeno una volta praticato l’eutanasia o il
suicidio assistito e il 13% ha soppresso la vita senza esplicito consenso.
In un sondaggio apparso sugli Annals of Internal Medicine, 2004, 141 sulla sedazione
terminale è risultato che il 47% dei medici ha ammesso che l’accelerazione della morte
costituiva almeno in parte lo scopo della loro decisione; il 17%, invece, ha ammesso che
l’accelerazione della morte era la ragione esplicita che aveva determinato la procedura.
Commento dell’editoriale della rivista: "ai pazienti o ai loro tutori non sempre viene
richiesto il consenso. I medici riconoscono che il loro obiettivo è porre termine alla vita e
non cercano regolarmente approcci meno drastici per alleviare le sofferenze."
(Rapporto Remmelink: inchiesta condotta dal governo olandese, da cui risultava che,
accanto all’1,8% di casi di eutanasia su richiesta sul totale delle morti registrate in Olanda
in un anno (125000), c’era uno 0,8% di casi in cui non era chiaro se vi fosse stata esplicita
richiesta. Da qui la normativa del 1994 con l’emendamento alla legge sulla sepoltura, per
arginare e controllare il fenomeno).
Uno studio, finanziato dal governo olandese e pubblicato a settembre 2005 in Archives of
Pediatrics & Adolescent Medicine, ha riportato questi dati: su 64 decessi di bambini malati
durante un periodo di 4 mesi, 42 casi hanno implicato decisioni mediche, che hanno
affrettato la morte. Ai dottori è stato assicurato l’anonimato e l’immunità da procedimenti
penali. Le decisioni andavano dall’interruzione di supporti vitali, pratica accettata in molti
paesi, alla somministrazione di farmaci, come la morfina, con l’intenzione di porre fine alle
sofferenze e accelerare la morte. Alcuni dei casi descritti nello studio si pongono al limite
di ciò che è legalmente permesso e la questione se questi limiti siano tollerabili o legittimi
è ora, naturalmente, materia di dibattito.
333 - SPAGNA – UN NUOVO CASO SAMPEDRO
Jesús Félix N., operaio metallurgico di 45 anni, nel 1991 fu colpito da sclerosi
degenerativa. Da sei anni a questa parte è immobilizzato, soffre di dolori lancinanti alle
gambe, di notte dorme attaccato ad un respiratore automatico ed è soggetto a crisi
respiratorie che lo hanno costretto al ricovero.
Jesùs Félix, in pieno possesso delle facoltà mentali, afferma "Vivere così non è vivere.
Dover dipendere per tutto dagli altri è un supplizio. Giorno dopo giorno, tutto questo
dolore è insopportabile". Ma Jesùs Félix non vuole morire “in clandestinità”, come Ramon
Sampedro, e chiede al Governo di legalizzare l’eutanasia. "Non chiedo una morte come
quella. Chiedo di avere il diritto di morire senza dolore, con un medico che pone fine ai
miei giorni legalmente.Se altri nelle mie condizioni fanno richiesta del diritto ad una morte
dignitosa, forse sommando granello a granello diventeremo una montagna che spingerà i
politici a legalizzare l'eutanasia in un colpo solo". (gps)
334 - OLANDA – CONDANNA A 15 MESI PER AIUTO AL SUICIDIO
Una corte olandese ha condannato a 15 mesi di reclusione un uomo che ha aiutato a
suicidarsi un amico, che soffriva di una grave nevrosi e che aveva chiesto a lungo di
morire. Secondo i giudici, c’erano forti indizi dell’aiuto fornito dall’accusato, ma non prove
sicure, altrimenti sarebbe stato incriminato per omicidio. Secondo i giudici, l’atto non
rientra nelle condizioni della legge sull’eutanasia, soprattutto perché l’accusato non è un
medico, requisito necessario per praticare l’eutanasia. La sentenza, secondo i giudici, mira
soprattutto a scoraggiare altri ad agire nello stesso modo. (mdc)
335 - BELGIO – DIFFERENZE FRA EUTANASIA E SUICIDIO ASSISTITO
Nel bollettino dell’associazione belga per l’eutanasia viene chiarito ciò che la legge per
l’eutanasia prescrive: essa definisce l’eutanasia, ma non impone un metodo per i medici.
Perciò i pochi casi, riportati dal 1° rapporto della commissione di controllo, in cui il paziente
incosciente è morto per una forte dose di barbiturico seguita da morte rapida, senza un
ulteriore intervento del medico, rientrano nella legge purché tutte le altre condizioni siano
state osservate. D’altra parte ogni altra assistenza al suicidio è fuori legge, come ad
esempio quando il medico che prescrive il farmaco mortale non è presente quando il
paziente lo assume. Non così in Svizzera, dove l’assistenza al suicidio può essere
praticata da chiunque, ma l’eutanasia resta illegale. Un partito della coalizione al governo
ha proposto un cambiamento alle regole sull’eutanasia per dare ai pazienti sotto i 18 anni
o ai genitori di bambini più piccoli il diritto di scegliere il suicidio assistito. La proposta
diventerà legge???
Commento: il confronto fra la situazione olandese e belga e quella svizzera diventa
importante per il nostro dibattito. Invito tutti a riflettere sulla questione. mdc
336 - USA – PROSEGUONO LE POLEMICHE SUL CASO TERRI SCHIAVO
Il caso di Terri non è chiuso. Continua il conflitto fra il marito e la famiglia di Terri.
Il marito ha scritto un libro " Terri: la verità", la famiglia un altro: "L’importanza di una vita:
l’eredità di Terri Schiavo. Una lezione per tutti noi".
Il marito, che nel frattempo si è sposato con la madre di due suoi figli, partecipa a
conferenze sul testamento biologico, è invitato a parlare a convegni di bioetica e ha
promosso una commissione per un’azione politica contro l’interferenza dello Stato nelle
questioni famigliari. Dal suo libro Hollywood ha deciso di trarre un film.
La famiglia di Terri ha deciso di donare i proventi del libro per una fondazione e la
formazione di un network di esperti che possano aiutare le potenziali vittime alla mercé del
culto della morte, che avrebbe permeato la classe medica nazionale. Il fratello di Terri ha
detto che molte persone li contattano, perché, come genitori di figli disabili, si preoccupano
che alla loro morte i figli non siano curati, ma vengano uccisi. (mdc)
337 - LE VIGNETTE DI BRUSCO – BERLUSCONI E GLI ITALIANI
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il punto - Centro Studi Calamandrei