Finisterre
Collana di pubblicazioni della
Confraternita di San Jacopo di Compostella
Perugia
5
Saggistica 57
5
Confraternita di San Jacopo di Compostella
via Francolina, 7 – 06100 Perugia
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comunicare nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti riprodotte in quest’opera.
Monica D’Atti
Pellegrini
sulla Via Francigena
Guida di spiritualità
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via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
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ISBN
88–548–0605–6
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di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: maggio 2006
Indice
Presentazione
7
Prefazione
9
Introduzione
11
Capitolo I
Scendendo dalla Val di Susa
Sotto ali di angeli
29
Capitolo II
Davanti alla Sacra Sindone a Torino
L'incontro
Da Torino a Pavia
In compagnia di un Amico,
il pellegrino di Emmaus
Pavia
Incontro con un testimone:
S. Agostino
Da Pavia al Passo della Cisa
"di santi e di pellegrini"
Dalla Cisa a Lucca
Le quattro del pomeriggio, ovvero
c'è per tutti un tempo da cogliere
Lucca
Al Volto Santo
Altopascio
L'ospitalità
Da Altopascio a Siena
A che serve una strada se alla
fine non c'è una chiesa?
Siena
S.Caterina, incontro con una
testimone di Cristo
Da Siena a Torrenieri
L'Odighitria
37
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
5
45
55
63
79
87
93
99
109
115
6
Capitolo XII
Da S. Quirico ad Acquapendente
Strada, luogo della mia santità,
niente di necessario ci manca
Capitolo XIII Da Acquapendente a Bolsena
Il cammino dei credenti
Capitolo XIV Bolsena
l'Eucarestia
Capitolo XV Da Bolsena alla Storta
O Spirito fortissimo cammino
Capitolo XVI La Storta
Alle porte del perdono
Capitolo XVII Roma
Ad Limina
Addendum
Bibliografia
121
127
133
139
147
157
Chiese internazionali a Roma
169
Santi Patroni sulla Via
170
Pregare lungo il cammino
172
185
Presentazione
Dalla creazione, ma soprattutto da che Dio si è fatto uomo,
la storia è “luogo teologico”. Dove cercare Dio? Dove lasciarsi
incontrare da lui? Nella vita di tutti i giorni: nelle vicende, nei
volti, nei luoghi e nei tempi che a ciascuno è dato di vivere, lì si
fa vicino e si rende incontrabile Colui che è volto, parola e presenza del Totalmente Altro. I luoghi, i tempi e i gesti della preghiera, per un cristiano, non sono separati e qualitativamente
diversi da quelli della quotidianità (secondo lo schema di separazione del sacro dal profano comune a tutte le religioni); ne costituiscono semmai la chiave che consente di interpretarne il significato profondo e quasi di accedere ad esso. La presenza sacramentale di Dio, nella sua Parola, nei segni del pane e del vino consacrati, nell’assemblea che si raduna… non esaurisce il
mistero della Sua vicinanza: è invece un’occasione per divernirne consapevoli, per riassumerla e per ricevere la forza di viverla al meglio ogni giorno. Sacramento ed esperienza si richiamano a vicenda: un’esistenza privata di celebrazione è destinata a vedere affievolirsi progressivamente la consapevolezza
dell’inabitazione divina del quotidiano; una liturgia che perda il
contatto con la vita diviene ben presto un rito formale, privo di
significato concreto per colui che lo celebra e di capacità di determinare i comportamenti delle altre sfere della realtà.
Il pellegrinaggio è esperienza o celebrazione? Un po’ tutte
due le cose: esso, infatti, è da una parte un vissuto di una certa
consistenza e tipicità, soprattutto se effettuato a piedi su lunghe
distanze; dall’altra parte, esso comprende anche una serie di riti,
che ne segnano l’inizio, la fine e lo svolgimento. Ancora di più,
la condizione di pellegrino, contrassegnata da una nutrita serie
di “insegne” è essa stessa “condizione rituale”: uno stato di
“quasi-consacrazione”, che si pone come “altro” rispetto allo
svolgersi della propria esistenza. Questo è il senso della investitura che ci ha tramandato il Liber Sancti Jocobi e che ancora
oggi viene riproposta a chi intende mettersi in cammino. Si può
allora guardare all’esperienza del pellegrinaggio come ad un
7
8
Presentazione
ricco “luogo teologico”, nel quale la presenza del Signore viene
sperimentata sia mediante la celebrazione che nelle emozioni,
esperienze, avventure ed incontri di ogni giornata di viaggio.
La funzione di questa guida è di supportare il pellegrinaggio
sia in quanto esperienza che in quanto celebrazione.
In primo luogo, infatti, essa offre preziose indicazioni circa
la ritualità dell’essere pellegrini e circa i riti (preghiere, celebrazioni…) da compiere prima, durante e dopo il cammino. Il rito,
per espletare efficacemente la sua funzione in relazione
all’esperienza, deve essere ben compiuto, rispettandone le dimensioni tradizionale, comunitaria e teologale. Da questo punto
di vista, le “istruzioni per l’uso” e un “manuale dell’utente”
(che introduca al significato delle azioni e delle parole) sono
proprio necessari!
In secondo luogo, essa contiene molti suggerimenti per considerare lo spessore teologale della strada, dei luoghi significativi presenti lungo di essa, dei piccoli e grandi vissuti che segnano l’itinerario di un romeo. Non è infatti possibile cogliere
appieno i significati insiti nei posti che si attraversano e nelle
usanze in cui ci si imbatte, se non si possiedono alcune conoscenze in materia. Sul Camino de Santiago ciò accade spesso
per spontanea tradizione orale, da un pellegrino ad un altro; sulla Francigena, tale meccanismo non si è ancora avviato, per cui
è opportuno rispolverare concetti e significati difficilmente accessibili altrimenti.
Lasciandosi aiutare da queste pagine, tu, pellegrino che intendi percorrere la Via Francigena, potrai compiere quel viaggio
interiore che è il solo vero itinerario che abbia senso, perché
conduce, attraverso i passi e le mete del cammino, a fare i passi
e a toccare le mete che caratterizzano l’incontro con Gesù, il
Cristo. Ultreya e suseia.
don Paolo Giulietti
Assistente spirituale
della Confraternita di S.Jacopo di Compostella - Perugia
Prefazione
Questo libro c’era già. È un libro di pellegrini, scritto per
pellegrini da altri pellegrini.
Era scritto nel cuore già da tempo. Magari confuso in sensazioni, emozioni, preghiere, stupori. E’ nato lungo la strada e
prima di essa, quando la Via aveva cominciato a chiamare. "Tu
non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”: è sempre questo il paradosso che accompagna le azioni umane e i suo cammini. Si parte per qualcosa che già fa parte di te e da vita e significato alla tua esistenza, al tuo essere di quell’istante. Così
anche quello che qui è stato raccolto era quello che già sentivamo di aver trovato, anche se non aveva ancora forma compiuta
e nome preciso.
Ricercarlo e trovarlo è stato come per lo scultore tirare fuori
dal blocco di marmo una statua. Dentro il marmo la statua è già
una presenza che chiede solo di uscire. Allora bisogna cominciare a lavorare, scavare tra la materia ed estrarre la forma compiuta.
Quello che è venuto fuori è quello che sentivamo lungo la
strada. È l’inizio, l’invito per un cammino contemplativo. Di
luogo in luogo, tappa dopo tappa la preghiera si dipana aiutata
dai nostri passi e dagli incontri. La spiritualità di alcuni posti ci
ha preso per mano e ci ha condotto oltre la superficie facendoci
trovare, aiutandoci a ritrovarsi. Il segreto di un pellegrinaggio è
quello di lasciare che la strada ti parli e ti porti lei oltre i tuoi
progetti, fuori dai tuoi programmi.
Noi abbiamo fatto questo, e ciò che è qui scritto è quello che
la strada ci ha raccontato. Altre storie ha in serbo per ciascuno
di noi. Per ciascuno di noi c’è un cammino contemplativo da
intraprendere. Questo libro è solo un invito. È un invito ad andare lungo la Via Francigena per ritrovare la spiritualità che nasconde, per ricercare quello spirito sacro che ha tessuto la trama
della Via e che ha portato fino in fondo alla strada tante anime.
C'è insieme l'invito a conoscere ciò che ci è stato lasciato da chi
9
10
Prefazione
prima di noi è passato. C'è quindi semplicemente un invito a essere pellegrini sulle strade di questo mondo verso la Vita eterna.
Introduzione
Essere pellegrini
Tutti noi siamo pellegrini, “pellegrini e stranieri” su questa
terra, come ci ricorda S.Pietro nella sua I lettera. Tutti noi siamo
solo di passaggio, in prestito, in visita su questa terra. La nostra
vera patria, la nostra meta è l’Eternità ove ci aspetta Dio,
l’Amore.
A volte riusciamo appena ad intuirlo tutto ciò e a volte lo
sentiamo bene nei nostri cuori e ne abbiamo una nostalgia infinita. Più spesso il pensiero ci fa paura e preferiamo non averlo,
quasi potesse distoglierci dal godere senza requie dei beni di
quaggiù.
Se e quando, finalmente, riusciremo a capire il nostro essere
pellegrini niente più ci spaventerà veramente. Non ci sarà vero
vincolo sulla terra a cui svendere la nostra vita.
Forse anche per questo, da sempre, la figura del pellegrino
ha affascinato storici e scrittori. Il vero pellegrino è una persona
veramente libera. Il vero pellegrino, come anche il santo, ha davanti a sé un orizzonte che va al di là di ciò che può cogliere il
semplice sguardo. Il vero pellegrino ha davanti a sé una strada
per diventare santo.
Chissà se anche per qualcuno di noi tale via sarà percorribile; chissà se avremo le forze spirituali per camminare cercando
solo Dio. All’inizio del cammino c’è un’ispirazione, una preghiera, una ricerca, una richiesta di grazia, un desiderio di rendere lode. Il pellegrinaggio allora è devotionis causa.
Si parte sotto il mantello di Dio per andar verso di Lui, per
cercarlo in tutte le Sue creature che la strada ti farà incontrare,
per trovarlo alla soglia del Suo Santuario. Nessun vero pellegrino è senza una meta e nessuno va in pellegrinaggio senza sapere
cosa cerca o senza avere un motivo che muova almeno il primo
passo.
Nel pellegrinaggio cristiano il pellegrino parte per devozione
cioè per andare ad incontrare un “segno” di conferma di ciò che
11
12
Introduzione
sta accadendo nella propria vita di cristiano, pur piena di mancanze e infedeltà. Camminare diventa così un andare a conoscere i segni più importanti della storia della salvezza. L’uomo cerca di raggiungere i luoghi della manifestazione del sacro per esserne testimone, partecipe e per farne memoria.
La pellegrina Egeria in pellegrinaggio in Terra Santa nel 600
dopo Cristo scrive alla sue consorelle rimaste a casa: “I luoghi
santi esistono, si possono misurare”1.
Questa presa di coscienza della effettiva esistenza di luoghi
che sono stati santificati dal passaggio di Dio sulla terra è fondamentale per dare senso compiuto al pellegrinaggio.
L'altro aspetto fondante di un pellegrinaggio è quello della
penitenza: l’atto con il quale si vuole ripercorrere all'indietro
la strada che ha allontanato dall’origine. Il pellegrino lungo il
cammino cerca la purificazione per arrivare a chiedere il perdono, arrivato al termine della sua strada. Il pellegrinaggio allora diventa veramente la via che unisce la terra al cielo e
quello del pellegrino è un movimento che porta il corpo, insieme alla sua anima, a raggiungere un'unica Meta.
"Anche se si svolge su strade piane il pellegrinaggio è sempre un'ascesa. Si sale più in alto, si arriva migliori di quando si
è partiti. Non soltanto perché si prega, ci si concentra, ci si arrende a Dio disarmati e semplici. Ma anche perché camminare,
faticosamente, obbligatoriamente, ritmicamente, è senz'altro
una lezione. Si impara a non cedere, a non spazientirsi, a soffrire, a superare i momenti brutti, ad insistere comunque. A non
scoraggiarsi e a perseverare. Si impara a tenere ben fisso il fine, a non concedersi sconti. Si fa la preziosa e salda esperienza
che la gioia vera e profonda non prescinde mai dallo sforzo,
arriva dopo, è un compenso del sacrificio." 2
1
2
Egeria, Pellegrinaggio in Terra Santa, Città Nuova, Roma, 1985
S. Balestrieri, Cammina cammina, in: I luoghi dell'infinito, suppl.
Avvenire, 1988
Essere pellegrini
13
Lo status del pellegrino
Pellegrino è chi parte da casa sua. Ancora negli scritti di Cicerone il pellegrino - peregrinus - è chi ha lasciato il suo paese
d'origine e si trova lontano dalla sua patria. Così peregrinari
vuol dire stare all'estero. La parola deriva dal latino peregre,
composto da per e ager - nella campagna, fuori di città. Pellegrino è chi parte da casa sua e attraversando campi e pascoli
raggiunge territori stranieri e diventa straniero. Il significato iniziale della parola cambia nel tempo e troviamo infine in Dante, nella Vita nova, la definizione “definitiva”: “Peregrini si
possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in
largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori de la sua patria;
in modo stretto non s'intende peregrino se non chi va verso la
casa di sa' Iacopo o riede”3. Poi di seguito specifica che ci sono
i romei che vanno a Roma e i palmieri che vanno a Gerusalemme. Santiago è il pellegrinaggio per eccellenza.
Essere pellegrino diventa una condizione particolare e caratteristica che si distingue da qualsiasi altra condizione. Il pellegrino è una persona straniera ma familiare. E' un viaggiatore il
cui essere straniero si arricchisce di significati metaforici. C'è
nel suo atto di andare una sorta di nobiltà.
A volte viene venerato come un santo. E' comunque quasi
sempre una persona da rispettare e ammirare. E poi da aiutare e
proteggere.
Chi partiva non sapeva se sarebbe tornato. I rischi del viaggio con la lunghezza, la malattia, i pericoli erano sempre in agguato. Il pellegrino che parte fa testamento. E viene affidato a
Dio e agli uomini.
Nel regno carolingio il potere pubblico teneva molto alla
salvaguardia degli stranieri ed in particolare di coloro che viaggiavano per uno scopo sacro dettando pene per chi avesse loro
recato offesa. Veniva prescritto ai privati di accoglierli nelle lo3
D. Alighieri, Vita Nova, Xl, 7
14
Introduzione
ro case, donando loro lo stesso trattamento che doveva darsi ai
poveri; e ciò era configurato come un dovere imposto dalla dottrina cristiana .
L'aspetto della sicurezza dei pellegrini è curato anche sotto il
punto di vista pastorale: il Concilio Lateranense dell'anno 1123
scomunica chi molesta o deruba i pellegrini. Nella costituzione
"Omnes peregrini", del Concilio ci sono una serie di predisposizioni per la salvaguardia dei pellegrini. Nel 1303 anche papa
Bonifacio VIII scomunicherà chi assalta, spoglia, sequestra, deruba i viaggiatori. Il pellegrino è anche, per la Chiesa, un “sorvegliato speciale”. Spesso infatti i pellegrini si muovevano da
soli o in piccoli gruppi senza una guida spirituale o un prete che
li seguisse. Come una sorta di battitori liberi passano da santuario a santuario creando una geografia del sacro tutta loro, che si
diffonde e si amplia negli anni con i racconti e le esperienze dei
pellegrini che li hanno preceduti.
In più di un'occasione il culto particolare di qualche santo si
amplifica e si diffonde grazie all'azione promotrice dei pellegrini e anche il culto delle reliquie assume un'importanza rilevante
grazie a loro che, viaggiando da luogo in luogo, portano con sé
e conservano ricordi dei santi ai quali hanno chiesto l'intercessione. Alla Chiesa venne così reso, da questi umili viandanti del
sacro, un servizio che ancora oggi è poco riconosciuto. Il loro
camminare infatti da confine a confine del mondo cristiano favorì la crescita di una coscienza della comunità cristiana. Erano
latori di un messaggio di fede e diffusori di culti che divennero
comuni e condivisi da tutta l'Europa e oltre; erano anche, camminando sul solco dei santi che li avevano preceduti, immagine
concreta dell'idea di Comunione dei Santi; altresì ribadivano
con la loro presenza e il loro essere per la via, il concetto di
Chiesa una e pellegrina. Nel 1300 addirittura furono loro, in
buona parte, i responsabili dell'indizione dell'Anno Santo Giubilare da parte di Bonifacio VIII. Infatti all'inizio dell'anno centenario si diffuse la voce nel popolo cristiano che fosse tempo di
perdono e una moltitudine di pellegrini si mise in marcia verso
Roma. C'era chi testimoniava (un pellegrino di 107 anni che veniva dalla Savoia) di aver partecipato nel 1200 a un altro anno
Essere pellegrini
15
di perdono. Ma nei documenti papali non c'era niente che parlasse di tutto questo. Alla fine il Pontefice, visto il grande movimento che si stava creando, aprì ufficialmente e solennemente, il 22 febbraio 1300, il primo Anno Santo della storia cristiana stabilendo le norme per ottenere l'indulgenza plenaria.
Oggi, in questo tempo di nuova evangelizzazione per
l’Europa e per la società occidentale, il pellegrino può, con il
suo semplice cammino, essere messaggero e testimone facendo
sorgere, in chi lo vede passare, la nostalgia dell’infinito e invitando, chi ancora non è partito, ad intraprendere il santo viaggio.
Benedizione e simboli del pellegrinaggio
Alla partenza il pellegrino riceve la solenne benedizione e
gli vengono anche consegnati il bordone e la bisaccia (o scarsella) che diventano strumenti per il suo pellegrinare e simboli del
suo stato. Sulle spalle gli viene posta la corta mantellina, la pellegrina o schiavina, e sul capo mette il cappello. Su questi verranno cuciti, con il tempo, tutte le insegne a ricordo del pellegrinaggio compiuto come la famosa conchiglia di San Giacomo
o l’immagine della Veronica o altro che veniva raccolto lungo
la via o acquistato presso i santuari.
Formula di benedizione e di investitura del pellegrino
Dal testo medioevale del Liber Sancti Jacobi per i pellegrini
che si recavano a Santiago di Compostella4:
Accipe hanc peram
habitum peregrinationis tuae
4
P. Caucci Von Saucken, Guida del pellegrino di Santiago, Libro V
del Codex Calixtinus secolo XII, Jaca Bok, Milano, 1989, p. 38-39
Introduzione
16
ut bene castigatus et emendatus
pervenire merearis ad limina sancti Iacobi,
quo pergere cupis,
et peracto itinere tuo ad nos incolumis con gaudio revertaris,
ipso praestante qui vivit et regnat Deus
in omnia saecula saeculorum
Ricevi questa bisaccia
Come segno del tuo pellegrinaggio
perché liberato e perdonato
tu possa meritare di arrivare alla casa dell'apostolo Giacomo
verso la quale ti stai incamminando,
e conclusa la tua strada tu possa ritornare a noi nella gioia,
per Dio onnipotente che vive e regna nei secoli dei secoli.
Accipe hunc baculum,
sustentacionem itineris ac laboris ad viam peregrinationis tuae
ut devincere valeas omnes catervas inimici
et pervenire saecurus ad limina sancti Iacobi
et peracto cursu tuo ad nos revertaris cum gaudio,
ipso annuente qui vivit et regnat Deus
in omnia saecula saeculorum
Ricevi questo bordone,
sostegno nel viaggio e nella fatica del tuo pellegrinaggio,
perché tu possa vincere tutti i nemici che incontrerai
e giungere sicuro alla casa dell'apostolo Giacomo
e concluso il cammino tu possa ritornare a noi nella gioia,
per volontà di Dio che vive e regna nei secoli dei secoli.
Scarsella
Semplice sacca di pelle sempre aperta per dare e per ricevere
come le mani del viandante. Rappresenta simbolicamente la
condizione del pellegrino lungo la sua strada, bisognoso di aiuto
materiale e spirituale ma che condivide i suoi pochi beni con i
poveri che incontra.
Essere pellegrini
17
È un percorso di umiltà che coinvolge la persona nel profondo partendo dal sentirsi non più autosufficiente ma bisognoso di
assistenza. Il pellegrino partendo esce da casa sua, dalla sua patria, dal territorio dove è conosciuto e che conosce e diventa uno
straniero. Per mangiare e per dormire, per trovare la strada e per
salvarsi dai pericoli avrà bisogno dell’aiuto del prossimo e dipenderà per molta parte dalla buona volontà e dalla generosità
altrui. L’accettare questa limitazione è il primo passo verso
l’umiltà. Spesso infatti è più facile per noi dare che ricevere.
Nel dare mostriamo spesso le nostre capacità, la nostra forza, la
nostra bravura. Il ricevere invece è a volte collegato a un sentimento di inferiorità, di non essere sufficienti a noi stessi, che
mette a disagio, quando non ci infastidisce fortemente. Nel vangelo del Giovedì Santo, Pietro riceve da Cristo una lezione di
umiltà quando il Signore, davanti al rifiuto dell’apostolo di farsi
lavare i piedi, gli risponde che solo se accetterà di farsi servire
potrà salvarsi: “Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che
io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse
Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù:
«Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon
Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!»”. (Gv 13, 6-9)
E il pellegrino condividerà anche il contenuto della sua povera sacca con gli altri. Così sarà tra gli amici del Signore e da
esso aiutato nel momento del bisogno:
“Beato chi ha cura del povero!
Nel giorno della sventura il Signore lo libererà.” (Sal 40, 2)
Bordone
Il bardus, burdus, il “mulo”, sostegno del pellegrino che ne
porta il peso nella stanchezza, che lo sostiene nella difficoltà.
Un appoggio, il terzo piede: si simboleggia la fede nella Santis-
18
Introduzione
sima Trinità, nella quale si deve perseverare. Il bastone è poi la
difesa dell'uomo contro i cani e i lupi, cani e lupi reali ma anche i lupi che attentano all’anima, la fiera feroce che porta via il
cuore e la coscienza, il diavolo.
Il bordone è anche compagno spensierato da portare di traverso sopra le spalle per farle riposare o l’attaccapanni della sera. È quello che ti permette di saltare fossi che altrimenti non
avresti il coraggio di affrontare e ciò che meglio di tutti ti fa riconoscere da lontano. Un pellegrino con il lungo bordone è una
sagoma inconfondibile dal fondo della strada.
"Io, pellegrina felice e sprovveduta, saltellavo in mezzo ai
sassi, su un terreno ineguale che si impennava in ardue salite,
per poi precipitare in strapiombanti discese scavate dai gorghi
delle piogge. I miei sandali inadeguati non davano stabilità ai
miei passi e alle mie caviglie. Il pericolo di una storta era in
agguato. Lucia dietro di me osservava. Con gentile ironia mi
offrì il suo prezioso bastone e mi salvò la giornata. A mia insaputa continuava a vigilare e recuperò il bastone dalla sventata
obliato accanto a una fonte che ci aveva dissetati. Amava, lei, il
suo bastone, compagno e sostegno nella fatica nell'andare. E io
ho amato Lucia. Grazie."
(Teresa Nadai, dal diario di pellegrinaggio della Confraternita di S.
Jacopo di Compostella – settembre 2005)
Conchiglia
La conchiglia è il simbolo per eccellenza del pellegrino. Nata dalla tradizione compostellana come oggetto ricordo che i
pellegrini raccoglievano sulle spiagge dell'oceano dopo essere
giunti nella lontana terra di Galizia, al santuario di S. Giacomo,
si è poi diffusa ovunque. Conchiglie si trovano nell'iconografia
sacra a rappresentare santi pellegrini che non necessariamente
hanno fatto il Cammino di Santiago, come nel caso di S. Rocco.
Conchiglie si trovano nelle tombe di tanta gente che nei secoli
ha percorso la strada verso Compostella e ha voluto conservare
il ricordo e la testimonianza di uno dei momenti più significativi
Essere pellegrini
19
della propria vita. Conchiglie si trovano ancora oggi appese agli
zaini o portate al collo dei tanti pellegrini che attraversano l'Europa a piedi verso Roma o Santiago o Gerusalemme.
Madonna del Campo (PV), particolare di S. Giacomo pellegrino
Credenziale
Il pellegrino oltre che dall'abbigliamento caratteristico veniva riconosciuto e accompagnato sempre da un documento particolare, la credenziale.
La credenziale è un documento rilasciato da una parrocchia,
un convento, un monastero, una confraternita, al pellegrino che
intende partire per compiere un pellegrinaggio devotionis causa,
ovvero un pellegrinaggio cristiano a una meta santa.
L'uso di tale strumento, che permetteva al pellegrino di essere riconosciuto tale e come tale essere accolto cristianamente,
non è mai cambiato nel corso della storia. Credenziali medioevali e credenziali moderne hanno sempre la medesima funzione.
Chi rilascia la credenziale attesta che il portatore è un pellegrino e chiede ai fratelli in Cristo che lo incontreranno di accoglierlo. Chi rilascia la credenziale è responsabile della presentazione ma il pellegrino a cui tale credenziale è stata rilasciata de-
20
Introduzione
ve comportarsi come persona meritevole della fiducia che gli è
stata accordata. Casi in cui la credenziale è stata ritirata a pellegrini che non si comportavano come tali sono sempre esistiti.
Si riporta come esempio il testo, così come era predisposto
per essere compilato, di una credenziale che veniva rilasciata
alla fine dell'800, in forma di pergamena, dalla Confraternita
della Misericordia di Palestro, paese lungo la Via Francigena:
Noi
Governatore della Veneranda Confraternita della Misericordia del Borgo di Palestro, in Diocesi di
Vercelli, aggregati alla Veneranda Arciconfraternita di S.
GIOVANNI DECOLLATO detta di Misericordia della Nazion
Fiorentina dell'alma Città di Roma, come appare da Bolla dei
19. di Novembre 1741- spedita d'ordine di nostro Signore Papa
CLEMENTE Decimoquarto, sigillata e sottoscritta Franciscus
AEmilius Tortelli Secretarius:
Facciamo ampia, ed indubitata fede, siccome
nostr Confratell stat accettat nella nostra Confraternita
della Misericordia del presenteBorgo,
uom dabbene, di buoni costumi, e timorat di Dio: part da
questo Borgo per sua divozione, per andare a visitare la Basilica de' Ss. Pietro, e Paolo Apostoli di detta alma Città, S.
Giacomo di Compostella, la santa Casa di Loreto, ed altri
luoghi Santi: perciò preghiamo tutti i Confratelli degli Oratorj di detta Veneranda Confraternita, pei quali gli occorrerà passare, di volerl soccorrere con larghe ed abbondanti
elemosine, come dalla loro pietà gli verrà suggerito,
offerendoci noi in tali occorrenze di far il simile. In fede
richiesti dal medesim
gli abbiamo spedite le presenti
di nostra propria mano firmate, e sigillate col solito Sigillo
di detta Confraternita, e dall'infrascritto Segretario sottoscritte
Dat. nell'Oratorio nostro li
del mese di
Essere pellegrini
21
Ospitalità al pellegrino
Per il cristiano l'ospitalità è l'esprimersi di quell'amore portato da Gesù Cristo. Dal II secolo comincia ad usarsi una parola
di origine greca per indicare il luogo in cui i cristiani concedono
alloggio gratuito ai fratelli: Xenodochium. Questo per distinguersi dalle locande a pagamento chiamate pandocheia. Dal VI
secolo in poi si cominciano ad usare altre parole per indicare i
luoghi di accoglienza:
Hospitale dove sono ospitati i peregrini gratuitamente (dal
latino hospes che significa ospite) distinti dalle Tabernae cioè le
locande commerciali.
Xenodochi e ospizi erano luoghi di riposo per pellegrini eretti e gestiti nello spirito dei precetti evangelici (vedi Mt 25,3536).
Varie regole nei monasteri prevedevano l'accoglienza:
la regola di S. Pacomio e quella di S. Basilio (IV secolo)
prevedono l'ospitalità “per chi bussa alla porta”; la regola Magistri (VI sec.) prevede la “cella Hospitum” per i forestieri; la regola di S. Benedetto (540-560) la prevede per i forestieri e per i
poveri.
Col tempo lo xenodochio e l'hospitale non sono più solo
luogo di sosta ma provvedono anche a serie di gesti di carità:
assistenza ai poveri, agli orfani, agli anziani, ai malati, ai mendicanti. Dall'evoluzione del luogo e della parola nasceranno i
nostro ospedali.
Alcune congregazioni religiose, dedite all'assistenza dei pellegrini in cammino lungo gli itinerari, si organizzano in nuove
forme chiamandosi “ordini ospitalieri”; le costruzioni - dall'anno mille in poi - sono in genere costituite da un salone per l'accoglienza con altare per le celebrazioni eucaristiche. Tra i più
noti ordini ospedalieri vi sono i Templari e i Gerosolimitani, nati in Terrasanta all'inizio del XII secolo e gli Ospitalieri di Altopascio che ebbero buona diffusione in tutta Europa.
22
Introduzione
Il “Cammino perfetto”: Roma, Santiago, Gerusalemme
Le vie di pellegrinaggio sono la nostra eredità come cristiani. Sono cammini che si aprono e che vengono lasciati alla nostra custodia e alla nostra memoria. Un’eredità appunto, che rimarrà tale e nostra finché ne avremo memoria, finché non la
perderemo. Finché non ne perderemo l'identità e il significato.
Machado, poeta spagnolo, scrive:
Tutto passa e tutto resta;
ma è proprio di noi passare,
passare aprendo cammini,
cammini sul mare ...5
Il nostro passaggio può essere una scia sul mare. Facile si
crea, rapida si richiude. Ma il passaggio a volte apre nuove rotte. Il cammino compiuto da uno può diventare il cammino di un
altro e poi di altri che si passeranno la voce. La scia diventa
traccia e poi pietra, strada lastronata, calzata nell’antico termine
tecnico, rivestita di pietra, selciata. Gli antichi romani furono
maestri nel consolidare tali tracciati che resistettero anche alla
perdita di memoria delle generazioni che li seguirono quando
furono travolti dalle migrazioni dei nuovi popoli dell’est e del
nord, dai vandali e i barbari. Le loro vecchie strade ebbero nuove vite e anche nuove strade furono aperte. Nuovi luoghi e nuove persone raccolsero l’eredità di vita e di storia. Siamo nani
sulle spalle di giganti. Nani erano i nostri padri sulle spalle dei
loro padri, nani siamo noi sulle spalle dei nostri padri. Sempre
così saranno le nuove generazioni che verranno ma l’importante
è non scendere mai da queste spalle e lasciare la nostra pietra
per permettere a chi verrà di salire a sua volta.
Dobbiamo conoscere la nostra storia ed esserne orgogliosi. Il
nostro impegno per chi ci seguirà sarà di non perderla o di non
alterarla. Se guardate la carta qui disegnata potrete vedere linee
5
A. Machado, Proverbios y cantares, CXXXVI, XLIV, 1-4
Essere pellegrini
23
conosciute. Sembrano autostrade, così come si può vedere
prendendo in mano una moderna cartina stradale d’Europa.
Principali vie di pellegrinaggio nel medioevo
In realtà questa è l’Europa medioevale e queste tracciate
sono le strade, i cammini, le scie sul mare, le calzate che allora
la traversavano. Sono rappresentate fedelmente le rotte allora
più percorse, naturalmente con la precisione che può dare una
carta in questa scala, ma con la cura di evidenziare i luoghi più
importanti, quelli che erano passaggi e meta, desiderio e sogno.
Per ognuno di questi luoghi c’è una storia da raccontare,
storia che ne dava identità e importanza e che li legava gli uni
agli altri. Nessun luogo era un’isola. Molti erano poi raccontati
e mitizzati, diventando luoghi desiderati dove tanti, se non tutti,
volevano andare o sognavano di andare.
24
Introduzione
Tra questi, tre mete daranno per secoli importanza e risonanza a tutto il resto e giustificheranno e valorizzeranno tutte le
strade che a loro, da tutta Europa portavano: Santiago di Compostella, Roma e Gerusalemme.
In età medioevale, quando la fede cristiana era vissuta nel
pubblico e nel privato da tutti gli europei, percorrere le vie di
pellegrinaggio, “i cammini del cielo”, le tre Peregrinationes
Maiores era una delle aspirazioni più grandi degli uomini.
C’è chi ha cercato di veder in questo enorme movimento solo l’aspetto commerciale, quasi per paura che la traccia dello
Spirito che su di esso si è posata potesse inquinare la laicità di
una storia che si vuole distante dal cuore degli uomini e solo arida prova mnemonica.
Ma nessuno storico che usa antichi documenti e testimonianze per ricostruire il passato può dimenticare i racconti sulle
infinite schiere di viandanti e pellegrini che per secoli calpestarono queste strade cercando qualcosa di diverso da oro e ricchezze. Era spesso la Fede, a volte la superstizione, e poi il desiderio di avventura e la curiosità che spingeva su queste strade
invalidi e sani, miscredenti e assassini, devoti, preti, cavalieri,
principi, re e santi. Era sicuramente tutto questo mischiato insieme, come è mischiato dentro tutti noi. Possiamo ritrovare la
magia e il fascino che ancora questi luoghi ricoprono nel nostro
cammino anche oggi.
Una delle principali mete è Santiago di Compostella. La sua
storia comincia ad ovest dell’Europa, ai confini della terra emersa allora conosciuta (parlo di medioevo). Ha inizio nel IX
secolo della nostra era, quando nella lontana terra di Galizia
strani avvenimenti si verificavano su un altopiano coperto di erica e felci. La gente del posto racconta che durante la notte le
stelle del cielo sembravano riflettersi nelle pozze della torba e
formare come un risplendente e misterioso campo di stelle.
Un vecchio e pio eremita scoprì in quel luccichio un sepolcro di marmo che conteneva il corpo di un uomo.
Era la tomba dell’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni
l’Evangelista, il figlio del tuono, il Boanerghes, S.Giacomo il
Maggiore.
Essere pellegrini
25
Dall’813 dopo Cristo comincia così il pellegrinaggio della
gente che aveva sentito che laggiù ad ovest c'era la tomba del
primo apostolo martire; comincia a prendere forma e mito quello che ora noi tutti conosciamo come il Cammino di Santiago.
Prende vita un fenomeno che avrà conseguenza determinanti
nella formazione della civiltà occidentale e che lascerà profondissimi segni nelle città, nelle espressioni artistiche e letterarie,
nei costumi, nell’organizzazione assistenziale, nelle strutture
sociali, nel folclore di tutta Europa. Segni tali da far dire a più
di un voce che l'Europa si è formata attraverso il pellegrinaggio
compostellano.
Lungo quelle strade che partivano dall'Inghilterra, dalle
Germania, dall'Italia, per poi attraversare la Francia, l'Occidente
cristiano si incontrò. Si incontrarono gli uomini, si incontrarono
i costruttori di cattedrali, si incontrarono i cantori della civiltà
cortese, si incontrarono i miles Christi … quelli che uno storico
del 1700 poi chiamerà crociati.
Lungo queste strade nasce l'arte romanica e il gotico, nascono gli ospitali per accogliere il pellegrino. Vengono scritti diari
e racconti, poemi e canzoni, testi liturgici, testamenti. Infinite
testimonianze storiche raccontano di questi anni.
E' un tessuto di cultura e di vita che unisce tutta l'Europa.
Dall'altra parte di questo cammino c'è Roma. Roma nobilis,
Roma martiris come cantavano i pellegrini arrivando . O Roma
felix dice il canto dei pellegrini: Roma felice perché con il sacrificio, con il sangue dei martiri, Pietro e Paolo e di tutti gli altri
che li seguirono Roma è stata santificata, è diventata città santa.
Da caput mundi a caput fidei. Da centro del mondo con l'impero
romano a cuore della fede. Arrivare a Roma era giungere al
cuore della cristianità, al cuore della vita della cristianità, diverso dall'arrivare a Gerusalemme che era il ritorno a casa, il luogo
che in terra è simbolo della destinazione ultima, la Gerusalemme celeste, dove tutti alla fine si ritroveranno. Indicativo è il
fatto che sotto le mura di Gerusalemme si trova la Valle di Josafat, luogo ricordato dalle antiche scritture come quello dove si
ritroveranno tutti i morti chiamati a svegliarsi dalle trombe degli
angeli per comparire davanti a Dio e al suo giudizio universale.
26
Introduzione
Arrivare a Roma era anche raggiungere un posto fantastico
dove le vestigia del passato, la Roma imperiale, sopravviveva
come ricordo nelle rovine di palazzi e statue e tra queste imponenti rovine la nuova Roma stava crescendo in uno strano contrasto. Dall'alto di Monte Mario il panorama che si offriva al
pellegrino era di decadenza e magnificenza: case basse, vicoli
bui, selve di torri e campanili, macchie di verde e colline di travertini e marmi senza più una geometria. E in mezzo scorreva
un fiume dal colore terragno e poco distante si poteva vedere
una cupola, la più grande, la più importante: S. Pietro.
E il pellegrino va, va a piedi per tutta Europa. In un certo
senso il pellegrino è un privilegiato. E' un uomo di speranza,
che segue un sogno e che cammina verso luoghi mitici. Fa fatica, a volte anche molta, ma niente lo può fermare, tranne la
morte; e molti morivano lungo il viaggio.
Ma intanto partivano per Santiago o per Roma, da qualunque
posto fossero originari.
E andavano anche a Gerusalemme e poi lungo il "fendente
micaelico", alla tomba della Maddalena a Vezelay o a venerare
le reliquie dei Magi a Colonia.
C'è allora chi racconterà di essere stato in un santuario in
mezzo al mare costruito dove l'Arcangelo Michele aveva ordinato. Un luogo che a volte è un’isola e a volte è terraferma.
C'è chi dirà di aver visto una chiesa costruita sopra un nero
pinnacolo. C'è chi racconterà di essere stato salvato, mentre a
sera si era perduto in mezzo a delle paludi, dal richiamo di una
campana e di essere stato accolto come un re.
C'è chi racconterà di un crocifisso che ti guarda con occhi
aperti che non ti lasciano mai, ovunque tu ti giri. C'è chi racconterà di aver visto dove sono stati sepolti tutti i guerrieri di Carlo
Magno e chi ha visto dove è morto il paladino Orlando.
C'è chi racconterà di portali mirabilmente scolpiti e chi di
chiese con guglie che arrivano fino al cielo. C'è chi racconterà
di luoghi dove è pericoloso passare perché i briganti assalgono e
chi ha incontrato santi uomini.
Essere pellegrini
27
Parole, impressioni, luoghi che passano di bocca in bocca e
di cuore in cuore. E chi non è partito partirà. Farà testamento,
saluterà la sua famiglia e partirà per una di queste strade.
E per raggiungere tutti questi luoghi passano dovunque.
Per chi da Roma voleva raggiungere la Spagna e la Francia,
percorsa a piedi la Via Francigena passando per Viterbo, Siena
e Lucca, c'era da decidere se continuare via terra o imbarcarsi.
Arrivati via terra da Roma, alla fine delle colline, incontravano
Luni. Da secoli Luni era il porto più famoso, usato da mercanti
e viaggiatori, armate e re. Era un posto veramente strategico.
Molti qui si imbarcavano per tagliare un po’ di strada via mare.
Oppure si continuava sulla costa o si valicava da qualche parte.
Tutti i valichi recano tracce di vie di pellegrinaggio. Perché i
cammini avevano sì alcuni percorsi principali utilizzati dalla
maggior parte dei viaggiatori ma anche si sviluppavano percorsi, itinerari minori per mille motivazioni diverse (a volte bastava
la fama di un miracolo). La presenza di ospitali dei quali ancora
si trova memoria nei luoghi o nei documenti storici ci conferma
che tanti percorsi erano usati da pellegrini. Tante organizzazioni
di cristiani, come i Templari e l’Ordine di S. Giovanni, erano
nati per dare accoglienza e difesa ai pellegrini.In Lunigiana nel
medioevo solo per accogliere i viandanti erano stati aperti 56
ospitali. Donati da signori del luogo o aperti dalla chiesa, da ordini monastici o da confraternite, questi luoghi erano in grado di
accogliere gratuitamente il pellegrino e di servirlo in tutte le sue
necessità. Un pezzo di pane e un pagliericcio erano offerti a tutti. Poi era possibile provvedere anche a cure mediche (l’ospitale
più famoso in Europa all'epoca era Altopascio).
Cambia il modo, cambiano le dimensioni, ma la storia di chi
ci ha preceduto deve renderci orgogliosi oltre a essere uno dei
modi per raccontarci chi siamo. Leggere tra le pieghe della storia l'origine e il divenire di un territorio, vedere come gli uomini
si sono adattati alle sue variazioni e vedere anche come una storia universale e comune ci lega tutti penso sia importantissimo
oltre che affascinante.
Roma, Santiago e Gerusalemme sono sempre lì. La Via
Francigena e i cammini dei pellegrini sono nascosti tra le pieghe
28
Introduzione
della modernità che tutto livella. Li abbiamo perduti per sempre? No, io credo di no, finché resteranno nella nostra memoria,
e la nostra conoscenza darà loro il giusto valore ed importanza
che ebbero nella storia. E finché conserveremo almeno una piccola parte di questa memoria anche noi non saremo perduti perché sapremo di quale civiltà siamo eredi.
Sempre e ancora torna alla mente la frase di Saint-Exupery:
“Perché avviene di una civiltà la stessa cosa che avviene del
grano, il grano nutre l’uomo, ma l’uomo a sua volta salva il
grano, di cui ripone la semenza. La riserva di semi è rispettata
di raccolto in raccolto, come un’eredità”6.
Pellegrini oggi
Prima di partire per il nostro cammino lungo la Via Francigena ancora due ultime parole. Essere pellegrini del terzo millennio non è tanto differente dall'esserlo stato 1000 anni fa. Oggi come allora c'erano persone che si mettevano in viaggio senza sapere bene perché, e verso dove andare, e che cercavano un
facile cammino. Oggi come allora c'erano invece persone che
partivano per il pellegrinaggio sapendo bene di andare verso un
luogo caro e sacro e non cercando altro di diverso da quello che
la Provvidenza gli avrebbe messo davanti giorno per giorno.
Sole e pioggia, nebbia e vento, caldo e arsura, piedi doloranti
e schiena rotta, luoghi ove esercitare la Perfetta Letizia di francescana memoria e poi incontri, sorrisi, ospitalità improvvisa e
generosa, amicizie e infine, sulla soglia del Santuario, pianti di
liberazione e gioia di un perdono conquistato. Questo è essere
pellegrini. Partendo dobbiamo saperlo e accettarlo. Tutto quello
che troverete scritto in questo libro non ha senso se non cercheremo, oggi, di essere pellegrini: viandanti di forte speranza verso quel Regno che Egli ha dichiarato inaccessibile ai tiepidi.
Ultreya.
6
A. de Saint-Exupéry, Pilota di guerra. (tr. di Maria Chiappelli), Mondadori, Milano 1973, p.136
Il nostro pellegrinaggio lungo
la Via Francigena
29
30
Capitolo I
Scendendo dalla Val di Susa
Sotto ali di angeli
Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi
passi
Sal 90, 11
Siamo partiti. Un canto ci accompagna. Le parole del salmo
90 diventate musica ritmano i passi:
31
32
Capitolo I - Scendendo dalla Val di Susa
“Agli angeli ha dato un comando: di preservarti in tutte le
tue vie”1. Cominciamo il cammino su “ali d’aquila”.
Sembra una carezza.
Questi primi passi sulla Via Francigena sono anche via angelica: Via Micaelica. Da qui si arriva alla Sacra di S.Michele,
centro dell’itinerario che da Mont-Saint-Michel in Normandia
portava i pellegrini fino a Monte S.Angelo sul Gargano. Tre
luoghi dove apparve l’arcangelo Michele, santuari mete da
sempre di pellegrinaggi e uniti per sempre, dice la leggenda, da
una linea tracciata da un fendente sfuggito all’arcangelo2.
Camminare sotto la protezione del Signore. È questo che
chiediamo all’inizio di questo lungo cammino. Roma è lontana,
la nostra meta è distante giorni e giorni.
San Paolo nella lettera agli Ebrei ci parla degli angeli dicendo: “Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati
per servire coloro che devono ereditare la salvezza?”(Eb 1,14)
Spiriti al nostro servizio, per noi che cerchiamo di essere eredi della salvezza. Per noi che cerchiamo la Gerusalemme Celeste. L’invito a mettersi sotto le loro ali è preciso. Torna alla
mente il dolcissimo brano di Tobia 6,1: “Il giovane partì insieme con l’angelo e anche il cane li seguì e s’avviò con loro.
Camminarono insieme finché li sorprese la prima sera”. Il Signore aveva affidato il viaggio di Tobia all’Arcangelo Raffaele.
E noi all’inizio troviamo l’Arcangelo Michele, “il gran principe che vigila sui figli del tuo popolo” (Dn 12,1), il custode delle anime. Nel Giudizio Universale viene rappresentato come colui che pesa le anime avviandole al Paradiso o all’Inferno. Il suo
nome, Mi ka’ el, in ebraico significa “Chi come Dio?” ricordandoci che niente è simile al Signore e niente può essere a lui
1
Su ali d'aquila - Versione cantata del Salmo 90, in tutte le raccolte di
canti di uso corrente
2
P. Belli D'Elia, L'iconografia di S. Michele o dell'arcangelo Michele,
disponibile su http://www.enec.it/AliDio/index.htm, ultima visita 15
luglio 2005
Sotto ali di angeli
33
paragonato. Chi riconosce questo, abiurando la radice del peccato originale, è salvo. Chi vorrà essere simile a Dio, per fare a
meno di Lui, sarà dannato in eterno. Michele combatterà
l’ultima lotta contro Satana nell’ultimo giorno dell’Apocalisse
per liberare il cielo dal diavolo e dai suoi angeli ribelli3. E poi
sarà solo il tempo di Dio.
Le leggende raccontano che l’Arcangelo Michele stesso apparve nei luoghi che diverranno poi santuari a lui dedicati. Sono
luoghi particolari, “estremi”, proiettati verso l’incongnito:
Mont-Saint-Michel in Francia, circondato da sabbie perigliose
sul confine della terra; Monte Sant’Angelo sul Gargano all’altro
estremo, lungo la strada che portava poi a Gerusalemme; la Sacra di S. Michele all’ingresso dell’Italia nella stretta della Chiusa della Val di Susa a vegliare dall’alto il passaggio dei pellegrini che andavano verso Roma. Sorgono in luoghi estremi, alle
porte, per così dire, della civiltà europea: perché è alle porte, nei
luoghi esposti, che più facilmente si attesta il nemico.
Il messaggio che viene rivolto al pellegrino è quello di lasciarsi pervadere dal mistero del passaggio a una nuova vita,
accettando la tutela dell’Arcangelo che agli estremi lembi della
terra chiama i viandanti ai suoi santuari per ricordargli che solo
Dio è Dio e chi avrà cercato la sua protezione per essere salvato
l’ultimo giorno, nella Valle di Josafat, la troverà.
Sulla Via
La Sacra di S.Michele
E' l'imponente costruzione che si incontra lungo la Via salendo sulla cima del monte Pinchiriano4. Nasce dagli ideali del
3
Ap 12, 7-8
A. Solaro Fissore, Simbolismi ascensionali in una meta di pellegrinaggio: il caso di S. Michele della Chiusa, disponibile su
http://centri.univr.it/RM/biblioteca/scaffale/volumi.htm, ultima visita
30 luglio 2005
4
34
Capitolo I - Scendendo dalla Val di Susa
pellegrinaggio arricchendosi di spiritualità eremitica. Alle radici
della sua costruzione c’è la forte coscienza della comunità monastica che la fondò e una chiara fede nell’Arcangelo, suo protettore. Una forte motivazione salvifica viene conferita anche
alla Via Francigena come strada al centro del “fendente” micaelico.
Nella Cronaca che racconta gli eventi miracolosi che portarono alla consacrazione e alla fondazione del luogo si precisa
che l’arcangelo Michele scelse la vetta del Monte Pinchiriano
come terzo sito delle sue apparizioni sulla terra e posizionato al
centro del percorso che univa gli altri due santuari micaelici. Il
monastero è citato come “Città ardente” e come altare privilegiato e impareggiabile dedicato alla venerazione dell’Arcangelo
e distante dalle Alpi dodicimila stadi, la misura di lunghezza
della Gerusalemme Celeste dell’Apocalisse5.
E’ una “porta aperta nel cielo” (Ap 4,1) in cima a un’erta salita, simbolo di un cammino di ascesi, del cammino in salita che
ogni uomo deve fare nel suo pellegrinaggio sulla terra.
Alla fine della salita, superate anche le ripide rampe dello
Scalone dei Morti che si trova all’ingresso dell’abbazia, il pellegrino attraversa la Porta dello Zodiaco, ultimo messaggio di
pietra prima di entrare in chiesa e arrivare all’altare sacro. Capitelli e stipiti scolpiti ricordano al viandante che questo è il luogo
della vittoria di Dio. È il luogo dove nella lotta perenne
dell’uomo con il peccato, nella lotta tra bene e male, tra Caino
ed Abele l’ultima parola è del Signore. È il luogo della pace
(Hic locus est pacis, causas deponite litis). Nessuno si azzardi
ad attentare alla pace del luogo santificato dall’Arcangelo, protettore degli uomini giusti, dei pellegrini che a lui si affidano.
Quindi sui capitelli l’invito ad essere come il giusto Abele e a
non peccare con l’ira, la violenza, la menzogna e la lussuria. E
nel suo difficile cammino l’uomo potrà contare sulla protezione
del capo della milizia angelica posta a difesa della Gerusalemme Celeste.
5
Ap.21,16
Sotto ali di angeli
35
Sant’Antonio di Ranverso
Luogo da pellegrini un tempo, ora solo da turisti purtroppo,
ma che vale una approfondita sosta e visita. Qui vi era la precettoria antoniana più importante d’Italia. L'Ordine Ospedaliero
dei canonici regolari di Sant' Agostino e di Sant'Antonio Abate
era un ordine ospedaliero medievale. I membri di questo ordine,
chiamati più semplicemente Antoniani di Viennois o di Vienne,
si dedicavano sopratutto all’accoglienza dei pellegrini e alle cure degli ammalati di herpes zoster, detto anche “fuoco di S. Antonio” molto diffuso tra i poveri a causa della cattiva alimentazione, e di ergotismo, che era provocato dall’ingestione di
segale cornuta (viene così chiamata la segale contaminata da un
fungo che sviluppava un alcaloide che provocava l’infezione).
Gli Antoniani usavano soprattutto il grasso di maiale come
emolliente per le piaghe provocate dal “fuoco di S. Antonio”.
Nell’iconografia spesso si vede Sant’Antonio in compagnia di
un maialino, mentre incede scuotendo un campanello (come facevano appunto gli Antoniani) e con il bastone da pellegrino
che termina spesso con una croce a forma di tau come la grande
tau azzurra, detta la “potenza di S. Antonio” (thauma in greco
antico significa stupore, meraviglia di fronte al prodigio) che,
cucita sulla sinistra dell’abito, gli Antoniani portavano come
segno e che ricordava anche la stampella che gli ammalati usavano per sostenersi.
Tutto cominciò con il trasferimento dalla Terra Santa, verso
il 1080, delle spoglie di Sant’Antonio Abate nel paese di La
Motte St. Didier, a Vienne, nel Delfinato. Qui sorse un santuario e il paese stesso cambiò nome in Bourg St. Antoine. Nel
1095, un nobile di nome Gaste, che aveva avuto un figlio guarito dall'ergotismo, per grazia ricevuta, al santuario di Saint Antoine Abbaye fondò gli Antoniani. Egli assieme al figlio e a altri
cinque nobili del Delfinato formano il primo nucleo di questo
ordine che in origine era formato da infermieri e frati laici che
avevano come superiori religiosi i Benedettini dell'abbazia di
36
Capitolo I - Scendendo dalla Val di Susa
Montmajeur presso Arles. La confraternita laica di Gaste venne
approvata da Papa Urbano II nel 1095 e confermata da Papa
Onorio III con bolla papale nel 1218.
L’Ordine si espanse rapidamente in tutta Europa e oltre. In
Italia i primi ospitali sorsero sulla Via Francigena presso il santuario di Sant'Antonio a Ranverso in Val di Susa, a Roma e
presso Napoli. Nel 1253 Papa Innocenzo IV chiama i cavalieri
della tau a costruire l'ospedale mobile della Curia romana che
era incaricato di seguire il Santo Padre nei suoi spostamenti. Il
capitolo generale tenutosi nel 1298 approva la nuova Regola,
che era conforme ai canoni agostiniani e cambia il nome in Ordine dei Canonici Regolari di Sant'Antonio di Vienne. Questo
di fatto trasformava l'ordine da militare ospitaliero in un ordine
meramente religioso con funzioni ospedaliere. Nel 1774 venne
decisa dal Capitolo Generale degli Antoniani l’unione con
l’Ordine di Malta, che si prefiggeva anch’esso, fra i suoi scopi,
l’assistenza e la cura dei pellegrini. Nel 1776 una bolla papale
sancì definitivamente l’abolizione dell’ordine Antoniano i cui
beni passarono in gran parte all’Ordine di Malta.
Capitolo II
Davanti alla Sacra Sindone a Torino
L'incontro
Stendardo del pellegrinaggio alla Sacra Sindone,
Confraternita di S. Jacopo di Compostella, 2006
Io sono la Via
Gv 14,6
Dalla deposizione al mattino di Pasqua, un "fatto" testimoniato dalla Sindone
Lc 23, 50 - 56
50 C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. 51 Non aveva aderito alla decisione e all'o-
perato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e
aspettava il regno di Dio. 52 Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53 Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e
37
38
Capitolo II - Davanti alla Sacra Sindone di Torino
lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno
era stato ancora deposto. 54 Era il giorno della parascève e già
splendevano le luci del sabato. 55 Le donne che erano venute
con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la
tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, 56 poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di
sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.
Mt. 27, 57 - 66
57 Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato
Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. 58
Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato
ordinò che gli fosse consegnato. 59 Giuseppe, preso il corpo di
Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo 60 e lo depose nella sua
tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi
una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. 61 Erano lì,
davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria. 62 Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato
i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: 63 «Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre
giorni risorgerò. 64 Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro
fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». 65 Pilato
disse loro: «Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come
credete». 66 Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.
Mc. 15, 43 – 47
43 Giuseppe d'Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che
aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da
Pilato per chiedere il corpo di Gesù. 44 Pilato si meravigliò che
fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse
morto da tempo. 45 Informato dal centurione, concesse la salma
a Giuseppe. 46 Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù
dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro
scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata
L'incontro
39
del sepolcro. 47 Intanto Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto.
Gv.19, 38 – 42 / 20, 1-18
38 Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era discepolo di
Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di
prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e
prese il corpo di Gesù. 39 Vi andò anche Nicodèmo, quello che
in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di
mirra e di aloe di circa cento libbre. 40 Essi presero allora il
corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. 41 Ora, nel luogo dove
era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro
nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. 42 Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei,
poiché quel sepolcro era vicino.
1 Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepol-
cro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra
era stata ribaltata dal sepolcro. 2 Corse allora e andò da Simon
Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo
dove l'hanno posto!». 3 Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. 4 Correvano insieme
tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e
giunse per primo al sepolcro. 5 Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon Pietro che lo
seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, 7 e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l'altro
discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9 Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli
cioè doveva risuscitare dai morti. 10 I discepoli intanto se ne
tornarono di nuovo a casa.
11 Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva.
Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vide due angeli
in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei
40
Capitolo II - Davanti alla Sacra Sindone di Torino
piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via
il mio Signore e non so dove lo hanno posto». 14 Detto questo,
si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. 15 Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi
cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli
disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto
e io andrò a prenderlo». 16 Gesù le disse: «Maria!». Essa allora,
voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! 17 Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché
non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro».
18 Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli:
«Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.
Entriamo nella cattedrale e ci fermiamo davanti alla Sacra
Sindone: contempliamo quel volto che è la Via… volto misterioso che parla a ciascuno di noi della propria via. A ciascuno di
noi il suo cammino… quel volto martoriato è la Via?
Quell’immagine di dolore e di sconfitta è la Via? Quante domande dobbiamo ancora farci e quante risposte dobbiamo ancora avere. Il nostro cammino è all’inizio è già ci fermiamo davanti ad una sconfitta. Una morte, una disfatta, un dolore immenso e inspiegabile. Le nostre categorie umane saltano. Forse
già hanno cominciato a scricchiolare quando ci siamo messi in
cammino, quando abbiamo sentito il bisogno di rispondere alla
chiamata della strada e diventare pellegrini.
Ora dobbiamo già fermarci per ascoltare e capire come andare avanti, perché qui c’è la testimonianza di un tragico evento
davanti al quale ci si può fermare per sempre o partire, ripartire
per non fermarsi più.
Morte e Resurrezione: “... e se Cristo non è stato risuscitato,
vana è la vostra fede”(1Cor 15,17). È tutto qui. Nella Sindone o
vediamo l’immagine del Cristo Risorto che ha vinto la morte o
vediamo un uomo che è stato sconfitto dalla morte così come
sarà per tutti noi prima o poi.
L'incontro
41
Fermarci, o ripartire come fecero le donne al sepolcro che si
misero a correre, come corsero i discepoli avvisati, come corsero i discepoli di Emmaus quando lo videro. Così come si rimisero in cammino gli apostoli quando riapparve loro riprendendoli sulle rive del lago. E da allora chi ha creduto in Lui non si
è più fermato.
Per noi Gesù è il camminatore, è l'uomo che cammina, per
citare il titolo di un libretto di Christian Bobin, che scrive:
“L'uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire perfino la morte”.1
L'uomo in questione è l’Uomo: Gesù che si è fatto uomo e si
è messo con noi a camminare sui nostri stessi sentieri. Ha camminato veramente, ha sudato, si è impolverato, ha scelto ai bivi
la strada giusta, ha goduto del ristoro dell’accoglienza alla fine
della sua giornata di strada, ha mangiato con la fame del viandante e si è riposato sul giaciglio trovato. Se Gesù non avesse
camminato, o faticato, o dovuto scegliere una direzione da
prendere, la sua umanità sarebbe stata una maschera. È invece
ha camminato, come un uomo.
I Vangeli raccontano di lunghi spostamenti a piedi. Nel vangelo di Luca i 10 capitoli centrali - Lc 9,51/19,46 - sono dedicati in particolare al lungo cammino che fece Gesù fino a Gerusalemme. Cominciano in modo forte i giorni di pellegrinaggio che
lo portano a compiere la sua missione: “… si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc,9,51). È la partenza determinata
del vero pellegrino. Per un certo aspetto ricorda la conversione
del figliol prodigo: “Mi alzerò è andrò da mio padre” (Lc. 15,
11-32); è ciò che noi seguaci di Cristo dovremmo avere sempre
in mente: essere in itinere verso Dio e con Gesù, convertiti (“girati”verso il Padre) come il figliol prodigo.
Dobbiamo quindi ripartire, dopo un ultimo sguardo a quel
volto che ci interroga, sicuri di ritrovarlo nel volto di chi incontreremo lungo la via. Volti a cui ci avvicineremo, volti di cui
1
C. Bobin, L'uomo che cammina, Qiqajon, Magnano, 1998, p. 29
42
Capitolo II - Davanti alla Sacra Sindone di Torino
incontreremo gli sguardi, volti che ci sfuggiranno, volti che ci
accompagneranno.
“Avevamo una meta ambiziosa: il Santo Volto della Sindone.
Il pellegrinaggio di quest'anno ha voluto congiungere due
Volti (N.d.R. il Volto Santo di Lucca e il Santo volto della Sindone). Ma in mezzo, sulle strade che abbiamo percorse, i volti
che abbiamo incontrati non siamo riusciti a contarli.
Ciascuno è Volto e ogni Volto è degno di pellegrinaggio: di
noi che ci muoviamo incontro all'Altro e che ci facciamo prossimo dell'Altro. Nessuno può fare a meno dell'Altro. E' una dipendenza che anzitutto è frutto di amore e gratuità, a cominciare dal gesto d'amore che genera.
Questo pellegrinare ci educa allora al rapporto sobrio con i
beni, quello sereno con il tempo, quello amorevole e grato con
il fratello. A chi ha fortuna addirittura riesce a fare intravedere
la Grazia di Dio.
Allora ci aiuta a ricomporre il mondo che c'è, con tutto il
bene che c'è, e a sollecitare la nostra risposta. Il mondo di adesso, perché noi siamo gente di adesso.
Diventa bello sentirsi pellegrino ogni giorno. Come colui
che sa che su questa terra non è padrone di niente, ma ospite e
forestiero. Che agisce consapevole che niente della mia vita dipende da me, ma che invece da me dipende molto della vita di
coloro che incontro.
Perché siamo tutti prossimi del prossimo. E sempre uno è il
Volto segreto di ogni persona”.
(Giuseppe e Maria Sala, dal diario di pellegrinaggio della Confraternita di S. Jacopo di Compostella – settembre 2005)
“Signore perdonami, io ho paura di incontrare il tuo volto,
perché so bene che, se lo incontrerò, non potrò più fuggire, ma
dovrò bere al calice. Poiché tu mi apparirai coronato di spine e
coperto di sangue, inchiodato al legno della croce; e io sarò
ripreso da questo amore esigente e fedele, non potendo più fug-
L'incontro
43
gire il mio dolore, sottrarmene, senza arrossire come di una diserzione".
P. Lyonnet, Preghiere
Sulla Via
La Sindone
Articolata e misteriosa è la storia della Sindone
Nel 544 è documentata a Edessa, città della Turchia sudorientale (Urfa), la presenza di un telo raffigurante il volto di
Gesù che molti identificano come la Sindone piegata. Nei documenti questa “Sindone Piegata” viene chiamata Mandylion e
rimane uno dei principali “volti santi” di Cristo della tradizione
orientale, e conosciuto dagli storici dell’arte come archetipo di
gran parte della tradizione iconografica del Cristo.
Nella primavera del 943, l'esercito bizantino assedia Edessa
chiedendo il Mandilio in riscatto per portarlo a Costantinopoli,
dove giunge il 15 agosto 944, festa della “dormizione” della
Vergine, come si diceva allora (il dogma dell'assunzione al cielo di Maria sarà affermato molto tempo dopo, e ufficializzato da
Pio XII nel 1950). Fu messo nella cappella del Faro, situata all'interno del palazzo imperiale Boukoleon. Su questo evento si
hanno vari racconti, greci, siriaci, arabi.
Il 12 aprile 1204 Costantinopoli fu conquistata dagli eserciti
della quarta crociata.
La Sindone (o Mandilion) scompare durante il saccheggio in
città. Voci successive attestano la presenza del sacro lino ad Atene. Ricompare poi a Lirey, in Francia nel 1357. Qui comincia
la storia “certa” della Sindone riconosciuta e chiamata tale.
Nel 1453 che avvenne il trasferimento della Sindone ai Savoia.
I Savoia dapprima conservarono il Lenzuolo nel loro tesoro
privato, portandoselo appresso nel peregrinare per i loro Stati a
cavallo delle Alpi, come consuetudine delle corti medievali. A
partire dal 1471, Amedeo IX il Beato, figlio di Ludovico, incominciò ad abbellire ed ingrandire la cappella del castello di
44
Capitolo II - Davanti alla Sacra Sindone di Torino
Chambéry, capitale del Ducato, in previsione di una futura sistemazione della Sindone.
Dal 1419 il Piemonte era stato annesso alla casa Savoia. Tuttavia, la capitale era rimasta a Chambéry.
Solo nel 1563 il duca di Savoia, Emanuele Filiberto Testa di
Ferro (1528-1580) stabilì definitivamente a Torino la capitale
del suo stato. Allora Chambéry divenne una città periferica.
Ovviamente, i torinesi chiesero il trasferimento della Sindone
nella loro città. Ma non era facile accontentarli, senza scontentare gli abitanti di Chambéry.
Ebbene, nel 1578 san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano (1538-1584), in occasione dell'epidemia di peste che aveva
colpito la sua città, fece voto di recarsi a piedi a Chambéry, per
venerare la Sindone. La distanza da percorrere era di 375 chilometri, parte dei quali - superata Torino - lungo strade di montagna. Per abbreviare il suo viaggio, il duca Emanuele Filiberto
decise di trasportare la Sindone da Chambéry a Torino, dove
essa arrivò il 16 settembre.
Il 10 ottobre avvenne l'incontro con Carlo Borromeo, il quale, tuttavia, aveva già camminato per quattro giorni. Egli rimase
da solo, in preghiera davanti alla Sindone, durante 40 ore.
La Sindone rimase a Torino: mai più sarebbe tornata a
Chambéry.
In ricordo di quel pellegrinaggio, il duca offrì al Borromeo
una copia della Sindone, attualmente conservata vicino a Milano, nella chiesa di Inzago.
Alla fine del 18º secolo la Sindone trovò una sistemazione
definitiva. Nell'abside del duomo di San Giovanni fu costruita
una splendida cappella rotonda, in marmo nero; ne fu l'artefice
Guarino Guarini (1624-1683), famoso architetto, filosofo e matematico.
Capitolo III
Da Torino a Pavia
In compagnia di un Amico,
il pellegrino di Emmaus
Gesù in persona si accostò e camminava con loro
Lc 24,15
Mostrati, Signore;
a tutti i pellegrini dell'assoluto,
vieni incontro, Signore;
con quanti si mettono in cammino
e non sanno dove andare
cammina, Signore;
affiancati e cammina con tutti i disperati
sulle strade di Emmaus;
e non offenderti se essi non sanno
che sei tu ad andare con loro,
tu che li rendi inquieti
e incendi i loro cuori;
non sanno che ti portano dentro:
con loro fermati poiché si fa sera
e la notte è buia e lunga, Signore.
D.M. Turoldo
45
46
Capitolo III - Da Torino a Pavia
Ripartire e camminare; camminare a fianco, camminare con
qualcuno al fianco. Un angelo, come per Tobia, il Signore come
per i discepoli verso Emmaus. Gesù ha camminato sempre in
compagnia, tranne che nei momenti della sua agonia, quando
nessuno è stato più capace di seguirlo. Ha cercato compagni per
il viaggio della sua vita terrena e poi ha cercato compagni che,
dopo di Lui, continuassero il cammino sulla terra. A loro ha insegnato: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”(Gv 14,6); li ha
scossi quando si erano già fermati, tornati a pescare sul Lago di
Tiberiade1; è tornato a camminare con loro, quando a Emmaus
si erano perduti2; gli ha detto che sarebbe rimasto con loro, tutte
le volte che due o tre sarebbero stati uniti nel suo nome; ha voluto che la Chiesa fosse una Comunità in cammino.
E perché chiunque potesse partecipare alla costruzione di
questa Comunità il Signore ha regalato a tutti il tempo necessario. Purtroppo quel tempo che il Signore ci regala per camminare verso di lui, noi molto lo sprechiamo a lavorare per ciò che
lasceremo sulla terra.
Sulla via, se partiamo pellegrini, ritroviamo l’enorme valore
di un tempo che si moltiplica all’infinito. Infatti là dove facciamo veramente del nostro andare un pellegrinaggio, restituendo
il tempo regalato camminando semplicemente verso Dio, insieme a chi incontriamo lungo la strada, là questo tempo ci torna
indietro centuplicato.
La via diventa così luogo del tempo regalato, regalato da chi
cammina con te, regalato da chi incontri nei luoghi dove passi,
regalato quando ti fermi per una preghiera, regalato quando rallenti il tuo passo per godere di quello che ti circonda. E’ un
tempo che si moltiplica nel canto dell’amicizia, della fratellanza, della gioia. La fatica e il dolore trovano conforto nella condivisione. I chilometri si accorciano nella compagnia. I giorni
che passano ti fanno capire di far parte di un’Eternità che appena riesci ad intuire ma che ti scalda il cuore. L’infinito, ciò per
cui siamo fatti, è diventato compagno di cammino.
1
2
Gv 21, 1-7
Lc 24, 13-35
In compagnia di un Amico, il pellegrino di Emmaus
47
E’ una cosa strana essere pellegrino, in questo mondo che
non vuole dedicare tempo a conquiste faticose. E’ strano dedicare tanto tempo su una strada quando si potrebbe, con mezzi
sempre più veloci, arrivare subito. E’ strano dedicare tempo a
cercare qualcosa o Qualcuno, o addirittura camminare con
Qualcuno che ti svela chi sei, quando in questo mondo tutti
sembrano già avere la risposta giusta per te. Ma dopo che sarai
diventato veramente pellegrino rimarrà strano solo per chi non
ha mai camminato. Tu sarai già passato oltre, insieme agli altri.
E arrivato alla meta, la meta stessa non avrà più valore. Tornerai indietro, con il cuore gonfio di gioia per raccontare a tutti
che lungo il cammino hai incontrato il Signore, per dire a tutti
che hai camminato con Lui, per dire a tutti che lui c'è, c'è veramente, come ci ricordano sempre le dolcissime parole a conclusione del racconto di Emmaus: “Non ci ardeva forse il cuore?”(Lc 24, 32).
… Aveva camminato con loro e l'avevano riconosciuto lunga la via nello spezzare il pane …
Frati e fedeli che siate, è questo
della sequela di Cristo il senso:
far della vita un continuo cammino,
l'Itineranza sia l'esodo vostro.
Cristo è l'eterno viandante dei cieli,
in permanente ascesa è il creato:
voi pellegrini dì Dio nel mondo
oh, non stancatevi mai dì andare!
Liberi come gazzelle sui monti
la sola vostra ricchezza spandete
a piene mani con quanti incontrate:
la pace, il bene, la gioia di Cristo. 3
3
D. M. Turoldo, Oratorio – in memoria di frate Francesco, Messaggero, Padova 1981, p. 20
48
Capitolo III - Da Torino a Pavia
"Oggi il cammino pare non avere fine, nei chilometri e nei
pensieri.
Come sempre! Abbiamo lasciato alle spalle le gigantesche
centrali che al mattino erano apparse all'orizzonte. Lungo la
strada scorre sotto i nostri passi, con monotonia, l'asfalto: un
pomeriggio d'arsura tra le vaste risaie pronte al taglio.
Giovanni cammina davanti, pochi passi. Mi affianco."Oggi
non finisce. Mi son ridotto a contare le automobili che passano:
tante in un senso, tante nell'altro. Un gioco stupido... ma il tempo passa" dico, per far parola.
Col suo sguardo sereno e barba da eremita pare un guru.
Mi sorride.
"Prova a pregare. Farai una cosa più utile." Il silenzio ritorna tra i nostri passi. Ci provo.
Dalle risaie, ora, stanno emergendo un campanile e tetti
rossi.
Anche questa sera noi pellegrini avremo un riparo e l'anima
più leggera…
Abituato a peregrinare in solitudine, con voi ho capito che
un compagno può essere l'Angelo che aiuta a camminare nella
direzione giusta".
(Nilo Marocchino, dal diario di pellegrinaggio della Confraternita
di S. Jacopo di Compostella – settembre 2005)
Sulla Via
Le Grange
Terra di uomini di Dio la zona delle Grange nasce dall'opera
monastica di recupero e cura del territorio. In epoca longobarda
qui vi erano fitte e scure foreste. Nel 707 fu fondata un'abbazia
dedicata a S. Michele nel centro della foresta di Lucedio che
successivamente prese il nome di San Genuario. Nel 1123 poco
più in là fu fondata, da monaci cistercensi provenienti dalla
Francia, l'Abbazia di Santa Maria di Lucedio che grazie a cospicue donazioni di terreno crebbe velocemente d'importanza.
Le grance, ovvero letteralmente i granai, erano unità abitative,
In compagnia di un Amico, il pellegrino di Emmaus
49
centri agricoli dove i lavoratori- religiosi (conversi), distaccati
dal monastero, lavoravano insieme agli agricoltori insegnando
loro a coltivare e custodire i raccolti. Se poi, anche il padrone di
un terreno che non era dell'abbazia, voleva renderlo produttivo,
l'abate gli metteva a disposizione un monaco (granciere) per dirigere i lavori. Grazie a quest'opera tutto il territorio che qui si
attraversa diventò quello che possiamo ammirare ora passando:
terra degli uomini, terra di Dio.
Vercelli
La città è un nodo viario importantissimo. Qui confluivano
le due vie che venivano, una dal nord e dall'Inghilterra e una dal
sud, dalla Francia e dalla Spagna e la Via Francigena diventava
una.
Molte sono le testimonianze dell'importanza viaria di Vercelli e molti sono i luoghi cristiani sui quali varrebbe la pena
soffermarsi.
Ricordiamo solo alcune cose lasciando al pellegrino attento
la scoperta del resto.
Chi veniva dal nord all’ingresso della città poteva fermarsi
all’Ospitale di Santa Brigida degli Scoti, fondato per accogliere
pellegrini e viandanti irlandesi e scozzesi che viaggiavano lungo
la Via Francigena. Qui nel X secolo fu ospitato, e vi morì, un
pellegrino in viaggio verso Roma. Con sé aveva un prezioso
codice manoscritto, in lingua anglosassone antica, che rimase
nella città di Vercelli ed ora, custodito nella Biblioteca Capitolare, è noto nel mondo come Vercelli Book.
Entrando in città tre chiese devono essere visitate:
- La Basilica di Sant’Andrea costruita tra il 1219 e il 1227 in
stile romanico-lombardo con influssi gotici d’oltralpe con il
chiostro e gli ambienti abbaziali. Nel portale centrale l'altorilievo che raffigura il Martirio di Sant'Andrea è stato attribuito all'Antelami, artista che ritroveremo spesso lungo la Via Francigena;
- Il Duomo di Sant’Eusebio, chiesa cattedrale di origini antichissime costruita nel V secolo, distrutta dai Goti quasi subito,
ricostruita e poi completamente modificata a partire dal 1570.
50
Capitolo III - Da Torino a Pavia
Al suo interno, di scuola Antelamica, la duecentesca statua della
Madonna dello Schiaffo, così chiamata perché macchiata da un
giocatore perdente sulla guancia destra. Ma la cosa più bella e
importante da vedere all'interno della chiesa è il grande Crocifisso monumentale che si vede sopra l'altare principale. In lamina d'argento sbalzata è un Cristo Triumphans come quello che
si vede a Pavia e poi si vedrà a Lucca. Più grande di quello di S.
Michele di Pavia sembra sia stato realizzato qualche anno dopo
intorno all'anno mille. La testa è coronata e le gemme poste sulla corona risalgono al secolo scorso. Alle estremità delle braccia
la Madonna e S. Giovanni sono figure inserite nel contesto
qualche secolo dopo. Raffigurato sul suppedaneo (dove Cristo
appoggia i piedi) è la discesa nel limbo secondo il racconto di
un vangelo apocrifo. L'insieme dell'opera è ammirevole e esprime con forza evocativa notevole quel paradosso che è la
croce, scandalo per i giudei4 … ma dalla quale, come dallo
stesso Cristo fu preannunciato, il mondo intero è attirato e interrogato da qui all'eternità: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. (Gv. 12, 32)
- S. Cristoforo, dedicata anche a S. Giacomo. La chiesa attuale
fu iniziata nel 1515 su una chiesa preesistente (probabilmente
del 1150) di cui non esiste più documentazione. La dedica a S.
Cristoforo si pensa sia legata al flusso dei pellegrini in zona. All'inizio fu retta dall'ordine degli Umiliati, diffusi in Lombardia e
Piemonte, dediti alla tessitura. Purtroppo con il tempo l'ordine
decadde nei costumi e fu fortemente e a lungo rimproverato da
parte di vescovi e alti prelati, compreso il Cardinal Borromeo.
Nei confronti di quest'ultimo gli Umiliati organizzarono addirittura un complotto per ucciderlo, ma l’attentato fallì. Congiurati
e Priore furono condannati a morte e l'ordine fu soppresso per
decreto pontificio. La chiesa di S. Cristoforo passò ai Barnabiti
nel 1581 e da loro è tuttora gestita.
Il legame con S. Giacomo è questo: nel XII secolo esisteva,
in fondo alla strada dove è situata S. Cristoforo, una chiesa dedicata a S. Giacomo appartenente ai Templari. Qualche secolo
4
Lc 24,32
In compagnia di un Amico, il pellegrino di Emmaus
51
dopo la chiesa fu demolita per fare spazio a nuovi caseggiati e il
titolo della chiesa, essendo essa anche parrocchia, fu trasferito a
S. Cristoforo. Quindi oggi non rimane più la memoria fisica di
un luogo dedicato al santo dei pellegrini ma almeno rimane la
memoria spirituale della dedicazione di un tempo5.
S. Cristoforo
S. Cristoforo è un santo dei pellegrini e insieme a S. Giacomo, S. Martino, S. Rocco e S. Michele è uno dei più invocati e
rappresentati. È un santo di Via la cui venerata presenza in tanti
luoghi della strada contribuisce a rafforzare la santità del cammino.
La storia del santo è molto particolare. Si racconta che fosse
un cananeo gigantesco di aspetto orribile di nome Reprobo.
Serviva il re del suo paese ma il suo desiderio era di servire un
re più potente. Ne trovò uno ma vide che questi aveva paura del
diavolo. Allora pensò che fosse quest'ultimo il più potente e si
mise al suo servizio. Un giorno passando davanti a una croce
vide che il suo nuovo re fuggiva e gli raccontarono di un uomo
chiamato Gesù che, morto sulla croce, impauriva il diavolo. Allora Reprobo si mise di nuovo in cerca e trovato un eremita fu
da lui invitato a fare digiuno e penitenza. Ma Reprobo gli disse
che non erano cose per lui. L'eremita allora cercò ancora di aiutarlo e lo invitò a mettersi al servizio degli uomini che attraversavano, spesso perdendo la vita, un pericoloso fiume da quelle
parti. Questo piacque a Reprobo che grande e grosso e forte fece attraversare tanti uomini. Un giorno un bambino gli chiese di
essere portato all'altra riva. Reprobo lo mise facilmente sulle
spalle ma lungo la traversata il bambino si faceva sempre più
pesante e il fiume si ingrossava. Arrivato comunque salvo dall'altra parte il bambino si manifestò a lui dicendo di essere quel
Cristo che lui cercava e di avergli fatto sentire e portare tutto il
peso del mondo che lui, come Redentore, sopporta. Reprobo al-
5
Per la storia della chiesa S. Cristoforo di Vercelli si ringrazia il Prof.
M.Guilla e Gianfranco Musso
52
Capitolo III - Da Torino a Pavia
lora si fece battezzare e il suo nome nuovo fu Cristoforo, portatore di Cristo. Morì martire in Licia dopo aver convertito molti.
La sua figura si vede dipinta molto grande fuori dalle chiese.
Questo perché anche da lontano possa essere scorto dal pellegrino in cammino ed essere d'aiuto al viandante: chi vede S.
Cristoforo sa infatti che non morirà quel giorno fuori dalla grazia di Dio.
I pellegrini possono continuare la strada, invocando nei pericoli del lungo cammino e nella inclemenza delle stagioni quel
santo patrono dei viandanti, il gigantesco S. Cristoforo, battezzato dallo stesso infante Gesù dopo che lo ebbe trasportato col
peso di tutti i peccati del mondo al di là del fiume simbolico
della vita.6
Nicorvo
C’è una sosta all’angolo della strada, lì dove la via piega per
Albonese. E’ la chiesetta della Madonna del Patrocinio. Se è
chiusa c’è chi te la aprirà e la Madonna lì ti ascolterà.
Madonna del Campo
La chiesa custodisce al suo interno una bellissima rappresentazione di S. Giacomo pellegrino. Anche solo per questo varrebbe la pena entrarvi, poi una volta entrati si resta avvinti dal
silenzio e dalla tranquillità del luogo e ci si fermerà per una
preghiera.
L’esistenza della Chiesa della Madonna del Campo è attestata sin dal XII secolo; in un documento del 1145 viene citata
con il nome di “S. Maria de Pertica”. Il Santuario venne ricostruito nel XV secolo, nelle forme attuali. La facciata a capanna
ripete le linee lombardo-gotiche della chiesa a sala, tipica della
Lomellina.
L'arcone presenta un grande affresco di Ferdinando Bialetti
dedicato alla battaglia combattuta a Mortara nel 773 tra l'esercito Franco e quello longobardo (vedi più avanti S. Albino).
6
Notizie su S.Cristoforo dalle lezioni tenute dalla Prof.ssa Gioia Lanzi, Bologna, settembre 1999
In compagnia di un Amico, il pellegrino di Emmaus
53
Dietro all'arcone trionfale un tiburio di gusto bramantesco,
sorretto da pilastri in cotto, immette nella cappella maggiore,
che conserva un importante affresco dedicato alla Madonna del
Latte, realizzato nel 1514, da Tommasino da Mortara.7
Mortara
La chiesa di Santa Croce è stata fondata nel 1080, demolita
nel 1557, ricostruita nel 1576 e pesantemente modificata negli
anni Sessanta. Viene qui ricordata al pellegrino per una curiosità qui conservata. Si tratta di una presunta reliquia delle crociate: lo stampo in marmo del piede di Cristo.
Sant'Albino di Mortara
Fu un'importante abbazia e la sua memoria attira ancora qui
molti pellegrini soprattutto francesi. Infatti la chiesa di
Sant’Albino è legata nella tradizione alla battaglia fra gli eserciti dei Longobardi e dei Franchi, combattuta il 12 ottobre 773.
Carlo Magno qui raccolse i suoi caduti e tradizione vuole che vi
siano sepolti due vessilliferi di Carlo Magno morti nella battaglia: Amile D'Auvergne e Amis de Beyre amici e compagni di
strada e d’avventura. Si racconta che furono seppelliti, la sera
della battaglia, uno in un luogo e uno in un'altro e il mattino dopo i corpi dopo furono trovati l'uno a fianco all'altro. Sul luogo
fu fondato poi un monastero su suggerimento del monaco Alcwin che si trovava al seguito del re franco e i primi monaci che
lo abitarono, tutti francesi lo dedicarono a S. Albino d'Angers,
patrono di Francia.
La struttura attuale mantiene alcuni tratti dello stile romanico originale, come il campanile e l’abside, integrati dai rimaneggiamenti del Cinquecento, visibili nella facciata e nelle navate. All’interno sono conservati affreschi del XV secolo. Accanto a uno degli affreschi sono ancora visibili i segni lasciati
dai pellegrini nel Medioevo: la data leggibile più antica risale al
1100.
7
Mortara, S. Maria del Campo, Le Guide, Little Mercury, Bergamo
2001
54
Capitolo III - Da Torino a Pavia
S. Martino di Palestro e S. Martino di Tromello … e i tanti
altri S. Martino della nostra Via
Lungo la Via Francigena troveremo molte chiese dedicate a
S. Martino, tra le quali la più famosa è a Lucca. L’invito è di
visitarle tutte. S. Martino è un santo di “strada”, è un amico dei
pellegrini, legato a loro per l'elemosina che fece al povero, è
uno di quei santi per la cui memoria e devozione è stata percorsa tanta strada dai pellegrini.
S. Martino
Nato in Pannonia, l’attuale Ungheria, Martino era figlio di
un ufficiale romano e da questi formato alla vita militare. Celebre è il racconto di Martino, ufficiale a cavallo, che in una fredda sera d’inizio inverno incontra un povero e a lui dona metà
del suo mantello tagliato con un colpo di spada. La stessa notte
Gesù apparve in sogno al giovane soldato dicendogli che il
mantello lo aveva diviso con Lui. Conosciuto il cristianesimo
lasciò l’esercito e si fece battezzare a Poitiers. Condusse vita
eremitica nell’isola Gallinara e fondò un monastero di monaci
missionari. Nel 373 venne scelto come vescovo di Tours. Divenne uno dei fondatori della chiesa della Gallia. Peregrinò di
villaggio in villaggio svolgendo un efficace apostolato fra i pastori e contadini creando le parrocchie rurali.
Si adoperò fortemente per eliminare il paganesimo cercando
di stabilire la pace religiosa turbata da tanti errori sia religiosi,
che politici e sociali. Morì a Caudes (città vicino a Tours) nel
397 e la sua tomba a Tours divenne forte meta di pellegrinaggi e
l’affetto per il santo crebbe e si diffuse in tutta la cristianità diventando uno dei più importanti santi d'Europa. La splendida
cattedrale a lui dedicata fu distrutta dalla rivoluzione francese.
Anche qui, come in tanti altri casi, accade che dove c'è un forte
santo lì più forte è la persecuzione e l'accanimento del diavolo
per nasconderne e disperderne il ricordo. S. Martino è veramente un grande santo.
Capitolo IV
Pavia
Incontro con un testimone: S. Agostino
S.Agostino lava i piedi a Cristo pellegrino, J.Huguet, Barcellona
Inquietum est cor nostrum donec requiescat in te
S. Agostino
Esemplare figura di cercatore e quindi di pellegrino. Non si
può restare indifferenti davanti a questo uomo che ci assomiglia
profondamente. La sua vita fu dall’inizio un’ansiosa ricerca di
felicità che pensava di trovare, come tutti noi, nelle facili seduzioni di questo mondo. Alla radice vibrava però un animo irrequieto che non si accontentava delle risposte materiali e delle
brevi gioie che la sua vita, così condotta, gli dava. Da Tagaste,
dove era nato nel 354 si recò a Cartagine per studiare come retore. Qui convivendo con una ragazza ebbe anche un figlio, Adeodato. Cominciò a interessarsi di filosofia per cercare in essa
55
56
Capitolo IV - Pavia
le risposte che ancora non aveva trovato. Intanto la madre Monica (che si può dire divenne santa per quanto pregò affinché il
figlio si salvasse), cercava di avvicinare il figlio alla religione
cristiana che però era vista da Agostino, nella sua visione profondamente razionale, come una “superstizione puerile”. Anche
nel Manicheismo al quale si era votato e che aveva cominciato
ad insegnare, non trovò la verità che cercava. Si trasferì a Roma
dove insegnò ancora per un po’. Nel 384 ottenne a Milano una
cattedra di retorica e vi si trasferì. Qui nel 385 lo raggiunse la
madre Monica che gli fu sempre a fianco. E, a Milano, dopo
lungo pellegrinare, la tappa decisiva della sua conversione: qui
ebbe l’opportunità di ascoltare i sermoni che S. Ambrogio teneva regolarmente in cattedrale e le parole che ascoltò si scolpirono nel cuore di Agostino. S. Ambrogio lo spinse a leggere le lettere di S. Paolo. Famoso è il momento della conversione che
viene narrato come l'episodio del “giardino” quando Agostino
sentì una voce che gli diceva: “Tolle, Lege” (Confessioni, libro
VIII, cap 12); aperto il libro di S. Paolo d'improvviso “svanì
ogni nebbia di dubbio”. Nella notte del 25 aprile 387 ricevette il
battesimo dalle mani di S. Ambrogio.
Cominciò per lui una vita di ricerca in preghiera e castità.
Tornato nel 388 in Africa, ad Ippona fu ordinato sacerdote
nel 391. Fondò più di un monastero e divenne vescovo di Ippona. Fino alla sua morte nel 430 si dedicò alla predicazione e alla
scrittura.
Via di fede e d’intelletto, cammino mai interrotto.
Parole senza tempo
Gli insegnamenti di S. Agostino risuonano ancora oggi,
chiari e forti, come se fossero stati scritti stamattina per noi che
saremmo passati, fermandoci, presso di lui:
Il Verbo di Dio ci insegna il cammino da scegliere nella nostra vita.
1. Noi, o fratelli, siamo cristiani e ci proponiamo tutti di percorrere un cammino, ma anche se non ce lo proponessimo, di
fatto lo percorriamo perché lo scorrere del tempo sospinge tutti
Incontro con un testimone: S. Agostino
57
quelli che vengono in questa vita a procedere oltre, e non permette a nessuno di restare qui. Non è concesso di indugiare pigramente: si deve camminare se non si vuol essere trascinati
via. Su questo nostro cammino, a un bivio ci si è fatto incontro
un uomo: ma non è un uomo, è Dio, che per gli uomini si è fatto
uomo. Egli ci ha detto: Non incamminatevi per la via di sinistra: essa si presenta facile e piana, piena di delizie, è larga e
battuta da molti, ma conduce alla morte. C'è invece un'altra via
che presenta difficoltà fatiche angustie asprezze in gran numero: essa non solo è priva di piaceri, ma offre scarsi conforti
umani. Incamminandovi su di essa, incontrerete difficoltà che
potrete però superare presto, e giungerete così alla vetta del
gaudio, vincendo quelle insidie da cui per altra via nessuno può
scampare.1
Siamo in cammino: nei cieli è la nostra patria
1. In questa nostra vita, carissimi fratelli, noi siamo in cammino
come pellegrini, lontano dalla Gerusalemme celeste che è la
patria dei santi: ce lo insegna in modo chiaro l'apostolo Paolo:
Finché viviamo nel corpo, siamo pellegrini, lontano dal Signore . E poiché ogni pellegrino ha indubbiamente una patria, noi
dobbiamo conoscere quale sia la patria verso la quale ci dobbiamo affrettare, mettendo da parte allettamenti e piaceri di
questa vita, verso la quale siamo diretti e nella quale soltanto
possiamo trovare riposo. Dio ha disposto che non avessimo
quiete vera altrove perché, se anche qui avessimo quiete, non
avremmo desiderio di tornare là. Dice nostra patria la Gerusalemme celeste, non quella terrena che - come insegna ancora
l'Apostolo - è schiava insieme con tutti i suoi figli : essa è stata
data come segno della rivelazione futura agli uomini carnali
che in essa adorano l'unico Dio, al quale però chiedono ancora
una felicità terrena. Ma v'è l'altra Gerusalemme, quella che
l'Apostolo dice posta nei cieli: La Gerusalemme di lassù è la
1
S. Agostino, dai Discorsi, 346/A, disponibile su http://www.santagostino.it, per gentile concessione, ultima visita 30 aprile 2006.
Capitolo IV - Pavia
58
nostra madre. La dice madre in quanto metropoli, che significa
appunto città-madre. Dunque ci dobbiamo affrettare verso di
essa, ben conoscendo di essere pellegrini e ancora in cammino.2
Chi ama procede correndo
2. L'uomo che ancora non crede nel Cristo, non è neppure in
cammino: va errando e anche se egli pure cerca la patria, non
sa per quale via e dove cercarla. Dico che cerca la patria perché ognuno cerca la quiete, cerca la beatitudine. Chiunque, interrogato se desideri essere felice, risponde senza esitazione di
desiderarlo perché questa è l'aspirazione propria dell'uomo;
ma gli uomini ignorano per quale via raggiungerla o dove si
trovi, e perciò vanno errando. Non va errando chi non si muove. Se non si sa per dove andare, è facile deviare. Ci riconduce
sulla via il Signore e, quando diventiamo fedeli aderendo con la
fede al Cristo, già cominciamo a camminare sulla via, anche se
ancora non siamo in patria. E se siamo ben consapevoli di essere cristiani esortiamo tutti quelli che ci sono più cari, che ancora errano tra le vane credenze e le eresie, a porsi sulla via e
a camminare. Ma dobbiamo anche esortarci a vicenda noi che
già siamo in cammino, perché, se è vero che arrivano in patria
solo quelli che sono sulla via, però non tutti quelli che sono in
cammino giungono alla mèta. Se chi non è sulla via è esposto a
pericolo maggiore, gli altri tuttavia non possono ancora essere
sicuri che i piaceri che si trovano sulla via stessa non li ostacolino, frenando il loro slancio verso la patria, nella quale soltanto si trova riposo. Quello che fa avanzare sulla via è l'amore di
Dio e del prossimo. Chi ama corre, e la corsa è tanto più alacre
quanto più è profondo l'amore. A un amore debole corrisponde
un cammino lento, e se addirittura manca l'amore, ecco che uno
si arresta sulla via, e se rimpiange la vita mondana, è come se
volgesse indietro lo sguardo, non mirando più alla patria. Non
giova che uno si metta sulla via e poi invece di camminare torni
2
Ivi, 346/B.
Incontro con un testimone: S. Agostino
59
indietro. Se uno si è posto sulla via, cioè, fuori di immagine, si è
fatto cristiano cattolico, e guarda indietro volgendo ancora il
suo amore al mondo, non fa che ritornare là donde era partito.
Addirittura smarrisce la via e torna a errare colui che cede alle
insidie del nemico che ci tenta e assale durante il nostro cammino, ed eccolo staccarsi dalla Chiesa cattolica per seguire un'eresia o tornare ai riti pagani o a credenze superstiziose, che
sono tutte trappole del diavolo.3
Noi, il settimo giorno in cammino verso l’ottavo
Non spetta a voi conoscere i tempi che il Padre ha riservato
al suo potere. Dopo questa epoca, quasi fosse al settimo giorno,
Dio riposerà quando farà riposare in se stesso, come Dio, il
settimo giorno, che saremo noi. Sarebbe lungo a questo punto
discutere accuratamente di ciascuna di queste epoche; tuttavia
la settima sarà il nostro sabato, la cui fine non sarà un tramonto, ma il giorno del Signore, quasi ottavo dell'eternità, che è
stato reso sacro dalla risurrezione di Cristo perché è allegoria
profetica dell'eterno riposo non solo dello spirito ma anche del
corpo. Lì riposeremo e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo
e loderemo. Ecco quel che si avrà senza fine alla fine. Infatti
quale altro sarà il nostro fine, che giungere al regno che non
avrà fine?.4
Sulla Via
S. Pietro in Ciel D'Oro
Questa basilica dal nome suggestivo – in Ciel d’Oro – a ricordo del soffitto ligneo della chiesa paleocristiana decorato con
tinte oro come il cielo del Paradiso, risale nelle memorie al 604
d.c. e fu ricostruita nella forme attuali romanico - lombarde nel
3
4
Ibid.
S. Agostino, Le due città, libro XXII, cap 29, disponibile su
http://www.sant-agostino.it, per gentile concessione, ultima visita 30
aprile 2006.
60
Capitolo IV - Pavia
XII secolo. Al suo interno custodisce, al centro del presbiterio,
la preziosissima Arca Marmorea di S. Agostino, opera di scuola
lombarda del Trecento che conserva le spoglie di S. Agostino,
padre della Chiesa. La traslazione delle spoglie di S. Agostino
fu voluta dal re longobardo Liutprando perchè le reliquie del
grande santo potessero essere conservate nell’allora capitale del
regno Longobardo e essere degnamente venerate ed altresì salvate dai predoni saraceni che assediavano Cagliari, dove le reliquie erano state portate anni prima per essere salvate
dall’invasione della Tunisia da parte dei Vandali. Così S. Agostino poté trovare pace in uno dei cuori della cristianità del tempo. Il sepolcro divenne centro di vita religiosa e politica per Pavia, meta di pellegrinaggi di principi e di semplici, di papi e di
pellegrini. L’Arca fu costruita per essere un “libro di pietra” a
memoria del santo e a ricordo del suo grande viaggio su questa
terra.
L’opera, ornata da 95 statue e 50 bassorilievi, richiede al
pellegrino una sosta lunga e approfondita per poterne guastare
la preziosità e per leggerne gli importanti insegnamenti. Statuette rappresentanti le Virtù teologali, cardinali e monastiche, e
bassorilievi con episodi della vita di S. Agostino raccontano per
immagini verità di Fede da portarsi poi con sé nel prosieguo del
cammino. Il libro di pietra racconta un itinerario dall’umano all'universale, dalla storia all’eternità, che è poi l’itinerario straordinario e insieme consueto di ogni uomo. Ogni particolare di
quest’opera richiederebbe una degna descrizione. Rimandiamo
ad opere specialistiche e alla volontà del pellegrino la scoperta
di tutta questa ricchezza, nella certezza che la lettura diventerà
anche preghiera.
Ci soffermiamo qui solo su alcuni, minimi, particolari. Nella
parte anteriore dell’Arca si nota l’immagine della Speranza che
guarda serena all’insù. E’ immagine del tranquillo affidarsi al
Signore. Bello e significativo per noi pellegrini è vedere che a
fianco, a destra, è proprio l’immagine di S.Giacomo. Chissà se è
un caso che sia proprio lì la Speranza, virtù del pellegrino, a
fianco del Santo compagno pellegrino e protettore. Anche due
bassorilievi triangolari (i pennacchi triangolari) richiamano la
Incontro con un testimone: S. Agostino
61
nostra attenzione. In uno vengono rappresentati pellegrini zoppi
e malati che entrano nella città di Pavia accolti da S. Agostino.
Dall’altra parte un’altro bassorilievo li rappresenta in uscita dalla città, tutti guariti e senza bastone, ad eccezione di uno che ha
ancora un bastone in mano ma che ora è un bordone da pellegrino. Questo miracolo è narrato nella Legenda Aurea: Agostino appare ad alcuni pellegrini tedeschi e francesi che erano in
cammino per Roma e segnala loro che la sua tomba si trova a
poche miglia di distanza. Usciranno da San Pietro in Ciel d'Oro
in piedi e senza bastone, capaci di camminare con le proprie
gambe.
Un’immaginetta trovata nella chiesa riporta la foto del particolare di questa uscita dei pellegrini sanati con una significativa
frase:
Portiamo un corpo mortale, ricolmo di tentazioni, pieno di
affanni, oppresso dai dolori, schiacciato dal bisogno, mutevole,
debole, mai completamente sano.
S. Michele
La chiesa viene già ricordata da Paolo Diacono, storico longobardo nel 642 d.c. I Longobardi erano particolarmente devoti
a S. Michele Arcangelo, loro santo protettore, e nei luoghi più
importanti vi dedicavano chiese. Pavia, che era la capitale del
regno, ne aveva ben quattro e questa rimasta era la maggiore.
Era la chiesa palatina, la chiesa ufficiale dove venivano incoronati i re italici, dai Longobardi in poi. Qui nel 1155 fu incoronato anche Federico Barbarossa. Nel 1117 fu ricostruita dopo un
terremoto come la vediamo ora, in stile romanico lombardo a
tre navate. Nella facciata, ben evidente, S.Michele Arcangelo
che calpesta il diavolo e nelle porte laterali altri angeli che avevano, come ci racconta la tradizione, il compito di raccogliere le
preghiere dei fedeli.
Bisogna fermarsi a lungo per ammirare la molteplicità delle
raffigurazioni e dei soggetti scolpiti nei bassorilievi sulla facciata e all'interno, nelle mensole e nei capitelli. Come sempre succedeva a quell'epoca le chiese parlavano al popolo di Dio delle
62
Capitolo IV - Pavia
storie della Bibbia e del Vangelo per immagini simboliche o
chiare descrizioni di episodi esemplari. Bellissima sul quarto
capitello di sinistra la raffigurazione della “Morte del Giusto”
con S. Michele che abbraccia e difende l’anima dell'appena defunto dall'estremo e ultimo attacco del diavolo. In pochi secondi
si decide la sorte eterna di un’anima ma a questo punto, sicuri
della forza dell'Arcangelo sappiamo chi è il vincitore e in noi
rimane solo il dubbio se, quando verrà il giorno, saremo anche
noi degni di avere tale difesa.
Altre due cose rilevanti sono da vedere:
- Il cosiddetto Crocifisso di Teodote, splendido crocifisso in
lamina d'argento a sbalzo, simile a quello che si è potuto vedere
a Vercelli, ma più piccolo.
Risale ai primi anni del secolo IX. Cristo è raffigurato come
Triumphans, con gli occhi aperti, senza chiodi e segni del martirio. E’ un Cristo vivo e risorto che sulla croce offre la vita per
riprenderla di nuovo5. È arrivato fino a noi grazie alla prontezza
di una madre badessa che all’epoca dell’invasione napoleonica
nascose il crocifisso in un pozzo per evitarne la trafugazione, a
differenza di quello che avvenne per tante altre opere preziose e
sacre della nostra storia.
- Il labirinto sul presbiterio, mosaico pavimentale in parte distrutto nel XV secolo, ma di cui si ha anche un disegno completo nella Biblioteca Vaticana. Al centro è rappresentato Teseo
che uccide il minotauro così come Cristo trionfa sul male. Altri
labirinti troveremo lungo la Via. Questo è il primo ma di notevole rilievo e bellezza. Fatevi aprire dal custode il cancello per
salire al presbiterio.
5
Gv 10, 17
Capitolo V
Da Pavia al Passo della Cisa
"Di santi e di pellegrini"
Attirerò tutti a me
Gv 12,32
Di santi e pellegrini vogliamo parlare camminando in questo
tratto padano. Di santi che passarono e si fermarono, di pellegrini che passarono e proseguirono e di ospitalieri che attesero
gli uni e gli altri e di come tutti furono stranieri e pellegrini in
questo mondo.
"Che cos’è la nostra vita? Il cammino di un viandante: appena ha raggiunto un certo luogo gli si aprono le porte, abbandona gli abiti da viaggio e il bastone da pellegrino ed entra in
casa sua."
Giovanni di Kronstadt
Ogni luogo è casa mia; in nessun luogo mi fermerò. Tutto mi
sta a cuore; con nessuna ricchezza del mondo baratterò l’anima
63
64
Capitolo 5 - Da Pavia al Passo della Cisa
mia. Essere pellegrini e stranieri: è in questo paradosso che ancora si rinnova e rimane l’eredità dei cristiani. Amare il mondo
e lavorare per migliorarlo e contemporaneamente essere proiettati in una dimensione dalla prospettiva eterna dove ciò che è
mondo terreno non può legarci. Il nostro è un passaggio, come
passiamo da pellegrini in un luogo. Ci si può fermare per un po’
e costruirvi qualcosa di importante ma sapendo che tutto per noi
durerà al massimo il tempo della vita terrena e dopo dovremo
ripartire. Possiamo così decidere di far parte di quel corteo eterno che ha camminato e costruito e ha testimoniato. Migliaia di
uomini che hanno lasciato in eredità una traccia della loro fede
così come hanno fatto i pellegrini che andavano lungo la pianura padana, andando o tornando da Roma. Tra di loro c’è chi si
fermò per costruire ponti, tracciare la via, aprire ospitali; c’è chi
ripartì per non perdere la meta o per compiere altrove il suo destino; c’è chi lasciò un segno, costruì una chiesa, scolpì un capitello.
Tutti conoscevano la regola scritta nei loro cuori
dall’esperienza della strada: il viandante non si domicilia nello
spazio ma nel tempo. Non esistono vincoli spaziali perché la
propria vita si gioca nel tempo. Nel tempo di una vita spesa cercando Dio, seguendo le sue strade, testimoniando il Dio del
tempo, presente in ogni luogo ma ancor di più presente nella
storia del suo popolo, nei cuori e nella carne di ogni uomo. Testimoniare Dio nell’attimo presente, nell’oggi, diventa il modo
di vivere nel tempo. Noi siamo, come dice S.Pietro, “un tempio
di pietre vive impiegate per la costruzione di un edificio spirituale” (Pt I 2,5).
I luoghi allora sono solo funzionali alla sosta temporanea di
“queste pietre vive” che costruiscono il tempio del Signore, per
aiutarle a ricordarsi la direzione, per “segnare” la strada. Pietre
di carne, tempio dello Spirito1 ancora oggi in cammino sulle
stesse strade, in un altro tempo ma cercando sempre di costruire
un destino eterno. Perché tutti noi, da quel giorno preannunciato
e avverato in cui Cristo attirò tutti a sé, facciamo parte dello
1
Pt I 6,19
"Di santi e di pellegrini"
65
stesso corteo in un’unione indissolubile. Dal primo martire fino
all'ultimo credente che lascerà questo mondo per presentarsi
nella valle di Josafat al suono della tromba dell'ultimo giorno,
tutti siamo legati nella Comunione dei Santi e formiamo veramente un corpo unico dove ciò che realizza uno è una parte essenziale per tutti gli altri in un perfetto disegno divino. Niente
succede a caso, tutto ha un senso ed è orientato a condurre alla
Gerusalemme Celeste tutti quelli che vorranno arrivarvi entrando nella Comunione dei Santi.
“La storia della Chiesa è la storia di un immenso corteo che
lentamente entra nell'eternità. Esso si accresce giorno per
giorno di nuovi membri, aggregati per mezzo del battesimo.
Nono stante le defezioni, provvisorie o definitive, i membri rinnovano le gesta del capo, vivono della vita del capo. In questo
incessante passaggio dalla terra al cielo, in questa ineluttabile
marcia in avanti, tutti sono reciprocamente solidali. È più di
un'ascensione in montagna dei componenti della medesima
cordata, è la lenta crescita di un medesimo organismo (Col.
3,19), di un medesimo uomo nuovo che cerca di arrivare alla
sua perfetta statura (Ef. 4, 13). Ci sono degli scambi perpetui
fra i membri di questo medesimo corpo, siano essi ancora nella
carne od abbiano già lasciata la loro dimora terrena per dimorare col Cristo (II Cor. 5,1)”.2
" Tra i tanti ricordi del pellegrinaggio ne scelgo due particolarmente nitidi perché cromatici. Il primo è rosso: il ricordo
dei confortanti bicchieri di vino durante le nostre cene. Vi ricordate come era rosso? E come era buono e come eravamo
grati e stupiti alla sera mentre chiacchieravamo bevendo con
calma. Quel vino, ottimo, che aveva anche un nome (era Barbera), mi pare riassuma bene tutto quello che di gratuito e inaspettato ci è arrivato durante un pellegrinaggio. Anche se ci si
2
H. Rondet S.J., Unità in Cristo, Paoline, Milano 1955, p. 21
66
Capitolo 5 - Da Pavia al Passo della Cisa
aspetta un vino non lo si spera così buono, anche se ci si aspetta un paesaggio interessante non si è poi pronti ai colori o ai
profumi che si incontrano e lo stesso vale per i compagni di
viaggio. Per non parlare poi delle ragioni per cui io credevo di
essere partita e che, sera dopo sera, complice i km, il vino e la
Grazia di Dio sono diventate sempre più chiare e diverse dalle
attese.
L'altro colore è il bianco: come lo scalino nella chiesa di
Cavagnolo, lo stesso su cui si inginocchiava il venerabile Casimiro quando non era in giro a pellegrinare. Non ditelo in giro
ma io ed altri su quel gradino ci siamo inginocchiati (un po' di
nascosto, un po' timidamente) per provare a cambiare prospettiva, per provare a vedere se qualcosa cambiava subito, e poi
per toccare davvero (i pellegrini sono gente concreta) il posto
dove anche un venerabile della Chiesa si era inginocchiato. E'
sempre la stessa storia: cammini dove altri pellegrini hanno
camminato, ti inginocchi dove altri prima di te si sono inginocchiati, vedi le chiese che hanno visto e ti ricordi che non sei
proprio l'inizio e la fine del mondo, sei come sulle tracce di altri e questo significa che tutto sommato non sei solo, grazie a
Dio.
Adesso nelle brume di novembre, tra le ansie della vita quotidiana e la noia del già visto, il rosso del vino e il bianco dello
scalino tornano ogni tanto alla mente giusto per ricordare che
il quotidiano, il presente sono un bene ma non è poi così strano
che ci aspetti ancora altro, inaspettato, nuovo, gratuito, concreto e che quindi vale anche in autunno l'antico motto: ultreia".
(Chiara Leone, dal diario di pellegrinaggio della Confraternita di
S. Jacopo – settembre 2005)
Sulla Via
Le cronache e la storia raccontano dei mille ospitali che segnavano la Via Francigena e della vita e delle testimonianze che
"Di santi e di pellegrini"
67
lungo di essa si produssero. È giusto soffermarsi e ricordare tale
ricchezza.
Camminare nella pianura, appoggiati al bordone, non doveva
essere poi tanto faticoso per i pellegrini del lontano anno Mille.
Le vecchie strade romane stavano perdendo il loro taglio rettilineo, interrotte da strade e viottoli fangosi dai mille diverticoli,
ma ancora il vecchio basolato resisteva e guidava il pellegrino.
L'attraversamento del Po era garantito da numerosi traghetti
spesso messi a disposizione da case ospitaliere e vari Ordini e
Confraternite cercavano di tenere curata la via.
Da Pavia
Uscendo dalla città il pellegrino imboccava la Strada Regina
dalla porta detta di San Giovanni, ove era un ospizio tenuto dai
Cavalieri di Malta o Ordine di San Giovanni di Gerusalemme
(oggi reca il nome di porta Garibaldi... sic!). Poco dopo, sulla
destra della via, si vede la chiesa di San Pietro in Verzolo, precedente all’anno Mille anche se attualmente rovinato da sovrastrutture barocche. Prendeva allora il nome di San Pietro “dei
lebbrosi” per la presenza di un ospedale a loro destinato.
Imboccata a destra la via Francana si incontra l'oratorio di
San Lazzaro del XIII secolo con facciata ad arcatelle che si
prolungano anche sui fianchi dell'edificio. Accanto sorgevano le
case dei monaci e le strutture ospitaliere fondate nel 1157 da
Gislenzone Salimbene con i figli Siro e Malastreva, uno dei tanti punti di ospitalità per pellegrini di cui disponevano Pavia e il
suo contado.
Ospitaletto
Toponimo che ricorda l'esistenza di una struttura assistenziale appartenuta ai templari e sopravvissuta alla loro scomparsa e
ricordata anche col nome di San Leonardo di Tossicaria. Gian
Galeazzo Visconti la annovera nel suo “Itinerario per i pellegrini diretti a Roma”, diffuso a Pavia nel 1400. Oggi però, al di
fuori del toponimo, di tale provvidenziale istituto non resta traccia.
68
Capitolo 5 - Da Pavia al Passo della Cisa
S. Giacomo della Cerreta
Il sito della Cerreda, oggi San Giacomo della Cerreta noto
per il suo pregevolissimo oratorio gotico della prima metà del
XV secolo edificato su un edificio sacro preesistente del XII secolo. La facciata è a capanna con decorazioni in terracotta e un
piccolo campanile cilindrico nella parte posteriore. All'interno
si trovano numerosi affreschi quattrocenteschi realizzati da
Giovanni da Caminata tutti raffiguranti S. Giacomo.
Sul fianco destro della chiesa un sentiero scende subito il
terrazzo fluviale ed entra nei fitti pioppeti della golena. Il fiume
oggi è lontano, ma nel passato e fino al 1833 doveva essere
prossimo all'abitato e questa doveva essere la via d'accesso a un
“porto” natante, forse il porto di San Cipriano.
"Di santi e di pellegrini"
69
Herru Santiago, Grott Santiago
Quale S. Giacomo pregheremo? A quale S. Giacomo ci affideremo?
All'umile pescatore di Galilea, chiamato tra i primi da Gesù
sulle sponde del Lago di Tiberiade, o al discepolo dal carattere
tanto focoso da essere appellato Boanerghes, il figlio del tuono?
Oppure all'apostolo, missionario in Spagna, consolato dalla
Vergine del Pilar, che torna sconfitto per morire martire a Gerusalemme?
O sarà il S. Giacomo pellegrino, vestito con mantellina e petaso, con la conchiglia cucita sulle vesti e il bordone in mano
che si incontra lungo la strada pellegrino e a volte, con il suo
ampio mantello, copre e protegge i suoi fedeli; o il Matamoros
forte e vittorioso sul suo cavallo bianco che schiaccia il male e
gli invasori; o il maestro, saggio e anziano, con il libro in mano?
Quale S. Giacomo richiama e affascina migliaia di pellegrini
sulla sua strada e sulle mille strade del mondo?
Questo strano santo che diventa pellegrino come i suoi devoti e ne riveste gli abiti camminando con loro, singolare esempio
di immedesimazione con i suoi fedeli tanto che non si fa solo un
pellegrinaggio a S. Giacomo ma con S. Giacomo.
Questo strano santo del quale la lontananza del sepolcro è
stato ulteriore motivo di richiamo e di fascino per migliaia di
jacquet, coquillards, così come si chiamano i suoi pellegrini.
Questo involontario promotore di un movimento di pellegrinaggio tanto importante da far dire a Dante che pellegrino è solo chi va "alla casa di Sa' Jacopo" e che porta con sé il simbolo
del pellegrinaggio a Compostella, la conchiglia, che è diventato
il simbolo del pellegrinaggio per eccellenza.
Quale S. Giacomo veneriamo? Ci ricorderemo di chiedere a
lui di essere per noi avvocato nell'Ultimo Giudizio?
Mille volti di una fede e di un amore per un santo che ci accompagna sulle strade della nostra vita.
Herru Santiago, Grott Santiago, e ultreya, e suseya, Deus
adjuva nos.
70
Capitolo 5 - Da Pavia al Passo della Cisa
Corteolona
Alle porte del paese, inglobato ora in una casa colonica, c'è
quello che resta dell'oratorio di S. Anastasio, un tempo monastero voluto nelle sue forme iniziali da Liutprando, re dei Longobardi. Fu poi rimaneggiato. Secondo il beneplacito di Carlomagno qui si dava ospitalità ai pellegrini di passaggio. Il paese
fu importante in epoca carolingia, quando era curtis regia, residenza imperiale. Da qui si arriva a S. Cristina lungo la strada
campestre che i vecchi del paese chiamano “persa”, probabilmente relitto della Strada Regina medievale.
S. Cristina
Borgo risalente al VI secolo, sviluppatosi intorno all'abbazia
di S. Cristina, documentata fin dall'anno 768 in un atto in cui
Ansa, moglie di Desiderio, ultimo re dei Longobardi, dona all'abbazia alcuni beni situati sul lago di Como. Le proprietà includevano anche vari porti sul Po, compreso quello di Corte S.
Andrea e i castelli di Chignolo e Miradolo. Fino al 1776 l'abbazia avrebbe avuto una vasta influenza esercitando funzioni religiose e politico-sociali. Nell’ospitale dove deve aver pernottato
Sigerico, nel 1267, sostò anche Corradino di Svevia.
Chignolo Po
Sicuramente sin dall'età pre-romana era centro fortificato
lungo il percorso della strada Romea, chiamata poi nel Medioevo, Strada Regina; pertanto luogo il passaggio e di sosta dei pellegrini della Via Francigena. Nel IX secolo, Chignolo fu concesso in beneficio da re Berengario ai monaci Benedettini di
S.Cristina, il vicino monastero di fondazione Longobarda.
Corte S. Andrea
Sce Andrea, XXXIX tappa dell’itinerario sulla Via Francigena da Roma a Canterbury di Sigerico (990 d.c.). Insediamento
colonico del tipo “cascina a corte”. L'antichissima località fu
donata da Carlo Magno verso l'anno Mille al Monastero di Santa Cristina de Olona; in un diploma del 1183 il borgo è chiamato Santo Andrea ad Caudam, perché qui il territorio si incunea-
"Di santi e di pellegrini"
71
va fra Lambro e Po formando una lunga striscia di terra simile
ad una coda. Per tutto il Medio Evo il luogo fu lo storico Transitum Padi dei pellegrini provenienti dall'Europa del Nord che
trovavano un ospizio, una chiesa, le capanne dei contadini ma
soprattutto la possibilità di un imbarco sullo zatterone per passare il Po e proseguire il viaggio verso Roma.
Calendasco
A Cotrebbia (oggi Cotrebbia Vecchia), nell’altomedioevo
sorgeva un importante monastero dipendente, fin dall’atto della
sua fondazione, dalla lontana abbazia di Montecassino. Il Bullarium Cassinense ci dice che nell’841 esso ed i suoi ostelli erano
in rovina; alla fine del X secolo con l’apertura delle strade di
terra verso Gerusalemme, ritroveranno un nuovo e fiorente sviluppo. Il monastero di Cotrebbia viene citato anche in un diploma dell’imperatore Berengario datato 27 agosto 927
Piacenza
Nel medioevo per il pellegrino che vi arrivava la scelta era
tra una trentina di ospitali gestiti da una multiforme presenza di
ospitalieri di tutte le nazionalità. C’era infatti l’ospitale svedese
di Santa Brigida oppure il convento di S. Anna dove la tradizione racconta vi si fermò S. Rocco durante il suo pellegrinaggio.
Nella chiesa di Sant'Anna costruita nel 1334, su una preesistente chiesa dedicata a Santa Maria di Betlemme (1180) si può trovare una raffigurazione di San Rocco della fine del XV secolo.
Le visite sacre dei pellegrini si orientavano alla chiesa di S.
Eufemia eretta per custodire il corpo della santa ritrovato nel
1091 e alla Basilica di S. Antonino, patrono di Piacenza, dove
nell’anno 400 si fa risalire la traslazione del corpo di
Sant’Antonino, soldato della legione Tebea, decapitato, secondo
la tradizione, nei pressi di Travo nel 303. I resti del santo sono
ancora oggi conservati in un’urna sotto l’altare maggiore, assieme a quelli di San Vittore, primo vescovo di Piacenza (322357). Fu cattedrale di Piacenza dal IV al IX secolo. Il Duomo,
la cui costruzione viene iniziata nel 1122 dal vescovo Aldo,
conserva le reliquie di S. Giustina e le altre chiese medioevali,
72
Capitolo 5 - Da Pavia al Passo della Cisa
come San Donnino e Sant’Ilario, come pure le fondazioni di
Santa Margherita, insieme alla cripta di San Savino e quella di
San Dalmazio racchiudono le tracce più antiche di Piacenza.
La Piacenza dei pellegrini nel medioevo
Questo è un semplice elenco dei luoghi di ospitalità per pellegrini di cui era ricca la città di Piacenza nei secoli da qualcuno
chiamati bui:
Ospedali di Santo Stefano del Capitolo della Cattedrale, di
Sant'Antonino, di San Macario del Paratico dei Sarti, di San
Marco, di San Cristoforo, di Santo Spirito, della Misericordia,
di Sant'Alessandro, di San Giovanni, del Santo Sepolcro, di Santa Brigida, di Santa Maria di Betlemme, dell'Ordine Antoniano,
del Monastero femminile di San Sisto, del Monastero di Bobbio
dedicato alla Santa Resurrezione, della Chiesa di San Bartolomeo Nuovo, del Monastero di San Savino, di San Raimondo, di
Dio nel quartiere di Porta San Lorenzo, della Chiesa di Santuario, della Chiesa di Santa Maria Maddalena, della Chiesa di
San Giacomo Minore o San Giacomo dei Fossati, della Chiesa
dedicata ai SS. Macario e Gregorio, di San Salvatore, di Santa
Vittoria, "de Burgeto", di San Matteo, del Monastero di Sant'Agostino, di Cassola, di Santa Maria dei Pellegrini, dì Santo Spirito dei Vergognosi, di Santa Maria del Ponte, di Santa Maria
del Tempio, dì Santa Elisabetta, di San Bernardo, di San Lazzaro
entro le mura, di San Bartolomeo Vecchio, di Santa Agnese, di
San Biagio.
Da una pubblicazione della Provincia di Piacenza
Ospitale di S. Lazzaro e di S.Pietro a Pontenure
Hospitale di San Pietro al Montale fondato intorno al 1032
da un certo Rainerio poi ceduto all’Ordine dei Cavalieri di Malta nel 1253. Oltre ad ospitare pellegrini aveva il compito di
mantenere efficiente il ponte sul fiume Nure. Funzionò fino al
1471. Ora è stato recuperato e riattivato dalla Parrocchia di
S.Lazzaro di Piacenza.
"Di santi e di pellegrini"
73
Cadeo
Sembra che derivi il suo nome da Casa Dei, casa di Dio. Qui
vi era un ospitale per pellegrini sorto nel 1112 ad opera del piacentino Ghisulfo. Nella lunetta della parrocchiale è tuttora conservata un bassorilievo in arenaria raffigurante la Madonna con
bambino benedicente e S. Pietro.
Fiorenzuola d'Arda
La Floricum di Sigerico (XXXVII statio). Fondata al tempo
di Silla con il nome di Fidentia o Fidentiola poi ribattezzata in
Florentiola si dice in onore di S. Fiorenzo di Orange che, nel
VI secolo, passò di qui mentre stava andando in pellegrinaggio
verso Roma e vi avrebbe operato un miracolo resuscitando una
giovane, figlia del signore del borgo. Al santo romeo fu dedicata la Collegiata. Si racconta anche del trasferimento di reliquie
di S.Fiorenzo da Orange, in Francia, a Fiorenzuola il 19 marzo
del 1057.
Poco distante da qui, ma fuori dal percorso del pellegrino a
piedi, è l'Abbazia di Chiaravalle della Colomba, del XII secolo di origine cistercense fondata da S. Bernardo di Clairvaux.
Madonna del Moronasco
In zona il più antico insediamento cristiano di Fiorenzuola:
“Per quanto riguarda Fiorenzuola esistono dati sicuri a cui si
possono aggiungere alcune ipotesi. I dati sicuri sono:
l’evangelizzazione al tempo di S. Savino e la fondazione della
chiesa di S.Protaso, la conoscenza del cristianesimo portato dai
viandanti alla gente che abitava qui, di cui è riprova l’esisenza
di una lapide trovata nelle vicinanze e collocata un tempo nella
chiesa di Moronasco ...”3. Al Moronasco fu trovata una lapide
cristiana risalente al V-VI secolo.
3
D.Ponzini, Origini del cristianesimo in Valdarda, in Fiorenzuola,
una città e la sua storia, Piacenza, 1993, p.28
74
Capitolo 5 - Da Pavia al Passo della Cisa
Il Belvedere
Ora in prossimità c’è solo una casa privata. In questa località
nel 1145 fu fondato un’ospitale per pellegrini in onore
dell’Apostolo Giacomo (S.Giacomo di Madonnara) su un terreno donato da Alberico, canonico della chiesa di S.Eufemia di
Piacenza.
Fidenza
La Sce Domine (XXXVI statio di Sigerico). Nel IX secolo
era nota col nome di Borgo San Donnino in onore di S. Donnino che vi morì martire. Il Duomo romanico-gotico di San Donnino, del XII-XIII secolo, presenta vari bassorilievi, alcuni attribuiti all’opera del grande Antelami, altri anteriori.
Il duomo di Fidenza
L’opera catechetica svolta dai bassorilievi del Duomo di Fidenza è molto rilevante. Ogni particolare meriterebbe una descrizione approfondita per potersi soffermare sia sull’aspetto
artistico che sul messaggio che ancora vuole dare ai viandanti
che sotto di lui passano.
Dobbiamo considerare, come premessa iniziale, che i vari
fregi e bassorilievi delle chiese romaniche e gotiche avevano la
funzione di istruire il popolo sulle storie sacre, raffigurando
scene bibliche, evangeliche, vite di santi. Erano lette dalla gente
come un fumetto ed erano di facile interpretazione all’epoca
perchè allora quel tipo di linguaggio figurativo era molto comune. Noi ora abbiamo in parte perso questa capacità e tutto ci deve essere spiegato dettagliatamente. Spesso poi, come nei fregi
di S. Donnino c’erano i “sottotitoli”. La sequenza di San Donnino è organizzata in dieci scene ben identificabili, ma
posizionate in soli sette riquadri fisicamente distinti. Ciascuna
scena è commentata da una epigrafe posta sulla cornice
superiore ed a volte ci sono scritte che identificano anche
singoli personaggi o elementi di paesaggio.
La storia di S. Donnino martire raccontata dai fregi sul portale principale del Duomo ci presenta Donnino cubicularius,
cioè “alto funzionario di corte” che porge la spada a Massimia-
"Di santi e di pellegrini"
75
no, che seduto sul trono, era generale dell’imperatore Diocleziano e da Milano governava l’occidente con il titolo di Augusto. Siamo negli anni 303 e 304 dopo Cristo. Donnino è un soldato della Legione Tebea (quella famosa anche per S. Maurizio
... ma è un’altra storia anche se sempre collegata con la VF) ed
ha una carica importante. È però un cristiano e questa è un'epoca di persecuzioni. Il suo ruolo pubblico comincia a pesargli.
Poi un giorno Massimiano decide di scoprire chi è cristiano tra i
suoi sottoposti e ordina a ogni soldato di compiere sacrifici alle
divinità pagane. Donnino convocato dall’imperatore viene scoperto ed è costretto alla fuga. Si dirige verso Roma con altri
compagni. Alle porte di Piacenza viene costretto a restare fuori.
Dalle mura cittadini in abiti romani vedono Donnino fuggire a
cavallo inseguito dai militari romani. Dopo poco Donnino viene
raggiunto sul fiume Stirone, oltre il quale c’è Fidenza. Il martire
viene ucciso e decapitato. Qui il primo miracolo: S. Donnino
rimane in piedi e presa la sua testa in mano attraversa il fiume
passando sulla riva di Fidenza. Nel bassorilievo si vede il luogo
dove era stato versato il sangue del martire da dove spunta una
pianticella mentre la testa imberbe, a rappresentare l’anima,
viene portata in cielo dagli angeli. In parallelo si vede il santo
attraversare il fiume. E dove il santo si distese qui sorse la chiesa eretta dagli abitanti in onore del loro santo.
Nel bassorilievo successivo viene descritto un miracolo del
santo che permette la restituzione del cavallo rubato a un pellegrino che era venuto a pregare sulla sua tomba. L’altro miracolo
rappresentato è quello del ponte che crolla per l’accalcarsi di
gente che veniva a vedere le ritrovate reliquie di S. Donnino.
Tutti i fedeli rimangono illesi e si vede bene raffigurata nel centro della scena una donna gravida salva anch'essa.
La firma di Benedetto Antelami accompagna il pellegrino
lungo tutto il percorso settentrionale della Via Francigena. Tra
opere giovanile e della maturità, tra opere attribuite a lui o alla
sua scuola, il nome di Antelami ricorre tra Vercelli e Parma varie volte in un periodo compreso tra il 1178 e il 1230. Da S.
Andrea di Vercelli al battistero di Parma, passando per Fidenza
76
Capitolo 5 - Da Pavia al Passo della Cisa
e salendo verso la Cisa questo artista medioevale ha lasciato la
sua firma, o così almeno pare. Vari studiosi infatti dibattono
sulla attribuzione dei bassorilievi che si trovano sparsi in questo
ampio areale e quindi sull’opera artistica di questo scultore girovago.
Medesano
Con ogni probabilità è da identificarsi con la submansione
che Sigerico registra col nome di Metane (XXXV Statio) anche
se la questione è controversa tra gli esperti. Noi ci accontentiamo di sottolineare la sua importanza come luogo di passaggio di
pellegrini confermata anche dalla presenza dei Cavalieri di Altopascio che qui gestivano un ospitale dedicato a S. Giacomo.
La Chiesa di Medesano già nel 1230 viene ricordata come intitolata a S. Pantaleone, così come è attualmente.
Fornovo
Philemangenur (XXXIV Statio per Sigerico). La pieve romanica di S. Maria Assunta sorge nell’XI secolo sui resti della
basilica paleocristiana che Sigerico probabilmente vide. Sulla
facciata a capanna si trovano curiose sculture romaniche raffiguranti l’inferno e i vizi capitali, due lottatori e in una nicchia al
centro la figura decapitata di un pellegrino in piena tenuta da
“romeo”, con bisacce di provviste per il viaggio e chiavi alla
cintola. È molto discusso se le chiavi rappresentino la meta, ovverosia S. Pietro o siano, come dice qualcuno le chiavi di casa a
rappresentare il distacco prolungato dalla propria residenza che
quindi viene chiusa. Nell’incertezza mi piace di più la prima ipotesi. La scultura è del XIII secolo.
Le tre navate e il nartece con funzione di alloggio per pellegrini risalgono al secolo XII.
Molto interessante la lastra che raffigura la Vita di Santa Caterina e ora utilizzata come altare.
Fornovo era un importante nodo viario avendo un ponte che
permetteva il passaggio del Taro. Negli antichi documenti viene
ricordato lo Spedale di S.Nicolò tenuto dagli ospitalieri di Altopascio.
"Di santi e di pellegrini"
77
Sivizzano
Si parla di questo posto per la prima volta nel 1098 per dire
che pochi religiosi dell'Ordine Benedettino avevano qui aperto
un ospitale per pellegrini e poveri viandanti (chiamati vaghi nel
documento dell'epoca). Questo già dovrebbe bastarci. L'ospitale
era nel luogo dove ora c'è la piazzetta del paese e dipendeva dal
Monastero di S. Roberto ultra montes, celebre abbazia nota anche come Chaise-Dieu (Casa di Dio) fondata da S. Roberto
d’Aurillac in Francia, nella regione più selvaggia delle montagne dell'Alvernia. Là aveva sede una delle più potenti congregazioni di monaci benedettini che promossero ampiamente, per
secoli, il pellegrinaggio verso Roma e Santiago. L'ospitale decadde quando gli anziani di Parma si impossessarono dei sui
beni nel 1471 e il luogo divenne parrocchia sotto il vescovo di
Parma. Dove oggi abita il parroco vi erano i locali dei monaci.
La chiesa venne ricostruita alla fine del 1700.
Pieve di Bardone
La Pieve di Santa Maria Assunta è del XVI-XVII secolo ma
è sorta su una precedente che vi esisteva prima del Mille, addirittura nel VII secolo. Domina, con la sua torre quadrata, lo
sperduto borgo di Bardone, circondato da boschi e pascoli, a
402 m di altitudine. Fra i bassorilievi del XIII secolo è notevole
una Deposizione della scuola dell’Antelami. Le numerose sculture, per lo più frammentarie, provenienti sicuramente dall'edificio precedente, echeggiano lo stile dell'Antelami e, pur nella
loro rozzezza, appartengono chiaramente alla sfera d’influenza
francese.
Sul portale in arenaria la lunetta raffigura una Madonna con
Bambino e un Santo, che molti dicono essere S. Moderanno.
All’interno la Deposizione dalla Croce, in origine paliotto
per l’altare, è la scultura più pregevole, di ispirazione antelamica anche se meno raffinata. In evidenza Giuseppe d’Arimatea
che con due grosse tenaglie libera il corpo di Cristo dalla croce
78
Capitolo 5 - Da Pavia al Passo della Cisa
Berceto
XXXIII statio di Sigerico, Sce Moderanne. Berceto fu monastero fondato da Liutprando, re dei Longobardi. Nel 703 Moderanno, vescovo di Rennes di ritorno dal suo pellegrinaggio a
Roma vi si fermò diventandone abate vescovo. Con lui aveva
delle reliquie di S.Remigio che restarono patrimonio del monastero. Alla sua morte Moderanno fu proclamato santo e il luogo
cambiò nome diventando famoso tra i pellegrini di tutta Europa
come S. Moderanno (S.ce Moderanne).
Duomo di Berceto, particolare, S. Pietro
Capitolo VI
Dalla Cisa a Lucca
Le quattro del pomeriggio, ovvero c'è per tutti un
tempo da cogliere
"Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi
discepoli e fissando lo sguardo su Gesù che passava disse: "Ecco l'agnello di Dio!". …
Gv 1, 35-39
Sono le quattro del pomeriggio e il Signore passa. I discepoli
che cercavano trovano e si fermano con il Signore.
Quante occasioni da “quattro del pomeriggio” abbiamo avuto noi. Quante volte il Signore è passato e l'abbiamo lasciato
proseguire da solo?
Eppure non siamo anche noi di quelli che cercano? Non
siamo anche noi di quelli che con il dito percorrono le linee
concentriche del labirinto cercando la via?
79
80
Capitolo 6 - Dalla Cisa a Lucca
Oppure siamo di quelli che si sono persi? Di quelli che non
sanno più che via seguire? Il nostro dito non scorre più lungo le
pieghe. Si è fermato in un angolo del labirinto e non prosegue
più, non cerca più, non gli interessa più trovare.
Appoggiati alla parete di questo labirinto che è la nostra vita
non cerchiamo più. Ci basta l'angolo che abbiamo trovato.
Perdersi con il rischio di non ritrovarsi
Quanti di noi cominciano a non credere più “quasi per gioco” e non riescono più a tornare indietro?
Quanti di noi si sono allontanati dalla Fede, dalla pratica cristiana, magari adolescenti, oppure dopo un brutto momento nell'età adulta?
I labirinti
Il labirinto da sempre è simbolo del cammino di ricerca. Il
labirinto deve essere percorso tutto e all'interno di esso affrontarne i pericoli, sfuggirne il Minotauro. Il labirinto non si lascia
volando su ali di cera come Icaro ma si supera camminandovi
fino in fondo. Presto nella cristianità il labirinto divenne simbolo del cammino del fedele verso la Gerusalemme Celeste, il sacro iter pieno di difficoltà e pericoli attraverso il quale l'anima
raggiunge la salvezza eterna. Il labirinto passò dal rappresentare
un mondo che finiva con la morte e dalla morte prendeva il non
senso al raffigurare una via, tortuosa e ostile, ma che porta al
cuore della Fede e giunge all'inizio della vita.
Gerusalemme allora è il centro ideale del labirinto e per questo il tortuoso disegno è anche chiamato Chemin de Jerusalem.
In vari luoghi e chiese si trovano raffigurazioni del labirinto.
Celebre è il pavimento della cattedrale di Chartres dove i pellegrini percorrono in ginocchio il grande disegno.
A Pontremoli nella chiesa di S. Pietro, e a Lucca, nel colonnato della chiesa di S. Martino, noi pellegrini ritroviamo, lungo
la Via Francigena due rappresentazioni del labirinto. Le nostre
dita allora scorreranno lungo le pieghe a ricordarci che il cammino è ancora lungo e tanti saranno i momenti in cui ci avvici-
Le quattro del pomeriggio, …
81
neremo al centro credendo di essere ormai giunti e tanti saranno
i momenti in cui dal centro ci allontaneremo facendoci disperare; e così succede e succederà nella nostra vita tutti i giorni fino
a quando, all'improvviso, l'orizzonte si aprirà e noi saremo arrivati nel cuore del nostro cammino, alla Santa Gerusalemme e a
Dio.
A lungo durerà il mio viaggio
e lunga è la via da percorrere.
Uscii sul mio carro ai primi albori
del giorno, e proseguii il mio viaggio
attraverso i deserti del mondo
e lasciai la mia traccia
su molte stelle e pianeti.
Sono le vie più remote
che portano più vicino a te stesso;
è con lo studio più arduo che si ottiene
la semplicità d'una melodia.
Il viandante deve bussare
a molte porte straniere
per arrivare alla sua,
e bisogna viaggiare per tutti i mondi esteriori
per giungere infine al sacrario
più segreto del cuore.
I miei occhi vagarono lontano
prima che li chiudessi dicendo: "Eccoti!".
R. Tagore
Sulla Via
Pontremoli
Un lungo cammino tra chiese: è il modo più appropriato per
definire l'attraversamento di Pontremoli da parte del pellegrino.
Lungo la strada principale che taglia il paese da nord a sud molti sono i luoghi di santa memoria nei quali ci si può fermare. Vi-
82
Capitolo 6 - Dalla Cisa a Lucca
sto che c'è troppo da dire basti solo questo al viandante: alla fine del paese, nella nuova chiesa di S. Pietro ricostruita dopo i
bombardamento dell'ultima guerra, ci si può fermare un momento per vedere il famoso ed enigmatico labirinto di Pontremoli. È una lastra di pietra, risalente probabilmente al XII secolo, che rappresenta un labirinto con sopra due cavalieri. Racconta la tradizione che, come per il labirinto di Lucca, anche qui era
abitudine per il pellegrino sostare e ripercorrere con un dito le
incisioni della pietra e pregare perché nella confusione della vita si potesse trovare la retta via.
Pieve di Sorano
Luogo di passaggio da sempre, fin da quando il console
Emilio Scauro fece tracciare la prima strada che portava dal
porto di Luni fino a Parma e Piacenza. Dove ora è la pieve c'è
sempre stata una chiesa, almeno da prima del mille. Sigerico la
vide di sicuro. Ora noi ne vediamo una di poco più recente, come la videro tanti altri pellegrini e ne ammiriamo le forme romaniche sobrie e semplici.
Filattiera
Qui bisogna passare e fermarsi anche solo per due cose.
C'è la memoria dell'Ospitale di S. Giacomo. Ora è una casa
privata sormontata da un'immagine dei santo. Si trova tra le case dietro la piazzetta principale. Ha molte cose da raccontare a
chi sa ascoltarle… anche il padrone di casa.
L'altra sosta è alla chiesa di S.Giorgio. Una lapide, all'interno della chiesetta romanica, ricorda un prete che morì nel 752.
Lottò contro il paganesimo e l’eresia ma, ancora più toccante
per noi, ospitò pellegrini. Si legge il suo epitaffio su una lapide,
che peraltro è il più antico reperto cristiano della Lunigiana:
Non curandosi delle sicurezze della vita qui spezzò i vari idoli
dei pagani
mutò con la fede i riti di chi era in errore donando ai pellegrini
bisognosi il suo cibo
ogni anno tirando a sorte distribuì le decime fondò l'ospizio di
S.Benedetto
Le quattro del pomeriggio, …
83
protettore di Cristo costruì la chiesa di S.Martino
con animo pio volle qui esser sepolto offrì le risorse di tutte le
sue mense
il suo corpo è dato alla terra l'anima penetra nei cieli
dodici olimpiadi e un primo e un secondo lustro aggiunse ai due
che visse qui
morì nel quarto anno del re Astolfo
Secondo gli storici si tratterebbe del vescovo Leodegar,
sepolto all'inizio nella Pieve di Sorano poi portato nella chiesa
di S. Giorgio. Morì nel 752 a 68 anni (12 olimpiadi + 4 lustri)
vivendo forse due lustri a Filattiera.
Aulla e S. Caprasio
S. Caprasio era un pellegrino. Lo si capisce, dicono gli esperti che hanno fatto il sopralluogo sulle sue spoglie rinvenute
ad Aulla, dalla ossa della gambe. Quelle erano gambe che avevano camminato molto. Bello! Chissà se anche di noi un giorno
si potrà dire altrettanto. Le nostre gambe riconosciute come
quelle di un pellegrino. Forse in quest'epoca è un'ambizione di
pochi. Meglio avere gambe da modella o gambe da calciatore.
Di molti di noi forse diranno che le nostre erano gambe che sono servite a poco, gambe di gente che ha vissuto la propria vita
seduto.
S. Caprasio ci è riuscito. Ha compiuto bene e fino in fondo il
suo cammino diventando santo e il suo essere stato pellegrino è
rimasto scritto nella carne. Non ha avuto bisogno di portarsi
nella tomba una conchiglia o un bordone per farsi riconoscere.
Non aveva neanche più bisogno di un simbolo o di un segno.
Tornano in mente le immagini dei pellegrini della cattedrale
di Autun. In un fregio scolpito è rappresentato il Giudizio Universale con i morti che escono nudi dalle tombe. Solo due pellegrini si distinguono da tutti gli altri per avere con sé un tascapane contrassegnato da una conchiglia di S. Giacomo e da una
croce di Terra Santa e sembra quasi si voglia evidenziare per
loro un percorso privilegiato nel momento del giudizio finale.
84
Capitolo 6 - Dalla Cisa a Lucca
Mi ha sempre affascinato e commosso questa immagine,
come sempre sono rimasta colpita dai resoconti che parlano del
rinvenimento di antiche tombe di persone che erano state pellegrini e il cui stato si riconosce chiaramente da quello che si erano portati nel luogo dell'ultimo sonno. Uomini e donne con
conchiglie o altre immagini di luoghi santi, bordoni, o anche vestiti con abiti di confraternite di pellegrini. E ancora tutto questo
si ripete e si rinnova. Tra qualche secolo i nostri pronipoti troveranno uomini dell’inizio del terzo millennio con conchiglie,
bordoni e in abiti di confraternita. Perché l'uomo non è cambiato e tali segni sono ancora usati e rimangono vivi a testimoniare
l’eterna ricerca del rapporto con l’Infinito che è il pellegrinaggio e l’essere pellegrini. Nel giorno dell’estremo saluto il pellegrino moderno ama ancora farsi riconoscere con i simboli che
ha amato e che spera gli aprano la strada ancora una volta, per
l'ultima volta, nella Valle di Josafat.
Luni
Era una colonia romana fondata nel 177 a.C. Sono stati fatti
scavi che hanno portato alla luce resti dell'epoca molto importanti. Ma la storia di Luni arrivò ben oltre i romani e nel medioevo il luogo era ancora abitato, e ancora un porto importante.
Nell'828 proprio da Luni, raccontano le cronache, partì una
spedizione navale per cercare di contrastare il pericolo saraceno
che incombeva su tutta la costa italica. Da qui c’erano partenze
anche per la Terrasanta e arrivava grano dalla Maremma e dalla
Sicilia che dal porto prendeva poi la via di terra e lungo la Via
Francigena arrivava nella Val Padana. C’era quindi un porto in
piena efficienza con l’abitato, la chiesa, l’ospitale per i pellegrini e i viandanti di passaggio e sicuramente anche un castrum, un
luogo fortificato, anche se tutto si stava spostando, con il tempo,
verso la foce del Magra per il progressivo insabbiamento del
porto di origine romana.
E’ in questi anni che il porto di S. Maurizio prende il posto
del porto di Luni. In molti documenti si cita ancora Luni ma
non si può più parlare del suo porto ma della ripa, del prolugamento del suo porto che poi in seguito avrà il carattere distinto e
Le quattro del pomeriggio, …
85
chiaro del Porto S. Maurizio. La dedicazione a S. Maurizio
compare in epoca medioevale. Il nome di S. Maurizio probabilmente è dovuto all'influenza dei viaggi e pellegrinaggi
dell’epoca e il nome “discese” dal nord lungo la Via Francigena. S. Maurizio nell'agiografia è un soldato romano nato a Tebe
e capo della Legione Tebea che fu trasferita in Gallia nel 301
per combattere i Marcomanni. Durante l'attraversamento del
Vallese, alla legione fu ordinato di ricercare ed uccidere i cristiani che si nascondevano nella zona. S. Maurizio e i suoi soldati si opposero e furono così uccisi. Nel ricordo di questo martire 200 anni dopo il re di Borgogna, Sigismondo, fondò un monastero nel luogo del massacro. Il posto tutt’ora porta il nome di
Saint-Maurice e si trova in Svizzera, sul Rodano vicino al lago
di Ginevra e lungo il ramo della Via Francigena che veniva dal
nord della Francia, e che i pellegrini percorrevano valicando le
Alpi al Gran S.Bernardo. La venerazione e il ricordo di questo
santo veniva quindi portata in giro per tutta Europa dai pellegrini che si erano trovati a passare di lì.
Nel 1600 Porto S. Maurizio era ancora ricordato e oggetto di
chieresie, pellegrinaggi locali che passavano tra una chiesa e
l'altra toccando tutte quelle che avevano fatto parte della storia
locale ma che erano poi state ormai abbandonate e non erano
più le principali. Era Sarzana che ora era diventata la città più
importante e i fedeli di Sarzana visitavano i vecchi “luoghi santi”: S. Maurizio e le chiese di S. Pietro e S. Marco nella vecchia
città distrutta di Luni. Poi il ricordo e la venerazione si perse del
tutto.
Ma Luni resterà per sempre e principalmente nella memoria
dei pellegrini perché qui arrivò, come racconta la leggenda altomedioevale, il Volto Santo, la grossa croce reliquiaria che si
venera a Lucca.
Sarzana
Presso il Duomo è conservata una reliquia del Preziosissimo
Sangue di Cristo. La presenza dell'ampolla con il sangue è collegata alla leggenda del Volto Santo di Lucca, giunto, secondo
la leggenda, via mare nel porto di Luni.
86
Capitolo 6 - Dalla Cisa a Lucca
Tale barca avvicinandosi alla riva fece nascere una contesa
tra il popolo di Luni e il vescovo di Lucca. Il Volto Santo fu
messo su un carro di buoi senza giogo e si diresse verso Lucca,
mentre l'ampolla con il sangue di Cristo, che si dice fosse stata
messa dallo stesso Nicodemo in un cassettino dietro la croce del
Volto Santo, finì a Luni, e da qui a Sarzana, nel 1204, quando
fu spostata definitivamente la sede episcopale.
Il primo venerdì di ogni mese viene celebrata una Messa in
onore della preziosa reliquia. Da metà del 2005 la chiesa è soggetta a restauri ed è possibile assistere a questa funzione nella
chiesa di S. Andrea, sempre a Sarzana.
Massa
Nel Duomo è conservato il crocifisso del XIII secolo che era
la reliquia principale nella chiesa di S. Pietro, chiesa madre di
Massa abbattuta da Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, perché infastidita dalla vista di tale luogo di culto e per fare posto a
una piazza che lei voleva. Si racconta che la croce fu salvata e
trasportata notte tempo, “nel silenzio della notte”, in luogo sicuro portandola fuori dalla chiesa fatta chiudere dai gendarmi
prima della demolizione. I giacobini dell’epoca sono già cenere
ma la croce è rimasta per la venerazione di nuove generazioni.
Pietrasanta
Sulla strada che da Pietrasanta porta a Valdicastello si incontra la splendida Pieve di S. Giovanni e Felicita. Difficilmente la
vedrete aperta ma all'esterno, tra le formelle che in alto adornano le absidi, c’è ne una bellissima raffigurante un pellegrino.
Siamo sempre sulla giusta strada.
Capitolo VII
Lucca
Al Volto Santo
Crocifisso del Volto Santo, Duomo di S. Martino, Lucca
Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita
per i suoi amici
Gv 15, 13
Lungo tutte le vie d'Europa è facile all'improvviso trovarsi
davanti a qualche raffigurazione del Volto Santo di Lucca. Dipinto in chiese e cappelle, tabernacoli e piccole edicole o su muri di case che forse secoli fa ospitavano qualche mercante lucchese. Effigie portata in giro e riprodotta dalle migliaia di pellegrini che arrivarono a Lucca e lì si fermarono davanti al grande
crocifisso; o che, arrivati tardi a sera, quando le porte del Duomo erano già chiuse, traguardarono dal buco del portone l'immagine illuminata nella notte dalla luce delle candele. Il Volto
87
Capitolo VII - Lucca
88
Santo di Lucca è stato da sempre il Volto cercato dai pellegrini
e tappa fondamentale lungo la Via Francigena.
Un vincolo strettissimo lega la chiesa di S. Martino e il suo
Volto Santo, un legame strettissimo lega il santo Martino al suo
Gesù, Signore vittorioso sulla croce.
Il Volto Santo è una “Maestà Donante”: un Cristo vittorioso
nella donazione completa. Crocifisso e vincente. Il suo posto è
nella chiesa di S. Martino, cattedrale dedicata a quel santo che
divise il mantello, che scoprì il volto di Cristo in chi gli chiedeva aiuto.
“Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite,
benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato
per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato
da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudi e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti
abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E
quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti
a visitarti? Rispondendo il re dirà loro: In verità vi dico: ogni
volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”
Mt. 25, 34-40
Il Vangelo ci ricorda che “Dio nessuno l'ha mai visto”1 ma
Gesù risponde a Filippo “chi vede me vede il Padre”2.
Ancora il Volto del Signore da vedere, da cercare. Come a
Torino, come lungo la strada. L'ammiriamo in questo crocifisso
ligneo che leggenda vuole sia il volto autentico di Gesù scolpito
da angeli mentre Nicodemo, lo scultore, dormiva. E ancora una
volta ci viene chiesto di andare al di là dell'ammirazione che in
1
2
Gv. 1,18
Gv 14, 9
Al Volto Santo
89
questo caso può essere anche estetica. Dobbiamo cercare il vero
volto di Cristo. Cercarlo nei fratelli. Cercarlo in questo mondo
che sembra nascondercelo sempre di più e allontanarsi da esso.
In una toccante frase Giovanni Paolo II diceva: “Sono un
pellegrino sullo stretto marciapiede della terra e non distolgo
lo sguardo dal Tuo volto che il mondo non mi svela”.
Dobbiamo cercare e trovare questo volto così come fece
S. Martino di Tours al quale la chiesa è stata dedicata ed è rimasta dedicata nonostante l'importanza della reliquia che custodiva. I lucchesi non cambiarono infatti mai la dedicazione del
luogo santo in chiesa della Santa Croce o simili. La chiesa restò
a memoria del santo che aveva visto il Volto di Dio nei fratelli
perché tutti potessero avere per sempre memoria di questo esempio e la venerazione al Volto santo non restasse sterile adorazione.
A nulla infatti servirebbe conoscere le sembianze umane del
volto del Cristo se la conoscenza non si tramutasse in amore per
quelli di cui Cristo è fratello, per quelli di cui Dio è padre.
L'accoglienza del Volto è l'accoglienza dei volti, l'amore per
il Volto è l'amore per i volti. Strada lunga, strada da pellegrini.
"Cercate il Signore e la sua forza, ricercate sempre il suo
volto".
ICr 16,1
Sulla Via
Il Volto Santo di Lucca
Una volta compiuto il sacrificio sul monte Calvario, Giuseppe d’Arimatea, discepolo di Gesù, chiese ed ottenne di dare sepoltura al Maestro. Il corpo fu avvolto in un lenzuolo, la Sindone.
Lo accompagnava Nicodemo, fariseo noto per la sua ricchezza e saggezza, personalità politica e culturale, che recava
con se quasi cento libbre di una mistura di mirra ed aloe, per
imbalsamare il corpo di Cristo.
90
Capitolo VII - Lucca
Nicodemo, più tardi, si propose un compito: riprodurre nel
legno l’immagine di Cristo morto sulla Croce, così come se la
ricordava. Egli non era uno scultore, ma aveva così chiaro il ricordo di quella persona sofferente, che gli sembrava facile poterla riportare sul legno.
Fu così che iniziò il lavoro. Ma dopo aver scolpito il corpo,
si arrestò di fronte alla difficoltà di riprodurre il Volto, quel
Volto che lui ricordava così bene, ma che le sue mani non erano
in grado di riprodurre.
Dopo lunga preghiera, cadde addormentato, ed al suo risveglio ebbe la sorpresa di vedere l’opera compiuta da mano angelica.
Prossimo a morire, Nicodemo affidò il crocifisso a Isacar, uomo
giusto e timorato di Dio. Quest’ultimo, affinché la Croce non
cadesse in mano ai Giudei, la tenne nascosta e così, di generazione in generazione, fu segretamente custodita e venerata. Circa seicento anni dopo, giunse nei pressi del luogo dove la Croce
era custodita, il Vescovo Gualfredo, al quale apparve in sogno
un Angelo che gli svelò la presenza della Croce. Questa visione
fu interpretata come la precisa volontà divina: la Croce doveva
essere spostata da una terra di infedeli a un luogo dove ne fosse
il culto pubblico.
Dopo averla trasportata sulla riva della vicina città di Giaffa,
la collocarono su una barca affidata alla Divina Provvidenza,
che la facesse giungere in luogo degno. Dopo un lungo viaggio,
la barca giunse nei pressi di Luni, la qual cosa suscitò non poca
curiosità da parte degli abitanti locali. Essi tentarono in ogni
modo di avvicinarsi alla barca, ma invano: era progidiosamente
sospinta ad ogni tentativo di avvicinamento.
Sorse allora una disputa fra lunesi e lucchesi, giunti a Luni
insieme all'allora Vescovo di Lucca, Giovanni, anch'egli avvertito in sogno da un angelo dell'arrivo della nave e del suo prezioso carico. Fu così stabilito di porre il Volto Santo su un carro
trainato da due “giovenchi indomiti”, affidando alla divina
provvidenza la decisione sul luogo dove sarebbe stata collocata
la sacra immagine. Il carro, dopo lungo girovagare, si fermò a
Al Volto Santo
91
Lucca e qui, con grande esultanza del vescovo Giovanni e di
tutto il popolo, fu posta la santa immagine. Era l'anno 742.
Un interessante confronto
Il Volto Santo si presenta a noi come una figura imponente.
Imponente nelle dimensioni e imponente nella rappresentazione
di forza e gloria accentuata dagli occhi aperti che seguono il fedele dovunque esso si sposti. È il Cristo Triumphans ovverosia
trionfante sulla morte nella resurrezione, mentre i Crocifissi che
ci sono più noti sono del tipo Cristo Patiens cioè morto sulla
croce. I capelli sono sciolti, lunghi e divisi nel centro. Ha inoltre
baffi e barba, quest'ultima divisa in due ciuffetti a coprire in
parte la bocca, di cui restano comunque visibili le labbra. Il naso è molto lungo e aquilino. Scuro è il colore del viso e della
mani annerito dalla fuliggine delle candele sempre accese, per
secoli. Chiaro è il colore dei piedi, puliti dal passaggio dei fedeli che anche oggi nei giorni del 3 maggio e del 13 settembre
possono entrare nel tempietto che custodisce l'immagine e sfiorarla in segno di devozione. Molti studi hanno accostato il Volto
della Sindone e quello scolpito nel legno di noce dal misterioso
scultore. La forma del viso, la barba ripartita, il labbro inferiore
sono alcuni dei tanti punti di coincidenza tra le due immagini
sacre. Anche la forma allungata delle mani è stata osservata
come singolare coincidenza. Al fedele il resto.3
3
Giulio D. Guerra, Il "Volto Santo di Lucca" è una copia della Sindone? Una comparazione fra le due immagini mediante computer. Comunicazione presentata al Worldwide Congress "SINDONE 2000",
Orvieto 27-29 agosto 2000 e su Giulio D. Guerra, Il Volto Santo e la
Sindone, Nuova Lucca, Lucca 2000
92
Capitolo VII - Lucca
Duomo di S. Martino, pellegrini della Confraternita di S.Jacopo di
Compostella in partenza dal Volto Santo, settembre 2005
Capitolo VIII
Altopascio
L'ospitalità
Tutti gli ospiti siano ricevuti come Cristo in persona, perché egli dirà: Ero forestiero e mi avete ricevuto.
Siano ricevuti tutti con onore, ma soprattutto i nostri fratelli nelle fede e i pellegrini.
Regola di S. Benedetto, cap. 53
Ospitalità, parola dall’eco strana, familiare e lontana allo
stesso tempo. L’amico, ospite per una sera, da noi per una pizza. L’ospitalità nelle case della cerchia dei conoscenti. In questo
mondo dove l'autosufficienza è perno della vita, dove l’aiuto
altrui si paga col denaro, il bisogno di ospitalità, di vera ospitalità, sembra in apparenza non essere più necessario. Se ti si ferma la macchina chiami il soccorso con il tuo telefonino, pagando con l’assicurazione “tutto assistito-tutto garantito” anche il
soggiorno eventualmente necessario in un albergo vicino. Tu
paghi, gli altri si fanno pagare.
93
94
Capitolo VIII - Altopascio
Non importa che faccia tu abbia, importa la validità della tua
carta di credito. Abbiamo superato da anni (anche se non tanti
se facciamo bene i conti) la civiltà dell'accoglienza semplice e
spontanea, quella che veniva offerta a chi si fermava lungo la
strada vicino a casa. Abbiamo dimenticato quella pratica dell'ospitalità che avvicinava l'uomo all'uomo e che, oltre a essere sostenuta dalla religione, era strumento per permettere il viaggio,
l'incontro, con l’aiuto all’altro, che a sua volta ti avrebbe aiutato, quando fossi stato tu in viaggio, forestiero.
E’ una catena di solidarietà che si tramanda nel tempo per rispondere alle naturali necessità dell’uomo.
Da sempre l’ospite è sacro... per non venire poi a scoprire
che è santo, come ci ricorda S. Paolo nella lettera agli Ebrei:
“Perseverate nell’amore fraterno. Non dimenticate l’ospitalità;
alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”
(13,1-2). La mente subito si collega al brano di Matteo: “Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato...?” (25, 38).
E il Signore risponde che non bisogna conoscere e riconoscere la persona, perché lui è in qualsiasi dei nostri fratelli. Ci
penserà Lui a rivelarsi, come ha fatto con i discepoli di Emmaus. Solo dopo che questi lo hanno ospitato, chiedendogli di
fermarsi da loro, Gesù con il gesto dello spezzare il pane si fa
riconoscere.
Ed è riconoscente il Signore con chi lo ospita: “Poi il Signore apparve a lui alle Quercie di Mamre” (Gen 18, 1). Così comincia il racconto del Signore travestito da pellegrino, accolto
da Abramo nella sua tenda perché mangiasse e si riposasse. “Il
Signore riprese: Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. L’ospitalità è ricompensata
e Sara qualche capitolo più avanti potrà esclamare: “Motivo di
lieto riso mi ha dato Dio...” (Gen 21, 6).
Anche la vedova di Zarepta1 viene ricompensata per avere
dato tutto quello che le restava da mangiare ad Elia. E Raab, la
1
1Re 17, 1-16
L'ospitalità
95
meretrice, viene perdonata per avere dato ospitalità agli esploratori di Giosué2.
Il Prologo del Vangelo di Giovanni ci ricorda un’ospitalità
tutta particolare: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno
accolto, A quanti però l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio”(Gv 1, 11-12).
In molti abbiamo sperimentato il valore dell’ospitalità.
Quante volte durante il cammino siamo stati accolti nei luoghi
più insperati. Quante volte ci è stata offerta una seggiola davanti
a un fuoco acceso, dopo un giorno di cammino sotto l’acqua. E
quante volte ci hanno riempito la borraccia o accompagnato per
la strada. Gesti semplici che sostengono nel momento in cui
vengono offerti e che sostengono nel ricordo, quando la disperazione di altri momenti si fa avanti. Ricordi dolci di pellegrinaggi e di ospitalieri dalle maniche rimboccate. Amici che rimangono a segnare nella memoria le tappe di un cammino. Persone da ringraziare quando ritorni a casa se di loro avrai raccolto un indirizzo, scattato una foto; da custodire nelle tue preghiere quando arriverai alla meta e consegnerai tutto nelle mani del
Signore.
"Abbiamo già sistemati a terra materassino e sacco a pelo
per la notte e siamo in attesa di trascorrere la serata organizzata da alcuni premurosi confratelli locali. La stanchezza si fa
sentire, soprattutto per le due notti insonni precedenti. All'improvviso per una serie di coincidenze, riceviamo l'offerta di poter dormire presso una famiglia. Subito siamo un po' imbarazzati ma dopo attribuiamo la responsabilità del fatto alla Provvidenza. Annamaria, la nostra "hospitalera" con semplicità e
naturalezza, da questo momento, si prende cura di noi, dei nostri zaini e pure del bucato bagnato e pronto da mettere ad asciugare. La ritroviamo poi nella cosa dove è stata allestita da
confratelli una mensa da "principini"; è sempre lei che ci trasporta in auto alla sua abitazione e ci mette a disposizione la
sua camera matrimoniale. Al mattino, noi ci alziamo alle cin2
Gs 2 e sgg
96
Capitolo VIII - Altopascio
que cercando di non farci sentire, ma giù nell'ampia cucina c'è
già Annamaria che aspetta per condividere con noi l'ottimo caffè con i biscotti che ha preparato. Ci accompagna al punto di
incontro con agli altri pellegrini, ci saluta chiedendo una preghiera nel luogo della Sindone. Penso che la signora Annamaria si sia sentita "bene" dopo i tanti gesti di ospitalità riservatici; ma forse non si è resa conto della forte emozione che questa
esperienza ha provocato in noi che per la prima volta gratuitamente e senza averlo chiesto, ci siamo trovati accolti in una famiglia, in qualità di pellegrini".
(Roberta e Giampiero Tornieri, dal diario di pellegrinaggio della
Confraternita di S. Jacopo – settembre 2005)
Sulla Via
Ospitalità ad Altopascio
La Smarrita: basta il nome a evocare tutto il resto e a riempire il cuore di dolcezza. Basta il nome per ritrovarsi davanti
l'immagine chiara e forte dei cavalieri del Tau. Loro aspettavano e il pellegrino era l'atteso. Avevano scelto di dedicare la propria vita a quello che per loro non era lo straniero, lo sconosciuto, ma l'atteso. Questo erano i Cavalieri del Tau e per questo era
sorto l'ospitale di Altopascio.
A sera la campana della chiesa risuonava tra le cerbaie e le
paludi richiamando i pellegrini lungo la strada, aiutando coloro
che si erano perduti e rincuorando chi ancora non aveva trovato
il rifugio per la notte. È per questo che si chiamava La Smarrita
quella campana. È per questo che ancora risuona nei cuori di chi
ascolta la storia.
Al pellegrino che arrivava i Fratres di Altopascio dicevano:
“Ti aspettavo!”.
Una buona minestra calda può riempire lo stomaco, una
buona doccia può ritemprare le membra e un buon medicamento può riparare le ferite ma niente può riempire il cuore di un
viandante come l'essere accolto e il sapere di essere atteso e
L'ospitalità
97
benvenuto. L'estraneità diventa familiarità e i lunghi giorni di
fatica e solitudine si sciolgono nel calore di una casa che ti ospita.
Lo Spedale di Altopascio nasce verso la metà del secolo XI
sembra ad opera di 12 uomini lucchesi. Il luogo fu chiamato
l’Ospitale fin dall'inizio e la missione era quella di accogliere i
pellegrini della Via Francigena che viaggiando verso sud o verso nord erano quotidianamente esposti ai mille pericoli delle
strade di allora: ladri, briganti, soldataglie, lupi, paludi, boschi
impenetrabili dove il sentiero si perdeva. Nella zona di Altopascio, raccontano le cronache, il passaggio era arduo e il Padule
di Fucecchio, estesa zona paludosa, il lago di Sesto e di Bientina e le montagne piene di orsi e di lupi erano un ostacolo difficilmente superabile. Qui nasce la Magione degli Ospitalieri del
Tau dedicata a S. Jacopo e i fratres che vi prestano servizio sono chierici, laici, medici, carpentieri, muratori, artigiani, sacerdoti. Tutto è votato all'accoglienza del povero e del pellegrino e
chi decideva di entrare nei frati del Tau faceva solenne giuramento: “Io rendo me a Dio et ad sancta Maria et al beato Iacobo apostolo et ai signori nostri infermi, acciò che tutti li dì della
vita mia sia loro servo…”. 3
Come in altri ordini ospitalieri dell'epoca i frati, oltre ad assistere i pellegrini che si fermavano, avevano il compito di tenere custodita la strada, di costruire ponti, di sorvegliare e difendere il territorio da briganti e malintenzionati. Poi dovevano
cercare di raccogliere le offerte per poter svolgere il servizio ai
poveri. Con gli anni, grazie alle donazioni e al diffondersi della
fama di Altopascio, l’ordine aprì nuovi ospitali e si diffuse in
tutta Europa. A Parigi rimane ancora oggi la chiesa e il luogo
dove sorgeva l’Hopital de Haut-Pas.
L’Ospitale diventa anche un centro medico rinomato. L'assistenza al prossimo che qui si ferma raggiunge, per quell'epoca,
e forse anche per epoche più vicine, una specializzazione fortis3
L.Bertelli, Regola degli Ospitalieri del Tau di Altopascio – A.D.
1239, Comune di Altopascio e Pro Loco, Altopascio 1995, p.49
98
Capitolo VIII - Altopascio
sima ed esemplare. Si studia medicina e chirurgia, si redigono
tabelle alimentari, si fanno analisi delle urine, ci si preoccupa
dell'igiene e del benessere del ricoverato, si provvede anche ad
organizzare un'assistenza ostetrica e neonatale.
Diceva la regola degli Ospitalieri del Tau di Altopascio del
1239 al capo 12: “Come li frati debbano portare lume. Li frati
portino seco lo lume; et in qualunque casa et albergo saranno,
facciano ardere lo lume dinanzi da loro”4.
Altopascio rimarrà per qualche secolo ad illuminare ciò che
gli stava intorno, fino a che la luce fu tenuta accesa dai suoi fratres. Poi, come spesso succede, quando gli uomini si dimenticano di custodire la fiamma con la preghiera e con la fede, questa
si spegne. Rimane il ricordo di un'opera buona e grande; rimane
la certezza che dove due o tre si riuniscono nel nome del Signore nascono cose grandi; rimane l'evidenza che dove, con il tempo, ci si dimentica perché qualcosa è nato, tutto finisce.
4
Ivi, p.15
Capitolo IX
Da Altopascio a Siena
A che serve una strada se alla fine non c'è una
chiesa?
(Paul Claudel)
Pieve di Coiano
DIALOGO DELLA CHIESA
E l'Abside dice
Io sono il confine della tenebra.
E la Facciata dice
Io sono la muraglia del cielo.
E la Navata maggiore dice
Io sono la via lattea del Signore.
E le Colonne dicono
99
100
Capitolo VIII - Da Altopascio a Siena
Noi siamo la selva immobile.
E la Volta sopra l'altare dice
Io sono l'arcobaleno eterno.
E la Cripta dice
Io sono la stiva
dei corpi che dormono nel Signore.
E l'Altare maggiore dice
Io sono la mensa della vita.
E il Tabernacolo dice
Io sono l'arca del silenzio.
E un Capitello dice
Io sono un nido di angeli.
E un altro Capitello dice
Io sono un fascio di palme.
E un terzo Capitello dice
Io sono un nodo di sole.
E il Tetto dice
Io sono il limite dello spazio.
E il Chiostro dice
Io sono l'anello della sposa.
E una Cella dice
Io sono la camera segreta dell'amore.
E la Sacrestia dice
Io sono il vestibolo delle nozze.
E un Arco romanico dice
Io sono la rotondità della terra.
E un Arco gotico dice
Io sono la verticalità del verbo.
E il primo Arco dice
Io sono la perfezione della luce.
E il secondo Arco dice
Io quella del Mistero.
E l'Ombra di frate "Nessuno" dice ...
Archi, capitelli, colonne
voi non siete che forme dello spirito,
la sintesi; egli si è fatto in noi
di carne, noi ci siamo fatti in voi
A che serve una strada se alla fine non c'è una chiesa?
101
di pietra, per essere tutti insieme l'Unità.
E come ogni mattone ha bevuto una goccia
del suo sangue, cosi ognuno canti ora
la nota della sua misurata libertà.
Perché voi siete tutti insieme l'Armonia.
E quando forse gli uomini non parleranno
più di lui, continuate a parlare voi, o pietre.
David Maria Turoldo
La chiesa, terra del cielo
La chiesa è il luogo di Dio, è il luogo dove più prossimo e
palpabile è la vicinanza e il collegamento con Dio. E' il luogo
dove il cielo appoggia il piede tanto da far diventare la terra che
tocca già un pezzettino di cielo. Questo è per noi la chiesa. Per
questo si è sempre cercato di fare della chiesa, sin dai tempi più
remoti, un luogo di bellezza e di armonia. Perché Bellezza e
Verità si incontrassero e fossero l'una chiara espressione dell'altra. Legame leggibile da tutti i cuori e in grado di interrogare
anche chi non voleva lasciarsi avvincere da questo segno di
rapporto con il divino.
Se poi ci si collega al messaggio di Cristo e del suo corpo
come corpo vivo della chiesa allora la chiesa, come edificio, altro non è che la rappresentazione del Cristo. Il messaggio simbolico aumenta di intensità e di grado. Luogo di culto, di memoria, rappresentazione simbolica, messaggio di pietra.
Nella nostra superficiale visione moderna, dove tanti segnali
del passato e tanta eredità è andata perduta, la chiesa ci richiama
ancora con la sua presenza e, anche solo per un attimo riesce a
fermare l'animo più inquieto. Entrare in una chiesa è entrare in
un luogo sacro. Questa è ancora sensibilità comune misconosciuta solo da chi non vuole, per presa di posizione sua, riconoscere la sacralità del luogo… e così facendo, ovvero non volendo dare al luogo la sua identità, ne riconosce implicitamente la
sacralità. I nostri orizzonti avranno sempre bisogno di una chiesa, le nostre gambe stanche da pellegrino avranno sempre bisogno di un traguardo.
102
Capitolo VIII - Da Altopascio a Siena
Il Romanico
Forse tutta la spiegazione è racchiusa in una frase trovata un
giorno in un libro: “E' Dio che, in modo chiaro e deciso, domina la genesi dell'opera d'arte romanica”.
Credo che queste poche parole bastino a spiegare a noi stessi
perché davanti a una chiesa romanica rimaniamo sempre affascinati e spesso, silenti, in preghiera.
Le mani degli uomini che eressero tali mura e scolpirono architravi e capitelli erano mosse dalle Fede. Avevano un’idea
precisa in testa, una missione: costruire un luogo dove pregare
Dio, costruire un luogo degno di Dio, costruire un luogo dove
Dio potesse venire e fermarsi, costruire un luogo che fosse a lode e gloria del Signore. In quell’epoca sorsero chiese per volere
di vescovi, abati e monaci, e poi di re e imperatori per conquistarsi una fetta di cielo e di fedeli e pellegrini che prestarono la
propria opera spesso gratuitamente. Oggi noi possiamo ancora
sostare, avvinti dalla suggestione intatta di alcuni di questi luoghi, nei silenzi della navate, con gli occhi curiosi a chiederci cosa rappresentino tante sculture nelle mensole, sotto i cornicioni,
sui capitelli. Messaggi da un mondo per noi lontano con segni
messi lì per far conoscere la parola divina, per insegnare, come
monito o anche per far paura, perché con l'inferno non si scherza e il rischio di perdersi c’è davvero.
Chi ha costruito tutto questo lo sapeva ma sapeva anche che
c’è un Dio misericordioso per il quale valeva la pena costruire
tutto ciò. Un Dio che ama la bellezza delle forme e il lavoro
amorevole dell'uomo. Un Dio da lodare ma anche da rispettare.
Il costruttore romanico ben sapeva che solo Dio è perfetto è così
era prassi rappresentare simbolicamente tale perfezione unica
del Signore con qualche imperfezione voluta della chiesa: un
rosone leggermente decentrato rispetto alla facciata; una delle
falde del tetto più larga dell'altra; una finestrella diversa da
quella a fianco.
Ora a noi rimane l'eredità di pietra ma ancora e prima l'eredità di fede. Sostiamo in queste chiese lungo il cammino. Entriamo, ammiriamo le forme ma prima ancora cerchiamo di sen-
A che serve una strada se alla fine non c'è una chiesa?
103
tire al loro interno quel Dio di cui parlano, quel Dio per il quale
furono costruite.
“Contemplare e gustare la bellezza di Dio, esserne rapito, è
un'esigenza dello spirito: è la sua vita, il suo paradiso... L'anima si volge con gioia su quel che la circonda e le sembra esserne un riflesso, o inventa o produce opere nelle quali spera si
presenti l'immagine che ha intravisto”
Teofane il recluso
Sulla Via
Pieve di Coiano
Dedicata a S. Pietro apostolo come ci ricorda anche il vescovo Sigerico nel suo diario. Da lui è infatti chiamata sancte Petre
courrant. Un documento del XV secolo ricorda la presenza di
reliquie di santi locali: “cappella et reliquia S. Piscis et reliquia
S. Gesii de Coiano cuius corpus est in Sancto Columbano”.
Oggi è spesso chiusa. Poterla visitare è un privilegio riservato a
pochi. Rimane solo da ammirare la ripida scalinata, sfida per lo
stanco pellegrino che deciderà di arrivare al portone della chiesa.
S. Maria a Chianni
Pieve romanica documentata fin dal 988. Pochi anni dopo,
nel 990, l’arcivescovo Sigerico la nomina nel suo elenco delle
tappe come submansio Sancte Mariae Glan. La pieve di Chianni veniva ricordata anche in un verso di una chanson de geste,
La Chevalerie d’Ogier de Danemarche, racconto dell’XI secolo che descrive un inseguimento svoltosi in Valdelsa lungo un
tratto della via Francigena: “… Passe le Noir et si passe le
Blanc / Sainte Marie passe desus le Glant, / Et vint es pres desous Saint Garillant ”1. Qui i cavalieri si inseguono fin
1
da R. Stopani, Guida ai percorsi della Via Francigena in Toscana, Le
Lettere, Firenze 1995, p.71
104
Capitolo VIII - Da Altopascio a Siena
dall’Arno Nero e Bianco che sono i due rami dell’Arno, così
chiamati in epoca medioevale, in prossimità di Fucecchio (poi
la definizione esatta di questi due rami è un po’ più complessa e
qui la tralasciamo) e poi salgono lungo la strada percorrendo la
via di crinale così come facciamo noi pellegrini arrivando a S.
Maria a Chianni. Nel XII secolo la pieve fu ricostruita nelle
forme attuali ad opera dei vescovi volterrani. La popolazione di
Gambassi stava infatti aumentando e l’edificio preromanico risultava piccolo per le nuove esigenze. Il nuovo impianto basilicale è a tre navate con transetto sporgente. La facciata è decorata da un gioco di arcate in tre ordini molto caratteristico. Gli elementi architettonici e decorativi della pieve di Chianni costituiscono un unicum per la zona. Si riconoscono analogie con il
duomo di Volterra. Altre caratteristiche particolari rilevate dagli
esperti fanno presumere che la pieve fu costruita anche grazie
all’apporto di conoscenze giunte da altri luoghi, magari con il
contributo di qualche mastro muratore in cammino lungo la Via
Francigena.
Gambassi
Vi era la chiesa dedicata ai Santi Jacopo e Stefano e un ospitale. Tutta la zona aveva varie chiese dedicate a S. Jacopo e anche a S.Martino a conferma della vocazione stradale dell’intero
territorio. Molte di queste pievi e chiese non ci sono più o hanno cambiato dedicazione. Per quanto riguarda l’ospitale questo
fu voluto dal comune di Gambassi nel 1285 “pro receptatione
pauperum et egenorum”. Attualmente non c’è più memoria storica neanche del luogo dove fosse ubicato all’interno del centro
storico. Della chiesa, o meglio delle chiese, la memoria risale al
1037 quando, nel castrum vetus di Gambassi, c’era la chiesa
dedicata a S. Stefano. Distrutta intorno al 1270 la titolazione fu
aggiunta alla chiesa di S. Jacopo che era stata costruita nel 1183
(... ecclesiam Sancti Iacobi de castello nuovo). Infatti nel 1413
abbiamo la documentazione della “ecclesia ss. Iacobi et Stephani de Gambasso”. Ora rimangono di questa solo tracce romaniche sulla facciata e su un muro perimetrale dopo i pesanti
A che serve una strada se alla fine non c'è una chiesa?
105
interventi fatti 50 anni fa sulla chiesa medioevale che era arrivata quasi intatta fino ad allora.
Luiano
Chiesa di S. Lorenzo. È ricordata fin dal 1104 con la doppia titolazione di Sancti Cristofani e Sancti Laurentii. Fino al 1600
era officiata occasionalmente e nel secolo dopo fu ridotta ad oratorio distrutto 30 anni fa per far posto a un vigneto. Rimane
memoria del luogo guardando le vecchie carte dell'IGM.
Santo Pietro
La si incontra sulla sinistra del percorso, dopo aver superato
Montecarulli. È posta su una collinetta a tumulo, probabile cimitero paleocristiano. Citata per la prima volta nel 1109. Il fatto
che nel 1300 assumesse il titolo di Canonica fa presumere l'esistenza di una piccola comunità monastica che facesse anche accoglienza ai pellegrini che transitava lungo quest'importante direttrice. Ora il luogo è una abitazione privata e quindi non più
visitabile.
Pancole
Santuario mariano. L'edificio sormonta con un arco la strada.
Nel 1668 fu riscoperto un prezioso affresco mariano. La Madonna di Pàncole fu incoronata dal Vescovo diocesano Mons.
Ottavio Del Rosso il 5 Settembre 1694.
Pieve di Cellole
Poco dopo il paese di Collemuccioli. Dedicata a S. Maria
Assunta da qui cominciava un antico cammino devozionale mariano, detto “via delle sette pievi”, che raccordava lo stradario
volterrano verso la montagna. E' un'incantevole costruzione
romanica, sobria ed elegante.
106
Capitolo VIII - Da Altopascio a Siena
Pieve di Cellole
S. Gimignano
I numerosi ospitali che nel 1200 si contavano nella cittadina
fanno dire che S.Gimignano è un luogo di strada, nato grazie
alla strada e quindi al passaggio di pellegrini e mercanti.
Rimangono alla nostra ammirazione e memoria tre spedali
con originali caratteri romanici e croce gerosolimitana sugli architravi (molti luoghi che furono ospitali, lungo la VF, portano
ancora questa croce sulle loro pietre): S. Jacopo al Tempio tenuto dai Templari e S. Giovanni e S. Bartolo tenuti dai Gerosolimitani. Anche i Disciplinati di S.Agostino avevano un ospitale,
lì dove tuttora è il convento agostiniano.
A che serve una strada se alla fine non c'è una chiesa?
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Bibbiano
Iam fuit ospitalem2 cita un vecchio testo a proposito del luogo. Qui c'era un ospitale e vi passava una via romea. Il paese di
Bibbiano si trova sotto un poggio detto Santo Chiodo. La leggenda narra che un bambina vi trovò un chiodo della croce di
Cristo conservato ora come reliquia nel duomo di Colle Val
d’Elsa.
Sant'Antonio al Bosco
Piccola chiesetta di impianto romanico che si trova poco
fuori dal percorso (bisogna deviare di 500 metri). Qui una volta
c’era un monastero alle dipendenze di quello agostiniano di
Lecceto. Poi il luogo passò ai francescani. Piccolo ma suggestivo nelle sue forme classiche. Presenta sul fianco un campanile a
vela. Sul retro una doppia abside.
Abbadia a Isola
Nel 1001 la contessa longobarda Ava fece costruire questo
monastero in quello che una volta era un territorio paludoso. Da
questa caratteristica iniziale nasce il nome di Isola. L’abbazia
sembrava un’isola in mezzo alle acque. Con la solita perizia e
mossi dalla Regola Ora et Labora che modificò l’Europa intera,
i monaci benedettini bonificarono il terreno e ne ricavarono
buona terra per coltivazioni. Nel 1173 costruirono la splendida
chiesa romanica che si può ammirare all’interno del borgo.
Quando nel 990 passò Sigerico non c’era ancora l'abbazia ma
vicino stava nascendo un borgo nuovo che infatti fu da lui
chiamato Burgenuove. Era un nuovo insediamento che stava nascendo lì dove la Via Francigena stava spostandosi per motivi di
comodità viaria sul percorso che ora stiamo percorrendo. Pochi
anni dopo la contessa fece strategicamente nascere l'abbazia.
Nel XIII secolo tutto il territorio passò dall'influenza fiorentina a quella senese. Siena fece costruire il borgo fortificato di
Monteriggioni e fortificò anche nel 1376 l'abbazia per difenderla dalle incursioni sempre più violente delle compagnie di ven2
Ivi, p.68
108
Capitolo VIII - Da Altopascio a Siena
tura che in quel periodo spadroneggiavano nelle campagne (la
storia si ripete sempre…). Nel 1445 i monaci lasciarono il luogo
che venne usato come borgo civile per usi agricoli. Ancora rimangono le antiche vestigia e la chiesa con una splendida pala
d'altare.
Da Abbadia a Isola
Capitolo X
Siena
S.Caterina, incontro con una testimone di Cristo
Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha innalzato gli umili
Lc 1, 51b
Caterina, “la quale, fragile per natura, debole per età,
popolana per nascita …, raggiunge il più alto grado delle perfette virtù”, così è raccontata dal suo primo biografo, Raimondo da Capua nella Legenda Maior. Ad accentuare il concetto racconta di come le grazie spirituali vengano concesse
“con maggior facilità al sesso più fragile, cioè alle donne,
forse per confondere la superbia degli uomini, specialmente
di quelli che, gonfi della stima di sé, non esitano a credersi
sapienti …”.
Così anche in S. Caterina si concretizza la teologia della
debolezza. Il Signore prende ciò che è fragile e debole, lo
scuote con il suo Spirito e lo lancia nel mondo. Il Signore
toglie dalla propria “cella interiore” l'essere umano e lo
109
110
Capitolo X - Siena
manda nel mondo a predicare e ad operare. Leggere la storia di S. Caterina, piccola e fragile donna che diventa addirittura consigliera di re e papi fa pensare ad altre figure a
noi contemporanee, come Madre Teresa di Calcutta. Quale
fragilità in entrambe, quale piccolezza ma quale forza ha
colpito e travolto gli uomini che sono venuti in contatto con
loro.
Di S. Caterina si racconta come fosse chiamata Madre
(come Teresa…) dalle persone che gli stavano intorno, e
che la cercavano per farsi consolare, confortare, indirizzare,
rassicurare. E Caterina, con l'amore di una madre, era vicino a ciascuno. E' un profondissimo istinto di maternità
quello che anima Caterina e intorno a lei, quasi a cercare
protezione più che ad aiutarla, si radunano le consorelle
Mantellate e frati predicatori domenicani, e poi nobili e
popolani, artisti e poeti, uomini di governo e religiosi.
Anche chi non crede e non vuole credere rimane travolto
dalla sua forza e molte furono le conversioni. Nel suo essere dolce madre è l'essenza più intima della sua personalità: una donna che vuole soltanto amare ed essere amata
dell'amore più grande e più puro, quello che ha conosciuto
incontrando Gesù.
E' un amore forte il suo, un amore virile, di quegli amori che non temono di gettarsi a difesa dell'amato.
E come “cavalieri virili” bisogna difendere la “città
dell'anima”:
"Noi siamo in un campo di battaglia. E dobbiamo combattere sempre, poiché in ogni tempo e in ogni luogo abbiamo
nemici che assediano la città dell'anima: questi nemici sono la
carne con il disordinato diletto dei sensi, il mondo con i suoi
onori e le sue sollecitazioni, il demonio con la sua malizia.
Quest'ultimo, per bloccare i santi desideri spirituali, fa uso
di molti lacciuoli, o agendo direttamente o usando la lingua dei
suoi servi mediante parole seduttrici e lusinghiere, oppure minacciose, mormoratrici, ricche d'infamie. Agisce così per ren-
S.Caterina, incontro con una testimone di Cristo
111
dere triste l'anima e far sì che provi tedio delle buone e sante
operazioni.
Ma noi, come cavalieri virili, dobbiamo resistere e conservare integra la città dell'anima, chiudendo le porte ai sentimenti disordinati. E dobbiamo porvi a guardia il cane della
coscienza, sicché, quando il Nemico passi, gli abbai, destando così l'occhio dell'intelletto, il quale vedrà se chi sta passando è amico o nemico, cioè vizio o virtù. A questo cane è necessario dare
da bere e mangiare. Da bere, se gli conviene dare il sangue, e
mangiare il fuoco perché si levi dal freddo della negligenza. Così
la coscienza diverrà un cane solerte.
Voglio che voi sappiate vedere come al darsi disordinatamente a cose transitorie, fuggitive come il vento, non derivi onore,
ma vituperio: l'uomo si sottomette allora a cose a lui inferiori, a
realtà finite. Mentre egli è infinito."
(Lettera CXIV)
Caterina userà sempre il temine femminilità/femminile
in accezione negativa, come dal latino femineus e come il
nostro effemminato. E' il “male femminile” di chi non ha
forza per combattere per il bene ed è comune ad uomini e
donne. Anche il suo confessore, Raimondo da Capua fu
apostrofato da Caterina come “femmineo” quando non si
oppose ai sostenitori dell'antipapa: “Come voi sete omo nel
promettere di volere fare e sostenere per onore di Dio, non mi
siate poi femmina quando veniamo al serrar del chiovo…
Siate dunque, siate tutto virile: che morte vi venga”.
Poco più di un secolo dopo anche Teresa d'Avila diceva:
“ I o vorrei, figliole mie, che non foste né vi mostraste donne in nessuna cosa, ma uomini forti” (Cammino di perfezione, 1, 8, ). Tra le due, in ordine temporale, troviamo Giovanna d'Arco.
Una lunga opera fatta dalla Spirito di Dio sulla terra degli uomini per permettere che anche le donne diventassero
strumento nelle Sue mani per condurre le anime a Dio. A
quei tempi infatti non era tanto implicito che una donna
112
Capitolo X - Siena
viaggiasse e predicasse. L'unico luogo a lei concesso, per
dedicare la vita a Dio, era il silenzio del chiostro.
Caterina stessa non è sicura di quello che sta facendo.
Stava in fondo bene nella sua “cella interiore” a pregare
giorno e notte. Nel dialogo riportato nella Legenda maior
Caterina si oppone a Cristo che gli dice di uscire e di obbedire con coraggio e di non aver timore di quello che dirà la
gente perché davanti a Lui non c'è né maschio né femmina,
né ricco né povero.
Curiosa è la storia di S. Caterina fanciulla che desiderava girare il mondo a predicare e voleva scappare da casa
travestita da uomo per farsi frate predicatore. Anche Teresa
d’Avila aveva un fanciullesco sogno missionario ed eroico
e, appena novenne, propose al fratello Rodrigo di andare nella
terra lontana dei Mori per esservi fatti martiri, perché “voleva
vedere Dio”. E un giorno, anzi, i due uscirono da Avila e
varcarono il ponte dell'Adaja. Poi furono ricondotti a casa.
E così Caterina divenne più di quello che aveva sognato,
predicatrice itinerante e pellegrina tra re e papi. Molto parlò, molto dettò (perché non sapeva scrivere), molto insegnò,
molto servì.
Perché la contemplazione cateriniana non disconobbe mai
l'importanza del fare, sia come autenticazione dei mistici eventi che accadono nella “cella interiore”, sia come necessità della dinamica dell'amore “che adopera sempre grandi cose”. S. Caterina, la donna che “dall'estasi esce in armi per
l'azione eroica”.
“Non mi meraviglio se quell'anima che ha fatto di sé giardino per la conoscenza di sé, è forte contro tutto quanto il
mondo. Essa infatti è confermata e fatta una cosa sola con la
somma Fortezza. Comincia davvero a gustare in questa vita
una caparra di vita eterna. Quell'anima signoreggia il mondo,
perché se ne fa beffe”.
(dagl i scritti di S. Caterina)
S.Caterina, incontro con una testimone di Cristo
113
Sulla Via
Caterina nasce a Siena nel popolare rione di Fontebranda il
25 marzo 1347. Il padre, Jacopo, è un tintore e la madre, Lapa,
ha già dato alla luce 22 figli. Si racconta già di una visione fin
da piccola quando vide in aria, sul tetto della basilica di S.
Domenico, il Signore seduto in trono insieme a S. Pietro, S.
Paolo e S. Giovanni. Nel 1354 diventa terziaria domenicana per
poter operare quella che considerava la missione affidatagli da
Dio: cercare la pace e operare con azioni di carità assistendo
malati e i bisognosi. E il Signore ne fece “messaggera di pace”
come la chiamò Giovanni Paolo II in un’occasione. A Volterra
riuscì a mettere pace fra Guelfi e Ghibellini, si fece
intermediaria fra Firenze e il Papato, andò ad Avignone per
convincere Papa Gregorio XI a riportare il seggio papale a
Roma.
All’ospedale senese di S. Maria della Scala, luogo di accoglienza di viandanti, pellegrini e ammalati sorto lungo il percorso della via Francigena oggi adibito a museo, è possibile visitare l'oratorio di Santa Caterina della Notte, dove appunto Caterina era solita riposarsi durante le lunghe notti trascorse al capezzale di malati, infermi e sofferenti.
Vedeva in ogni malato un’anima da salvare e dedicava le sue
cure ai corpi “per conquistare l'anima”.
Caterina morì a Roma il 29 aprile 1380; il suo corpo riposa sotto l'altare maggiore della chiesa di Santa Maria sopra Minerva,
la testa invece è a Siena nella basilica di San Domenico. Caterina venne canonizzata il 29 giugno 1461 dal Papa senese Pio II.
L'9 marzo 1866 Pio IX l’ha dichiarata compatrona di Roma. Il
18 giugno 1939 Pio XII è stata proclamata Patrona d'Italia insieme con San Francesco d'Assisi. Il 4 ottobre 1970 Paolo VI la
costituisce Dottore della Chiesa Universale. Moltissime sono le
sue reliquie corporali sparse in chiese italiane. A Roma si venera la mano sinistra nel monastero del Rosario a Monte Mario,
una scapola nella chiesa dei SS. Domenico e Sisto. Altre sono
ancora in S. Caterina in Via Giulia, in S. Cecilia, a S. Croce di
114
Capitolo X - Siena
Gerusalemme, ai SS. Salvatore e Giovanni Battista ed Evangelista, un piede della Santa è conservato nella chiesa dei Santi
Giovanni e Paolo a Venezia.
A Siena e dintorni tanti sono i luoghi dove si trova memoria
della presenza di S. Caterina. L'elenco sarebbe lungo.
Ricordiamo a Siena solo il Santuario-Casa di Santa Caterina
con il Crocifisso delle Stimmate e la Basilica Cateriniana di San
Domenico. Nella chiesa domenicana è conservata la reliquia
della Testa di S. Caterina. Nell' Oratorio di S. Caterina della
Notte (ingresso dal Museo dello Spedale) si trova uno dei luoghi più suggestivi legati al culto della Santa.
Capitolo XI
Da Siena a Torrenieri
L'Odighitria
Quando rappresentato avrem le nostre parti,
Quando posato avrem la cappa e il mantello
E quando avrem lasciato la maschera e il coltello,
Deh! Tu ricorda allor che fummo pellegrini
Peguy
Ricordati di noi Maria, quando avremo deposto armi e maschere, al termine della commedia della nostra vita, ricordati di
noi Maria, del nostro essere stati pellegrini. Così prega Peguy,
pellegrino a Chartres, affidando i suoi passi alla Madonna. E’
una supplica, una preghiera di affidamento semplice, disarmante, come la maggior parte delle preghiere alla Madre. Semplice
115
116
Capitolo XI - Da Siena a Torrenieri
e disarmante come l’amore di Maria. Per il popolo viandante
Maria è la Stella del mattino che sorge all’alba sulla via accompagnando la partenza; è la Stella del meriggio che sorregge
quando il passo si fa lento e il caldo e la stanchezza rendono
lunga la strada; è la Stella della sera, che al vespro le campane
accompagnano nel suo saluto mentre accolgono il pellegrino al
termine di un’altra giornata; è la Madre di Misericordia che cantiamo a sera, a compieta, nell’ultimo affidamento.
“Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo
che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi
disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell'ora il discepolo la prese con sé” (Gv 16, 26-27).
Gesù sulla croce rivelò questa rapporto di fede. Non più
semplice relazione umana, di amore e rispetto tra madre e figlio,
ma rapporto fondato sulla Parola di Dio. Il discepolo, che è ciascuno di noi, in quel momento riconosce la Madre e la Madre
da allora si prenderà per sempre cura del discepolo che diventa
il nuovo figlio, la sua missione per i secoli. La Madre custodisce dall’inizio la Chiesa nascente, rincuora i discepoli intimoriti,
raduna i dispersi. Ancora e sempre è rimasta qui, su questa nostra terra, in questo nostro tempo che scorre verso l’Eterno. Appare agli uomini quando la fede sembra perdersi, lì dove più
forte è l’arroganza degli “intelligenti”; disperde e disorienta i
superbi con la manifestazione della verità divina che travalica
ogni razionalità e apparenza umana per diventare realtà, anticipando la manifestazione della vittoria del Cristo sulla potenza
del male che continuamente sembra minacciare di morte il
mondo presente.
Lei che vive nel mondo redento ci anticipa quel mondo che
per noi rimane ancora invisibile, visibile solo con gli occhi della
Fede. E compie la sua missione: come Madre fa vedere al figlio
la via, la strada e la meta. È la Odighitria, ovvero Colei che indica la Via. Colei che ci indica il Cristo che disse di sé “Io sono
la Via, la Verità e la Vita”. Non ci dice quando ma ci assicura,
con la Sua presenza, che il mondo sarà salvato e chi vorrà salvarsi si salverà. Il mondo visibile, quello che attraversiamo fisicamente in questo nostro pellegrinaggio è destinato a finire, e il
L'Odighitria
117
mondo invisibile che non vediamo, ma sentiamo nel cuore mentre andiamo, apparirà nella sua chiarezza e nella sua realtà e sarà eterno. È questo il vero mondo che Dio ha redento e la Vergine non può abbandonare i suoi figli prima della manifestazione pubblica e solenne della vittoria del Signore sul male. Madre
di tutti, non può separarsi da noi e lasciarci prigionieri di ogni
tentazione, incapaci di sottrarci alla morte.
E’ una Persona viva, che appare ai suoi figli nelle grotte e
sulle rocce, sui monti e sui pinnacoli. E’ una Persona reale che
accarezza, che sorride. E’ la bellezza perfetta, coronata di stelle,
ha la luna sotto i piedi. E’ colei che prega per noi nell’ora della
nostra morte. E’ la Torre d’avorio, la Vergine potente, il Rifugio dei peccatori e la Consolatrice degli afflitti; è Salute e Consiglio, Fonte e Sapienza. Sub tuum praesidium…, ci ripete
l’antifona delle litanie laureatane, sotto il tuo patrocinio…, ci
rincuora questa antichissima preghiera dei primi secoli. Sotto la
Tua protezione cammina il pellegrino, con il Tuo patrocinio, alla Tua luce, al riparo del Tuo mantello.
Cosa di diverso dovremmo chiedere e sperare; dove dovranno ancora volgersi i nostri occhi e il nostro cuore passando tra
queste valli, oltre queste colline che l’orizzonte ci schiude nella
loro bellezza e nella loro poesia? Qui la Madre ci chiama a
camminare perché possiamo intravedere nella armonia e nella
dolcezza del paesaggio la pace che ci attende al termine del
viaggio. Qui la Madre ci fa avanzare perché possiamo trovare
quel passo silenzioso e paziente che può condurci a Lei e da Lei
al Figlio e dal Figlio al Padre, e poi sarà solo pace e gioia e amore e luce.
Dobbiamo trovare la strada che porta a Lei. Dobbiamo imparare a inginocchiarci e pregarla, sentirla vicina mentre tra le dita
scorrono i grani della corona del rosario e i nostri passi sono accompagnati dal saluto dell’Angelo: Salve, o Maria.
Ave, o Madre, aiutami a sentire la tua dolce carezza, quella
stessa carezza che hanno sentito tutti quelli che a te hanno affidato la loro vita. Ave, o Maria, fa che io possa trovare, come
Giovanni Paolo II, la forza di abbandonarmi a te e semplicemente dire: Totus Tuus.
118
Capitolo XI - Da Siena a Torrenieri
Sulla Via
Torrenieri
La Patrona della Via Francigena si trova qui, nella chiesa di
Santa Maria Maddalena.
All’interno della chiesa, da secoli, è custodita una statua lignea policroma di Madonna con Bambino, oggetto di venerazione da parte dei pellegrini di passaggio. Nell’Anno Giubilare
del 2000 l’Arcivescovo di Siena l’ha nominata Patrona della
Via Francigena e il Papa Giovanni Paolo II l’ha incoronata,
sempre in occasione del Giubileo, chiedendo a Lei protezione
per la Via e per i pellegrini.
La sua presenza è poco nota. Proprio come si addice alla
Madre che nascostamente prega e segue gli eventi di questa
Via. Penso non potremmo avere Avvocata migliore.
Per la storia: la statua lignea fu scolpita dall’ebanista senese
Domenico Nicolò dei Cori (1363 – 1447), famoso per aver lavorato su vari cori lignei tra i quali quello del Duomo di Siena.
Fuori dalla Via
Abbazia di Sant'Antimo
Fuori dal percorso naturale della Via Francigena ma dentro
un possibile percorso di spiritualità c’è l’Abbazia di S. Antimo.
È un gioiello in una valle, adiacente al paese di Castelnuovo
dell’Abate, a 10 chilometri da Montalcino e poco di più da S.
Quirico. Fu fondata, secondo la tradizione, da Carlomagno.
L’imperatore, di ritorno da Roma con il suo esercito nel 781 entra nella valle del torrente Starcia ma l'esercito, colpito dalla peste, è decimato; allora Carlomagno fa un voto al Signore per
cercare di arrestare il flagello. Vedendo esaudita la sia preghiera, fonda un monastero benedettino, in ossequio al voto. La
L'Odighitria
119
chiesa primitiva, costruita in stile preromanico al pari della cripta, conferma l'antica origine dell’abbazia, che in seguito conosce ampio sviluppo. Nel 1118, probabilmente in seguito ad un
importante dono, si decide di costruire la chiesa attuale. Sul finire del secolo XV, l’edificio subisce leggere modifiche: viene
realizzato nelle tribune l’appartamento del vescovo di Montalcino. II totale abbandono provoca progressiva scomparsa degli
edifici conventuali. Oggi del complesso monumentale non restano che una parte della sala capitolare, il refettorio (trasformato in abitazione), il tracciato del chiostro.
Il luogo è rinato l’8 dicembre 1979 quando l'arcivescovo di
Siena autorizzò una comunità di canonici regolari francesi Premostatensi di tornare ad abitare l’antico sito. Da allora tra le sacre mura sono tornati a risuonare i canti gregoriani che meravigliosamente si adattano alla limpida purezza della chiesa. Vivendo secondo la regola e la spiritualità di Sant’Agostino i frati
rendono testimonianza di pace e aiuto spirituale per tutti coloro
che sono attratti dall'atmosfera mistica di Sant’Antimo.
Per il pellegrino questo più che un luogo di passaggio è un
luogo di sosta. Non passate da qui per vedere la splendida chiesa e cercare fascini antichi. Passate di qui per fermarvi, per pregare, per partecipare alla liturgia con i monaci. Se volete deviare dalla Via fatelo per cercare una sosta che dia nuova forza al
vostro cammino. Questo è il carisma del luogo: un’oasi per l'anima.
Per la storia: qui Santa Caterina giunse come messaggera di
pace per placare le dispute sorte a proposito della giurisdizione
spirituale tra l’Arciprete di Montalcino e l’Abate fra' Giovanni
di Gano da Orvieto.
120
Capitolo XI - Da Siena a Torrenieri
Abbazia di S. Antimo, Castelnuovo dell’Abate (SI)
Capitolo XII
Da S. Quirico ad Acquapendente
Strada, luogo della mia santità,
niente di necessario ci manca
Cammino verso le Briccole
“Ecco il silenzio:
lasciar pronunciare
al Signore una parola
uguale a lui”.
da una preghiera dei Certosini della Grand Chartreuse
Camminare nella solitudine accompagnati dai propri pensieri, poi fare propri i pensieri di Dio. Questo è fare deserto. Questo è camminare rendendosi conto di cosa è necessario e di cosa è superfluo facendo silenzio. Il mondo che ci circonda sbia121
122
Capitolo XII - Da S. Quirico ad Acquapendente
disce e il cuore si riempie di un calore inusuale, quasi sconosciuto. Una preghiera, una giaculatoria poi il silenzio. Bisogna
farsi capaci di ascoltare: il cuore fa silenzio, si dimenticano preoccupazioni e affanni e si smette di parlare a se stessi per far
posto solo alla voce di Dio, il Dio Fedele.
Camminare, in silenzio
La fedeltà di Dio è una carezza che ci accompagna tutti i
giorni della nostra vita.
Abbiamo abbastanza Fede per sentire la mano di Dio su di
noi?
Abbiamo abbastanza Fede per lasciare che Lui ci guidi ogni
giorno della nostra vita?
Abbiamo abbastanza Fede per fare tutto il meglio che possiamo fare ma il resto farlo fare a Dio?
Abbiamo abbastanza Fede per credere che la Provvidenza di
Dio guida ogni nostro incontro, evento, momento della giornata
e c'è un suo disegno su di noi?
Abbiamo abbastanza Fede per credere alla Fedeltà di Dio,
ovvero che Dio non ci abbandona mai, ma proprio mai e che è
con noi anche nei momenti più tristi e faticosi come racconta
quel famoso brano che termina dicendo: “Signore, Signore dov'eri nei giorni più difficili della mia vita? … è in quei giorni, o
figlio, che ti ho preso in braccio!” ?
“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. (Mt. 28, 20)
Ci basta?
Forse il brano della Bibbia dal libro delle Lamentazioni parla
di noi:
“Il ricordo della mia miseria e del mio vagare
è come assenzio e veleno.
Ben se ne ricorda la mia anima.
Questo intendo richiamare alla mia mente,
Strada, luogo della mia santità, niente di necessario ci manca 123
e per questo voglio riprendere speranza.
Le misericordie del Signore non sono finite,
non è esaurita la sua compassione;
esse sono rinnovate ogni mattina,
grande è la sua fedeltà”.
(Lm 3, 19-23)
C'è la sua Fedeltà a salvarmi, c'è quella sua infinita ostinazione a non lasciarmi, a non volere che io mi perda. La sua Misericordia e la sua Fedeltà sono con me.
Ancora quella frase ritorna:
“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. (Mt. 28, 20)
Non ci basta ancora?
“Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete
più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo
di tutti i popoli - , ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri … Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele, che
mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni”.
(Dt 7, 7-9)
La fedeltà che nasce dall’amore, un vero amore non può essere infedele. Siamo con le spalle al muro. Ha cominciato lui
per primo ad amarci ed a esserci fedele … cosa posso fare io se
non rispondere con fedeltà e uguale amore? Come si può davanti a una fedeltà ostinata rispondere con l'infedeltà? E davanti ad
un amore che ancora una volta tutto ci perdona per averci ancora vicine?
Una frase mi accompagna tutti i giorni della mia vita, una
frase che mi dà speranza, una frase che mi dà certezza di essere
guidata da una Fedeltà Eterna:
124
Capitolo XII - Da S. Quirico ad Acquapendente
“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. (Mt. 28, 20)
Così nel deserto, nel silenzio del nostro cammino forse
arriveremo a un crocicchio … ce ne sono tanti lungo la Via.
Magari uno di quegli incroci tra viottoli, con un piccolo
tabernacolo dedicato alla Madonna dove è ancora nostra usanza
farsi il segno della croce. E qui trovare qualcuno che ci aspetta.
Penso a uno di quei servi che, nella parabola del banchetto
nuziale, il Signore manda per chiamare i commensali: “Andate
ai crocicchi delle strade” (Mt 22 1-14).
I servi mandati ai crocicchi delle strade per portare alla festa
la gente che passa... ma se noi non saremo in cammino e non
passeremo da un crocicchio non potremo essere invitati. E se
non avremo imparato a fare silenzio non riusciremo a sentire le
parole del servo che ci chiede di venire alla festa.
Camminare, in silenzio.
Sulla Via
S. Quirico
Ricordata sin dal VII secolo. Importante punto di tappa sulla
Francigena e mansio di sosta di Sigerico (Sce Quiric XII submansio). Lo stesso impianto della città denota la sua vocazione
viaria, con la strada che passa attraverso l’abitato dalla Porta
Senese alla Porta Romana, transitando davanti alla Collegiata,
romanica. All’interno della chiesa, alla sinistra della navata
principale, c'è la lapide della sepoltura del conte Enrico di Nassau, morto nel 1451 tornando dal Giubileo. Pellegrino forse un
po’ più ricco di noi ma dello stesso sangue nobile di tutti i pellegrini.
Bagno Vignoni
Luogo dove passò S. Caterina. Qui la madre, Monna Lapa,
condusse la figlia nel tentativo di distrarla dall’intenzione di
prendere l'abito religioso e nella speranza che abbandonasse le
Strada, luogo della mia santità, niente di necessario ci manca 125
dolorose penitenze che si infliggeva. Ma Caterina non desistette
e la madre si convinse che, quella scelta dalla figlia, era la strada giusta.
Il paese è indiscutibilmente affascinante con una vasca termale (che prende il nome da S. Caterina) a fare da piazza centrale. Il regista Tarkovskij nel film Nostalghia racconta di un
critico musicale russo che incontra a Bagno Vignoni, un singolare personaggio, chiamato “il matto”, il quale afferma che per
pacificare il mondo è necessario attraversare con una candela
accesa la piscina di Santa Caterina. Il critico compie la traversata della piscina con la candela, ma muore d'infarto per l’immane
fatica. Un luogo, per il regista, legato alla pace e al sacrificio
per ottenerla.
Le Briccole
Credevo che quella sensazione di magia e di fascino che
provo tutte le volte che passo per le Briccole fosse solo mia.
Credevo che la mia dimensione sognatrice avesse attribuito a
questo luogo, abbandonato nel silenzio della campagna, colori e
significati che solo io potevo leggere attraverso le mie lenti
sfuocate alla realtà e chiare alla visione. Invece altri pellegrini
nel corso di questo tempo, interrogati su quale luogo per primo,
o tra i primi, venisse loro in mente pensando alla Via Francigena, mi hanno risposto: Le Briccole.
Ora so di non essere sola. Forse siamo in pochi, perché in
pochi siamo passati di qui a piedi camminando verso Roma, ma
so che il luogo richiama e avvince non solo il mio cuore.
Il bello è che non c’è niente di particolare qui se non la memoria di un passaggio, di un luogo che era e che ora le strutture
non ricordano più . E' rimasto un vecchio casolare là dove una
volta vi era l’ospitale che accolse tanti pellegrini più o meno illustri: Matilde di Canossa e Filippo Augusto tornando dalla crociata, il solito Sigerico e poi qualche santo di passaggio e tanti
nostri antenati più o meno conosciuti. È rimasta poi una piccola
cappella dedicata a S. Giacomo, ora tristemente sconsacrata e
abbandonata e spoglia. Quindi non c'è più niente all’apparenza
da vedere con gli occhi ma, come dice un altro sognatore, noto
126
Capitolo XII - Da S. Quirico ad Acquapendente
agli amici come Saint-Ex: “Non si vede bene che con il cuore,
l'essenziale è invisibile agli occhi”1.
Pellegrino, fermati e sogna e misura la tua capacità di cogliere l'essenziale.
Radicofani
Borgo arroccato. Da sempre uno dei pochi rifugi sicuri nel
territorio circostante. Già abitato in epoca etrusca poi divenuto
strategico nella costruzione dell'itinerario viario della Via Francigena grazie a Desiderio, ultimo re del Longobardi. Quello
stesso re che ebbe come moglie Ansa, celebrata nel VIII secolo
dallo storico contemporaneo longobardo che gli dedicò queste
parole: “Procedi ormai sicuro, pellegrino, chiunque tu sia che
dalle lontane terre dell’Occidente ti rechi alla tomba di Pietro o
alla rupe del Gargano. Per merito di costei, non le armi dei ladroni avrai più da temere lungo le vie, ne’ il freddo ne’ le tempeste delle notti nere, perché ti ha preparato, ella, sicuri ospizi
e cibo per il tuo cammino”.
Successivamente appartenne allo Stato Pontificio e Papa Adriano IV lo ampliò e fortificò. Famoso fu il momento di Ghino
di Tacco che dal 1297 al 1300 fece della rocca il suo inaccessibile rifugio. Da qui partivano le scorribande dei suoi uomini che
assalivano i ricchi viandanti che passavano lungo la Via.
1
A. de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe (tr. di Nini Bompiani Bregoli), Bompiani, Milano 1978, p. 98
Capitolo XIII
Da Acquapendente a Bolsena
Il cammino dei credenti
Acquapendente, Duomo, particolare della cripta del S.Sepolcro
...e se Cristo non è stato risuscitato, vana è la vostra fede;
voi siete ancora nei vostri peccati.
1Cor 15, 17
127
128
Capitolo XIII - Da Acquapendente a Bolsena
Ecco dove tutto comincia e dove tutto finisce, ecco il polo
intorno a cui gravita tutto il gioco, il significato della nostra vita. Se non fosse risorto…, se non fosse risorto la nostra fede sarebbe vana, tutto sarebbe vano. Allora sì che la vita sarebbe una
presa in giro, allora sì che non ci sarebbe un perché a niente, allora sì che non ne varrebbe la pena, allora sì che non ci sarebbe
senso, non ci sarebbero valori, speranze, ragioni per la nostra
vita. Cammineremmo in un tunnel buio, illuminato a volte da
luci artificiali per darci l’illusione che tanto si va avanti lo stesso. Uno scenario da Blade Runner dove l’angoscia e la disperazione è la costante sottile che pervade tutto, anche quello che
sembra essere vita. Guai allora a chiederci perché c’è chi soffre,
perché c’è la cattiveria, perché c’è chi vive due giorni e chi
campa cent’anni, c’è il ricco e il povero, c’è il sano e lo storpio.
Le risposte di chi non ha speranza sarebbero troppo terribili.
Ma alla luce della Resurrezione, della Pasqua, tutto si riempie di significato, tutto assume una dimensione più chiara, tutto
si illumina di speranza infinita. Una promessa: risorgeremo con
Lui per vivere nella Vita Eterna. Ora siamo in cammino, siamo
pellegrini, viandanti su questa terra. Figli del cielo fuori dalla
Patria, in viaggio in terra straniera. Non ci può essere niente che
ci leghi veramente e per cui valga la pena perdere la Vita Eterna.
Ma sempre, ancora una volta a ogni Pasqua, e ancora una
volta a ogni domenica, Pasqua della settimana, e ancora ogni
giorno per chi si volge verso il volto di Dio, per noi si rinnova
la promessa. Noi siamo testimoni della Resurrezione. Il nostro
cuore ne rende testimonianza, la nostra fede ce lo ricorda ogni
volta. Sappiamo che al di là di ogni limite umano c'è l’eternità
divina; al di là di ogni nostra piccolezza e meschinità c'è
l’infinito perdono di un Dio che continua ad aspettarci e a morire per ciascuno di noi; al di là di ogni dolore e disperazione c'è
l’immensa gioia del giorno della Resurrezione. La nostra vita
sarà vita se riusciremo a viverla nella certezza della promessa
per gustare alla fine il dolce sapore della vittoria della Vita.
Per fare questo dobbiamo passare davanti al Sepolcro. Dobbiamo vedere, sentire, capire l’offerta della vita, toccare quel
Il cammino dei credenti
129
luogo dove la vita sembra essersi persa, dove la vita è stata donata.
L'offerta della vita. Nessuno può obbligarci ad offrire la
nostra vita per qualcosa o per qualcuno. Possiamo trascorrere i
nostri giorni su questa terra senza lasciarci vincolare da nessuno. Solo i nostri desiderata, solo le nostre voglie.
Possiamo fare a meno di spendere la nostra vita per qualcuno da amare, per un ideale di fede da seguire. Possiamo fare a
meno di morire come un seme, per fare frutti che magari non
vedremo neanche.
O no? Qual è la vera libertà? Dov’è la libertà di un uomo che
muore sulla croce per altri uomini, persone che neanche lo conoscono, solo per Amore? Quale mistero dietro a questa morte
accettata liberamente da Gesù? Morte sofferta, tremendamente
sofferta ma mai ripudiata, mai evitata. Era libero di lasciare in
qualsiasi momento. Che frutto avrebbe portato il suo rifiuto?
Quale frutto ha portato il suo donarsi?
Libero di scegliere tra il bene e il male, tra l'offerta e il diniego di se stessi, tra restare e fuggire, questo è il destino di ogni uomo. Questa è anche la nostra strada: possiamo scegliere.
Siamo liberi ma quale peso per la nostra coscienza.
Vedere che una cosa è buona, e poi scegliere per quella cattiva perché è più comoda, è possibile senza rimorsi solo per una
coscienza addormentata. O almeno così crediamo. Ma a noi, che
anni di pratica cristiana ce l’hanno sicuramente svegliata la coscienza, è più facile scegliere per il bene? Accettiamo di morire
come un seme per dare molto frutto? Dove finisce la nostra libertà? Siamo liberi da pigrizia, distrazioni, desideri che ci distolgono dalla libera scelta del solo Bene, quell'Amore che Gesù prima di morire affida come missione e segno distintivo ai
suoi discepoli? Vi riconosceranno dall'Amore…1.
Avremo il coraggio degli eroi, dei martiri per fede, e dei santi, che hanno lasciato tutto riconoscendo l’unico vero tesoro?
Vita piatta, incolore, da sepolcri imbiancati, vincolati dal
mondo e dalle sue convenzioni, o capaci di atti di libertà in no1
Gv 13,35
130
Capitolo XIII - Da Acquapendente a Bolsena
me dell'Amore? Questa è la sfida del Venerdì Santo, della notte
senza luce e del lungo giorno del Sabato aspettando l'alba della
Resurrezione.
Oggi ci fermiamo davanti a un Sepolcro. Sì o no? Dalla risposta che daremo sapremo anche la direzione del nostro cammino. Noi siamo di quelli che hanno creduto non avendo visto.
“Noi apparteniamo alla razza che spera, a quel popolo
dell’attesa, alla terra che non dispera mai, per la quale la disperazione è una parola vuota di senso, analoga alla parola
niente”
(G. Bernanos)
E alla fine ci guidino le poche parole degli angeli: “Non è
qui. E' risorto… e ora vi precede in Galilea” (Mt 28, 6-7).
"Come un cercatore di perle ti sei immerso negli inferi, per
cercare la tua immagine inghiottita dalla morte; come un povero e un miserabile sei sceso e hai sondato l'abisso dei morti; e
la tua misericordia è stata ricompensata, perché ha visto Adamo ricondotto all'ovile".
Liturgia Siriaca, preghiera di Efrem2
"Umiliò le realtà divine,
per poter innalzare quelle terrestri,
che ottennero una salvezza tanto grande.
Perché noi non perdessimo il cielo,
egli patì l'inferno.
La morte afferrò
colui che non poté trattenere;
inorgoglita per il successo,
ma depredata del bottino.
Esultò nel catturarlo,
ma fu distrutta nella vittoria.
2
Sabino Chialà, Discese agli inferi, ed Qiqajon, Magnano 2000, p.36.
Il cammino dei credenti
131
Ripiegata su se stessa, la morte venne meno
dopo aver cercato di afferrare
l'autore della vita;
e mentre ambiva a ciò che non le spettava,
perse ciò che aveva acquisito."
Messale mozarabico, Preghiera per la benedizione della lucerna
davanti all'altare3
Sulla Via
La Sancta Jerusalem di Acquapendente
La Gerusalemme celeste è la meta ultima di ogni pellegrino.
La Gerusalemme terrestre è la meta principe di ogni pellegrino,
compimento del “cammino perfetto”: Roma, Santiago, Gerusalemme.
Varie ricostruzioni dei luoghi della Passione di Cristo si trovano lungo le strade dei pellegrini. Furono fatte a memoria dei
luoghi santi per permettere a chi non poteva raggiungere Gerusalemme di “vedere” i luoghi santi, oppure per rincuorare il pellegrino che avanzava a piedi e confermagli di essere sulla strada
giusta. Ci furono poi anni in cui, con la Terra Santa in mano agli Arabi e le vie rese pericolose da guerre e carestie, non furono possibili i pellegrinaggi al Santo Sepolcro e questi luoghi di
memoria divennero ancora più importanti e significativi.
A Bologna fu costruita per volontà di Petronio, ottavo vescovo della città (tra il 431 e il 450), una delle prime “Sancta
Jerusalem” di Europa. Racconta infatti la tradizione che S. Petronio fece un pellegrinaggio in Terra Santa e volle riportare
nella costruzione la conoscenza che aveva acquisito degli edifici
di Gerusalemme.
Ad Acquapendente, lungo la Via che portava a Roma e poi a
Gerusalemme, troviamo un'altra Sancta Jerusalem di epoca altomedioevale. Al centro della cripta romanica, nella Basilica del
Santo Sepolcro, è posta l'Edicola a memoria del Santo Sepolcro.
3
Ivi, pp. 23-24.
132
Capitolo XIII - Da Acquapendente a Bolsena
Documenti scritti testimoniano un forte legame del luogo con la
Basilica di Gerusalemme e l’Ordine del Santo Sepolcro.
L’Edicola, o Sacello come comunemente è chiamato, è già descritta esistente da S. Willibaldo nel 725, e ripeterebbe dimensioni e orientamento di quella dello stesso periodo di Gerusalemme. All’interno del Sacello, in un tabernacolo dell’altare,
due piccole pietre bianche - che si vuole provengano dal pretorio di Ponzio Pilato - con alcune macchie che la tradizione vuole del sangue di Cristo, portate ad Acquapendente dai Crociati
dopo la presa di Gerusalemme.
S. Rocco
Ricordiamo S. Rocco qui, ad Acquapendente, perché qui si
racconta di famosi miracoli fatti dal santo in pellegrinaggio verso Roma.
La fama di S. Rocco (in Italia sono a lui dedicate più di tremila chiese e cappelle) è dovuta principalmente al suo ruolo di
protettore dalla peste, le cui epidemie sconvolsero l'Europa a
ripetizione dal medievo in poi . L'altro aspetto del santo è quello
di essere un confratello pellegrino perché compì un lungo pellegrinaggio dalla Francia (ove era nato a Montpellier) a Roma (vi
giunse nel 1368). S. Rocco è rappresentato quasi sempre in abiti
da pellegrino (si deve alla sua memoria l'uso di chiamare il
mantello anche “sanrocchino”), con la conchiglia jacopea su abito o petaso (cappello) e il bordone. A volte è difficile distinguere le immagini di S. Rocco da quelle di S. Giacomo. Un carattere distintivo tra i due santi è, per S.Rocco, la presenza di un
cane ai suoi piedi. La leggenda racconta infatti che il santo,
ammalatosi di peste per aver a lungo servito i malati che incontrò lungo il suo cammino, si ritirò in un luogo appartato, in
prossimità di Piacenza e qui fu assistito da un cane che gli portava il pane ogni giorno e gli leccava la ferita purulenta comparsa su una gamba. L'altro carattere distintivo del santo è anche il
gesto di indicare la gamba malata o di sollevare la veste per evidenziare la lunga ferita sulla coscia.
Capitolo XIV
Bolsena
L’Eucarestia
Attraverso Bolsena
Beati coloro che fanno di te il loro rifugio,
pellegrini che le tue vie portano in cuore.
(D.M. Turoldo, Veglie Eucaristiche)
133
134
Capitolo XIV - Bolsena
È l’invito alle nozze, quell’invito che ci hanno fatto i messaggeri ai crocicchi. Il Signore chiama tutti i viandanti che vogliono vivere con lui al banchetto eterno. Il Signore ci vuole subito, ci invita già da ora alla cena. Gesù partendo da questa terra
ha lasciato un segno in sua memoria. Un segno perchè ci potessimo ricordare tutti, noi uomini smemorati, che c’è qualcuno
che ci aspetta da sempre. Ma, essendo un Dio, non si è accontentato solo di un simbolo che chiunque di noi potrebbe pensare. Ha lasciato se stesso, in corpo e sangue, perchè potessimo
essere sempre con Lui e Lui in noi. E’ rimasto con noi perchè
noi fossimo con Lui, perchè potessimo trovarlo sempre, perchè
potessimo sempre fare di lui il nostro rifugio. Un Dio incarnato
per sempre nella carne dei suoi fedeli, sangue e spirito, muscoli
e cuore, per portarci verso casa, per non farci perdere
l’appuntamento al crocicchio.
E mille volte ha voluto ricordarci che Lui è lì. Il miracolo
Eucaristico di Bolsena è uno dei più famosi ma solo uno dei
tanti che si ricordano nella storia della cristianità. Anche lungo
il Cammino di Santiago, al Cebreiro, un altro miracolo, uguale
nel suo manifestarsi, avvenne. Racconta la leggenda del Santo
Graal del Cebreiro di come, una mattina, un contadino di Barxamaior, affrontò una terribile tempesta di neve per venire, come tutti i giorni, alla S. Messa. Il monaco che celebrava, di poca
fede, durante la consacrazione compativa in cuor suo lo sforzo
di quell’uomo: “tanta fatica per un po’ di pane e di vino”. In
quel momento l’ostia si fece carne e dal calice traboccò sangue.
Ora, in un reliquiario, nel santuario, sono conservati la carne, il
sangue e il calice del miracolo e il luogo è meta di fervidi pellegrinaggi.
Uno dei più antichi racconti di miracoli eucaristici è riportato tra i detti e fatti dei Padri del Deserto (III – V sec.) dove a un
monaco, che raccontava ai suoi fedeli che il Corpo di Cristo è
solo un simbolo, apparve durante la celebrazione del Miracolo
Eucaristico un angelo che, portando in braccio il Bambino Gesù, lo immolò con una spada versando il suo sangue nel calice.
Meno cruento è più famoso è il miracolo avvenuto a Roma in
presenza del Papa Gregorio Magno dove l'ostia si mutò in carne
L'Eucarestia
135
davanti a una donna scettica. Nel 750 poi a Lanciano ancora
Gesù è voluto tornare e il frutto del miracolo è conservato in un
ostensorio visibile al pubblico. Da allora a oggi tanti altri miracoli si sono ripetuti in varie parti del mondo.
Il dubbio della Transustanziazione che ha colto più di un fedele, il desiderio di comprendere razionalmente qualcosa che
solo gli occhi della Fede possono vedere e capire, e Gesù, che
ancora una volta riprende il fratello richiamandolo a sé. Questo
in pratica il Miracolo Eucastico: Gesù che torna con il suo sangue e il suo corpo. Mi torna in mente quell’episodio del Vangelo (Gv 21,1-7) quando Gesù risorto torna sul Lago di Tiberiade
dove i discepoli erano tornati a fare i pescatori e li richiama alla
missione, loro, che sentendosi abbandonati, erano tornati alla
sola casa che conoscevano e sulla sola strada che credevano di
poter percorrere ora che Gesù non era più con loro.
E ancora il Signore ritorna per scuotere e rincuorare e indirizzare. Nella splendida matematica dei miracoli, grazie a un
sacerdote dubbioso, tanti altri potranno vedere e credere. Paradosso dei miracoli: per uno che non crede mille altri potranno
credere. Un altro luogo sulla terra è stato santificato. Un altro
luogo è diventato meta di pellegrinaggi. Su un altro luogo il Signore ha lasciato il suo segno perchè di segno in segno noi,
scarsi navigatori, possiamo arrivare in fondo al nostro ultimo
giorno con la Meta davanti.
Davanti al Tabernacolo la nostra preghiera sarà di ringraziamento ma anche di supplica. Il cuore si riempie di gioia al
pensiero di poter essere davanti a Gesù, Lui che per primo ci ha
amato e che è venuto e che è restato perchè ci ama. Non ci sono
parole che possono dirci fino in fondo tutto questo. Soli, davanti
al Mistero, possiamo solo tacere e ascoltare. Perchè tante parole
e preghiere non bastano e non servono. Lui ha altre cose da dirci. Cose che non potremmo e non sapremmo mai dire noi (i suoi
pensieri non sono i nostri pensieri). Noi da soli potremmo solo
tornare a pescare triglie in un lago.
Se vogliamo che il nostro pellegrinaggio terreno abbia un
senso, ovvero abbia una direzione precisa e corretta, se voglia-
136
Capitolo XIV - Bolsena
mo essere sicuri di non sbagliare strada, come quando ci preoccupiamo lungo il cammino di piegare giusti ai bivi, la nostra unica bussola dovrà essere questa: il silenzio davanti al Tabernacolo. È lì il nostro Nord, nel Corpo e il Sangue di Cristo e solo
nel silenzio il nostro cuore, come una freccia che magnetizzata
si orienta, potrà indicarcelo.
"Io lo guardo ed egli mi guarda"
(Santo curato D’Ars)
Bolsena, S. Cristina e il Miracolo Eucaristico
C’è un martirio all’inizio e la memoria e la devozione a una
santa: Santa Cristina, della primitiva comunità cristiana di Bolsena. La ragazza è figlia di Urbano, prefetto del municipio romano di Vulsinii. Convertita alla fede cristiana viene imprigionata dal padre e da lui stesso torturata. Storie di martiri lontani
nel tempo e di secoli barbari ?
La prima tortura fu la ruota uncinata alla quale la ragazza
venne legata. Urbano fece interrompere il tormento in quanto
Cristina sembrava non risentirne minimamente. Il padre allora
decide di annegare la figlia nel lago di Bolsena e con una pietra
legata al collo la fa gettare nelle acque profonde. Ma l’intervento divino permette a Cristina di tornare a riva salva. Quella stessa notte Urbano muore.
Nominato un nuovo prefetto, Dione, anche questi continua a
perseguitare Cristina che viene immersa nella pece bollente. E
ancora in modo miracoloso sopravvive. Costretta quindi a pregare nel tempio di Apollo ne provoca il crollo che uccide il
nuovo prefetto.
Il nuovo successore, Giuliano, fece richiudere per cinque
giorni la giovane Cristina in una fornace. Poi passò all’uso dei
serpenti velenosi. L’ultimo tentativo fu con le frecce. A questo
punto il signore chiamò Cristina a sé. Era il 24 luglio del 304.
Anche ora, tutti gli anni, il 24 luglio, a Bolsena, il martirio
della Santa viene ricordato con quadri plastici che presentano i
Misteri di Santa Cristina.
L'Eucarestia
137
La storia continua. Bolsena diventa una meta di pellegrinaggio e una tappa importante lungo la Via Francigena. Nel 1263,
proprio pellegrinando verso Roma, passa di qui un sacerdote
boemo, di nome Pietro da Praga, che si ferma a celebrare la
Messa sull’altare della Santa. Il sacerdote dubitava in cuor suo
che vi fosse, durante il rito dell’Eucarestia, la trasformazione
dell’ostia e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo (Transustanziazione). In quel momento avvenne il miracolo davanti a
numerosi testimoni. Dall’ostia consacrata sgorgò sangue.
Informato prontamente, il Papa ordinò di trasferire presso la
sua residenza di Orvieto i paramenti del sacerdote, bagnati dal
sangue dell’ostia.
Nel 1264 Urbano IV istituì la festa del Corpus Domini.
Bolsena divenne meta di nuovi pellegrinaggi e luogo del Miracolo Eucaristico.
Sulla Via
La Basilica di S. Cristina nasce sulla necropoli paleocristiana
nella quale fu sepolta dopo il martirio la santa. All’inizio tale
luogo era esterno alle mura della città, come tutti i cimiteri,
poi nel 1115 per dono del Conte Bernardo al Vescovo di Orvieto viene costruita la chiesa romanica, a tre navate con pianta a
croce latina e copertura a capriate che diventa il punto di riferimento della vita religiosa e civile di Bolsena.
Nella navata di sinistra si trova la cappella di Santa Cristina
e, attraverso un portale marmoreo dei secoli XI-XII, si accede
nella Cappella Nuova del Miracolo o delle sacre pietre. Qui sono custodite tre delle quattro pietre macchiate dal sangue del
Miracolo. La quarta pietra è esposta in un reliquario realizzato
nel 1940.
Dalla Cappella del Miracolo si entra nella Grotta di Santa
Cristina, composta da un ampio vestibolo, con la Cappella del
Corpo di Cristo, e da una piccola Basilica ipogea.
138
Capitolo XIV - Bolsena
Questa è la parte più antica del complesso monumentale di
Santa Cristina, probabilmente sorto sopra ad un tempio pagano
dedicato ad Apollo. Qui è custodito l’altare dove secondo la
tradizione avvenne il miracolo Eucaristico. L'altare è coperto da
un baldacchino, sorretto da quattro antiche colonne corinzie
scanalate, di marmo, ed è databile al secolo IX. Sotto l’altare è
situata la pietra che, secondo la tradizione, sarebbe stata appesa
al collo della Santa e gettata nel lago, recando poi impresse le
orme dei suoi piedi.
Capitolo XV
Da Bolsena a La Storta
O Spirito fortissimo cammino
(Ildegarda di Bingen)
Nella solitudine della campagna laziale
“Camminiamo... secondo lo spirito.”
Gal 5,25
Io pellegrino lungo la via chiesi un dono allo Spirito Santo.
Mi avevano detto che quando l'uomo ha deciso di assecondare l'invito di Dio a intraprendere “il santo viaggio” (Sal 83, 6)
ed essere ospite nella casa del Signore, ovvero quando l'uomo
comincia a camminare nella via della perfezione, il primo dono
da chiedere allo Spirito è il santo Timore di Dio, quel dono che
rende l'anima talmente conquistata da Dio da ritenere essere il
più grande male allontanarsi da Lui, rifiutando il Suo amore.
Scrive il Siracide: “Il timore del Signore è gloria e vanto,
gioia e corona di esultanza. Il timore del Signore allieta il cuo-
139
140
Capitolo XV - Da Bolsena a La Storta
re... fa fiorire la pace e la salute... Radice della sapienza è temere il Signore; i suoi rami sono lunga vita” (1,9-10.16.19).
Chiesi allora il timor di Dio perché non volevo avere paura
di Dio e non volevo camminare avendo paura di lui e dei suoi
castighi ma perché volevo amarlo come lo amano i santi e gli
angeli; perché volevo poterne riconoscere la maestà e misericordia infinita mentre andavo, in umiltà, verso il suo santuario.
Un altro dono chiesi poi allo Spirito Santo dopo i primi passi.
Sii forte, mi avevano detto all’inizio del mio cammino. Ma
io non ero forte. Pensavo a quelle mura invincibili della biblica
Gerusalemme: “Sulle tue mura, o Gerusalemme, ho posto sentinelle, per tutto il giorno e tutta la notte non taceranno mai” (Is
62, 6). Mura custodite da salde sentinelle. Forti mura vegliate
dall’alto da un Dio amorevole e fedele. Ma io non ero forte, la
mia fede non era forte. Non c’erano sentinelle alle mie porte, i
camminamenti di cinta erano vuoti e chiunque poteva vincere
facilmente l’assalto. Chiesi allora la Fortezza per poter camminare senza timore nella “valle oscura” senza temere alcun male
ed essere capace di superare tutti gli ostacoli, sopportare offese
e attacchi e perseverare sulla strada della verità.
Un terzo dono chiesi allo Spirito Santo.
La forza senza pietà è cieca sentii dire. E io non volevo essere cieco rischiando di inciampare sul cammino impervio. C’era
bisogno di tenerezza nel mio cuore che chiedeva di essere forte.
C’era bisogno di lacrime per sentire il calore di quella forza
amorevole che il Signore, attraverso la persona dello Spirito,
voleva darmi. Chiesi allora il dono della Pietà per sentire la dolcezza di Dio, e a mia volta diventare dolce e compassionevole
con le persone che avrei incontrato lungo il mio andare e passare di luogo in luogo servendo e amando: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique,... rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse
nel dividere il pane con l'affamato; nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto; nel vestire uno che vedi nudo...? Allora la tua
luce sorgerà come l'aurora... Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il
O Spirito fortissimo cammino
141
Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!»”
(Is 58,6-9).
Ora il mio cammino poteva avere qualche speranza di giungere alla fine ma molte cose ancora avevo da chiedere allo Spirito Santo perché ero molto povero.
Mi feci quindi coraggio, perché mi sentivo più forte, e chiesi
ancora un dono per poter capire e scegliere usando bene forza e
pietà nel timore di Dio, ovvero per fare quelle scelte di coscienza che il cammino mi avrebbe posto davanti: ciò che è bene, ciò
che è lecito, ciò che serve il bene. La mia anima aveva bisogno
di una guida lungo il sentiero.
Chiesi allora il dono del Consiglio perché è “quel dono che
ci fa avanzare nella notte, attraverso le nostre tenebre razionali,
con la sicurezza intima che siamo nella via di Dio”, come scrisse una volta un suo commentatore, Giovanni di S.Tommaso. Mi
affidati allora con fiducia infinita a quel dono, memore che
“Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rom 8,28) e
che “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di
dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito”
(Gv 3,8). Lo Spirito mi avrebbe guidato e io mi sarei lasciato
guidare. Lo Spirito mi avrebbe portato consiglio e io avrei ascoltato.
L’altro dono che chiesi fu quando mi accorsi di camminare
in luoghi meravigliosi, in mezzo ad opere stupende della natura
e di rimanere a lungo in contemplazione ed ammirato da tanta
bellezza. Dovevo poter comprendere, come S. Agostino, che,
“Signore, il cielo e la terra, da ogni parte, mi dicono di amarti”.
Chiesi allora il dono della Scienza per scoprire la bellezza del
creato e capire che è solo riflesso ed espressione di Dio e non
fine a se stessa: “Infelici sono coloro le cui speranze sono in cose morte...” (Sap.13,10); “Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivono nell'ignoranza di Dio e, dai beni visibili, non
riconobbero colui che è; non riconobbero l'artefice, pur considerandone le opere” (Sap 13,1). Un pellegrino cammina per tutta
la vita in mezzo alle opere del Signore. Dovevo imparare a riconoscerle per non perdere il senso del mio viaggio.
142
Capitolo XV - Da Bolsena a La Storta
Ancora un dono mancava per andare oltre le cose terrene,
capire il disegno di Dio su di me e dare luce al sentiero che si
apriva. Chiesi il dono dell’Intelletto per fare silenzio dentro di
me e sentire il Signore parlare. Chiesi di essere capace di capire
la parola di Dio e di sentirne la gioia e la pace nel mio intimo.
“Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con
noi lungo il cammino …” (Lc 24, 32): volevo sentire questo nel
mio cuore, quello stesso ardore che sentirono i discepoli di
Emmaus quando incontrarono Cristo pellegrino, quel calore e
quella forza che solo l’intelligenza alle Scritture e alla parola di
Dio può dare. E sentire l’entusiasmo che ti mette le ali ai piedi e
ti fa superare monti e vallate in nome di Dio.
Un solo ultimo dono potevo chiedere allo Spirito Santo. Mi
inchinai e piansi per il timore e per la gioia sapendo di avere
chiesto molto, tanto. Ma per sentire fino in fondo tutto il sapore,
il sapido di ciò che lo Spirito mi aveva donato, mi mancava ancora il dono più alto, quello della Sapienza. Solo così avrei potuto dire con Geremia: “Quando le tue parole mi vennero incontro le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del
mio cuore” (15,16). La sapienza è sentire il gusto di Dio. La sapienza è sentire nel cuore la pace di Dio, pace che porterà il pellegrino ad essere operatore di pace ed ad essere chiamato figlio
di Dio.
Ora sono ancora sulla via, il Signore un giorno mi farà arrivare al suo Santuario. Prego per non disperdere i doni con
l’insipienza del mio peccato. Prego lo Spirito perché sia sempre
per me “fortissimo cammino”.
Sulla Via
Montefiascone
Ai piedi dell’abitato medioevale sorge la chiesa di S. Flaviano del secolo XII, nota anche per la tomba di un nobile tedesco
in viaggio per Roma, grande degustatore di vino. Racconta la
storia che, andando in viaggio verso Roma, questi si facesse
O Spirito fortissimo cammino
143
precedere da un suo servitore, tal Martino che aveva l’incarico
di segnare con un “EST” il luoghi dove avesse trovato del buon
vino. Arrivato a Montefiascone per la bontà del vino degustato
il servitore scrisse “EST, EST, EST”. Il padrone arrivato tanto
ne bevve che ne morì. Sulla tomba nella chiesa l’epigrafe recita:
“Est, Est, Est per troppo est qui giace morto il mio signore
Giovanni Deuc”.
Basolato Romano
“Dicono furono le strade dell’Impero a far camminare i portatori del Vangelo. E’ vero: ma che viandanti diversi! Senza il
passo delle legioni, senza armi, senza bastoni, senza borsa, senza calzari... Come pecore in mezzo ai lupi..
Che strani camminatori! E che strani conquistatori! Fuggitivi, perseguitati, ammanettati, guardati a vista...
Lungo la strada è cominciata la chiesa: lungo le strade del
mondo la chiesa continua. Non occorre, per entrarvi, né battere
alla porta, né fare anticamera. Camminate e là troverete: camminate e vi sarà accanto, camminate e sarete nella chiesa”.
(Don P. Mazzolari, Tempo di Credere)
Viterbo
Di origine medioevale si sviluppa proprio grazie al traffico
viario sulla Francigena.
Numerosi gli ospitali annessi alle chiese. Presso la Chiesa di
S. Maria in Carbonara vi era una precettoria dei templari.
Non lontano dal Duomo (XII secolo, dedicato a S. Lorenzo)
vi è il Quartiere del Pellegrino, testimonianza toponomastica
dell’importanza del passaggio dei pellegrini per la città, e il Palazzo dei Papi del XIII secolo.
Santa Rosa e il “Campanile che cammina”
Viterbo e la sua Santa sono un esempio raro in questo secolo
di forte distacco da tutto quanto ci ha preceduto e che ci è stato
lasciato in eredità perchè fosse custodito e coltivato. Ci piace
qui rimarcare quindi non solo il discorso spirituale legato alla
figura della giovane Santa Rosa ma anche quello che ancora lei
144
Capitolo XV - Da Bolsena a La Storta
rappresenta in termini di tradizione e di affetti per i cittadini di
Viterbo. Perchè sono questi legami alla propria storia che permettono a un popolo di riconoscersi dalle proprie radici e forse
di non perdersi nella marea omogenizzatrice che ci trascina tutti.
La sera del 3 settembre, alla vigilia della festa di Santa Rosa, ogni anno si svolge a Viterbo uno degli eventi più attesi e
spettacolari di tutta la regione. Una struttura scintillante di luci,
di circa 30 metri di altezza e del peso di 50 quintali viene trasportata da un centinaio di facchini per le vie della città, percorrendo circa 1500 metri, da Porta Romana fino alla Chiesa di
Santa Rosa. É il Trasporto della Macchina di Santa Rosa, Il
Campanile che cammina, una solenne processione in onore di
Santa Rosa, la patrona della città, che esprime da secoli il culto
viterbese. Si ricorda in questa sera magica la solenne traslazione
del corpo della santa avvenuta nel 1258 nel monastero delle
Clarisse che da allora assunse il suo nome.
Negli anni che passarono la struttura, da semplice baldacchino con l’immagine della Patrona, diventò sempre più complessa
ed elaborata fino ad assumere l’altezza attuale.
Il fortunato pellegrino che si trova a passare, durante il suo
cammino, la sera del 3 settembre da Viterbo, porterà per sempre
nel cuore un’immagine di festa e di gioia irripetibile.
Santa Rosa visse in un periodo di faida cittadina tra Guelfi e
Ghibellini, tra i fedeli al Papa e i partigiani dell’imperatore Federico II. Nel 1250 Santa Rosa aveva 17 anni e si ammalò di
tubercolosi. Prossima alla morte all’improvviso guarì e chiese
di vestire l’abito di terziaria francescana. Cominciò un periodo
di preghiera e di invito alla conversione per le vie di Viterbo
lungo le quali camminava con una croce in mano. La sua figura
era malvista dalla parte avversa ai guelfi che invece ne seguivano gli inviti. Divenne quindi, in pratica, tanto scomoda politicamente che fu esiliata, insieme alla famiglia, a Soriano nel Cimino. Ma, poche settimane dopo, la morte dell’imperatore permise il ritorno di S. Rosa a casa. La storia racconta di vari mira-
O Spirito fortissimo cammino
145
coli fatti dalla santa che morì anch’essa pochi mesi dopo diventando comunque subito il simbolo della lotta contro l’egemonia
imperiale.
Vuole la tradizione che, nel 1258, papa Alessandro IV, mentre risiedeva a Viterbo, sognò per tre volte che una ragazzina di
nome Rosa, sepolta sette anni prima nella nuda terra di fronte
alla parrocchia di Santa Maria in Poggio, gli chiedeva di essere
traslata nel monastero delle Povere Dame di San Damiano, come si chiamavano allora le Clarisse, "poiché piacque a Cristo di
annoverarmi nella schiera delle sue ancelle". Alla terza visione
il pontefice non poté più indugiare e il 4 settembre la fece traslare solennemente nel monastero dove si moltiplicarono i miracoli.
Il culto di Santa Rosa di diffuse oltre Viterbo in occasione
del Giubileo del 1350 (il secondo indetto) nel corso del quale
Viterbo divenne tappa obbligata per le folte schiere di pellegrini
che, provenendo dal settentrione, si recavano a Roma; e molti di
essi, prima di ripartire, sostavano in preghiera dinanzi all'urna
che custodiva il corpo incorrotto della santa.
S. Ilario e Valentino
Qui sorgeva un antico insediamento e da qui passava l’antica
Cassia che utilizzava anche il ponte Camillario sul fiume Urcionio di cui si vedono ancora i resti. Qui furono martirizzati i
Santi Ilario e Valentino, come ricorda sul luogo una lapide del
1696. Dopo il 1100 il borgo fu distrutto e la Cassia deviata su
Viterbo, allora in espansione e interessata al traffico lungo la
Via Francigena.
S. Martino al Cimino (variante cimina)
Piccolo paesino circondato da mura e all’interno
l’importante abbazia costruita alla fine del 1200 dai monaci Cistercensi di Pontigny su un luogo di antico insediamento benedettino, dipendente da Farfa e documentato fin dall’838.
146
Capitolo XV - Da Bolsena a La Storta
Sutri
Duomo dedicato all’Assunta con primitivo impianto romanico (cripta e campanile). Il luogo più importante è il Mitreo, situato all’uscita del paese. Qui in origine vi era, in epoca romana, un'area sacra dedicata al culto del dio Mitra. Da qui il nome
particolare di questo posto nel quale, con l'avvento del cristianesimo, fu scavata nel tufo la chiesa della Madonna del Parto.
All’interno si possono vedere affreschi trecenteschi, molto interessanti per noi che siamo partiti sotto la protezione dell'Arcangelo Michele dalla Val di Susa. Infatti qui, a testimonianza del
passaggio dei pellegrini e dell'importanza della Via come percorso anche Micaelico, sono raffigurati episodi della leggenda
di S. Michele del Gargano e pellegrini in marcia che si dirigono
verso quel Santuario.
Pellegrini in cammino verso il Santuario di S. Michele sul Gargano, Mitreo, Sutri
Capitolo XVI
La Storta
Alle porte del perdono
Colui che l'amore conduce a perfezione
deve percorrere vaste distese,
abissi e aspre cime;
cercherà il suo cammino
nella più violenta delle tempeste
per essere iniziato al suo mistero:
che bisogna accettare il deserto infinito,
camminare senza requie in aride pianure
e ferirsi sulle pietre
dei versanti e delle cime;
o ancora sfidare i torrenti
degli abissi senza fondo
per conquistare l' Amore
con l'amore senza misura.
(Hadewijch di Anversa, da un testo del XIII sec.)
Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro
qualcuno, perdonate; affinché il Padre vostro, che è nei
cieli vi perdoni le vostre colpe.
Mc 11,25
Perciò, io ti dico: i suoi molti peccati le sono perdonati,
perché ha molto amato; ma colui a cui poco è perdonato,
poco ama»
Lc 7, 47
Credo che qui sia la partenza: il perdono e il conseguente ritorno a Dio, il passaggio oltre soglia della casa del Padre, è un
atto di riconciliazione e di amore. Non troveremo più la pace
del cuore per amare se non saremo in grado di perdonare a chi
ci ha fatto un torto e, solo se saremo capaci di molto amore co147
148
Capitolo XVI - La Storta
me colei che molto ha amato, potremo avere un cuore capace di
ricevere il perdono. Ci viene perdonato in virtù della immensa
Misericordia divina ma il nostro cuore deve essere aperto all'amore, ovvero essere in grado di ricevere l'amore che Dio ci dà
con il perdono. Se avremo un cuore incapace di amare non riusciremo a farvi entrare l'amore che Dio ci dà con il perdono. La
misericordia di Dio busserà invano alle nostre porte e si offrirà
invano al nostro cuore chiuso. Noi saremo perdonati ma non saremo salvi perché l'amore non abiterà in noi e noi non riusciremo ad abitare nella casa dell'Amore.
Ma il cammino parte da ancora più lontano. Il nostro desiderio di perdono deve nascere da una nostalgia profonda e riuscire
a sentire questa nostalgia è il primo importante passo:
"Ma rivedevo soprattutto le mie gazzelle: ho allevato gazzelle, a Juby. Tutti abbiamo allevato gazzelle, laggiù Le chiudevamo in una casa di graticolato, all’aria aperta, poiché le gazzelle hanno bisogno dell’acqua corrente dei venti, e nulla è più
fragile di loro. Tuttavia, catturate giovani, sopravvivono, e vi
brucano in mano. Si lasciano accarezzare e affondano il muso
umido nel palmo della vostra mano. Le crediamo addomesticate. Crediamo di averle messe al riparo dal dolore sconosciuto
che spegne silenziosamente le gazzelle e ad esse procura una
morte tenerissima... Ma viene il giorno in cui le trovate che
premono le loro piccole corna contro il recinto, nella direzione
del deserto. Sono calamitate. Non sanno di fuggirvi. Vengono a
bere il latte che recate. Si lasciano ancora carezzare, affondano
ancora piu teneramente il muso nel vostro palmo... Ma appena
le lasciate andare, vi accorgete che dopo una parvenza di galoppo felice, sono ricondotte contro il graticolato. E se non intervenite ulteriormente, rimangono là, senza tentare neppure di
lottare contro la barriera, ma solo premendo contro di essa, a
testa bassa, con le piccole corna, fino a morire. Sarà dovuto alla stagione degli amori o al semplice bisogno di un grande galoppo a perdifiato? Non lo sanno. Quando ve le hanno catturate, non avevano ancora aperto gli occhi.
Alle porte del perdono
149
Nulla sanno della libertà nelle sabbie, come dell’odore del
maschio. Ma voi siete molto più intelligenti. Ciò che cercano
voi lo sapete, si tratta della distesa che le farà complete. Vogliono diventare gazzelle e danzare la loro danza. A centotrenta
chilometri all’ora, vogliono conoscere la fuga rettilinea, spezzata da bruschi scatti come se, qua e là, dalla sabbia uscissero
fiamme. Che importano gli sciacalli, se la verità delle gazzelle
sta nel gustare la paura che, sola, le costringe a superare se
stesse ed estrae da loro i più alti volteggi! Che importa il leone,
se la verità delle gazzelle sta nell’essere squarciate da una
zampata nel sole! Le guardate e pensate: eccole prese dalla nostalgia. La nostalgia è il desiderio di non si sa che... L’oggetto
del desiderio esiste, ma non ci sono parole per esprimerlo".1
-------Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni,
il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese
lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.
Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si
mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo
mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi
con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa
di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser
chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e
si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli
corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse:
Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più
degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi:
1
A. de Saint-Exupèry, Terra degli Uomini (tr. di Renato Prinzhofer),
Mursia, Milano 1968, p.167
150
Capitolo XVI - La Storta
Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli
l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando
fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e
gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E'
tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello
grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e
non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai
trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un
capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo
figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per
lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio,
tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava
far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è
tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.2
Cosa unisce questi due brani? Quali discorsi, quali pensieri
fanno nascere? C’è una parola che li spiega entrambi?
Nostalgia di casa, nostalgia di Dio
L’angoscia della gazzelle ci attanaglia in molti momenti della nostra vita. Vorremmo correre ma non sappiamo bene dove.
Sbattiamo la testa tra la nostalgia di una felicità appena conosciuta e i limiti della nostra natura fisica e mentale. Vorremo
convertirci, ovverosia girarci verso la pace, la gioia. Mille desideri ci attanagliano. Sono sogni ma a volte sono angosce. A volte sono rimorsi per ingiustizie commesse, pentimenti per gesti
non fatti, attenzioni non avute. A volte sono desideri che opprimono la nostra mente e ci fanno pensare inutile tutto il resto.
C’è una felicità che cerchiamo in momenti che non la conten2
Lc. 15, 11-32
Alle porte del perdono
151
gono, con persone che non la portano, in luoghi che non l’hanno
mai vista neanche passare. C’è una felicità che cerchiamo di
possedere attraverso oggetti che neanche la rispecchiano.
L’inizio della conversione, il primo momento: il percepire
l’esilio esteriore, l’avvertire che si sta male, riconoscere la propria miseria, sentirsi lontani da casa, fuori posto, avere nostalgia.
Il secondo momento della conversione: ricordarsi della casa
paterna e dell’abbondanza per tutti.
Star male è quindi solo l’inizio della conversione, che potrebbe anche indurre alla disperazione: ciò che conta è accendere nei cuori una nostalgia di bontà accogliente, di amore misericordioso, ricordarsi della casa paterna, ricordarsi che esiste un
luogo dove troveremo la pace.
Avere nostalgia di Dio …. Riusciremo ad avere nostalgia di
Dio? Si gioca tutto qui. Quando capiremo che in fondo alla nostra infelicità, anche quando non ce ne rendiamo conto, c’è la
nostalgia di Dio, saremo oltre la metà del cammino e forse già
fuori della rete e sulla via di casa.
Ma da dove nasce questa nostalgia di Dio, costituzionale in
noi, e della quale dobbiamo renderci conto per capire la nostra
infelicità?
Nei nostri geni portiamo il ricordo dell'Assoluto conosciuto
nel Paradiso. Siamo pellegrini dell'Assoluto perché l'Assoluto lo
abbiamo dentro. È un'impronta genetica. Siamo nati da Dio e a
lui dobbiamo necessariamente tornare. I nostro progenitori abitarono con Lui. Poi persero la pace del cuore e non poterono restare con Dio nel Paradiso Terrestre. Da allora siamo raminghi
con un ricordo inconscio ma forte della patria dalla quale veniamo. Una nostalgia terribile ci attanaglia ma la chiamiamo in
mille altri modi dando la colpa della nostra infelicità al destino
avverso o al nostro carattere o alle condizioni di vita. Una insoddisfazione che è invece nostalgia e che potrà diventare spe-
152
Capitolo XVI - La Storta
ranza e felicità solo se ci volgeremo nella giusta direzione; se ci
convertiremo.
“Ecco una delle strane cose che riguardano i pellegrinaggi
alla ricerca di Dio. L’uomo ha speranza perché decide di fare
un pellegrinaggio in base alla fede. Quando c’è fede c’è sempre
speranza. Quando c’è speranza, c’è amore. A muovere l’uomo
sono speranza, fede e amore che la chiave del Paradiso gli sarà
ridata in qualche posto, chissà dove, e come Adamo passa attraverso i secoli….
Tante, tante volte io prego per esso. Prego per questo pensiero che, come la radice di uno strano albero, mi è cresciuto
nel cuore. Chiaro e inequivocabile, così mi sembra, è il pellegrinaggio dell’uomo, quello cioè che dovrà realizzarsi se uomo
e Dio vorranno camminare di nuovo insieme nel crepuscolo, in
giornate di sole, o di primo mattino.”3
Tra la propria miseria e il ricordo di un’abbondanza perduta
si profila il terzo momento dell’itinerario di conversione: la percezione dell’esilio interiore. “Padre, ho peccato contro il cielo e
contro di Te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”(Lc 15, 21).
La separazione da Colui che immensamente ci ama si consuma con il peccato: l’aver voluto gestire la propria vita diventando ricchi di sé, ma poveri di Dio, e quindi, alla fine, poveri
anche di se stessi. Il pellegrino del ritorno è l’essere umano, davanti a Dio, che domanda il perdono.
Il quarto momento è il ritorno al Padre: “Mi alzerò e andrò
da mio Padre”(Lc 15, 18). Il ritorno richiede un gesto concreto,
con la riconciliazione sacramentale (la confessione) e il cambiamento del cuore perché non sia solo un pio desiderio la conversione.
Il pellegrino del ritorno diventerà, con il perdono ricevuto, il te3
C. de Hueck Doherty, Strannik , Jaka Book, Milano pp. 13 - 15
Alle porte del perdono
153
stimone dell’amore: la misericordia accolta esige di diventare
misericordia generosamente donata. Questo possiamo chiamarlo
quinto momento: l’amore, il frutto della misericordia divina,
seminato con il perdono, che cresce dentro di noi.
Passare la porta del santuario, arrivare ad limina è passare
dal nostro mondo al suo. Si passa dalla nostra dimensione a
quella di Dio.
Come il figliol prodigo possiamo alzarci e andare da “nostro
Padre” ed entrare nella casa. Prima però dobbiamo superare i
quattro momenti della conversione che abbiamo visto. Passare
la porta senza riconciliazione è come lanciarsi in uno spazio di
passaggio, in un'anticamera, e rimanervi sospesi senza entrare
nell’altra dimensione. Per chi ha memorie fantascientifiche è
come fare il salto nell'iperspazio dell'astronave Star Trek senza
approdare dall'altra parte dell'universo. E’ per questo che dobbiamo capire l’importanza del sacramento della confessione e
capire che le prime tre fasi sono importanti ma la quarta chiuderà la premesse e le promesse. L’atto finale di inginocchiarsi davanti al confessore non ha senso se non c’è profonda nostalgia
di Dio, riconoscimento di vuoto e di errore nella propria vita e
se non c’è desiderio di cambiamento e di miglioramento.
La confessione, il sacramento della “tenerezza” di Dio (come dice P. Stefano di S. Antimo) deve avvenire al termine di un
cammino ma deve esserci. Solo così il pellegrinaggio spirituale
e materiale verso il Signore sarà veramente compiuto e potremo
ritrovare il tenero abbraccio del padre al figliol prodigo, nella
memoria di quella pace e felicità di quando si passeggiava insieme nel giardino a sera….
Sulla Via
La Storta - Incontro con un testimone: S. Ignazio di Loyola
Alla Storta, sulla via Cassia, lì dove appunto la strada, facendo un gomito, diventa “storta”, nel novembre del 1537
154
Capitolo XVI - La Storta
Sant’Ignazio di Loyola ebbe l’apparizione dell’ “Ego vobis Romae propitius ero”. Cristo, con una croce sulle spalle gli apparve insieme al Padre per dirgli di non aver paura ad entrare in
Roma ed ad affidarsi al Papa perché Lui, il Cristo, gli sarà favorevole e lo appoggerà. E’ il momento in cui il santo non è ancora sicuro di quello che deve fare e se debba costituire un ordine
religioso in piena regola. Con un gruppetto di amici nella fede
formatosi a Parigi sta camminando verso Roma proprio per
mettersi a disposizione del Papa e per essere inviato ovunque
sia richiesto. Comincia così, con questa apparizione alla porte di
Roma, quella che sarà la Compagnia di Gesù che tanta parte avrà per la diffusione del cristianesimo in terra di missione.
S. Ignazio arriva qui a Roma grazie a un lungo cammino di
conversione. Troviamo nella sua storia tratti che ci accomunano. Il fatto che l’autobiografia di S. Ignazio di Loyola si intitoli
“Il racconto del pellegrino” dovrebbe già destare in noi interesse e complicità… Anche noi, nel nostro cammino, nella nostra
ricerca di Dio, ci siamo trovati in situazioni analoghe. Lui ha
perseverato e alla fine è diventato santo…
“Con tutta la luce ricavata da questa esperienza si mise a riflettere più seriamente sulla vita passata e sentì un gran bisogno di fare penitenza. Allora gli nasceva il desiderio di imitare
i santi, senza dar peso ad altro che a ripromettersi, con la grazia di Dio, di fare lui pure come essi avevano fatto. Ma la cosa
che prima di tutte desiderava fare, appena fosse guarito, era di
andare a Gerusalemme…”4
“Egli continuava nelle sue letture e perseverava nei suoi
buoni propositi, senza occuparsi d'altro… con il pensiero fisso
4
S. Ignazio di Loyola, Il racconto del Pellegrino – Autobiografia,
cap.9, disponibile su
http://www.totustuus.biz/librigratis/SIgnazio_Autobiografia.zip,
ultima visita 30 aprile 2006.
Alle porte del perdono
155
al suo proposito, avrebbe voluto essere già completamente ristabilito per mettersi in cammino”.5
Di ritorno da Gerusalemme nel suo diario racconta della difficoltà che ebbe ad imbarcarsi per Venezia, non avendo con sé
denaro. Particolare è il richiamo a S. Giacomo:
“Alcuni passeggeri chiesero al padrone di questa nave che
accogliesse il pellegrino, ma quando questi seppe che non aveva denaro, quel ricco rifiutò, e a nulla servì che molti pregassero e glielo raccomandassero: se era veramente santo – commentava – facesse la traversata come S. Giacomo o in altro
modo simile”.6
Ciò che successe alla Storta è sinteticamente ricordato in
queste poche righe dell'autobiografia:
“Viaggiarono verso Roma suddivisi in tre o quattro gruppi;
il pellegrino era con Favre e con Lainez, e durante questo viaggio ricevette da Dio favori straordinari.
Aveva deliberato, che una volta sacerdote, sarebbe rimasto
un anno senza celebrare la messa per prepararvisi e per pregare la Madonna che lo volesse mettere con il suo Figlio. Un
giorno, trovandosi a poche miglia da Roma, mentre in una
chiesa faceva orazione, sentì nell'animo una profonda mutazione e vide tanto chiaramente che Dio Padre lo metteva con Cristo suo figlio da non poter più in alcun modo dubitare che di
fatto Dio Padre lo metteva con il suo Figlio”.7
Non volle scrivere di più nel suo racconto e quanto si sa è
grazie a racconti di testimoni che erano con lui.
Ora alla Storta è rimasta una piccola cappella a ricordare il
luogo dell’apparizione. A Roma il santo è sepolto nella Chiesa
del Gesù.
5
Ivi, cap. 11
Ivi, cap. 49
7
Ivi, cap. 96
6
156
Capitolo XVI - La Storta
Altri incontri
Per noi pellegrini assumono un significato particolare gli incontri che si fanno sulla strada. Parlavamo qualche chilometro
fa dei crocicchi delle strade e dei messaggeri che vi si possono
incontrare. Alle porte di Roma tre importanti incontri sono da
ricordare per la storia della cristianità. Uno è quello appena raccontato. Gli altri due non sono meno rilevanti.
Il primo (64 d.c.) è l’incontro avuto da S. Pietro con Gesù
lungo la Via Appia noto come del “Quo Vadis”: S. Pietro, stanco, impaurito e sfiduciato sta scappando da Roma e vede Gesù
che invece sta entrando a Roma. Gli chiede allora dove va e Gesù gli risponde che sta andando a farsi crocifiggere una seconda
volta visto che lui sta scappando un’altra volta. S. Pietro capisce
e ritorna sui suoi passi. Da lì a poco subirà il martirio.
L’altro incontro è quello di Costantino sulla Via Flaminia,
prima della battaglia di Ponte Milvio (27 ottobre 312 d.c.). Al
futuro imperatore appare il simbolo della Croce, con la raccomandazione, da parte di Dio, di apporlo sullo scudo dei propri
soldati, per assicurare la vittoria.
Incontri sulla strada capaci di dare nuove direzioni al mondo.
Capitolo XVII
Roma
Ad Limina
O Roma nobilis, orbis et domina,
cunctarum urbium excellentissima,
roseo martyrum sanguine rubea,
albis et virginum liliis candida:
salutem dicimus tibi per omnia,
te benedicimus: salve per secula.
Così cantavano i pellegrini medioevali arrivando in prossimità della meta. Così celebravano la felicità e la gioia per la
conclusione del lungo cammino. Così cantavano dal Monte della Gioia, il Monte Mario, arrivati in vista della Città Eterna:
O nobile Roma, signora dell'universo
e tra tutte le città la più splendente,
rossa del vermiglio sangue dei martiri
e bianca del candore dei gigli delle vergini:
157
158
Capitolo XVII - Roma
noi ti salutiamo a nome di tutti,
e ti benediciamo: salvezza eterna nei secoli.
Siamo arrivati alla meta. Siamo arrivati per toccare un luogo
santo e per trovare testimonianze di fede. Qui, tra le pieghe di
questa città, troviamo quello che per centinaia di anni hanno
trovato i fratelli che ci hanno preceduto, e anche di più perché la
storia cominciata duemila anni fa dal Figlio dell'Uomo continua
e a noi, ora, è riservato altro di sempre nuovo.
Non possiamo quindi dimenticare, in questo nostro arrivo,
quel mistero che cominciò con i primi martiri. Per noi uomini
del Terzo Millennio può essere difficile capire il significato del
martirio e come da esso scaturì la forza nuova che permise a
tanti uomini, in quei primi tempi, di credere e di testimoniare a
loro volta la fede nel Risorto. Quello del martirio ci può sembrare un discorso religioso vetusto e impolverato dai secoli che
ci sono passati sopra. Poi all'improvviso riappare alla nostra attenzione e diventa attualità. Spesso ultimamente infatti si parla
di martiri. Preti e suore martiri in Africa e in Sud America, martire Don Santoro a Trebisonda. La loro testimonianza ci colpisce e restiamo ammirati pensando a loro come persone che hanno creduto fino in fondo, che hanno dato la loro vita per un ideale, per una certezza, e che ora sono sicuramente nelle braccia
di Dio. E questo pensiero, oltre a commuoverci, ci rafforza nella
nostra fede e ci porta ad emulare tale comportamento. Se loro
non hanno rinnegato ciò in cui credevano neanche noi vogliamo
farlo. Da un esempio nasce una sequela. Per un martire ci sono
centinaia di persone confermate nella fede e tanti altri, che prima non credevano, che all'improvviso vedono la luce e si convertono.
Questo è quello che successe nei primi anni del cristianesimo e che ancora oggi succede. La nostra storia poggia sul sangue di quei martiri. Se noi ora crediamo e viviamo in un mondo
cristiano è perché i nostri progenitori furono martiri o furono
convertiti dai martiri. E non è solo forza dell'emulazione. Qui
entra in gioco lo Spirito Santo. Ogni stilla di sangue donata è
Ad Limina
159
ripiena di Spirito Santo e solo grazie alla forza dello Spirito
questa goccia può colpire il cuore di un altro uomo.
È lo stesso Spirito che portò Pietro a Roma e gli diede la forza di accettare il martirio. San Pietro, il peccatore, colui che rinnegò il Signore e dalla Grazia del Signore è stato fatto testata
d’angolo della Chiesa Universale. Paradosso per le genti ma
perfetto esempio della logica di Dio che ribalta la prospettiva
umana e ne elimina limiti e confini. S. Pietro, uomo come tutti
noi, prima pietra di una Chiesa Santa composta da uomini sulla
strada in cerca di Dio.
“La Chiesa è santa, ma formata da uomini e donne con i loro limiti e i loro errori. E’ Cristo, Lui solo, che donandoci lo
Spirito Santo può trasformare la nostra miseria e rinnovarci
costantemente. E’ Lui la luce delle genti, lumen gentium, che ha
scelto di illuminare il mondo mediante la sua Chiesa” 1
Arrivare a Roma è giungere sul soglio del principale martire,
testimone di Cristo e suo rappresentante in terra. Non c’è, per
volere di Dio, nessuno al di sopra del Papa. Per noi è un mistero
di Fede ma anche prova dell’amore che Dio ha per noi.
Mille prove d'amore potremo trovare camminando con gli
occhi e il cuore del pellegrino per Roma.
Insieme a San Pietro viene ricordato San Paolo, altro uomo
che all'inizio non pensava proprio di finire martire a Roma. Il
Santo delle genti, lui, le genti, le perseguitava. Ma San Paolo
era uno di quelli che cercava la verità, con forza, con impeto. Il
Signore gliela fece incontrare, anzi lo fece “scontrare” con la
verità nella celebre caduta da cavallo lungo la via di Damasco:
“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”(At 9, 4). Non ebbe più
dubbi dopo aver incontrato la “vera” Verità e lo Spirito Santo.
Nello svolgersi della storia che ci separa da questi primi testimoni tante cose sono successe e se lo Spirito non avesse so1
Benedetto XVI , dall'omelia per l’Epifania 2006, disponibile su
http://www.vatican.va, ultima visita 10 gennaio 2006
160
Capitolo XVII - Roma
stenuto la Chiesa questa sarebbe crollata come tutti i potentati
della terra. Ma la Chiesa è principalmente espressione e volere
di Dio che si serve di alcuni uomini per richiamare verso la salvezza tutti gli altri. Credo che ciascuno degli ultimi Pontefici
che il Signore ci ha inviato sia stato un regalo della Provvidenza. C’è un disegno bellissimo di Dio e noi ne siamo i beneficiari.
Oggi per noi arrivare a Roma è anche raggiungere le grotte
vaticane e potersi fermare in preghiera davanti ala tomba di
Giovanni Paolo II. È lui l'ultimo grande testimone che ci ha toccato il cuore. Dal suo esempio nasce la nostra sequela, come per
tutti gli altri santi e martiri lontani nel tempo.
“All’umanità che talora sembra smarrita e dominata dal potere del male, dell’egoismo e della paura, il Signore risorto offre in dono il suo amore che perdona, riconcilia e apre l’animo
alla speranza.”2
Alla fine torneremo a casa come tutti i pellegrini, o quasi tutti. Si racconta infatti che alcuni pellegrini dopo la visita a Roma
decidevano di passare il resto della vita in “statu peregrinationis” in prossimità dei luoghi santi, per esservi sepolti, e consideravano una fortuna trovarsi a Roma nel momento del trapasso. Beda il venerabile definiva così Roma: “Il luogo dove sono
aperte le porte della vita eterna”.
Partiremo certo con la nostalgia cantata dal salmo 84, il canto del pellegrino. Nostalgia per il luogo santo finalmente raggiunto dopo tanto camminare. Quel luogo dove passeri e rondini
hanno fatto il loro nido e vi abitano stabilmente, quel tempio
dove già è bello stare anche solo sulla soglia.
Torneremo indietro come i Magi dopo aver trovato il Signore: “Per un’altra via fecero ritorno” (Mt 2,12). Al termine del
2
Giovanni Paolo II, dall’ultima omelia mai pronunciata del 3 aprile
2005, disponibile su http://www.vatican.va, ultima visita 10 gennaio
2006
Ad Limina
161
nostro pellegrinaggio torneremo alle nostre case percorrendo
altre strade che solamente chi ha incontrato, anche solo per un
attimo l’Eterno, può trovare.
E resteremo pellegrini fino all'ultimo giorno sapendo che
comunque il nostro destino è lungo la via. Cammineremo ancora, mai soli, in compagnia di quel Pellegrino che ci ha accompagnati fino a qui, come ci ricordano le ultime parole del Vangelo di Matteo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla
fine del mondo” (Mt 28,20).
Alla Meta
Il pellegrinaggio a Roma non è solo arrivare alla tomba
dell’Apostolo Pietro. All'interno di tutta la città si snoda un
cammino devozionale che può portare il pellegrino molto lontano. Descrivere qui tutta la ricchezza cristiana di Roma è impos-
162
Capitolo XVII - Roma
sibile. Ci si limiterà alla breve presentazione dei luoghi più importanti e fondanti. Già nel XII secolo Roma era descritta ai pellegrini da guide che avevamo come titolo Mirabilia Urbis Romae. I viaggiatori venivano condotti, tra catacombe e reliquie,
racconti e leggende, alla scoperta del centro della cristianità. La
tradizione ci riporta un pellegrinaggio che già in epoca medioevale era percorso come principale itinerario di fede. E’ la visita
delle cinque basiliche maggiori: San Pietro in Vaticano, San
Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura, Santa Maria
Maggiore, San Lorenzo fuori le mura. Doveva essere effettuato
nell'arco di una giornata liturgica, dai vespri della sera ai vespri
del giorno successivo. Nel seicento si attestò la tradizione della
visita delle sette chiese che ebbe tra i maggiori promotori San
Filippo Neri. Si aggiungeva alla via delle cinque chiese la basilica di San Sebastiano con le relative catacombe e la chiesa di
Santa Croce di Gerusalemme. Nella bolla Egregia Populi Romani Pio V sancirà l'importanza della visita devozionale: “Queste basiliche sono celebrate per la loro antichità, i loro servizi
religiosi, le reliquie dei martiri che vi sono venerate, le indulgenze che si possono guadagnare e infine per il mistico significato del numero sette”.
San Pietro in Vaticano
Sul fondamento degli Apostoli
Il cuore indiscusso da cui tutto è partito. Vaticanum era una
zona periferica dell’Urbe oltre il Tevere. In epoca imperiale vi
era un circo, per il quale venne trasportato da Eliopoli l’obelisco
che oggi si vede nel mezzo della piazza e che nel Medioevo veniva designato come “guglia di San Pietro”. Attorno al Circo si
distesero giardini fin sulla riva del Tevere, il più vasto dei quali
appartenne a Nerone, che qui mieté un gran numero di martiri
cristiani. In questa zona di martirio molte furono quindi le tombe che si scavarono. Fra queste quella di San Pietro era segnata
da un piccolo oratorio. Costantino volle innalzare la prima basi-
Ad Limina
163
lica cristiana con l’altare maggiore sulla tomba stessa dell'apostolo martire. La basilica costantiniana, “regina delle chiese”,
s’elevava su trentacinque scalini marmorei, che i pellegrini facevano in ginocchio. A destra, un campanile romanico, con ai
piedi l’oratorio di Santa Maria in Turris; a sinistra, la famosissima “guglia di San Pietro”, formata dall'obelisco. Dinanzi alla
basilica, s'apriva il quadriportico, o Paradiso, con la grande fontana a forma di pigna. La basilica era a cinque navate. Nel centro, la Porta Regia, detta anche Argentea, perché ornata
d’argento. A destra, la Porta Romana, riservata ai cittadini romani, che si attribuivano l’entrata d’onore. Ai trasteverini, che
fra i romani formavano una popolazione a parte e venivano
chiamati “ravennati”, era riservata la porta di sinistra, chiamata
perciò la Ravenniana. Dall'estrema porta di destra entravano i
pellegrini condotti da speciali guide, e perciò era detta Porta
Guidonea; dall'altra, all’estrema sinistra, passavano i funerali e
veniva chiamata la Porta del Giudizio. Tra le reliquie che arricchivano il luogo vi era il legno della Croce, le spine della Corona, i chiodi del supplizio, la lancia di Longino ma la più importante era la vera immagine di Cristo, impressa nel velo della Veronica.
Nel 1500 cominciarono i lavori di costruzione della nuova
chiesa che andarono avanti per più di cento anni e videro all'opera tutti i migliori ingegni e artisti di quei tempi, da Michelangelo a Raffaello, dal Bramante al Bernini.
All’interno fu edificato l'altare maggiore sopra le memoria
dell'apostolo. Scendendo sotto il ricco baldacchino si arriva alle
grotte vaticane e al sepolcro di Pietro indicato dalle semplice
lapide: sepulcrum sancti petri apostoli.
San Paolo fuori delle mura
L'Apostolo delle genti
“Questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo
di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina
164
Capitolo XVII - Roma
ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il
giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce” (Rm.13, 11-12).
San Paolo, il grande convertito missionario fra le genti.
San Paolo, decapitato lungo la via Ostiense; su quella cella
memoriae fu costruita la basilica.
Nel 1823 un incendio accidentale la distrusse. Fu ricostruita
com’era al momento dell'incendio ma con la freddezza dovuta
al dominante gusto neoclassico.
Grandioso il quadriportico antistante la basilica, con 146 colonne di granito e con tre gigantesche statue di San Luca, San
Pietro e San Paolo.
Nella destra del transetto, si trova una scultura raffigurante
l’Apostolo delle Genti, in legno scheggiato. Si crede, per tradizione, che abbia la stessa altezza di San Paolo. E’ una reliquia
salvata dall'incendio.
Al complesso monastico appartiene anche il bellissimo chiostro duecentesco: la chiesa di San Paolo faceva parte infatti d’un
monastero benedettino.
Santa Maria Maggiore
Con Maria lungo il cammino della vita
E’ la Maggiore perché è la chiesa più grande, dedicata alla
Madonna, in Roma. All’inizio ebbe altri nomi. Sorse come Santa Maria della Neve per ricordare il miracolo che la fece edificare. La notte del 5 agosto del 352, il Papa Liborio e il patrizio
romano Giovanni ebbero lo stesso sogno: la Madonna chiedeva
loro di erigere una chiesa nel luogo dove il giorno dopo sarebbe
nevicato. E il giorno dopo, nel caldo agostano, la neve cadde
sull’Esquilino. Tempo dopo arrivarono a Roma le presunte reliquie della mangiatoia che accolse Gesù neonato e la chiesa prese il nome di Santa Maria al Presepe. In seguito prese il nome
attuale di Santa Maria Maggiore.
Ad Limina
165
Al suo interno è un’antichissima icona, una delle tante Madonne dette di San Luca, veneratissima dal popolo romano, e
portata in processione nelle calamità cittadine.
San Giovanni in Laterano
Cristo unico Salvatore
San Giovanni in Laterano è la madre di tutte le chiese del
mondo, omnium urbis et orbis ecclesiarum mater et caput. E’ la
chiesa del Papa, la cattedrale di Roma. San Giovanni in Laterano non è dedicata ad un solo santo, ma a due, Giovanni Battista
e Giovanni Evangelista, uno il Precursore e l'altro l'Evangelista,
l'amico di Gesù.
Qui Costantino volle che ponesse la propria sede il vescovo
di Roma, successore di San Pietro, dopo che la croce di Cristo
gli apparve a Ponte Milvio. E il Papa, che è il vescovo di Roma,
ebbe la sede ufficiale nel Palazzo Laterano. Qui per secoli diedero udienza i Pontefici, in quel palazzo venne ricevuto il Poverello d’Assisi, da quel palazzo Bonifacio VIII indisse il primo
Giubileo. Accanto al palazzo sorse subito la cattedrale di Roma,
cioè la chiesa dove si trovava la cattedra del vescovo. Fu subito
talmente ricca da meritarsi l’attributo di Aurea e divenne famosa come la “meraviglia del mondo cristiano”.
I pellegrini venivano per toccare le preziose reliquie che
conteneva: la verga di Aronne, le tavole della Legge, la tavola
dell’ultima cena e quella che tuttora è conservata alla venerazione dei pellegrini, la Scala Santa. Fu Elena, la madre di Costantino a portare da Gerusalemme la scala del Pretorio di Pilato, la scala che Gesù avrebbe salito e disceso al momento del
processo. Per devozione i pellegrini salgono in ginocchio i ventotto scalini di marmo.
166
Capitolo XVII - Roma
S. Lorenzo Fuori le Mura
Fides et Charitas
Lorenzo, di origine spagnola era un diacono e a Roma, insieme ad altri diaconi, aveva la responsabilità della cura dei
1500 fra poveri e vedove aiutati dalla comunità cristiana. Subì il
martirio della graticola sotto l’impero di Valeriano.
Al processo che lo condannò, Lorenzo, accusato di raccogliere tesori che non andavano all’imperatore, arrivò con poveri, zoppi e ciechi e li presentò all’imperatore dicendo: “Ecco
questi sono i nostri tesori: sono tesori eterni, non vengono mai
meno, anzi crescono. Sono distribuiti a ciascuno, e tutti li hanno: sono le loro mani a portare al cielo i tesori”.
È perciò la caritas nel suo pieno significato teologale che
viene testimoniata da Lorenzo e per quella testimonianza diede
la vita.
In Lorenzo è possibile contemplare quella unità teologale
indissolubile di fides e charitas, la “fede che opera per mezzo
della carità” (Gal 5, 6).
La basilica di San Lorenzo fuori le mura è nota anche come
San Lorenzo al Verano. Il nome deriva dalla zona dell’Ager Veranus piena di mausolei e tombe fuori dalla cinta muraria di
Roma. La matrona romana Ciriaca prelevò il corpo di Lorenzo
dal luogo del martirio e lo seppellì nel terreno di sua proprietà,
che divenne una piccola catacomba. L’imperatore Costantino
fece erigere una prima basilica.
S. Croce in Gerusalemme
“Nos autem gloriam oportet in Cruce Domini Nostri Iesu Christi”
(Noi ci gloriamo della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo)
"Qui siamo nel vero Santuario della Croce!" Con queste parole Giovanni Paolo II ha salutato S. Croce in Gerusalemme du-
Ad Limina
167
rante la visita pastorale del 25 marzo 1979. Un titolo più che
giustificato per questa antica Basilica, strettamente legata alla
Passione di Cristo.
Riti e tradizioni legati al culto della Croce ne hanno caratterizzato la storia fin dalle origini.
Inserita nell'itinerario stazionale romano, in Quaresima
S.Croce è statio due volte: la IV Domenica - in cui anticamente
si svolgeva anche la benedizione della Rosa d'oro - e il Venerdì
Santo.
Solenni Liturgie si celebrano anche in occasione della Festa
dell'Esaltazione della Croce il 14 settembre e dell'Invenzione
della Croce il 3 maggio.
La Basilica di S. Croce in Gerusalemme sorge alle pendici
del colle Esquilino. La tradizione attribuisce a Costantino e a
sua madre Elena la costruzione della prima chiesa.
Denominata in origine Basilica Heleniana o Sessoriana, la
chiesa del IV secolo sorse per custodire le Reliquie della Passione del Signore, ritrovate miracolosamente sul Calvario e portate a Roma dall'anziana madre dell'Imperatore.
Sotto il pavimento si trova la terra del luogo della crocifissione di Gesù, che Elena avrebbe portato da Gerusalemme assieme alle reliquie della passione di Cristo. In fondo alla navata
sinistra salendo le scale si accede alla Cappella delle Reliquie.
Nell’aula superiore all’interno di una nuova collocazione sono
custodite le reliquie della Santa Croce mentre sul lato destro una
porticina immette nella sala dove è esposta una copia della Sacra Sindone.
S. Sebastiano, basilica e catacombe
Tempo di Cristo, tempo di martiri
Qui nacque, sulle reliquie di Sebastiano, martire del II secolo, pretoriano dell’esercito di Diocleziano, la prima catacomba
cristiana che diede il nome a tutti gli altri luoghi simili. La parola “Catacomba” deriva infatti dal greco kata' kymbas che signi-
168
Capitolo XVII - Roma
fica “presso la cavità” e all’inizio indicava unicamente questo
luogo, data la presenza in questo luogo di una cava di pozzolana. Catacombe sono la parte sotterranea dei più antichi cimiteri
della comunità cristiana di Roma e, come tutti gli altri cimiteri,
furono costruiti fuori delle mura della città, secondo quanto prescriveva la legge romana. Le Catacombe si presentano al visitatore come una serie di strette e basse gallerie scavate nel tufo, ai
lati delle quali è possibile notare le tracce di antiche sepolture: i
loculi, che sono la forma di sepoltura più semplice e al tempo
stesso più economica. Visitando la catacomba di S. Sebastiano,
si possono scorgere in vari punti i simboli più noti dell'iconografia paleocristiana: il pesce, l’ancora, il monogramma di Cristo, la colomba, l’ulivo, la balena di Giona, etc. Ciò che rende
particolarmente famose ed importanti le catacombe di S. Sebastiano, è la “Memoria Apostolorum”, ovvero il ricordo della
temporanea sepoltura, in questo luogo, degli Apostoli Pietro e
Paolo avvenuta durante la dura persecuzione di Valeriano (253260).
Qui nell'anno 258 fu celebrata per la prima volta in Roma la
festa dei santi Pietro e Paolo fissata per il 29 giugno. Il calendario la chiama la festa dei Santi Pietro e Paolo ad catacumbas,
perché celebrata appunto alle catacombe di San Sebastiano. Essa entrerà, da allora, nel calendario liturgico della Chiesa.
L'antica basilica del IV secolo fu dapprima edificata in onore
degli apostoli Pietro e Paolo, come continuazione della Memoria del III secolo e venne denominata “Basilica Apostolorum”.
Solo in pieno Medioevo il culto di S. Sebastiano “salì” dalla catacomba nella chiesa e le diede il suo nome.
Dinanzi ad essa si trova la cappella delle reliquie che custodisce la pietra del “Quo Vadis?” con l'impronta dei piedi di Gesù!
Addendum
Chiese Internazionali a Roma
Per il pellegrino straniero che desidera potersi fermare a
pregare nella propria lingua in mezzo a una comunità di compatrioti
Argentina - Santa Maria Addolorata - Viale Regina Margherita, 81
Armenia (rito armeno) - San Nicola da Tolentino agli Orti Sallustiani - Salita di San Nicola da Tolentino, 17
Belgio - San Giuliano dei Fiamminghi - Via del Sudario, 40
Canada - Nostra Signora del Santissimo Sacramento e Santi
Martiri Canadesi - Via Giovanni Battista de Rossi
Croazia - San Girolamo dei Croati - via Tomacelli, 132
Etiopia - San Tommaso in Parione - Via del Parione , 33
Francia - San Luigi dei Francesi - Piazza San Luigi dei Francesi, 5
Germania - Santa Maria dell'Anima - Via della Pace, 20
Grecia (rito bizantino-greco) - San Atanasio - Via del Babuino, 149
Inghilterra - San Silvestro in Capite - Piazza San Silvestro
Irlanda - Sant'Isidoro a Capo le Case - Via degli Artisti, 41
San Patrizio a Villa - Via Boncompagni, 31
Libano (rito siro-maronita) - San Giovanni Marone - Via Aurora, 6
Messico - Nostra Signora di Guadalupe e San Filippo Martire
in via Aurelia - Via Aurelia, 675
Polonia - San Stanislao - Via delle Botteghe Oscure, 15
Portogallo - Sant'Antonio in Campo Marzio - Via dei Portoghesi, 2
Romania (rito bizantino-romeno) - San Salvatore - Piazza
delle Coppelle, 72/b
169
Addendum
170
Russia - Sant'Antonio Abate all'Esquilino - Via Carlo Alberto,
2
Siria (rito siro-antiocheno) - Santa Maria della Concezione Piazza Campo Marzio, 45
Spagna - Santa Maria di Monserrato degli Spagnoli - Via Giulia 151
Stati Uniti - Santa Susanna - Via XX Settembre, 14
Svezia - Santa Brigida a Campo de' Fiori - Piazza Farnese, 96
Ucraina - San Giosafat al Gianicolo - Passeggiata del Gianicolo, 4
Ungheria - Santo Stefano Rotondo al Celio - Via di Santo
Stefano Rotondo
Santi Patroni sulla Via
Si elencano qui i giorni di festa patronale dei principali luoghi
della Via Francigena. In alcuni paesi la festa è particolarmente
vissuta e celebrata e può essere piacevole per il pellegrino soffermarvisi festeggiando insieme ai suoi ospiti.
Oulx
Susa
Torino
Vercelli
Tromello
Pavia
Chignolo Po (PV)
Orio Litta (LO)
Calendasco (PC)
Piacenza
Fiorenzuola (PC)
Fidenza (PR)
Medesano
Fornovo di Taro (PR)
Terenzo (PR)
Berceto (PR)
Pontremoli
S. Maria Assunta
S. Giusto
S. Giovanni Battista
S. Eusebio di Vercelli
S. Martino
S. Siro
S. Lorenzo
S. Giovanni Battista
S. Corrado
S. Antonino
S. Fiorenzo
S. Donnino
S. Pantaleone
S. Maria Assunta
S. Stefano
S. Moderanno
S. Gemignano di Modena
15 agosto
5 agosto
24 giugno
1 agosto
II dom. novembre
9 dicembre
10 agosto
ult. dom.agosto
19 febbraio
4 luglio
17 ottobre
9 ottobre
27 luglio
15 agosto
26 dicembre
22 ottobre
31 gennaio
171
Filattiera (MS)
S. Stefano
26 dicembre
Villafranca in Lun.
S. Giovanni Battista
24 giugno
Aulla (MS)
s. Caprasio di Lerins
1 giugno
Sarzana (SP)
S. Andrea Ap.
30 novembre
Camaiore (LU)
S. Bernardino da Siena 1 giugno
Lucca
S. Paolino di Lucca
12 luglio
Altopascio (LU)
S. Giacomo Maggiore
25 luglio
S. Miniato
S. Genesio
25 agosto
Gambassi Terme
S. Sebastiano
20 gennaio
S. Gimignano
S. Gimignano
31 gennaio
Colle val d'Elsa
S. Marziale
1 luglio
Siena
S. Ansano
1 dicembre
Buonconvento (SI)
SS. Pietro e Paolo
29 giugno
S. Quirico d'Orcia (SI) SS. Quirico e Giulitta
16 luglio
Radicofani
S. Agata di Catania
5 febbraio
Acquapendente (VT)
S. Ermete di Roma
28 agosto
Bolsena
S. Cristina
24 luglio
Montefiascone (VT)
S. Margherita di Antiochia 20 luglio
Viterbo
S. Rosa da Viterbo
4 settembre
(processione Macchina di S. Rosa la sera del 3)
Ronciglione (VT)
S. Bartolomeo
24 agosto
Vetralla (VT)
S. Ippolito di Roma
13 agosto
Capranica (VT)
S. Terenzio di Todi
1 settembre
Sutri (VT)
S. Dolcissima
16 settembre
Roma
SS. Pietro e Paolo
29 giugno
Pregare lungo il cammino
Fin dai tempi più antichi varie preghiere sono nate e si sono
diffuse nella chiesa diventando voce comune per i cristiani.
Preghiere semplici, semplici da recitare e da ricordare e tali da
arrivare semplicemente al cuore. Forse non c’era neanche bisogno di riportarle qui, in questo libro, tanto sono comuni e
familiari, ma sono state inserite con lo stesso spirito di chi ricorda a colui che parte se ha messo tutto nello zaino, ben sapendo che l’invito alla preghiera è superfluo per il vero pellegrino.
172
Addendum
Rosario
È la preghiera per eccellenza del pellegrino. Con i grani del
Rosario in mano il cammino è ritmato dalle Ave Maria che guidano il pensiero sullo svolgersi dei misteri. È una preghiera di
contemplazione che ci riporta costantemente a quella Buona
novella che ci fu annunciata e per la quale siamo partiti.
- Inizio: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo. Amen.
O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto.
Gloria al Padre.
- A ogni mistero: Padre Nostro, 10 Ave Maria (meditando il
mistero), Gloria al Padre.
- Al termine di ogni decina: Gesù mio, perdona le nostre
colpe, preservaci dal fuoco dell'inferno, porta in cielo tutte le
anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia.
Elenco dei misteri
Misteri Gaudiosi (lunedì e sabato)
1 L'Annunciazione dell'Angelo a Maria Vergine
2 La Visita di Maria Vergine a Santa Elisabetta
3 La Nascita di Gesù
4 La Presentazione di Gesù al Tempio
5 Il Ritrovamento di Gesù nel Tempio
Misteri Luminosi (giovedì)
1 Il Battesimo di Gesù
2 Le Nozze di Cana
3 L'Annuncio del Regno di Dio
4 La Trasfigurazione
5 L'Istituzione dell'Eucaristia
Mistero Dolorosi (martedì e venerdì)
1 L'Agonia di Gesù nell'orto degli ulivi
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2 La Flagellazione di Gesù alla colonna
3 La Coronazione di spine
4 Il Viaggio al Calvario di Gesù carico della Croce
5 La Crocifissione e Morte di Gesù
Mistero Glorioso (mercoledì e domenica)
1 La Risurrezione di Gesù
2 L'Ascensione di Gesù al Cielo
3 La Discesa dello Spirito Santo
4 L'Assunzione di Maria Vergine al Cielo
5 L'Incoronazione di Maria Vergine
Angelus
La preghiera del pellegrino all’alba, prima di partire, a mezzogiorno quando il canto della campane risuona nella campagna
lungo la Via, la sera al vespro, quando il cammino del giorno è
compiuto e il riposo si fa ringraziamento.
La storia dell’Angelus Domini (L'Angelo del Signore) è
molto bella.
Nel Capitolo Generale dei Frati Minori tenutosi a Pisa nel
1269 fu prescritto ai religiosi di salutare la Madonna ogni sera
con il suono della campana e la recita di qualche Ave Maria, ricordando il mistero dell'Incarnazione del Signore. In quel tempo
era Generale dell’Ordine francescano san Bonaventura da Bagnoregio, detto il “dottore serafico”.
L'Ordine degli umiliati, alla fine del 1200, fece sua la disposizione dei frati francescani ordinando alla città di Milano e dintorni di suonare ogni sera l’Ave Maria.
Da Milano la pia usanza si estese dovunque. Anche il Papa
Giovanni XXII (1245-1334), venuto a conoscenza di questa usanza che stava diffondendosi, la incoraggiò fortemente dando
al suo Vicario Generale di Roma di far suonare la campana ogni
giorno, perché la gente “si ricordi” di recitare tre Ave Maria in
onore dell'Annunciazione di Maria, detta comunemente “il saluto dell'Angelo”. Nel 1400 dalla sera si passò anche al mattino.
174
Addendum
Nel 1456 il papa Callisto III prescrisse il suono delle campane dell’Angelus anche a mezzogiorno con la recita di tre Ave
Maria.
Anche in Francia il re Luigi Xl ordinò che le campane risuonassero invitando i suoi sudditi a ricordarsi della Vergine Madre
di Dio, e lui stesso all’annuncio scendeva da cavallo e s’inginocchiava sulla nuda terra.
“Se le mutate condizioni dei tempi hanno oggi spento la voce ammonitrice di tanti nostri campanili, è pur vero che invariati rimangono, per la maggior parte degli uomini, quei momenti caratteristici della giornata: mattino, mezzogiorno e sera,
i quali segnano i tempi della loro attività e costituiscono un invito ad una pausa di preghiera”.
Paolo VI
Tutti: Nel Nome del Padre …
Guida: L’Angelo del Signore portò l'annuncio a Maria.
Tutti: Ed ella concepì per opera dello Spirito Santo.
Guida: Ave Maria...
Tutti: Santa Maria...
Guida: Eccomi, sono la serva del signore
Tutti: Si compia in me Tua parola
Guida: Ave Maria..
Tutti: Santa Maria...
Guida: E il Verbo si fece carne
Tutti: E venne ad abitare in mezzo a noi.
Guida: Ave Maria..
Tutti: Santa Maria...
Guida: Prega per noi Santa Madre di Dio
Tutti: perchƝ siamo fatti degni delle promesse di Cristo.
175
Guida: Preghiamo. Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o
Signore; Tu che all'annunzio dell'Angelo ci hai rivelato
l'tncarnazione del tuo Figlio, per la sua passione e la sua croce
guidaci alla gloria della resurrezione. Per Cristo nostro
Signore.
Tutti: Amen
Segno della Croce
Versione latina:
La versione in latino è un invito non solo a recitare
l’Angelus nella lingua universale della Chiesa ma è anche una
proposta per recitare insieme ad altri pellegrini la preghiera. È
infatti possibile che lungo la Via si incontrino sempre più
stranieri. Sarebbe bello che tutti i pellegrini insieme pregassero
così.
Angelus Domini nuntiavit Mariae,
Et concepit de Spiritu Sancto.
Ave Maria
Ecce ancilla Domini,
Fiat mihi secundum verbum tuum.
Ave Maria
Et Verbum caro factum est,
Et habitavit in nobis.
Ave Maria
Ora pro nobis, sancta Dei Genitrix,
Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Oremus.
176
Addendum
Gratiam tuam, quaesumus Domine, mentibus nostris infunde; ut qui, Angelo nuntiante, Christi Filii tui incarnationem cognovimus, per passionem eius et crucem, ad resurrectionis gloriam perducamur. Per eundem Christum Dominum nostrum.
Amen.
Regina Coeli
Da Pasqua a Pentecoste (da mezzogiorno del Sabato Santo
alla domenica di Pentecoste) si recita il Regina Coeli.
Regina dei cieli, rallegrati, alleluia;
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
È risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.
Rallegrati, Vergine Maria, alleluia.
Il Signore è veramente risorto, alleluia.
Preghiamo.
O Dio, che nella gloriosa risurrezione del tuo Figlio hai ridato la gioia al mondo intero, per intercessione di Maria Vergine concedi a noi di godere la gioia della vita senza fine.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Versione Latina:
Regina coeli, laetare, alleluia:
Quia quem meruisti portare, alleluia,
Resurrexit, sicut dixit, alleluia.
Ora pro nobis Deum, alleluia.
Gaude et laetare, Virgo Maria, alleluia.
Quia surrexit Dominus vere, alleluia.
Oremus.
Deus, qui per resurrectionem Filii tui, Domini nostri Iesu
177
Christi, mundum laetificare dignatus es: praesta, quaesumus, ut per eius Genitricem Virginem Mariam, perpetuae
capiamus gaudia vitae. Per eundem Christum Dominum
nostrum. Amen.
Giaculatoria
Termine antico per indicare una semplice e intensa preghiera. La giaculatoria deriva come termine dal latino. Iaculum è la
freccia, iaculari è lanciare freccie, dardi. La giaculatoria è come
una freccia lanciata verso Dio. È una preghiera veloce, rapida e
breve. Viene ripetuta più volte, tante volte, come il provetto arciere che arma il suo arco e ripete il lancio più volte senza dare
scampo all'avversario. Qui non si vuole colpire un avversario,
anche se esiste ed è chiaro chi possa essere, ma si vuole raggiungere il cuore di Dio con una freccia d'amore, come un mitologico cupido.
La giaculatoria è, insieme al Rosario, la preghiera del pellegrino. La frase ripetuta ritma il passo e accompagna il pensiero
su strade infinite verso la Meta. Il cuore e la testa finiscono per
seguire la freccia e insieme arrivare al bersaglio.
Alcune giaculatorie:
Signore Mio, Dio mio
Maria, vergine del cammino prega per noi
Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il
santo viaggio. (Sal 84, 6)
L'anima mia attende il Signore (Sal 130, 6)
Lodate il Signore perché è buono: perché eterna è la sua misericordia (Sal 136, 1)
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore (Sal 138, 1)
Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra. (Sal 16, 11)
178
Addendum
Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra.
(Sal 121, 2)
Pietà di noi, Signore, pietà di noi (Sal 123, 3)
Liturgia delle ore
Liturgia delle ore è il nome nuovo del breviario, quel libro di
preghiere un tempo riservato ai preti, che i lettori di Manzoni
trovano in mano a don Abbondio e quelli di Guareschi vedono
mettere nella valigia dei compagno don Camillo in partenza per
Mosca. Il cambio di nome manifesta un nuovo modo di avvicinarsi a ciò che è considerata ufficialmente la preghiera della
Chiesa. Non a caso il n.1175 del Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che da Liturgia delle ore è destinata a diventare la
preghiera per tutto il popolo di Dio.
La parola Liturgia significa "azione del popolo", e teologicamente è la continuazione dell’ufficio sacerdotale di Cristo
per mezzo della sua stessa Chiesa. Chiesa che non può più essere identificata con il clero, ma che include con pari dignità, e
necessariamente, i laici.
Scopriamo così che la Liturgia delle ore e molto più della
versione clericale delle nostre preghiere del mattino e della sera
con cui santifichiamo la giornata. Essa si rifà alla tradizione ebraica dello Shemà, con cui l’israelita, quando si corica e quando si alza (Dt 6,7), riconosce su di sé su tutto il suo esistere la
signoria del Dio dell’alleanza ma supera questa tradizione perché prolunga nella giornata, con atti liturgici, il mistero-evento
che ci ha reso partecipi della nuova ed eterna alleanza: la morte
e la risurrezione di Gesù Cristo rinnovata sacramentalmente nella messa.
Perciò possiamo dire che la Liturgia delle ore è il memoriale
dell’ora di Cristo e della sua vita, tutta protesa e determinata da
quell’ora (cf. Gv. 13,1; 17,1 ss.) Ed è proprio l’ora, cioè la posi-
179
zione del sole, a determinare la verità e la materia delle singole
parti della Liturgia delle ore:
Il tramonto del sole mi ricorda la passione e la Morte di Gesù Cristo, che celebro nei Vespri;
Il sorgere del sole mi ricorda la nuova creazione iniziata con
la resurrezione di Cristo, che celebro nelle Lodi.
Sono queste le ore principali, il duplice cardine della preghiera liturgica, le ore alle quali sono invitati a partecipare tutti i
fedeli.
A questi momenti celebrativi, lungo i secoli, se ne sono aggiunti altri, sempre vissuti in relazione al mistero di Cristo morto e risorto:
Terza (9 del mattino): crocifissione di Gesù (Mc 15,25); dono dello Spirito del risorto a Pentecoste (At 2,15).
Sesta (mezzogiorno): Gesù inchiodato sulla croce (Lc
23,44); visione di Pietro, perché accetti i pagani nella Chiesa
(At 10,9).
Nona (3 del pomeriggio): Gesù muore (Mc 15,34); gli apostoli sono partecipi della potenza salvifica del risorto (At 3,1
ss).
Questi momenti sono stati inglobati nell’attuale ora media.
Anche la notte ha i suoi momenti celebrativi:
Compieta, prima del riposo notturno: vuole farci riesprimere
lo stesso atteggiamento di abbandono al padre del Cristo crocifisso di fronte al mistero delle tenebre-morte (Lc23,46).
180
Addendum
Mattutino, verso la fine della notte, costituiva le “vigilie’, il
modo con cui la Chiesa, soprattutto nei monasteri, mostra il suo
essere in attesa del Cristo-luce-vita. Adesso, con realismo pastorale, la Chiesa chiama quest’ora ufficio delle letture: un
momento meditativo offerto a chi vuol avere un nutrimento più
abbondante di parola di Dio e arricchirsi di tutti i tesori che la
tradizione della Chiesa ha conservato in questi due millenni.
Ogni ora liturgica si svolge secondo lo schema già in uso
nelle riunioni di preghiera delle comunità paoline di Efeso e di
Colossi, quando “si cantava a Dio di cuore e con gratitudine
salmi, inni e cantici spirituali” (Col 3,16; Ef 5,19). Sta a noi,
come chiede S. Benedetto ai suoi monaci, “cantare in modo che
la mente si accordi con la nostra voce” (regola XIX) e rendere
così degno ed efficace il nostro culto di lode.
Preghiera della sera o all’arrivo
(dalla Liturgia)
Signore che ci hai insegnato a non avere una dimora permanente quaggiù e che ti riprendi la nostra vita colla stessa facilità
con cui si smonta la tenda nomade del pastore, noi ti ringraziamo di tutte le grazie e i benefici ricevuti quest’oggi durante il
nostro cammino.
Ti chiediamo che, animati dalla stessa gioia con cui ci prepariamo stasera a ritornare al nostro riposo, ci trovi un giorno la
tua chiamata a rientrare nella casa del Padre Celeste. Per Cristo,
nostro Signore. Amen.
181
Altre preghiere e spunti di riflessione
Sono un viandante.
Nessuno mi fermerà:
illusione sono le gioie e i dolori.
Senza casa sempre camminerò;
la zavorra che mi trae in basso
cadrà dispersa per terra.
Sono un viandante.
Per la strada canto a piena voce,
a cuore aperto,
libero dalle catene dei desideri;
attraverso il bene e il male
camminerò tra gli uomini.
Sono un viandante.
Svanirà ogni fatica.
Un canto sconosciuto
dal cielo lontano mi chiama;
una soave voce di flauto
mattina e sera incanta l'anima.
Sono un viandante.
Un mattino sono uscito
ch'era ancor buio,
ancor prima del canto degli uccelli.
Sopra l'oscurità,
immobile vegliava una pupilla.
Sono un viandante.
Una sera arriverò
dove brillano nuove stelle,
dove olezza un nuovo profumo;
dove due occhi sempre
mi guardano dolcemente.
Tagore
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Addendum
Lungo la Strada
Signore,
ho udito la tua chiamata e sono partito.
Sono partito pensando solo a me stesso,
ma lungo la strada ho scoperto la gioia di amare gli altri.
Sono partito ritenendo questa vita senza senso,
ma lungo la strada ho scoperto la gioia di vivere.
Sono partito con l'ipocrisia ne! cuore,
ma lungo la strada ho scoperto la gioia di dare una mano.
Sono partito avvolto dal manto dell'egoismo,
ma lungo la strada ho scoperto la gioia di offrire quel poco che
possedevo
Signore. Tu sei la Strada,
e per tutto ciò che lungo la strada ho imparato Ti rendo grazie.
Per tutto ciò che lungo la strada mi hai insegnato Ti rendo
grazie.
La Strada
Nel Vangelo la strada è più di un luogo o di un personaggio:
è il Signore. Non contento d’essersi fatto pellegrino, si fa strada.
“E del luogo dove io vado voi conoscete la via”. Gli disse
Tommaso: Signore non sappiamo dove vai e come possiamo
conoscere la via? Gli disse Gesù: “ Io sono la via, !a verità e la
vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo dì me “. (Giovanni 14,4-6).
La nostra qualità di gente di passaggio viene confermata
dalla parola e dal fatto di Lui. Lungo la strada, l'uomo non ha
casa, si sente meno a prestito che altrove.
La strada è il campo di tutti: e mi fa piacere che il seminatore, uscendo a seminare il suo seme non l’abbia trascurata: “..e
parte cadde lungo la strada.. “.
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Se passo per un campo o mi fermo all’ombra di una pianta,
che non sia una pianta della strada viene il padrone: Che fai?
Levati di qua. Ma sulla strada ci passo, quando voglio, come
voglio, di giorno e di notte, senza bastone o col bastone, ilare o
triste, piangendo o cantando. Chi passa. lo si sopporta com’è.
Non è l’ospite, è uno che passa e la strada è la sua casa: una casa che ha per soffitto il cielo, per parete i campi, il lago, il mare,
la montagna; per decoro i margini fioriti, le piante, il fango, la
polvere; per diletto il canto degli uccelli, il suono dell’acqua,
l’urlo del vento.
Molti parlano volentieri delle strade della civiltà: io penso
volentieri alle strade del Vangelo. Che voglia di vedervi Per la
gioia di vedervi; non perché siate diverse o più belle delle strade
che conosco ma perché avete portato Gesù. Strada di Cesarea di
Filippo, strada che va da Gerusalemme a Gerico, strada di
Naìm, strada di Sichem, di Cana, di Betania, strada
dell’emorroissa, strada del Calvario...
Non ho bisogno né di vedere né d’immaginare. Sono le strade di qui; del mio paese, della mia terra; le strade che mi conducono a scuola, in banca, all’officina, nei campi al cimitero... La
strada è la strada.
Uccelli che cantano, acque che scorrono, margini che fioriscono, nuvole e stelle... Ma il duro della strada, la stanchezza
del camminare nessuno li porta via. E’ proprio la strada che è
dura proprio il camminare che è duro.
Egli l’ha camminata coi piedi tumefatti e sanguinanti; l’ha
baciata con la sua bocca arsa nelle cadute che non si contano...
Quando sento parlare delle strade della civiltà, vo’ cercando col
cuore le strade del Vangelo.
Dicono furono le strade dell’Impero a far camminare i portatori del Vangelo. E’ vero: ma che viandanti diversi! Senza il
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Addendum
passo delle legioni, senza armi, senza bastoni, senza borsa, senza calzari... Come pecore in mezzo ai lupi..
Che strani camminatori! E che strani conquistatori! Fuggitivi, perseguitati, ammanettati, guardati a vista...
Lungo la strada è cominciata la chiesa: lungo le strade del
mondo la chiesa continua. Non occorre, per entrarvi, né battere
alla porta, né fare anticamera. Camminate e là troverete: camminate e vi sarà accanto, camminate e sarete nella chiesa.
Per un apostolo camminare vuoi dire seguire i destini delle
anime: essere pastore.
(da "Tempo di credere" di Don Primo Mazzolari)
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1. Jacopo A. Caucci von Saucken
Da Roncisvalle a Santiago di Compostella
2. Aa.Vv.
Il pellegrino, la forca e il gallo. Sacra rappresentazione compostellana
3. Antonio Pini
I miei 29 giorni sul Cammino di Santiago
4. Aa.Vv.
La strada buona. I° incontro compostellano in Liguria
Finito di stampare nel mese di ottobre del 2011
dalla « Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »
00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma
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